La Città - Produzione farine - Molino di Pordenone 90 Anni Molino... · 2 Aprile 2013 LA NOSTRA...

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La Città LA CITTA’ • Supplemento n. 1 al numero 65 della Città di Aprile 2013 • Registrazione presso il Tribunale di Pordenone, n. 493 del 22-11-2002 • Copia in omaggio Direttore responsabile: Flavio Mariuzzo • Editore: Associazione La Voce • Sede: Pordenone, piazza XX Settembre 8 • Telefono: 0434-240000 • Fax: 0434-208445 • e-mail: [email protected] Il Molino di Pordenone 90 anni di grandi farine Costituita nel 1923 da un gruppo di commercianti e imprenditori locali, l’azienda registra una svolta nel 1950 con il passaggio della proprietà e della gestione nelle mani di Valentino Zuzzi, padre dell’attuale presidente Giampaolo EDITORIALE Appunti per una storia La Società di Macinazione o, più brevemente, il Molino di Pordenone compie 90 anni. Fondata nel 1923 da un gruppo di commercianti e imprenditori locali, l’azienda ha veleggiato sfidando il tempo e soprattutto macinando milioni di quintali di frumento. Va subito precisato che ci sono tanti tipi di molini. Il protagonista di questo anniversario è un molino elettrico a cilindri sorto vicino alla ferrovia. Niente ruota a pale di legno, niente torrente, niente fila di carri con la materia prima in attesa del mugnaio. L’attività molitoria di cui qui si parla è incentrata sulla macinazione del grano tenero e la farina prodotta serve principalmente per produrre pane, pizza e dolci di ogni genere e specie. La storia della Società di Macinazione s’inserisce a pieno titolo nel quadro del tumultuoso sviluppo industriale pordenonese, soprattutto quando la proprietà e la gestione dell’azienda passano nelle mani della famiglia Zuzzi. I fatti che si è cercato di ricostruire in questo giornale, tuttavia, prediligono il periodo della fondazione e quello degli anni immediatamente successivi, il periodo più lontano e meno conosciuto. L’attualità è al centro dell’intervista al presidente Giampaolo Zuzzi, ora affiancato nella conduzione del molino dai figli Marco e Valentino. Da questi appunti, forse qualcuno, fra dieci anni, potrà partire per ricostruire una storia più articolata e ricca di informazioni su una realtà industriale che ha fortemente caratterizzato l’economia e la società pordenonese nell’ultimo secolo. Flavio Mariuzzo La storia della Società di Macinazione di Pordenone è una storia diversa da quella del classico molino ad acqua con la grande ruota fissata alla parete esterna e il torrente adiacente. Quel piccolo mondo antico, arrivato integro fino agli inizi del ‘900, nel periodo tra le due guerre si trasforma, incamminandosi sulla strada del progresso scientifico, economico e sociale che porta alla sua definitiva scomparsa. Dapprima la vecchia ruota di legno viene soppiantata dalla turbina idraulica, che comunque sfrutta ancora il salto dell’acqua. Poi, con l’avvento dell’Enel e il conseguente divieto di produrre corrente in proprio, si passò direttamente all’energia elettrica. Le macine lasciarono il posto ai molini a cilindro e gli ingranaggi passarono dal legno al ferro. Il molino che nasce a Pordenone nel 1923 appartiene a quest’ultima generazione. Non è più quel centro di aggregazione vicino al corso d’acqua che aveva alimentato le idee rivoluzionarie di mugnai come Domenico Scandella, detto “Menocchio”, a Montereale, bensì un’azienda in piena regola da inquadrare nella storia dei capitani d’industria pordenonesi, alcuni dei quali stavano in quel periodo seminando le fortune proprie e del territorio d’origine. I primi decenni del Novecento sono quelli in cui nascono importanti opifici manifatturieri destinati a trainare il progresso economico pordenonese. All’ombra degli storici cotonifici nascono, fra gli altri, l’officina meccanica per la riparazione di telai tessili avviata da Marcello Savio nel 1911 e la fabbrica di stufe e cucine economiche sorta nel 1916 ad opera di Antonio Zanussi. Appena tre anni prima della costituzione del nuovo molino, il 15 febbraio 1920, nasce a Pordenone Lino Zanussi, il cui nome diverrà un indelebile marchio di fabbrica della città negli anni a venire. Più ancora del nome di Ottavio Bottecchia, il primo ciclista italiano a trionfare nel Tour de France nel 1924 e a ripetersi nel ’25. Siamo nel periodo storico in cui il Fascismo, dopo la marcia su Roma del ’22, si afferma anche a Pordenone e continui sono gli scontri con la controparte socialista, guidata da Giuseppe Ellero e dal sindaco Guido Rosso. Scioperi ed episodi di resistenza al regime, soprattutto da parte degli operai dei cotonifici, caratterizzeranno tutti gli anni Venti. Fu un crescendo di tensioni e violenze che ebbe inizio il 10 e l’11 maggio con l’invasione fascista di Pordenone, ricordata soprattutto per le barricate di Torre. Con le elezioni del 21 ottobre 1923, anche nella città del Noncello s’insedia la prima amministrazione fascista con a capo uno dei più acerrimi avversari del sindaco Rosso, l’avvocato Arturo Cattaneo di L’industria pordenonese celebra un importante anniversario: i 90 anni della Società di Macinazione continua a pag. 2 Un’immagine del Molino con le bandiere per il passaggio del Duce diretto a Udine in treno nel 1938 Edizione speciale per i 90 anni del Molino di Pordenone

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La CittàLA CITTA’ • Supplemento n. 1 al numero 65 della Città di Aprile 2013 • Registrazione presso il Tribunale di Pordenone, n. 493 del 22-11-2002 • Copia in omaggioDirettore responsabile: Flavio Mariuzzo • Editore: Associazione La Voce • Sede: Pordenone, piazza XX Settembre 8 • Telefono: 0434-240000 • Fax: 0434-208445 • e-mail: [email protected]

Il Molino di Pordenone90 anni di grandi farine

Costituita nel 1923 da un gruppo di commercianti e imprenditori locali, l’azienda registra una svolta nel 1950 con il passaggio della proprietà e della gestione nelle mani di Valentino Zuzzi, padre dell’attuale presidente Giampaolo

editoriaLe

Appunti per una storia

La Società di Macinazione o, più brevemente, il Molino di Pordenone compie 90 anni. Fondata nel 1923 da un gruppo di commercianti e imprenditori locali, l’azienda ha veleggiato sfidando il tempo e soprattutto macinando milioni di quintali di frumento. Va subito precisato che ci sono tanti tipi di molini. Il protagonista di questo anniversario è un molino elettrico a cilindri sorto vicino alla ferrovia. Niente ruota a pale di legno, niente torrente, niente fila di carri con la materia prima in attesa del mugnaio. L’attività molitoria di cui qui si parla è incentrata sulla macinazione del grano tenero e la farina prodotta serve principalmente per produrre pane, pizza e dolci di ogni genere e specie.La storia della Società di Macinazione s’inserisce a pieno titolo nel quadro del tumultuoso sviluppo industriale pordenonese, soprattutto quando la proprietà e la gestione dell’azienda passano nelle mani della famiglia Zuzzi. I fatti che si è cercato di ricostruire in questo giornale, tuttavia, prediligono il periodo della fondazione e quello degli anni immediatamente successivi, il periodo più lontano e meno conosciuto. L’attualità è al centro dell’intervista al presidente Giampaolo Zuzzi, ora affiancato nella conduzione del molino dai figli Marco e Valentino. Da questi appunti, forse qualcuno, fra dieci anni, potrà partire per ricostruire una storia più articolata e ricca di informazioni su una realtà industriale che ha fortemente caratterizzato l’economia e la società pordenonese nell’ultimo secolo.

Flavio Mariuzzo

La storia della Società di Macinazione di Pordenone è una storia diversa da quella del classico molino ad acqua con la grande ruota fissata alla parete esterna e il torrente adiacente. Quel piccolo mondo antico, arrivato integro fino agli inizi del ‘900, nel periodo tra le due guerre si trasforma, incamminandosi sulla strada del progresso scientifico, economico e sociale che porta alla sua definitiva scomparsa. Dapprima la vecchia ruota di legno viene soppiantata dalla turbina idraulica, che comunque sfrutta ancora il salto dell’acqua. Poi, con l’avvento dell’Enel e il conseguente divieto di produrre corrente in proprio, si passò direttamente all’energia elettrica. Le macine lasciarono il posto ai molini a cilindro e gli ingranaggi passarono dal legno al ferro. Il molino che nasce a Pordenone nel 1923 appartiene a quest’ultima generazione. Non è più quel centro di aggregazione vicino al corso d’acqua che aveva alimentato le idee rivoluzionarie di mugnai come Domenico Scandella, detto “Menocchio”, a Montereale, bensì un’azienda in piena regola da inquadrare nella storia dei capitani d’industria pordenonesi, alcuni dei quali stavano in quel periodo seminando le fortune proprie e del territorio d’origine. I primi decenni del Novecento sono quelli in cui nascono importanti opifici manifatturieri destinati a trainare il progresso economico

pordenonese. All’ombra degli storici cotonifici nascono, fra gli altri, l’officina meccanica per la riparazione di telai tessili avviata da Marcello Savio nel 1911 e la fabbrica di stufe e cucine economiche sorta nel 1916 ad opera di Antonio Zanussi. Appena tre anni prima della costituzione del nuovo molino, il 15 febbraio 1920, nasce a Pordenone Lino Zanussi, il cui nome diverrà un indelebile marchio di fabbrica della città negli anni a venire. Più ancora del nome di Ottavio Bottecchia, il primo ciclista italiano a trionfare nel Tour de France nel 1924 e a ripetersi nel ’25. Siamo nel periodo storico in cui il Fascismo, dopo la marcia su Roma del ’22, si afferma anche a Pordenone e continui sono gli scontri con la controparte socialista, guidata da Giuseppe Ellero e dal sindaco Guido Rosso. Scioperi ed episodi di resistenza al regime, soprattutto da parte degli operai dei cotonifici, caratterizzeranno tutti gli anni Venti. Fu un crescendo di tensioni e violenze che ebbe inizio il 10 e l’11 maggio con l’invasione fascista di Pordenone, ricordata soprattutto per le barricate di Torre. Con le elezioni del 21 ottobre 1923, anche nella città del Noncello s’insedia la prima amministrazione fascista con a capo uno dei più acerrimi avversari del sindaco Rosso, l’avvocato Arturo Cattaneo di

L’industria pordenonese celebra un importante anniversario: i 90 anni della Società di Macinazione

continua a pag. 2

Un’immagine del Molino con le bandiere per il passaggio del Duce diretto a Udine in treno nel 1938

Edizione speciale per i 90 anni del Molino di Pordenone

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Aprile 2013 La CittàLA NOSTRA STORIA2

Il primo presidente fu il cavalier Francesco Asquini, rappresentante di una delle famiglie più in vista. Suo figlio diventerà direttore tecnico della Società prima di essere nominato sindaco nel 1945. Nel ’50 Valentino Zuzzi rileva le quote degli Asquini e dei Tomadini e imprime una svolta decisiva grazie alla sua esperienza nel settore. Avvicinato al mondo delle farine dal nonno mugnaio, ha lavorato dapprima ai grandi Molini Stucky della Giudecca a Venezia, quindi in una delle aziende più prestigiose al mondo per la costruzione di impianti molitori, la svizzera Bühler

di FLAVIO MARIUZZO

L’epopea del molino nel cuore della città

Vallenoncello, il primo podestà (figura che sostituisce non solo il sindaco ma anche la giunta e il consiglio). In questo scenario, il 19 giugno 1923, viene costituita la società anonima per azioni denominata “Società di Macinazione”. I soci si diedero appuntamento davanti al notaio Quinto Gonano, nel suo studio al civico 40 di corso Vittorio Emanuele II. Si trattava di alcuni nomi di spicco del ceto produttivo locale. C’erano i commercianti Francesco Asquini e Riccardo Tamai e gli industriali Luigi Baschiera, Angelo Tomadini, Carlo Endrigo e Luigi Trevisan. Baschiera era fornaio in piazza San Marco (nonché padre della celebre musicista Pia), Endrigo aveva una birreria in piazzetta Cavour, Tomadini era responsabile dell’omonimo pastificio, Trevisan era mugnaio ad Aviano.Tranne Endrigo e Trevisan, tutti erano consiglieri comunali.“Scopo della società – si legge nell’atto costitutivo – è quello di esercitare un Molino a cilindri in Pordenone per macinare frumento, altri cereali, acquisto e rivendita granaglie e prodotti della macinazione”.La sede venne stabilita in città e il capitale sociale fissato in un milione di Lire, diviso in numero di mille azioni al portatore. Il Consiglio di amministrazione risultava così composto: consiglieri Asquini, Trevisan e Tomadini; sindaci effettivi Baschiera, Tamai ed Endrigo; sindaci supplenti Marco Trevisan di Tomaso e Antonio Tomadini fu Arcangelo.Del capitale faceva parte anche l’immobile acquistato da Luigi Trevisan nel 1920

in nome e per conto della costituenda società. In fase di costituzione, il nome prescelto, dopo lunga e incerta discussione, fu “Molino Sociale Pordenone”, successivamente modificato in “Società di Macinazione Pordenone” per evitare disguidi postali, forse per la presenza in zona di altri molini (come quello cooperativo esistente a Torre fin dal 1909).L’impianto del nuovo molino impegna i soci per tutto il 1923 con le decisioni sui contratti per l’affidamento dei lavori. In particolare, la costruzione del fabbricato viene affidata alla ditta locale Santin e Pavan. Fin da subito viene richiesto l’allacciamento alla ferrovia tramite apposito binario, una iniziativa strategica per la futura attività del molino.Nella seduta del 30 maggio 1923 il Comitato promotore aveva nominato alla presidenza per acclamazione il cavalier Francesco Asquini, nella cui abitazione si svolgevano quasi tutte le sedute. Nato nel 1864 a Maiano del Friuli e stabilitosi a Pordenone alla fine dell’800, Asquini era uno dei commercianti più in vista di Corso Vittorio Emanuele. Sposato con Maria Peratoner, fu ininterrottamente consigliere comunale e assessore dal 1902 al 1919. Fu anche presidente della Società Operaia, dell’Asilo Vittorio Emanuele II e della Pro Infanzia.Il 2 novembre 1923 viene ufficializzato anche il mandato di consigliere delegato e direttore di Luigi Trevisan, a cui viene affidato il compito “di curare sotto ogni punto di vista il funzionamento dell’industria, le vendite, gli acquisti a seconda delle liquide disponibilità di cassa,

salvo prendere accordi con il presidente Asquini per affari di una certa importanza”. Per quanto riguarda il compenso viene stabilito che “del 10% sull’utile netto annuo spettante al Consiglio di amministrazione, la metà sia dovuta al sig. Trevisan e l’altra metà divisa fra gli altri”, salvo modifiche legate alle “risultanze” del primo bilancio. Al direttore, inoltre, verrà concesso di abitare gratuitamente nella palazzina degli uffici e uno stipendio fisso di mille lire al mese.Esclusa la soluzione di trovare nuovi soci per finanziarsi, la società comincia a lavorare con le banche: le prime a concedere fidi cospicui sono la Cassa di Risparmio di Udine (500 mila Lire) e la Banca di Pordenone (300 mila). Nella seduta del 25 novembre 1923 il Consiglio delibera di “non spedire alcuna circolare annunciante l’apertura del molino, ma farlo con una pubblicazione sul Popolo e sul Gazzettino”.La sana e prudente gestione sembra ispirare i primi passi degli amministratori che stabiliscono di compilare un dettagliato elenco dei clienti consumatori distinti per paese, con opportune specifiche circa la solvibilità di ognuno. Prima di impegnarsi con affari di una certa entità, inoltre, si raccomanda la necessaria raccolta di informazioni, “tanto a mezzo banche quanto in forma privata”. In linea di massima si decide di vendere a quantitativi frazionati a clienti di Pordenone e paesi vicini e la rimanenza collocarla a grossisti, “sempre con molta cautela”.Sempre nella seduta del 25 novembre 1923 il Consiglio di amministrazione, su

proposta del presidente Asquini, delibera di devolvere in beneficenza al comitato circondariale pro tubercolosi la somma di Lire 1.000 “in sostituzione della presunta spesa di inaugurazione del molino”.Insomma, l’avvio della Società di Macinazione avviene sotto i migliori auspici e all’insegna della solidarietà nei confronti dei concittadini più bisognosi. Ma i problemi sono dietro l’angolo.Già nella prima seduta del 1924, convocata il giorno dopo l’Epifania, il presidente comunica che la liquidazione dei lavori è quasi ultimata, ma i capitali a disposizione non sono sufficienti per finanziare l’attività. “Questo – si dice – anche in seguito alla spiacevole constatazione che in molino vi è una giacenza di oltre 900 quintali di farina”. Si rendono necessari altri finanziamenti, che vengono reperiti in parte dai soci e in parte ancora dalle banche locali. Per far fronte ad una gestione che si fa complicata il molino si dota di un direttore amministrativo, il dottor Valentino Toniolo. Nei mesi successivi il presidente Asquini non manca di far notare ai soci la sua grande preoccupazione per il fatto che l’azienda ancora non si incammina nel modo desiderato. Il grosso handicap sono le vendite fiacche a causa della forte concorrenza di altri molini. Secondo Asquini gli affari nel circondario non sono stati curati bene fin dall’inizio e la questione investe soprattutto la figura di Trevisan, con il quale si determina un duro scontro in seno al Consiglio. Dopo aver sfiorato la rottura, si conviene di limitare le mansioni del Trevisan alla

Quella del Molino di Pordenone è una storia imprenditoriale che s’intreccia con quella della città. i soci fondatori sono tutti personaggi di spicco dell’economia e della società locale

continua dalla prima

Riccardo Tamai, commerciante, socio fondatore del Molino

Carlo Endrigo, uno dei soci fondatori della Società, presidente nel 1949

L’edificio in mattoni rossi del Molino prima della costruzione del silos per il deposito dei grani avvenuta nel 1936Visita alla sede del Molino da parte del Federale di Pordenone nel 1939Il cavalier Francesco Asquini (1864-1948), primo presidente della Società di Macinazione

Giovanni Pavan, nonno dell’attuale presidente della Camera

di Commercio di Pordenone, titolare della ditta che costruì il Molino

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direzione tecnica del molino e di sostituirlo nelle vendite con un viaggiatore, che viene individuato in Erminio Romanin, il quale “s’impegna a collocare da 1800 a 2000 quintali di farina al mese” nell’area compresa tra il Tagliamento e il Piave.Nel Consiglio di amministrazione del 20 maggio 1924 i nodi vengono al pettine. Una lettera del Collegio dei sindaci, letta dal presidente Asquini, mette la parola fine al rapporto con il direttore del molino.Nel 1925, dopo l’approvazione del primo bilancio, la Società si consolida aderendo anche alla locale Associazione degli Industriali.I soci aumentano il capitale e dotano il molino di nuovi macchinari che vengono acquistati dalla ditta svizzera Bühler, una delle aziende più prestigiose del settore.Gli anni che seguono sono difficili per l’industria molitoria sia per il forte ribasso dei prezzi sia per la spietata concorrenza dei grandi e piccoli molini. Quest’ultimi, in particolare, si stavano modernizzando e potevano praticare condizioni migliori dei molini più attrezzati. Gli utili dei primi esercizi della Società di Macinazione non vengono distribuiti.Le condizioni dell’azienda migliorano con il bilancio del 1929, che registra un utile superiore alle 100 mila Lire, impiegato per circa la metà a coprire le perdite dei due anni precedenti.L’attività, tuttavia, fatica a decollare a causa dei ribassi nei prezzi di vendita delle farine.Il primo agosto del 1932 entra alle dipendenze della Società l’ingegner Giuseppe Asquini, figlio del presidente e futuro sindaco di Pordenone dal maggio

del 1945 al giugno del ’46. Giuseppe studia alcune modifiche da apportare alla lavorazione del molino per ottenere una maggiore resa in farina e utilizzare maggiormente gli scarti di pulitura. Non senza sacrificio, infatti, la Società persegue l’obiettivo di migliorare la qualità delle farine prodotte, anche in considerazione delle lamentele dei fornai a causa delle farine prodotte con grano locale povero di glutine. Ci si orienta pertanto verso il Veneto, acquistando una miscela di buoni grani del Polesine. Il risultato sarà una farina ottima e più facile da vendere.Nel 1936 si dispone l’aumento di capitale da 1.000.000 a 1.750.000 Lire con una nuova emissione di 750 azioni da Lire 1.000 riservate in opzione agli azionisti, come da statuto. Sempre nel ‘36 il Consiglio approva l’acquisto del terreno adiacente il molino (di proprietà di Maria Vazzoler vedova Romor e precedentemente affittato alla Fabbrica Rimorchi Bertoja) per la costruzione del nuovo silos per il deposito del grano. Ciò per assicurare la continuità nella lavorazione. Viene acquistato anche il nuovo camion 634 Fiat. L’esercizio si chiude con un utile di quasi 100 mila Lire.Dai primi anni ’30 il ruolo di consigliere delegato viene esercitato ininterrottamente da Luigi Baschiera. Alla sua morte, nel novembre del 44, viene nominato Carlo Endrigo.La parentesi della guerra rappresenta un momento difficile per tutto il tessuto economico e sociale pordenonese. Anche le strutture del molino vengono danneggiate dalle incursioni aeree del ’44-’45.

Nel gennaio del ‘46 muore Riccardo Tamai, uno dei soci fondatori.Nell’aprile dello stesso anno diventa presidente Lorenzo Tomadini, mentre il cavalier Francesco Asquini, diventato presidente onorario, muore nel novembre del ‘48. Nel commemorarlo, il Consiglio commosso si augura che “il suo spirito ed il suo esempio siano sempre presenti agli amministratori e ai dipendenti della società”.Nella primavera del ‘49 iniziano i lavori di sistemazione del molino. La presidenza passa a Carlo Endrigo, l’unico rimasto dei soci fondatori.Ma la svolta decisiva avviene nell’agosto del 1950 con l’ingresso in società di Valentino Zuzzi che rileva la maggioranza del capitale sociale dalle famiglie Asquini e Tomadini, ma anche da altri soci entrati dopo il 1923, come l’ingegner Arrigo Tallon, marito di Pia Baschiera, e il commerciante di carburanti Valentino Toniolo. L’intervento e l’interessamento di Valentino Zuzzi sono considerati “la promessa di un migliore avvenire per la società”. Specializzato della macinazione e conoscitore profondo del mercato dei grani e delle farine, Zuzzi viene chiamato alla presidenza e gli vengono conferiti all’unanimità pieni poteri. Il nuovo presidente chiede che Endrigo venga confermato alla vicepresidenza, riconoscendone lo storico attaccamento aziendale.Per prima cosa si procede all’aumento di capitale (che passa da 1.750.000 Lire a 43 milioni di Lire) e alla richiesta di

allargamento dei fidi alle banche locali indispensabile per un’azienda che acquista per contanti la materia prima e vende alla clientela a 30-40-50 giorni.La liquidazione percepita dalla ditta Bühler fu interamente investita nell’aumento di capitale.Valentino vanta un’esperienza considerevole nel settore. Avvicinato al mondo delle farine dal nonno mugnaio, ha lavorato dapprima ai grandi Molini Stucky della Giudecca a Venezia, quindi alla Bühler.L’iniezione di esperienza ed entusiasmo apportata da Valentino Zuzzi cambia le sorti del molino di Pordenone che, forte di una struttura finanziaria più solida e di una gestione più efficiente, pone le basi per giocare un ruolo da protagonista nella successiva rinascita economica del territorio locale.

Interni in legno del Molino prima della ristrutturazione del 1995

Luigi Baschiera, socio fondatore, fornaio in piazzetta San Marco e padre di Pia Baschiera Tallon, insegnante emerita di pianoforte e fondatrice della scuola di musica “Pietro Edo” di Pordenone

1962, alluvione al deposito dei sacchi di frumento di TorrePranzo con gli operai e gli impiegati del Molino (1969)1969, pranzo con operai e impiegati del Molino: il presidente Valentino Zuzzi accompagnato dalla moglie Dusolina premia l’anziano signor Grizzo

L’edificio in mattoni rossi del Molino prima della costruzione del silos per il deposito dei grani avvenuta nel 1936

Riferimenti bibliograficiVerbali del Consiglio di Amministrazione della Società di Macinazione Pordenone1923-1924; Delibere del Consiglio di Amministrazione 1923-1943; Libro delibere del Consiglio di Amministrazione 1943-1956; Atto costitutivo della Società di Macinazione Pordenone 18 giugno 1923; Prefettura del Friuli, Foglio Annunzi Legali anno 1923-1924, Udine Luglio 1923; AA.VV. Le Tre Venezie - Il Noncello, Treviso 2003; Pier Carlo Begotti, Mulini ad acqua e mugnai in Friuli, Pordenone 1988; Luigi Mio, Gli amministratori comunali di Pordenone dall’Unità d’Italia, Udine 2010; Nico Nanni, Pordenone tra Ottocento e Novecento, Treviso 2005.

Vendita dei mangimi prodotti dalla Società di Macinazione negli anni ’60-’70

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Presidente, chi era Valentino Zuzzi e quando entra in contatto con la Società di Macinazione?Mio padre Valentino nasce a Canizzano, in provincia di Treviso, il 7 novembre 1908. Era un dipendente della Bühler, ancora oggi leader mondiale nei macchinari per molini. Per l’azienda svizzera Valentino seguiva il Triveneto: vendeva, installava e collaudava impianti. Nel 1936 Valentino si sposa con Dusolina Bussolati di Piacenza. Il matrimonio viene celebrato ad Adria. Nel ‘38 nasce Alberto, nel ‘42 vengo alla luce io, nel ‘50 Laura che oggi dirige l’Istituto Regionale di Studi Europei nell’ambito del centro culturale “Casa A. Zanussi” di Pordenone. Quando nel 1936 la Società di macinazione di Pordenone deve costruire il silos, lo interpella. Lì avviene l’incontro con i soci.Poi cosa succede?Nell’ottobre del ’50, dopo anni di collaborazione, Valentino decide di rilevare la società per rilanciarla. Dal ‘40 al ‘50, infatti, il molino ha vissuto un decennio di crisi a causa della forte concorrenza, in particolare da parte dei molini di Cordovado e Spilimbergo, che erano simili al nostro, ma anche di quelli di Trieste e Cervignano, dove operava il gruppo Variola, e del molino Pussini di Monfalcone. Nell’estate del ‘50, mentre trascorre con la famiglia un periodo di vacanza a San Vito di Cadore, Valentino incontra Giuseppe Asquini, futuro senatore e figlio di Francesco, già presidente del molino. Gli venne proposto di entrare in società come socio di maggioranza. L’affare andò in porto. Valentino divenne il nuovo presidente e amministratore del molino, che allora contava una quarantina di dipendenti e macinava 800-900 quintali di frumento al giorno. Che città era la Pordenone degli anni ’50?Era una cittadina già caratterizzata da ricco humus industriale, un terreno che di lì a pochi anni vedrà il prepotente sviluppo della Zanussi. Le attività imprenditoriali più importanti sono quelle del Cotonificio Veneziano, della Ceramica Scala, delle Officine Savio, della Ceramica e delle cartiere dei Galvani, dei rimorchi Bertoia, dei serramenti Zanette in via Oberdan. Il molino era una delle attività più vecchie della città. Il Collegio Don Bosco esercitava un indiscusso primato educativo.Come cambia l’attività del molino con l’ingresso di Valentino Zuzzi?Valentino è convinto che per fare il mugnaio bisogna innanzitutto saper estrarre bene la farina dal frumento. Così si dedica anima e corpo al molino inaugurando una stagione di innovazione, espansione e assunzioni. Fin da quegli anni diventa importante la collaborazione di suo cognato dottor Gennari, laureato in chimica, e anche la presenza nell’organo di controllo dei commercialisti Defragé Santin e Nicolò Fracas.Nel ‘58 raddoppia il silos di stoccaggio e costruisce un mangimificio, attività

L’attuale presidente del Molino Giampaolo Zuzzi ripercorre l’avventura industriale intrapresa nel 1950 dal padre Valentino

Zuzzi, da tre generazionispecialisti dell’arte bianca

Oggi la farina made in Pordenone è un mix di qualità e fantasia. Il Molino ha 12 rappresentanti e 27 dipendenti, per lo più autisti. Alla guida sono entrati i figli di Giampaolo, Marco e Valentino. La macinazione è tutta computerizzata. Ogni singolo chicco viene analizzato con i raggi infrarossi. “L’industria alimentare è sempre più attenta alla qualità e richiede un prodotto certificato”

Edizione Speciale per i 90 anni del Molino di Pordenone

EditricE: Associazione “La Voce”, P.zza XX Settembre, 8 (PN)dirEttorE rESPoNSABiLE: Flavio MariuzzotESti A curA di: Flavio MariuzzoProgEtto grAFico: Francesca SalvalajoFoto: Archivio Società di Macinazione,Archivio gino ArgentiniMPiANti StAMPA: Visual Studio PordenoneStAMPA: tipografia Sartor PN

La Città

quest’ultima che verrà portata avanti con soddisfazione per un ventennio al servizio di un impianto di pollicoltura e degli allevatori della zona. Nel 78 il molino viene potenziato: si cambiano i motori e le macine girano ad una maggiore velocità. La produzione arriva a 2 mila quintali al giorno.Il passaggio di testimone tra padre e figlio quando avviene?Nel 1967 mio fratello Alberto prese la decisione di andare in Brasile ad avviare anche là un’impresa molitoria. Si era creata una situazione favorevole e, anche su suggerimento di mio padre, non volle perdere questa opportunità, che poi si rivelò una scelta felice. Dal 1969 iniziai a lavorare nella società come dipendente, dopo aver sempre vissuto e collaborato all’attività del molino. Imparai tutti gli aspetti di questo lavoro e la sua evoluzione legata al progresso tecnologico.Nell’88, mentre raccoglieva asparagi nell’orto, mio padre Valentino morì nella sua casa di Roveredo, dove viveva insieme alla seconda moglie, dopo essere rimasto vedovo nel ’77.Fu allora che presi in mano le redini della società diventandone presidente e amministratore. Come è cambiata l’attività molitoria in questo percorso?Il frumento si semina in novembre e si raccoglie in giugno. Arriva al molino sporco. Prima lo si pulisce in modo grossolano, poi viene bagnato per farlo ammorbidire e separarlo più facilmente dalla crusca, quindi lo si macina. La crusca viene utilizzata soprattutto per alimentare il bestiame. Il resto, circa il 75%, diventa farina per panificazione, pasticceria e pizzeria. Negli anni ’60-’70 la produzione di frumento è diminuita a favore di quella di granoturco

e della soia, più redditizie nella nascente civiltà dei consumi. L’Italia è diventata allora importatrice di frumento, principalmente da Francia e Germania, mentre ora lo si importa per lo più dai Paesi dell’Est Europa. Oggi il 65% del frumento viene da lì perché lavorano bene, hanno accresciuto la qualità del prodotto e migliorato la logistica. Il 15% proviene dagli Stati Uniti per produrre la farina Manitoba, prodotta da un frumento con chicchi più ricchi di proteine.I mercati del molino fino agli anni ’70-’80 sono stati per l’80% i forni e per il 20% l’industria alimentare. Oggi 50% forni, non più solo del Triveneto ma anche del Sud, e 50% industria dolciaria.Oggi la Società di Macinazione che azienda è?Nel 1995 è stato effettuato un investimento di circa 4 miliardi di vecchie Lire per informatizzare i sistemi operativi. Del molino precedente è rimasta la struttura esterna, considerata un monumento dell’archeologia industriale. L’interno è stato completamente ristrutturato. Per far posto ai nuovi macchinari è stato necessario eliminare i tre piani in legno del vecchio fabbricato in mattoni rossi sostituendoli con solette in cemento. Ciò ha permesso di elevare a circa 200 le tonnellate di grano tenero macinate giornalmente, contro le 25 degli anni ’50.Oggi il molino ha 12 rappresentanti e 27 dipendenti, per lo più autisti. Alla guida è entrata la terza generazione degli Zuzzi, rappresentata dai miei figli Marco, classe ’79, e Valentino, classe ’81. Alla macinazione basta una persona perché è tutto computerizzato. E’ stato molto potenziato il controllo microbiologico, ogni singolo chicco viene analizzato con i raggi infrarossi.

L’industria alimentare è sempre più attenta alla qualità e richiede un prodotto certificato. Anche il molino è soggetto a tutti i controlli di un’azienda agroalimentare. I nostri tecnici di panificazione e pasticceria stanno mettendo a punto una linea di farine dedicate alle ristorazione (Horeca) e al mercato domestico (Retail).Ci ha penalizzato molto la decisione delle Ferrovie dello Stato di eliminare il raccordo ferroviario, considerato non più vantaggioso. Fu la presenza del raccordo ferroviario che mi convinse a mantenere e a investire nel molino in città. Infatti, grazie al raccordo ferroviario potevamo portare la materia prima fin dentro i cancelli e, per converso, immettere sul mercato vagoni carichi di farina. Pur restando in centro città il molino ha potuto così aumentare la produzione fino a 3.000 – 3.200 quintali al giorno. Un treno di grano equivale a 40-45 Tir, non crea problemi di traffico e consente di avere una materia prima più uniforme. Oggi acquistare mille tonnellate di grano significa ordinare e controllare per 40 volte la provenienza, la qualità, aumentare in misura esponenziale gli adempimenti burocratici, fiscali, amministrativi. Costi che rischiano di diventare insostenibili. Ma con novant’anni di storia abbiamo le spalle larghe e vogliamo macinare ancora molta strada. Anzi, molto frumento!

Alcune immagini del Molino di Pordenone oggi

Giampaolo Zuzzi con i figli Marco (a sinistra) e Valentino