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La circolazione degli argomenti: metodo comparato e parametri interpretativi extra-sistemici nella giurisprudenza costituzionale sudafricana di Andrea Lollini 1. Introduzione; 1.1. La dottrina pubblicistica e la definizione del fenomeno; 1.2. Gli scenari; 1.3. In che cosa consiste e che cosa implica la circolazione di parametri ermeneutici extra-sistemici?; 2. Il “modello” sudafricano; 2.1. Il quadro normativo costituzionale; 2.2. Diritto internazionale e giurisprudenza costituzionale comparata: circuiti interpretativi di diverso tipo; 3. La fase pionieristica: le prime tracce della circolazione ermeneutica; 3.1. Il caso Zuma; 3.2. Il caso Makwanyane; 4. La fase di stabilizzazione: la topografia delle tecniche argomentative in base a modelli ermeneutici stranieri; 4.1. La comparazione probatoria: argomentare in negativo ed in positivo rispetto ad una tesi principale; 4.2. Creare un orizzonte ricognitivo; 4.3. Il meccanismo della forbice; 4.4. «I parametri extra-sistemici addotti non sono pertinenti!»: un decisione arbitraria?; 4.5. Argomentare mediante più tecniche “cosmopolite”; 5. Il sistema delle open and democratic societies. 1. Introduzione La lettura degli enunciati normativi (enunciazioni e proposizioni 1 ) è attività oggetto di costante riflessione circa la definizione dei presupposti, dei criteri e dei limiti giuridico-argomentativi. Tra i molteplici filoni di ricerca della teoria dell’interpretazione e dell’argomentazione giuridica, da tempo si discute del ruolo che il metodo comparato potrebbe assumere nelle operazioni di applicazione dei testi normativi 2 . Il metodo della comparazione giuridica è evocato, infatti, con sempre maggior frequenza, quale variabile da prendere in considerazione nel processo di attribuzione di significato all’insieme dei segni che compongono un enunciato di tipo normativo (interpretazione nelle sue diverse accezioni 3 ), nelle prassi di bilanciamento che parte della dottrina, in particolare in Italia, considera attività specifica della giurisdizione costituzionale, o nell’argomentazione logico-giuridica delle decisioni 4 . Articolo in corso di pubblicazione in DPCE, n° 1, 2007. 1 Sul punto si vedano le precisazioni di R. Alexy, Teoria dell’argomentazione giuridica, Milano, Giuffrè, 1998 (nota n°1 pag. 282). Con riferimento agli enunciati costituzionali, l’idea di “lettura” è evocata da L. Tribe, M. Dorf, Leggere la Costituzione. Una lezione americana, Bologna, il Mulino, 2005. 2 Cfr. P. Häberle, Rechtsvergleichung im Kraftfeld des Verfassungsstaates, Berlin, 1992, 27 ss. (in cui si inserisce esplicitamente la comparazione giuridica tra i metodi interpretativi); K. Zweigart, H. Kötz, Introduzione al diritto comparato. I principi fondamentali, Milano, Giuffré, 1998 2 a ed., 20-23; si veda inoltre l’ampio commento alla di B. Markesinis, Il metodo della comparazione, Milano, Giuffré, 2004, 191 ss., al caso Gratorex v. Greatorex dell’High Court inglese, in cui si fa ampio uso del metodo comparato. Sul punto, in Italia, A. Ruggeri, Interpretazione costituzionale e ragionevolezza, Relazione al Convegno su Rapporti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale, Società italiana degli studiosi di diritto civile, Capri, 18-20 aprile 2006, 12 ss. (anche in www.costituzionalismo.it ); A.A. Cervati, A proposito dei metodi valutativi nello studio del diritto costituzionale, in Dir. Pubbl., 3, 2005, 707 ss. (in particolare 734-741); G. de Vergottini, Diritto costituzionale comparato, Padova, CEDAM, 1999 5 a ed., 14-15; L. Pegoraro, P. Damiani, Il diritto comparato nella giurisprudenza di alcune Corti costituzionali, in questa Rivista,1999, 411 ss.; G. Bognetti, Introduzione al diritto costituzionale comparato, Torino, Giappichelli, 1994, 185; L. Pegoraro, La Corte costituzionale e il diritto comparato nelle sentenze degli anni ’80, in Quad. Cost., 1987, 601 ss. Recentemente, ancora, A. Somma, L'uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario, Milano, Giuffrè, 2001; P. Ridola, La giurisprudenza costituzionale e la comparazione, in www.associazionedeicostituzionalisti.it . Nel medesimo sito web si veda anche A. Sperti, Il dialogo tra le Corti costituzionali ed il ricorso alla comparazione giuridica nella esperienza più recente. 3 Si rinvia, per esempio, alla tripartizione: interpretazione cognitiva; interpretazione decisoria; interpretazione creativa, individuata da R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, Giuffré, 2004, ribadita dall’A. in Ancora sull’interpretazione costituzionale, in Dir. Pubbl. 2, 2005, 459. Sul punto si rinvia in particolare alle classificazioni enucleate nel trattato di E. Diciotti, Interpretazione della legge e discorso razionale, Torino, Giappichelli, 1999. 4 Si hanno qui alcune delle questioni più problematiche sottese alle operazioni di applicazione dei testi normativi (ed in particolare degli enunciati costituzionali) a cui si aggiungono quelle aperte dall’uso del metodo comparato: in primo luogo la discussione circa la definizione degli elementi che differenziano e caratterizzano l’interpretazione, il bilanciamento e l’argomentazione; ed in secondo luogo la discussione se la giustizia costituzionale operi prevalentemente (o esclusivamente) in bilanciamento e non anche secondo altre modalità interpretative (sul punto F. Viola, G. Zaccaria, Diritto ed interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1999). Secondo A. Ruggeri, Interpretazione costituzionale e ragionevolezza, op. cit., 24 ss., sebbene il bilanciamento e l’interpretazione siano epistemologicamente differenti essi non sono sostanzialmente distinguibili nelle operazioni applicative del giudice di costituzionalità. L’A. propone la formula secondo cui la Corte costituzionale italiana «bilancia interpretando ed interpreta bilanciando». Secondo R. Guastini, L’interpretazione dei testi normativi, op. cit., «l’interpretazione costituzionale non è cosa diversa dall’interpretazione della legge». Secondo l’A., ribadendo la differenziazione tra interpretazione e bilanciamento, non esisterebbe una differenza sostanziale tra le modalità interpretative dei due tipi di enunciato. Ciò lascia presumere dunque che anche il giudice di costituzionalità non si limita al solo bilanciamento ma opera talvolta anche secondo modalità di conferimento di significato. A tale tesi si oppone G.U. Rescigno, Interpretazione costituzionale e positivismo giuridico, in Dir. Pubbl. 1, 2005, 19-48. Importante dottrina costituzionalistica italiana sostiene

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La circolazione degli argomenti: metodo comparato e parametri interpretativi extra-sistemici nella giurisprudenza costituzionale

sudafricana∗

di Andrea Lollini

1. Introduzione; 1.1. La dottrina pubblicistica e la definizione del fenomeno; 1.2. Gli scenari; 1.3. In che cosa consiste e che cosa implica la circolazione di parametri ermeneutici extra-sistemici?; 2. Il “modello” sudafricano; 2.1. Il quadro normativo costituzionale; 2.2. Diritto internazionale e giurisprudenza costituzionale comparata: circuiti interpretativi di diverso tipo; 3. La fase pionieristica: le prime tracce della circolazione ermeneutica; 3.1. Il caso Zuma; 3.2. Il caso Makwanyane; 4. La fase di stabilizzazione: la topografia delle tecniche argomentative in base a modelli ermeneutici stranieri; 4.1. La comparazione probatoria: argomentare in negativo ed in positivo rispetto ad una tesi principale; 4.2. Creare un orizzonte ricognitivo; 4.3. Il meccanismo della forbice; 4.4. «I parametri extra-sistemici addotti non sono pertinenti!»: un decisione arbitraria?; 4.5. Argomentare mediante più tecniche “cosmopolite”; 5. Il sistema delle open and democratic societies.

1. Introduzione La lettura degli enunciati normativi (enunciazioni e proposizioni1) è attività oggetto di costante riflessione circa la definizione dei presupposti, dei criteri e dei limiti giuridico-argomentativi. Tra i molteplici filoni di ricerca della teoria dell’interpretazione e dell’argomentazione giuridica, da tempo si discute del ruolo che il metodo comparato potrebbe assumere nelle operazioni di applicazione dei testi normativi2. Il metodo della comparazione giuridica è evocato, infatti, con sempre maggior frequenza, quale variabile da prendere in considerazione nel processo di attribuzione di significato all’insieme dei segni che compongono un enunciato di tipo normativo (interpretazione nelle sue diverse accezioni3), nelle prassi di bilanciamento che parte della dottrina, in particolare in Italia, considera attività specifica della giurisdizione costituzionale, o nell’argomentazione logico-giuridica delle decisioni4. ∗ Articolo in corso di pubblicazione in DPCE, n° 1, 2007. 1 Sul punto si vedano le precisazioni di R. Alexy, Teoria dell’argomentazione giuridica, Milano, Giuffrè, 1998 (nota n°1 pag. 282). Con riferimento agli enunciati costituzionali, l’idea di “lettura” è evocata da L. Tribe, M. Dorf, Leggere la Costituzione. Una lezione americana, Bologna, il Mulino, 2005. 2 Cfr. P. Häberle, Rechtsvergleichung im Kraftfeld des Verfassungsstaates, Berlin, 1992, 27 ss. (in cui si inserisce esplicitamente la comparazione giuridica tra i metodi interpretativi); K. Zweigart, H. Kötz, Introduzione al diritto comparato. I principi fondamentali, Milano, Giuffré, 1998 2a ed., 20-23; si veda inoltre l’ampio commento alla di B. Markesinis, Il metodo della comparazione, Milano, Giuffré, 2004, 191 ss., al caso Gratorex v. Greatorex dell’High Court inglese, in cui si fa ampio uso del metodo comparato. Sul punto, in Italia, A. Ruggeri, Interpretazione costituzionale e ragionevolezza, Relazione al Convegno su Rapporti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale, Società italiana degli studiosi di diritto civile, Capri, 18-20 aprile 2006, 12 ss. (anche in www.costituzionalismo.it); A.A. Cervati, A proposito dei metodi valutativi nello studio del diritto costituzionale, in Dir. Pubbl., 3, 2005, 707 ss. (in particolare 734-741); G. de Vergottini, Diritto costituzionale comparato, Padova, CEDAM, 1999 5a ed., 14-15; L. Pegoraro, P. Damiani, Il diritto comparato nella giurisprudenza di alcune Corti costituzionali, in questa Rivista,1999, 411 ss.; G. Bognetti, Introduzione al diritto costituzionale comparato, Torino, Giappichelli, 1994, 185; L. Pegoraro, La Corte costituzionale e il diritto comparato nelle sentenze degli anni ’80, in Quad. Cost., 1987, 601 ss. Recentemente, ancora, A. Somma, L'uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario, Milano, Giuffrè, 2001; P. Ridola, La giurisprudenza costituzionale e la comparazione, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. Nel medesimo sito web si veda anche A. Sperti, Il dialogo tra le Corti costituzionali ed il ricorso alla comparazione giuridica nella esperienza più recente. 3 Si rinvia, per esempio, alla tripartizione: interpretazione cognitiva; interpretazione decisoria; interpretazione creativa, individuata da R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, Giuffré, 2004, ribadita dall’A. in Ancora sull’interpretazione costituzionale, in Dir. Pubbl. 2, 2005, 459. Sul punto si rinvia in particolare alle classificazioni enucleate nel trattato di E. Diciotti, Interpretazione della legge e discorso razionale, Torino, Giappichelli, 1999. 4 Si hanno qui alcune delle questioni più problematiche sottese alle operazioni di applicazione dei testi normativi (ed in particolare degli enunciati costituzionali) a cui si aggiungono quelle aperte dall’uso del metodo comparato: in primo luogo la discussione circa la definizione degli elementi che differenziano e caratterizzano l’interpretazione, il bilanciamento e l’argomentazione; ed in secondo luogo la discussione se la giustizia costituzionale operi prevalentemente (o esclusivamente) in bilanciamento e non anche secondo altre modalità interpretative (sul punto F. Viola, G. Zaccaria, Diritto ed interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1999). Secondo A. Ruggeri, Interpretazione costituzionale e ragionevolezza, op. cit., 24 ss., sebbene il bilanciamento e l’interpretazione siano epistemologicamente differenti essi non sono sostanzialmente distinguibili nelle operazioni applicative del giudice di costituzionalità. L’A. propone la formula secondo cui la Corte costituzionale italiana «bilancia interpretando ed interpreta bilanciando». Secondo R. Guastini, L’interpretazione dei testi normativi, op. cit., «l’interpretazione costituzionale non è cosa diversa dall’interpretazione della legge». Secondo l’A., ribadendo la differenziazione tra interpretazione e bilanciamento, non esisterebbe una differenza sostanziale tra le modalità interpretative dei due tipi di enunciato. Ciò lascia presumere dunque che anche il giudice di costituzionalità non si limita al solo bilanciamento ma opera talvolta anche secondo modalità di conferimento di significato. A tale tesi si oppone G.U. Rescigno, Interpretazione costituzionale e positivismo giuridico, in Dir. Pubbl. 1, 2005, 19-48. Importante dottrina costituzionalistica italiana sostiene

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In questo quadro, il presente studio, si propone di svolgere una prima analisi del fenomeno della circolazione orizzontale di paradigmi ermeneutici o di schemi argomentativi tra giurisdizioni costituzionali. Tale fenomeno implica l’importazione di parametri -che qui definiamo extra-sistemici rispetto ad un ordinamento dato- e l’uso del metodo comparato nelle differenti operazioni di applicazione degli enunciati costituzionali. La ricerca ha come oggetto principale l’analisi dei primi undici anni di giurisprudenza costituzionale sudafricana, la quale costituisce un laboratorio privilegiato in quanto, come vedremo, la Corte costituzionale, grazie ad una specifica disposizione della Costituzione, è abilitata a «consider foreign law» nell’interpretazione del Bill of Rights. Tale elemento, ha consentito un larghissimo utilizzo di giurisprudenza e legislazione straniere (da cui si estrapolano modelli argomentativi, schemi di bilanciamento tra principi e talvolta vere e proprie “significazioni” normative): appunto i parametri extra-sistemici. Che il metodo comparato abbia progressivamente acquisito un utilizzo concreto nelle attività giusdicenti è confermato, per empio, dall’elaborazione del parametro ermeneutico delle “tradizioni costituzionali comuni degli Stati Membri” elaborato dalla Corte di giustizia delle comunità europee, ora cristallizzato dall’art. 6 com. 2 del Trattato dell’Unione europea. Nell’interpretare i Trattati, la Corte procede anche considerando le specificità costituzionali degli ordinamenti dei paesi dell’Ue con una conseguenza: in tal modo gli ordinamenti costituzionali, non sprigionano solo forza interna, ma anche esterna, in virtù della «capacità di persuadere soggetti non direttamente vincolati ad essi»5, in questo caso la Corte di Lussemburgo. Il rapporto è però speculare (o dia-logico): argomentando in base a tale criterio la Corte mira a persuadere l’uditorio composto dall’insieme degli Stati Membri. Due conseguenze di rilievo discendono: in primo luogo, l’affacciarsi in ambito comunitario del fenomeno di relazione tra interpretazione, bilanciamento e metodo comparato e, in secondo luogo, la nuova enfasi sulla nozione classica di «persuasività»: ovvero la capacità di un ordinamento e dei suoi interpreti di «suscitare adesione» non solo nei destinatari interni ma anche di un «uditorio» più ampio6. 1.1. La dottrina pubblicistica e la definizione del fenomeno La dottrina pubblicistica ha da tempo elaborato un’ampia ed articolata classificazione definitoria del fenomeno, di volta in volta, infatti, si è parlato di: a) cross-judicial influence7; b) cross-constitutional influence8 o cross-constitutional fertilisation; c) judicial transplant9; d) trans-judicial communication or judicial dialogue10; e) trans-judicial borrowing o precedent borrowing11. In particolare, quest’ultima

l’irriducibilità dall’attività di bilanciamento ed interpretazione e la prevalenza, oggi, della prima nelle operazioni svolte del giudice di costituzionalità R. Bin, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, Giuffrè, 1992. Ora, la questione ha profili di complessità che non consentono qui un’analisi esaustiva. In questo studio, tenendo in considerazioni le suddette problematiche, sarà tuttavia indispensabile riflettere su quale segmento delle pratiche di applicazione dei testi normativi si innesta l’uso del metodo comparato. In questa prospettiva, si vuole fin da ora specificare che, nello studio della giurisprudenza costituzionale sudafricana in relazione all’uso del metodo comparato, si è evinto empiricamente che l’uso dei parametri extra-sistemici è utilizzato prevalentemente come tecnica argomentativa delle decisioni in fase di bilanciamento tra principi. Non mancano tuttavia esempi in cui i suddetti parametri siano stati importati anche in operazioni di stretto conferimento di significato ad enunciati costituzionali.

5 Cfr. A. Pizzorusso, Comparazione giuridica e sistema delle fonti del diritto, Torino, Giappichelli, 2005, 32. 6 Il pensiero corre, ovviamente, alla teoria dell’argomentazione giuridica di Chaim Perelman secondo cui «l’oratore» (nel nostro caso l’interprete) ha come obbiettivo quello di suscitare «adesione», attraverso l’argomentazione razionale (di cui l’A. fornisce i parametri ed i criteri) di un dato «uditorio». L’argomentazione è quindi costruita in funzione dell’uditorio quale strumento atto ad influenzarlo (concezione socio-psicologica dell’argomentazione). Famosa è l’elaborazione della nozione di «uditorio universale» come «insieme di individui illuminati e razionali che si prestano al gioco dell’argomentazione» (ovvero l’insieme potenziale di tutti coloro che sviluppano le capacità argomentative). Da qui la differenziazione tra «persuadere» e «convincere». La prima nozione è legata all’idea di efficacia dell’argomentazione (ovvero suscitare l’adesione di un uditorio limitato), la seconda è legata all’idea di validità (ovvero incontrare l’assenso dell’uditorio universale circa la correttezza del calcolo logico degli elementi che compongono l’argomentazione) cfr. C. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, La nouvelle rhétorique. Traité de l’argumentation,Bruxelles, 1970 2a ed. Nel caso in esame, l’uditorio (ovvero l’insieme degli Stati Membri) è oggettivamente limitato; l’uso della nozione di persuasione sembra dunque più appropriata. Sulla nozione di persuasività anche P. Glenn, Persuasive Authority, in McGill L. J., 32, 1987, 261.

7 Cfr., A.K. Thiruvengadam, Legal Transplants Through Judiciaries: Cross-judicial Influences on Constitutional Adjudication in the Post World War II Era. A Study in Comparative Constitutional Law Focusing on Theoretical and Empirical Issues, Paper on the Issue of Transjudicial Borrowings, New York University, 2001.

8 Cfr. S. Choudhry, Globalization in Search of Justification: Towards a Theory of Comparative Constitutional Interpretation, in Indiana L. J., 1999, 74, 821 ss.

9 Cfr. B. Ackerman, The Rise of World Constitutionalism, in Val. L. Rev., 1997, 83, 771 ss.. 10 Cfr. A.M. Slaughter, A Typology of Transjudicial Communication, in U. Richmond L. Rev., 1994, 29, 99-137; Id., 40th Anniversary Perspective: Judicial Globalization, in Va. J. Int'l L., 2000, 40, 1103 ss.; Id., A Global Community of Courts, in Harv. Int’l L. J., 2003, 44, 191-219. Bisogna sottolineare come l’autrice è stata tra i primi a lanciare il dibattito su questa pratica.

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definizione riconduce esplicitamente l’intero fenomeno alle prassi applicative ed interpretative del common law anglo-americano caratterizzato dalla logica del precedente vincolante (nelle sue differenti declinazioni). L’odierno prestito di precedenti tra giudici costituzionali costituirebbe quindi un’espansione di un formante tipico del common law, nel solco di una evoluzione di pratiche storicamente invalse tra i giudici dei paesi dell’area ex Commonwealth. Questi ultimi, a partire dal XIX secolo, usavano largamente precedenti di giudici stranieri, generalmente quelli britannici, ed in particolare del Privy Council londinese. E’ noto, infatti, come quest’ultimo fosse istanza ultima di appello del sistema vittoriano, potendo essere adito da ricorsi provenienti dai paesi dell’area coloniale. La sua funzione, definibile di fatto nomofilattica per il common law, ha profondamente influito sullo sviluppo giuridico in paesi quali la Nuova Zelanda, l’Australia, l’India, il Sudafrica, Hong Kong ed il Canada (nonché in altri paesi dell’area coloniale in Africa orientale ed australe e nel continente australe e asiatico)12. Attualmente, come vedremo, il fenomeno del “prestito” di precedenti e di soluzioni ermeneutiche o schemi argomentativi supera ormai le logiche giuridiche ed i confini geografico-culturali del common law che caratterizzava l’Impero britannico nella configurazione del rapporto tra centro e periferie. L’analisi delle pronunce di giurisdizioni costituzionali di ordinamenti che si sono dotati di nuovi testi costituzionali (come il Canada del 1982 o il Sudafrica del 1996) o di ordinamenti quale quello israeliano evidenzia che i giudici fanno sempre più ricorso a pratiche di comparazione giuridico-costituzionale richiamando e citando espressamente pronunce e soluzioni interpretative di giurisdizioni costituzionali anche di tradizione giuridica romano-germanica. Tutto ciò potrebbe in futuro confermare come questo fenomeno si stia sviluppando al di fuori delle logiche di influenza giuridico-culturale dei paesi ex coloniali, allargandosi al prestito (attivo o passivo) di soluzioni interpretative provenienti da aree giuridiche molto differenti. Ascrivere il fenomeno nell’ambito dell’interpretazione consente di fare appello alle teorie e alle prassi di argomentazione giuridica, verificando, pertanto, se si è di fronte ad una modalità giuridico-argomentativa giuridicamente accettabile13. Ad oggi, pertanto, non si tratta più di verificare l’esistenza del fenomeno, quanto di analizzare come e quali parametri extra-sistemici sono integrati nella fase interpretativa e come il metodo comparato è concretamente utilizzato. Le posizioni dottrinali sono rigidamente polarizzate tra atteggiamenti celebrativi del fenomeno ed approcci di scetticismo radicale14. La presente ricerca, tentando di avviare una prima riflessione sull’impatto concreto del fenomeno sulle tecniche di argomentazione giuridica, si propone di valutare se ed in quale misura il metodo comparato possa costituire una risorsa concreta a disposizione dei giudici di costituzionalità o si trasformi invece in strumento che consegna loro una libertà di manovra incontrollabile ed arbitraria. 1.2. Gli scenari Proponiamo di avanzare, da subito, alcune ipotesi relative agli scenari giuridico-politici che il fenomeno disegna. L’impressione è quella di trovarsi potenzialmente di fronte ad una importante

11 Cfr. K. L. Scheppele, Aspirational and Aversive Constitutionalism: The Case for Studying Cross-Constitutional Influence

through Negative Models, in Int’l J. Const. L., 2003, 1, 296 ss. 12 Va altresì ricordato come il ricorso al Privy Council sia stato solo di recente formalmente cancellato dai suddetti ordinamenti. Degno di nota è infatti il caso dell’Australia che solo negli anni ottanta ha per ultima eliminato questo meccanismo giurisdizionale che di fatto metteva direttamente in comunicazione l’ordinamento nazionale con quello britannico producendo, così come sottolineato dalla dottrina australiana, forme di profonda influenza giuridica. Il meccanismo del Privy Council è analizzato da P. K. Tripathi, Foreign Precedents and Constitutional Law, Colum. Law Rev., 1957, 57, 319 ss.. Si rinvia anche allo studio di S. Gardbaum, Japanese Law Symposium: The New Commonwealth Model of Constitutionalism, in Am. J. Com. L., 2001, 49, 707-760.

13 Si fa riferimento alla ricostruzione delle varie teorie e tecniche argomentative effettuato da Robert Alexy. L’A. nel suo celebre studio, prima di trattare la sua teoria razionale dell’argomentazione giuridica, esamina accuratamente i “canoni interpretativi” secondo i modelli di Von Savigny (elemento grammaticale, logico, storico e sistemico), di Larenz (significato letterale, significato delle leggi secondo il contesto, l’intento regolativo, gli scopi e le rappresentazioni normative del legislatore storico, i criteri teleologici oggettivi, il precetto che impone di interpretare le norme in modo conforme alla Costituzione), di Wolff (interpretazione filologica, logica, sistemica, storica, comparativa, genetica e teleologica) cfr. R. Alexy, Teoria dell’argomentazione giuridica, op. cit., 8. 14 L’ambivalenza delle posizioni e delle opposte visioni dottrinarie è evidente cfr. W. Osiatynski, Paradoxes of constitutional borrowing, in Int. J. Const. Law, 2003, 1, 244-268; W. Ewald, Comparative Jurisprudence (II): the Logic of Legal Transplant, Am. J. Comp. L., 1995, 43, 489 ss.; H. Klug, The Dignity clause of the Montana Constitution: May Foreign Jurisprudence Lead the Way to an Expanded Interpretation?, in Mont. L. Rev., 2003, 64, 133 ss.; D. E. Childress III, Using Comparative Constitutional Law to Resolve Federal Questions, in Duke L.J., 2003, 53, 193 ss.; L. Epstein, J. Knight, Constitutional Borrowing or Non-Borrowing, in Int’l. J. Const. L., 2003, 196 ss.

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trasformazione del costituzionalismo liberal-democratico; il moltiplicarsi di studi in questo ambito prova che la scienza costituzionalistica si è accorta dei movimenti profondi in atto15. In primo luogo, si potrebbe sospettare il delinearsi di aree linguistico-culturali in cui si sviluppa l’osmosi tra sistemi, o il configurarsi di relazioni tra aree geopolitiche che condividono retaggi storico-politici comuni (come il dialogo tra giudici di paesi che in passato facevano parte di medesime aree coloniali come il Commonwealth). La conseguenza, se dimostrata, confermerebbe che la scelta di “interlocutori privilegiati” possa avvenire non per questione di compatibilità giuridico-sistemica ma per ragioni storiche o di influenza politico-culturale. A ciò si potrebbe aggiungere il fatto che i formanti tipici del common law conferiscono ai giudici una maggior dimestichezza nell’utilizzo della casistica e quindi della citazione di procedenti. Questi elementi potrebbero quindi lecitamente far supporre la creazione di un blocco tra paesi che condividono il common law in grado poi di sviluppare un’influenza giuridica, politica, economica e diplomatica verso paesi di diversa tradizione giuridica. Non si può ignorare che una contrapposizione tra “famiglie giuridiche”, sebbene la dottrina da tempo sottolinei il processo di convergenza in diversi ambiti giuridici, è attualmente fenomeno riscontrabile nelle dinamiche giuridiche e politiche delle giurisdizioni penali internazionali (limitatamente però alla materia penale e processuale penale)16.

15 E’ interessante notare come molti studi su tale modalità di interpretazione costituzionale provengano attualmente dagli Stati

Uniti in cui paradossalmente, come sottolinea l’autore di uno dei primi importanti studi in materia B. Ackerman, The Rise of World Constitutionalism, op. cit., si fanno rarissimi riferimenti alla giurisprudenza costituzionale straniera o al diritto pubblico comparato. In questo contesto, l’attitudine della Corte suprema statunitense è etichettato dall’A. come «emphatic provincialism» (p. 773). Nella stessa prospettiva anche P. McFadden, Provincialism in United States Courts, in Cornell L. Rev., 1995, 81, 4 ss. Altri studi testimoniano il crescente interesse per il dialogo tra la Corti. Si vedano in proposito S.K. Harding, Comparative Reasoning and Judicial Review, in The Y. J. Int’l. L., 2003, 28, 409-464 in cui si compara l’opposta attitudine della Corte Suprema americana intenta a creare un sistema nazionale «altamente autonomo» (p. 412), e della Corte Suprema canadese, che fa largo uso di comparazione con sistemi stranieri. L’A. analizza le conseguenze che la comparazione giuridica produce sui processi di decision-making e gli inevitabili problemi di coerenza sistemica che si innescano. Su questo punto si rinvia a K. Greenwalt, Free Speech in United States and Canada, in L.& Contemporary Problems, 1992, 5 ss. e C. McCrudden, A Common law of Human Rights?: Transnational Judicial Conversations on Constitutional Rights, in Oxf. J. Legal Studies, 20, 2000, 499 ss.; Si veda anche l’importante studio di S. Choudry, Globalization in Search of Justification, cit., 819-892, in cui l’A. mette in risalto l’opinione del giudice della Corte Suprema US Scalia (nella famosa e controversa Lawrence v. Texas, US, 539, 2003) secondo cui «comparative analysis is inappropriate to the task of interpreting a Constitution» (p. 820). Ora, la Corte statunitense in questa pronuncia che dichiarava incostituzionale la normativa texana che reprimeva penalmente rapporti sessuali omosessuali consensuali, prendeva in considerazione le pronunce della Corte di Strasburgo che ha statuito nel medesimo modo in numerose pronunce (in particolare il giudice Kennedy cita Dudgeon v. United Kingdom, 45, Eur. Ct. H. R., 1981). Da qui la vigorosa reazione di Scalia che già in passato si era più volte espresso radicalmente contro il «comparative constitutional references approach». Choudhry sottolinea invece l’importanza del modello canadese e sudafricano di apertura verso giurisprudenza extra-sistemica. L’A. ipotizza che il modello della Canadian Charter of Rights and Freedom sia divenuto fonte di ispirazione per omologhi testi di altri Stati: Sudafrica, Israele, Hong Kong, Nuova Zelanda (sul punto p. 822 note 6-9); Si rinvia inoltre a M. Tushnet, The Possibility of Comparative Constitutional Law, in Yale. L. J., 1999, 108, 1225-1309; D. Fontana, Refined Comparativism in Constitutional Law, in UCLA L. Rev., 2001, 49, 539 ss.; V.C. Jackson, Ambivalent Resistance and Comparative Constitutionalism: Opening up the Conversation on “Proportionality” Rights and Federalism, U. Pen. J. Const. L., 1999, 583 ss. Sul versante francese si rinvia allo studio di J. Alard, A. Garapon, Les juges dans la mondialisation. La nouvelle révolution du droit, Paris, Seuil, 2005 ed alle analisi di uno dei membri del Conseil Constitutionnel: M.O. Dutheillet de Lamothe, Le constitutionnalisme comparatif dans la pratique du Conseil constitutionnel, Relazione al VI convegno mondiale di Diritto costituzionale, Santiago del Cile, 16 gennaio 2004. 16 L’utilizzo di giurisprudenza extra-sistemica, oltre che fenomeno invalso da tempo tra i giudici internazionali e nazionali (circolazione verticale) e tra differenti giurisdizioni internazionali (circolazione orizzontale), è una dinamica ormai nota e discussa anche nel quadro delle giurisdizioni penali internazionali ad hoc. I giudici internazionali attingono, per la verità ancora in maniera a-sistematica e con evidenti mancanze in termini di oggettivazione delle procedure, da differenti ordinamenti penali nazionali di diverse tradizioni giuridiche. Nel quadro della giustizia penale internazionale, tuttavia, sono molte le perplessità su tale metodologia in particolare per ciò che concerne le finalità. A tutto ciò va aggiunto il fatto che i riferimenti a dottrina e giurisprudenza di differenti paesi avviene in maniera che si potrebbe definire «casuale». Non essendo ancora stati codificati limiti e soprattutto criteri di prevedibilità dei diritti nazionali richiamabili, la metodologia dei giudici delle giurisdizioni internazionali penali si trasforma spesso in un evidente squilibrio del diritto di difesa. Taluni commentatori notano dunque come l’uso del diritto comparato nelle giurisdizioni internazionali penali si trasformi sovente in una pratica di legittimazione ex-post delle argomentazioni decisionali dei giudici (cfr. E. Fronza, N. Guillou, Etude critique des fragments existants de droit pénal commun: le crime de génocide, in M. Delas-Marty, H. Muir-Watt, H. Ruiz-Fabri, Variation autour d’un droit commun, Paris, Société de législation comparée, 2001, 273-296 ; W.W. Burke-White, A Community of Courts : Toward a System of International Criminal Law, in Mich. J. Int’l. L., 2002, 24, 1, 1-101). Questa dinamica giuridica, sebbene con molteplici aspetti problematici, rivela elementi di grandissimo interesse. In primo luogo, una volta ancora, le giurisdizioni penali internazionali si dimostrano laboratori di nuove metodologie giuridiche; in secondo luogo, il carattere internazionale, anche rispetto alla composizione dei giudici e alla vocazione universalista assegnata a queste Corti, impone lo sviluppo di una riflessione giuridica sull’uso di una molteplicità di diritti nazionali in prospettiva comparata. La nascita della Corte Penale Internazionale non può che confermare tutto ciò. Il problema si è comunque posto anche in riferimento ad altre giurisdizioni a vocazione sovra-statuale come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sul punto L. Favoreu, Corti costituzionali nazionali e Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. Dir. Cost., 2004, 3-24).

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Va tuttavia sottolineato che, ad oggi, i flussi di circolazione giurisprudenziale sembrano mettere in evidenza un apprezzabile volume di scambio tra giudici di paesi di common law e di civil law, fugando il dubbio di creazione di una contrapposizione tra enclaves giuridico-culturali. In secondo luogo, vanno sottolineate le perplessità, da un punto di vista giuridico formale, circa i limiti dell’utilizzo della giurisprudenza straniera, in quanto pratica che può tradursi in fattore scatenante incoerenza e confusione sistematica. Pertanto, lo studio del fenomeno deve da subito considerare i rischi, in termini di arbitrarietà da parte dei giudici liberi di scegliere questo o quel sistema, o questa o quella sentenza, sottesi ai meccanismi di circolazione giurisprudenziale, interrogandosi sul problema della compatibilità tra i sistemi di cui si recepiscono orientamenti giurisprudenziali e quelli che importano le soluzioni ermeneutiche17. Da verificare sarà la fondatezza del dubbio secondo cui, in realtà, tale pratica non nasconda invece un artificio argomentativo capace di fabbricare un effetto di adesione interna dell’uditorio all’interprete18. Giudici costituzionali nazionali affermerebbero in questo modo la loro auctoritas allineandosi con le interpretazioni di giudici di potenti democrazie secondo logiche più o meno surrettizie di sudditanza. In questo quadro, sarà importante verificare se la circolazione ermeneutica sottenda comuni fenomeni di a) sudditanza; b) mimesi; c) appartenenza ad aree culturali ed economiche; d) condivisione di legami storico-politici; e) derivazione dei modelli costituzionali formali. In quest’ultima ipotesi bisognerà accertare se il fenomeno caratterizza in particolare quegli ordinamenti che possiedono Bill of Rights di nuova generazione. Infatti, se si prende in considerazione gli stretti legami di circolazione dei modelli tra i cataloghi dei diritti fondamentali di Canada, Israele e Sudafrica (a cui bisognerebbe aggiungere anche Hong Kong) e come questi siano gli ordinamenti in cui è maggiormente sviluppata la pratica della circolazione ermeneutica, ci si può legittimamente chiedere se i giudici di costituzionalità, nell’atto di interpretare il rispettivo Bill of Rights, non avvertano autonomamente l’esigenza di verificare gli orientamenti di “colleghi” stranieri, le cui Costituzioni sono dotate di omologhe Carte dei diritti fondamentali di ultima generazione19. Bisognerà interrogarsi quindi sui percorsi di “migrazione”, verificando se non si tratti in realtà di un incedere lungo vie francigene con pellegrinaggi obbligati ai “santuari” del costituzionalismo contemporaneo. Per concludere il quadro degli scenari che la pratica della circolazione ermeneutica schiude, va menzionato il fenomeno definibile bottom up globalisation. La nozione starebbe ad indicare un fenomeno di messa in comunicazione globale dei sistemi (e delle specificità interpretative, culturali e tecnico giuridiche), in cui i giudici divengono attori principali (talvolta in modo autonomo e slegato da attività di governo e di politica estera). La circolazione ermeneutica diverrebbe, in questa prospettiva, un’ulteriore forza (dal basso) che spinge verso la creazione di relazione e inter-dipendenza tra sistemi al di fuori di meccanismi strettamente controllati dai governi e dai parlamenti. 17 Poche voci isolate lamentano l’assenza di una rigorosa riflessione teorico costituzionale sul fenomeno della circolazione ermeneutica: R.P. Alford, In Search of a Theory for Constitutional Comparativism, Ucla L. Rev., 2005, 52, 693 ss.

18 Il problema è la classica controversia sul sistema di controllo di costituzionalità strutturalmente sospeso tra l’ambito giuridico e quello politico. Il problema è quindi duplice: da un lato i giudici costituzionali sono una delle fonti di legittimazione del potere politico (sancendo la costituzionalità dei loro atti), dall’altro essi sono spinti dalla necessità di legittimarsi (in quanto l’ermeneutica costituzionale è obbligata a considerare elementi che si collocano al di fuori del diritto strettamente positivo, ed in quanto l’interpretazione nasconde inevitabili elementi creativi di diritto in teorica violazione del principio di separazione dei poteri dello Stato). La giustificazione e la condivisibilità delle loro metodologie interpretative è a questo proposito un elemento fondamentale da cui dipende la legittimazione. In questo senso S. Choudhry, Globalization in Search of Justification, op. cit., 824. Il problema in termini di teoria e filosofia del diritto è di grande complessità e non può essere qui affrontato. Alcuni importanti studi sullo spostamento dei confini della funzione giurisdizionale (non solo a proposito della giustizia costituzionale) sono in C. Guarnieri, P. Pederzoli, La puissance de juger, Paris, Michalon, 1996; L.M. Friedman, Total Justice, New York, Russel Sage, 1994; C.N. Tate, T. Vallinder (cur.), The Global Expansion of Judicial Power, New York, New York University Press, 1995. A. Garapon, Le Gardien des promesses, Paris, Odile Jacob, 1996; K. W. Olson, The Litigation Explosion, New York, Dutton, 1991; H. Jacob, E. Blankenburg, H.M. Kritzer, M.D. Provine, J. Sander, Courts Law & Politics in Comparative Perspective, New Heaven, Yale University Press, 1993; M. Cappelleti, Giudici legislatori?, Milano, Giuffrè 1984. Sui giudici come Policy Makers M.M. Feeley, E.L. Rubin, Judicial Policy Making and the Modern State, Cambridge, Cambridge University Press, 1998. A parte le contraddizioni insite nella funzione giurisdizionale classicamente evidenziate dall’affermarsi delle teorie del realismo giuridico americano e scandinavo (cfr. W.E. Rumble, American Legal Realism, New York, Cornell University Press, 1968; G. Tarello, Il realismo giuridico americano, Milano, Giuffrè, 1962; S. Castiglione (cur.), Il realismo giuridico scandinavo ed americano, Bologna, Il Mulino, 1981; A. Baratta, Le fonti del diritto e il diritto giurisprudenziale, in, Materiali per una storia della cultura giuridica, 1990, XX, 189-210), si rinvia all’analisi della jurisprudence prétorienne di O. Cayla, La chose et son contraire (et son contraire, etc.), Les Etudes philosophiques, 1999, 3, 307ss.; Id., La qualification, ou la vérité du droit, in Droit, 1993, 18, 3-18.

19 La dottrina costituzionalistica sudafricana si è da tempo accorta delle strette interconnessioni con l’ordinamento canadese, da cui ha tratto ispirazione nella fase genetica, ed a cui continua ad ispirarsi nell’attuale fase interpretativa, sul punto P.W. Hogg, Canadian Law in the Constitutional Court of South Africa, in S. Afr. Public L., 1998, 13, 16 ss..

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Ultimo scenario su cui interrogarsi è quello del ruolo delle tecnologie. Se si pensa, infatti, a come il fenomeno in esame non sia concepibile, nella sua dimensione attuale, al di fuori di strumenti di comunicazioni informatizzati, va sottolineato, a sostegno di questa ipotesi, come molti organi di giustizia costituzionale creati all’indomani delle transizioni post-comuniste nell’area dell’Europa centro-orientale si siano dotati da subito, in funzione di legittimazione politica internazionale, di efficienti siti web attraverso cui mettere a disposizione, in lingue veicolari, la giurisprudenza costituzionale nazionale. Vale la pena ricordare, infatti, il sito web della Corte costituzionale dell’Estonia, già attivato nella prima metà degli anni novanta, e di quello della Corte ungherese. A riprova di ciò, va citato il caso emblematico della sentenza attraverso cui la Corte costituzionale ungherese cancellò, nel 1990, la pena capitale dichiarandola incostituzionale rispetto al nuovo ordinamento20. Come vedremo, l’argomentazione giuridica contenuta nella decisione ha cominciato un significativo “percorso migratorio” quale esempio di visione interpretativa alternativa alle argomentazioni della Corte suprema statunitense in materia. Le tracce più importanti (che dimostrano la penetrazione del paradigma interpretativo ungherese) si ritrovano nell’omologa sentenza della Corte costituzionale sudafricana, che ha statuito, nel 1995, sulla medesima delicata questione21. 1.3. In che cosa consiste e che cosa implica la circolazione di parametri ermeneutici extra-sistemici? Il fenomeno che osserviamo ha una meccanica di fondo: l’allargamento dell’insieme dei parametri interpretativi e argomentativi a cui il giudice fa ricorso nel procedimento di conferimento di significato ad un dato enunciato normativo, di bilanciamento e di argomentazione delle decisioni. Il fenomeno definito «dialogo» tra i giudici è in grado di produrre non solo una trasformazione delle prassi interpretative, ma anche la rottura dell’idea stessa di sistema giuridico come sistema chiuso. Potenzialmente, secondo tale logica, si può desumere il significato di un enunciato o risolvere una questione di costituzionalità muovendo da infiniti parametri extra-sistemici provenienti da un numero non precisato e non definito di ordinamenti giuridici diversi da quello nazionale. In altre parole, tale logica produrrebbe la rottura dell’idea d’insieme chiuso delle norme giuridiche positive che consentono, non tanto di definire la norma applicabile al caso concreto, ma piuttosto di definire e limitare l’insieme dei parametri utilizzabili dal giudice per interpretare la norma su cui fonda la decisione. La preoccupazione è che si inneschino deficit di razionalità argomentativa, di coerenza sistemica e di crisi dell’idea di unità dell’ordinamento. L’analisi empirica della giurisprudenza sudafricana in relazione all’uso di parametri extra-sistemici mette a nudo, infatti, una serie di domande a cui i giudici sudafricani non sempre danno risposta nelle loro decisioni: 1) quando è necessario attingere a soluzioni extra-sistemiche; 2) come selezionare i parametri extra-sistemici finalizzati all’interpretazione della norma nazionale. Questo punto si compone di due ulteriori elementi: 2(a) da dove derivare i parametri extra-sistemici (da quali ordinamenti e perché); 2(b) come controllare l’effettiva “pertinenza” e “compatibilità” tra parametri importati e questioni giuridiche oggetto del contenzioso nazionale; 3) come verificare scientificamente che il materiale normativo importato rivesta realmente, nell’ordinamento di origine, il significato attributo dai giudici che importano22. Qualora si “legittimasse” la diffusione e l’affinamento di tale prassi, il metodo comparato (in quanto metodo scientifico-cognitivo) potrebbe diventare uno strumento indispensabile per il giurista (e per il giudice) per colmare taluni deficit che la circolazione rischia di generare23. 2. Il “modello” sudafricano La Costituzione del Sudafrica post-apartheid, ad oggi, è la sola che, in base ad una espressa disposizione costituzionale, consente ai giudici l’uso dei parametri extra-sistemici per interpretare la

20 Cfr. Decision n°23/1990 (X. 31.) AB. 21 Per l’analisi di questa fondamentale decisione sudafricana di seguito nel presente testo.

22 A questo proposito B. Markesinis, Il metodo della comparazione, cit., p. 48, sottolinea l’importanza di sviluppare il metodo comparato secondo un approccio funzionalista. I comparatisti debbono mettere a disposizione dei giudici e degli operatori del diritto materiali studi e compilazioni atte a supportare le operazioni di applicazione dei testi legislativi. L’A. vede nella creazione di nuove sinergie tra attività di ricerca e quelle giurisdizionali una delle chiavi per far fronte alle complessità crescenti dei fenomeni giuridici contemporanei. 23 L’idea è ampiamente confermata in B. Markesinis, J. Fedtke, The Judge as Comparatist, in Tulane U. L. Rev., 2005, 80, 11-167; e in D. E. Childress III, Using Comparative Constitutional Law in Resolve Domestic Federal Questions, in Duke L. J., 2003, 53, 193-221.

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Costituzione24. Conseguentemente, è al “modello” sudafricano che bisogna in questa fase guardare in quanto ordinamento costituzionale che si è dotato di una norma che ha consentito alla Corte costituzionale di sviluppare una prassi interpretativa pionieristica25. Ora, va precisato, che la Corte sudafricana non è stata assolutamente la prima ad operare in dialogo; basti ricordare l’ormai consolidata giurisprudenza delle Corti supreme canadese26 ed israeliana, i frequenti riferimenti che i giudici costituzionali di paesi latino americani come l’Argentina traggono dalla Corte suprema degli Stati Uniti o gli inattesi riferimenti comparati fatti dalla Cour de Cassation francese (sotto l’attuale presidenza del giudice Guy Cannivet27), o quelli fatti in talune importanti pronunce della High Court inglese, ma è stata la prima a farlo in base ad una norma positiva. I giudici hanno dovuto dunque confrontarsi con il problema di elaborare sistematicamente i criteri e i limiti di tale prassi. 2.1. Il quadro normativo costituzionale L’art 39 della Costituzione del 1996 (rubricato: Interpretation of the Bill of Rights) dispone che la Corte Costituzionale, nel processo di attribuzione di significato agli enunciati normativi del Bill of Rights, «deve» promuovere i «valori di società aperte e democratiche», «deve» considerare il diritto internazionale pubblico e «può» prendere in considerazione i diritti stranieri28. La dottrina costituzionalistica sudafricana concorda nell’individuare tre ragioni principali a fondamento di tale disposizione29: in primo luogo, la necessità di legittimazione internazionale dopo decenni di isolamento del regime d’apartheid che aveva ignorato gli standard internazionali in materia di diritti fondamentali. In secondo luogo, la ricerca di repères internazionali capaci di coadiuvare l’opera di interpretazione di un testo Costituzionale completamente nuovo. In questo quadro emerge la coscienza dei drafters della Costituzione di non poter trovare punti di riferimento nel regime pregresso informato dalla logica segregazionista (instauratosi con la Republic of South Africa del 1961), da cui la necessità, da parte Corte costituzionale, di elaborare una particolare forma di interpretazione storica della Costituzione volta a recuperare il common law della South African Union del 1910 (che in parte riconosceva diritti e garanzie anche alla non-white people30). In terzo luogo, la coscienza che l’introduzione in Sudafrica del sistema di controllo di costituzionalità necessita di un periodo di “apprendimento” giuridico-culturale. Se già la trasformazione dell’intero sistema giuridico ha rappresentato uno sforzo considerevole per tutti gli attori del sistema giuridico sudafricano, l’introduzione della giustizia costituzionale ha portato con sé la necessità di sviluppare un approccio pedagogico all’uso di questo strumento da parte dei membri della magistratura ordinaria, dei componenti il sistema forense e dei giudici costituzionali stessi31.

24 Uno dei primi studi è stato quello di H. Webb, The Constitutional Court of South Africa: Rights Interpretation and

Comparative Constitutional Law, in U. Penn. J. Const. L., 1998, 205-283. 25 Sul punto, ampiamente D.M. Davis, Constitutional Borrowing: the Influence of Legal Culture and Local History in the Reconstruction of Comparative Influences: the South African experiences, in Int’l. J. Const. L., 2003, 1, 181 ss. 26 Si rinvia allo studio dell’ex giudice della Corte suprema canadese C. L’Heureaux-Dube, The Importance of Dialogue: Globalization and the International Impact of Rehnquist Court, Tulsa L. J., 1998, 34, 15 ss.. 27 Si veda, a questo proposito, lo studio sull’uso della comparazione da parte della Cour de Cassation, di G. Canivet, The Practice of Comparative Law by the Supreme Courts: Brief Reflexions on the Dialogue Between the Judges in French and European Experience. in Tulane L. Rev., 2006, 80, 1377-1400.

28 Cfr. art. 39 c. 1-3: «When interpreting the Bill of Rights, a court, tribunal or forum a. must promote the values that underlie an open and democratic society based on human dignity, equality and freedom; must consider international law; and; may consider foreign law. When interpreting any legislation, and when developing the common law or customary law, every court, tribunal or forum must promote the spirit, purport and objects of the Bill of Rights. The Bill of Rights does not deny the existence of any other rights or freedoms that are recognised or conferred by common law, customary law or legislation, to the extent that they are consistent with the Bill». E’ molto interessante notare che queste particolari disposizioni sono presenti anche nel testo della Costituzione transitoria del 1993. L’art. 35 c. 1 della Cost. 1993 ne prevedeva tuttavia una declinazione in alcuni punti differente: «In interpreting the provisions of this Chapter a court of law shall promote the values which underlie an open and democratic society based on freedom and equality and shall, where applicable, have regard to public international law applicable to the protection of the rights entrenched in this Chapter, and may have regard to comparable foreign case law». Ciò che è stato cancellato, nel passaggio tra il testo transitorio e quello definitivo è la disposizione «where applicable». Un profondo lavoro interpretativo è stato fatto in proposito dalla dottrina costituzionalistica e dalla Corte Costituzionale. L’art. 39 della Cost. 1996 sembra infatti rinforzare il carattere di apertura del sistema costituzionale sudafricano verso fonti extra-sistemiche eliminando il criterio di valutazione dell’applicabilità («where applicable») del diritto internazionale pubblico o straniero..

29 Cfr. J. Dugard, International Law and the Final Constitution, in S. Afr. J. Human Rights, 1995, 11, 241-251; G. Carpenter, The South African Constitutional Court: Tacking Stock of the early decisions, in Human Rights & Const. L. J. South Afr., 1996, 1, 24-29; e H. Webb, The Constitutional Court of South Africa, op. cit., 219. 30 Si veda in proposito la nota n°45 nel presente testo.

31 Nei primi anni si rileva uno sforzo esplicativo e pedagogico dei giudici costituzionali illustrando in modo particolareggiato il

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Per questi motivi il Sudafrica post-apartheid si è trovato a fare di necessità virtù. Ponendosi in ascolto. richiamando le strutture ermeneutiche di altri giudici costituzionali, facendo appello alla cultura giuridico-istituzionale diffusa e dando vita ad un coraggioso compromesso costituente, ha tentato di colmare un ritardo giuridico-culturale decennale. 2.2. Diritto internazionale e giurisprudenza costituzionale comparata: circuiti interpretativi di diverso tipo. Bisogna tuttavia sgombrare il campo da possibili fraintendimenti nel commentare l’uso di elementi giuridici extra-sistemici. L’art. 39 contiene in realtà due enunciati distinti: il primo sancisce un obbligo in capo alla Corte di considerare il diritto internazionale pubblico. Questo opera però nel quadro formale classico del sistema delle fonti e di partecipazione dell’ordinamento costituzionale sudafricano all’ordinamento internazionale; il secondo configura invece una “facoltà” da parte della Corte di considerare «foreign law». Si tratta quindi di due procedure ermeneutiche che solo apparentemente sono simili e che non possono essere concepite unitariamente. Infatti, se da un lato il diritto internazionale pattizio, in modo differente in base alle varie configurazioni dei sistemi costituzionali, è generalmente collegato all’ordinamento interno da norme positive d’esecuzione, ciò non si può dire per le fonti straniere eventualmente richiamata grazie alla possibilità che la Costituzione riconosce ai giudici di «consider foreign law». In questo secondo caso la circolazione si produce attraverso un salto di sistema o di regime. Erroneo è quindi considerare parte dello stesso fenomeno il fatto che si faccia riferimento a norme provenienti dall’ordinamento internazionale (a cui il Sudafrica è obbligato in base a norme costituzionali) ed il consider foreign law. Conferire efficacia a norme di diritto internazionale pubblico vincolanti per il Sudafrica non ha a nulla a che fare con il procedimento interpretativo operato sulla base di parametri extra-sistemici. Da un lato, si applicano norme prodotte da un sistema che si colloca al di fuori dello spazio nazionale ma di cui il Sudafrica è formalmente parte; dall’altro, si possono liberamente utilizzare soluzioni ermeneutiche di giudici costituzionali stranieri per interpretare la Costituzione32. Un’ultima precisazione è d’obbligo: i parametri extra-sistemici non sono, come riaffermato dalla Corte, legally binding; la Costituzione, infatti, semplicemente “autorizza” gli interpreti ad allargare il novero dei parametri interpretativi. Quanto detto, tuttavia, ha profili di ulteriore complessità: la Corte, infatti, fa sovente riferimento anche a parametri extra-sistemici provenienti da ordinamenti internazionali di cui il Sudafrica non è parte (come la Convenzione Europea per diritti dell’uomo e la Convenzione Interamericana). In questa prospettiva, si disegna una circolazione attraverso un nuovo tipo di salto di sistema. Infatti, il rapporto tra l’ordinamento costituzionale del Sudafrica ed i sistemi regionali per la salvaguardia dei diritti umani, risulta per certi versi analogo a quello tra ordinamento costituzionale sudafricano e gli ordinamenti costituzionali da cui si importano parametri interpretativi extra-sistemici: in entrambi i casi la Corte fa uso di parametri interpretativi di ordinamenti o di sistemi a cui il Sudafrica non è formalmente vincolato. 3. La fase pionieristica: le prime tracce della circolazione ermeneutica. E’ utile sottolineare alcuni elementi genealogici del fenomeno costituzionale post-apartheid al fine di comprendere il ruolo centrale assunto dalla Corte Costituzionale nell’era post-segregazionista33. La diritto costituzionale procedurale. Tale attitudine, nelle decisioni più recenti, sembra attenuarsi. Il tutto è comprensibile alla luce del fatto che il sistema di controllo di costituzionalità, in precedenza sconosciuto all’ordinamento sudafricano, necessitava di radicamento e di consenso tra i vari attori forensi. La Corte ha quindi tentato di facilitare la trasparenza, attraverso la chiarezza argomentativa e sintattica delle pronunce, redigendo lunghe spiegazioni del nuovo contesto costituzionale. Per esempio la Corte con grande frequenza “illustra” quelli che debbono essere i ruoli dei vari attori istituzionali e privati. La preoccupazione della Corte è di attenuare la possibile percezione della giustizia costituzionale come lesione del principio della separazione dei poteri e della sovranità del parlamento (esempio di tutto ciò è in Phillips and Others v. Director of Public Prosecutions and Others, CCT 20/02, par. 12). 32 Che ci si trovi davanti a due circuiti interpretativi differenti è stato puntualmente sottolineato da B. Markesinis, Il metodo della comparazione, op. cit., 159 ss. L’A. coglie questa differenziazione analizzando l’evoluzione della giurisprudenza tedesca (costituzionale ed amministrativa) e l’uso di parametri interpretativi o di norme non provenienti dall’ordinamento giuridico tedesco. I due circuiti interpretativi sono alimentati da fonti differenti e funzionano in base a meccanismi giuridici diversi. Uno opera in applicazione di norme di diritto internazionale privato, pubblico o comunitario, l’altro opera in base al prestito orizzontale di parametri extra-sistemici: Il primo è dunque sostanzialmente regolato da logiche di diritto positivo (la validità della norma), il secondo opera, invece, in assenza di «nessi intrinseci con i diritti stranieri richiamati».

33 Per ulteriori dettagli circa questa ipotesi ci permettiamo di rinviare a A. Lollini, Costituzionalismo e giustizia di transizione.

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Corte è stata istituita nel 1995, secondo modalità per molti versi inconsuete, nel corso del processo costituente che ha condotto alla creazione del Sudafrica post-apartheid. Essa ha infatti visto la luce durante la vigenza della Costituzione Transitoria del 1993 prima dell’approvazione della Costituzione definitiva da parte della Constitutional Assembly nel 1996. La Corte, creata durante il passaggio dal sistema costituzionale transitorio a quello definitivo, è stata investita, in base alle norme della Costituzione Transitoria del 1993, di una funzione a tendenza costituente di grande importanza: verificare (to certificate) la compatibilità della Costituzione definitiva del 1996 con i 34 Principi Costituzionali Fondamentali precedentemente codificati da una assise multipartitica composta da un numero eguale di rappresentanti per ogni formazione politica accreditata. Tuttavia, nel 1995, in attesa di ricevere dall’Assemblea Costituente il testo della Costituzione definitiva, la Corte ha incominciato immediatamente ad esercitare la sua funzione di guardiano dei nuovi diritti codificati nella Carta transitoria, simbolo della definitiva sconfitta del sistema segregazionista. In questo quadro, fin dalla sua istituzione, la Corte ha emesso una serie di pronunce di grandissima importanza. In particolare, essa ha cominciato il lungo e difficile lavoro di epurazione dell’ordinamento giuridico sudafricano dalle innumerevoli norme che costituivano la struttura del sistema giuridico-amministrativo dell’apartheid che non si potevano abrogare in toto durante la fase transitoria, pena la creazione di incontrollabili vuoti giuridici. A questo proposito, se si considera la nozione di processo costituente non solamente come processo di codificazione di un testo costituzionale ma più ampiamente come processo di discontinuità radicale rispetto all’ordine pregresso, si può affermare che la Corte Costituzionale abbia contribuito ad esercitare durante la transizione di regime, attraverso una paziente opera di cancellazione delle tracce del sistema di segregazione istituzionalizzata, una vera e propria funzione costituente del nuovo Stato democratico. La “discontinuità” con il regime pregresso non è, infatti, risultato raggiungibile in un unico momento costituente, ma obbiettivo progressivo da centrare con una “macro” (attraverso la scrittura di nuove regole fondamentali) e “micro” (per via giurisprudenziale) procedura costituente34. E’ in questa fase, nel 1995-1996, che la Corte Costituzionale comincia immediatamente a confrontarsi con l’interpretazione del Bill of Rights anche alla luce di pronunce di altri giudici costituzionali. In questo quadro, il diritto internazionale pubblico così come molte pronunce di giudici costituzionali stranieri sono stati espressamente richiamati, in prospettiva comparata, per argomentare decisioni “rivoluzionarie”. La materia penale (la procedura penale ed il diritto penale sostanziale) è stata oggetto delle prime pronunce secondo il nuovo sistema di controllo di costituzionalità contenuto nel testo della Costituzione Transitoria del 1993. Deve essere infatti sottolineato come i caratteri più violenti ed anti-democratici della fenomenologia del potere dell’apartheid trovavano la loro più evidente espressione proprio nel sistema di repressione attraverso gli strumenti del diritto penale sostanziale e processuale35. Cancellare l’apartheid significava quindi, in prima battuta, riformare la materia penale. Il metodo della comparazione giuridico-costituzionale è stato quindi immediatamente utilizzato in questa vasta opera di trasformazione del sistema penale facendo leva sull’interpretazione del Bill of Rights alla luce dell’art. 35 della Costituzione del 1993 e, successivamente, alla luce del già citato art. 39 della Costituzione del 1996. Tutto ciò consente di affermare che il metodo comparato è stato utilizzato non per risolvere questioni meramente formali o marginali, bensì come grimaldello per scardinare la legislazione dell’apartheid, dunque in prospettiva di fatto costituente. I due casi simbolo di questo primissimo periodo di attività della Corte sono Zuma and others v. State36 e Makwanyane v. State37. Due avvertenze: in primo luogo, abbiamo scelto di analizzare separatamente le prime decisioni della Corte, in cui si manifesta il primo pionieristico utilizzo di modelli ermeneutici stranieri. In queste decisioni le modalità argomentative “cosmopolite” appaiono “instabili”, costituendo pertanto, a nostro

Il ruolo costituente della Commissione sudafricana verità e riconciliazione, Bologna, Il Mulino, 2005 (in particolare si rinvia ai primi due capitoli).

34 Cfr. Ibidem, p. 87 ss. 35 La dottrina penalistica tedesca è solita affermare che la morfologia del processo penale è direttamente legata alla

configurazione dello stato di diritto. L’apartheid, in quanto ordinamento burocratico amministrativo, era anche fondamentalmente basata sull’assenza delle garanzie dell’imputato in materia di procedura penale. Va anche notato che il sistema segregazionista aveva progressivamente eroso i diritti e le garanzie che il common law britannico aveva in passato riconosciuto in Sudafrica (ancora formalmente chiamato Cape Colony e successivamente Union fo South Africa 1910). Di conseguenza la giurisprudenza costituzionale in materia penale e di procedura penale ha avuto un doppio obbiettivo. Da una parte, colpire e riformare al cuore il sistema segregazionista; dall’altro, ricercare e recuperare i vecchi principi di common law.

36 Cfr. CCT/5/94, in S. Afr. L. J. (CC), 1995, 642. 37 Cfr. CCT/3/94, in S. Afr. L. J. (CC), 1995, 391.

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avviso, una casistica differenziabile rispetto a quella della fase di stabilizzazione e consolidamento degli anni successivi (1997 ad oggi). In secondo luogo, si è scelto di non alterare i criteri di citazione delle pronunce straniere utilizzati dai giudici sudafricani (nelle note o nel testo delle decisioni). Si riportano, dunque, i riferimenti giurisprudenziali così come indicati dai giudici di Johannesburg. Tale scelta è dettata dall’idea, sebbene alcune imprecisioni siano già state verificate in fase di stesura della presente ricerca, di restituire un’immagine fedele delle modalità (anche formali) di realizzazione dell’argomentazione comparata (mediante citazione), il tutto nella prospettiva di sottolineare la necessità di affinare, nel caso, questa metodologia argomentativa. 3.1. Il caso Zuma Il caso Zuma riguarda il giudizio di incostituzionalità dell’art. 217 com. 1 let. b del Criminal Procedure Act n° 55/1977 che disciplina la controversa questione del diritto al silenzio e della genuinità e volontarietà delle dichiarazioni di colpevolezza raccolte con inganno, estorte con metodi di intimidazione o con l’esercizio di forme di pressione fisica o psicologica. Secondo il codice di procedura penale in vigore durante l’apartheid, eventuali confessioni di colpevolezza potevano essere raccolte anche da membri delle forze di polizia senza alcun bisogno di essere successivamente ripetute in processo. Le disposizioni in questione contengono elementi tradizionalmente assenti nel common law britannico secondo cui la validità di eventuali confessioni è riscontrabile solamente qualora esse vengono raccolte da un giudice38. In particolare, la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’automatica inversione dell’onere della prova, estremamente lesiva delle garanzie dell’imputato e del principio della presunzione di innocenza, che la norma in questione produce. Spetterebbe infatti al “confessante” provare che le confessioni raccolte da semplici membri delle forze di polizie sono state estorte con violenza o inganno. Il ricorrente, Mr. Zuma, sembra aver confessato alla polizia di essere stato autore di un omicidio; tuttavia nel corso del processo, l’accusato ritratta affermando che la confessione è stata estorta con violenza; a suffragio chiama due testimoni che confermano la tesi. Il giudice ordinario davanti a cui pendeva la causa, in base ad un giudizio di probabilità, non ritiene le prove addotte sufficienti a comprovare le attestazioni dell’accusato. Si ha pertanto la conferma che l’inversione dell’onere della prova che grava sul confessante rende particolarmente difficoltoso dimostrare che una confessione è stata estorta, configurandosi in tal modo, una grave violazione dell’art. 25 della Costituzione transitoria39. Nel caso in questione, la Corte ha dovuto confrontarsi per la prima volta con l’applicazione dei meccanismi costituzionali di attivazione del controllo di costituzionalità codificati dalla Costituzione Transitoria e, conseguentemente, con i problemi di dichiarazione di competenza giurisdizionale da parte della Corte. Nel caso Zuma si sono cumulati due distinti meccanismi di attivazione del controllo di costituzionalità: la modalità di controllo posteriore diffuso e concreto40 ed il meccanismo di accesso diretto alla Corte nell’interesse della giustizia41. Il primo problema è stabilire se l’interpretazione del catalogo dei diritti debba essere tendenzialmente letterale o se, al contrario, la necessità di tutelare diritti non riconosciuti dal precedentemente ordinamento non imponga un’interpretazione estensiva degli enunciati, in modo tale da consentire una progressiva crescita della sfera applicativa e contenutistica dei diritti fondamentali. Questo dato risulterebbe di particolare importanza simbolica e politica in quanto contribuirebbe a contrassegnare

38 Cfr. il giudice Kentridge in CCT/5/94, p 4. 39 Cfr. art. 25 Cost. Transitoria: «Detained, arrested and accused persons» 40 Cfr. art. 101 com. 6 della Cost. Transitoria successivamente recepito dall’art. 167 com. 4 e 172 com. 2 della Cost. 1996. 41 La Corte ha infatti accettato il ricorso dell’Attorney General della Provincia del Natal (McNally) il quale chiede di

partecipare al contenzioso davanti alla Corte in ragione dell’interesse nella risoluzione di questo delicato problema giuridico-processuale. L’incertezza circa la costituzionalità dell’art. 217 provoca, secondo l’Attorney General, una profonda instabilità in molti processi penali pendenti. In ciò consiste la sussistenza del criterio del Interest of Justice necessario per legittimare l’accesso diretto al giudizio di costituzionalità. La Corte ammette il ricorso dell’Attorney General. Quest’ultimo era fondato giuridicamente sull’art. 100 com. 2 Cost. Transitoria in combinata lettura con la Rule 17 com. 1-2 della Procedura della Corte Costituzionale. Questa disposizione costituzionale è stata successivamente trasposta nell’art. 167 com. 6 let. a-b Cost. 1996 secondo cui: «National legislation or the rules of the Constitutional Court must allow a person, when it is in the interests of justice and with leave of the Constitutional Court: a) to bring a matter directly to the Constitutional Court; or b) to appeal directly to the Constitutional Court from any other court». Per taluni (H. Webb, The Constitutional Court of South Africa, op. cit., 211 ss.) il caso Zuma ha portata storica per il nuovo sistema costituzionale sudafricano in quanto l’accettazione della competenza giurisdizionale della Corte, tramite anche l’accettazione del ricorso diretto, ha avuto l’effeto di una manifestazione di “esistenza” della Corte configurando la sua primazia su questioni di tale portata

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l’ordinamento costituzionale post-apartheid conferendogli una natura in radicale rottura con l’ordinamento segregazionista. La Corte si pone quindi i seguenti interrogativi: a) il Bill of Rights deve essere interpretato estensivamente o in modo tendenzialmente letterale? b) l’ordinamento costituzionale sudafricano è già un sistema autosufficiente oppure è necessario cercare linee guida in altri ordinamenti costituzionali? c) in quest’ultima ipotesi, come si sono comportati, in un recente passato, i paesi di area ex Commonwealth che hanno costituzionalizzato ed interpretato, in periodo post-coloniale, i principi del common law britannico? Per decidere se le disposizioni dell’art. 217 in materia di confessione producono un’inversione dell’onere della prova che limita illegittimamente l’art. 25 Cost. 1993, si ricorre, per la prima volta, all’analisi di esperienze straniere. La Corte rileva, infatti, che la medesima questione è affrontata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, dalla Corte Suprema canadese e dalla Corte di Strasburgo, («and doubtless others» 42); nessun criterio di selezione è tuttavia esplicitato. La comparazione si apre con l’analisi di quanto avviene negli Stati Uniti d’America circa la legittimità costituzionale delle presunzioni che producono l’inversione dell’onere della prova. Si analizza Tot v. United States43 (sul divieto di detenzione di armi e munizioni da parte di persona convicted of violence); e Leary v. United States44 (sulla detenzione di marijuana che presupporrebbe automaticamente importazione illegale). Citando anche Country Court of Ulster Country, New York et al. v. Allen et al., i giudici sudafricani evincono come negli Stati Uniti la legittimità costituzionale delle presunzioni è determinata: a) in base ad un “rational connection test” tra fatto e conseguenze giuridiche; b) al rispetto del principio del giusto processo. Sono poi oggetto di analisi due pronunce canadesi: con la prima, Regina v. Big M. Drug Mart Ltd. del 1985, i giudici motivano il ricorso all’interpretazione estensiva del Bill of Rights introducendo il criterio delle historical origins (enunciato dalla Corte canadese come criterio interpretativo della Canadian Charter of Rights45). Questa pronuncia della Corte Suprema canadese enuclea in generale i criteri e le metodologie interpretative del Bill of Rights canadese in base a cui le libertà fondamentali codificate nel testo costituzionale vanno interpretate estensivamente al di là del significato meramente letterale (il c.d. «generous approach»). Debbono quindi essere prese in considerazione le finalità generali della Carta tendenzialmente estendendo l’operatività dei diritti fondamentali. Con una seconda pronuncia canadese, (Regina v. Oakes del 1986)46, la Corte sudafricana mostra interesse per le modalità di determinazione della legittimità delle presunzioni e dell’inversione dell’onere della prova elaborate dalla Corte suprema del Canada. Da subito, la Corte di Johannesburg introduce un elemento che si dimostrerà una costante giurisprudenziale. Le interpretazioni della Corte Suprema canadese vengono, infatti, considerate maggiormente soddisfacenti sia in ragione della persuasività dell’argomentazione, sia in ragione di una similitudine strutturale della Canadian Charter of Rights and Freedom con il Bill of Rights sudafricano: entrambi i testi sono dotati di una limitation clause dei diritti fondamentali che può eventualmente fungere da contrappeso all’interpretazione estensiva47.

42 Cfr. Zuma v, State par.19. 43 Cfr. Tot v. United States, 1943, US, 319, 463. 44 Cfr. Leary v. United States, 1969, US, 395, 6. 45 Cfr. Regina v. Big M. Drug Mart Ltd, 1985, 18 DLR (4th), 321, 395-6 [così come citata dal giudice Kentridge in CCT/5/94,

par. 15, la rubricazione attuale è R. Drug Mart, 1985, 1, RCS, 295 vers. franç.]. La Corte Suprema canadese afferma in questa pronuncia un metodo interpretativo della Carta detto «generous approach». Esso mira ad estendere il contenuto delle singole libertà protette dalla Carta svincolandosi dall’interpretazione strettamente letterale. In questo quadro il recupero delle radici storico-giuridiche rappresenta uno degli strumenti per l’interpretazione del moderno Bill of Rights. I giudici sudafricani, precedentemente, avevano tuttavia richiamato due pronunce: il passaggio scritto dal Lord Wilberforce (Privy Council) in Minister of Home Affaires (Bermuda) v. Fischer, 1980, AC 319 (PC) in cui afferma che i diritti fondamentali debbono essere interpretati in modo «generous»; e Supreme Court of Namibia in Minister of Defence (Namibia) v. Mwandinghi, 1992, 2, Sa 355, (Nm SC), 362 in cui si conferma che l’interpretazione estensiva dei diritti fondamentali deve tenere in considerazione la storia giuridica del paese, le tradizioni e gli usi. La Corte sudafricana accoglie sia il criterio tendenziale dell’eventuale interpretazione estensiva, sia la necessità di recupero delle historical origins. In tal prospettiva i giudici affermano che il diritto al silenzio, le garanzie dell’imputato, la nullità delle confessioni estorte così come la presunzione di innocenza erano principi perfettamente riconosciuti dal common law applicato nei territori coloniali (che oggi corrispondono al Sudafrica) a partire dal 1830. Il sistema segregazionista avrebbe progressivamente cancellato questi principi a partire dalla seconda metà del secolo successivo, da qui l’idea di recupero.

46 Cfr. Regina v. Oakes (1986), 26, DLR (4th), 200. (così come citata dai giudici sudafricani in CCT/5/94, p. 21, la rubricazione attuale è R. v. Oakes, 1986, 1, SCR, 103 engl. vers.).

47 Cfr. art. 33 Cost. Transitoria successivamente trasposto all’art. 36 com. 1-2 Cost. 1996. La dottrina costituzionalistica sudafricana, conformandosi alla prassi di comparazione della Corte, ha dovuto procedere nella medesima direzione. A proposito della clausola di limitazione vengono spesso analizzati comparativamente gli artt. 1; 6 com. 4, 15 com. 2, 25, 26, 35 della Cost.

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I giudici sudafricani convengono che la comparazione effettuata ha messo innanzi tutto in evidenza che l’inversione dell’onere probatorio non è un meccanismo processuale a priori vietato dagli ordinamenti costituzionali; il nuovo ordinamento costituzionale sudafricano non fa eccezione. Il problema è quello dunque di stabilirne i limiti verificando quando l’inversione pregiudica eventualmente diritti fondamentali. E’ a questo proposito, riflettendo sulla compatibilità sistemica con l’ordinamento sudafricano degli ordinamenti da cui si attingono soluzioni interpretative ed argomentative, che il Canada viene individuato dalla Corte del Sudafrica come punto di riferimento principale. La ragione fondamentale, in questo caso, è che la Costituzione canadese, al pari di quella sudafricana, possiede una disposizione espressa nel testo costituzionale che contempla i criteri in base ai quali operare la limitazione dei diritti codificati nel Bill of Rights. Ulteriore sostegno a questo approccio viene trovato nella pronuncia della Corte Suprema canadese Regina v. Oakes del 1986. La Corte sudafricana, richiamandola, nota come le Costituzioni che prevedono espressamente i criteri che in talune determinate circostanze possono giustificare una limitazione dei diritti del Bill of Rights impongono ai giudici costituzionali una metodologia ermeneutica detta «two stage approach». In primo luogo il giudice costituzionale deve verificare l’effettiva violazione di un determinato diritto costituzionale e, successivamente, deve valutare se la violazione è giustificabile alla luce della clausola di limitazione. Sulla base di questa similitudine, la metodologia interpretativa della Corte canadese viene ritenuta essere maggiormente “compatibile” con l’ordinamento costituzionale sudafricano in luogo, per esempio, di quella utilizzata dalla Corte Suprema statunitense che opera, a detta dei giudici sudafricani, eventuali limitazioni della portata dei diritti fondamentali senza la guida di criteri espressi in Costituzione48. La Corte sudafricana cita poi numerose pronunce canadesi in cui è riaffermata l’importanza del diritto al silenzio e della presunzione di innocenza a detrimento delle norme che trasferiscono sull’accusato l’onere della prova49. In questa prospettiva, l’inversione dell’onere della prova prodotta dall’art. 217 viene ritenuta ingiustificatamente limitativa dei diritti sanciti dall’art. 25 della Costituzione Transitoria, rendendo la norma di procedura penale incostituzionale. 3.2. Il caso Makwanyane Le metodologie interpretative per la risoluzione delle numerose questioni poste dal caso Zuma vengono sviluppate, nel 1995, nella pronuncia Makwanyane in materia di incostituzionalità, secondo l’ordinamento costituzionale transitorio, della pena capitale. La pronuncia, divenuta immediatamente un landmark case, riveste un valore storico per tre motivi: a) in ragione della questione trattata; b) per la grande autonomia dimostrata dalla Corte sia nei confronti del potere politico che dell’opinione pubblica (largamente favorevole al mantenimento della pena di morte50); c) in ragione delle scelte interpretative operate. Queste ultime hanno orientato le future canadese; gli artt. 18 e 19 della Carta Fondamentale tedesca; l’art. 8 Cost. Ungheria; l’art. 33 Cost. India; l’art. 22 Cost. Namibia; gli artt. 29 e 30 Cost. Tanzania; gli artt. 27 e 29 della Carta Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli. Sul punto H. Webb, The Constitutional Court of South Africa, op. cit., p. 221, espressamente nota n°88).

48 La comparazione tra il «two stage approach» ed il «single stage approach» in uso negli ordinamenti costituzionali che non hanno clausole di limitazione dei diritti fondamentali (come quello degli Stati Uniti) è ulteriormente chiarificata dalla Corte costituzionale sudafricana ricorrendo ad una comparazione con il Bill of Rights di Hong Kong. Viene citata una sentenza del Privy Council (HK v. LeeKwong-kut, 1993, AC, 951 in CCT 5/94 p. 21) in cui Lord Woolf mette in luce le differenze sostanziali delle due metodologie ermeneutiche. Il fatto che la Corte Costituzionale sudafricana guardi all’ordinamento di Hong Kong ed alle sue metodologie di interpretazione del Bill of Rights non sorprende. Il Bill of Rights di Hong Kong del 1991 è stato fortemente influenzato dalla Canadian Charter. In questo quadro si evince che la Corte sudafricana, intuendo il legame di filiazione con il modello canadese, si interessa ai sistemi che hanno subito l’ influenza dell’esperienza costituente del Canada. Nella stessa pronuncia Zuma si richiamano anche Lam Chi-Ming v. R., 1991, 2 AC, 212 (Privy Council); e Wong Kam-Ming v. R., 1980, AC, 247, 261 (Privy Council) entrambe sull’illegittimità delle confessioni estorte impropriamente, Sul punto J. Allan, A Bill of Rights for Hong Kong, in Pub. L., 1991, pp. 175 ss; e S. Choudhry, Globalization in Search of Justification, op. cit., 822 ss. Molti studi dimostrano come anche Honk Kong non sia un sistema estraneo ai fenomeni di circolazione ermeneutica sul punto A. Byrnes, Jumpstarting the Hong Kong Bill of Bill Rights in its Second Decade? The Relevance of International and Comparative Jurisprudence, in Conference: A Decade of the Bill of Rights and the ICCPR in Hong Kong: Review and Prospects, University of Hong Kong, 12 January 2002.

49 Vengono espressamente citate R. v. Whyte, 1988, DLR 4th, 51, 481 (ora rubricata R. v. Whyte, 1988, 2 SCR, 3; R. Downey, 1992, DLR 4th, 90, 499 (ora rubricata R. Downey, 2 SCR, 10).

50 Nel corso del giudizio molto si è discusso del rapporto tra la Corte e l’opinione pubblica (che aveva fattivamente partecipato al processo di redazione delle nuova Costituzione e che in realtà sembrava favorevole al mantenimento della pena capitale). L’idea stessa di creare un organo che accentrasse il controllo di costituzionalità si colloca all’interno dell’idea politica di avere un’istanza forte di protezione dei diritti fondamentali e della Costituzione. Simbolicamente, la sede della Corte è stata decorata con murales rappresentanti l’unità nazionale. I giudici indossano toghe verdi e non nere affinché si differenzino dai giudici

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interpretazioni della Costituzione post-apartheid imprimendo al nuovo ordinamento costituzionale una direzione marcatamente liberal-democratica. Al centro della pronuncia vi è il giudizio di costituzionalità della pena capitale (art. 277 com. 1 let. a Criminal Procedure Act n°51/1977) in relazione all’art. 8 (uguaglianza di fronte alla legge), art. 9 (diritto alla vita), art. 10 (protezione della dignità umana) e art. 11 com. 2 della Costituzione 1993. Le disposizioni di quest’ultimo articolo sanciscono il divieto di trattamenti crudeli, inumani e degradanti. La Corte è quindi chiamata a valutare se la pena di morte rappresenti un trattamento crudele e degradante ed una limitazione costituzionalmente legittima del diritto alla vita. L’argomentazione della Corte ricorre a due tipi di parametri: da un lato l’analisi dei lavori preparatori e dei documenti del processo costituente (in particolare si è fatto ricorso ai documenti prodotti dal Multi Party Negotiating Process durante la redazione della Costituzione Transitoria nel 1993 e dei 34 Principi costituzionali fondamentali51), e, dall’altro, il ricorso a paradigmi ermenutici stranieri. In questo quadro, la Corte è chiamata ad operare per la prima volta una riflessione accurata sui limiti e sulle finalità dell’utilizzo di giurisprudenza extra-sistemica. A questo proposito essa afferma che: «Comparative Bill of Rights jurisprudence will no doubt be of importance, particularly in the early stages of the transition when there is no developed indigenous jurisprudence in this branch of law. Although we are told by Section 35(1) that we ‘may’ have regard to foreign case law, it is important to appreciate that this will not necessarily offer a safe guide to the interpretation of Chapter Three of our Constitution … . In dealing with comparative law, we must bear in mind that we are required to construe the South African Constitution, and not a international instrument or the Constitution of some foreign country, and that has to be done with due regard to our legal system our history and circumstances, and structure of our language of our Constitution. We can derive assistance from public international law and foreign case law, but we are in no way bound to follow it»52. Il primo ordinamento costituzionale che viene preso in esame è quello statunitense. La pena di morte è stata oggetto di numerose sentenze della Corte Suprema degli Stati Uniti che ne hanno confermato la costituzionalità53. La Corte sudafricana mette in evidenza la contraddizione di fondo in base a cui, se da ordinari. Il simbolo della Corte è l’albero africano della giustizia sotto cui erano regolate le dispute tradizionali. I rami di questo albero corrispondono alla bandiera sudafricana. La Corte ha da subito guadagnato, al di là dei simboli, la fiducia popolare. In questo quadro Makwanyane rappresenta invece una rottura rispetto alla ricerca di consenso dell’opinione pubblica bianca e nera. Anche se, nel consueto stile di apertura della Corte, molte lettere contro e a favore della pena di morte sono state indirizzate alla Corte e lette dai giudici, essi si sono espressi in totale autonomia su un tema così delicato. In questo quadro molti hanno affermato che la decisione della Corte sia stata una presa di posizione di una minoranza rispetto alla maggioranza dell’opinione pubblica, in contrasto con il principio della democrazia maggioritaria. Ciò è anche confermato dalla richiesta, in seguito rifiutata, di referendum sulla pena di morte. In questo frangente si è comunque manifestata l’ostilità e la diffidenza di taluni verso il sistema di controllo di costituzionalità. La critica si regge sull’assioma che pochi individui non eletti hanno deciso su una materia così importante. Secondo altri, il potere di controllo della Corte di leggi votate dal Parlamento sarebbe una palese violazione della separazione dei poteri e dell’autonomia del potere legislativo. Sul punto H. Webb, The Constitutional Court of South Africa, op. cit., p. 233 (nota 169); S Choudry, Globalization in Search of Justification, op. cit., 850 ss.; M. Zlotnick, The Death Penalty and the Public Opinion, in S. Afr. J. Human Rights, 1996, 12, 70-78; P.M. Maduna, Death Penalty and Human Rights, in S. Afr. J. Human Rights, 1996, 12, 193-213.

51 La Corte verifica come altri giudici costituzionali si rapportano all’uso dei Constitutional Background Materials. In particolare si richiamano le Costituzioni degli Stati Uniti, della Germania, del Canada e dell’India. I giudici costituzionali di questi ordinamenti fanno uso di historical background materials per interpretare il testo costituzionale. La Corte sudafricana nota anche che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ne fa ampio uso così come il UN Committee on Human Rights nell’interpretare il testo dei Patti ’66 (cfr. CCT 3/94 par. 16). Dagli atti delle negoziazioni costituzionali emerge che la discussione sulla costituzionalità della pena di morte è stata molto accesa. Ciò che emerge in quel frangente storico è un dibattito che, pur non prendendo una decisione tranchante in materia, guarda con grande perplessità all’utilizzo fatto della pena capitale durante la vigenza del regime. Si ricorda a questo proposito che 1985 al 1988 sono state eseguite 537 condanne a morte. La Corte argomenta che, tuttavia, una decisione non fu presa rinviando questo spinoso argomento, in presenza di una mancata pronuncia legislativa del Parlamento, alla decisione della Corte Costituzionale (par. 25).

52 Cfr. CCT 3/94 par. 37-39. Nell’ argomentazione la Corte fa ricorso alla sentenza della Corte Costituzionale ungherese (n°23/1990 X.31). La Corte nota infatti che laddove si è tentato inutilmente di dichiarare l’incostituzionalità della pena capitale le Costituzioni soggiacenti e i testi internazionali di riferimento o permettevano espressamente la pena di morte, oppure prevedevano che il diritto alla vita poteva, in casi particolari come la pena capitale, essere limitato. La Corte sudafricana sostiene che il solo caso da essa incontrato è quello appunto della Costituzione ungherese. In presenza di un silenzio della Costituzione in merito, la Corte ungherese ha potuto dichiarare l’incostituzionalità della pena di morte (cfr. CCT 3/94 par. 38). Il caso ungherese viene pertanto visto come assimilabile a quello sudafricano (per ulteriori dettagli si veda la nota n°51).

53 La Corte sudafricana richiama principalmente due pronuncie della Corte Suprema degli Stati Uniti molto conosciute: Furman v. Georgia, 408 U.S. 1972; Gregg v. Georgia, 428, U.S., 1976. In base alla ricostruzione giuridica operata dalla Corte sudafricana l’ipotesi di incostituzionalità della pena di morte negli Stati Uniti è stata costruita in relazione all’VIII Emendamento che proibisce ogni cruel and unusual punishment. In queste pronunce, per la Corte Suprema degli Stati Uniti, il principio generale si fonda sull’idea che la pena capitale sarebbe incostituzionale solamente se venisse comminata arbitrariamente o disciminatoriamente. Il giudice costituzionale sudafricano Ackermann, nella concurring opinion al caso Makwanynae, ricorda come nell’ordinamento statunitense si è molto dibattuto sui rischi di arbitrarietà ed ineguaglianze che si possono verificare nei

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un lato la Costituzione statunitense sancisce il divieto di trattamenti crudeli e di unusual punishment, dall’altro non pone alcun ostacolo alla pena capitale comminata nel rispetto delle garanzie dell’imputato (alcuni dubbi sono presi in considerazione solamente a proposito delle lunghe permanenze nel braccio della morte). I giudici sudafricani prendono dunque atto che la pena capitale non costituisce negli Usa un trattamento crudele o degradante: «the United States jurisprudence has not resolved the dilemma arising from the fact that the Constitution prohibits cruel and unusual punishment, but also permits, and contemplates that there will be capital punishment. The acceptance by a majority of the United States Supreme Court of the proposition that capital punishment is not per se unconstitutional, but in certain circumstances it may be arbitrary, and thus unconstitutional, has led to endless litigations. Considerable expenses and interminable delays result from the exceptionally high standard of procedural fairness set by the United States courts in attempting to avoid arbitrary decisions. The difficulties that have been experienced in following this path, to which Justice Blackmun and Justice Scalia have both referred, but from which they have drown different conclusions, persuade me [Justice Chaskalson] that we should not follow this route»54. Il paradigma interpretativo statunitense non viene quindi ritenuto essere compatibile o utile per risolvere il problema della costituzionalità della pena di morte sotto la vigenza del nuovo ordinamento democratico. La Costituzione dell’India del 1949 e la giurisprudenza in materia della Corte Suprema indiana sono oggetto poi di comparazione55. Il risultato è il medesimo in quanto la Costituzione indiana, al pari di quella statunitense, prevede la limitazione costituzionale del diritto alla vita nel rispetto delle procedure previste dalla legge (art. 21 Cost. India). Il principio della dignità umana e la possibilità di limitazione del diritto alla vita debbono essere quindi oggetto di ulteriore analisi comparata. Gli “interlocutori” privilegiati, dopo aver osservato che gli Stati Uniti e l’India non costituiscono un riferimento “soddisfacente”, divengono gli ordinamenti canadese e tedesco56. Attraverso un percorso argomentativo che solleva più di una perplessità, si “cercano” pronunce che definiscano la pena di morte come trattamento crudele ed inumano lesivo della dignità umana. In tal senso è la pronuncia della Corte Suprema canadese Kindler v. Canada57, in cui la maggioranza dei giudici definisce esplicitamente la pena di morte come trattamento crudele lesivo della dignità umana. Il caso verteva sulla costituzionalità dell’autorizzazione data dal Ministro della Giustizia all’estradizione di un condannato a morte negli Stati Uniti fuggito successivamente in Canada. La Corte canadese, in una problematica decisione, pur affermando l’incostituzionalità della pena di morte, ha deciso, tuttavia, sulla base di accordi bilaterali per l’estradizione58. La Corte sudafricana si sforza poi di comparare il diritto alla vita così come costituzionalizzato in vari testi. In primo luogo si affermano nuovamente le differenze formali e materiali con la Costituzione degli Stati Uniti e dell’India; in secondo luogo si opera un’interessante comparazione con la Costituzione dell’Ungheria. La sensazione è ancora quella della ricerca di ordinamenti costituzionali stranieri che confermino una decisione in realtà ormai chiara. Le analisi comparative tradiscono infatti una selezione arbitraria volta ad oscurare talune esperienze e ad evidenziarne altre. In questa prospettiva la Corte da ampio rilievo alla già citata decisione della Corte Costituzionale procedimenti culminanti con la sentenza di morte. Per tentare di evitare tutto ciò la Corte Suprema statunitense sembra prendere in considerazione i soli requisiti del V e XIV Emendamento. Ackermann sottolinea che le scelte interpretative statunitensi non sono compatibili con l’ordinamento post-segregazionista (Cfr. CCT 3/94 par. 154). Quasi a controbilanciare l’interpretazione statunitense si citano i rapporti ufficiali di Amnesty International, si afferma l’importanza del fatto che gli Stati europei hanno invece abolito la pena di morte così come Stati confinanti con il Sudafrica: Mozambico, Namibia, Angola (cfr. ibidem par. 33).

54 Cfr. CCT 3/94 par. 56 (corsivo aggiunto). 55 Cfr. CCT 3/94 par. 70-79 per analisi pronunce della Corte Suprema dell’India in cui, come negli Usa, si verifica solamente

che la pena capitale non sia inflitta arbitrariamante (cfr. ad esempio Gandhi v. Union of India, 1978, AIR, SC, 597). 56 Così come nota anche B. Markesinis, Il metodo della comparazione, op. cit., p. 177, nella pronuncia ora in esame viene fatto ricorso a numerosi elementi di diritto costituzionale tedesco: a) il ricorso alla storia legislativa come mezzo di interpretazione; b) il diritto alla dignità umana; c) la limitazione dei diritti fondamentali; d) l’art. 33 com. 1 let. B Cost. Transitoria 1993 che enuclea la clausola c.d. del contenuto essenziale.

57 Cfr. Kindler v. Canada, 6, CRR (2d), 1991 (ora rubricata Kindler v. Canada, 1991, 2, RCS vers. franç). La sentenza del Bundesverfassungsgericht è invece: BverfGE 45, 1977. Si vedano inoltre le numerosissime sentenze tedesche citate dal giudice Ackermann nella sua concurring opinion par. 167.

58 In materia di legittimità di provvedimenti di estradizione verso paesi che eseguiranno nei confronti degli estradati la pena capitale, la Corte sudafricana cita un’importante pronuncia della Corte di Strasburgo Soering v. United Kindom, ECHR, 7 luglio, 1989, in cui l’opinione concorrente del Giudice Mayer afferma che l’estradizione verso gli Stati Uniti di persona che verrà sottoposta a pena capitale costituisce una violazione del diritto alla vita (cfr. CCT 3/94 par. 81).

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ungherese cha ha dichiarato l’incostituzionalità della pena capitale. Secondo l’art. 54 com. 1 della Costituzione dell’Ungheria il diritto alla vita ed alla dignità umana costituiscono un nucleo imprescindibile dei diritti fondamentali; nessuno può esserne arbitrariamente privato. Secondo l’argomentazione della Corte ungherese (citata ampiamente dalla Corte sudafricana), la pena capitale implicherebbe una limitazione così ampia di tali diritti da cancellarne completamente la portata. L’elemento dell’ordinamento ungherese che catalizza l’interesse dalla Corte sudafricana è l’idea dell’indissolubilità del diritto alla vita e della dignità che genera la necessità di interpretazione congiunta. La diade, secondo un approccio che si traduce in una gerarchizzazione assiologica dei diritti fondamentali, si trova in posizione differenziata rispetto agli altri diritti fondamentali costituendone addirittura la “fonte”. Il riconoscimento della legittimità della pena capitale, nell’argomentazione ungherese, comprometterebbe la portata dei due diritti da cui discendono tutti gli altri implicando un danno irreparabile all’intero sistema dei diritti fondamentali. Tale schema ermeneutico risponde perfettamente alle esigenze argomentative dei giudici sudafricani; essi non procedono lungo il percorso di una comparazione scientificamente esaustiva aggirando la controversa questione dell’arbitrarietà affrontata dalla Corte ungherese. I giudici sudafricani affermano, infatti, che il diritto alla vita, sancito dalla Costituzione post-apartheid, ottiene una protezione ancor più forte rispetto a quella assicurata dalla Costituzione ungherese (che tuttavia ha permesso ai giudici costituzionali di dichiarare l’incostituzionalità della pena di morte). L’art 9 della Cost. 1993, infatti, non prevede il criterio, previsto invece dall’art. 54 com. 1 della Cost. ungherese, secondo cui il diritto alla vita ed alla dignità umana non possono essere arbitrariamente limitati59. In via generale quindi, sebbene la Corte ungherese abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale della pena capitale, una limitazione non arbitraria sarebbe in via teorica possibile. La Corte sudafricana occulta completamente questo elemento fondamentale. Un processo penale celebrato nell’assoluto rispetto delle garanzie che si conclude con la condanna capitale deve essere ugualmente considerato una violazione arbitraria del diritto alla vita? Tale problema è stato affrontato dalla Corte ungherese? Dalla pronuncia sudafricana non ci è dato conoscere tutto questo; essa ha solamente estrapolato il segmento argomentativo che le serviva, limitandosi successivamente a verificare che la Costituzione post-apartheid, non facendo menzione del criterio dell’arbitrarietà, delinea una configurazione assoluta del diritto alla vita. Resta ancora un ostacolo da superare; l’art 33 della Cost. 1993 prescrive espressamente i criteri per limitare i diritti del Bill of Rights: la «ragionevolezza, la necessità e la giustificabilità nel contesto di una società aperta e democratica fondata sull’uguaglianza e la libertà», senza che tutto ciò neghi il «contenuto essenziale» del diritto fondamentale oggetto di limitazione. Il diritto alla vita rientra pertanto in quelli limitabiliti dalle disposizioni dell’art. 33? Per risolvere la questione, l’ordinamento costituzionale canadese è concepito, ancora una volta, come referente naturale. I giudici sudafricani richiamano la già citata sentenza della Corte Suprema canadese (caso Oakes) in cui si interpreta la norma che prevede i criteri di limitazione dei diritti sanciti dalla Canadian Charter of Rights60. Innegabili similitudini sono rilevate tra l’ordinamento costituzionale del Canada e quello del Sudafrica individuando quindi nel modello ermeneutico canadese un rassicurante termine di paragone. La Corte sudafricana recepisce, infatti, il proportionality test dalla Corte canadese per verificare la legittimità costituzionale della limitazione di uno dei diritti protetti dal Bill of Rights in gioco appunto nel caso Oakes. Il test si fonda su criteri orami classici in base ai quali giudicare la legittimità della limitazione di un diritto fondamentale: la limitazione non deve essere «arbitraria» o fondata su «irrational considerations» e deve comunque diminuire il meno possibile la portata del diritto oggetto del bilanciamento. Deve poi sussistere la proporzionalità tra l’obbiettivo da perseguire mediante la limitazione e gli effetti che si producono61.

59 Cfr. CCT 3/94 par. 83-85. 60 Cfr. Art. 1 Canadian Charter of Rights and Freedoms: «The Canadian Charter of Rights and Freedoms guarantees the rights

and freedoms set out in it subject only to such reasonable limits prescribed by law as can be demonstrably justified in a free and democratic society».

61 Si veda il proportionality test elaborato dalla Corte canadese così come citato testualmente dalla Corte sudafricana (par. 105). Una superficiale ed insoddisfacente comparazione è poi operata con gli assai più articolati criteri di bilanciamento tra diritti fondamentali dal Tribunale costituzionale tedesco e dalla Corte di Strasburgo (cfr. par. 108-109); con riguardo a quest’ultima si fa menzione anche dell’interpretazione mediante il margine di apprezzamento nazionale. par. 109. In ragione delle differenze radicali tra la Costituzione post-apartheid ed il sistema europeo di protezione dei diritti fondamentali basato su un trattato multilaterale che non modifica la sovranità nazionale degli Stati, il modello europeo non viene ritenuto una «safe guide» da seguire per l’interpretazione dei meccanismi costituzionali di bilanciamento del Bill of Rights Troppe sarebbero infatti le differenze strutturali, prima che materiali, tra la Cedu e la Costituzione sudafricana. Un approfondito studio comparato in materia di clausole limitative dei diritti fondamentali con particolare riferimento a Sudafrica, Canada e al sistema Cedu è G. Van der

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La Corte motiva in conclusione la decisione d’incostituzionalità della pena capitale: si recepisce l’interpretazione ungherese dell’indissolubilità del diritto alla vita e della dignità umana, diade che costituisce il vertice assiologico del sistema dei diritti fondamentali. La pena capitale, giudicata trattamento degradante come nell’ordinamento canadese, compromette irrimediabilmente il diritto alla vita ed alla dignità incrinando l’intero sistema dei diritti fondamentali. La diade è quindi un nucleo non suscettibile a limitazioni in quanto perno su cui poggia il sistema dei diritti fondamentali. Inoltre, secondo il test di proporzionalità importato dal Canada, la pena di morte è comunque una sanzione sproporzionata in quanto l’ordinamento prevede la possibilità di condanna all’ergastolo. I giudici esprimono forti perplessità, in base a valutazioni extra-giuridiche fondate su studi criminologici, sull’eventuale efficacia deterrente e di prevenzione speciale offerti dalla pena di morte. In modo assai più convincente delle argomentazioni precedenti, i giudici acutamente notano come in Sudafrica la questione razziale, delle disuguaglianze e della povertà sono fattori che debbono essere presi in considerazione nel valutare la costituzionalità della pena capitale. Una percentuale elevatissima dei condannati a morte erano neri appartenenti a classi sociali totalmente emarginate impossibilitate a far minimamente valere il diritto costituzionale alla difesa e le cui manifestazioni criminose non possono essere disgiunte da condizioni socio-economiche di vita estremamente difficili (le cui cause sono radicate nelle logiche dell’ordinamento pregresso). 5. La fase di stabilizzazione: la topografia delle tecniche argomentative in base a modelli ermeneutici stranieri Come si evince dall’analisi degli undici anni di giurisprudenza costituzionale sudafricana, l’utilizzo di parametri interpretativi extra-sistemici si traduce nei seguenti schemi argomentativi ricorrenti:

1) L’uso della comparazione probatoria: le interpretazioni straniere vengono richiamate come fossero “prove” in negativo (qualora un giudice in un’opinione dissenziente fornisce un’interpretazione divergente rispetto a quella del giudizio principale per confutarne il risultato), o in positivo (qualora un giudice – anche in un‘opinione concorrente – fornisca, a suffragio delle sue ipotesi, una casistica straniera convergente). Questo primo schema argomentativo si basa sull’asserzione: anche all’estero la pensano così. I giudici, al fine di rafforzare una data interpretazione, affermano che essa corrisponde, si allinea o coincide con quelle di un altro giudice straniero. L’interpretazione precede il rafforzamento mediante citazione di casistica straniera. L’uso di parametri extra-sistemici assolverebbe, in questo caso, una funzione appunto di rafforzamento retorico-probatorio. Sempre nell’ambito della comparazione probatoria, rientra un secondo schema, simile al primo, che si concretizza nell’asserzione: visto che all’estero la pensano così…. (ovvero se un dato enunciato costituzionale ha questo significato in determinati ordinamenti pre-selezionati), allora “… anche noi attribuiamo il medesimo significato”. Questo schema differisce dal precedente tipo in quanto in un primo tempo si procede ad individuare un modello ermeneutico straniero a cui ricondurre, successivamente, l’interpretazione interna. In questo caso il fenomeno ha conseguenze ancor più problematiche: potenzialmente infinite interpretazioni o argomentazioni straniere possono contenere parametri da cui distillare la “significazione” di una norma costituzionale nazionale o da cui derivare schemi argomentativi. Se, tendenzialmente, conferire significato ad un enunciato nasconde un “procedimento limitatamente creativo” che si affida talvolta anche a dati extra-positivi, qui la “creazione” si spinge molto lontano. Infatti, derivare direttamente ed automaticamente da parametri extra- sistemici il significato degli enunciati normativi interni, significa indirettamente incorporare una pseudo-fonte. In questo caso, far precedere il punto di vista del giudice dall’asserzione: “visto che all’estero la pensano così…”, produce una dinamica consequenziale: automaticamente l’interpretazione di un dato enunciato costituzionale viene derivata dal parametro straniero mediante un procedimento di sussunzione di un caso particolare ad un precedente extra-sistemico.

2) La creazione di un orizzonte ricognitivo: le interpretazioni straniere preparano (ed orientano) l’argomentazione. I giudici, prima di decidere, procedono ad una ricognizione di cosa dicono altri giudici costituzionali a proposito della questione oggetto del contenzioso. I giudici sudafricani declinano talvolta questa tecnica argomentativa cercando di verificare come un dato principio costituzionale o una data questione giuridica è interpretata in molteplici

Schyff, Limitation of Rights, the Hague, Wolf Legal Publishers, 2005.

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ordinamenti stranieri. L’interprete si esprime in questo modo: “prima di decidere, vediamo cosa dicono altri giudici costituzionali pre-selezionati”. L’approccio decisorio è qui tendenzialmente differente per due ragioni: da un lato la circolazione ermeneutica assolve una funzione cognitiva contribuendo a fornire una pluralità di elementi comparativi da cui distillare, eventualmente, soluzioni ermeneutiche compatibili ed efficaci: dall’altro sono presi in considerazione riferimenti stranieri comunque in numero maggiore di due.

3) La costituzione di una forbice: i giudici costruiscono uno schema bipolare entro cui oscillerà l’interpretazione. Gli estremi della forbice sono costituiti da interpretazioni costituzionali straniere. Si tratta di una derivazione del modello dell’orizzonte ricognitivo. Qui, il diritto comparato serve a determinare due poli interpretativi opposti (quasi fossero argini) derivati da giudici di costituzionalità stranieri. In questa circostanza la forbice serve a delimitare l’oscillazione interpretativa che verrà successivamente prescelta dal giudice nel caso in questione.

4) La negazione esplicita di comparabilità che, in un determinato caso in esame, sia necessario rifarsi a pronunce straniere.

5) L’uso combinato di una o più modalità argomentative sopra citate Due precisazioni debbono essere immediatamente fatte. La tecnica argomentativa ed il valore assunto della citazione possono variare radicalmente a seconda della sua collocazione nella decisione: 1) nel testo principale della sentenza (l’opinione di maggioranza); 2) nell’eventuale opinione concorrente; 3) nell’eventuale opinione dissenziente. In quest’ultimo caso, normalmente, la citazione straniera fornisce un “prova” in negativo rispetto all’argomentazione della decisione principale. In secondo luogo, da un orizzonte ricognitivo i giudici possono derivare una forbice. L’analisi casistica mostra un ultimo punto nodale, ad oggi, non ancora sviluppato dai giudici sudafricani. Le soluzioni interpretative prese a prestito sono soggette, in talune circostanze, ad un ulteriore test di “validità”. Esso ha come obbiettivo la valutazione circa la compatibilità sistemica dell’ordinamento straniero (da cui si deriva una data soluzione ermeneutica) con quello sudafricano (e viceversa). 5.1. La comparazione probatoria: argomentare in negativo ed in positivo rispetto ad una tesi principale. La prima tecnica argomentativa individuata è quella che abbiamo definito la comparazione probatoria. Non nascondiamo che si tratta della più controversa e problematica forma di utilizzo di paradigmi ermeneutici stranieri. Tale modalità argomentativa è quella che più spesso evidenzia manipolazioni (dovute a comparazioni scientificamente superficiali), forme di legitimatio ex post di percorsi interpretativi già formati nell’animo dei giudici, prestito di soluzioni straniere da contrapporre eventualmente alla decisione di maggioranza o per resistere all’opinione dissenziente o giudizio di minoranza62. Nella pronuncia Phillips and others v. Director of Public Prosecutions and others63 si discute della legittimità della limitazione della libertà di espressione (art. 16) ed in particolare della freedom of artistic creativity. Essa risulta essere violata dalle disposizioni dell’art. 160 let. d del Liquor Act 27/1989 in materia di licenza di vendita di alcolici. La norma impone al titolare di una licenza di astenersi dalla vendita di alcolici qualora nel locale si tengano spettacoli «offensivi, indecenti, osceni, tenuti da persona svestita o non propriamente vestita». Sanzioni assai pesanti sono previste in caso di violazione. La Corte deve quindi valutare la legittimità della limitazione di un diritto fondamentale di grande importanza simbolica per l’ordinamento post-apartheid e se tale limitazione sia eventualmente giustificata alla luce dei criteri della limitation clause dell’art. 36 Cost. 1996 (verificati i quali, come già visto, è consentita la limitazione dei diritti contenuti nel Bill of Rights). La Corte rileva un’assoluta illegittimità dell’art. 160 let. d dichiarandolo incostituzionale; il contenuto “osceno” degli spettacoli non è criterio legittimo di limitazione della

62 Questo tipo di situazione motiva il giudice Kriegler (nella sua opinione concorrente in Bernstein et al. v. Bester et al, CCT 23/1995) ad esprimere forti perplessità circa l’uso di parametri extra-sistemici. Tre sono gli argomenti principali avanzati da Kriegler. Essi sono per la verità condivisibili in particolare nel contesto di ciò che abbiamo definito la comparazione probatoria: a) il rischio di esporsi a comparazioni per la verità superficiali che possono creare fraintendimenti da parte del giudice “che importa”; b) troppo spesso i parametri extra-sistemici vengono utilizzati nel quadro della dialettica (talvolta polemica) tra i giudici della medesima Corte; c) in alcune circostanze si evidenziano lacune argomentative in quanto non viene spiegato il motivo del ricorso a parametri extra-sistemici. 63 Cfr. CCT 20/02.

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libertà di espressione sotto forma di spettacoli non essendo altresì rilevante il fatto che tale tipologia di spettacolo è proposta in luogo adibito alla mescita di alcolici. Fondamentale, per i giudici, è quindi, surrettiziamente, l’attribuzione di significato alla nozione di “oscenità” ricorrendo ulteriormente alla verifica comparata (nell’opinione dissenziente del giudice Ngcobo ed in quella concorrente del giudice Sachs) se sia in altri ordinamenti legittimo impedire spettacoli “osceni” in appositi luoghi privati aperti al pubblico. Nell’opinione dissidente Ngcobo, essendo in contrasto con quanto stabilito dagli altri giudici – e conseguentemente partendo da una argomentazione in negativo (rispetto alla pronuncia emessa dalla maggioranza dei giudici) – cerca una “prova” della fondatezza della sua argomentazione in una sentenza canadese: Re Koumoudouros et al and Municipality of Metropolitan Toronto. In essa, il giudice canadese Erbele (così come citato da Ngcobo), afferma che la libertà di espressione, enucleata dalla Costituzione del Canada, include anche «l’espressione di tipo artistico», ma quest’ultima non si estende alla libertà di espressione artistica con contenuto osceno finalizzata alla vendita di un maggior quantitativo di alcolici. Alla base vi è la valutazione che l’esposizione di parti genitali è attività rientrante nella categoria dell’oscenità che, se unita alla finalità della vendita di un maggior quantitativo di alcolici, neutralizza la libertà di espressione artistica. Il giudice sudafricano si allinea all’argomentazione del giudice canadese affermando che la libertà di espressione sancita dalla Carta sudafricana non include, al pari di quella canadese (nell’interpretazione del giudice Erbele), spettacoli di esposizione di parti genitali allo scopo di vendere una maggior quantità di alcolici e non di manifestare contenuti artistici64. La scelta di tale pronuncia, risolvendosi in una valutazione di tipo probatorio, risulta essere arbitraria (potrebbero esistere numerose altre interpretazioni, in Canada ed in altri ordinamenti costituzionali, di segno opposto). Lo schema dell’asserzione del giudice è il seguente: “non sono d’accordo con l’interpretazione principale ed a prova della mia tesi vi è l’interpretazione di altri giudici stranieri”. Sostanzialmente assai differente è l’uso di giurisprudenza e dottrina straniera da parte del giudice Sachs che si esprime in un’opinione concorrente; egli non è in disaccordo con la maggioranza ma vuole estendere il campo argomentativo. Sachs, infatti, afferma che la definizione della nozione di oscenità è particolarmente controversa anche in altri “importanti” ordinamenti costituzionali. Pertanto ritiene opportuno, prima di procedere alla sua argomentazione, presentare una breve panoramica di come la medesima problematica è affrontata in Canada e negli Stati Uniti. In primo luogo fornisce altre pronunce canadesi che mitigano profondamente il valore apparentemente radicale della pronuncia citata dal giudice Ngcobo65. In secondo luogo, rinviando a numerose sentenze della Corte Suprema statunitense, evidenzia come essa sia stata per lungo tempo profondamente divisa sull’elaborazione di una nozione univoca di oscenità e di come la questione sia stata poi definita futile66, tanto da affermare la legittimità solo di limitazioni circoscritte di singoli aspetti di contesto degli spettacoli potenzialmente osceni, senza ritenerne lecita

64 La sentenza richiamata è Re Koumoudouros et al and Municipality of Metropolitan Toronto, 6 DLR (4th), 523. Si ha qui un esempio della problematicità dell’uso dei parametri extra-sistemici. Il giudice Ngcobo, che utilizza l’interpretazione dei giudici canadesi, cita il caso nel modo in cui lo si riporta nella presente nota: mancano l’anno della pronuncia e non è chiaro quale giurisdizione canadese abbia emesso la sentenza. La pronuncia è in realtà della Ontario Division Court rubricata come Re Koumoudouros et al. and Municipality of Metropolitan Toronto, 1984, 8 CCC (3d) 364 (C. div. Ont.), la stessa è stata riesaminata, per altri motivi, nel 1985 (23 CCC (3d) 286) e successivamente si è ricorsi in appello innanzi alla Corte suprema canadese che rigetta il ricorso con provvedimento 65 N.R. 78. Il contenzioso innanzi alla Corte di divisione dell’Ontario verteva sull’incostituzionalità di una disposizione di un regolamento municipale della città di Toronto in materia di licenze. Tale disposizione interdiva ai locali con licenza di vendita di alcolici di proporre spettacoli in cui si espongono parti genitali. Anche se la norma del regolamento è stata in realtà confermata dalla Corte, deve essere sottolineato che uno dei motivi principali del ricorso portava sulla legittimità delle sanzioni penali disposte per via regolamentare in caso di infrazione. Come correttamente richiamato da Ngcobo, l’opinione dei giudici canadesi è che: «le fait de découvrir son pubis constituait une forme “d'expression artistique” et était donc comprise dans le mot “expression” qui est garantie par la Charte, le droit qui est restreint par le règlement municipal n'était pas le droit à l'expression artistique, mais bien le droit d'exposer le pubis des artistes afin de promouvoir la vente de boissons alcooliques». Pertanto, i parametri canadesi richiamati nell’opinione dissidente di Ngcobo (secondo una modalità di comparazione chiaramente probatoria) sono pertinenti. Egli dimostra come in Ontario mescita di alcolici e spettacoli “osceni” sono incompatibili ciò non costituendo una limitazione della libertà di espressione artistica. Tuttavia, la qualità dell’esposizione degli argomenti da parte del giudice sudafricano mostra, a nostro parere, più di una debolezza. Imprecisioni e mancanza di esposizione degli elementi comparativi rendono il ragionamento della sua pronuncia oscuro. Il fatto poi di assumere come prova in positivo della sua argomentazione la regolamentazione municipale di Toronto ed una sola pronuncia (ne esistono altre, non citate, sulla medesima questione come Ontario Adult Entertainment Bar Assoc. c. Metropolitan Toronto, 1995, 129 DLR.(4th) 81, C. div. Ont.; e R. c. Zikman, 1986, 16 WCB, 451, CP Ont.) rende la sua argomentazione non interamente convincente. 65 Cfr. Town Cinema Theatres Ltd v. The Queen, 1985, 1, S.C.R. 494; R. v. Tremblay, 1993, 2, S.C.R., 932. 66 Il giudice Sachs cita un passaggio del giudice statunitense Brennan in Paris Adult I v. Slaton 413 U.S. 49 (1973), 86, 9.

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una loro interdizione totale67. Lo schema argomentativo è quindi il seguente: “sono d’accordo con l’interpretazione della maggioranza, non uso argomenti in negativo, voglio aggiungerne altri, procedo ad una limitata ricognizione (e forse arbitraria in quanto non sono forniti i criteri scelta degli ordinamenti selezionati) che conferma la problematicità della questione rilevata anche da altri prestigiosi giudici di costituzionalità”. Questa tecnica argomentativa di Sachs può però essere letta anche secondo il modello della forbice in quanto, citando espressamente ed unicamente il Canada e gli Stati Uniti, di fatto disegna due poli interpretativi al cui interno colloca la sua ipotesi argomentativa. L’argomentazione in base a parametri extra-sistemici di Sachs è però debole: i parametri da lui evocati dimostrano che in altri ordinamenti la liceità di spettacoli anche a contenuto “osceno” è assicurata (rientrando nella libertà di espressione), ma non rispondono alla domanda fondamentale del caso in esame: è manifestazione della libertà di espressione lo spettacolo osceno in cui la finalità principale è la maggior vendita di alcolici; ed ancora, è dimostrabile che spettacoli che contemplino l’esposizione di parti genitali in luogo in cui è autorizzata la mescita di alcolici siano in realtà finalizzati non all’espressione di contenuti artistici ma alla maggior vendita di questi ultimi? La problematicità della comparazione probatoria emerge con forza in una controversa pronuncia decisa cinque contro quattro a cui si aggiunge anche una opinione separata concorrente con la minoranza. Si tratta del caso Garreth Anver Prince v. President of the Law Society et al. del 25 gennaio 200268. Il contenzioso ha ad oggetto una vicenda per molti versi bizzarra che pone problemi giuridici con cui altri giudici costituzionali stranieri si sono confrontati. Il ricorrente è giurista che ha acquisito tutti i titoli necessari per diventare Attorney, ma la Law Society (l’associazione di corporazione forense sudafricana) rifiuta regolare iscrizione nelle apposite liste a causa di due condanne subite dal ricorrente per possesso di cannabis. Questi si difende, fino alla Corte costituzionale, adducendo che, in quanto appartenente alla religione Rastafari, l’uso personale di cannabis è atto connesso, nel quadro del principio di libertà religiosa, alle manifestazioni di culto e di pratiche liturgiche della suddetta religione. Come vedremo, in questo caso, l’uso di modelli ermeneutici stranieri, diventa mezzo per condurre lo scontro interno tra le visioni dei vari giudici; le citazioni sono strumento argomentativo a prova delle decisioni assunte facendo sorgere perplessità metodologiche inerenti alle manipolazioni degli “argomenti” stranieri ed incongruenze con precedenti interpretazioni. La legge sudafricana pone un divieto assoluto di utilizzo e possesso di sostanze psicotrope fatti salvi gli usi per fini medici o di ricerca scientifica. L’oggetto della decisione è quindi sapere se tale divieto è troppo restrittivo in relazione al «bona fide religious purpose» traducendosi in un’ingiusta limitazione della libertà religiosa. L’analisi preliminare dei principi coinvolti disegna una triangolazione tra l’art. 15 (Freedom of religion, belief and opinion), l’art. 31 (in base a cui si lo Stato tutela ed incentiva le Cultural, religious and linguistic communities) e l’art. 36 che prevede i criteri di limitazione dei diritti, come i suddetti, sanciti dal Bill of Rights. Nel quadro delle coordinate assiologiche e materiali del nuovo ordinamento post-apartheid, costruito sul mito politico della Rainbow Nation, il riconoscimento delle più ampie forme di pluralismo, dovute anche alla particolare ricchezza e complessità della composizione del corpo politico sudafricano, sono elementi fondanti il patto costituente post-segregazionista. La questione centrale oggetto della pronuncia sudafricana è quindi verificare se il divieto assoluto di consumo di cannabis, anche per fini di «celebrazioni di tipo liturgico», sia una limitazione della pratica religiosa Rastafari (non giustificabile e irragionevole per una società aperta e democratica in base all’art. 36 Cost. 1996). Nella decisione di minoranza, con cui si apre la pronuncia, si evidenzia un’interpretazione estensiva delle libertà di praticare il proprio «religious belief» (sebbene illogico ed irrazionale69) e di manifestare, praticare, insegnare e disseminare le proprie credenze qualora non vengano rilevati «coercion or restraint». Tutto ciò tollererebbe l’uso di cannabis nelle suddette circostanze. La decisione della maggioranza ha, invece, un’opinione opposta. Tuttavia, a suggello argomentativo della determinazione dei limiti alla libertà in questione operata dalla minoranza dei giudici (e quindi secondo una modalità in positivo o probatoria) viene richiamata una

67 Il Presidente Rehnquist, in Barnes v. Glen Theatre, Inc. 501 U.S. 560 (1991) 572, afferma che le disposizioni, previste dalla legislazione dello Stato dell’Indiana, che non consentono ai ballerini nudità in scenatollerando tuttavia abbigliamenti estremamente succinti, introducono limitazioni di “modesta entità” («narrowly tailored») tanto da non risultare incostituzionali. 68 Cfr. CCT/36/00. 69 Cfr. Ibidem par. 42.

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pronuncia canadese: R. v. Big M Drug Mart Ltd70. Essa verteva sulla costituzionalità della Loi sur le dimanche et observation du dimanche in base alla quale il ricorrente (Drug Mart) è stato accusato di aver venduto illegalmente merci la domenica. In base ad interpretazione consolidata, la finalità della suddetta legge era quella di rendere obbligatoria l’osservanza delle pratiche religiose domenicali. Il divieto di esercizio commerciale domenicale rispondeva quindi ad esigenze di tutela di una ben determinata confessione; tale presupposto risulta essere evidentemente lesivo della libertà di coloro che praticano differenti religioni o confessioni e di coloro che non praticano alcuna di esse. La Corte canadese, ha ritenuto, pertanto, la suddetta legge un’ingiusta limitazione della libertà di coscienza e di religione sancita dalla Carta e, precisamente, «ingiustificabile ed irragionevole limitazione per una società libera e democratica» (quest’ultima, omologa a quella sudafricana, è la formulazione dei criteri costituzionali di limitazione dei diritti fondamentali). Il metodo comparato operato dai giudici di minoranza produce il seguente schema decisorio ed argomentativo: il divieto di commercio domenicale canadese ed il divieto assoluto di uso di cannabis sudafricano sono elementi interscambiabili o sovrapponibili. Lo schema canadese diventa parametro extra-sistemico di matrice argomentativo-probatoria immesso nel circuito interpretativo dell’ordinamento sudafricano. Secondo la decisione di minoranza, tenendo conto dei limitati effetti sulla salute di un uso controllato della cannabis e la relativa assenza di effetti incentivanti sul traffico di stupefacenti prodotto dall’uso liturgico Rastafari, la limitazione sarebbe sproporzionata ed invasiva della libertà di pratica religiosa. I giudici rinvierebbero al legislatore la disciplina di dettaglio di questa particolare evenienza. Ma ecco che la problematicità del metodo comparato appare nella sua reale dimensione. Nella decisione di minoranza, i giudici fanno ricorso ad altri parametri extra-sistemici derivati dall’opinione dissenziente del giudice della Corte Suprema americana Blackmun nel controverso caso (e per molti versi simile) Employment Division, Department of Human Resources of Oregon, et al. v. Smith et al71. Quest’ultimo, trattato dalla Corte suprema statunitense, ha ad oggetto la legittimità dell’uso liturgico del fungo allucinogeno Peyote nel quadro delle cerimonie della Native American Church. In questa pronuncia, la maggioranza dei giudici americani rigetta la legittimità di tale pratica adducendo che l’esercizio della libertà religiosa «does not relieve an individual of the obligation to comply with a valid and neutral law of general application on the ground that the law proscribes (or prescribe) conduct that his or her religion proscribes (or prescribes)»72. Ora, in seno alla Corte sudafricana, si riproduce esattamente il medesimo conflitto interpretativo configuratosi nella suprema corte statunitense: la minoranza dei sudafricani cita l’opinione dissenziente di Blackmun (a cui concorrono Brennan e Marshall inclini a tollerare l’uso circoscritto e limitato per assodati fini liturgico-cerimoniali), la maggioranza, invece, si fa forte della decisione di maggioranza statunitense (che interdice l‘uso di sostanze psicotrope senza distinzioni). Tutti i giudici sudafricani producono parametri extra-sistemici derivati dalla giurisprudenza statunitense in forma strettamente probatoria o confermativa dei loro giudizi. Ciò che è qui interessante rilevare sono tuttavia talune incongruenze che emergono nell’uso di modelli ermeneutici stranieri; due sono quelle principali: innanzi tutto, nell’ultimo esempio, i due casi, seppur simili, non sono identici. L’uso di sostanze allucinogene non è infatti perfettamente sovrapponibile all’uso di cannabis (per effetti sulla salute ed invasività della pratica). L’assimilabilità del caso da cui si deriva un parametro extra-sistemico è addirittura più discutibile nel primo caso richiamato (Drug Mart). In secondo luogo, nella decisione di maggioranza, i giudici sudafricani argomentano in modo probatorio in positivo facendo leva su una pronuncia statunitense laddove, in molte circostanze, la Corte ha affermato che l’ordinamento e le interpretazioni americane, sebbene costantemente esaminate in quanto importante modello di riferimento, non vengono ritenute compatibili con l’ordinamento sudafricano in quanto esistono asimmetrie sistemiche troppo rilevanti73. 70 Cfr. R. v. Big M Drug Mart Ltd, 1985, 1 RCS, 295. 71 Cfr. Employment Division, Department of Human Resources of Oregon, et al. v. Smith et al., 494, US, 1990, 872-911. I giudici sudafricani danno tuttavia prova di seguire anche il dibattito dottrinale critico nei confronti della sentenza che essi richiamano citando Gordon, Free Exercise on the Mountaintop, in Cal. L. Rev., 1991, 79, 91ss.; McConnel, Free Exercise Revisionism and the Smith Decision, in U. Chi. L. Rev., 1990, 57, 1109 ss.; Green, The Political Balance of the Religion Clauses, Yale L.J., 1993, 102, 1611 ss.. 72 Cfr. Employment Division v. Smith, p. 878. 73 Questo dato è sottolineato, nell’opinione separata ma concorrente con la minoranza, dal giudice Sachs (par. 155) che giustamente prende in considerazione un più ampio novero di parametri comparativi nel tentativo di trovare un bilanciamento e un’armonizzazione tra interessi contrapposti. L’approccio di Sachs è quello di prestare attenzione al fatto che la religione Rastafari sarebbe una di quelle «discrete insular minorities» la cui tutela risulta essere problema di forte interesse non solo per la Corte sudafricana, ma anche di «Courts abroad» (par. 157) ed in particolare negli Stati Uniti (di cui viene citata giurisprudenza United States v. Carolene Products, US, 1938, 304, 144; e dottrina consolidata L. Tribe, American Constitutionalism, New York

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In questo caso, la decisione di maggioranza dimostra un forte grado di contraddizione in quanto, a fondamento del loro orientamento, viene posta principalmente la pronuncia di maggioranza statunitense secondo cui, un pieno riconoscimento della libertà religiose in base al Primo Emendamento, non può comportare esenzione, per motivi religiosi, delle «civic obligations» (come pagamento di imposte, disposizioni in materia di salute e sicurezza pubblica, vaccinazioni obbligatorie, normative sugli stupefacenti, diritto del lavoro, divieto del lavoro minorile, trattamenti inumani e degradanti ecc.74). La tecnica argomentativa della comparazione probatoria è utilizzata anche per rinforzare (o legittimare) la selezione degli interessi o dei principi in gioco in un dato contenzioso operata dai giudici di costituzionalità (il c.d. pre-orientamento interpretativo). Questa operazione è notoriamente assai importante in quanto, da essa, può discendere lo sviluppo della risoluzione del problema di costituzionalità sottoposto ai giudici75. Non è pertanto difficile immaginare come l’uso di parametri extra-sistemici, secondo una modalità rafforzativa e giustificativa delle scelte operate dai giudici nei procedimenti di definizione topografica, possa diventare un mezzo di persuasione circa l’efficacia delle scelte operate. Anche questa modalità di importazione di parametri extra-sistemici è stata a più riprese rinvenuta nell’analisi delle pronunce sudafricane. Un caso paradigmatico è Laugh It Off Promotion CC v. South African Breweries International del 27 maggio 200576. Il ricorrente è l’azienda Laugh It Off Promotion che, come attività di natura anche commerciale, altera immagini o parole di brands registrati. Il fine, oltre a quello di natura commerciale, è anche quello di sviluppare una particolare forma di critica sociale e politica77. Quest’ultimo elemento conduce i giudici di Johannesburg a isolare la serie di principi oggetto del contenzioso. Da un lato si ha la libertà di espressione (art. 16 com. 1 della Cost. 1996) e, dall’altro, la protezione della proprietà intellettuale (derivata da una fonte sub-costituzionale, ovvero l’art. 34 com. 1 let. c del Trade Marks Act 194/1993). Ora, per giustificare la scelta secondo cui la normativa sulla proprietà intellettuale possa trovare limiti nella libertà di espressione, si utilizzano parametri di rafforzamento (o, appunto, probatori) extra-sistemici. La tecnica emerge con chiarezza nel passaggio seguente del giudice estensore (Moseneke): «I have intimated earlier that section 341c fails to be construed bearing in mind the entrenched free expression right under section 16. The importance of freedom of expression has been articulated and underscored by this and other courts in this country and indeed in other open democracies and by its inclusion in international law instruments. Suffice it to repeat that freedom of expression is a vital incidence of human dignity, equal worth and freedom. It carries its own inherent worth and serves a collection of other intertwined constitutional ends in open and democratic societies»78. Al fine di provare o di rafforzare la scelta di far “reagire” il principio della libertà di espressione anche con disposizioni che regolano la proprietà intellettuale, la Corte cita una cospicua serie di pronunce delle Corti Supreme della Nuova Zelanda, del Canada, degli Stati Uniti, della Namibia e della Corte di Strasburgo79. I casi stranieri richiamati tendono, pertanto, a rinforzare il pre-orientamento in base a cui la libertà di espressione può consentire una limitazione della proprietà intellettuale, ed a fornire parametri extra-sistemici secondo cui, la suddetta libertà fondamentale riveste un ruolo centrale in altre Foundation Press, 1988 2a ed., 582 ss.). Il giudice Sachs allarga la comparazione citando un caso, assai più simile di quello statunitense, deciso dal Tribunale amministrativo federale (BverwG AZ 3 (20/00). I giudici tedeschi si sono trovati infatti a rigettare il ricorso di un praticante Rastafari nei confronti del quale le autorità avevano negato la facoltà di coltivare piante di marijuana per uso personale. Ora, se la legittimità della modica quantità di consumo e detenzione di cannabis è già stata oggetto di una sentenza del Tribunale costituzionale tedesco (BverGE 90, 145 (185) secondo il giudice Sachs, nella sentenza del Tribunale amministrativo i giudici tedeschi si interrogano realmente sui fini, adducendo che in realtà la facoltà di coltivare marijuana invocata dal ricorrente era maggiormente orientata alla lotta anti-proibizionista piuttosto che ad una effettiva esigenza cerimoniale liturgica Rastafari. Sachs sembra dedurre da ciò (o almeno così è articolato nella sua tecnica argomentativo-retorica) che, anche nel contesto tedesco, esigenze di consumo di sostanze psicotrope per ragioni religiose sarebbero un parametro da tenere in considerazione nel valutare la costituzionalità di divieti assoluti in grado di ledere taluni aspetti della libertà religiosa o di culto anche se nel caso citato l’uso viene negato in ragione della valutazione concreta dei fini del ricorrente (lotta anti-proibizionista piuttosto che uso liturgico). 74 Il passaggio è citato dai giudici sudafricani in Ibidem, pp. 888-889. 75 Cfr. R. Bin, Diritti e argomenti, op. cit. 62 ss. Dove l’A. analizza le «operazioni preliminari» al bilanciamento degli interessi in gioco in un determinato contenzioso. Tali operazioni vengono definite espressamente come «topografia del conflitto». 76 Cfr. CCT 42/04. 77 Nel caso in questione i ricorrenti erano stati condannati per violazione delle leggi sui marchi a causa di una maglietta (da loro prodotta e venduta) in cui un famoso slogan di una birra molto popolare in Sudafrica «Black Label», era stato sostituito, mantenendo inalterato colori e forme della pubblicità della suddetta birra, dalla scritta «Black Labour». Lo scopo, chiaramente politico, era quello di sensibilizzare circa lo sfruttamento del lavoro (a salari molto bassi) che ancora oggi è assai diffuso in Sudafrica (e che era uno dei caratteri fondamentali dell’apartheid). 78 Cfr. CCT 42/04 par. 45, corsivi aggiunti. 79 Si rinvia alla lista dei casi citati alla nota n°46 par. 45 (CCT 42/04).

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«open and democratic societies». Il dubbio che qui preme rilevare è che, in realtà, non viene operata una chiara comparazione, ma solamente un’importazione nel circuito interpretativo sudafricano di queste pronunce straniere. Esse non vengono analizzate ma poste a suggello rafforzativo di una decisione circa la selezione dei principi in gioco. “L’uditorio” che la Corte vuole “persuadere”, qualora volesse confutare il pre-orientamento, dovrebbe cominciare con il criticare la pertinenza dei casi addotti in modo assertivo dalla Corte. 5.2. Creare un orizzonte ricognitivo. Come cercheremo di illustrare, la tecnica argomentativa che si fonda “sull’orizzonte ricognitivo” sembra essere una delle modalità argomentative, ad ora, maggiormente utilizzate. La Corte utilizza questa modalità per rispondere all’esigenza: “comparo per conoscere” al fine di distillare una soluzione ermeneutica alla quale allinearsi o per rassicurarsi circa le scelte interpretative adottate. Il caso Minister of Home Affairs v. National Institute for Crime Prevention and Re-Integration of Offenders (Nicro) and others80 costituisce un esempio eloquente. I ricorrenti, ovvero il Nicro e due condannati a pene detentive, si oppongono all’interdizione dall’esercizio del diritto di voto previsto, in modo indifferenziato, per tutti coloro che subiscono una condanna penale. Pertanto, si solleva una questione di legittimità costituzionale dell’art 24 let. b 1 della legge che emenda l’Electoral Act n° 73/1998 laddove si esclude dal godimento del diritto di voto tutti coloro che stanno scontando una pena detentiva senza option of fine (conversione in sanzione pecuniaria). La nuova norma priva del diritto di voto: 1) anche coloro che non sono stati condannati in via definitiva; 2) e coloro che sono detenuti perché non hanno pagato l’ammontare della conversione della pena detentiva (nel caso del Sudafrica, persone condannate per reati minori ma in condizione di indigenza). Il governo, costituitosi in giudizio, afferma che il restringimento del diritto di voto per tutti i detenuti si colloca nella politica di controllo della spesa pubblica economica. Il godimento di tale diritto per i detenuti indicati nei punti 1 e 2 avrebbe comportato spese organizzative da parte della Commissione elettorale. Lo Stato, si legge, preferisce allocare tali risorse a vantaggio di chi, non avendo violato la legge, soffre di problemi permanenti o temporanei che non permettono di recarsi presso gli uffici di registrazione nelle liste elettorali o di recarsi alle urne. La Corte, in una pronuncia tormentata che vede opinioni concorrenti e dissenzienti, senza biasimare gli sforzi del governo per facilitare il diritto di voto, dichiara l’illegittimità dell’esclusione a danno delle suddette due categorie di persone che si trovano in stato di detenzione. Il problema giuridico per il quale taluni giudici sentono la necessità di operare una ricognizione di quanto avviene in altri ordinamenti costituzionali è la legittimità della limitazione del diritto di voto a danno di coloro che hanno subito una condanna penale. Lo sforzo del giudice Mandala, di operare una ricognizione delle principali legislazioni nazionali sul punto è notevole: intitolando un paragrafo della sua opinione dissenziente «International practice in respect of the right to vote», passa in rassegna la legislazione degli Stati Uniti d’America, di paesi europei, dell’Australia e della Nuova Zelanda, giungendo alla conclusione che, pur non essendoci uniformità in questa materia, la maggior parte degli ordinamenti privano i detenuti, con gradazioni differenti, del diritto di voto. Nella pronuncia principale, la Corte aveva tuttavia già utilizzato la tecnica argomentativa della ricognizione. Il giudice Chaskalson, infatti, aveva dettagliatamente analizzato come la Corte Suprema canadese ha affrontato una questione similare nella pronuncia Sauvé v. Canada affermando che essa illustra molto bene la complessità della questione81. Anche se i giudici sudafricani affermano poi che la questione di costituzionalità su cui debbono esprimersi differisce da Sauvé v. Canada, l’argomentazione canadese diventa valido strumento per analizzare le questioni sottese alla limitazione del diritto di voto per i detenuti82. Ora, in ragione dell’importanza simbolica e sostanziale del diritto di voto nell’era post-segregazionista,

80 Cfr. CCT/03/04. 81 Nell’ordinamento costituzionale canadese la limitazione di un diritto fondamentale (come il diritto di voto) è legittima solamente se tale limitazione supera il test del minimum impairment. Il tormentato iter legislativo di modifica dell’art. 51 let. e dell’Electoral Act, ed il problematico vaglio di costituzionalità da parte della Corte Suprema (che decide solamente a maggioranza di cinque su quattro in Sauvé v. Canada (Chief Electoral), 2002, SCC, 68 rilevando l’incostituzionalità dell’esclusione dal diritto di voto dei detenuti) vengono assunti come punto interpretativo di partenza da parte della Corte sudafricana. La similarità della questione canadese e quella sudafricana ci sembra qui assai elevata per ciò che attiene agli elementi di diritto, ai principi ed agli elementi fattuali coinvolti. 82 La Corte sudafricana deve infatti esprimersi sulla legittimità costituzionale della limitazione del diritto di voto sulla scorta di valutazioni economiche e di decisioni politiche circa l’allocazione di fondi per il concreto godimento del diritto di voto in cui vengono sacrificati i detenuti a beneficio di cittadini impossibilitati a recarsi alle urne o agli uffici di registrazione elettorale.

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come parte fondante il patto costituente che vede nel riconoscimento dei diritti civili e politici alla black majority l’elemento essenziale (dovendo ancora realizzarsi il godimento dei diritti economici e sociali), il più ampio godimento possibile dei diritti connessi alla cittadinanza politica deve essere riconosciuto83. Pertanto, il regime carcerario particolare dei detenuti in questione non è compatibile con la privazione di un diritto fondamentale come quello all’elettorato attivo. In questo caso la comparazione ha assolto una funzione strettamente conoscitiva; la Corte non si allinea ad alcun modello straniero, utilizza la pronuncia canadese solo per verificare la topografia dei principi coinvolti, compara numerose legislazioni nazionali verificando la sussistenza di molteplici soluzioni legislative in materia. L’effetto retorico-persuasivo di tale prassi è molto forte. Caso evocativo dell’interpretazione in base alla tecnica dell’orizzonte, è Buzani Donoi v. State La pronuncia, resa il 5 aprile 2001, conferma l’ordine di illegittimità costituzionale emesso dalla Eastern Cape High Court, sulla base dell’art. 172 com. 2 della Cost. 1996, degli artt. 511 com. 1 e 53 com. 3 let. a del nuovo Criminal Law Amendment Act 105/97. Le disposizioni prevedono le fattispecie penali per cui è previsto l’ergastolo (art. 51 com. 1; e le ipotesi in cui vi sono invece circostanze attenuanti de jure «substantial and compelling circumstances»). I giudici della High Court contestano la legittimità costituzionale di queste disposizioni in quanto lesive del principio della separazione dei poteri. Le norme in esame, infatti, vengono ritenute lesive dell’autonomia della magistratura che sarebbe, secondo i giudici a quibus, troppo vincolata dai parametri di sentencing stabiliti ex lege. Ciò che si configura è un conflitto tra poteri. Se il potere legislativo ha spesso dimostrato diffidenza verso il sistema di controllo di costituzionalità lamentando la violazione della sovranità del Parlamento, nel contenzioso in esame è il turno dei giudici ordinari che denunciano la lesione dell’autonomia della magistratura rappresentata dalle nuove cornici edittali previste dalla legge. L’analisi comparata della Corte è racchiusa in un capitolo della sentenza intitolato Foreign Jurisprudence. I giudici costituzionali rilevano che esistono numerosi esempi di “società democratiche ed aperte” che delegano al legislativo la determinazione del sistema sanzionatorio (dato scontato per i sistemi romano-germanici); gli Stati Uniti ed il Canada sono espressamente citati84. Secondo i giudici sudafricani, negli Stati Uniti, fin da pronunce del 191085, la definizione da parte del potere legislativo delle pene non è considerabile come una violazione del principio della separazione se ciò è esercitato nei limiti della Costituzione; un passaggio di Mistretta v. United States è citato: «a degree of overlapping, a duty of interdependence as well as independence the absence of which would preclude the establishment of a Nation capable of governing itself effectively»86. A tal proposito si afferma anche che la co-partecipazione dei poteri dello Stato all’elaborazione della norma penale costituisce una forma efficace di check and balance87. Inoltre, è l’VIII emendamento che prescrive la definizione ex lege della cornice edittale al fine di evitare pene sproporzionate o «cruel and unusual punishment»88. La Corte sudafricana nota poi come anche per l’ordinamento costituzionale canadese, così come interpretato dalla Corte Suprema, la determinazione ex lege delle pene non è considerabile una violazione della separazione dei poteri89 (art. 12 Canadian Charter of Rights and Freedoms). I giudici di Johannesburg ampliano poi la comparazione ad altri sistemi: Australia, Germania, India, Nuova Zelanda ed Inghilterra. Il metodo comparato è interessante anche da un punto di vista meramente visuale. In una serie di note successive la Corte illustra i caratteri generali di questi ordinamenti notando che essi contengono disposizioni sovente molto più invasive della funzione giudiziaria di quanto preveda l’art. 51 com. 1 del Criminal Law Amendment Act. La Corte nota come nel sistema australiano non sia assolutamente configurabile una violazione della separazione dei poteri allorquando siano previste pene minime obbligatorie per determinate fattispecie criminose e come spetti al contrario al legislativo determinare le sanzioni applicabili. Rispetto al sistema tedesco, che

83 Un caso molto simile (sempre in materia di diritto di voto per i detenuti) Arnold Keith August et al. v. Electoral Commission et al del 1 aprile 1999 (CCT 8/99) era stato deciso in precedenza dalla Corte nel 1999. La pronuncia è meno articolata ma i giudici avevano già provveduto a tracciare l’orizzonte comparativo con gli ordinamenti stranieri poi più puntualmente analizzati nella pronuncia del 2004. 84 Cfr. CCT 1/01 par. 27 ss. 85 Cfr. Weems v. United States, 217 US, 1910, 349 (in CCT 1/01 par. 28). 86 Cfr. Mistretta v. United States, 488, US, 1989, 361 (in CCT 1/01 par. 28). 87 Cfr. United Sates v. Brown, 381, US, 1965, 437-443 (in CCT 1/01 par. 28). 88 Vengono citate a questo proposito numerosissime sentenze, tra le più recenti: Rummel v. Estelle, 445, US, 1980, 263; e Harmelin v. Michigan, 501, US, 1991, 957. 89 La Corte sudafricana al par. 30 cita R. v. Smith, 34, CCC (3d), 97, 1987; e R. v. Latimer, SCC, 1, file n° 26980 (18.1.2001).

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ovviamente si differenzia radicalmente dagli ordinamenti di common law, la Corte sudafricana prende in esame lo Strafgesetzbuch (StGB) la cui parte speciale prescrive le cornici edittali, così come gli art. 211 omicidio e 220a genocidio, in cui la pena è direttamente fissata dalla legge. Anche rispetto al sistema indiano e neozelandese si sottolinea come l’attività di sentencing sia guidata da criteri ex lege. Viene poi sottolineato che il Criminal Justice Act 1991 (emendato dal Criminal Justice Act 1993) del Regno Unito contenga «the most comprehensive attempt to influence judicial sentencing policy»90. La comparazione si conclude con un riferimento alla High Court della Namibia che utilizza il criterio del «grossly disproportionate test» per determinare se il minimo edittale di una pena costituisca, secondo l’art. 8 com. 2 let. b della Costituzione della Namibia, un trattamento o una pena crudele, inumano o degradante91. La Corte, sulla scorta di quanto analizzato, afferma che: «It has never, so far as I have been able to determine [giudice estensore Ackermann], been decided in any of these jurisdictions that mere involvement by the legislature in the sentencing field conflicts with the separation of powers principle». Nelle conclusioni si legge che la decisione di respingere l’ordine di illegittimità costituzionale emesso dalla High Court dell’art. 51 com. 1 per violazione dell’art 1652 com. 2-4 Cost. 1996 (autonomia e l’indipendenza della magistratura), è in «accord with the jurisprudence of leading democracies in the world»92. La Corte tenta di ricavare un orizzonte da cui distillare uno standard interpretativo, anche se in modo per la verità non sempre soddisfacente, nel caso Islamic Unity Convention v. Independent Broadcasting Authority et al. dell’11 aprile 200293. Il ricorrente alla Corte è la Radio 786 accusata del fatto che, nel corso di un suo programma radiofonico intitolato Zionism and Israel, furono espresse idee particolarmente critiche circa la legittimità della fondazione dello Stato di Israele fino a toccare, in determinati passaggi, elementi di matrice negazionista. A seguito di denuncia operata dal South African Jewish Board of Deputies presso la Broadcasting Authority, si denuncia la Radio per violazione della clausola 2 del Code of Conduct for Broadcasting Services in quanto i contenuti della trasmissione: «was likely to prejudice relations between sections of the population, i.e. Jews and other communities». La Radio 786 reagisce affermando che non solo la clausola 2 non è stata violata, ma anzi questa sarebbe incostituzionale alla luce dell’art 16 Cost. (libertà di espressione). In questa circostanza la Corte si trova a statuire ancora una volta su terreno noto a numerosi giudici di costituzionalità: i limiti della libertà di espressione. E’ in questo contesto che il giudice Langa (estensore della pronuncia) si adopera per fissare l’orizzonte interpretativo. Le giurisdizioni prescelte sono: la Corte di Strasburgo (di cui vengono però richiamate solo tre pronunce United Communist Party of Turkey and Other v. Turkey, e le studiatissime Repah Partisi v. Turkey e Handyside v. The United Kingdom), la Corte Suprema canadese (di cui richiama la pronuncia R. v. Zundel94); generale rinvio è fatto a non precisate sentenze del Tribunale Costituzionale tedesco95. Da questo orizzonte, da cui mancano all’appello autorevoli elaborazioni interpretative, i giudici sudafricani distillano comunque un principio secondo cui: «South Africa is not alone in its recognition of the right to freedom of expression and its importance to a democratic society (…). Open and democratic societies permit reasonable proscription of activity and expression that pose a real and substantial threat to such values and to the constitutional order itself» (par. 28-29)96. E’ evidente come la Corte cerca una conferma interpretativa per dare forza alle disposizioni costituzionali in materia di libertà di espressione secondo cui, tale libertà, non può essere estesa alla: «propaganda for war; incitement of imminent violence; advocacy of hatred that is based on race, 90 Tutto ciò è in CCT 1/01 par. 32. 91 Si cita State v. Vries 12, 1996 in Butterworth Constitutional Law Report, 1666 (Nm), 1676G e 1702J-1703A. 92 Cfr. CCT 1/01, par. 50. 93 Cfr. CCT 36/01. 94 I giudici sudafricani fanno espressamente rinvio alla pronuncia di minoranza del giudice Cory in R. Zundel, 1992, 10 CRR(2d), 193 (SCC). 95 La tecnica è qui quella di un superficiale ed insoddisfacente rinvio alla trattazione in materia operata in Curie, The Constitution of the Federal Republic of Germany, Chicago, Chicago University Press, 1994, 213-215. Un dato curioso e per certi versi evocativo deve essere sottolineato. Il testo ora citato in lingua inglese in materia di diritto costituzionale tedesco è proprio tra quelli che B. Markesinis, Il metodo della comparazione, op. cit., individua tra i principali vettori di diffusione del diritto costituzionale tedesco nel mondo anglo-sassone. In questo caso, pertanto, i giudici sudafricano utilizzano parametri tedeschi da fonti secondarie o linguisticamente mediate. 96 Corsivi aggiunti

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ethnicity, gender or religion, and that constitutes incitement to cause harm» (art. 16 com. 2). Tuttavia, se la Costituzione già prevede una limitazione della libertà di espressione in base ad un «real and substantial threat» per i valori e l’ordinamento costituzionale, la Corte sembra voler dar forza a tale disposizione accertandosi che ciò sia in linea con standard internazionali. In altri termini, i giudici sembrano non accontentarsi del dato formale presente nel testo costituzionale, volendo leggere la disposizione nel quadro di prassi interpretative di altri importanti giudici costituzionali. Pertanto, i giudici di Johannesburg, dall’orizzonte comparato tracciato per la verità in maniera insoddisfacente, cercano conferma dell’esistenza, in altri ordinamenti, di un elemento che funga da limite alla libertà di espressione: questo viene individuato nella minaccia concreta per l’unità dell’ordinamento ed i valori costituzionali che l’esercizio illimitato della libertà di manifestazione del pensiero può generare. L’orizzonte sembra qui rispondere ad una esigenza di rassicurazione. I giudici sembrano cercare conferma che i limiti costituzionalmente tracciati di una libertà così importante per un ordinamento che si fonda sulla rottura rispetto ad un regime illiberale siano tendenzialmente in linea con quelli previsti in altri “autorevoli” ordinamenti. La tecnica dell’orizzonte è ancor più chiara in un altro caso che sottende delicate questioni di politica estera: Mohamed et al. v. President of Republic of South Africa et al. del 28 maggio 200197. Il ricorrente, un cittadino tanzaniano clandestinamente immigrato in Sudafrica, è arrestato in un’operazione in collaborazione tra la polizia sudafricana e l’Fbi ed estradato con procedura illegale negli Stati Uniti. Qui rischia la condanna alla pena capitale in quanto accusato di aver preso parte agli attacchi terroristici di Nairobi del 1998 contro l’Ambasciata statunitense. Anche se il ricorrente non è cittadino sudafricano, la Corte vuole riaffermare con forza la scelta abolizionista della pena di morte ed il principio del divieto di estradizione in uno Stato in cui l’estradato rischia la pena capitale senza previa assicurazione diplomatica che, nell’eventualità di una condanna, essa non verrà eseguita. Lo sforzo di ricostruire l’orizzonte comparativo, al fine di allineare il Sudafrica con standard interpretativi dei paesi che rifiutano la pena capitale, è senza dubbio molto grande. L’argomentazione incomincia prendendo in esame gli standard britannici e dei paesi ex Commonwealth98. In seguito è il “pellegrinaggio” al “santuario” costituzionale canadese che si delinea attraverso l’analisi di Minister of Justice v. Burns, Kindler v. Canada (Minister of Justice)99, Reference re Ng Extradition (Canada)100, Halm v. Canada (Minister of Employment and Immigration) (TD). L’orizzonte passa per l’analisi di pronunce della Corte di Strasburgo in materia101. Agli occhi dei giudici sudafricani lo standard dei paesi selezionati appare tendenzialmente omogeneo. I paesi che rifiutano la pena capitale non prevedono l’estradizione di persona accusata che rischia la pena capitale nel paese che richiede il provvedimento. Anche in questa circostanza, sembra che la Corte si senta rassicurata dai risultati dell’analisi comparativa: «South Africa is a young democracy still finding its way to full compliance with the values and ideals enshrined in the Constitution» (par. 69). Pertanto, confermando l’illegittimità del provvedimento di estradizione eseguito, i giudici di Johannesburg allineano la loro interpretazione con quella di altri sistemi. Inoltre, si dispone che il testo della decisione venga inviato alla Federal Court for the Southern District of New York (davanti a cui è processato il ricorrente) non potendo la Corte intimare al governo sudafricano di agire per via diplomatica presso le autorità statunitensi, in forza dell’impossibilità di sindacare gli atti di politica estera dell’esecutivo. Un chiaro esempio di orizzonte è riscontrabile in Ex Parte The President of the Republic v. in re: Constitutionality of Liquor Bill dell’11 novembre 1999102. La Corte deve pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del meccanismo di ricorso preventivo astratto su richiesta del Presidente della Repubblica (art. 84 com. 2 let. c). Attivato per la prima volta nella storia costituzionale sudafricana durante il procedimento di approvazione del Liquor Bill, il controllo di costituzionalità secondo la

97 Cfr. CCT 17/01. 98 Si cita R. v. Brixton Prison (Governor) ex parte Solben, 1962, 3 All ER 641 (CA), 659F-660B e le normative britanniche: Alien Order 1953 emendato dall’art. 3 com. 5 let. b e la Schedule 3 dell’Immigration Act 1971 (cfr. CCT17/01 par. 30-31). 99 Cfr. (1991), 6 CRR (2d), 193. 100 Cfr. (1991), 6 CRR (2d), 252. 101 Vengono analizzate Soering v. United Kingdom; Ahmed v. Austria; Chahal v. United Kingdom. Va altresì ricordato che la decisione della Corte sudafricana deve affrontare altre questioni a latere che necessitano la definizione di altri scenari comparativi. In particolare è la questione del «Consent to deportation or extradition» che spinge i giudici a prendere in considerazione molteplici pronunce straniere statunitensi, neo zelandesi, canadesi ed indiane in materia (tra cui le classiche Miranda v. Arizona ed Escobar v. Illinois della Corte Suprema americana) cfr. par. 62-67. 102 Cfr. CCT 12/99.

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modalità preventiva aveva sollevato una forte resistenza politica. La Corte, pertanto, prima di pronunciarsi sulla costituzionalità del testo legislativo, deve statuire sulla costituzionalità della modalità di ricorso. L’utilizzo di parametri extra-sistemici investe la seconda questione, per risolvere la quale, si analizzano, con apprezzabile metodo giuridico comparato, i meccanismi di ricorso negli ordinamenti statunitense, inglese, australiano, neo zelandese, irlandese, indiano e canadese, interrogandosi prevalentemente sul meccanismo di controllo di costituzionalità previsto dalla Costituzione francese del 1958. Osservare cosa accade all’esterno non serve qui per conferire significato agli enunciati costituzionali (in questo caso tendenzialmente chiari), ma piuttosto, ancora una volta, per acquisire fiducia circa le scelte fatte dal costituente. Attraverso tale modalità decisionale, la Corte prende coscienza del ruolo attivo che la Costituzione le impone di ricoprire in forza dell’ampio ventaglio di possibilità di attivazione del giudizio di costituzionalità. Affermando che: «comparable procedure do exist in other constitutions, though none is quite like our own» (par. 7), i giudici di Johannesburg si assicurano, da un lato, che la procedura prevista dalla Costituzione sia da lungo tempo sperimentata in altri ordinamenti, e, dall’altro, che le specificità costituzionali sudafricane non costituiscono un azzardo avventuroso. Studiando le soluzioni normative ed i paradigmi ermeneutici di paesi che la Corte definisce del «primo mondo», si cercano, in Lawrie Joh Fraser v. Children’s Court et. al del 5 febbraio 1997, le soluzioni atte a valutare la legittimità costituzionale dell’art. 184d del Children Care Act 74/1983 e ad indicare al Parlamento eventuali aree di intervento legislativo. La Corte è chiamata a statuire sulla necessità di prevedere il consenso del padre naturale all’adozione del proprio figlio decisa unilateralmente dalla madre. In questo quadro, si discuta delle norme in materia di filiazione, delle trasformazioni dalla struttura famigliare che sempre di più prescinde dal matrimonio, così come del problema, percepito in modo molto forte in Sudafrica delle gender inequalities e delle discriminazioni di fatto ricadenti sulle donne e sulla prole. La Corte, prima di decidere, traccia un orizzonte che prende in considerazione la legislazione e la giurisprudenza in materia di adozione negli Stati Uniti, in Canada, in Inghilterra e nel contesto degli Stati parte della CEDU. Il dispositivo è preceduto da un lungo paragrafo dal titolo: «The effect of the foreign responses» (par. 43). Ora, prima di passare la mano al Parlamento, la Corte dichiara che: «… the legislative approaches adopted in ‘first-world’ countries described in the preceding paragraphs should be viewed with caution103. The socio-economic and historical factors that give rise to gender inequalities in South Africa are not the same as those in many of the ‘first world’ countries described. The task facing the parliament is thus a challenging one» (par. 44). I giudici affermano che, secondo l’ottica del “primo mondo”, il consenso del padre all’adozione sembrerebbe tendenzialmente necessario assieme a quello della madre. La Corte opera quindi un giudizio di compatibilità di tale principio derivato dall’orizzonte comparativo. Tale soluzione di principio mal si adatterebbe, infatti, alla situazione sudafricana caratterizzata da altissimi tassi di natalità a seguito di violenza sessuale, nel quadro di strutture relazionali tra genitori non fondate su legami stabili ed in situazioni di profonda indigenza. La Corte, a seguito di comparazione, ammonisce il Parlamento circa le conseguenze dell’introduzione dell’obbligo imperativo del consenso paterno così come emerge all’estero. Sottolineando appunto il difficile compito del Parlamento di trovare un giusto bilanciamento tra interessi, la Corte mostra, tuttavia, che la comparazione conoscitiva è stata molto utile a ricavare le soluzioni normative esistenti e, contestualmente, a mettere in evidenza le specificità socio-economiche nazionali che impongono soluzioni adatte al Sudafrica. L’obbligatorietà del consenso paterno all’adozione si potrebbe tradurre in situazione di forte danno per la madre (non in grado di assolvere gli obblighi parentali), e per la prole (nata in condizioni di estrema difficoltà famigliare). 5.3. Il meccanismo della forbice. Attraverso la tecnica argomentativa della forbice i giudici cercano di individuare due o più paradigmi ermeneutici o schemi argomentativi stranieri quasi a voler delimitare la possibile oscillazione dell’interpretazione. Si tratta di margini di contenimento al cui interno fissare l’interpretazione della costituzione sudafricana, senza precludersi la possibilità concreta di allineare l’interpretazione a uno dei due poli. In questo caso il meccanismo della forbice si trasformerebbe in modalità probatoria in positivo o negativo.

103 Cfr. CCT 31/96 corsivo aggiunto.

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Un esempio evocativo è fornito dall’opinione dissidente del giudice Mandala in Lawyers for Human rights and Ann Francis Eveleth v. Minister of Home Affaires104. Il giudice approfondisce una questione secondaria rispetto alla questione di illegittimità trattata nella sentenza (illegittimità di alcune disposizioni in materia di immigrazione illegale e possibilità di arresto e detenzione temporanea di clandestini) ma di grande importanza generale: il contenuto del right to standing ovvero la possibilità, in base all’art. 38 della Costituzione sudafricana, di far valere direttamente una violazione di norme del Bill of Rights di fronte ad un giudice competente (ivi compresa la Corte Costituzionale). Ora, Mandala richiama due interpretazioni molto differenti: la prima proveniente dall’ordinamento del Canada, la seconda da quello dell’India. Mandala afferma che nella giurisprudenza canadese è emersa una tendenza a riconoscere una certa “discrezionalità” nel valutare il right to standing sulla base di tre criteri: 1) la questione che si vuole portare davanti ai giudici lascia presumere una serious legal question, 2) il proponente ha un genuine interest in the resolution of the question; 3) non esiste alcun altro modo che consenta di portare la questione davanti ad un giudice105. Il giudice Sachs mostra poi la declinazione opposta del right to standing elaborata nell’ordinamento dell’India, secondo cui il judicial redress è consentito solamente a coloro che lamentano una violazione di un loro diritto da parte dello stato, dalle autorità pubbliche o da altra persona106. Tra l’interpretazione relativamente estensiva canadese e quella restrittiva indiana del right to standing, Sachs riconosce, nel caso in questione, il diritto di tutti i ricorrenti ad adire la Corte costituzionale, argomentando che la tendenziale interpretazione estensiva dell’art. 38 è posta a tutela dei segmenti più vulnerabili della società sudafricana che hanno subito in passato gli effetti del sistema di apartheid rendendo loro più agevole l’accesso al potere giurisdizionale per una più efficace protezione dei diritti garantiti dalla Costituzione107. Si può notare la tecnica della forbice in un ulteriore caso: State v. Russel Mamabolo et. al. del 11 aprile 2001108. Il contenzioso ha ad oggetto la costituzionalità della fattispecie penale del scandalising the Court (parte della più ampia categoria del contempt of Court) in relazione al principio, ex art. 16 Cost. (libertà di espressione). Il ricorrente è un importante esponente politico della destra radicale incarcerato per aver indirettamente criticato una sentenza a suo danno affermando, in un quotidiano nazionale, la necessità di introdurre la responsabilità dei giudici. Anche se la Corte ha giudicato le esternazioni non integranti la fattispecie di scandalising the Court (e quindi la detenzione che ne è derivata illegittima), i giudici sono costretti a sviluppare una lunga e complessa argomentazione circa la legittimità costituzionale della sopra citata fattispecie. La Corte fissa una forbice: da un lato numerosi ordinamenti di common law che prevedono questa fattispecie (Inghilterra, Canada, India, Australia, Nuova Zelanda, Hong Kong, Zimbabwe, Namibia109) e dall’altro gli Stati Uniti che, sebbene abbiano la fattispecie del contempt of Court, non conoscono la fattispecie del scandalising the Court, in forza di una netta prevalenza del principio della Freedom of expression, in base all’interpretazioni del Primo Emendamento110. La pronuncia diventa di grandissimo interesse in quanto si nota la penetrazione di parametri extra-sistemici nella configurazione dei contenziosi innanzi alla Corte. Infatti, l’amicus curiae costituitosi in favore dell’incostituzionalità del reato di scandalising the Court, cita, secondo una modalità di

104 Cfr. Lawyers for Human rights and Ann Francis Eveleth v. Minister of Home Affaires 2003 (8) BCLR, 891 (T) 105 Sachs evince questi criteri da Canada (Minister of Justice) v. Borowski, 1981, 2, SCR, 575, 64 CCC (2d), 97, 130, DLR (3d), 588; e da Canadian Council of Churches v. the Queen,1992, 1, SCR, 236. E’ assai interessante notare che la pronuncia Borowki abbia incontrato una più ampia circolazione; essa è in fatti citata dalla Corte suprema israeliana (sitting as High Court of Justice) in Major (Res.) Yehuda Resseler et al. v. Minister of Defence, HCJ, 910/86 caso delicato in cui si discute, attraverso la determinazione del right to standing, della regolamentazione dell’esenzione o del rinvio o dell’esenzione dal servizio militare per gli studenti del Collegi Talmudici (Yeshivot). 106 Cfr. Sachs in ibidem, par. 76-77 in cui cita S.P. Gupta & ors. Etc. etc. v. Union of India & ors., 1982, 2, SCR. 365, 520. 107 La Corte sudafricana, nella pronuncia principale, aveva rilevato incidentalmente rispetto all’art. 38 che il right to standing in esso codificato «introduces a radical departure from common law in relation to standing. Indeed, the terms of the section [38] limit considerably the degree to which an analysis of the standing jurisprudence in other countries can be of real assistance». Questa affermazione della Corte stimola due considerazioni: 1) l’orizzonte di comparazione con esperienze straniere sembra essere senza dubbio radicato; 2) tuttavia la Corte sembra sottolineare la diversità delle disposizioni dell’art. 38 solamente rispetto al common law; 3) così facendo, la Corte evidenzia un lapsus inconscio: è il mondo di common law il vero riferimento normativo e giurisprudenziale, non interrogandosi invece su eventuali differenze dell’art. 38 con ordinamenti di area di civil law 108 Cfr, CCT 44/00. 109 Cfr. Ibidem, par. 20 in cui, alla nota 21, la Corte cita la giurisprudenza di questi paesi che confermerebbe la sua tesi. 110 I giudici sudafricani fissano il polo opposto della formice in una famosa pronuncia della Corte Suprema americana Bridges v. California, 314, US, 252 (1941).

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argomentazione probatoria in positivo, il caso R. Kopyto della Ontario Court of Appeal111. In questa pronuncia emerge come anche in Canada si sia discusso della necessità di introdurre l’interpretazione della libertà di espressione secondo una declinazione statunitense. L’amicus si allinea infatti con i giudici della pronuncia di maggioranza canadese che si esprimono a favore dell’introduzione del famoso test americano del «clear and present danger» per valutare i casi di legittima limitazione della libertà di espressione. Ma è a questo punto che i giudici sudafricani, avendo delimitato il campo di oscillazione ermeneutica, procedono ad una interessante comparazione. In primo luogo, dialogando con l’argomentazione dell’amicus, dichiarano di allinearsi con la decisione contraria di minoranza in Kopyto, affermando: «I respectfully share the misgivings expressed by Gubbay e Dubin (in minoranza) about the suitability of that test in a jurisdiction that does not have to apply the First Amendment nor enjoy the benefit of the extensive and complex jurisprudence so carefully constructed by the United States courts» (par. 35). E poi: « … before one could subscribe to such importation of a foreign product, one need to be persuaded, not only that it is significantly preferable in principle, but also that its perceived promise is likely to be substantiated in practice in our legal system and society it has been developed to serve. More pertinently, it would have to be established that the clear and present danger test, in the adapted form proposed or in some permutation, was consonant with our South African constitutional values system … . I remain [Kriegler estensore] very much unpersuaded» (par. 36). Rifiutando l’interpretazione statunitense (polo opposto della forbice), la Corte ragiona comparativamente: «one should be slow to engraft such a test on to our law: the two [ovvero i sistemi di limitazione americano e sudafricano della libertà di espressione] are inherently incompatible, because they stem from different common law origins and subsists in materially different constitutional regimes. The balance which our common law strikes between protection of an individual’s reputation and the right to freedom of expression differs fundamentally from the balance struck in the United States112. The difference is even more marked under the two constitutional regimes. The Unites States constitution stands as a monument to the vision and libertarian aspirations of the Founding Fathers; and the First Amendment in particular to the values endorsed by all who cherish freedom. Our Constitution is a wholly different kind of instrument (…) more explicit, more detailed, more balanced more carefully phrased and counterpoised, representing a multi disciplinary effort on the part of hundreds of expert advisors and political negotiators to product a blueprint for future governance of the country. … [la libertà di espressione] For us is not a pre-eminent freedom ranking above all others. It is not even an unqualified right. The First Amendment declaims an unequivocal and sweeping commandment; section 161, the corresponding provision in our Constitution, is wholly different in style and significantly different in content. It is carefully worded, enumerating specific instances of the freedom and is immediately followed by a number of limitations» (par. 40)113. A suggello dell’interpretazione sudafricana del principio della libertà di espressione che si discosta dal modello statunitense, i giudici affermano: «The Constitution proclaims three conjoined, reciprocal and covalent values to be foundational to the Republic: human dignity, equality and freedom (…). What is clear is that freedom of expression does not enjoy superior status in our law» (par. 41). A riprova della tecnica argomentativa della forbice, la Corte riafferma di prendere distanza dall’interpretazione canadese: «It is therefore in my view not wise to choose a re-tooled version of a minimalist test, that was originally crafted for the American system where minimal interferences with a predominant constitutional right under First Amendment was called for, and was then adapted by Canadian provincial courts …». La libertà di espressione deve essere quindi bilanciata in forza dei limiti previsti dallo stesso art. 162. In conclusione la fattispecie in questione non è incostituzionale, anche se il regime sanzionatorio rimane, per la Corte, sproporzionato. 5.4. “I parametri extra-sistemici addotti non sono pertinenti!”: un decisione arbitraria? Nel caso Mashavha v. President of the RSA and Other114 emergono due dati importanti dai risvolti problematici: 1) una delle parti costituitesi in giudizio innanzi alla Corte costituzionale introduce, nella

111 (1987) 47 DLR (4th), 213 (Ont.CA). Sebbene la Corte d’Appello dell’Ontario abbia ora un sito web con la giurisprudenza on line, il data base è per ora aggiornato al 1999. Ciò ha impedito di recuperare questa pronuncia. 112 Si cita The New York Times Co v. Sullivan, 376 US, 254, (1964) affermando che in tale pronuncia si discute sulle modalità di bilanciamento nel contesto statunitense. 113 Si rinvia al par. precedente dove i limiti alla libertà di espressione sono già stati analizzati con riferimento ad altro caso. 114 Cfr. Mashavha v. President of the RSA and Other, 2004 (3) BCLR 292 (T)

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propria memoria, un argomento extra-sistemico secondo la modalità probatoria; 2) la Corte non ritiene pertinenti i casi stranieri citati. La questione di illegittimità costituzionale riguarda la Presidential Proclamation R7/1996 in base a cui si assegnava alla competenza dei governi delle Province l’amministrazione del sistema previdenziale disegnato dal Social Assistance Act n°59/1992. La questione è di grande importanza; non si tratta, infatti, di sapere solamente se la competenza della materia previdenziale era assegnata dalla Costituzione transitoria allo Stato o alle province e se, conseguentemente, il Presidente della Repubblica aveva il potere di assegnare tale materia alla competenza degli enti territoriali, ma in particolare è essenziale valutare la costituzionalità di una norma che inevitabilmente introduce un sistema asimmetrico di godimento dei diritti sociali di previdenza. In questa ipotesi si produrrebbe una violazione profonda del principio di uguaglianza. Il governo del KwaZulu Natal (Kzn), storicamente enclave del gruppo Zulu fortemente autonomista e sostenitore della più ampia decentralizzazione possibile, si oppone in giudizio all’ordine di invalidità costituzionale pronunciato dalla High Court della Presidential Proclamation R7/1996. La decisione della High Court, in attesa della conferma da parte della Corte costituzionale, aveva l’effetto di riportare l’amministrazione del sistema previdenziale nell’ambito delle competenze nazionali. E’ in questo quadro che il Kzn, nella sua memoria, cita, con analisi comparata assai superficiale, i sistemi di decentramento dell’amministrazione previdenziale di Francia, Polonia, Danimarca, Austria, Canada ed India. La Corte, nel giudizio di costituzionalità della norma in questione proveniente della High Court, afferma che le ineguaglianze causate dal sistema segregazionista hanno creato un contesto difficilmente comparabile con quello dei paesi citati. Pertanto, anche se da parte della Corte non viene eseguita un’analisi comparata approfondita, il sistema di decentramento previdenziale attuato in altri ordinamenti non è ritenuto compatibile con le moderne esigenze socio-economiche del Sudafrica115. Due dati meritano di essere sottolineati, le modalità argomentative in base ad elementi extra-sistemici, come abbiamo altrove sottolineato, non è solo patrimonio della Corte costituzionale ma è penetrato nelle liturgie processuali davanti anche a Corti inferiori: l’uso di paradigmi ermeneutici stranieri è ormai strategia processuale invalsa nelle memorie difensive, negli atti processuali ordinari ed in quelli degli amici curiae. In questo quadro, la decisione della Corte di “non pertinenza” dimostra una certa arbitrarietà anche perché assunta in modo tranciante. 5.5. Argomentare mediante più tecniche “cosmopolite”. Non è raro incontrare pronunce in cui le modalità interpretative fino a qui individuate si trovino intrecciate in una medesima argomentazione. Il caso seguente ne costituisce una prova. Nella decisione Kaunda and others v. President of the Republic of South Africa and others116, sessantanove cittadini sudafricani vengono arrestati nel 2004 in Zimbabwe e Guinea Equatoriale con l’accusa di essere mercenari coinvolti nell’organizzazione di un colpo di stato in Guinea Equatoriale. Nel ricorso presentato alla Corte Costituzionale sudafricana, dopo una complessa vicenda processuale, sostengono di essere semplicemente dipendenti, in qualità di personale specializzato in servizi di sicurezza, di un’azienda sudafricana, la Military Technical Services (MTS), assoldata per proteggere siti minerari in Repubblica Democratica del Congo dagli attacchi di “ribelli” militarmente organizzati. I ricorrenti arrestati in Zimbabwe, temendo di essere estradati in Guinea Equatoriale ove si suppone non godrebbero di garanzie processuali rischiando la condanna alla pena capitale, ricorrono presso la High Court del Sudafrica affinché i giudici intimino al Governo sudafricano di riconoscere loro protezione diplomatica. Nella domanda formulata alla High Court figura la richiesta al Governo di agire per far sì che i diritti, di cui i ricorrenti godrebbero in Sudafrica, siano loro riconosciuti anche in Zimbabwe e Guinea Equatoriale scongiurando, conseguentemente, anche il rischio di pena di morte. La High Court rigetta la richiesta sulla base dell’impossibilità di riconoscere la validità extraterritoriale dei principi sanciti dalla Costituzione sudafricana e dell’impossibilità di ordinare al governo scelte di natura diplomatica che invece attengono alle funzioni di indirizzo politico e di governo. I richiedenti propongono immediatamente appello innanzi alla Corte Costituzione. Il problema che la Corte si trova a dover risolvere è quello di verificare se i richiedenti possono godere di una protezione diplomatica. La Corte sostiene che la natura del loro intervento, interamente inquadrabile in un rapporto di diritto privato, non fa sorgere, in base alle norme di diritto internazionale, alcun rapporto meritevole di protezione diplomatica.

115 Cfr. Ibidem par. 51. 116 Cfr. CCT 23/04.

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La Corte procede poi all’analisi delle norme costituzionali e di diritto interno per verificare se sussista un obbligo dello Stato di intervento a protezione dei cittadini sudafricani che si trovino in territorio straniero. I diritti che i richiedenti temono non vengano loro riconosciuti in Guinea Equatoriale (diritto alla vita; diritto alla dignità; divieto di trattamenti inumani, crudeli e degradanti, diritto ad un giusto processo e divieto di pena di morte) sono senza dubbio diritti fondamentali ed irrinunciabili nell’ordinamento costituzionale sudafricano. Il problema è quindi se essi possano essere riconosciuti anche al di fuori del territorio sudafricano (nel quadro di una sorta di operatività extraterritoriale della Costituzione). La Corte nega questa possibilità, ma per suffragare, confermare o rinforzare il suo percorso ermeneutico fa ricorso a parametri extra-sistemici. Come in altre circostanze la Corte Suprema canadese è scelta come primo “interlocutore”. La Corte sudafricana richiama infatti la sentenza della Corte Suprema Canadese R. v. Cook 117 in cui si sostiene che il principio in base a cui gli Stati hanno eguale sovranità generalmente non consente l’applicabilità extra territoriale della legge nazionale. I giudici costituzionali sudafricani affermano di condividere questa interpretazione dei giudici canadesi attraverso una uso di parametri extra-sistemici mediante citazione probatoria118. Vi è poi il problema della sussistenza di un obbligo del Governo di attivarsi affinché i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini sudafricani siano riconosciuti a cittadini sudafricani all’estero. In questo caso si discute se esiste un obbligo di procedere per via diplomatica da parte del governo per intercedere presso i governi stranieri affinché si applichi il Bill of Rights sudafricano a cittadini sudafricani. Ora, la Corte riconosce l’importanza del principio che garantisce indistintamente a tutti i cittadini sudafricani i diritti protetti dalla Costituzione. Pertanto, se tutti i cittadini hanno il diritto di richiedere allo Stato, in base ai diritti riconosciuti dalla cittadinanza, le garanzie costituzionali anche all’estero, il governo ha solo l’obbligo di prendere in esame tale richiesta ma, nell’ovvio rispetto della Costituzione ed in particolare nel rispetto dell’autonomia sottesa alla funzione di governo stessa, non esiste alcun automaticità tra richiesta di protezione ed obbligo di attivazione da parte delle autorità per la protezione dei diritti costituzionali di cittadini sudafricani all’estero. In questo quadro, non è in alcun modo possibile che un giudice possa ordinare a chi esercita la funzione di governo di operare in un determinato modo nell’ambito di rapporti diplomatici con altri Stati. Per ricostruire questa complessa questione la Corte sudafricana muove innanzi tutto dall’analisi del Report of the International Law Commission on the work of its fifty-second session119 in cui lo Special Reporter analizza casi simili giudicati in Inghilterra, Olanda, Spagna, Austria, Belgio e Francia in cui i giudici hanno rigettato omologhe richieste di protezione diplomatica da parte di cittadini di quei paesi. In questa fase dell’argomentazione si evidenzia chiaramente la tecnica dell’orizzonte comparatistico. Ora, forte dei dati acquisiti, la Corte sudafricana sostiene l’ipotesi interpretativa secondo cui il giudice non può ordinare al Governo di intervenire diplomaticamente per la protezione di loro cittadini che si trovano sul territorio di uno Stato che non riconosce loro equivalenti diritti e tutele dell’ordinamento costituzionale nazionale. Per “corroborare” tale approccio la Corte sudafricana prende ad esempio il caso della Germania. In questo frangente, dalla tecnica dell’orizzonte si passa a quella probatoria in positivo secondo la modalità seguente. La Corte afferma che la Germania ha una lunga tradizione che riconosce l’obbligo dello Stato a fornire protezione diplomatica a cittadini tedeschi nei confronti dei quali Stati esteri non riconoscono il godimento dei medesimi diritti; tutto ciò deve, tuttavia, essere esercitato nell’ambito di un’autonomia discrezionale del Governo. A questo proposito i giudici sudafricani citano una sentenza in cui i giudici tedeschi limitano la discrezionalità del governo nel valutare l’opportunità dell’intervento diplomatico al rispetto della Costituzione120. Ancora con meccanismo probatorio a favore, i giudici sudafricani richiamano l’esempio della Court of Appeal inglese nel caso Abbassi121 in cui i giudici inglesi si sono espressi sulla legittimità dell’obbligo di intervento diplomatico in favore di cittadini britannici a cui, in territorio straniero, viene negata la 117 Cfr. R. v. Cook, SCR, 1998, 2, 597. 118 Cfr. Kaunda v. President of the Republic of South Africa (par. 42). Che i principi sanciti dalla Carta dei diritti canadese non posano imporre ad altri Stati standard di protezione equivalenti, negando pertanto, ogni operatività extra-territoriale della Costituzione canadese, è ribadito in due pronunce citate dai giudici sudafricani Spencer v. the Queen, 1985, 2, SCR, 278 e Canada v. Schmidt, 1987, 2, SCR, 500. 119 August 2000 A/55/10 (ILC report) in A/CN.4/506. 120 Cfr. Hess BVerfGE, 55, 349 in CCT23/04, par. 74. 121 Cfr. Abbassi and Another v. Secretary of State for Foreign and Commonwealth and Another, 2002, EWCA, civ. 1589 (citato in Kaunda par. 76).

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garanzia dei diritti fondamentali dell’ordinamento inglese. Al Foreign Office britannico viene tradizionalmente riconosciuto un ampio potere discrezionale nella valutazione della singola situazione diplomatica, escludendo ogni possibilità di controllo su queste decisioni da parte dei giudici ordinari122. I giudici di Johannesburg si debbono pertanto pronunciare sui seguenti punti: a) la richiesta di obbligare il governo a chiedere l’estradizione allo Zimbabwe. La Corte risponde che non è possibile perché al momento non è esercitata alcuna azione penale in Sudafrica nei confronti dei richiedenti in quanto non ci sono elementi probatori sufficienti; b) la richiesta di attivarsi affinché si protegga i cittadini sudafricani dal rischio che venga loro comminata la pena di morte. Per la Corte, al momento, è oggettivamente irragionevole pensare che i capi di imputazione dei cittadini sudafricani arrestati in Zimbabwe possano condurre alla pena capitale; questo rischio sussiste invece per gli arrestati in Guinea Equatoriale. Il governo sudafricano si attiverà, pertanto, solo nel caso essa venga effettivamente comminata o, se comminata, ci sia un concreto rischio che essa venga eseguita; c) la richiesta di obbligare il governo a chiedere l’estradizione alla Guinea Equatoriale. Si ripete il ragionamento fatto per lo Zimbabwe. Le procedure di estradizione necessitano l’istruzione di un processo nel paese che richiede l’estradizione e questo non è il caso al momento in cui è stata sollevata la questione davanti alla Corte; d) richiesta al Governo di adoperarsi affinché siano garantiti i diritti dell’art. 35 della Cost. sudafricana sia in Zimbabwe che in Guinea Equatoriale, ovvero giusto processo e fair detention. La Corte afferma che questo punto deve essere analizzato con attenzione; numerosi rapporti di organizzazioni governative e non governative (come Amnesty International) testimoniano lo stato deplorevole in cui versa il sistema giudiziario guineano in cui vengono commesse violazioni su larga scala dei diritti fondamentali, torture, esecuzioni sommarie. La Corte si trova a dover decidere stretta tra due argomenti: da un lato il fatto che il Sudafrica non ha alcun diritto di intromettersi in un processo penale in altro Stato semplicemente perché gli accusati sono sudafricani (è dunque esclusa l’operatività extra-territoriale della Costituzione), dall’altro, verificare che non ci si trovi di fronte al rischio di violazione del fair trial principle. Interpretazioni straniere (canadesi e statunitensi) vengono utilizzate per fondare probatoriamente la decisione della Corte di non poter ordinare al governo di interferire con l’applicazione delle leggi di uno Stato terzo: Spencer v. Queen123, Canada v. Schmidt124 e l’assai datata Neely v. Henkel125. Lo schema della pronuncia è quindi il seguente a) non sussiste l’obbligo del governo di agire per la tutela diplomatica su richiesta delle parti; b) non si configura la possibilità della magistratura di sindacare tale decisione del governo se non in presenza di un’eventuale decisione del governo «irragionevole»; c) non è riconosciuta l’operatività extra-territoriale della Costituzione; d) è esclusa la possibilità di chiedere estradizione in quanto non vi è alcuna azione legala esercitata in Sudafrica nei confronti dei richiedenti. Tuttavia, in presenza di condanna di morte inflitta ad un sudafricano all’estero e di pericolo concreto che non sia riconosciuto il principio del fair trial, il governo senza dubbio potrebbe agire diplomaticamente. Ma visto che non ci sono elementi che possano far presumere un’inattività futura del governo qualora si realizzassero queste condizioni, la Corte rileva che l’azione dei richiedenti è prematura. Resta poi il problema di valutare come il governo possa concretamente agire in quanto il diritto internazionale non consente ampi margini di manovra. I giudici sudafricani cercano conforto in pratiche straniere affermando che molte Corti: «sono riluttanti ad intervenire in queste materie, anche se, come nel caso della Germania, ne avrebbero il potere»126. Sulla base ancora del caso Hess, la Corte sudafricana cita il BvGt secondo cui si afferma che: «il governo federale gode di ampia discrezionalità nel decidere questioni relative al riconoscimento di protezione [ai cittadini tedeschi] in altri Stati». In questa complessa pronuncia registriamo la tendenza dei giudici a passare dal panorama cognitivo a modalità argomentative di tipo probatorio fortemente assertive che si allineano sul punto di vista di un limitato gruppo di giudici di costituzionalità. Essendo la materia fortemente legata a prassi diplomatiche e di politica estera, la tendenza a seguire prassi consolidate di paesi con consolidata tradizione costituzionalistica sembra irresistibile. 122 Nella prospettiva di valutare la portata dell’uso di precedenti di giudici non sudafricani è interessante citare testualmente il par. 76 della pronuncia in esame: «we were not referred to decision of other national courts which suggest a higher intensity of review than that evinced by the German and English decisions. None are referred to by the Special Rapporteur, and I am not aware of any other decision that may be relevant to evaluating international practice». 123 Cfr. Spencer v. Queen, (1985), 2, SCR, 278. 124 Cfr, Canada v. Schmidt, (1987), 1, 500-518. 125 Cfr. Neely v. Henkel (n°1), 180, US, (1901). 126 Cfr. CCT 23/04 par. 103

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Nel caso Carmichele v. Minister of Safety and Security at Minister of Constitutional Development del 16 agosto 2001127, si cumulano diverse tecniche argomentative, ovvero quella dell’orizzonte, atta a conoscere, quella della forbice, atta a guidare una presa di posizione interpretativa e quella probatoria, per rinforzare retoricamente o legittimare la decisione. Tutto ciò è ancor più importante in quanto la pronuncia si innesta nel complesso quadro della transizione costituzionale. La ricorrente, che ha subito violenza sessuale da parte di un aggressore più volte condannato per medesimi atti e segnalato alle autorità per la pericolosità della sua personalità, agisce per danni non solo contro l’aggressore (rilasciato su cauzione per una precedenza violenza sessuale) ma anche contro le autorità di pubblica sicurezza che nulla hanno fatto per prevenire l’aggressione. Ora, la Hight Court e la Supreme Court of Appeal, applicando ancora il common law sviluppato nel regime d’apartheid, non rilevano alcuna responsabilità in capo alle forze di sicurezza. La Corte deve statuire sulla necessità di sviluppare quindi il common law alla luce dei nuovi principi costituzionali al fine anche di completare la transizione di sistema. La Corte si interroga quindi se lo sviluppo del common law in accordo con la nuova Costituzione debba avvenire per via semplicemente legislativa (abrogazione e sostituzione di testi normativi) o anche giurisprudenziale. Per risolvere tale problema la Corte illustra il punto di vista del Canada in cui il giudice Iacobucci afferma che il potere legislativo, nel quadro di un sistema costituzionale, ha la maggiore responsabilità di sviluppare il common law128. Tuttavia, in questo caso, i giudici di Johannesburg, pur avendo importato comparativamente un parametro extra-sistemico derivato dalla pronuncia canadese, se ne discostano. La Corte sudafricana afferma la necessità che, nell’ordinamento sudafricano (ed in controtendenza a quanto affermato più volte altrove, ovvero un sostanziale allineamento con le pronunce canadesi), i giudici anche delle giurisdizioni ordinarie sviluppino interpretazioni evolutive del common law nel quadro della nuova Costituzione (in particolare ex art. 39 com. 2 Cost. Transitoria in vigore al tempo dei fatti). Pertanto, l’adattamento del common law sudafricano al nuovo ordinamento costituzionale non può avvenire per via esclusivamente legislativa; anche la magistratura ordinaria deve operare parte attiva nel processo di completamento della transizione di regime. La Corte poi procede a fissare una forbice per decidere la questione oggetto del contenzioso, ovvero la sussistenza di una responsabilità per mancata vigilanza in capo alle autorità di pubblica sicurezza. Due poli vengono fissati dai giudici di Johannesburg: da un lato la giurisprudenza della Corte Suprema statunitense129 e, dall’altro, la Convenzione europea e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo130 in materia di: «hold authorities liable for a failure to take positive action to prevent harm (par. 45)». Tra i due poli della forbice la Corte sceglie di allinearsi con le scelte giurisprudenziali della Corte di Strasburgo e, secondo una modalità rafforzativa, con la House of Lords. Infatti, in forma probatoria in positivo, si indicano sia una pronuncia della House of Lords che ribalta una precedente decisione in cui le autorità di sicurezza locali non venivano ritenute responsabili di negligenza per non aver assicurato protezione ad un minore131, e dall’altro convergente giurisprudenza della Corte di Strasburgo132. Resta poi la fondamentale questione di determinare come sviluppare evolutivamente il common law sudafricano. La Corte sembra effettivamente dover agire nel vuoto; un’altra forbice è pertanto fissata: da un lato si analizza l’approccio tipico del common law britannico, ma, dall’altro, si prende in considerazione –come maggiormente compatibile sebbene caratterizzato da formanti molto diversi- la logica dell’ordinamento costituzionale tedesco in materia civile (essendo il caso in questione inerente anche alla responsabilità per danni)133. 6. Il sistema delle open and democratic societies. Il Bill of Rights sudafricano contiene una nozione che risulta essere fondamentale per la comprensione 127 Cfr. CCT 48/00. 128 Il caso citato R v. Salituro, 1992, 8, CRR (2d), 173 (così come citata dai giudici sudafricani). Anche in questo caso si registra un’inesattezza. I giudici sudafricani citano un passaggio del giudice canadese Iacobucci nel caso Salituro. Alla verifica della sentenza canadese, e dell’affermazione di Iacobucci di cui si è effettivamente trovata conferma, risulta che la pronuncia è però datata 1991 (R. Salituro, 1991, 3 SCR, 654). Non siamo in grado di capire perché sia stata invece utilizzata dai giudici sudafricani la rubricazione così come riportata in nota. 129 Di cui si cita Deshaney v. Winnebago Country Department of Social Services, 498, US, 189, 1989. 130 Di cui si richiama l’art. 2 com. 1 della Cedu e l’interpretazione data dalla Corte di Straburgo nel caso Osman v. United Kingdom (del 28 ottobre 1998). 131 Barret v. Enfield London Borough Council, 1999, 3 All ER, 193. 132 Z. and Other v. United Kingdom, del 10 maggio del 2001, i giudici sudafricani dichiarano in nota che essa risulta “unreported” al momento della stesura della sentenza ora invece disponibile. 133 Si rinvia direttamente ai dati di diritto comparato alla nota n° 57 (par. 56) della presente pronuncia in cui la Corte indica giurisprudenza britannica e numerosi elementi di diritto positivo tedesco incorporati quali parametri comparativi extra-sistemici.

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del fenomeno in questione. La Costituzione, infatti, agli artt. 36 e 39, fa formalmente riferimento ad un’enunciazione particolarmente interessante, quella di «open and democratic society». A essa si deve far ricorso per disciplinare l’uso dei diritti fondamentali in due circostanze di assoluta importanza: da un lato, la clausola di limitazione dei diritti fondamentali (art. 36) consente una compressione degli stessi solamente in forza di una law of general application che sia «giustificabile e ragionevole in una società democratica ed aperta fondata sul principio della dignità umana, di uguaglianza e di libertà»134; dall’altro, nell’interpretare il Bill of Rights, si debbono «promuovere i valori di una società democratica ed aperta» pertanto attingendo, come visto, foreign law per supportare i processi interpretativi del Bill of Rights. La nozione di open and democratic society è dunque criterio che incide sulle prassi di valutazione della costituzionalità di eventuali limitazioni dei diritti fondamentali e, al contempo, sulle operazioni interpretative degli stessi. Essa è criterio di evoluzione interpretativa anche di eventuale limitazione del Bill of Rights135. La nozione di open and democratic society sancita dalla Costituzione è quindi al cuore della prassi interpretativa qui in esame. L’analisi giurisprudenziale evidenzia che, in molteplici circostanze, l’utilizzo di questa nozione da parte della Corte ha progressivamente forgiato un meccanismo discorsivo che si trasforma in strumento ulteriore di apertura dell’ordinamento costituzionale sudafricano (rispetto al «may consider foreign law»). La Corte di Johannesburg afferma, per esempio, che una determinata soluzione giurisprudenziale è in linea con quelle di altre società democratiche ed aperte, o che un determinato principio è bilanciato nel medesimo modo in altri ordinamenti che vengono ritenuti essere “democratici ed aperti”. Ora, l’utilizzo nelle pronunce di questa enunciazione costituzionale segue o precede l’importazione dei parametri extra-sistemici. In altre parole, quando il giudice procede attraverso il metodo comparato tendenzialmente evoca la nozione di società democratica e aperta. Pertanto, essa non è solamente un criterio assiologico fondamentale a cui l’ordinamento costituzionale deve tendere, ma anche una condizione per determinare gli ordinamenti da cui si attingono i parametri extra-sistemici136. 134 Come già visto la limitazione dei diritti fondamentali alla luce dell’art. 36 deve poi tener in considerazione i seguenti parametri supplementari: a) the nature of the right; b) the importance of the purpose of the limitation; c) the nature and extent of the limitation; d) the relation between the limitation and its purpose; e) less restrictive means to achieve the purpose. 135 Anche se non si può procedere in questa sede ad un’analisi approfondita, merita di essere sottolineato il fatto che la nozione di “società democratica” è enunciazione presente in altri testi che prevedono la disciplina di diritti fondamentali: artt. 4; 8; 14; 21; 22 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici; artt. 8; 9; 10; 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Con particolare riferimento a questi ultimi, oltre all’enunciazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di espressione, la libertà di riunione e di associazione, sono contenute altresì le disposizioni sulla loro limitazione in base al criterio seguente: i parametri di limitazione (fraseggiati in modo differente) debbono essere «misure necessarie in una società democratica». Va altresì ricordato che tale nozione è oggetto di articolate elaborazioni nel quadro del Consiglio d’Europa; “società democratiche” sono quelle che sostanzialmente rispettano le condizioni di adesione all’organizzazione (sul punto cfr. M. Balboni, Il Consiglio d’Europa, in L. S. Rossi, Le organizzazioni internazionale come strumento di governo multilaterale, Milano, Giuffrè, 2006). 136 Riportiamo alcuni esempi paradigmatici dell’utilizzo da parte dei giudici della nozione di open and democratic society trasformata in clausola di apertura dell’ordinamento. In The State v. Godfrey Baloyi et al., CCT 29/99, si afferma che: «in open and democratic societies that have adversarial criminal justice systems similar to ours, the centrality of the right to a just criminal process has been strongly emphasised» (cfr. par. 15). A questa affermazione di matrice probatoria segue infatti la citazione di giurisprudenza canadese, statunitense ed inglese. In Arnold Keith August et al. v. The Electoral Commission t al., CCT 8e: /99 si afferma che: «many open and democratic societies impose voting disabilities on some categories of prisoners» (cfr. par. 31). All’uso della suddetta nozione segue puntualmente la comparazione con numerosi ordinamenti come Francia, Germania, Grecia, Canada, Nuova Zelanda, Australia, Danimarca, Israele, Svezia. Svizzera, Sri Lanka ed Inghilterra. Nel caso Douglas Michael De Lange v. François J. Smuts No et al., CCT 26/97, i giudici si esprimono nel seguente modo: «it is significant that the use of committal to prison as a means to enforce the disclosure of information in insolvency proceedings is not considered constitutionally or otherwise objectionable in other democratic societies based on human dignity, equality and freedom. This is the case, for example, in England, Australia, Canada, United States and Germany» (cfr. par. 39). Ad ogni ordinamento giuridico evocato si annettono in nota riferimenti dottrinari e giurisprudenziali. Nella medesima pronuncia si legge ancora: «the power to commit an uncooperative witness to prison is with in the very heartland of the judicial power and therefore cannot be exercised by non-judicial officers. This principle has long been established in other democratic societies» (cfr. par. 61-62). In The State v. Samuel Manamela et al., CCT 25/99, si legge che: «It is clear however that open and democratic societies permit the shifting of the burden of proof to the accused when it would not be disproportionately invasive of the right to silence and the presumption of innocence to do so» (cfr. par. 31). In questa circostanza non segue direttamente l’analisi comparata delle società democratiche ed aperte a cui I giudici fanno riferimento. Potremmo, pertanto, affermare che qui la nozione è utilizzata come obiter dictum. In The State v. Abrahm Liebrecht Coetzee et al.,CCT 50/95, i giudici dichiarano che: «it has not been contended that other open and democratic societies based on human dignity, equality and freedom have found it necessary to resort to such an unqualified presumption for the proper enforcement of the criminal law in relation to all offences of which a false representation is an element. I am not aware of, nor have we been referred to any examples in comparable jurisdictions, where a general provision in the same context employed» (cfr. par. 16). Come negli altri casi, all’utilizzo della nozione di società democratica ed aperta, segue

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Questa nozione si presenta come meccanismo di messa in relazione dell’ordinamento costituzionale con uno spazio giuridico considerevolmente più ampio ed a sua volta aperto (o non aprioristicamente definito). La Costituzione, infatti, fornisce un solo criterio per definire una società democratica ed aperta: quest’ultima, per essere tale e per consentire l’importazione di parametri capaci di interferire nei processi di limitazione e di interpretazione di diritti fondamentali, deve essere basata sul rispetto della dignità umana, dell’uguaglianza e della libertà. La Costituzione sembra dunque far riferimento ad un macro sistema ultimo, quello delle società democratiche ed aperte, ontologicamente aperto di cui il Sudafrica si dichiara parte; i confini del sistema possono restringersi o allargarsi a seguito della decisione del giudice di costituzionalità di ampliare o limitare il novero degli ordinamenti da cui si importano parametri interpretativi extra-sistemici. Il giudice sembra definire o ridefinire i confini del sistema in base ad operazioni intuitive raramente argomentate. A riprova che il sistema delle open and democratic societies è in realtà un sistema a geometria variabile e quindi sostanzialmente aperto, vi è il numero assai ampio e non pre-determinato di ordinamenti stranieri da cui si importano parametri extra-sistemici. Nelle varie pronunce analizzate si sono reperiti riferimenti sempre diversi ad ordinamenti costituzionali stranieri. Alcuni di essi ricorrono ormai sistematicamente (Stati Uniti, Canada e Germania), ma altri vengono richiamati sporadicamente o in determinati contenziosi costituzionali (India, Nuova Zelanda, Inghilterra, Australia, Francia ecc.). Un ultimo fattore merita di essere in conclusione menzionato; esso attiene ad un’ulteriore innovazione evidenziata dalla prassi interpretativa sudafricana, ovvero il meccanismo di messa in comunicazione dell’ordinamento costituzionale sudafricano con gli ordinamenti che compongono il sistema delle società democratiche ed aperte. La comunicazione tra l’ordinamento ed il suddetto sistema opera al di fuori delle regole positive classiche di validità. Il sistema delle open and democratic societies non è quello del diritto internazionale pubblico o privato (di cui il Sudafrica è parte attraverso norme pattizie). La circolarità del circuito interpretativo, orientato anche verso l’esterno e non più solamente verso l’interno, non opera quindi sul registro del diritto positivo. Anche se è vero che la disposizione dell’art. 39 autorizza i giudici to consider foreign law, essa è stata interpretata, come già visto, non come obbligo in capo ai giudici di operare in base al metodo comparato; inoltre gli eventuali parametri extra-sistemici non sono legally binding. La norma costituzionale sembra offrire al giudice possibilità interpretative supplementari per tendere verso un fine valorativo fondamentale: promuovere i valori di una società democratica ed aperta. La messa in comunicazione sistemica avviene quindi sulla base di una meccanica non strettamente di diritto positivo (sebbene in qualche modo autorizzata dalla Costituzione): da un lato è alimentata da un’operazione intuitiva dei giudici; essi sembrano semplicemente percepire se un determinato ordinamento costituisce una società democratica ed aperta fondata sul rispetto della dignità umana, dell’uguaglianza e della libertà (da cui poter derivare parametri extra-sistemici); dall’altro si fonda sull’uso del metodo comparato. Quest’ultimo diventa lo strumento cognitivo di traslazione nell’ordinamento costituzionale di parametri extra-sistemici. L’impressione che si evince da tutto ciò è che la vaghezza dell’operazione intuitiva di individuazione dell’ordinamento da cui si importano i parametri extra-sistemici sia determinata da un pre-orientamento concettuale: attingendo solo da open and democratic societies i rischi di introdurre nel sistema parametri di costituzionalismo “peggiorativo” si attenuano. Confrontandosi con ordinamenti basati sui valori della dignità umana, dell’uguaglianza e della libertà, i giudici ritengono di introdurre standard che si assumono come “democratici” e quindi compatibili con le finalità ed i valori che debbono guidare l’interpretazione della Costituzione. Pertanto, il controllo delle decisioni in base a questa prassi di lettura della Costituzione è scaricato, per buona parte, sul metodo comparato. Esso si trasforma in strumento cognitivo interno (ovvero rivolto all’ordinamento che importa, per valutare la pertinenza dei parametri extra-sistemici immessi con l’oggetto del contenzioso costituzionale) ed esterno (ovvero rivolto all’ordinamento da cui si importa, per valutare se il giudice che introduce un parametro extra-sistemico abbia tendenzialmente colto il significato e la funzione da questo esercitato nell’ordinamento di appartenenza).

l’introduzione di parametri extra-sistemici. In questo caso si tratta di numerosissime sentenze delle Corti Supreme statunitense e canadese sulle presunzioni. La nozione di open and democratic societies è ampiamente utilizzata sia per argomentare il ricorso a parametri extra-sistemici, sia per imprimere al parametro importato una forza euristica particolare (appunto perché esso proviene da un ordinamento democratico ed aperto). Come visto, la nozione di open and democratic societies, appare con grande frequenza nelle pronunce dei giudici sudafricani sotto forma di obiter dictum o più spesso come vero e proprio segmento argomentativo (ermeneutico o di bilanciamento).

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In questa prospettiva, se tale prassi continuasse a consolidarsi, il metodo comparato diventerebbe lo strumento logico-giuridico principale per valutare la coerenza dell’argomentazione della decisione137.

137 Un’ultima valutazione ci sia consentita mutuando l’idea di M. Cacciari, L'arcipelago, Milano, Adelphi, 1997. Se si verificasse che la comunicazione sistemica orizzontale tra gli ordinamento costituzionali è in realtà in via di sviluppo al di là delle formalizzazioni pattizie internazionali e sovra-nazionali, allora si potrebbe ipotizzare che, da una comunità internazionale in cui gli ordinamenti si percepiscono come isole, si procede verso una configurazione in cui questi ultimi si percepiscono come parte di un arcipelago (composto da entità distinte ma appartenenti ad una medesima unità appunto le società democratiche ed aperte). Nell’arcipelago, le relazioni giuridiche inter-sistemiche non si fondano più sulle sole “autorizzazioni” di diritto positivo (pattizio), ma potrebbero svilupparsi ed evolvere in base ad una sintassi supplementare: il metodo comparato.