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LA CERAMICA INVETRIATA TARDO-ANTICA E MEDIEVALE NELL’ ITALIA CENTRO-MERIDIONALE In Italia centro-meridionale 1 l’inchiesta condotta in occasione del Seminario dedicato alla ceramica a vetrina pesante tardo-antica ed altomedievale, ha toccato in forma più o meno approfondita tutte le regioni dove sono stati raccolti campioni da sottoporre ad analisi petrografica, con la sola eccezione della Basilicata 2 . Questa ampia area geografica appare unificata fin dalla tarda-antichità da alcuni elementi di fondo che la distinguono nettamente e quasi la contrappongono alle regioni dell’Italia Cisalpina, da cui nell’alto medioevo si distaccheranno le terre bizantine dell'Esarcato (Romagna e Marche) per seguire un’evoluzione molto più simile a quella delle regioni poste a sud dell’appennino tosco-emiliano. Le due grandi aree in cui ci appare suddivisa l’Italia sembrano in effetti aver funzionato come insiemi distinti con zone molto limitate di contatto e sovrapposizione, giustificando così la ripartizione adottata in questa parte del volume che introduce alle problematiche storico-archeologiche della ceramica a vetrina pesante tardo-antica e altomedievale in Italia. Le due aree pertanto sono state trattate separatamente, con tutto il complesso dei loro problemi specifici, senza tuttavia che si perdessero mai di vista le connessioni più ampie che si instaurarono tra l’una e l’altra parte in particolari momenti storici.[33] Rimangono ancor oggi valide le conclusioni tratte alcuni anni orsono sulla scorta degli studi allora disponibili 3 secondo le quali l’Italia Cisalpina costituisce in età tardo-antica un’area di grande diffusione della ceramica invetriata 4 mentre l’Italia citeriore ne appare sostanzialmente sprovvista con l'unica grande eccezione di Roma 5 . A parte infatti qualche sporadico ritrovamento in Campania e nell’Abruzzo-Molise (Fig. 1) le attestazioni di ceramica invetriata tardo-antica si concentrano a Roma e nel suburbio. Si tratta di un gruppo ancora piuttosto limitato 6 , ma con caratteristiche abbastanza specifiche rispetto ai materiali della Cisalpina, tra cui spicca l’assenza pressoché completa della forma colà più diffusa: il vaso a listello, forma peraltro ben nota in ambito romano nelle produzioni non 1 Sono escluse da questo contributo l’Emilia-Romagna e le Marche che vi rientrerebbero, almeno in parte, dal punto di vista geografico ma che, per le loro caratteristiche particolari di aree di "frontiera", sono state trattate insieme a quelle dell'Italia Settentrionale nel precedente contributo a cura di G.P. Brogiolo e S. Gelichi: cfr. supra, p. 23 ss. La nostra analisi si limiterà quindi alle regioni poste a sud dell'Appennino tosco-emiliano, isole incluse. 2 Si ringrazia la dott.ssa M. Salvatore per la cortese risposta alla circolare inviata dal Comitato Scientifico per la raccolta di campioni per il Seminario, con la quale si informava dell'assenza nella regione di ceramica a vetrina pesante: non rientra pertanto in questa classe l’anforetta con decorazione a squame da Bradano Ponte-San Giovanni: SALVATORE 1982, pp. 53-54, tav. II,14. 3 BONIFAY et al. 1986, p. 79 ss.; lo studio più completo sulle invetriate altomedievali dell’Italia settentrionale era costituito da BLAKE 1981. 4 Si vedano in patticolare i risultati del Convegno di Como pubblicati nel 1985: Ceramica invetriata; per un inquadramento dei risultati del Seminario di Siena si rimanda al saggio introduttivo dedicato all’Italia settentrionale a cura di G.P. Brogiolo e S. Gelichi: supra, p.23 ss. 5 MENEGHINI-STAFFA, infra, p. 330 ss. con precedente bibliografia; LUSUARDI SIENA-SANNAZZARO, 1991, pp.114-115, 121 6 Oltre al gruppo di materiali presentati in questa sede (contributi a cura di R. Meneghini-A. Staffa, R. Meneghini, M. Ricci, E. Talamo, infra, p. 330 ss. con precedente bibliografia) si ricordano gli esemplari ancora inediti dal Celio (inf. A. Gabucci) dalle pendici del Palatino (scavo della American School da cui proviene uno dei nuclei più consistenti rinvenuti in area romana), un frammento della Crypta Balbi (in corso di pubblicazione a cura di M.T. Cipriano in Crypta Balbi 6); si richiama inoltre 1'attenzione su di un esemplare già edito da S. Prisca, di non facile inquadramento (VERMASEREN-VAN ESSEN 1965, p. 497, n. 9, tav. CXXXII), con una decorazione a cordoni in rilievo con tante piccole intacche associata a cerchielli incisi che ricoprono il resto della superficie. Per la decorazione incisa su invetriate tardo-antiche cfr. da ultimo MACCABRUNI 1990, p. 367 ss. con precedente bibliografia; LUSUARDI SIENA- SANNAZARO 1991, pp. 114-115, 121.

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LA CERAMICA INVETRIATA TARDO-ANTICA E MEDIEVALE NELL’ ITALIACENTRO-MERIDIONALE

In Italia centro-meridionale1 l’inchiesta condotta in occasione del Seminario dedicato alla ceramica a vetrina pesante tardo-antica ed altomedievale, ha toccato in forma più o meno approfondita tutte le regioni dove sono stati raccolti campioni da sottoporre ad analisi petrografica, con la sola eccezione della Basilicata2.

Questa ampia area geografica appare unificata fin dalla tarda-antichità da alcuni elementi di fondo che la distinguono nettamente e quasi la contrappongono alle regioni dell’Italia Cisalpina, da cui nell’alto medioevo si distaccheranno le terre bizantine dell'Esarcato (Romagna e Marche) per seguire un’evoluzione molto più simile a quella delle regioni poste a sud dell’appennino tosco-emiliano.

Le due grandi aree in cui ci appare suddivisa l’Italia sembrano in effetti aver funzionato come insiemi distinti con zone molto limitate di contatto e sovrapposizione, giustificando così la ripartizione adottata in questa parte del volume che introduce alle problematiche storico-archeologiche della ceramica a vetrina pesante tardo-antica e altomedievale in Italia. Le due aree pertanto sono state trattate separatamente, con tutto il complesso dei loro problemi specifici, senza tuttavia che si perdessero mai di vista le connessioni più ampie che si instaurarono tra l’una e l’altra parte in particolari momenti storici.[33]

Rimangono ancor oggi valide le conclusioni tratte alcuni anni orsono sulla scorta degli studi allora disponibili3 secondo le quali l’Italia Cisalpina costituisce in età tardo-antica un’area di grande diffusione della ceramica invetriata4 mentre l’Italia citeriore ne appare sostanzialmente sprovvista con l'unica grande eccezione di Roma5. A parte infatti qualche sporadico ritrovamento in Campania e nell’Abruzzo-Molise (Fig. 1) le attestazioni di ceramica invetriata tardo-antica si concentrano a Roma e nel suburbio. Si tratta di un gruppo ancora piuttosto limitato6, ma con caratteristiche abbastanza specifiche rispetto ai materiali della Cisalpina, tra cui spicca l’assenza pressoché completa della forma colà più diffusa: il vaso a listello, forma peraltro ben nota in ambito romano nelle produzioni non

1 Sono escluse da questo contributo l’Emilia-Romagna e le Marche che vi rientrerebbero, almeno in parte, dal punto di vista geografico ma che, per le loro caratteristiche particolari di aree di "frontiera", sono state trattate insieme a quelle dell'Italia Settentrionale nel precedente contributo a cura di G.P. Brogiolo e S. Gelichi: cfr. supra, p. 23 ss. La nostra analisi si limiterà quindi alle regioni poste a sud dell'Appennino tosco-emiliano, isole incluse. 2 Si ringrazia la dott.ssa M. Salvatore per la cortese risposta alla circolare inviata dal Comitato Scientifico per la raccolta di campioni per il Seminario, con la quale si informava dell'assenza nella regione di ceramica a vetrina pesante: non rientra pertanto in questa classe l’anforetta con decorazione a squame da Bradano Ponte-San Giovanni: SALVATORE 1982, pp. 53-54, tav. II,14. 3 BONIFAY et al. 1986, p. 79 ss.; lo studio più completo sulle invetriate altomedievali dell’Italia settentrionale era costituito da BLAKE 1981. 4 Si vedano in patticolare i risultati del Convegno di Como pubblicati nel 1985: Ceramica invetriata; per un inquadramento dei risultati del Seminario di Siena si rimanda al saggio introduttivo dedicato all’Italia settentrionale a cura di G.P. Brogiolo e S. Gelichi: supra, p.23 ss. 5MENEGHINI-STAFFA, infra, p. 330 ss. con precedente bibliografia; LUSUARDI SIENA-SANNAZZARO, 1991, pp.114-115, 121 6 Oltre al gruppo di materiali presentati in questa sede (contributi a cura di R. Meneghini-A. Staffa, R. Meneghini, M. Ricci, E. Talamo, infra, p. 330 ss. con precedente bibliografia) si ricordano gli esemplari ancora inediti dal Celio (inf. A. Gabucci) dalle pendici del Palatino (scavo della American School da cui proviene uno dei nuclei più consistenti rinvenuti in area romana), un frammento della Crypta Balbi (in corso di pubblicazione a cura di M.T. Cipriano in Crypta Balbi 6); si richiama inoltre 1'attenzione su di un esemplare già edito da S. Prisca, di non facile inquadramento (VERMASEREN-VAN ESSEN 1965, p. 497, n. 9, tav. CXXXII), con una decorazione a cordoni in rilievo con tante piccole intacche associata a cerchielli incisi che ricoprono il resto della superficie. Per la decorazione incisa su invetriate tardo-antiche cfr. da ultimo MACCABRUNI 1990, p. 367 ss. con precedente bibliografia; LUSUARDI SIENA-SANNAZARO 1991, pp. 114-115, 121.

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invetriate7. La ceramica invetriata tardo-antica di Roma sembra svolgere nel complesso un ruolo molto più marginale rispetto a quello assegnato a questa produzione nella Cisalpina, presentando in ogni caso una certa pretesa di ricercatezza che si manifesta nel frequente uso di decorazioni.

Dal punto di vista morfologico-decorativo questo materiale si colloca su una linea di forte continuità con la produzione più antica di età imperiale8 che le analisi mineralogiche hanno potuto ricondurre con certezza all’area romana9 suggerendo l'ipotesi di una ininterrotta attività produttiva in questo settore10, dall'età flavia al V secolo almeno. [34]

Quello che si può affermare sulla base dell'esame congiunto dei dati archeologici e petrografici è che la produzione avviata in età flavia ha il periodo di massima fioritura nel II secolo allorché si trova diffusa in tutta la parte occidentale dell'impero11; alcune stratigrafie di area romana indicano che essa è ancora circolante nel III-inizi (?) IV secolo12, mostrando una semplificazione del rivestimento (dalla doppia vetrina si passa ad un solo strato di vetrina che sembrerebbe però ancora applicata su biscotto), ma non di fonti di approvvigionamento delle argille. Solo nelle ceramiche invetriate databili tra il IV secolo avanzato ed il V secolo si registra un preciso cambiamento nella tecnica di fabbricazione con l'introduzione della monocottura, ma soprattutto nelle caratteristiche mineralogiche13, fatto che indica una riorganizzazione della produzione in quest'epoca, con uno spostamento in direzione di quei centri che troveremo attivi in età altomedievale14 e che, per le ragioni di cui si dirà più oltre, si ritiene possano essere attribuiti anch'essi alla regione romano-laziale.

Allo stato attuale delle nostre conoscenze le ultime attestazioni di ceramica invetriata a Roma risalgono al VI secolo15, lasciando inalterato quel vuoto più volte segnalato16 nella documentazione della ceramica invetriata tra la tarda antichità e l'altomedioevo in quest’area.

Maggiore vitalità rispetto a Roma mostra invece quella parte della costa adriatica a più diretto contatto con il governo bizantino, compresa tra Ravenna e Pescara, dove recenti scoperte hanno segnalato la circolazione di ceramica invetriata tra il VI ed il VII secolo17, prodotta verosimilmente in area esarcale. [35]

La capitale dell’Italia bizantina, già partecipe come tutta la Padania della « cultura del vaso a listello invetriato », è sede tra il V-VI secolo di una fiorente e raffinata produzione invetriata (si pensi in particolare all'invetriata tipo Classe)18, costituendo forse, come ipotizzava J.W. Hayes su basi

7 Non sono identificabili con sicurezza come vasi a listello i frammenti illustrati in MENEGHINI-STAFFA, infra, Fig. 1, nn. 1-2; un frammento di orlo a tesa di una forma aperta, con decorazione incisa a cerchielli e semicerchi, è documentato tuttavia negli strati altomedievali della Crypta Balbi (residuo?) (cfr. ROMEI, Crypta Balbi, infra, p. 388, n. 5).8 Cfr. MARTIN, infra, p. 323.9 Cfr. SFRECOLA, infra, p 584, gruppo 7b.10 Cfr. MENEGHINI-STAFFA, infra, p. 335 ss.11 Cfr. MARTIN, infra, p. 329.12 Cfr. MENEGIIINI-STAFFA, infra, p. 332 per il contesto in Loc. Casalotti sulla via Aurelia.

Cfr. i materiali da Rebibbia/via Cannizzaro e dal Lungotevere Testaccio riferibili al tardo IV-V secolo, che sono risultati tutti appartenenti al gruppo 11i (cfr. SFRECOLA, infra, analisi nn. 8-9 e 13), a differenza delle invetriate di cronologia più alta, nessuna delle quali è mai riferibile a questo gruppo (cfr. i dati mineralogici relativi ai materiali di Ostia Antica, Settecamini, Lungotevere Testaccio, Via Aurelia/Loc. Casalotti, databili tra il II ed III/inizi IV secolo): cfr. SFRECOLA, infra, analisi nn. 10-12 e 15, 138-140; la maggioranza dei campioni rientra nel gruppo 7b (cfr.anche 1’analisi al binoculare in MOLINARI, infra, pp. 572-573, elenchi di Roma). 14 Cfr. PATTERSON, Campagna Romana, infra, p. 425.15 L'evidenza per il VI secolo è ancora irrisoria limitandosi al frammento di ansa della Crypta Balbi, già segnalato allanota n. 6, e ad un frammento ancora inedito da S. Stefano Rotondo (inf. A. Martin).16 Cfr. da ultimo PAROLI 1990, p. 316.17 Cfr. in particolare GELICHI, infra, p. 215 ss. per i reperti di Rimini, STAFFA C.S., per i frammenti invetriati diCrecchio, presso Pescara.18 Per l'invetriata tipo Classe cfr. in particolare MAIOLI, infra, p. 240 ss., per la situazione generale in Romagna siveda il saggio introduttivo di G.P. Brogiolo e S. Gelichi, supra, p. 26 ss.

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essenzialmente induttive, il tramite attraverso il quale la produzione di ceramica invetriata si diffonde a Costantinopoli nella prima metà del VII secolo19.

Il problema della produzione e della circolazione della ceramica invetriata nelle aree sottoposte al controllo bizantino nella prima metà del VII secolo è tuttavia più complesso, come indica il ritrovamento di Castrum Perti, una piazzaforte bizantina nell'entroterra ligure, rifornita via mare di prodotti dell'area mediterranea20, tra cui buona parte della ceramica invetriata rinvenuta sul sito21. Ciò è tanto più sorprendente se si tiene conto che la Liguria è stata fino ad epoca molto tarda (almeno fino al VI secolo) sede di alcuni grandi centri di produzione di ceramica invetriata22. Sussiste inoltre una grande difficoltà nell'individuare il possibile centro di produzione delle invetriate di importazione di Castrum Perti che, sulla base delle analisi mineralogiche, potrebbe essere collocato nell'Italia centro­meridionale, preferibilmente in area romano-laziale, alternativamente in area orientale23: in nessuna di queste due zone è però documentata archeologicamente tale produzione, mancando fino ad oggi in area romana attestazioni successive al V-VI secolo mentre in area orientale la ceramica invetriata nota per quest'epoca ha caratteristiche completamente diverse24. Il dato mineralogico e quello morfologico offerto ad esempio dalla lucerna25 inducono tuttavia a postulare un centro di produzione in area bizantina, probabilmente in territorio italiano, di cui l'archeologia non ci ha svelato ancora le tracce. [38]

A questo proposito viene in mente una regione di importanza cruciale dalla riconquista bizantina in poi, ma di cui sappiamo invece molto poco: la Sicilia. Scavi effettuati abbastanza recentemente in questa regione, a Palermo, nell'Agrigentino etc.26, non hanno in verità riportato alla luce ceramica invetriata attribuibile al VI-VII secolo, ma a questo panorama manca la documentazione di Siracusa, certamente il centro più importante in questo periodo.

19 Cfr. HAYES c.s.20 Cfr. MURIALDO, infra, p. 76 ss. con precedente bibliografia.21 Si tratta in particolare del gruppo di boccali a fondo piano, pareti piuttosto verticali e di una lucerna, tutti con invetriatura poverissima, in parte scrostata, applicata solo sulla superficie esterna (MURIALDO, infra, Fig. 1,5-9) che rientrano tutti nel gruppo 9b (cfr. SFRECOLA, infra, analisi nn. 3563 e 227). 22 Centri di produzione erano ad esempio nel Savonese e a Ventimiglia, etc.: cfr. VARALDO-LAVAGNA, infra, p. 86ss; OLCESE, infra, p. 632 ss.23 Cfr. SFRECOLA, infra, pp. 585-586.24 Per una descrizione della più antica produzione invetriata di Costantinopoli (“Glazed White Ware I”) cfr. HAYES c.s.25 Cfr. MURIALDO, infra, p. 78, Fig. 1,9; per le lucerne diffuse in Italia centro-meridionale ed insulare tra il VII e l’VIII secolo cfr. GARCEA 1987; PAROLI, Crypta Balbi, infra, p. 371.[ 26 Cfr. TULLIO 1985 per Palermo; CASTELLANA-McCONNELL 1990 per lo scavo della villa rurale con fasi imperiali e bizantine in contrada Saraceno, presso Agrigento.

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In questa città è conservato il gruppo più consistente di ceramica invetriata di tutta la Sicilia: ci si riferisce ovviamente agli esemplari della Galleria Regionale di Palazzo Bellomo di Siracusa27, entrati nella collezione da vecchia data, dei quali non è sempre accertata la provenienza. [39]

Per uno solo di essi è documentato il ritrovamento in occasione di sterri urbani28; per gli altri esemplari la provenienza non è altrettanto certa, fatto questo che impone la massima cautela nell'interpretazione. A questo nucleo però vanno aggiunti i ritrovamenti più recenti effettuati in area urbana29 che documentano con certezza la circolazione di tali prodotti a Siracusa, anche se la mancanza di notizie più precise non consente di stabilire a quale periodo essi appartengano.

Limitando quindi l’analisi a quanto conosciuto, si può affermare che l’estrema varietà morfologico-decorativa e mineralogica riscontrata nel gruppo di Palazzo Bellomo permette di escludere l’attribuzione ad un unico centro produzione e ad un’unica fase cronologica. Per due esemplari (analisi 142-143) sarebbe possibile ipotizzare sulla base dell’analisi mineralogica una produzione in ambito locale. Nel caso della brocca con decorazione a petali sparsi (analisi n. 142) si tratta di un esemplare difficilmente antecedente all'VIII-IX secolo che trova notevole corrispondenza nella forma e nella decorazione (ad esempio la fascia di sottili filettature eseguite a pettine sulla spalla) con le brocche romane di quel periodo, suggerendo un'origine romana in luogo di quella siracusana, tanto più che impasti simili sono documentati a S. Cornelia e a S. Rufina, nel circondario di Roma, in prodotti altomedievali di sicura origine laziale30. Questa ipotesi attende comunque di essere convalidata o respinta da uno studio completo di tutta la ceramica invetriata rinvenuta a Siracusa che non è stato possibile effettuare in questa occasione.

27 Si tratta di un piccolo gruppo di forme chiuse e di un coperchio da cui sono stati prelevati per gentile concessione della Direzione del Museo, cinque campioni sottoposti ad analisi mineralogica (cfr. SFRECOLA, infra, analisi nn. 141­145). Lo studio di queste ceramiche è affidato alla dott.ssa C. Guastella che ne ha curato la presentazione nel corso del Seminario a Pontignano il 23-24 febbraio 1990, ma non ha inviato il testo per la pubblicazione degli atti. Il materiale descritto è esposto nella Galleria Regionale di Palazzo Bellomo di Siracusa: 1) brocca frammentaria a corpo ovoidale, spalla molto scesa, collo stretto, decorazione a petali in rilievo molto fitti, accuratamente modellati che coprono il corpo del vaso (per quanto conservato), vetrina verde oliva molto abbondante (inv.n. 35746). Proviene da sterri in Siracusa. Cfr. SFRECOLA, infra, analisi n. 141, gruppo 15a. 2) Brocca a corpo ovoidale, spalla piuttosto alta, collo largo, troncoconico, fondo piano, decorazione a petali sparsi su tutto il corpo; sulla spalla fascia orizzontale di sottili linee incise, vetrina verde scuro (cfr. MAZZUCATO 1972 p. 47 n. 93, Fig. 94). Provenienza incerta, ma cfr. il numero di inventario (33708) ed il luogo diprovenienza (Contrada Belvedere) riportato dal Mazzucato, ibidem. Cfr. SFRECOLA, infra, analisi n. 142, gruppo 1lf. 3) Coperchio a calotta globulare e presa a bottone, vetrina marrone chiaro solo all’esterno. Provenienza incerta. Cfr. SFRECOLA, infra, analisi n. 143, gruppo 11e. 4) Brocchetta a corpo ovoidale, alto collo leggermente svasato, lungo beccuccio tubolare collegato all’orlo da un ponticello ricurvo, ansa a nastro, decorazione a trecce verticali in rilievo applicate sul corpo, vetrina di colore marrone-verdastro, sottile e irregolare (cfr. RAGONA 1975, p. 19, Fig. 1). Anche questo esemplare è pubblicato dal MAZZUCATO (1972, p. 47, n. 94, Fig. 93) con il numero di inventario (34569) e il luogo di provenienza (scavi in Piazza Minerva 1913) mentre è indicato dal Museo come di provenienza incerta. Cfr. SFRECOLA, infra, analisi n. 144, gruppo 2a. 5) Brocca a corpo globulare su alto piede svasato, collo alto e stretto con orlo svasato ampia ansa a nastro impostata sull’orlo e sulla pancia, privo di decorazione salvo due linee incise alla base del collo e sulla spalla, vetrina marrone chiaro (inv.n. 28605). Proviene da Mineo (prov. di Catania). Cfr. SFRECOLA, infra, analisi n. 145, gruppo 13a. Ad un più attento esame questo esemplare è risultato appartenere ad una produzione di invetriata bassomedievale ed è stato pertanto escluso dalla discussione. Il gruppo del Museo di Siracusa comprende anche un sesto esemplare, una forma chiusa molto singolare, a corpo molto allungato, fondo piano, con l'orlo che si biforca da una parte in un versatoio a beccuccio aperto, dall'altra in un versatoio a cannello chiuso; la vetrina è di colore marrone verdastro, opaca. Trattandosi di un esemplare integro, non è stato possibile prelevare un campione per le analisi. 28 È il primo degli esemplari elencati alla nota precedente, corrispondente all’analisi n. 142. 29 Inf. di C. Guastella.

Per un confronto morfologico si veda un esemplare nel Museo dell'Alto Medioevo (inv. n. 1891) mentre per la decorazione si rimanda alla brocchetta illustrata in MAZZUCATO 1968, Fig. 2, con petali sparsi e fascia di sottili filettature sulla spalla; cfr. anche ROMEI, Crypta Balbi, infra, Fig. 14 per la fascia filettata; per 1'impasto cfr. i campioni da S. Cornelia e da S. Rufina: SFRECOLA, infra, analisi nn. 35 e 38-39, gruppi 11g e 11i.

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Minori problemi di attribuzione ad un'eventuale produzione locale incontra il coperchio (analisi n. 143) che rientra in una tipologia diffusa nell'Italia meridionale dall'VIII-IX secolo, periodo a cui risalgono gli esemplari invetriati finora noti, ma realizzata anche precedentemente in versione acroma31.[40]

Appartiene quasi certamente ad un momento successivo la brocca con lungo cannello collegato all'orlo da un ponticello e con decorazione a treccia in rilievo sul corpo (analisi n. 144) che anche dal punto di vista mineralogico è più vicino a prodotti di area salernitana del X-XI secolo32. Solo l'olpe a collo stretto (analisi n. 141), ricoperta da una fittissima decorazione di petali accuratamente modellati, mostra tratti di maggiore arcaicità ricollegandosi sotto il profilo morfologico alle bottiglie tardo­antiche33 e per l'accurato modellato dei petali alla decorazione dell'invetriata tardo-antica tipo Classe34, ma anche ai primi esempi di ceramica a vetrina pesante di Roma dell' VIII secolo35 e ad una brocca di Reggio Calabria databile anch'essa tra l'VIII ed il IX secolo36. L'arco cronologico in cui si potrebbe venire a collocare quest'esemplare, dall'impasto estremamente depurato e micaceo di origine indeterminabile, oscilla dunque tra la tarda antichità e l'VIII secolo. Se si tiene conto tuttavia che in Italia meridionale e nel Mediterraneo orientale la decorazione a petali in rilievo non fa la sua comparsa prima dell'VIII secolo, una datazione in età altomedievale sembra più probabile, a meno che non si ipotizzi una sua origine nell'Esarcato come è stato proposto per gli esemplari di Pescara37. Da quanto detto finora si deve concludere che, al momento, manca un'evidenza concreta di una produzione di ceramica a vetrina pesante tra la tarda antichità e l'altomedioevo a Siracusa.[41]

Per quest'ultimo periodo (a partire probabilmente già dall'VIII secolo) vi sono invece precisi indizi di una circolazione piuttosto ampia di prodotti invetriati, alcuni dei quali potrebbero essere stati anche fabbricati localmente, ed estesa anche ad altre zone della regione, come attesta il ritrovamento di

31 In Italia si ricordano gli esemplari della fornace di Otranto, datati tra il tardo VI e gli inizi dell'VIII secolo: cfr. PATTERSON 1992; per un elenco dei coperchi a calotta rivestiti di vetrina finora noti in Italia cir. PAROLI, Crypta Balbi, infra, p. 358, nota 27. 32 Per la diffusione della decorazione a treccia in rilievo cfr. BONIFAY et al. 198G, p. 84, PATTERSON, San Vincenzo, infra, p. 489, ALFANO-PEDUTO, infra, p. 505 ss., MAETZKE, infra, p. 513; ROTILI, infra, p. 518 ss., per l'impasto cfr. SFRECOLA, infra, gruppo 2a attribuito all'area salernitana dove si registra anche la massima concentrazone della decorazione a treccia. 33 Per una esemplificazione di massima, dal momento che la bottiglia o brocca a collo stretto (olpe) è una forma universalmente diffusa fino ad età tardo-antica, si vedano le olpai invetriate dell'Italia settentrionale, ad esempio in NOBILE 1985, pp. 52-54, figg.2-13, quelle acrome dai cimiteri longobardi della Toscana in FRANCOVICH 1984, p. G17 ss., tavv. I-III oppure quelle molto vicine anche dal punto di vista tipologico all'esemplare siracusano (spalla molto scesa, corpo ovoidale) dal pozzo del Palazzo dei Vescovi a Pistoia in VANNINI 1987, pp.433-442. 34 Cfr. MAIOLI, infra, p 241 ss. con precedente bibliografia. 35 Cfr. CIPRIANO et al. 1991, Fig. 6,15-16; ROMEI, Crypta Balbi, infra, p. 380, Fig. 1.36 Cfr. RACHELI, infra, p. 537, Fig. 2a-b.37 Anche uno dei due esemplari rinvenuti presso Pescara (cfr nota 17) ha una decorazione sul corpo a petali ben modellati ed accuratamente embricati; che ha notevoli affinità con l'invetriata di Classe, l'attribuzione ad un centro produttivo dell'area ravennate è di natura induttiva, non disponendo di analisi mineralogiche dei frammenti che sono stati scoperti solo molto di recente.

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un chafing-dish nella villa di Patti presso Messina, e di altri esemplari invetriati dal castello di S.Pietro a Palermo e da Brucato38.

Anche per quanto riguarda altri grandi centri dell'Italia meridionale meglio conosciuti attraverso indagini recenti come Napoli39, Reggio Calabria40, Otranto dove tra il tardo VI e gli inizi dell'VIII secolo erano ancora attive fornaci che fabbricavano anfore da trasporto e ceramica comune41, Porto Torres42, etc., manca ogni evidenza di una produzione di ceramica invetriata in epoca tardo-antica ed anche la circolazione di prodotti invetriati, eventualmente importati, appare virtualmente nulla43. In questo quadro lascia perplessi l'attribuzione al VI-VII secolo di un frammento di ceramica invetriata con decorazione a petali in rilievo dal castello di Montella (Avellino) dove la classe, che presenta caratteristiche di grande omogeneità formale e mineralogica, è molto ben attestata nei livelli altomedievali44.[42]

Riassumendo dunque i dati fin qui esposti per il periodo tardo-antico appare chiaro che nell'Italia centro-meridionale solo le aree collegate ad un centro politico eminente quali Roma e Ravenna hanno avuto una produzione di ceramica invetriata (il giudizio rimane sospeso per Siracusa in mancanza di dati obbiettivi), ma a fronte di una precoce atonia della produzione invetriata romana che già nel VI secolo è in fase di completo declino, riflettendo probabilmente la perdita di centralità politica della città in quel periodo, la produ-zione di area ravennate mostra una vivacità ed una longevità maggiori, restringendo sensibilmente il gap cronologico tra le ultime invetriate tardo-antiche e quelle altomedievali che in quest'area sono piuttosto ben documentate fin dalle fasi più antiche45.

Per quanto riguarda le produzioni della ceramica a vetrina pesante altomedievale i risultati del seminario hanno ampliato considerevolmente il quadro complessivo46, permettendo di raggiungere in molte regioni, grazie soprattutto alle analisi mineralogiche, conclusioni molto più circostanziate.

In linea generale è risultato confermato quel rovesciamento della carta di distribuzione delle invetriate che si verifica tra il VII e 1'VIII secolo tra l'Italia Cisalpina e l'Italia centro-meridionale. Allo straordinario affollamento di siti che caratterizza l'Italia settentrionale in età tardo-antica a cui si accompagna nell'Italia centro-meridionale una straordinaria scarsità di attestazioni, che si concentrano su Roma, si sostituisce nell'altomedioevo un forte incremento di presenze nell'Italia centro-meridionale ed insulare a cui corrisponde un'assenza pressoché completa nell'Italia settentrionale con l'eccezione della Romagna, delle Marche e, per motivi diversi, della Liguria. Nella Francia meridionale le

38 Per il chafing-dish di Patti cfr. VOZA 1976-1977, che ne specifica la provenienza dalle fasi più tarde di occupazione della villa; a favore di una datazione in età altomedievale depone la forma stessa dell'esemplare invetriato la quale, come è stato stabilito di recente (HAYES c.s.), si diffonde nel mondo bizantino non prima dell'VIII secolo. Dallo scavo del Castello di S. Pietro a Palermo (cfr. ARCIFA et al. 1985-1987) proviene una brocchetta con beccuccio a mandorla attaccato al collo cilindrico piuttosto sviluppato e decorazione incisa (inf. di A. Molinari); per l'impasto cfr. SFRECOLA, infra, analisi n. 376, gruppo 5 nel quale, oltre a questo esemplare di Palermo, si trovano quasi esclusivamente materiali campani e molisani. Anche per quest'invetriata rinvenuta a Palermo le caratteristiche morfologiche e decorative che sug-geriscono un collegamento con l'area campana, indicano una datazione in età altomedievale. Per il piccolo frammento dal villaggio medievale di Brucato (prov. di Palermo), decorato a treccia come quello di Siracusa e come molti materiali campani e molisani, si veda D'ANGELO 1984, tav. 70,a. In questo piccolo gruppo di materiali dell'area palermitana sembra emergere dunque una forte influenza della Campania, suffragata per ora essenzialmente da elementi morfologici, ma che almeno in un caso trovano supporto nel dato mineralogico. 39 Per Napoli cfr. ARTHUR-CAPECE, infra, p. 497 ss. con bibliografia. 40 Per Reggio Calabria cfr. RACHELI, infra, p. 535 ss. 41 Per Otranto cfr. PATTERSON-WHITEHOUSE c.s.; ARTHUR 1992; PATTERSON 1992; PATTERSON, Otranto, infra, p. 525 ss. 42 Per Porto Torres cfr. VILLEDIEU 1984; ROVINA, infra, p. 543 ss. con altra bibliografia. 43 Allo stato attuale si può citare come riferibile certamente ad età tardo-antica solo il frammento dallo scavo di Carminiello ai Mannesi a Napoli: cfr. ARTHUR-CAPECE, infra, p. 498. 44 Cfr. ROTILI, infra, p. 518 ss.45 Per un esame circostanziato della situazione in Romagna nel passaggio dalla tarda antichità all'altomedioevo si vedaBROGIOLO-GEliCHI, supra, p. 29 ss.46 Un panorama della diffusione della ceramica invetriata altomedievale in BONIFAY et al. 1986; successivi aggiornamenti in PAROLI 1990.

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attestazioni sono scarse sia in età tardo-antica che altomedievale, trattandosi sempre di sporadiche importazioni da centri produttivi esterni alla regione, molti dei quali localizzabili in territorio italiano47.

Per quanto riguarda la diffusione della ceramica a vetrina pesante altomedievale in Italia, elementi sufficienti per una datazione circostanziata sono emersi finora solo a Roma, nello scavo della Crypta Balbi, dove la ceramica a vetrina pesante altomedievale, nota anche con il nome di "Forum Ware", è già presente in strati di VIII secolo inoltrato in associazione con un altro tipo di invetriata, di produzione locale, la quale presenta caratteri molto simili alle invetriate bizantine di VII-VIII secolo, di cui costituisce molto probabilmente una filiazione diretta48.[43]

Si tratta di una ceramica ad impasto grezzo, superfici schiarite, invetriatura esclusivamente interna, spessa, brillante, di colore marrone chiaro o marrone-verdastro, cavillata. Non sappiamo esattamente quando tale produzione abbia avuto inizio a Roma, ma essa è certamente posteriore alla diffusione della ceramica invetriata in area bizantina, avvenuta nella prima metà del VII, da cui mutua le caratteristiche di fondo. È probabile inoltre che essa preceda l'affermazione del "Forum Ware", ma non di molto dal momento che la forma più comune è il chafing-dish, che si diffonde a Costantinopoli intorno al 700 ca.49. Da ciò si deduce che questa ceramica, che deve essere considerata la prima produzione invetriata altomedievale di Roma, si colloca nei secoli centrali dell'VIII secolo, esattamente cioè nell'ambito cronologico indicato dalla stratigrafia della Crypta Balbi50.

Quanto al “Forum Ware” abbiamo già visto che anch'esso è presente in quantità assolutamente marginali negli strati della Crypta Balbi databili nella seconda metà dell'VIII secolo, ma è già ben affermato nell'ultimo quarto dell'VIII secolo ricorrendo costantemente negli strati relativi alle opere realizzate a Roma e nella Campagna Romana durante il pontificato di Adriano I (772-795)51.

Per il resto della penisola dove la produzione e la circolazione di ceramica a vetrina pesante hanno costituito in età altomedievale, come era già noto e come il Seminario ha confermato, un fenomeno molto diffuso52, non abbiamo datazioni altrettanto circostanziate, ma solo indicazioni cronologiche più ampie con un orientamento generale verso l'VIII-IX secolo per le fasi più antiche.[44] È quanto emerge in Campania53, in Abruzzo54, nel Molise55, nelle Puglie56, in Calabria57 ed in Sicilia58. Indicazioni analoghe provengono dalla Sardegna59 come del resto dalla Corsica60, dalla

47 Cfr. contributo del C.A.T.H.M.A., infra, p. 65 ss; per una sintesi sull'Italia settentrionale cfr. BROGIOIO-GELICHI, supra, p. 23 ss. 48 Cfr. PAROLI, Crypta Balbi, infra, p. 353 ss. con precedente bibliografia. 49 HAYES c.s. 50 Per un esame dettagliato del contesto cfr. PAROLI, Crypta Balbi, infra, p. 351 ss. Come si è puntualizzato in quel contributo, gli strati da cui provengono questi materiali invetriati si datano con ogni probabilità nell'avanzato VIII secolo offrendo un panorama delle produzioni in circolazione intorno alla metà-seconda metà del secolo stesso. 51 Si ricordano gli interventi a San Sisto Vecchio nel 782 (cir. ANNIS, San Sisto Vecchio, infra, p. 398) a Roma, a S . Cornelia nel 774-776 (cfr. PATTERSON 1991, p. 120 ss.) e a S. Rufina intorno al 782-783 (cfr. COTTON WHEELER WHITEHOUSE 1991, pp. 241-251; pp. 308-309) nella Campagna Romana. 52 Si confrontino le rassegne dei siti con vetrina pesante pubblicate dal 1985 al 1990 (PAROLI 1985, p. 207; BONIFAY et al. 1986, pp. 82-84; PAROLI 1990, pp. 318-320) con la carta di distribuzione alla Fig. 1. 53 In Campania i contesti più antichi sono probabilmente quelli di Napoli (cfr. ARTHURCAPECE, infra, p. 499) e di Montella (cfr. ROTILI, infra, p. 520), mentre quelli del Salernitano sono in linea di massima più tardi (cfr. MAETZKE, infra, p. 512; ALFANO-PEDUTO, infra, pp. 504-508). 54 Cfr. STAFFA, infra, p. 477.55 Cfr. PATTERSON, San Vincenzo al Volturno, infra, p. 488.56 Cfr. PATTERSON, Otranto, infra, p. 525.57 Per la Calabria dati più precisi si hanno solo per Reggio Calabria (cfr. RACHELI, infra, p. 535 ss.).58 Per la Sicilia si è visto in precedenza che una datazione intorno all'VIII-IX di alcuni manufatti invetriati è la più probabile: cir. supra, p. 39 ss. 59 Oltre che da considerazioni di ordine tipologico indicazioni cronologiche derivano dal contesto stratigrafico per il frammento da Sorso (cfr. ROVINA, infra, p. 545). 60 Il materiale invetriato da Mariana ha strettissime affinità con quelle del tardo VIIIprima metà del IX secolo di Roma (cfr. D'ARCHIMBAUD 1972; infra, nota 93).

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Liguria61 e dalla Provenza62, che non sono tuttavia aree di produzione. Una diffusione molto precoce è ipotizzabile per la Romagna63 mentre in Toscana il fenomeno sembra leggermente posticipato, anche se le attestazioni più antiche si possono far risalire al IX secolo64. In Umbria dove solo di recente gli scavi hanno cominciato a documentare la diffusione di ceramica invetriata altomedievale, i dati a disposizione sono troppo scarsi per definirne le fasi iniziali65.[45] Non sembra partecipare a questo processo generale solo una regione, la Basilicata, dato oltremodo sorprendente che si è inclini ad attribuire allo stato della ricerca piuttosto che ad altri fattori. È ormai chiaro infatti che la ceramica a vetrina pesante altomedievale ha avuto nel periodo di massima fioritura tra il IX e il X secolo ambiti di circolazione plurimi: interregionale sulla scia delle rotte marittime di media e lunga gittata; regionale ma soprattutto, con il proliferare dei centri di produzione, subregionale, garantendo una penetrazione capillare dei prodotti fin nelle zone più interne dell'Appennino come nel caso emblematico di S. Potito di Ovindoli e di tutto l'Abruzzo interno66.

I1 policentrismo è uno degli elementi carat`terizzanti l'organizzazione della produzione della ceramica a vetrina pesante altomedievale fin dalle sue fasi più antiche, un aspetto questo destinato a rafforzarsi dal X secolo in poi quando si registra un'espansione molto consistente della produzione. Indicazioni molto precise in questa direzione ci vengono ora offerte dalle analisi mineralogiche che hanno dimostrato l'estrema complessità e capillarità del sistema produttivo della ceramica a vetrina pesante anche in ambiti territoriali molto circoscritti.

Il caso più significativo è costituito per ora da Roma ed il suo territorio (Campagna Romana e Sabina) dove il modello centralistico del grande centro produttore che rifornisce 'monopolisticamente' i centri satelliti sfuma in una realtà molto più articolata caratterizzata da un decentramento praticamente immediato della produzione dopo il primo, forte irraggiamento dal centro maggiore, che anche in prosieguo di tempo mantiene comunque una forte influenza su tutto il circondario67.

Anche in Campania si coglie chiaramente l'esistenza di una molteplicità di centri di produzione, particolarmente attivi nel Salernitano68, ciò che spiega il grado notevole di uniformità morfologica e mineralogica della ceramica a vetrina pesante rinvenuta di quell'area o ad essa riferibile. Accanto a questa si debbono postulare per la Campania altre importanti aree di produzione, come quella da cui provengono tutti i campioni di Napoli e di Montella nell'Avellinese, appartenenti allo stesso gruppo

61 Il contesto altomedievale più antico è rappresentato in Liguria dagli strati che precedono la fondazione della basilicaprotoromanica di S. Paragorio di Noli (cfr. FRONDONI, infra, p. 81); si deve considerare probabilmente tardo-antico ilframmento con decorazione a petali in fila da Savona (cfr. nota 97).62 Cfr. in particolare i materiali invetriati di Marsiglia-Bourse (cfr. BONIFAY et al. 1986, pp. 86 e 91; C.A.T.H.M.A.,infra, p. 68.63 Caratteristiche molto arcaiche hanno alcuni frammenti con decorazione a petali sparsi dalla zona di Comacchio (cfr. GELICHI, Comacchio, infra, pp. 269-274).64 L'attestazione più antica è probabilmente quella proveniente da un insediamento sparso nella Toscana meridionale, nelterritorio di Scarlino (CUCINI 1989, pp. 506-509, tav. IV,73); un frammento verosimilmente molto antico (IX secolo)ma che proviene da uno strato dell'XI secolo, è quello con decorazione a petali sparsi rinvenuto negli scavi della BancaNazionale del Lavoro a Lucca (cfr. BERTI-CAPPELLI-CIAMPOLTRINI infra, p. 285). Una datazione tra l'VIII e il IXsecolo è stata proposta anche per il materiale invetriato del battistero di Lucca (cfr. DE MARINIS 1980, pp. 149-150),per il quale si prospetta ora una cronologia più tarda (cfr. BERTI-CAPPELLI-CIAMPOLTRINI, infra, p. 282 ss.).

L'unica documentazione per ora disponibile è quella dagli scavi nel Palazzo Ducale di Gubbio (cfr. BERNARDI, infra, p. 319 ss.).66 Per San Potito di Ovindoli in provincia de L'Aquila cfr. PAROLI, San Potito, inim p. 481; per la diffusione nellaregione della ceramica a vetrina pesante e sparsa cfr. STAFFA infra, p. 476, Fig. 1.67 Cfr. PATTERSON, Campagna Romana, infra, p. 428 ss; EAD. Sabina, infra, p. 466 ss. 68 Come si avrà occasione di sottolineare più volte, i ritrovamenti sono particolarmente numerosi nel Salernltano dove si presentano con impasti abbastanza distintivi (cfr. SFRECOLA, infra gruppi 2 e 3) che consentono un'identificazione relativamente sicura dei prodotti esportati in altre aree: il caso più emblematico è un frammento di brocchetta con decorazione a treccia da Scarllno (cfr. BERNARDI, CAPPELLI-CUTERI, Scarlino, infra p. 296, tav. I,1).

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mineralogico a cui si riferiscono anche parte dei campioni di Capaccio Vecchia e di Mercato S.Severino nel Salernitano e di San Vincenzo al Volturno nel Molise69.[46]

La Campania è indubbiamente una delle regioni dell'Italia meridionale dove la produzione di ceramica a vetrina pesante è stata più fiorente e duratura: essa è ancora ben documentata a Salerno e a Capaccio nell'XI secolo, periodo in cui conserva ancora un rivestimento invetriato completo e la decorazione a treccia in rilievo o addiritttura figurata70, mentre la decorazione a petali in rilievo, che troviamo particolarmente diffusa nella vetrina pesante di Napoli e Montella, manca quasi completamente nell'area salernitana. Allo stato attuale è difficile stabilire se questa differenziazione dipenda dalla cronologia dei manufatti o dall'esistenza di diverse tradizioni decorative all'interno dei vari centri produttivi attivi nello stesso periodo.

Una grande varietà di prodotti invetriati si riscontra nel centro abbaziale di San Vincenzo al Volturno, sede di consumi privilegiati che favorirono la circolazione di merci più o meno esotiche, stimolando al contempo una produzione locale71. Per ragioni diverse anche ad Otranto si registra la circolazione di una gamma amplissima di prodotti invetriati, alcuni di origine locale, altri importati da altre zone dell'Italia meridionale, altri ancora dalla regioni bizantine d'oltremare72.

Completamente diversa si presenta la situazione a Reggio Calabria dove tutti i campioni esaminati rimandano inequivocabilmente ad un unico centro di produzione con caratteristiche mineralogiche perfettamente compatibili con quelle della regione ma anche con alcune zone del Mediterraneo orientale73. L'ipotesi di una origine locale di questa ceramica invetriata è tuttavia quanto mai attendibile in considerazione sia della sua straordinaria omogeneità sia della sua diffusione nell'ambito della stessa area, come ad esempio a Squillace74. Il gruppo di Reggio Calabria merita un'attenzione particolare per alcune caratteristiche che permettono di attribuirlo ad uno dei primi momenti della produzione: la varietà del colore della vetrina che passa dal giallo all'arancione, al marrone, al verde oliva, la molteplicità delle forme e delle decorazioni tanto più notevole se si considera il numero limitatissimo di esemplari rinvenuti75.[47]È in particolare sulla decorazione, profusa su tutti e quattro gli esemplari, che vale la pena di soffermarsi in quanto rivelatrice di connessioni finora insospettabili. Nel grande catino76 la decorazione incisa è presente sia all'interno che all'esterno, disegnando all'interno un motivo molto probabilmente figurato, all'esterno un motivo “ad unghiata”, tutti elementi che così combinati ritornano per ora solo nella ceramica a vetrina pesante di Roma e dintorni77, mentre un motivo molto simile a quello “ad unghiata” lo ritroviamo su un coperchio acromo di Otranto, prodotto nella fornace databile tra la fine del VI e gli inizi dell'VIII secolo78. La brocca79 ha una decorazione a petali molto fitti e accuratamente modellati, come quella degli esemplari di Siracusa e di Roma ricordati in precedenza80. Anche il boccuccio tubolare ha una decorazione a petali applicati, ma più schiacciati81 mentre il grande coperchio a calotta82 ha una decorazione a scaglie incise disposte su file orizzontali piuttosto regolari che trova un confronto molto puntuale in un altro

69 Si tratta del gruppo 5 (cfr SFRECOLA, infra) nel quale ricadono anche alcuni campioni di area laziale o di accertata origine laziale (campioni di Marsiglia); tuttavia le ceramiche delle due aree si distinguono quasi sempre senza grandi difficoltà l'una dell'altra in base agli aspetti morfologici, decorativi e di manifattura. 70 Su di un frammento dal centro di Salerno trovato in strati di XI secolo in associazione con ceramiche invetriate di tipo islamico occidentale (cfr. ALFANO-PEDUTO, Salerno, infra, p. 509, tav. II, 5). 71 Cfr. PATTERSON, San Vincenzo al Volturno, infra, p. 493. 72 Cfr. PATTERSON, Otranto, infra, p. 528 ss. 73 Cfr. RACHELI, infra, p. 536; per gli impasti cfr. SFRECOLA, infra, analisi n. 18, gruppo l0b. 74 Cfr. CUTERI RACHELI, infra, p. 541. 75 Per una descrizione particolareggiata si veda RACHELI, infra, p. 537. 76 Ibidem, Fig. 1a-b. 77 Cfr. ad esempio gli esemplari della Crypta Balbi (MANACORDA et al. 1986, pp. 516-520, tav. IV,1a-b; tav. XIV,5-6; ROMEI, Crypta Balbi, infra, p. 386, Fig 22).78 Cfr. PATTERSON 1992, Fig. 2.79 Cfr. RACHELI, infra, Fig. 2a-b.80 Cfr. infra, in particolare note 27 e 35.81 Cfr. RACHELI, infra, Fig. 3.82 Ibidem, Fig. 4.

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coperchio in ceramica acroma della fornace di Otranto83 e nell'elegantissimo scaldavivande invetriato di Pollentia (Maiorca), rinvenuto insieme al suo coperchio che reca lo stesso motivo ornamentale ed in associazione con altri frammenti di ceramica a vetrina pesante con decorazione a petali in rilievo84.

Vediamo così snodarsi un filo conduttore che collega tra loro i prodotti della prima età bizantina di Otranto, con caratteristiche tipologiche e tecnologiche profondamente radicate nella tradizione del Mediterraneo orientale, come sottolineano esplicitamente gli editori del materiale pugliese85, e prodotti di età altomedievale come la ceramica a vetrina pesante di Roma e di Reggio Calabria, databili tra l'avanzato VIII secolo ed il IX secolo, e lo scaldavivande di Pollentia, riferibile anch'esso all' VIII-IX secolo86.[48] Va nondimeno sottolineato che tale tradizione, pur scaturendo da una matrice mediterranea con forti riferimenti alla parte orientale (Otranto), la troviamo operante in età altomedievale solo nel quadrante occidentale del bacino del Mediterraneo (Reggio Calabria, Roma, Pollentia). Non sappiamo se ciò sia dovuto ad una carenza di dati per il settore orientale: rimane comunque accertata l'esistenza di una tradizione comune alle aree dell'Occidente bizantino che sviluppa in forma estremamente attiva ed autonoma gli elementi stratificati nel proprio retroterra culturale a partire dalla tarda antichità. Anche la grande fortuna incontrata in Italia dalla decorazione a petali applicati in rilievo costituisce un tratto distintivo rispetto all'area orientale, dove tale decorazione, pur apparendo piuttosto precocemente87, svolge un ruolo molto marginale nell'ambito delle invetriate altomedievali bizantine. Del resto è ben nota l'esistenza di caratteristiche peculiari alle diverse regioni anche all'interno dell'area bizantina orientale che distinguono nettamente le produzioni costantinopolitane da quelle di Cipro o della Grecia.

Passando ora al settore insulare si ricorderà quanto già detto a proposito della difficoltà di stabilire l'esistenza in Sicilia di una produzione locale di ceramica invetriata, laddove è sicuramente accertata la circolazione di ceramiche invetriate di età altomedievale.

Per quanto riguarda la Sardegna le accurate ricerche promosse in occasione del Seminario nella parte settentrionale dell'isola (prov. di Sassari) permettono di concludere che la ceramica a vetrina pesante è presente esclusivamente nella zona di Porto Torres, importante centro portuale fin dalla tarda antichità, ed unicamente in livelli altomedievali88. Le presenze, sempre molto modeste, hanno fatto ipotizzare l'origine esterna di questo materiale che mostra in effetti forti corrispondenze tipologico-formali con quello di area romana89.[49] Dal punto di vista mineralogico i campioni analizzati si sono rivelati molto omogenei90 e, con ogni probabilità, originari di una stessa area che rimane però di non facile localizzazione. La più probabile, scartando quella di una fabbricazione in loco, è ancora una volta il Lazio, dal momento che molti campioni altomedievali di sicura origine laziale presentano degli impasti molto simili91. Nella parte meridionale dell'isola la presenza di invetriate sembra accertata a Corous e a Cagliari92, ma mancano al momento informazioni più precise.

Giungendo infine alla Corsica, si è già accennato in precedenza come non sia stato possibile includerla, a differenza della Francia meridionale, nei lavori del Seminario. Non disponiamo quindi di dati mineralogici relativi all'importante gruppo di materiali da Mariana che possa confermare la sua attribuzione alla produzione romana, avanzata sulla base dell'assoluta identità tipologico-decorativa con

83 Cfr. PATTERSON 1992, Fig. 3. 84 Cfr. ROSSELLÒ BORDOY 1982. 85 Cfr. ARTHUR 1992; PATTERSON 1992. 86 L'esemplare di Pollentia non trova dei confronti perfettamente puntuali nè tra il materiale greco-orientale nè tra quello italiano che si è accresciuto notevolmente negli ultimi tempi (per una bibliografia esauriente si rimanda ai contributi relativi alla Crypta Balbi in questo stesso volume a cura di L. Paroli, infra, p. 358 e di D. Romei, infra, p. 379). Si sottolinea tuttavia che la struttura dell'orlo sembra più simile a quella degli esemplari italiani che a quella degli esemplari del Mediterraneo orientale. 87 Gli scavi di Saraçhane ad Istanbul hanno confermato la diffusione del “Petal Ware” nell'VIII secolo sostenuta dallo Stevenson sulla base della sequenza del Grande Palazzo degli Imperatori (cfr. HAYES c.s). 88 Cfr. ROVINA, infra, p. 543; una bottiglia invetriata è segnalata nel territorio di Dorgali (Nuoro), della quale si sottolinea la diversità rispetto al “Forum Ware” (CAPRARA 1986, p. 57). 89 Cfr. BONIFAY et al. 1986, p. 83. 90 Cfr. SFRECOLA, infra, analisi nn. 113-116, gruppi 11i-h. 91 Cfr. in particolare nel gruppo 11i gli esemplari di S. Cornelia, S. Rufina, Cencelle, etc. 92 Inf.di A.M. Giuntella (Cornus) e di M.A. Mongiu (Cagliari).

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la ceramica a vetrina pesante di Roma93. Questa ipotesi trova comunque ampio conforto nelle fonti storiche che documentano l'esistenza di stretti legami in età carolingia tra l'isola e Roma che viene in soccorso della popolazione terrorizzata dalle incursione saracene, stabilendo una colonia di Corsi fuggiaschi a Porto94.

Anche la Corsica sembra quindi interessata solo da un fenomeno di circolazione della ceramica invetriata che raggiunge via mare numerosi centri distribuiti lungo le coste del Tirreno settentrionale. Questa è sicuramente la via seguita dai non pochi frammenti di ceramica a vetrina pesante rinvenuti a Lucca95, Genova96, Savona (?) e Noli97 in Liguria e quelli distribuiti sulle coste provenzali tra il IX ed il X secolo98, restituendo un quadro di vivaci scambi in questo settore del Mediterraneo, nel quale rientra anche lo scaldavivande rinvenuto nell'emporio di Pollentia nell'isola di Maiorca (Spagna).[50]

La fonte principale, anche se non l'unica, di questa ceramica furono certamente Roma ed il Lazio che, come è ben noto, produssero una quantità prodigiosa di ceramica invetriata altomedievale. Si è già sottolineata in precedenza anche la straordinaria proliferazione dei centri di produzione sia a Roma che nella Campagna Romana e nella Sabina, in quelle parti cioè del Lazio meglio note archeologicamente. Ma una situazione del tutto simile va ipotizzata anche per il Lazio meridionale, almeno fino ai confini della Langobardia minor; dalle poche notizie edite ed inedite già emerge un

93 In questo caso il confronto tra il materiale romano e quello corso, reso più agevole dalla conservazione di frammenti piuttosto consistenti che permettono una chiara lettura della morfologia e della decorazione, è assolutamente inequivocabile: cfr. ad esempio la brocca in D’ARCHIMBAUD 1972, p. 2, Fig. 1 con quelle in MAZZUCATO 1972, Fig. 27 e 36;l’orlo a fascia, lievemente convesso all'interno associato al beccuccio a cannello tubolare piuttosto breve e fitta decorazione a petali applicati è un elemento estremamente tipico della prima fase della produzione altomedievale romana ( cfr. ad esempio anche MANACORDA et al. 1986, p. 516, tav. III,1-3 e tav. XIV,1-4); precisa corrispondenza si ha tra la decorazione “a rete” del frammento di Mariana (D'ARCHIMBAUD, p. 4, Fig. 3,2) e quelli dal Fonte di Giuturna (MAZZUCATO 1972, Fig. 15) e dalla Crypta Balbi (ROMEI, Crypta Balbi, infra, p. 384, Fig. 13; cfr. anche altri frammenti inediti dallo stesso contesto con analogie ancora maggiori), lo stesso vale per i petali in ordine sparso disseminati sulle anse che sono diffusissimi nella produzione romana più antica. 94 Cfr. Liber Pontificalis II, Leo IV, p. 126.

Oltre al frammento con decorazione a petali in rilievo visto in precedenza (cfr. BERTI-CAIPPELLI-CIAMPOLTRINI, infra, p. 287, fig. 1), di cui è senz’altro ipotizzabile l’importazione dal di fuori, si ricordano alcuni altri frammenti di ceramica a vetrina pesante, almeno in parte attribuibili alla produzione romana di IX e X secolo, conservati nei magazzini lucchesi (inf. di G. Ciampoltrini). 96Cfr. GARDINl-MELLI, infra, p. 105. 97 Per Savona cfr. LAVAGNA-BENENTE, infra, p. 100, un frammento di ansa con una fila di petali nella depressione mediana (PL31115). L'inquadramento di questo esemplare non è del tutto agevole dal momento che per la sua giacitura stragrafica dovrebbe essere ricondotto ad epoca tardo-antica piuttosto che altomedievale, né le analisi mineralogiche offrono indicazioni sufficienti ad individuare con sicurezza un possibile centro di produzione (cfr. SFRECOLA, infra, analisi n. 223, gruppo 11i). Può essere forse di qualche utilità ricordare che una certa diffusione della decorazione a petali applicati è documentata anche in Italia settentrionale in età tardo-antica (cfr. BROGIOLO-GELICHI, supra, p. 26). Sembrano invece riferibili con maggiore sicurezza ad età altomedievale alcuni frammenti invetriati in parte decorati con petali in rilievo provenienti da San Paragorio di Noli (FRONDONI, infra, p. 81). La loro attribuzione a fabbriche laziali non è contraddetta dalle analisi petrografiche (cfr. SFRECOLA, infra, analisi nn. 167 e 336, gruppo 9f; analisi nn. 369-372, gruppo 13c). 98 Cfr. C.A.T.H.M.A., infra, p. 68 ss.

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quadro di consistente diffusione della classe fin dalle fasi più antiche99 e un'estensione delle ricerche porterebbe ad una crescita esponenziale delle attestazioni.[51]. Del resto non sarebbe concepibile che quella parte del territorio di Roma dove si trovava il Patrimonium Appiae, che costituiva la parte più importante della ricchezza fondiaria della chiesa romana nel Lazio100, rimanesse immune da un fenomeno così imponente come fu la diffusione del "Forum Ware" in età carolingia

Ricerche recenti lungo la costa laziale101 e alle foci del Tevere, presso gli scali di Ostia e Porto102 e più a nord a Cencelle-Leopoli nell'entroterra del porto di Civitavecchia hanno restituito consistenti quantità di ceramica a vetrina pesante che si ritrova anche nei Monti della Tolfa e nella valle del Mignone, lungo la frontiera longobarda103 ma molto raramente nel Viterbese dove pure non sono mancate ricerche anche estensive, come ad esempio a Tuscania104. Sembra comunque prematuro, senza un'indagine sistematica, trarre conclusioni generali sulla diffusione della ceramica a vetrina pesante nella Tuscia longobarda, anche se si deve sottolineare l'attuale mancanza di una consistente evidenza archeologica in questa area subregionale.

Nel complesso il Lazio è la regione italiana di gran lunga più ricca di prodotti invetriati altomedievali che conservano una grande uniformità tipologica malgrado fossero fabbricati in una pluralità di centri diffusi in tutta la regione. Ciò ci consente di attribuire con una certa tranquillità alle officine laziali anche un tipo di impasto particolarmente diffuso nelle ceramiche rinvenute nell'immediato circondario di Roma, che non trova però un riscontro preciso nelle terre del Lazio, almeno allo stato attuale delle conoscenze sulla geologia regionale105.[52]

99 Ritrovamenti di ceramica a vetrina pesante sono segnalati nel suburbio in località “Berretta del Prete” (GAI 1986, pp. 385-39) e nella villa dei Quintilii (scavo diretto da A. Ricci) sulla via Appia, a Borghetto di Castel Savelli sulla via Latina (QUILICI 1978, pp. 148-148). Risalgono ai primi del Novecento i ritrovamenti sull'arce di Norba, centro latino che domina dalla sommità dei Monti Lepini la pianora Pontina attraversata dalla Via Appia, rioccupato nell'altomedioevo forse in concomitanza della cessione da parte dell'imperatore Costantino V Copronimo delle celeberrime masse del fisco imperiale di Nimpha e Norba alla chiesa di Roma al tempo di papa Zaccaria (741-752) (Liber Pontificalis, I, Zacharias, p 433); la ceramica a vetrina pesante ivi rinvenuta, in associazione con fibule ad anello e altre ceramiche acrome, marmi con decorazione a nastro vimineo, etc., è identificabile senza difficoltà, attraverso la descrizione lasciata dagli scavatori, con quella della fase più antica, con vetrina di colore variabile dal giallo al verde, abbondanza di decorazione a petali sparsi, etc. (SAVIGNONI-MENGARELLI 1901, p. 545, IDEM 1903 p. 237). Le fasi altomedievali del sito sono state riconsiderate di recente in occasione della pubblicazione della suppellettile marmorea delle chiese altomedievali di Norba, conservata nel Musco dell'Alto Medioevo di Roma (PAROLI c.s.). Tra i materiali editi rimane ancora da segnalare i ritrovamenti nel territorio di Priverno (prov. di Latina), tra cui numerosi frammenti con decorazione a petali in rilievo (CRISTOFANILLI 1982, pp. 103-111) e a Priverno Antica (loc. Mezzagosto), mentre tra quelli inediti si devono ricordare almeno i frammenti di chafing-dish da Castro dei Volsci in provincia di Frosinone (inf. di M. Laurenti). 100 Cfr. da ultimo MARAZZI 1990. 101 Scavi della British School at Rome nel Vicus Augustanus di Laurentum (Tenuta di Castel Porziano) diretti da A. Claridge che hanno evidenziato fasi medievali riferibili forse ad una domusculta papale (HODGES 1990, p. 22).

Scavi della Soprintendenza Archeologica di Ostia diretti da L. Paroli in collaborazione con S. Coccia (basilica cimiteriale di Pianabella nella necropoli meridionale di Ostia Antica: COCCIA-PAROLI 1990; PATTERSON, Campagna Romana, infra, p 423; area urbana di Portus: COCCIA-PAROLI, c.s.). 103 Cfr. COCCIA-NARDI, infra, p. 471.104 Per questo centro esiste una segnalazione in MAZZUCATO 1972, p. 68, carta di distribuzione del Lazio.105 Cfr. PATTERSON, Campagna Romana, infra, p. 425, ceramiche riferibili al gruppo 11; a proposito delle argilledel Lazio si veda un recente contributo dedicato alle argille della costa tirrenica compresa tra l'Etruria e la Campania conparticolare riferimento ai centri di fabbricazione delle anfore: cfr. RICQ DE BOUARD et al. 1989.

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Le caratteristiche formali del gruppo romano-laziale sono talmente unitarie che le rarissime importazioni di ceramica invetriata, come ad esempio quelle di Roma, di Farfa e di Scorano106 sono immediatamente individuabili sulla base in primo luogo proprio degli aspetti morfologico-decorativi.

Una forte influenza dell'area laziale si riscontra anche nei primi esempi di ceramica a vetrina pesante con decorazione a petali applicati tornati alla luce nella Toscana meridionale107, databili molto probabilmente nell'avanzato IX secolo, che pur avendo molti elementi in comune con le produzioni romane, derivano certamente da ateliers diversi, da ricercare nell'ambito subregionale. Un contatto diretto con la ceramica a vetrina pesante di Roma è documentato a Chiusi dalla presenza di una brocca con l'impasto e la forma tipici di Roma108[53]; anche qui si sviluppa a partire con ogni probabilità dall'avanzato IX secolo una fiorente produzione locale che conserva a lungo reminiscenze della prestigiosa produzione romana109.

Esiti completamente diversi si hanno invece a Lucca, capitale della Toscana altomedievale, dove esemplari di vetrina pesante romano-laziale circolavano già dal IX secolo110 senza influenzare sensibilmente la produzione locale di invetriata, attestata a partire dal X secolo ca., con caratteristiche proprie, evidenti nella decorazione ma soprattutto nella morfologia dei vasi, tipica dell'area valdarnese111.

Ancora diversa si presenta la situazione a Pistoia dove è stato individuato negli scavi del Palazzo dei Vescovi un gruppo di materiali altomedievali ad impasto bianco e vetrina sparsa che si discosta completamente dal panorama fin qui delineato, non trovando confronti in ambito italiano112. Dallo stesso sito proviene anche un gruppo di eccezionale interesse di brocche tardoantiche, alcune

106 Frammento di forma aperta non decorata dalla Crypta Balbi (ROMEI, Crypta Balbi, infra, p. 388, n. 1); brocca con decorazione a strisce verticali in rilievo da Scorano (cfr. ROMEI, Scorano, infra, p. 443, Fig. 10); frammento inedito da Farfa appartenente ad una forma chiusa con un decoro in rilievo schiacciato ad arabeschi vegetali (?) (scavo della British School). Nel primo caso si tratta di un frammento di una tipologia del tutto ignota tra i materiali di VIII secolo di Roma ed anche il suo impasto è risultato isolato rispetto a tutti i campioni coevi (SFRECOLA, infra, analisi n. 359, gruppo 15a); anche nel secondo caso non si hanno assolutamente confronti né per la forma né per la decorazione tra la produzione locale mentre l'impasto si colloca in un gruppo caratterizzato da materiali salernitani (SFRECOLA, infra, analisi n. 362, gruppo 2b) dove abbiamo visto essere particolarmente diffusa la decorazione a treccia in rilievo che ha indubbie analogie con i cordoni in rilievo presenti nell'esemplare rinvenuto a Scorano; questi ultimi sono in verità privi delle consuete intacche, ma si ricorda che cordoni lisci sono documentati accanto a quelli a treccia anche a San Vincenzo al Volturno (cfr. PATTERSON, San Vincenzo al Volturno, infra, p. 490, fig. 2,4). L'esemplare di Farfa, anch'esso del tutto isolato nel panorama laziale (e italiano), non è stato campionato. Nelle fasi più tarde, quando la produzione si localizza ulteriormente, sono percepibili anche i più piccoli scambi all'interno della regione: un caso molto chiaro è costituito da alcuni frammenti ritrovati in strati della seconda metà del XII-prima metà del XIII secolo della Crypta Balbi che sono stati attribuiti alla produzione sabina per alcune piccole variazioni tipologiche ancor prima di disporre di analisi (PAROLI 1990, p. 335 ss, nn. 331, 346-347) le quali hanno puntualmente confermato l'ipotesi (SFRECOLA, infra, analisi n. 16, gruppo 15a in cui ricadono moltissimi campioni della Sabina). 107 Ci si riferisce in particolare al materiale di Cosa (cfr. HOBARTH, infra, p 304) dal momento che il frammento dal podere Aione nel territorio di Scarlino è troppo frammentario per questo tipo di valutazione. 108 Cfr. PAOLUCCI, infra, p. 316, tav. 2,1. 109 Tale similitudine è evidente sia nello sviluppo morfologico delle brocche che assumono i classici beccucci pressati all'orlo (cfr. in particolare l'esemplare con vetrina irregolare e decorazione a linee incise sul corpo: PAOLUCCI, infra, p. 316, tav. 2,2) sia in alcune decorazioni particolari, come la serie di buchini su ampie zone del corpo (non pubblicato) che si può confrontare con quella di Roma (ROMEI, Crypta Balbi, infra, p. 386, Fig, 21). 110 Sulla presenza di ceramiche importate a Lucca cfr. supra, nota 95. 111 Cfr. BERTI-CAPPELLI-CIAMPOLTRINI, infra, p. 283, in cui si ipotizza una produzione di invetriata a macchia intenzionale fin dal X secolo sulla base dell'evidenza in particolare del battistero di Lucca. In ogni caso, sia o meno invetriato intenzionalmente, questo vasellame con macchie di vetrina documenta con sicurezza l'esistenza di una produzione invetriata in area lucchese e nel Valdarno in questo periodo. Per analogia con altre aree si può ipotizzare un suo svlluppo da esperienze più o meno prolungate di produzione di vetrina pesante a rivestimento completo che nel caso specifico potrebbe essere rappresentata dal ben noto esemplare completamente invetriato e con fitta decorazione incisa proveniente dagli stessi livelli del battistero (DE MARINIS 1978, PP. 510-511, figg. 6-7). 112 Cfr. VANNINI 1987, P. 464 ss.

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delle quali presentano macchie di vetrina derivanti dalla fusione di componenti dell'impasto113, un tipico esempio di invetriatura occasionale che pertanto non documenta, neanche indirettamente come accade nei casi di vetrina a macchia non intenzionale, l'esistenza di una produzione invetriata.

Rimane da considerare infine un altro grande centro toscano, Arezzo, dove secondo le ricerche più recenti una produzione di ceramica a vetrina pesante esisteva già nei secoli centrali del medioevo (X-XI ?)114 da cui poi si sviluppa una produzione di ceramica a vetrina sparsa115.[54]

In Toscana la ceramica a vetrina sparsa, oltre che ad Arezzo, è diffusa negli altri centri principali (ad esempio Lucca e Chiusi) così come nei castelli di Scarlino, Rocca San Silvestro e a Cosa116.

Anche per quanto riguarda la ceramica a vetrina sparsa dunque i dati raccolti in occasione del Seminario hanno confermato l'ipotesi di una prosecuzione dopo il Mille delle produzioni invetriate, con rivestimento a macchie di vetrina, nelle regioni centro-italiche117. Questo sviluppo medievale dell'invetriata tra l'XI ed il XIII/XIV secolo (a seconda delle zone), ben oltre i confini della regione romano-laziale, è infatti documentato dai ritrovamenti in Umbria118 e in Abruzzo119 e sembra costituire un fenomeno tipico delle zone di influenza dello Stato della Chiesa120. Allo stato attuale delle nostre conoscenze lo stesso fenomeno non appare altrettanto documentato in Campania e nelle altre regioni meridionali dove l'ampia diffusione delle invetriate policrome di ascendenza magrebina può aver favorito un rapido abbandono della tradizione altomedievale della ceramica a vetrina pesante121.

A conclusione di questo rapido excursus attraverso le produzioni a vetrina pesante tardo-antiche, altomedievali e medievali nell'Italia centromeridionale si possono avanzare alcune considerazioni di carattere più generale, nei limiti consentiti dall'evidenza oggi disponibile.

Per quanto concerne in primo luogo il problema della continuità della produzione della ceramica invetriata tra la fine dell'antichità e l'altomedievo possiamo solo sottolineare come le ricerche più recenti al nord come al sud della penisola abbiano contribuito a ridurre il vuoto della documentazione tra il VII e l'VIII secolo, ma non l'abbiano completamente colmato.[55] Tuttavia anche se l'assenza di dati obbiettivi fa sì che il filo della tradizione scompaia per un momento nel cono d'ombra che oscura ancora i decenni a cavallo tra il VII e l'VIII secolo, l'analisi storica generale porta ormai a credere che nella transizione dalla tarda antichità all'altomedioevo non si è verificata nessuna perdita delle abilità artigianali, ma solo una riduzione della quantità degli artigiani specializzati in un mondo in cui poche persone potevano permettersi di pagarli adeguatamente122.

In un'epoca in cui tutte le energie erano impegnate in un ciclopico processo di adattamento e di trasformazione era inevitabile che le produzioni invetriate soffrissero più di altre produzioni utilitarie di una drastica rarefazione o di una temporanea scomparsa. Da ciò si deduce che se si vuole indagare attraverso lo studio delle produzioni ceramiche i processi di trasformazione del primo medioevo, più precisamente tra VII e VIII secolo, l'attenzione deve essere diretta non allo studio delle invetriate bensì

113 Ibidem, in particolare p. 424. 114 Cfr. VANNI DESIDERI 1988, PP. 20-21. 115 Cfr. PAROLI, Arezzo, infra, p. 310. 116 Per Lucca si rimanda ancora una volta a BERTI-CAPPELLI-CIAMPOLTRINI, infra, p. 281; per Chiusi cfr. PAOLUCCI, infra, p. 316; per Scarlino e Rocca San Silvestro cfr. BERNARDI-CAPPELLI-CUTERI, Scarlino, infra, p. 295; per Cosa cfr. HOBARTH, infra, p. 307. 117 Cfr. BONIFAY et al. 1986, pp. 82-83; PAROLI 1990, p. 335. Il fenomeno è fiorentissimo anche in Sabina comedimostrano le ultime ricerche: cfr. LÉCUYER, Caprignano, infra, p. 455; PATTERSON, Sabina, infra, p. 465; scavodi Rocca Baldesca ancora inedito (inf. di F. Bosman).118 Cfr. BERNARDI, Gubbio, infra, p. 320.119 Cfr. STAFFA, infra, p. 479; SPANU, infra, p. 484.120 La ceramica a vetrina sparsa è ben documentata ad esempio in Romagna e diffusa anche nelle Marche: cfr. GELICHI,supra, p. 29.121 Si è ricordato in precedenza l'associazione in strato di ceramica islamica occidentale e ceramica a vetrina pesante inuno scavo presso il palazzo di Arechi al centro di Salerno (informazione di P. Peduto). Le fasi iniziali della diffusionedelle nuove ceramiche fini rivestite a vetrina e smalto non sono comunque ancora sufficientemente indagate nell'Italiameridionale.122 Cfr. WICKHAM 1988, P. 1 10.

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delle ceramica da fuoco e comune e delle anfore che, per quanto a scala più piccola, continuavano ad essere prodotte in diverse parti dell'Italia centro-meridionale123.

Per quanto riguarda l'altro grande dilemma che accompagna il risorgere delle produzioni invetriate in Italia nell'altomedievo, quali fattori cioè abbiano potuto influenzare questa ripresa, i dati disponibili suggeriscono anche in questo caso una risposta quanto mai articolata e dialettica.

Non vi è dubbio infatti, come indicano la distribuzione, la tipologia e la cronologia iniziale della ceramica a vetrina pesante altomedievale che essa scaturisca dal 'brodo di cultura' della tradizione mediterranea di cui Bisanzio è stata certamente la principale erede e custode. Di questa tradizione tuttavia era ancora partecipe anche larga parte della penisola italiana, ed in particolare quelle aree che mantennero a lungo legami politici e culturali diretti con l'Impero d'Oriente.

Nell'ambito di questa perdurante koinè mediterranea che dal VI secolo si inoltra nell'VIII secolo, il ruolo svolto dalle provincie d'Occidente viene assumendo agli occhi dello storico e dell'archeologo un peso sempre maggiore al punto da apparire quasi preponderante rispetto a quello avuto dalla parte orientale, almeno in alcuni momenti124. Analizzando infatti i rapporti e gli apporti culturali tra l'Occidente e l'Oriente nell'VIII secolo Cyril Mango concludeva che scarso e poco originale è il contributo che viene da Costantinopoli, e la spiegazione di ciò andava ricercata nella depressione politicoeconomica in cui lo stesso Impero d'Oriente si dibatteva da lungo tempo125.[56]

Cionondimeno i rapporti tra le due aree rimasero attivi e culturalmente produttivi, soprattutto attraverso la mediazione della Sicilia ed alimentati tra il VII e l'VIII secolo dalle ondate migratorie dei cristiani in fuga dalla provincie orientali (Asia Minore, Siria, Egitto) di fronte alle invasioni persiane prima, islamiche poi. È stato anche sottolineato come la stessa grande crisi iconoclasta che contrappose nell'VIII secolo Roma a Costantinopoli avviando il distacco definitivo, incrementò anziché deprimere le relazioni tra le due capitali126. Non sembra perciò affatto sorprendente che il più antico tipo di ceramica invetriata altomedievale prodotta a Roma negli anni centrali dell'VIII secolo abbia tanti elementi in comune con quella in uso a Costantinopoli e che molti tratti bizantini si ritrovino ancora nei primi esemplari del “Forum Ware”127.

Al di là di queste condizioni di base generali, dovettero concorrere alla ripresa della produzione invetriata a Roma fattori specifici, come la crescita politico-economica che si manifesta intorno alla metà dell'VIII secolo, periodo che segna anche la riorganizzazione dei patrimoni fondiari della chiesa nel Lazio128.

Questo fenomeno non è tuttavia limitato a Roma: abbiamo visto in precedenza come l'apparizione della ceramica invetriata altomedievale si situi all'incirca nello stesso ambito cronologico in molti centri dell'Italia centromeridionale (ad esempio Napoli, Pescara, Reggio Calabria, Otranto, forse Siracusa, etc.), suggerendo uno sviluppo pressocché contemporaneo della ceramica invetriata in diversi centri. Ma la loro produzione, per quanto abbondante, rimase sempre ad un livello incomparabilmente inferiore rispetto a quella romana, anche nei momenti di maggiore fioritura, come ad esempio nel X secolo a Salerno o ad Otranto: poche decine di frammenti contro molte migliaia di Roma129.[57]

Tale diversificazione della crescita della produzione di Roma rispetto a quella degli altri centri dell'Italia centro-meridionale deve trovare quindi una sua giustificazione in qualche fattore particolare, che si individua ormai concordemente nel rovesciamento delle alleanze che inserì Roma nella sfera d'influenza carolingia130. Affluirono allora nella città quantità ingenti di ricchezze131 che consentirono

123 Cfr. PAROLI, Crypta Balbi, infra, p. 363 ss. con bibliografia.124 Cfr. MANGO 1973; CHRISTIE 1989; la forte grecizzazione della cultura a Roma tra il pieno VII e la prima metàdell'VIII secolo è sottolineata in CAVALLO 1982, in particolare pp. 503-508, periodo in cui la città svolge un ruolomolto attivo nella produzione e nella diffusione di manoscritti greci.125 Cfr. MANGO 1973, in particolare pp. 720-721.

Ibidem, p. 715; per le relazioni con 1'Oriente si veda anche CAVALLO 1982, P. 503 SS. 127 Per l'analisi di questi aspetti si rimanda a PAROLI 1990, PP. 315-318; CIPRIANO et al. 1991; PAROLI, Crypta Balbi, infra, p. 356, con altre indicazioni bibliografiche. 128 Cfr. DELOGU 1988. 129 Cfr. PATTERSON, Otranto, infra, p. 530. 130 Cfr. PAROLI 1990, pp. 318-319; PATTERSON 1991 p. 130 ss.;ARTHUR-CAPECE infra, p 500. 131 Cfr. DELOGU 1988.

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quella prodigiosa ripresa delle attività costruttive, di rinnovamento e abbellimento delle chiese, di creazione di nuove difese, di fondazioni di nuove città, etc. che va sotto il nome di "rinascenza carolingia". Emancipata da Bisanzio e sfuggita alla stagnazione nella quale si trovava ancora immerso l'Impero d'Oriente la città vive uno dei momenti di maggiore splendore artistico della sua storia132

ritrovando quel ruolo centrale perso nella tarda antichità che la riconquista bizantina non aveva saputo restituirle133. Con il suo ingresso nell'Europa riunificata da Carlo Magno, Roma beneficia di quel processo di crescita economica che riaprirà stabilmente le vie del grande commercio medievale tra Occidente ed Oriente134: la fortuna della ceramica a vetrina pesante di Roma è uno degli infiniti riflessi di questa vicenda.[58]

LIDIA PAROLI

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