La bellezza è una Marca Trevigiana - Federico Geremei...di dei monti, a ribadirlo pensano i del...

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Luoghi dell’Infinito 52 53 Luoghi dell’Infinito testo di Federico Geremei La bellezza è una Marca Trevigiana Città e colli. Fiumi e vigneti. Palladio e Canova Viaggio nel territorio veneto dai molti cuori

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Luoghi dell’Infinito 52 53Luoghi dell’Infinito

testo di Federico Geremei

La bellezzaè una MarcaTrevigiana

Città e colli. Fiumi e vigneti. Palladio e CanovaViaggio nel territorio veneto dai molti cuori

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Dove finisce, esattamente, la Marca? Quanto vicino si può andare sotto ai monti friulani a saggiarne i versanti trevigia-ni e farne un limite interno? E

quale distanza si deve tenere da Venezia per serbarne l’aura originaria, però diffe-rita? Questa terra ha avuto bordi mobili, nobili incastri ne hanno ridisegnato il perimetro e segnato l’identità. La geome-tria dei marchesati veneti s’è annacquata nei secoli, quella doppia etichetta di lan-da “gioiosa” e “amorosa” non s’è tuttavia mai scollata del tutto.

Voltiamo dunque la nuca a Venezia, ché la grandeur dell’entroterra deve mol-to alla Serenissima – cui s’è di fatto “con-segnata” senza venire soggiogata – ma non può esaurirsi in un prisma di riflessi all’ombra dei dogi. E partiamo da Trevi-so, per lasciarla però subito. Il primo af-fresco, forse la prima raffigurazione in assoluto, a ritrarre una figura umana con occhiali pare sia quello dipinto alla metà

del Trecento da Tommaso da Modena. Campeggia su una parete della sala del capitolo dei domenicani, il volto è quel-lo di Ugo di Provenza ed è in compa-gnia, tra gli altri, di un altro cardinale: Ugo de Billon con una sorta di pennino temperato.

Prendiamo le mosse da quelle effigi e dai rispettivi strumenti – di lettura, rilet-tura e scrittura – e puntiamo decisi verso ponente, verso il confine con l’altro Ve-neto. Dal capoluogo a Castelfranco ci sono soltanto trenta chilometri, i venti minuti di strada vanno ritoccati parec-chio, piegando quel segmento rettilineo d’asfalto nella geometria della Rotonda di Badoere, per una prima incursione nel tetris delle barchesse: strutture integrate nei complessi agricoli, raccordano gli ambienti padronali delle ville a quelli dei braccianti, con soluzioni architettoniche elaborate ed eleganti. La Rotonda stordi-sce coi suoi volumi mentre invita a con-templarne dimensioni e proporzioni. Ed

evoca un’opulenza sospesa, càpita a ogni singola visita (qui e nel resto della pro-vincia). Una ciclicità di incanti che echeggia le parole di Giovanni Comisso, uno degli scrittori trevigiani più attivi del Novecento: «Se la vita degli uomini fosse abbandonata a se stessa, senza essere sor-retta dall’arte, risulterebbe soltanto un movimento senza nome. I fatti, cioè tut-ta la vita nel suo intreccio di aspetti, pas-sioni ed azioni non diventerebbe storia». La chiave, molto personale eppure em-blematica di un modo d’essere trevigia-no, è nell’ultima frase di questo suo scrit-to del 1945: «E per storia si deve inten-dere: tutte quelle forme d’arte in quanto rendono memorabili quei fatti».

Viriamo allora l’asse di esplorazione in direzione nord: ad Altivole si replica col Barco di Caterina Cornaro, accenno per-fetto a una delle protagoniste di Asolo, borgo “dai cento orizzonti”.

Con Asolo si fa fatica, va riconosciuto. Il tentativo di ricondurre entro i confini

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Alle pagine 52-53,la Selva del Cansiglio, al confine

tra Marca Trevigiana

e Friuli Venezia Giulia

(tutte le foto del servizio

sono di Realy Easy Star).

In queste pagine,in senso orario,Villa Emo, a Fanzolo: scorcio

dal vestibolo − in primo piano

gli affreschi di Battista Zelotti −

e una veduta esterna;

Villa Barbaro, a Maser,

progettata da Andrea Palladio:

la volta della sala dell’Olimpo,

affrescata da Paolo Veronese.

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A fianco, dall’alto,il Molinetto della Croda, nella valle del torrente Lierza;veduta dell’Oasi naturalistica del Mulino Cervara.Sopra,le acque del Santa Maria,uno dei due laghi di Revine,ai piedi delle Prealpi bellunesi.

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dello “straordinario-eppure-normale” l’e-pica di questa cittadina-cenacolo – corte, salotto e parterre di arti varie (ma non eventuali) – non funziona. Niente tara da sottrarre, nessuna patina si scrosta senza che la sostanza sottostante venga in qual-che modo lesa. Tanto vale assecondare il superlativo che è la cifra stessa di un po-sto speciale, tutto “merletti, poesia” e “pe-schi e ciliegi”. La vulgata romanzesca (non romanzata, anzi) ruota intorno alle vicende di Caterina Cornaro: patrizia ve-neziana, finisce alla corte del re di Cipro, in sposa al sovrano. Torna poi a casa, ri-chiamata come una pedina di un otto-centesco risiko diplomatico in ceralacca. Compensata con la signoria del borgo e delle terre intorno, lo trasforma in un’en-clave d’alto profilo, leggendaria prima che la leggenda ne esaltasse il ricordo.

Il cronista più affilato, primo vero pro-pagatore del mito di Asolo, è stato Pietro Bembo col suo affresco di corte in forma di dialogo sull’amore: Gli asolani. Il resto

è uno zibaldone di persone, personaggi e tutto quello che c’è in mezzo: Eleonora Duse che muore in tournée a Pittsburgh ma vuole essere sepolta al cimitero di Sant’Anna, la Casa Longobarda che Francesco Graziolo, architetto di corte, disegna per sé (un capolavoro, natural-mente). E Gian Francesco Malipiero, compositore geniale e introverso: le Sin-fonie del Silenzio e della Morte e Pause del silenzio hanno più di cento anni ma suo-nano attualissime. Anche lui riposa nella sua Asolo ma niente camposanto, ha scelto il giardino di casa. E poi Herbert Young e le Stark, l’intraprendenza Brit and Yankee in terra veneta, un milieu co-smopolita come pochi. Raffinato ed ete-rogeneo.

Il campionario essenziale di questo frammento di Marca squaderna qui i propri atout più solidi: il doppio com-pendio dell’estro di Andrea Palladio e Antonio Canova. Le ville Emo e Barba-ro, rispettivamente a Fanzolo e Maser

(dove l’architetto patavino è morto), so-no esempi diversi di come linee semplici e densità di volumi complessi ambiscano a sciorinare gradazioni complementari di una medesima impostazione di base, ar-monica e innovativa. Per la seconda la committenza non dev’essersi limitata a uno scambio di qualche idea da vergare su bozzetti fugaci: monsignor Daniele Barbaro – patriarca umanista, colto ed erudito, traduttore e commentatore di Vitruvio – era appassionato di matema-tica e ottica, lo immaginiamo confron-tarsi con diverse declinazioni del termi-ne “visione”. Anche quando affida l’ese-cuzione degli affreschi più importanti a Paolo Veronese.

Dal Cinquecento all’Ottocento ora, uno iato non vuoto tra la grande scala delle geometrie rinascimentali e la rina-scita del linguaggio scolpito. Possagno, città natale del Canova, vale un’immer-sione per la gipsoteca ampliata da Carlo Scarpa negli anni Cinquanta e la chiesa

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della Santissima Trinità (più conosciuta come Tempio Canoviano). Siamo ai pie-di dei monti, a ribadirlo pensano i “del Grappa” di cui i toponimi da queste par-ti si dotano. Bordiamo le pendici del massiccio, verso est, per attraversare tutta la provincia fino a Conegliano. È la zona del Prosecco Valdobbiadene, l’orografia attorcigliata dei colli contrasta, domata, col manto pettinato dei filari che li guar-nisce: li chiamano eroici. L’aggettivo va bene per il marketing dei brindisi – per-ché no? È sapienza tenace – ma nell’an-no di evocazioni della Grande Guerra d’un secolo fa l’eroismo da ricordare è quello sui fronti del 1918. Niente retori-ca, solo molecole liquide di storia da portare in superficie: le agita il Piave, senza bollicine.

I “mille molini” di Treviso sono lonta-ni e il rio largo è alle spalle, in basso. La linfa della Marca resta però d’acqua, ne innerva la porzione più bella e meno vi-sitata dai “foresti”. È quella del Molinet-

to della Croda, dei laghi di Revine, delle Grotte del Caglieron e della selva del Cansiglio. A Sarmede ci si ferma, è il borgo che fa da quinta, soggetto e catali-si delle visioni del ceco Štěpán Zavřel, pittore, illustratore e scrittore, e di altri artisti. Per gli opuscoli è “un paese da fiaba”, le quattro dozzine di interventi pittorici lo ricordano e il festival “Le im-magini della fantasia” lo rinnova a ogni autunno.

L’incanto raddoppia sulla via verso Portobuffolè: segna il confine con la pro-vincia di Pordenone e termina nella quintessenza, oleografica e impeccabile, del villaggio trevigiano più piccolo di tutti. Castellarium Portus Buvoledi, dun-que. Il nome deriva da “bova” (canale) e non da bove (bue), pare. Andrebbe co-munque bene anche l’etimo meno accre-ditato ché la trazione bovina è proprio sugli argini che veniva impiegata. Era in-fatti un animato scalo fluviale lungo la via del sale dal Cadore, vanta un bel

duomo che sarebbe stato eretto su una sinagoga e gli echi di Gaia del Camino, figlia di Gherardo e pioniera di ricercate liriche in provenzale. Dante fu ospite del casato per diversi mesi e menziona la fanciulla, per bocca di Marco Lombardo, nel XVI canto del Purgatorio. Quella di-mora è ancora in piedi e ospita oggi un museo del ciclismo.

Il Bosco del Montello è uno dei fulcri di questo tour senza centro. Epitome di quanto la Marca ha vissuto, subìto, ani-mato e contrastato nei secoli, l’area è un carotaggio di storie, a volerne leggere la progressione di strati. L’oasi monastica operosa e contemplativa di Sant’Eusta-chio, le velleità delle signorie veneziane “in trasferta” e la parentesi del soggior-no di Giovanni della Casa che qui avrebbe concepito il Galateo. Poi la ta-bula rasa, ottusa e implacabile, dello schiacciasassi napoleonico, intrecciata alle dispute di piccolo calibro personali-stico. Le ferite della battaglia del Solsti-

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In queste pagine,in senso orario,la cupola e l’esterno del Tempio

Canoviano a Possagno, progettato

dall’artista per la sua città natale;

la Tomba Brion ad Altivole,

capolavoro di Carlo Scarpa,

progettata nel 1969 e realizzata

tra il 1970 e il 1978. Il complesso

monumentale custodisce

le spoglie di Giuseppe Brion,

fondatore della Brionvega,

e dello stesso architetto veneziano.

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A fianco, dall’alto,la Villa Barbini Rinaldi,

nella piana presso Asolo;

il castello della regina

Cornaro, ad Asolo.

Sopra,Treviso, l’elegante silhouette

del Ponte dell’Università,

disegnato da Paolo Portoghesi

sulle acque del Sile. L’architetto

si è ispirato all’originario

ponte di Santa Margherita

così come dipinto nel Settecento

da Bartolomeo Coghetto.

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zio (cento estati fa) sono solo l’ultimo capitolo di una storia sofferta, allo stesso tempo iperlocale ed emblematica di un contesto ben più ampio.

Si rientra così a Treviso, a passare in rassegna i punti, gli spunti e gli appunti di questo viaggio. Facendoli emergere come (e coi) “burci” lungo la restera: è un percorso di sentieri e passerelle sull’acqua del Sile – fiume di risorgiva, uno dei più importanti d’Europa – che accompagna la memoria meno patinata di una città di provincia non provinciale. Custodisce le spoglie del figlio di Dante e della figlia di Petrarca, doppio monito a cosa possa vo-ler dire vivere (e riposare) all’ombra di un’origine alta e altra.

E Venezia? È ancora lontana, con la sua allure intorpidita che poggia su solidi pali: molti erano tronchi che nella Marca sono stati portati e sagomati prima di fi-nire in laguna. Madrina e sorella maggio-re della terra trevigiana.

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Taccuino di viaggio trevigiano

La Marca da leggere. Giorni di guerra di Giovanni Comisso. Scritto

tra i due conflitti mondiali all’età di venticinque anni, è un resoconto

dell’insanguinato quinquennio 1914-1918. Il talento del trevigiano,

scomposto e fuori dagli schemi, si forma e muta proprio in quella

transizione tra Gente di mare, pubblicato pochi mesi prima,

e gli avvitamenti della narrativa cui si dedica in seguito.

Gli Asolani di Pietro Bembo. Ideato nella breve parentesi

che l’umanista veneziano si concesse dagli Este, è un dialogo

articolato in tre libri. Fa balenare lampi della vita di corte

nella Marca tra Quattro e Cinquecento, tenendola tuttavia

sullo sfondo con eleganza.

La Marca da bere. La Strada del Prosecco dei Colli Conegliano

Valdobbiadene, tracciata a metà degli anni Novanta e rivista tre lustri

fa, è una delle eno-arterie più dense e belle sotto alle Alpi. Il percorso

inizia a Conegliano (Scuola Enologica, Bottega del Vino, Museo

Enologico), tocca San Pietro di Feletto e Refrontolo, prima di sfiorare

le torri di Credazzo, vicino a Farra di Soligo. Prosegue poi verso

Col San Martino e Colbertaldo e da lì sale al fulcro dell’itinerario,

i pendii di Cartizze. Termina quindi a Valdobbiadene, dopo

una cinquantina di chilometri di saliscendi tra colline e borghi, vigne

e boschi. (F.G.)