Le isole Far Øer - Federico Geremei isole faroe... · OASIS-49 Le isole Far Øer rovate a...

4
OASIS - 49 Le isole Far Øer rovate a immaginare un territorio grande, si fa per dire, come la provincia di Novara. Stro- picciatelo con cura - come si fa coi fogli di carta stagnola - e lanciatelo dalla terraferma danese (cui ancora appartiene) in mezzo all’Atlantico, più o meno a metà strada tra le Shetland e l’Islanda. Le Faroe (Føroyar in lingua locale) sono un amalga- ma di basalto senza uguali al mondo. Diciotto isole, mille chilometri di coste, montagne che sfiorano i novecento metri sul mare. Che sta sempre a due passi: se si prende un punto qualsiasi del territorio si è infat- ti al massimo a cinque chilometri di distanza da una riva. Si è sovente tentati dalla retorica quando si parla delle Føroyar. E, ancora più spesso, si rischia di sci- volare sui cliché. Tanto vale dunque smentire i secon- di (senza ricorrere alla prima) per capire cos’abbia di speciale questo posto. Il nome, prima di tutto: Føroyar non significa isole lontane ma isole (øerne in danese) delle pecore (fåre). Gli ovini sono, secondo le ultime stime, 75.000: tre ogni due residenti. Il clima, poi, non è quello che ci si immagina. È terra di balene e sterne, venti implacabi- li che sferzano barbe vichinghe e gote da saga artica, è vero. Ma non fa così freddo. Cade pochissima neve e nessuno dei tanti porti ghiaccia durante l’inverno. Come mai? Le Føroyar galleggiano a 62 gradi di lati- tudine nord, come Helsinki, e proprio nel mezzo della corrente del Golfo. Il risultato è una temperatura che di rado raggiunge lo zero nei mesi freddi e che non supera i 13 gradi in estate. Cinquantamila abitanti in tutto, come al Meazza in una semifinale di Coppa Italia. La metà vive a Tòrshavn, la capitale, mentre il resto è sparpagliato in tanti minu- scoli insediamenti. Per farsi un’idea: l’anagrafe di Klaksvìk, la seconda città delle Føroyar, ha solo cin- quemila iscritti. Si potrebbe pensare che ogni villag- gio si raccolga intorno alla propria parrocchia, al pro- prio pub ed al proprio molo. Nient’affatto: gli edifici di culto non mancano, è vero: ce n’è un centinaio, sono quasi tutti di fede luterana. Ma l’oloegrafia termina P Diciotto isole, più di mille chilometri di costa, montagne di basalto e grandi cascate che si gettano direttamente in mare Un viaggio nelle isole delle pecore, della musica e dei salmoni Testo e foto di Federico Geremei Guerrieri, pirati, avventurieri, Alle Far Oer storia e mitologia si intrecciano in mille varianti FEDERICO GEREMEI - CANON EOS 40D, 70 MM, 1/250 SEC, F 9, ISO 160

Transcript of Le isole Far Øer - Federico Geremei isole faroe... · OASIS-49 Le isole Far Øer rovate a...

Page 1: Le isole Far Øer - Federico Geremei isole faroe... · OASIS-49 Le isole Far Øer rovate a immaginare un territorio grande, si fa per dire, come la provincia di Novara. Stro-picciatelo

OASIS - 49

Le isole Far Øer

rovate a immaginare un territorio grande, si faper dire, come la provincia di Novara. Stro-picciatelo con cura - come si fa coi fogli dicarta stagnola - e lanciatelo dalla terraferma

danese (cui ancora appartiene) in mezzo all’Atlantico,più o meno a metà strada tra le Shetland e l’Islanda.Le Faroe (Føroyar in lingua locale) sono un amalga-ma di basalto senza uguali al mondo. Diciotto isole,mille chilometri di coste, montagne che sfiorano inovecento metri sul mare. Che sta sempre a due passi:se si prende un punto qualsiasi del territorio si è infat-ti al massimo a cinque chilometri di distanza da unariva. Si è sovente tentati dalla retorica quando si parladelle Føroyar. E, ancora più spesso, si rischia di sci-volare sui cliché. Tanto vale dunque smentire i secon-di (senza ricorrere alla prima) per capire cos’abbia dispeciale questo posto.Il nome, prima di tutto: Føroyar non significa isolelontane ma isole (øerne in danese) delle pecore (fåre).Gli ovini sono, secondo le ultime stime, 75.000: tre

ogni due residenti. Il clima, poi, non è quello che ci siimmagina. È terra di balene e sterne, venti implacabi-li che sferzano barbe vichinghe e gote da saga artica,è vero. Ma non fa così freddo. Cade pochissima nevee nessuno dei tanti porti ghiaccia durante l’inverno.Come mai? Le Føroyar galleggiano a 62 gradi di lati-tudine nord, come Helsinki, e proprio nel mezzo dellacorrente del Golfo. Il risultato è una temperatura chedi rado raggiunge lo zero nei mesi freddi e che nonsupera i 13 gradi in estate.Cinquantamila abitanti in tutto, come al Meazza in unasemifinale di Coppa Italia. La metà vive a Tòrshavn,la capitale, mentre il resto è sparpagliato in tanti minu-scoli insediamenti. Per farsi un’idea: l’anagrafe diKlaksvìk, la seconda città delle Føroyar, ha solo cin-quemila iscritti. Si potrebbe pensare che ogni villag-gio si raccolga intorno alla propria parrocchia, al pro-prio pub ed al proprio molo. Nient’affatto: gli edificidi culto non mancano, è vero: ce n’è un centinaio, sonoquasi tutti di fede luterana. Ma l’oloegrafia termina

PDiciotto isole, più di mille chilometri di costa, montagne di

basalto e grandi cascate che si gettano direttamente in mareUn viaggio nelle isole delle pecore, della musica e dei salmoni

Testo e foto di Federico Geremei

Guerrieri, pirati, avventurieri,Alle Far Oer storia e mitologiasi intrecciano in mille varianti

FED

ER

ICO

GE

RE

ME

I- C

AN

ON

EO

S 4

0D, 7

0 M

M, 1

/250

SE

C, F

9, IS

O 1

60

Page 2: Le isole Far Øer - Federico Geremei isole faroe... · OASIS-49 Le isole Far Øer rovate a immaginare un territorio grande, si fa per dire, come la provincia di Novara. Stro-picciatelo

dalla natura di Mykines. Ci passano decine di migliaiadi migratori: punteggiano l’orizzonte, occupano an-fratti, nidificando a lungo o transitando per brevi pe-riodi. Tutta l’avifauna dell’arcipelago è, del resto, im-pressionante per quantità e varietà. Ecco dunque unridotto e parziale vademecum alle specie più diffuse(al termine in italiano e a quello scientifico vieneaffiancato il corrispondente faroese). Le pulcinelle dimare (fratercula arctica) dominano il paesaggio conle zampe ben piantate nel terreno quando non volteg-giano, goffe ma implacabili, per cacciare. Qui le chia-mano “lundi”. I “drunnhvíti”, uccelli delle tempeste(hydrobates pelagicus), sono ovunque; così come lesule (morus bassanus) e i labbi (stercorarius parasi-ticus), noti come “kjógvi”. La lista si completa con leurie (uria aalge), chiamate “lomvigi” e i fulmari (ful-marus glacialis). Per questa specie esistono due nomilocali: “náti” per i piccoli, “havhestur” per gli esem-plari adulti. Non mancano, poi, gazze marine (alcatorda) sterne artiche (sterna paradisaea) ed edredoni(somateria mollissima).Le coste che guardano alla Norvegia - 600 chilome-tri ad est - sono digradanti, quelle occidentali scen-dono a picco sul mare. In mezzo si sviluppa un tetrisdi fiordi, colline e picchi. Un’altra indicazione chenon ci si aspetta: quello delle Føroyar è un territorioda esplorare quasi soltanto in macchina perché ci simuove molto via terra. L’acqua dell’Atlantico la sivede sempre ma la si sfiora di rado poiché i faroesialle onde preferiscono l’asfalto, capillare lungo le co-ste, quasi inesistente altrove (e in ottime condizioni).Guidare di isola in isola è un vero piacere, anche glihiker che detestano i motori cedono presto alla tenta-

qui perché le comunità si ritrovano nelle case, non albancone dei bar, virtualmente assenti. E la pesca è inmano a grandi pescherecci che salpano di continuoper scaricare il pescato - soprattutto merluzzi, potas-soli e salmerini - direttamente nelle aste o processar-lo per l’export. Chi va in cerca di mercatini “pittore-schi” deve dunque rivedere il lessico (e le aspettative)da brochure per prepararsi ad altre sorprese. C’è qual-che eccezione, naturalmente: Vestmanna, nell’isola diStremoy, ospita un bistrot delizioso, lo gestisce unagiornalista che vive a Copenhagen e che durante l’e-state torna “a casa” - come molti suoi conterranei so-spesi tra la Danimarca e la provincia autonoma. Ilborgo è uno dei più belli delle Føroyar e pare conce-dersi all’iconografia da cartolina.E il resto? Nel parterre vulcanico - solido ma messoalla prova per 60 milioni di anni da flutti, maree ebufere che si sono accaniti sull’“arcipelago dellepecore” - si stende quasi ovunque un manto verdis-simo. Niente alberi, però: ma prati e campi. E, comese non bastasse, centinaia di “secondi prati” - identi-ci a quelli al suolo - campeggiano sui tetti di case, si-los, chiese, musei. Vale per tutti, è una tradizione(“lagtak”) di cui si è persa l’origine ma che i faroesiportano avanti con meticolosità e ostinazione.C’è un ulteriore strato, è quello del guano che ricoprealcune delle formazioni rocciose più sorprendenti:volte, pinnacoli, torrioni e pareti. È un mondo sco-sceso, spesso perfettamente verticale. È il regno degliuccelli delle Føroyar e la sua corte si trova nell’isoladi Mykines. Non c’è bisogno delle suggestioni diBrendano - monaco gallese del VI secolo che definìl’isola “paradiso degli uccelli” - per farsi sopraffare

Nel VI Secolo, il monaco gallese Brendano definì queste isole il “Paradiso degli uccelli” Presenti ovunque, le pecore sono le vere regine delle isole Far Oer, tre ogni due abitanti

ALE

SS

IOM

ES

IAN

O- C

AN

ON

EO

S-1

DS

MA

RK

III, 4

00 M

M, 1

/125

0 S

EC, F

5.6,

ISO

400

F ED

ER

ICO

GE

RE

ME

I- C

AN

ON

EO

S 4

0D, 7

0 M

M, 1

/125

SE

C, F

7.1,

ISO

160

FED

ER

ICO

GE

RE

ME

I- C

AN

ON

EO

S 4

0D, 3

00 M

M, 1

/100

0 S

EC, F

10, I

SO

160

0

F ED

ER

ICO

GE

RE

ME

I- C

AN

ON

EO

S 4

0D, 1

30 M

M, 1

/500

SE

C, F

8, IS

O 3

20

Page 3: Le isole Far Øer - Federico Geremei isole faroe... · OASIS-49 Le isole Far Øer rovate a immaginare un territorio grande, si fa per dire, come la provincia di Novara. Stro-picciatelo

zione. Ci sono 40 chilometri di gallerie, unaventina in tutto (di cui due sottomarine). Masolo quattro semafori alle Føroyar (un pokerche, va detto, si esaurisce tra le vie di Tòr-shavn). È vietato superare gli 80 chilometriall’ora e le statistiche annuali sugli incidentisono numeri ad una cifra.Da Eysturoy e Streymoy (le due isole piùgrandi e popolose) si va ovunque: a nord, trale “norooyggjar” per una versione più com-patta, intensa e spettacolare delle Highlandsscozzesi (e, probabilmente, a tratti più bella).A Vàgar, l’isola in cui da sessant’anni cam-peggia l’aeroporto delle Føroyar (costruitodagli inglesi durante la seconda guerra mon-diale), c’è molto da vedere. Un villaggio sututti, Gàsaldur: fino a non molti anni fa eratotalmente isolato dal resto dell’arcipelago,sovrastato com’era, ed è da un monte e inbilico su una scogliera a picco sul mare spes-so agitato. Nei tre borghi di Sandavágur,Sørvágur e Miovágur si apprezza meglio chealtrove l’effetto dei cicli delle maree sullespiagge davanti alle case. Suouroy, infine, èun mondo a parte: condensa in sé tutto l’arci-pelago, stando però piuttosto lontano da esso(sono necessarie due ore di navigazione daTòrshavn). Si gira in fretta ma il tempo nonbasta mai. Microvillaggi, chiese in mezzo alnulla, rupi impressionanti e fiordi attorci-gliati.“Della pecora non si butta via niente”. Sipotrebbe parafrasare il detto italico per ria-dattarlo alle Føroyar che - nonostante le e-sportazioni siano virtualmente tutte ricondu-cibili alla pesca - rimangono legatissime allaterra. Più che all’acqua. La prova la fornisceil confronto dei metodi per essiccare le carni.Col pesce un semplice cavo teso all’ariaaperta è spesso più che sufficiente; se si trat-ta di pecora gli ambienti sono costruiti e con-servati con cura ed il processo viene moni-torato giorno dopo giorno, per settimaneintere. In due mesi si ottiene la raestkjøtt,ottima base per zuppe. In due anni la sker-pikjøtt, da mangiare cruda.Cos’altro? Le balene, certo. Di quelle chepassano alle Føroyar si butta via un bel po’,utilizzando la carne vera e propria e la vesci-ca. Quella dei “grind” - l’antichissima usan-za di uccidere i globicefali, o balene pilota(globicephala melaena) in un rituale collet-tivo (ed esclusivamente maschile) a pochimetri dalla riva - è una questione controver-sa e spinosa. Ogni faroese la pensa diversa-mente ma il ragionamento-base pare esserelo stesso per tutti e si può sintetizzare inun’autodifesa in tre punti. Primo: il grindnon è considerata una caccia “attiva” ma siaspetta che i cetacei arrivino spontaneamen-te. Secondo: le Føroyar da tre secoli e mezzocompilano dettagliate statistiche, grind dopogrind (la media è i circa mille balene ucciseogni anno). Da queste, secondo molti, si do-vrebbe desumere che il numero di esempla-ri uccisi è basso e costante nel tempo (e,quindi, relativamente sostenibile). Terzo:

La popolazione delle Far Øer non supera i 50.000 abitanti. La metà di questi vive a

Tòrshavn, la capitale, mentre il resto è sparpagliato in tanti minuscoli insediamenti

I primi abitanti di queste isole sperdute furono

alcuni monaci, arrivati fin qui dalla Gran Bretagna

FED

ER

ICO

GE

RE

ME

I- C

AN

ON

EO

S 4

0D, 3

00 M

M, 1

/500

SE

C, F

7.1,

ISO

200

SU

NVA

EY

ST

UR

OY

- CA

NO

NE

OS

5D, 43 MM

, 1/200 SE

C, F7.1, IS

O 400

SU

NVA

EY

ST

UR

OY

- CA

NO

NE

OS

5D, 50 MM

, 1/125 SE

C, F2.8, IS

O 250

FE

DE

RIC

OG

ER

EM

EI

Page 4: Le isole Far Øer - Federico Geremei isole faroe... · OASIS-49 Le isole Far Øer rovate a immaginare un territorio grande, si fa per dire, come la provincia di Novara. Stro-picciatelo

OASIS - 55

tengono davvero alla lingua ma non è snobismo o difesaad oltranza fine a sé. Il faroese ha oltre un millennio dianni eppure lo parlano tutti, è una lingua viva più chemai. Capita spesso d’imbattersi in comunità in giro peril mondo che non sanno come muoversi tra tradizioniantichissime e globalizzazione. Alle Føroyar invece stan-no perfettamente a proprio agio, l’arcipelago è una veraenclave in piena forma, un modello. Con una storia inten-sa e complessa. Irlanda, Islanda, Danimarca e Norvegia;re, guerrieri, pirati e avventurieri. La storia e mitologianorrena si intrecciano sempre dosando pochi elementi inmille varianti. Le Føroyar non fanno eccezione ma lamiscela che ne è derivata è giunta fino a noi molto menocompromessa che altrove. I primi ad arrivare sono statidei monaci dal Regno Unito (quando non era così unito):troppo pochi per lasciare un segno. Coi norvegesi, a par-tire dall’VIII secolo, la colonia è diventata stabile. Lapopolazione - un decimo di quella odierna (e rimasta talefino a pochi decenni fa) - ha conosciuto anche il domi-nio danese. Soltanto nel corso del XIX secolo le Føroyarhanno preso seriamente la via del mare. La pesca è diven-tata un piccolo business promettente e i capitani dell’ar-cipelago sono diventati in breve tempo dei fuoriclasserichiestissimi sui vascelli di mezzo mondo.E ora? Da 60 anni le Føroyar sono un territorio autono-mo sui generis: su difesa e relazioni internazionali deci-de il governo di Copenhagen, per tutto il resto i faroesifanno da sé: tasse, istruzione, finanze & co. Non siedo-no alle Nazioni Unite ma eleggono il proprio parlamen-to (uno dei più vecchi al mondo) e a quello del Regnodi Danimarca inviano due rappresentanti per ogni legi-slatura. Cos’è che tiene insieme tutto questo? Qual è l’a-nima più profonda dei faroesi? Sta nelle ugole e nelle

corde vocali, scende su spalle ed avambracci intrecciatinelle danze locali. Vibra sotto i piedi che colpiscono ilsuolo ad un ritmo che tutti conoscono e scocca ad ognibrindisi. È il canto. In questo (e nella musica in genera-le) i faroesi eccellono per quantità e qualità in un modoche pare andare oltre qualsiasi spiegazione. Alcuni, acorto di approfondimenti, pensano di cavarsela con unqualunquistico “ce l’hanno nel sangue”. Altri, più atten-ti al background antropologico delle Føroyar, ricordanol’impressionante patrimonio di ballate e filastrocche chesi tramandano da secoli. Ma non basta. Compositori eperformer delle Føroyar sbaragliano i talent-show, inci-dono per le etichette di mezzo mondo e si esibisconoovunque. Soprattutto, però, hanno trovato la formulamagica per mantenere viva la tradizione (quella piùautentica, filologicamente ineccepibile) miscelandola colcosiddetto “spirito dei tempi”. Come fanno? Jens Thom-sen è uno dei musicisti più noti delle Føroyar: ha colla-borato con Yann Tiersen, produce molti artisti locali. Espiega: “L’impegno per noi è un divertimento. E il diver-timento sta nello stare insieme, nello sperimentare. Soli-sti, piccoli gruppi, grandi band: sono tutti elementi di ununico spirito, quello della creatività e del senso di appar-tenenza. Forse è un talento il nostro, non so. Non cono-sco altri posti come le Føroyar”.I festival musicali (uno su tutti, il G!Fest) si sovrappon-gono al calendario di feste religiose e battute di pesca conun ritmo incessante, tutto l’anno. L’alchimia sta in que-sto: inserirsi tra le pieghe bizzose delle maree e dei ca-pricci del clima e facendo da sé, creando altri ritmi. Musi-cali, condivisi, naturali. Lo sanno fare bene, lo fanno damille anni.

� FEDERICO GEREMEI

54 - OASIS

nessuno ci guadagna poiché si tratta di un’attività dalvalore esclusivamente sociale, una tradizione conside-rata tale nel senso essenziale del termine. È però solo dal1963, almeno formalmente, che il grind deve aver luogoin prossimità della costa: ciò richiede che i cetacei giun-gano (opportunamente “accompagnati”) a riva prima chele attività inizino. Negli ultimi anni sono stati messi apunto - e imposti - nuovi arnesi che rendono, così assi-curano le autorità, più breve e meno dolorosa la morte.Che avviene attraverso la recisione del condotto midol-lare. Come funziona? Le ventitre baie in cui il grind puòavere luogo sono dislocate in nove distretti balenieri.Quando qualcuno avvista un gruppo vicino alla costasparge la voce (oggi via sms, un tempo attraverso segna-li acustici di fiordo in fiordo) e nel giro di pochi minutii cetacei sono accerchiati. Le autorità, una volta identi-ficata la spiaggia più vicina tra quelle attrezzate, autoriz-zano il “whale drive” fino alla costa. Gli uomini entranoin acqua e iniziano le uccisioni: a volte durano ventiminuti, altre volte si superano le due ore. Le carcassesono poi issate sulla banchina e misurate una ad una. L’a-ritmetica della spartizione è complessa e meticolosa e siconclude con l’attribuzione, famiglia per famiglia, delnumero di quote dette “skinn”, unità di misura equiva-lente a circa 35 chili.Le Føroyar danno il loro meglio dall’alto, naturalmente.Una prospettiva accessibile, per fortuna, giacché ci si spo-sta spesso anche in elicottero: un viaggio di dieci minuti- spesso sufficiente per un tragitto altrimenti impegnati-vo - costa come una corsa in taxi a Roma. E la tariffa valeper tutti, residenti e viaggiatori. A proposito: per elicot-tero alle Faroe usano un termine locale, “tyrla”. Lo stes-so vale per computer (“telda”) e molti altri termini. Ci

Le strade si trovano soprattutto lungo la costa, il limite massimo di velocità è di 80 km/h Nell’arcipelago ci sono quattro semafori e venti gallerie, due delle quali sottomarine

Territorio autonomoda oltre sessant’anni

Le Far Øer sono legatealla Danimarca soltantoper le questioni relativealla difesa e alle varierelazioni internazionali,ma indipendenti perquanto riguarda tasse,istruzione e finanze

Torshavn

OCEANO

ATLANTICO

MARE DI

NORVEGIA

SANDOY

SUDUROY

BORDOY

KALSOY VIDOY

MYKINES

STREYMOY

SKUVOY

EYSTUROY

VAGAR