La battaglia di Ravenna - marinaiditalia.com · gnoli di ritirarsi. La sua morte colpì...

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Ancona. Vi fu un momento in cui due reg- gimenti spagnoli riuscirono a mettere in fuga guasconi e picardi ma sbagliarono di- rezione e invece che tornare verso il cam- po trincerato, si diressero lungo l’argine del Ronco verso Ravenna. Gaston de Foix, tutto coperto di sangue, vide gli spagnoli allontanarsi ancora in perfetto ordine, “come se avessero vinto loro” e, raccolto un gruppo di armati, decise di caricarli gettandosi sulla loro retroguardia al grido “chi mi ama mi segua”. Testimoni oculari scrissero poi che “sia sceso da cavallo in mezzo ai suoi soldati e sia morto nella mi- schia del combattimento, da una picca e dopo aver riportato circa trenta ferite”. Così morì a ventitré anni Gaston de Foix, sul campo di battaglia ed entrò subito nel- la leggenda. Guicciardini scrisse che “se è desiderabile morire quando si è al colmo della gloria, pochi uomini nella storia sono da considerare fortunati come il duca di Nemours”. Scrive il Baiardo che i France- si “pur avendola vinta, sembra che la bat- taglia l’abbiano perduta perché è rimasto ucciso il duca di Nemours. Se fosse vissu- to, avrebbe fatto cose straordinarie”. La notizia della morte di Gaston de Foix para- lizzò le truppe francesi che smisero di combattere e consentirono così agli spa- gnoli di ritirarsi. La sua morte colpì profon- damente tutti quelli che lo amavano, a co- minciare da suo zio, il re di Francia che ve- deva in lui il figlio che non aveva. Anche Ferdinando il Cattolico ne rimase scosso, sebbene in quel frangente fosse suo nemi- co: si disse che, col tempo, lo avrebbe an- che accettato come re di Napoli. Sua so- rella, la regina di Spagna, Germaine, pian- se il fratello per giorni e giorni e scrisse al- lo zio, il re di Francia, che “ mi consola il solo pensiero che egli sia morto al vostro servizio e abbia compiuto il suo dovere”. Dopo la battaglia La battaglia di Ravenna iniziò alle otto del mattino e terminò verso le quattro del po- meriggio. Fu un massacro e il terreno rima- se talmente coperto di morti da rendere impossibile camminarvi senza urtarne qualcuno. Solo il giorno dopo furono inviati i barellieri a recuperare i feriti ma molti di coloro che si sarebbero potuti salvare era- no nel frattempo morti. Ludovico Ariosto, che visitò il luogo della battaglia poco do- po, scrisse che“ nel luogo dove era stata la zuffa si vedevano monti di uomini morti e mezzi morti sotterrati infra le armi e tra ca- valli, per spazio di sei miglia”. L’armata di Francia, fu calcolato, perse da cinque a seimila uomini, il doppio quella ispano-pon- tificia. Il comando delle truppe francesi fu assunto da la Palice, Ravenna si arrese do- po un patteggiamento ma fu orrendamente saccheggiata dalla soldataglia ormai dive- nuta incontrollabile e che attribuiva all’osti- nata resistenza dei ravennati la colpa di quanto accaduto. Tre mesi dopo, l’esercito del re di Francia dovette lasciare l’Italia: la morte di un solo uomo aveva cambiato il corso della storia. La Palice, per quanto abile condottiero, non aveva l’autorità e la determinazione necessarie a proseguire sulla strada che Gaston de Foix aveva trac- ciato, cioè quella di approfittare della di- sfatta dell’esercito spagnolo-pontificio per muoversi a tappe forzate verso Roma e, se le forze del viceré avessero tardato a rior- ganizzarsi, addirittura verso Napoli. Papa Giulio fu molto colpito dall’esito della batta- glia di Ravenna ma si disse che ringraziò veramente Iddio per la morte di Gaston de Foix che, in caso diverso, avrebbe potuto sicuramente togliergli la mitra e forse an- che la vita. La vittoria di Ravenna si rivelò effimera: i Lanzi di Massimiliano si ritiraro- no, Alfonso d’Este riuscì a stento a mante- nere Ferrara, i comandanti dell’armata di Francia decisero di far rientro a casa. Nel febbraio 1513 Papa Giulio II, stroncato da una febbre d’ignote origini, morì: non fu se- polto nella tomba preparata da Michelan- gelo in San Pietro in Vincoli ma nella basi- lica di San Pietro senza alcun monumento funebre. Gli successe Giovanni de’ Medici, che già aveva partecipato come cardinale al concistoro che aveva eletto Giulio II, e prese il nome di Leone X. Come primo pas- so, si affrettò a perdonare gli scismatici francesi per riallacciare cordiali relazioni con il re di Francia. Il 19 aprile 1512, una settimana dopo la bat- taglia, un lungo corteo partì da Ravenna, composto di cento nobili cavalieri francesi vestiti di nero che scortavano il feretro di Gaston de Foix, seguito dai vessilli strappa- ti al nemico e dalla spada del viceré spa- gnolo, persa nella fuga. Il corteo, dopo una sosta a Bologna, giunse a Milano il 25 apri- le. I resti mortali dell’eroe furono sepolti nel Duomo. Pochi giorni dopo, i francesi la- sciarono la città sotto l’incalzare degli sviz- zeri di Massimiliano, che riesumarono la salma e ne dispersero i resti dopo averla spogliata di tutti i ricchi ornamenti. Ritorna- ti i francesi a Milano sotto il comando del nuovo re Francesco I, questi dispose l’e- rezione di un mausoleo alla memoria del principe, da collocarsi nella chiesa delle monache di Santa Marta, commissionan- done il sarcofago allo scultore Agostino Busti detto il Bambaia. Cacciati nuova- mente i Francesi da Milano (1521), l’arti- sta comprese che nessuno avrebbe pa- gato la sua opera e non la ultimò. Riman- gono un pregevole bassorilievo e lo splendido coperchio che ritrae le fattezze del condottiero, così come visto di perso- na dall’artista durante i funerali, oggi con- servato al museo del Castello Sforzesco di Milano. Nel 1557 il cardinale Pietro Do- nati Cesi fece erigere sul luogo della bat- taglia la “colonna dei Francesi”: secondo alcuni, si ergerebbe proprio sul luogo ove rimase ucciso Gaston de Foix. La battaglia di Ravenna inaugurò un nuovo modo di guerreggiare, conseguente alla comparsa delle artigliere da campo. Fino ad allora, gli eserciti si schieravano a bat- taglia pronti allo scontro fra le fila, adot- tando ogni accorgimento utile ad inganna- re il nemico. L’utilizzo dei cannoni sconvol- se questa tattica e cancellò i rapporti etici che stavano alla base della cavalleria , an- che fra nemici. Un altro fattore, da quel giorno in poi, dovrà essere tenuto presen- te quale conseguenza della comparsa del- le artiglierie, il numero di morti, che a Ra- venna fu altissimo se paragonato alle bat- taglie precedenti. nnn 11 Marinai d’Italia Novembre 2014 PARTE II La battaglia L a sera dell’otto aprile i cannoni dei Francesi (alcuni lunghi anche 4 me- tri, con palle da quattordici chili), dal loro campo avanzato sulle rive del Monto- ne, iniziarono il bombardamento delle mu- ra di Ravenna che andò avanti sino al nove sera, procurando gravi perdite ma nessun cedimento. L’assalto alle mura cittadine fallì per la sapiente regia del Colonna e per l’intervento a rinforzo di trecento giovani ravennati, uomini (fra cui Raffaele Rasponi) e donne. Mille cadaveri rimasero sotto le mura. Lo sconforto iniziò a serpeggiare fra gli assedianti, giacché i rifornimenti erano stati tagliati dai veneziani sul Po e sul cana- le di Ferrara. Inoltre, si sparse la voce che l’Imperatore Massimiliano avesse ordinato ai suoi Lanzi di non combattere e fare rien- tro in Patria (ma il loro comandante, Jacob Empser, devoto amico del Bayard, rispose che “la fraternité militaire est chose sain- te”!). Gaston de Foix si trovò così di fronte ad una difficile scelta e convocò i suoi uffi- ciali dicendo loro: ”Signori, dobbiamo deci- dere se ritirarci perdendo la reputazione o affrontare i rischi di una battaglia su un ter- reno favorevole al nemico. Qui si tratta di scegliere fra una rovina certa e una vittoria incerta”. Tutti risposero che era necessa- rio combattere. Il tradizionale guanto di sfi- da fu inviato a Raimondo de Cardona, fer- matosi inspiegabilmente in località Moli- naccio anziché puntare direttamente su Ravenna, con la richiesta di consentire al- le truppe francesi il transito del corso d’ac- qua che separava i due eserciti. Sabato 10 aprile iniziarono i movimenti tattici per oc- cupare le migliori posizioni, dato per scon- tato che si sarebbe venuti allo scontro. Do- menica 11 aprile all’alba, le truppe france- si varcarono il Ronco su un ponte di bar- che, senza contrasto (i francesi, per non farsi superare dai Lanzi, benché appesan- titi dalle armature,lo guadarono) e andaro- no a schierarsi a mezzaluna “perché i fan- ti non avessero il vento in faccia e il sole negli occhi”, riportano le cronache. Ga- ston de Foix scelse trenta cavalieri e con essi prese a spostarsi da un capo all’altro del fronte “allegrissimo e con gli occhi sfa- villanti”, col braccio destro nudo fino al gomito, per voto alla sua dama del cuore. La retroguardia, comandata da monsignor d’Alègre rimase di là dal fiume, pronta a in- tervenire. Le truppe della lega, invece, as- sunsero il classico schieramento in linea, con le artiglierie al centro e gli squadroni di cavalleria ai lati. Mentre Gaston con i suoi fedelissimi ispezionava le truppe, ca- pitò che incontrasse un drappello di cava- lieri spagnoli, al comando di Pedro de Paz. Cavallerescamente, si scambiarono i salu- ti e si accordarono perché i rispettivi ar- chibugieri non facessero fuoco prima del- l’inizio della battaglia. Quando lo spagnolo chiese con chi avesse l’onore di parlare, si fece avanti il Cavalier Bayard, cui gli spagnoli risposero con profonda ammira- zione e dispiacere di trovarsi avversari. Quando poi seppero che accanto a lui era Gaston de Foix, nipote del re di Francia e fratello della regina di Spagna, gli spagno- li smontarono di sella, s’inchinarono a Ga- ston e si dichiararono suoi servitori, al che Gaston li invitò a continuare a servire il proprio re con fedeltà e onore. Egli propo- se anche che la questione si potesse ri- solvere con una singolar tenzone fra lui e il viceré di Spagna, ma l’offerta non fu ac- cettata. Quella di Ravenna sarà forse l’ul- tima battaglia a vedere in campo anche un codice cavalleresco. Alle otto del mat- tino iniziarono gli scambi di colpi dei can- noni, senza ottenere risultati significativi. Fu allora che il duca di Ferrara, Alfonso I d’Este,che militava in campo francese, ebbe l’intuizione decisiva: ordinò, infatti, ai suoi artiglieri di portare i cannoni sulla punta della mezzaluna, venendo così a trovarsi anche sul fianco dell’esercito del- la Lega, e di sparare anche a costo di col- pire le truppe amiche. A chi gli rimproverò questo “fuoco amico”, sembra che rispo- se: “ Sparate pure dove volete, bombar- dieri miei, non potete sbagliare, perché tanto sono tutti nemici dell’Italia”. Il fuoco di quei cannoni fece strage di cavalieri e indusse Fabrizio Colonna a rompere l’indu- gio dell’attesa e uscire dal campo trince- rato con i suoi fanti, senza attendere l’ordi- ne del viceré, prima che fossero massa- crati senza combattere. Nel frattempo, gli squadroni mossero all’attacco ma furono inquadrati dal fuoco micidiale dell’artiglie- ria di Alfonso d’Este. I fanti di Colonna fu- rono respinti (Fabrizio si arrese ad Alfonso d’Este), altri reparti si sbandarono, altri fu- rono presi alle spalle, il comandante dei cavalleggeri, il marchese di Pescara, fu fe- rito e preso prigioniero. Si accese una mi- schia furibonda. Un testimone oculare ri- portò che “le picche dei nostri restarono in breve talmente aggrovigliate con quelle dei nemici che non si potevano più ma- neggiare”. Il viceré si allontanò dal campo di battaglia (in fuga per salvarsi la vita), uf- ficialmente “per andare a inseguire il con- te di Popoli” ma certamente non si fermò finché non fu al sicuro dentro le mura di 10 Marinai d’Italia Novembre 2014 La battaglia di Ravenna Paolo Pagnottella Presidente Nazionale ANMI Giacché tutti noi Marinai andremo prossimamente a Ravenna per il nostro XIX Raduno Nazionale, vorrei qui ricordare che nei pressi di questa magnifica città d’arte si svolse una delle battaglie significative del XVI Secolo, esattamente il giorno di Pasqua, 11 aprile del 1512 Battaglie storiche Battaglia di Ravenna, Milano Castello sforzesco Tomba di Gastone di Foix

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Ancona. Vi fu un momento in cui due reg-gimenti spagnoli riuscirono a mettere infuga guasconi e picardi ma sbagliarono di-rezione e invece che tornare verso il cam-po trincerato, si diressero lungo l’arginedel Ronco verso Ravenna. Gaston de Foix,tutto coperto di sangue, vide gli spagnoliallontanarsi ancora in perfetto ordine,“come se avessero vinto loro” e, raccoltoun gruppo di armati, decise di caricarligettandosi sulla loro retroguardia al grido“chi mi ama mi segua”. Testimoni oculariscrissero poi che “sia sceso da cavallo inmezzo ai suoi soldati e sia morto nella mi-schia del combattimento, da una picca edopo aver riportato circa trenta ferite”.Così morì a ventitré anni Gaston de Foix,sul campo di battaglia ed entrò subito nel-la leggenda. Guicciardini scrisse che “se èdesiderabile morire quando si è al colmodella gloria, pochi uomini nella storia sonoda considerare fortunati come il duca diNemours”. Scrive il Baiardo che i France-si “pur avendola vinta, sembra che la bat-taglia l’abbiano perduta perché è rimastoucciso il duca di Nemours. Se fosse vissu-to, avrebbe fatto cose straordinarie”. Lanotizia della morte di Gaston de Foix para-lizzò le truppe francesi che smisero dicombattere e consentirono così agli spa-gnoli di ritirarsi. La sua morte colpì profon-damente tutti quelli che lo amavano, a co-minciare da suo zio, il re di Francia che ve-deva in lui il figlio che non aveva. AncheFerdinando il Cattolico ne rimase scosso,sebbene in quel frangente fosse suo nemi-co: si disse che, col tempo, lo avrebbe an-che accettato come re di Napoli. Sua so-rella, la regina di Spagna, Germaine, pian-se il fratello per giorni e giorni e scrisse al-lo zio, il re di Francia, che “ mi consola ilsolo pensiero che egli sia morto al vostroservizio e abbia compiuto il suo dovere”.

Dopo la battaglia

La battaglia di Ravenna iniziò alle otto delmattino e terminò verso le quattro del po-meriggio. Fu un massacro e il terreno rima-se talmente coperto di morti da rendereimpossibile camminarvi senza urtarnequalcuno. Solo il giorno dopo furono inviatii barellieri a recuperare i feriti ma molti dicoloro che si sarebbero potuti salvare era-no nel frattempo morti. Ludovico Ariosto,che visitò il luogo della battaglia poco do-po, scrisse che“ nel luogo dove era stata lazuffa si vedevano monti di uomini morti e

mezzi morti sotterrati infra le armi e tra ca-valli, per spazio di sei miglia”. L’armata diFrancia, fu calcolato, perse da cinque aseimila uomini, il doppio quella ispano-pon-tificia. Il comando delle truppe francesi fuassunto da la Palice, Ravenna si arrese do-po un patteggiamento ma fu orrendamentesaccheggiata dalla soldataglia ormai dive-nuta incontrollabile e che attribuiva all’osti-nata resistenza dei ravennati la colpa diquanto accaduto. Tre mesi dopo, l’esercitodel re di Francia dovette lasciare l’Italia: la

morte di un solo uomo aveva cambiato ilcorso della storia. La Palice, per quantoabile condottiero, non aveva l’autorità e ladeterminazione necessarie a proseguiresulla strada che Gaston de Foix aveva trac-ciato, cioè quella di approfittare della di-sfatta dell’esercito spagnolo-pontificio permuoversi a tappe forzate verso Roma e, sele forze del viceré avessero tardato a rior-ganizzarsi, addirittura verso Napoli. PapaGiulio fu molto colpito dall’esito della batta-glia di Ravenna ma si disse che ringraziòveramente Iddio per la morte di Gaston deFoix che, in caso diverso, avrebbe potutosicuramente togliergli la mitra e forse an-che la vita. La vittoria di Ravenna si rivelòeffimera: i Lanzi di Massimiliano si ritiraro-no, Alfonso d’Este riuscì a stento a mante-nere Ferrara, i comandanti dell’armata diFrancia decisero di far rientro a casa. Nelfebbraio 1513 Papa Giulio II, stroncato dauna febbre d’ignote origini, morì: non fu se-polto nella tomba preparata da Michelan-gelo in San Pietro in Vincoli ma nella basi-lica di San Pietro senza alcun monumentofunebre. Gli successe Giovanni de’ Medici,che già aveva partecipato come cardinaleal concistoro che aveva eletto Giulio II, eprese il nome di Leone X. Come primo pas-so, si affrettò a perdonare gli scismaticifrancesi per riallacciare cordiali relazionicon il re di Francia.Il 19 aprile 1512, una settimana dopo la bat-taglia, un lungo corteo partì da Ravenna,composto di cento nobili cavalieri francesi

vestiti di nero che scortavano il feretro diGaston de Foix, seguito dai vessilli strappa-ti al nemico e dalla spada del viceré spa-gnolo, persa nella fuga. Il corteo, dopo unasosta a Bologna, giunse a Milano il 25 apri-le. I resti mortali dell’eroe furono sepolti nelDuomo. Pochi giorni dopo, i francesi la-sciarono la città sotto l’incalzare degli sviz-zeri di Massimiliano, che riesumarono lasalma e ne dispersero i resti dopo averlaspogliata di tutti i ricchi ornamenti. Ritorna-ti i francesi a Milano sotto il comando del

nuovo re Francesco I, questi dispose l’e-rezione di un mausoleo alla memoria delprincipe, da collocarsi nella chiesa dellemonache di Santa Marta, commissionan-done il sarcofago allo scultore AgostinoBusti detto il Bambaia. Cacciati nuova-mente i Francesi da Milano (1521), l’arti-sta comprese che nessuno avrebbe pa-gato la sua opera e non la ultimò. Riman-gono un pregevole bassorilievo e losplendido coperchio che ritrae le fattezzedel condottiero, così come visto di perso-na dall’artista durante i funerali, oggi con-servato al museo del Castello Sforzescodi Milano. Nel 1557 il cardinale Pietro Do-nati Cesi fece erigere sul luogo della bat-taglia la “colonna dei Francesi”: secondoalcuni, si ergerebbe proprio sul luogo overimase ucciso Gaston de Foix. La battaglia di Ravenna inaugurò un nuovomodo di guerreggiare, conseguente allacomparsa delle artigliere da campo. Finoad allora, gli eserciti si schieravano a bat-taglia pronti allo scontro fra le fila, adot-tando ogni accorgimento utile ad inganna-re il nemico. L’utilizzo dei cannoni sconvol-se questa tattica e cancellò i rapporti eticiche stavano alla base della cavalleria , an-che fra nemici. Un altro fattore, da quelgiorno in poi, dovrà essere tenuto presen-te quale conseguenza della comparsa del-le artiglierie, il numero di morti, che a Ra-venna fu altissimo se paragonato alle bat-taglie precedenti.

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11Marinai d’Italia Novembre 2014

PARTE IILa battaglia

L a sera dell’otto aprile i cannoni deiFrancesi (alcuni lunghi anche 4 me-tri, con palle da quattordici chili), dal

loro campo avanzato sulle rive del Monto-ne, iniziarono il bombardamento delle mu-ra di Ravenna che andò avanti sino al novesera, procurando gravi perdite ma nessuncedimento. L’assalto alle mura cittadinefallì per la sapiente regia del Colonna e perl’intervento a rinforzo di trecento giovaniravennati, uomini (fra cui Raffaele Rasponi)e donne. Mille cadaveri rimasero sotto lemura. Lo sconforto iniziò a serpeggiare fragli assedianti, giacché i rifornimenti eranostati tagliati dai veneziani sul Po e sul cana-le di Ferrara. Inoltre, si sparse la voce chel’Imperatore Massimiliano avesse ordinatoai suoi Lanzi di non combattere e fare rien-tro in Patria (ma il loro comandante, JacobEmpser, devoto amico del Bayard, risposeche “la fraternité militaire est chose sain-te”!). Gaston de Foix si trovò così di frontead una difficile scelta e convocò i suoi uffi-ciali dicendo loro: ”Signori, dobbiamo deci-dere se ritirarci perdendo la reputazione oaffrontare i rischi di una battaglia su un ter-reno favorevole al nemico. Qui si tratta discegliere fra una rovina certa e una vittoriaincerta”. Tutti risposero che era necessa-rio combattere. Il tradizionale guanto di sfi-da fu inviato a Raimondo de Cardona, fer-matosi inspiegabilmente in località Moli-naccio anziché puntare direttamente suRavenna, con la richiesta di consentire al-le truppe francesi il transito del corso d’ac-qua che separava i due eserciti. Sabato 10aprile iniziarono i movimenti tattici per oc-cupare le migliori posizioni, dato per scon-tato che si sarebbe venuti allo scontro. Do-menica 11 aprile all’alba, le truppe france-si varcarono il Ronco su un ponte di bar-che, senza contrasto (i francesi, per non

farsi superare dai Lanzi, benché appesan-titi dalle armature,lo guadarono) e andaro-no a schierarsi a mezzaluna “perché i fan-ti non avessero il vento in faccia e il solenegli occhi”, riportano le cronache. Ga-ston de Foix scelse trenta cavalieri e conessi prese a spostarsi da un capo all’altrodel fronte “allegrissimo e con gli occhi sfa-villanti”, col braccio destro nudo fino algomito, per voto alla sua dama del cuore.La retroguardia, comandata da monsignord’Alègre rimase di là dal fiume, pronta a in-tervenire. Le truppe della lega, invece, as-sunsero il classico schieramento in linea,con le artiglierie al centro e gli squadronidi cavalleria ai lati. Mentre Gaston con isuoi fedelissimi ispezionava le truppe, ca-pitò che incontrasse un drappello di cava-lieri spagnoli, al comando di Pedro de Paz.Cavallerescamente, si scambiarono i salu-ti e si accordarono perché i rispettivi ar-chibugieri non facessero fuoco prima del-l’inizio della battaglia. Quando lo spagnolochiese con chi avesse l’onore di parlare,si fece avanti il Cavalier Bayard, cui glispagnoli risposero con profonda ammira-zione e dispiacere di trovarsi avversari.Quando poi seppero che accanto a lui eraGaston de Foix, nipote del re di Francia efratello della regina di Spagna, gli spagno-li smontarono di sella, s’inchinarono a Ga-ston e si dichiararono suoi servitori, al cheGaston li invitò a continuare a servire ilproprio re con fedeltà e onore. Egli propo-se anche che la questione si potesse ri-solvere con una singolar tenzone fra lui eil viceré di Spagna, ma l’offerta non fu ac-cettata. Quella di Ravenna sarà forse l’ul-tima battaglia a vedere in campo ancheun codice cavalleresco. Alle otto del mat-tino iniziarono gli scambi di colpi dei can-noni, senza ottenere risultati significativi.Fu allora che il duca di Ferrara, Alfonso Id’Este,che militava in campo francese,ebbe l’intuizione decisiva: ordinò, infatti,ai suoi artiglieri di portare i cannoni sulla

punta della mezzaluna, venendo così atrovarsi anche sul fianco dell’esercito del-la Lega, e di sparare anche a costo di col-pire le truppe amiche. A chi gli rimproveròquesto “fuoco amico”, sembra che rispo-se: “ Sparate pure dove volete, bombar-dieri miei, non potete sbagliare, perchétanto sono tutti nemici dell’Italia”. Il fuocodi quei cannoni fece strage di cavalieri eindusse Fabrizio Colonna a rompere l’indu-gio dell’attesa e uscire dal campo trince-rato con i suoi fanti, senza attendere l’ordi-ne del viceré, prima che fossero massa-crati senza combattere. Nel frattempo, glisquadroni mossero all’attacco ma furonoinquadrati dal fuoco micidiale dell’artiglie-ria di Alfonso d’Este. I fanti di Colonna fu-rono respinti (Fabrizio si arrese ad Alfonsod’Este), altri reparti si sbandarono, altri fu-rono presi alle spalle, il comandante deicavalleggeri, il marchese di Pescara, fu fe-rito e preso prigioniero. Si accese una mi-schia furibonda. Un testimone oculare ri-portò che “le picche dei nostri restaronoin breve talmente aggrovigliate con quelledei nemici che non si potevano più ma-neggiare”. Il viceré si allontanò dal campodi battaglia (in fuga per salvarsi la vita), uf-ficialmente “per andare a inseguire il con-te di Popoli” ma certamente non si fermòfinché non fu al sicuro dentro le mura di

10 Marinai d’Italia Novembre 2014

La battaglia di RavennaPaolo PagnottellaPresidente Nazionale ANMI

Giacché tutti noi Marinai andremo prossimamente a Ravennaper il nostro XIX Raduno Nazionale, vorrei qui ricordareche nei pressi di questa magnifica città d’artesi svolse una delle battaglie significative del XVI Secolo,esattamente il giorno di Pasqua, 11 aprile del 1512

Battaglie storiche

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