La Battaglia Di Qadesh. Ramesse II alla Conquista Dell'Asia, Fra Mito, Storia e Strategia

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INDICE

Prefazione

Capitolo primo: I protagonisti

Capitolo secondo: Le forze in campo

- L’ideologia della guerra

- Eserciti a confronto

Capitolo terzo: I presupposti della battaglia

- La situazione siriana e la strategia ramesside

- Il teatro delle operazioni

Capitolo quarto: La battaglia

- Il percorso

- Il preludio

- Lo scontro

Capitolo quinto: Narrazione e propaganda

- Il bollettino

- Il poema

- L’iconografia

Capitolo sesto: Le campagne successive

Capitolo settimo: L’alleanza egizio-ittita

Appendice: Fonti testuali

- La battaglia

- Il trattato

Bibliografia

PREFAZIONE

Nel 1275 a.C. si combatte a Qadesh la prima grande battaglia dell’antichità tra Egiziani ed

Ittiti: Ramesse II e Muwatalli si fronteggiano nella piana siriana. È un evento cruciale per le sorti

dei due più potenti imperi del Vicino Oriente ma è anche la prima volta che due culture così

diverse vengono direttamente “a contatto”. L’esperienza di Qadesh fu determinante per le

successive trasformazioni politiche e culturali della civiltà del Tardo Bronzo nel Bacino del

Mediterraneo e costituì per Ramesse II l’evento apicale del suo glorioso regno. La grandezza e la

centralità della battaglia per l’Egitto ramesside sta nella sua intrinseca connotazione e valenza

ideologico-propagandistica e tale da costituire un autentico paradigma della condotta bellica di

ogni faraone nella realizzazione dell’impero universale.

Ovviamente non è mia intenzione tracciare qui il complesso percorso storico ed evenemenziale

che soggiace all’evento ma tentare, per quanto possibile, di evidenziare alcuni di quegli

importanti aspetti e significati che vanno oltre la prospettiva di un confronto di natura bellica

senza precedenti. Mi riferisco in particolare al complesso sistema di elaborazione e definizione

del sovente rapporto esistente tra gli eventi storici e la loro narrazione ai fini dell’ideologia e

della propaganda regale. In altre parole, l’esperienza bellica ramesside per divenire fondante e

centrale per la storia dell’impero e potersi proiettare oltre il tempo e lo spazio ha necessità

d’esser accuratamente rielaborata e massimizzata nei suoi codici espressivi. Di qui dunque l’idea

di un’analisi, direi più un resoconto, sulla battaglia con particolare riferimento alla sua

prospettiva storiografica e sulla geometria compositiva che sottende alla narrazione dell’evento.

Il volume si compone di sette capitoli: nei primi tre si fornisce un inquadramento storico sulla

situazione politica vicinorientale agli esordi della battaglia, sui protagonisti e i loro strumenti di

conquista; il quarto capitolo è dedicato allo scontro in tutte le sue fasi, mentre al quinto è

riservata l’analisi degli strumenti narrativi adoperati per la descrizione dell’evento. Il ciclo delle

gesta belliche di Ramesse II in Siria si conclude negli ultimi due capitoli: nel sesto si riportano le

campagne militari successive alla battaglia e nel settimo si analizza il trattato dell’alleanza

egizio-ittita, quale felice conclusione della contesa fra i due imperi. Un selezionato compendio dei

testi geroglifici afferenti alla battaglia e al trattato, quale utile appendice didattica, e la

bibliografia completano l’opera.

Sono conscio dei limiti della presente trattazione, poiché ben più complete ed esaustive

appaiono le numerose opere scientifiche sinora dedicate all’argomento e alle quali si rimanda

per gli opportuni approfondimenti; basti pensare, ad esempio, all’opera di J.H.Breasted del 1903

intitolata “The Battle of Kadesh”, quella di J.Sturm del 1939 intitolata “Der Hettiterkrieg

Ramses’II” (rielaborata da C.Vandersleyen nel 1996 nel volume “La guerre de Ramsès II contre

les Hittites”), quella di M.Healy del 1993 intitolata “Qadesh 1300 BC”, all’esaustivo e

fondamentale volume di K.A.Kitchen del 1999 tra quelli delle “Ramessides Inscriptions Texts,

Notes and Commentary” nonché al recente catalogo a cura di M.C.Guidotti e F.Pecchioli del

2002 intitolato “La Battaglia di Qadesh: Ramesse II contro gli Ittiti alla conquista della Siria”.

L’elemento di novità – o meglio di diversità – di questo lavoro sta invero nella sua valentia

didattica, peculiarità, questa, che ha guidato il vaglio e il dosaggio dei suoi elementi costitutivi

ed è frutto di numerose sperimentazioni effettuate presso varie università e istituzioni di ricerca.

L’idea è dunque quella di suggerire al lettore di una vicenda cruciale per l’Antico Egitto

mediante un percorso analitico atto ad evidenziarne i percorsi narrativi e a rivelarne la sua

originale essenza storiografica.

Alla redazione e stesura del volume hanno contribuito alcuni colleghi, egittologi ed

orientalisti, ai quali devo i preziosi consigli e suggerimenti nei rispettivi campi di competenza e

l’amabile disponibilità a confrontarsi e a dibattere in più occasioni su di un argomento così

complesso. Il ricordo di alcuni di essi è legato a due eventi di notevole portata scientifica quale la

mostra realizzata al Museo Archeologico Nazionale di Firenze nel giugno 2002 dedicata alla

battaglia di Qadesh e il convegno di studi organizzato a margine: Gloria Rosati, Franca

Pecchioli, Anna Maria Polvani, Pier Roberto Del Francia, Stefano De Martino, Mario Liverani,

Alfonso Archi, Silvio Curto, Sergio Bosticco, Sergio Donadoni, Alessandro Roccati e Paolo

Emilio Pecorella, scomparso recentemente mentre dirigeva lo scavo sul sito siriano di Tell Barri.

Un particolare ringraziamento va a Maria Cristina Guidotti, direttrice del Museo Egizio di

Firenze, cui è dedicato questo lavoro, per la proficua collaborazione scientifica e l’inesauribile

disponibilità a soventi approfondimenti in vari settori della ricerca egittologica; ringrazio inoltre

l’editrice Tirrenia Stampatori per aver accolto e pubblicato un volume specialistico e piuttosto

articolato e sono grato a quei colleghi e discenti che hanno pazientemente letto le bozze e

contribuito ad una maggior chiarezza espositiva e contenutistica dell’opera.

Ai lettori interessati chiedo di formulare giudizi, proposte e suggerimenti che accoglierò con

entusiasmo e favore.

CAPITOLO PRIMO: I protagonisti

Il fautore assoluto di quel complesso sistema celebrativo e propagandistico che sottende alla

battaglia di Qadesh è Ramesse II o “Ramesse il grande” per la maggior parte degli studiosi;

successore di Sethi I e discendente di una famiglia di militari del Basso Egitto, il giovane faraone fu

intronizzato col nome di Usermaatra “è potente la giustizia di Ra” e di Setepenra “l’eletto di Ra”

intorno al 1279 a.C. e regnò per circa sessantasette anni realizzando l’impero universale. La

magnificenza e lo splendore dell’Egitto in quest’epoca restano ineguagliati soprattutto se

consideriamo la proliferazione di immagini e testi atti a celebrare le gesta del sovrano e a

perpetuarne l’invincibilità nella maggior parte delle città del paese e con maggior impulso nelle

capitali religiose e politiche come Pi-Ramesse, Tebe e Menfi. L’Egitto di Ramesse è al culmine del

suo splendore e potenza.

Diversamente dal condottiero egizio, Muwatalli II è uno dei sovrani del periodo imperiale ittita

(1815-1180 a.C. circa) su cui disponiamo meno documentazione; dai testi rinvenuti nell’archivio

reale di Hattusa sappiamo solo che la politica estera e la religione furono i suoi due principali settori

di interesse, mentre la più copiosa documentazione afferente al suo regno giace ancora sepolta nelle

rovine della sua residenza a Tarhuntassa nel sud dell’Anatatolia. Muwatalli, secondogenito e

successore di Mursili II, salì al trono di Hattusa agli esordi del XIII sec.a.C. e si ritiene abbia

governato per circa 25 anni un impero vasto e ben organizzato che si estendeva su tutta l’Anatolia,

dall’Egeo fino all’alto corso dell’Eufrate e in buona parte della Siria centro-settentrionale. Episodio

di particolare rilevanza del regno di Muwatalli, oltre alla contesa con gli Egiziani, fu senza dubbio la

decisione del sovrano di spostare la capitale dell’impero a Tarhuntassa, decisione, questa, che ne

modificò l’organizzazione e gli equilibri interni, in quanto la capitale Hattusa era il centro

direzionale della politica ittita e la principale sede del culto degli dei e degli antenati della famiglia

reale. Un simile evento, probabilmente non solo legato a motivazioni di carattere religioso, diede

luogo ad una divisione politica dell’impero in due grandi settori: quello settentrionale o “paese alto”

con capitale Hattusa la cui gestione fu affidata al principe Arma-Tarhunta e il cui controllo militare

fu affidato ad Hattusili, fratello del re e principe di Hakpish, e quello meridionale o “paese basso”

fu gestito direttamente da Muwatalli dalla sua nuova residenza di Tarhuntassa sede della cancelleria

reale e principale centro religioso del paese.

La sostanziale differenza che si ravvisa tra i due protagonisti riguarda anche l’aspetto prettamente

gestionale e politico dei rispettivi imperi e le forme dell’egemonia esercitata nei confronti dei

sudditi; l’amministrazione del regno da parte egizia prevede di norma un controllo capillare delle

province (nomoi) attraverso le figure dei nomarchi, principi legati alla casa reale, e di una vasta e

complessa rete di funzionari e scribi coadiuvati dai sacerdoti e militari nelle rispettive sedi di

competenza; figura essenziale e centrale della gestione dello Stato è il visir sul quale grava la

distribuzione delle diverse competenze amministrative e funzionali e al quale il faraone affida

compiti che attengono la sfera militare o economica o anche religiosa.

Anche la monarchia ittita, al pari degli altri Stati del Vicino Oriente antico, è di tipo monocratica ed

ereditaria; il sovrano (tabarna/labarna) è la massima autorità in tutti i settori: politico, religioso,

militare e giuridico ed è affiancato dalla consorte (tawannanna) che riveste una posizione di rilievo

a corte e spesso ha facoltà di intervenire nelle decisioni regie. Altra figura di spicco della regalità

ittita è l’erede al trono (tuxkanti) che detiene la posizione di maggior prestigio dopo il sovrano e il

quale concorre alla gestione del regno ricoprendo una serie di importanti incarichi come quello di

governatore di provincia o sovrano di taluni regni vassalli. Attorno alla corte gravitano una serie di

complessi apparati amministrativi composti di funzionari e dignitari di vario livello e talune figure

di spicco di come i sacerdoti o le alte gerarchie militari che insieme formano due assemblee

collegiali: il panku e il tuliya; il primo organo, quale assemblea composta dagli alti dignitari dello

Stato, aveva funzione consultiva per il sovrano e alla quale questi richiedeva l’approvazione del

proprio operato in casi di rilevanza per il regno; il secondo era un organo competente per le

questioni giudiziarie. Sede dell’amministrazione statale, come per gli altri regni vicino-orientali

antichi, è il palazzo (É.LUGAL o É.GAL), edificio ubicato sia nella capitale che in tutti i centri

presenti nel paese.

Fenomeno di maggior diversità tra le due culture è senza dubbio la gestione della politica estera; la

politica ramesside nella gestione dei territori asiatici e nella diplomazia ricalca grosso modo le

feconde esperienze della XVIII dinastia: il controllo dei territori e dei regni asiatici è capillare ed

attuata mediante la presenza fissa di guarnigioni e di presidi in grado si assicurare il regolare

afflusso in Egitto di beni e di tassazioni raccolte in situ sia di approvvigionare gli eserciti faraonici

di passaggio e di offrire una difesa avanzata in caso di invasioni su vasta scala. Le forme della

sottomissione da parte dei vassalli al faraone non sembrano essere sancite da patti o giuramenti

scritti; d’altronde, al faraone è sufficiente il periodico resoconto che il vassallo gli fornisce sul buon

andamento delle cose e sul suo regolare pagamento dei tributi, verificato di volta in volta dai

governatori egizi locali per assentire la sua protezione da eventuali minacce esterne.

La gestione della politica estera da parte ittita è invece particolarmente accurata in senso giuridico;

l’Ittita è infatti attento nello stabilire modalità e tempi del giuramento di fedeltà (lingai) sancito con

un trattato di “protettorato” che lega inderogabilmente ed inequivocabilmente il “Gran Re” di Hatti

al contraente; il vassallo non solo deve adempiere ad una serie di obblighi che tale legame (iSxiul) comporta come i tributi e gli approvvigionamenti per gli eserciti stanziati o di passaggio ma di

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norma assiste ad una completa ingerenza da parte del Gran Re in tutte le questioni anche minimali

che attengono il suo regno. Questa impostazione ha indubbi riflessi per il libero arbitrio del

contraente che non può in nessun caso intraprendere iniziative di carattere politico o diplomatico o

bellico con altri regni di pari o di diverso rango senza il benestare ittita.

Di diversa concezione è anche l’arte della diplomazia tra i due imperi; nella consuetudine del

tempo, che prevede una regolare corrispondenza ed invio di doni tra le corti, del tutto essenziale è

l’uso del matrimonio interdinastico quale strumento di rafforzamento delle alleanze e di controllo

politico; nella pratica ittita è frequente da parte del Gran Re sposare principesse straniere o

concederne di proprie ai re di pari rango o di potenti regni vassalli (allo scopo poi di imporre che la

sposa reale divenisse la consorte ufficiale e che i suoi figli divenissero gli eredi al trono), mentre

nella concezione egizia, versata da un tradizionale etnocentrismo, l’unica soluzione ammessa è

l’unione tra il faraone e le principesse straniere.

In tutto questo complesso sistema di circolazione di messaggeri, scambi di corrispondenza

diplomatica, invii di doni cerimoniali e alleanze stipulate o rafforzate mediante matrimoni

interdinastici, quel che emerge è una contrapposizione tra l’impero ittita, potente regno che appieno

incarna quei canoni culturali afferenti al mondo vicinorientale antico, e l’Egitto ramesside che,

seppur proiettato in una nuova dimensione relazionale con le altre potenze del tempo, resta

consapevolmente radicato nel suo tradizionale isolamento e nella sua “egemonia” politica e

culturale.

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CAPITOLO SECONDO: Le forze in campo

L’ideologia della guerra

La concezione vicinorientale della guerra, agli esordi della contesa egizio-ittita, risente delle

preziose esperienze giunte a maturazione durante l’età amarniana; elemento centrale e nodale delle

relazioni tra i diversi Stati che compongono il mosaico politico internazionale è la diplomazia al

quale si affianca, a partire dal regno di Suppiluliuma I, un uso più incisivo della forza militare;

sicché nel momento in cui la competizione militare tra Ramesse e Muwatalli gioca, ad un certo

momento, un ruolo essenziale per gestire gli affari internazionali e riconfigurarne il sistema politico,

è del pari vero che tale attività non può derogare alle consuete regole di «giusta» condotta della

guerra e di «corretta» gestione dei domini.

Secondo la consuetudine del tempo nelle contese internazionali, la parità e la reciprocità esistenti fra

le grandi potenze stimolano il conflitto e ne amplificano la portata propagandistica. Propaganda e

realtà si fondono: guerra ordalica e guerra effettiva divengono attività «regolate e codificate» che

prevedono un corretto utilizzo dei mezzi e degli intenti da parte dei belligeranti. Questo «codice»

presuppone che i mezzi della competizione siano molteplici: oltre alle armi e ai soldati ci sono le

forze divine, le forze naturali e le forze magiche che devono essere invocate da entrambe le parti per

fornire responsi sulle potenziali operazioni da intraprendere o per esorcizzare eventuali disastri. Per

innescare il confronto in campo aperto, allorquando non subentrino altre soluzioni pacifiche, è

sufficiente notificare al rivale un documento di «sfida» nel quale sono accuratamente elencate le sue

mancanze e le motivazioni del conflitto. Solo una prassi bellica regolata e ineccepibile può stabilire

con certezza chi dei due ha ragione e può legittimarne la vittoria dinnanzi agli dèi e agli uomini. Se

si agisce correttamente o si è agito correttamente è sempre il nemico la figura empia e sottoposta al

giudizio divino.

Anche la strategia e le tattiche campali finiscono inevitabilmente per essere “regolate” e le

indicazioni sono piuttosto chiare: si vince affrontando l’avversario in campo aperto, di giorno e

sullo stesso piano operativo. Gli stratagemmi e gli inganni consistenti nello sfruttare le insidie del

terreno, farsi scudo con i prigionieri, attaccare di notte l’accampamento altrui o attaccare

l’avversario intento a schierarsi sono inconcepibili e contrari alle virtù dei condottieri. Stanti queste

implicazioni, è chiaro che se nessuno dei due belligeranti può svincolarsi dalla rigidità

convenzionale del codice di guerra, uno deve attaccare e l’altro difendersi: i ruoli sono così

assegnati. Dopo aver lanciato la sfida, tocca al difensore scegliere e preparare il teatro dello scontro:

la sua astuzia strategica sta nel privilegiare un terreno pianeggiante nei pressi di una città fortificata

o di un ostacolo naturale (montagna o altura) ove rifugiarsi in caso di sconfitta. All’attaccante non

resta che raggiungere il luogo dello scontro, schierarsi per l’imminente battaglia e, in un momento

propizio del duello, sferrare l’attacco decisivo. La contesa si conclude immediatamente nel caso di

resa di uno dei due contendenti o di netta supremazia del difensore. Diverso è il discorso se il

difensore sconfitto decide di sottrarsi alla cattura e di resistere all’invasore dopo essersi rifugiato in

una città fortificata: è l’attaccante che deve ora sopportare l’onere e il peso di un prolungato

assedio. Se l’assediante non riesce in breve tempo ad ottenere la resa dell’avversario o ad espugnare

la città con perdite esigue, è costretto ad abbandonare il teatro delle operazioni e a rinunciare,

almeno per qualche tempo, alla sua totale ed indiscussa supremazia. Le regole della guerra sono

perciò chiare ed inequivocabili in modo da non lasciare alcun margine di errore indotto dal libero

arbitrio dei protagonisti.

Ci sono però dei casi nei quali le limitazioni imposte dal codice di guerra possono non attuarsi; nei

confronti di quei nemici di “rango inferiore”, come gli Shasu e gli Apiru (per gli Egiziani) e i Kaska

(per gli Ittiti), genti seminomadi e popolazioni particolarmente versate alla guerriglia, dalla condotta

bellica “sfuggente e insidiosa” e ritenuti incapaci di rispettare il codice, i grandi imperi non

mostrano particolare riguardo. Per l’Egitto, come per Hatti, la viltà è una connotazione

ideologicamente estesa a tutti i potenziali nemici ma che assume maggior risonanza propagandistica

se riservata a queste genti che “non hanno dèi, né sovrani” e la cui condizione sociale e politica li

pone al di fuori del contesto internazionale. Per i grandi imperi questa “ordalia”, pur atipica e

asimmetrica, ha il duplice vantaggio d’essere attuabile in qualsiasi momento e di poter assecondare

il fine ritenuto più opportuno; l’Egitto, come Hatti e gli altri potenti regni vicinorientali, ha sempre

bisogno di generare “insidiosi ribelli” (come Shasu e Apiru) alle sue frontiere per giustificare

l’azione bellica del faraone e per fornirgli un utile pretesto per propagandare le sue imprese

manifestando la sua inesauribile correttezza in combattimento anche quando la meschinità del

nemico non lo avrebbe richiesto; in simili frangenti, l’astuto ricorso al codice da parte del

condottiero amplifica e accentua la sua lealtà in combattimento e, al contempo, legittima

l’inevitabile sterminio o la resa in schiavitù dei ribelli.

Il codice di guerra è dunque centrale e necessario al corretto funzionamento dell’intero meccanismo

delle contese internazionali, ma non riesce a spiegare tutto quest’ingente bisogno di regolare e

codificare l’attività bellica. Sotto il profilo essenzialmente militare, l’idea che una lucida e corretta

formulazione delle “regole del gioco” possa anche assolvere l’importante funzione di scandire,

semplificare ed unificare le procedure e i metodi di combattimento, sta ad indicare che il codice non

serve a decretare il vincitore della contesa, quanto ad assicurare, quando possibile, il necessario

risparmio di uomini e mezzi.

Ciò si deve al fatto che la maggior parte delle battaglie del tempo si compone di una serie di iniziali

confronti fra i carristi avversari (o anche di proiezioni dei carristi contro le rivali schiere di fanti per

infrangerne la compattezza) ai quali segue il devastante impatto fra le fanterie pesanti. Anche

l’assedio prevede una fervente attività da parte dei protagonisti: gli attaccanti possono assaltare

ripetutamente le mura tentando di superarle con scale e cime, possono far breccia nelle fortificazioni

o possono costringere gli assediati alla resa per fame e sete. I difensori, dal canto loro, possono

sfruttare le comodità offerte dal luogo di rifugio per riorganizzarsi e tentare micidiali sortite contro

l’attaccante o tentare di resistere agli assalti utilizzando appieno le potenzialità delle fortificazioni.

Si tratta quindi di eventi che implicano inevitabilmente la perdita di un cospicuo numero di mezzi e

di preziose vite umane, sebbene nella Tarda Età del Bronzo l’utilizzo del carro imponesse eserciti di

numero non superiore alle quindicimila unità ai fini di una loro sufficiente manovrabilità sul campo.

Simili cifre, se giustamente ricondotte agli standard demografici dell’epoca, non attenuano la nostra

sensazione di sgomento, semmai finiscono per accentuarla nella considerazione che, nel corso di

una battaglia, la maggior parte delle truppe appiedate non aveva alcuna possibilità di fuga finendo

spesso per essere sterminata. Se si pensa agli effetti devastanti prodotti dall’utilizzo delle armi

individuali nel combattimento a corpo a corpo, come le lance, i dardi, le asce, le spade e la

micidiale scimitarra khepesh, si può facilmente immaginare lo stato del terreno dopo la battaglia,

disseminato di cadaveri e di quei feriti agonizzanti ancora in grado di far udire la loro presenza ai

fortunati superstiti.

Senz’altro tragica è poi la condizione di quelle aree siro-palestinesi che costituiscono il teatro delle

operazioni; qui, la guerra è fonte di crisi economica e di regressione demografica per i frequenti

saccheggi e distruzioni operati dagli eserciti di passaggio e per le soventi coscrizioni. È uno scenario

che influenza non poco la sensibilità politica e sociale del tempo e che fa comprendere quanto sia

importante per il sistema internazionale esorcizzare lo spettro di un’attività bellica aritmica e

asimmetrica che rischia di travolgere l’ordine universale esistente: il codice non evita i danni

(saccheggi e devastazioni) ma almeno li contiene. In questa prospettiva, per ciascun contendente

l’ideale è sconfiggere l’avversario in una decisiva battaglia con il minimo delle perdite, così com’è

preferibile l’immediata resa incondizionata dell’assediato che affrontare i rischi di un prolungato

assedio. Anche quando l’attaccante ottiene la vittoria sul campo o la resa del difensore, sa bene che

la sua superiorità non può sopravvivere a lungo in un territorio ostile senza l’appoggio d’idonee

basi logistiche e di un regolare approvvigionamento. Ciò spiega perché le campagne militari si

svolgono prevalentemente nella stagione estiva ed hanno durata limitata; la fine delle ostilità innesca

l’attività di propaganda del vincitore e riavvia la ripresa delle relazioni diplomatiche e delle attività

produttive. Visto così, il codice funge da propulsore al ciclico avvicendamento fra guerra e pace: se

la guerra permette l’espansione, il controllo, l’acquisizione di nuove risorse di sostentamento, la

pace permette di rimarginare le ferite belliche, di ricomporre e di rigenerare il potenziale politico,

economico e umano dello scenario asiatico. È la regolarità della «sequenza» e la perfetta coesione

degli incastri temporali fra guerra e pace che garantiscono stabilità al sistema e ne legittimano

l’utilità. L’attività bellica è per le grandi potenze astuto pretesto per confrontarsi, per saggiare le

potenzialità e l’efficacia delle proprie armi e, soprattutto, per acquisire dati utili alla

sperimentazione di nuove tecnologie e strategie.

L’ideologia egizia e ittita

Seppur incentrate su di un comune concetto di contesa regolato dal “codice”, le ideologie della

guerra dei due contendenti appaiono differenti; la concezione ramesside, pur condizionata dalle

implicazioni che l’orizzonte politico e culturale vicinorientale impone, sembra riflettere la

tradizionale visione sulla guerra secondo cui l’attività bellica, in quanto azione del sovrano quale

Horo reincarnato, è un efficace strumento di conquista e di riorganizzazione dell’universo; il suo

dominio, incontestabile e già preordinato fin dalla creazione, si deve affermare sulla “totalità” del

creato nei confronti di un mondo esterno ritenuto “barbaro e sottosviluppato”. È un fenomeno che

si perpetua costantemente ad ogni accessione al trono e, di là dal reale svolgimento dell’opera, quel

che è importante per il sovrano è dimostrare di controllare davvero l’universo. Una storia costruita

su simili presupposti e che ha l’esigenza di fornire al paese una spiegazione razionale non può che

apparire omogenea, legittima e rassicurante ad una comunità che ignora quanto accade lontano,

soprattutto, se ogni avvenimento contrario al corretto andamento delle cose e fonte di pressione

psicologica è accuratamente rigettato. L’immagine che si ottiene è quella di una civiltà superiore

che, fin dalla sua creazione, non conosce crisi poiché è governata da sovrani retti e valorosi che

lottano incessantemente contro il male, assicurano la quotidiana sopravvivenza del creato e

apportano luce sull’oscurità e civiltà su popoli stranieri destinati al perenne oblio.

Il passaggio dal mito alla storia si attua nel momento in cui l’espansione dell’impero amplia lo

scenario di conquista ed introduce innovativi e concreti elementi di conoscenza del mondo esterno;

la propaganda può così abilmente affiancare alla tradizionale e chimerica idea dell’indeterminazione

estensiva dei “confini universali” costantemente ampliati dal faraone, l’elenco le sue conquiste,

cosicché lo spazio esterno cessa di essere un caotico luogo geometrico di linee di confine in

continua espansione per assumere la forma di una mappa geopolitica dalla fisionomia ben precisa.

Questa spasmodica esigenza di scandire con assoluta precisione i confini “raggiunti” dal sovrano

non ha il mero scopo di dimostrare il successo delle sue imprese, ma sancisce, a livello ideologico e

materiale, il dominio egizio sullo spazio “a monte”; per essere reale e tangibile il dominio egizio è

accuratamente sancito dalla stele di confine, documento che attesta l’avvenuta sottomissione da

parte del faraone dei nemici e dei loro angusti territori.

Altra peculiarità tipicamente egizia è l’assenza di specifiche “divinità guerriere”; tutti gli dèi egizi

hanno, secondo i casi, un atteggiamento bellicoso ed aggressivo e dunque sono invocati dai

sacerdoti e dal faraone anche nella maggior parte degli eventi di natura bellica; ciò nonostante le

divinità che maggiormente presenziano al rituale sterminio dei nemici da parte del faraone sono

Seth, Montu, Horo, Sekhmet, Baal e soprattutto Amon-Ra, divinità, questa, che nell’iconografia

ramesside dà incarico al condottiero di conquistare l’universo porgendogli la spada rituale e

sovrintende alla successiva sfilata dei prigionieri e dei paesi sottomessi. Di pari portata è la

preparazione alla guerra che deve essere propiziata mediante alcuni rituali “tradizionali” come

l’invocazione di particolari formule ed offerte per gli dèi e l’uso dei testi di esacrazione consistenti

nella lettura e successiva rottura di statuette di argilla recanti i toponimi e i nomi dei popoli stranieri

da sottomettere.

L’ideologia ittita della guerra ricalca invece un modello più pragmatico e in piena sintonia con la

concezione giuridica della regalità; il Gran Re di Hatti, quale fedele adempiente della volontà divina,

prima di intraprendere qualsiasi azione bellica deve chiedere il permesso degli dèi; nei testi è

ricalcato che le mille divinità di Hatti “corrono dinnanzi all’esercito” e ne garantiscono la vittoria

solo se opportunamente invocate. A tali “interrogazioni” si sottopongono la lista dei nomi dei paesi

e dei popoli nemici e l’elenco dei comandanti cui affidare l’esercito; l’esito positivo o negativo del

responso è inappellabile e costituisce fatto essenziale per il buon esito dell’impresa. Così, ad

esempio, il re ittita Mursili II riporta negli annali una delle sue vittorie, conseguita grazie all’aiuto

divino e secondo la prassi del tempo:

“Io, Sua Maestà, assalii Kamama, la dea Sole di Arinna mia signora, il forte Tarhunta mio signore,

Mezzulla e tutti gli dèi marciarono dinnanzi a me: io vinsi !” (Del Monte 1993).

Tra le innumerevoli divinità guerriere che “camminano davanti al re” o che “intervengono nella

battaglia” o che proteggono l’esercito e i suoi mezzi o che portano distruzione e malattie endemiche

fra i nemici, figurano Tarhunta (“dio della tempesta”), la dea Sole di Arinna, Mezzulla, Tarhunta

di Hattusa, Inara di Hattusa, Tarhunta dell’esercito, Tarhunta e Ishtar/Shaushka

dell’accampamento, Zazaba e Jarri.

Di simile importanza nella prassi ittita è la rituale motivazione del casus belli alle divinità di Hatti,

attuata mediante l’invio di una giustificazione legale al nemico da parte del Gran Re, nella quale

sono elencate con precisione le mancanze del destinatario e si evidenzia il tentativo da parte del

mittente di aver intrapreso tutti gli accorgimenti necessari per scongiurare la guerra; così, ad

esempio, Mursili II giustifica il suo intervento militare ai danni del re Uhhaziti re di Arzawa:

“Poiché ti ho richiesto ripetutamente i miei sudditi che sono venuti da te e tu non me li hai restituiti,

anzi mi hai chiamato ragazzo e mi hai umiliato, ora avanti e Tarhunta, mio signore, pronunci il

giudizio fra noi !” (Del Monte 1993).

Eserciti a confronto

Agli inizi del suo regno, grazie alle riforme operate dai suoi predecessori, Ramesse II dispone di un

apparato militare efficiente e saldamente funzionante in tutta la sua articolazione. Prima della sua

intronizzazione il futuro faraone aveva infatti affiancato il padre Sethi I nelle questioni militari

dedicando molto tempo a studiare e a perfezionare l’organizzazione di un esercito che da lì a poco

avrebbe costituito il principale strumento delle sue future conquiste. Questo strumento bellico

modernissimo, in grado di affrontare qualsiasi sfida potesse profilarsi all’orizzonte, consisteva

prevalentemente in fanteria e contingenti imbarcati (arruolati mediante coscrizione) affiancati dai

carristi, dai contingenti stranieri e dal personale di sussistenza. Non si trattava di concetti

organizzativi nuovi dato che Ramesse e i suoi predecessori avevano soltanto apportato

miglioramenti sulla struttura di base dell’esercito della XVIII dinastia; il salto di qualità consisteva

però nell’“adattare” il sistema alle nuove esigenze legate ad un diverso modo di fare la guerra. Le

soventi proiezioni ittite ai danni dei domini egiziani in Siria, avevano acuito la necessità da parte del

faraone di “velocizzare” le sue campagne in Asia e di giungere ad un’immediata vittoria sul nemico.

Era necessario dunque un perfetto sincronismo fra l’arruolamento e la preparazione militare delle

truppe, fra la preparazione delle campagne e la qualità dei trasporti e il servizio di

approvvigionamento e di appoggio logistico. In questo modo il personale addetto alla logistica, i

combattenti e le guarnigioni in terra straniera facevano parte di un unico funzionante organismo. Il

primo elemento caratteristico di questa complessa “macchina” da guerra era la sua particolare

struttura gerarchica. L’esercito (mš‘) era diviso in due principali raggruppamenti: il gruppo delle

armate settentrionali stanziato in Basso Egitto e il gruppo delle armate meridionali stanziato fra

l’Alto Egitto e la Nubia. Ciascun gruppo era a sua volta distribuito in un numero variabile di

“divisioni” o “corpi d’armata” di 3500-5000 uomini distribuite in maniera più o meno equilibrata

nelle regioni di appartenenza. La dipendenza gerarchica e logistica di ogni unità ad una o più

piazzeforti presenti in ciascuna regione, permetteva un rapido concentramento delle forze per le

campagne militari del sovrano. Il faraone era dunque il “comandante in capo dell’esercito” e si

avvaleva di uno “stato maggiore” costituito da soldati di provata esperienza militare o da personaggi

fidati: gli “araldi” (whmw), i “portavoce in terra straniera” (wpwty) e gli “aiutanti” o “luogotenenti”

(idnw). A questi si andava solitamente ad aggiungere il “generalissimo” (mr mš‘ wr) grado riservato

in linea di massima al principe reggente o al visir cui il sovrano affidava incarichi secondari, quali la

repressione di ribellioni, la conduzione di campagne dimostrative e la gestione dell’amministrazione

militare. Ciascuna divisione o specialità dell’esercito era comandata dai “sovrintendenti o generali”:

quello dei “carristi” (mr htri), quello delle “reclute” (mr nfrw), quello della “guarnigione” (mr

y‘wyt), quello della “fortezza” (mr htm), quello della “guardia” (mr šmsw) e quello dei “contingenti

imbarcati” (mr hnyt). A questi si affiancavano i vertici del personale amministrativo e logistico

come “il responsabile delle scuderie” (hry ihw), lo “scriba della fanteria” (sš n p3 mnft), lo “scriba

delle reclute” (sš nfrw), lo “scriba dei carri” (sš htri), lo “scriba dei cavalli” (sš ssmt), il “giudice

delle truppe” (s3b n p3 mnft), “l’interprete” (3“w), “l’ufficiale d’intendenza” (3tw n mš‘) e

l’innovativa figura dell’ “ufficiale addetto ai trasporti” (mškbw). Ogni divisione era a sua volta

composta di “brigate o reggimenti” (pdt) formate da un numero variabile di specialisti e guidate da

un (hry pdt) “Comandante” affiancato da un “Capitano” (tsw pdt) responsabile del coordinamento e

della disposizione delle truppe. L’essenza tattica di ciascuna formazione prescindeva dalla

consistenza numerica e si affidava piuttosto alla specialità o alla provenienza dei propri componenti.

Si spazia infatti dalle brigate della “guardia” (pdt n šmsw), della “polizia militare” (pdt n sktw), delle

“truppe straniere” (pdt n nhsyw lit. “dei nubiani”), dei “contingenti imbarcati” (pdt n hnyt), degli

“arcieri” (pdt n pdt), dei “carri” (pdt n htri) a quelle provenienti, ad esempio, dal paese di “Kush”

(pdt n K3š) o dalla città di “Tjaru” (pdt n Tjarw). Ciascun reggimento risultava poi formato da

“compagnie” (s3) di 200-250 uomini comandate da un “portatore di stendardo” o “vessillifero” (t3y

sryt). La compagnia era a sua volta formata da “plotoni” (diyw) di 50 uomini, ogni plotone era sotto

il comando di un “capo dei 50” (‘3 [n] diyw) (1).

Come per il reggimento, il fattore organizzativo delle compagnie e dei plotoni era sia funzionale che

etnico. La base dell’organizzazione militare era costituita dai soldati “semplici” di ogni specialità: i

carristi (il “conduttore” ktn e il “porta-scudo” kr‘w), i “fanti” (w‘w), i “soldati di guarnigione”

(y‘wyt), i “contingenti navali” (hnyt), gli “scribi” (sš) e il personale di sussistenza vario e i

“contingenti stranieri” come, ad esempio, i “Nubiani” (Nhsyw) o gli “Shardana” (Šrdn) (2).

Il secondo elemento del sistema era costituito dall’armamento individuale. Ciascuna specialità

dell’esercito disponeva di armi idonee allo svolgimento dei propri compiti. La fanteria pesante per il

combattimento corpo a corpo si avvaleva dell’ascia (composta da una lama tagliente nel bordo

esterno incassata in un manico di legno), del khepesh (falcetto allungato sprovvisto di punta

utilizzato come arma da taglio), del bastone (costituito da un fusto in legno e un’impugnatura in

metallo), della lancia (costituita da un’asta in legno con punta metallica bifilare di forma

triangolare o foliacea) e dello scudo (tavola di legno di forma rettangolare con la parte superiore

arrotondata e ricoperta da uno strato di cuoio in grado di proteggere il fante dalle spalle alle

ginocchia). La fanteria leggera per contrastare l’avanzata dei fanti o dei carri avversari utilizzava

spesso il giavellotto (costituito da un’asta in legno molto più leggero della lancia e con punta

metallica bifilare di forma triangolare allungata), il bastone, il pugnale (o piccola daga composta da

una lama a frange parallele di forma triangolare allungata che si andava ad innestare in un manico di

legno) e l’arco (“semplice” ricavato da un unico fusto di legno o “composito” a profilo angolare

formato da un’anima in legno rivestito da uno strato in corno o osso sul davanti e da uno strato di

tendine animale sul dorso; le frecce di canna o di legno leggero, spesso alettate e a punta piatta o

ingrossata, erano custodite in faretre di diverse fogge in cuoio o tessuto riccamente decorato). I

carristi per l’attacco si avvalevano di archi e giavellotti, mentre per proteggersi utilizzavano gli scudi

e più raramente le corazze (costituite da una tunica in tela sulla quale erano applicate scaglie di

metallo o di cuoio usate anche per proteggere i cavalli) e gli elmi (calotte metalliche con probabile

riempimento in cuoio e tela). Ai contingenti “etnici” come i Nubiani o i Libici spesso inquadrati

nella fanteria leggera e nella “polizia”, era riservato l’uso del loro tipico armamento come il

giavellotto, il pugnale e l’arco semplice. L’utilizzo della spada (composta da una lama a frange

parallele di forma triangolare allungata provvista di manico sul quale erano applicate delle placche

in legno o osso) e di un particolare tipo di scudo tondo (in legno e strato esterno in cuoio e borchie

metalliche) erano una prerogativa degli Shardana, valenti spadaccini e guardie del corpo del faraone

e del suo stato maggiore.

Un terzo ed ultimo elemento del sistema era costituito dalle fortezze. L’arte della fortificazione in

Egitto aveva una tradizione millenaria ma dovette anch’essa piegarsi alle esigenze belliche del

tempo. Una guerra “a lunga distanza” com’era quella in Siria necessitava di basi logistiche e di un

efficace controllo delle vie di comunicazione. Tutto questo fu realizzato disponendo di fortezze e di

residenze governative nelle principali capitali di provincia asiatiche. Le fortezze erano di pianta

quadrata non superiori ai 50 x 50 metri, costruite in mattone crudo e pietra (quest’ultima utilizzata

per le fondazioni), a più livelli, dotate di strutture interne atte all’acquartieramento permanente della

guarnigione e di strutture esterne di difesa, come i bastioni e le torri angolari. Le fortezze erano

solitamente posizionate in punti di notevole importanza strategica come i nodi viari o le alture a

ridosso di vallate o gli approdi sulla costa e nei fiumi, mentre le residenze governative erano

strutture abitative per l’acquartieramento della guarnigione e del “governatore” nelle principali città

e capitali di regno. Ove non vi fosse una residenza governativa, il fortilizio assolveva anche alla

funzione di sede amministrativa per la riscossione e la temporanea custodia delle tassazioni della

regione e quella di piazzaforte e punto difensivo della città e del territorio circostante. Sotto il

profilo militare una simile organizzazione, mirava essenzialmente a garantire alle truppe del faraone

in marcia verso la Siria l’approvvigionamento e il collegamento logistico fra queste e l’Egitto;

inoltre, in caso di un’invasione di ampie proporzioni, le fortezze costituivano un temporaneo

ostacolo per il nemico in attesa dei necessari rinforzi. Di diversa concezione appaiono invece, le

fortezze costruite da Ramesse nel Delta occidentale (da Rakotis a Marsa Matruh) al fine di

proteggere le coste egiziane dagli assalti dei Libici e delle popolazioni dedite alla pirateria come gli

Shardana. È qui che la tradizione egiziana fa sentire tutto il suo peso in termini architettonici e

progettuali. Le fortezze hanno dimensioni nettamente superiori a quelle asiatiche e sfruttano tutti

quegli accorgimenti difensivi che avevano caratterizzato le imponenti fabbriche del Medio Regno in

Nubia: circuiti murari merlati a sezione trapezoidale, provvisti di fossati esterni, bastioni e torri

d’ingresso a pianta rettangolare a più livelli con uno sviluppo interno per un più agevole tiro

incrociato da parte dei difensori. L’esercito, l’armamento, la logistica e le fortificazioni erano

dunque gli elementi che garantivano l’efficacia del sistema mediante il quale Ramesse intendeva

attuare i suoi piani di conquista.

A differenza degli Egiziani, sull’organizzazione militare ittita possediamo solo scarne informazioni,

perlopiù indirette, desumibili sia da fonti iconografiche, sia da fonti testuali come, ad esempio, la

corrispondenza tra la cancelleria reale di Hattusa e alcuni posti di frontiera sedi di guarnigioni, gli

sporadici riferimenti alle campagne in annali ed iscrizioni storiche dei sovrani e i rituali magici per

l’esercito. Si può dunque ipotizzare che in un vasto impero come quello ittita avente una matrice a

“corporazione familiare”, i vertici della gerarchia militare fossero essenzialmente ricoperti da

membri della famiglia reale (salli hassatar) e da personaggi legati più o meno direttamente ad essa.

Il sovrano (hassu) era il comandante in capo mentre al principe ereditario (tuhkanti) era destinato

sia il comando delle truppe sia la gestione di regni vassalli legati alla casa reale come, ad esempio,

Karkemish, Aleppo e Hakpish; la terza posizione di comando era riservata al GAL MEŠEDI,

riservato di norma al fratello o al secondogenito del re, al quale era destinato il comando della

guardia reale o di intere formazioni sul campo di battaglia, mentre immediatamente al di sotto

appare il “Capo Coppiere” (GAL SAGI) o “Capo degli addetti al vino” (GAL GEŠTIN)

responsabile anch’esso della conduzione di formazioni di truppe.

Il quinto rango della gerarchia era costituito da due “Capi dei combattenti su carro” (GAL LÚ.MEŠ

ÙŠ), ciascuno con una specificazione del lato (“di destra” e “di sinistra”), e da due “Capi delle

truppe UKU.UŠ” (truppe d’élite), anch’essi con la specifica del lato (“di destra” e “di sinistra”), ma

legati prettamente alla fanteria. Il rango immediatamente inferiore era riservato ai governatori

provinciali sotto il cui comando erano i “sovrintendenti degli uomini dei clan” (UGULA LĪM ŞĒRI),

gli “uomini importanti” (LÚ.MEŠ

DUGUD) di vario grado, gli “uomini valenti” o “Capi dei 10”

(LÚ.MEŠ

SIG5) e i soldati semplici.

Le principali specialità dell’esercito ittita erano la fanteria o “soldati a piedi” (ERÍN.MEŠ GÌR) e i

carristi, arma d’élite dell’intera organizzazione militare; meno attestata è la marina da guerra come

pure altre specialità dell’esercito come gli arcieri e lancieri (i primi associati ai carristi e i secondi ai

fanti); sul carro ittita (GIŠ

GIGIR) prendevano posto il conducente (KARTAPPU) e uno o due

guerrieri (LÚ

ŠUŠ). Quanto all’armamento, gli ittiti risentono delle influenze siriane e indoiraniche

sulla foggia e tipologia degli strumenti di guerra: il guerriero su carro si avvale principalmente

dell’arco (forse di tipo “composito” e indicato nei testi ittiti dal sumerogramma GIŠ

BAN), di una

corta spada e più sporadicamente della lancia. Quest’ultima arma (indicata nei testi ittiti dal

sumerogramma GIŠ

ŠUKUR e in ittita GIŠ

turi- e GIŠ

mari composta di un fusto di legno e di una punta

a forma di foglia o traingolare con codolo per innesto nel fusto) è invero uno degli strumenti più

utilizzati dai fanti al pari dell’ascia (summittant-), della spada corta e semilunata (khepesh) e

dell’arco. I carristi e i fanti indossano un’“armatura” composta di lunga tunica di pelle ricoperta da

scaglie di metallo (sariam) e di un “coprispalla” di simile fattura detto gurzip (in accadico gurpisu);

la combinazione sariam-gurzip è attestata anche per gli equidi. Altri essenziali mezzi di protezione

per il combattente ittita sono l’elmo (che consiste in una calotta emisferica o a forma conoidale, con

falde alle orecchie e lungo pennacchio in cima) e lo scudo (indicata nei testi ittiti dal sumerogramma KUŠ

ARITUM) di forma rettangolare con i bordi superiore ed inferiore convessi e quelli laterali

concavi, consistente in una sagoma composita di legno ricoperta di pelle.

1

Anche nell’arte della fortificazione gli Ittiti sono all’avanguardia; quasi tutte le città ittite risultano

dotate poderosi terrapieni artificiali e imponenti mura di pietra a “casamatta” (due muri paralleli

collegati ad intervalli da attraversamenti di pietra e gli spazi tra essi riempiti di detriti) con facciata

esterna realizzata con tecnica costruttiva “ciclopica” e quella interna fatta con blocchi regolari meno

imponenti, sulle quali si innalzava un’altra cortina di mattoni crudi sormontato da un

camminamento di ronda e merlatura per il riparo degli arcieri.

Lungo il circuito murario erano presenti, ad intervalli regolari, delle poderose torri di pianta

quadrangolare (dotate di più piani di calpestio, con accessi a più livelli e con tetto merlato e

grondaie), che sovrastavano il camminamento di ronda; gli accessi alla città erano protetti da due

torri la cui ampiezza permetteva di realizzare due ingressi, uno più esterno e uno più interno fra i

quali era presente un ampio vano coperto sorvegliato che fungeva da “anticamera di sicurezza” per

il controllo del flusso di ingresso e uscita degli abitanti e, al contempo, costringeva eventuali

attaccanti a muoversi in uno spazio ristretto e più facilmente controllabile.

2

3

Altro singolare elemento delle fortificazioni ittite è la presenza di “postierle” (lustani); si tratta di

passaggi di forma arcuata, accuratamente livellati e pavimentati, posizionati al di sotto delle

fortificazioni, mediante i quali i difensori potevano sbucare alle spalle degli assedianti. Oltre alle

città gli Ittiti erano soliti istallare le proprie guarnigioni nei territori dominati in “fortezze” o in

“piccoli centri fortificati” dalle quali dipendevano un numero variabile di “torri di guardia” (auri)

posizionate nei punti di maggior transito delle carovaniere e delle aree di interesse strategico.

NOTE AL CAPITOLO SECONDO

1 - Nella XX dinastia è attestata la presenza di “gruppi” di 10 uomini, comandati rispettivamente e da un “capo dei 10”

(‘3 n md) e questo fa pensare ad un’ulteriore suddivisione tattica dei manipoli: Cavillier 2001; Cavillier 2002 con

bibliografia.

2 - Gli Shardana, attestati nel Levante già in epoca amarniana, furono sconfitti da Ramesse nel suo secondo anno di

regno nel Delta occidentale. Il faraone forse intuendo la loro abilità nel combattimento a corpo a corpo e negli attacchi a

sganciamento rapido li arruolò nella sua “guardia”: Cavillier 2005 con bibliografia.

CAPITOLO TERZO: I presupposti della Battaglia

La situazione siriana e la strategia ramesside

Per comprendere appieno il significato della contesa egizio-ittita e del casus belli culminato nella

battaglia di Qadesh occorre considerare in una prospettiva più ampia la situazione politica in Siria

agli esordi del regno di Ramesse II; dopo le ripetute vittorie di Suppiluliuma I Siria, contestuali alla

crisi dinastica egizia alla fine della XVIII dinastia, l’impero ittita si estendeva dall’Anatolia fino alla

Siria centrale, mentre all’Egitto restava il possesso della Palestina e di alcuni regni della Fenicia.

Compito primario di Horemheb e dei suoi due successori Ramesse I e Sethi I fu quello di riportare

la sovranità egizia sulla Siria attraverso una serie di spedizioni mirate essenzialmente a

destabilizzare la supremazia ittita; il risultato più immediato di questa strategia fu quello di

ristabilire il confine egiziano fra Battruna e Ullaza sulla costa e fra Khazi e Labana verso l’interno.

È in tale frangente strategico che si innesta l’intento di Ramesse II di riconquistare tutti i domini

siriani passati agli Ittiti durante l’età amarniana. Punto essenziale del modus operandi del faraone è

la creazione di un “corridoio” strategico volto a garantirgli l’accesso alla Siria settentrionale e ai

potenti regni rivieraschi del Mediterraneo e ciò poteva avvenire solo attraverso la duplice

sottomissione dei due regni di Qadesh all’interno e di Amurru sulla costa. Per fare questo il faraone

doveva operare in due contesti e con diversi espedienti: nei confronti di Amurru, regno levantino

alle dipendenze ittite ma solitamente avvezzo ai voltafaccia nei confronti dei dominatori, era

necessaria una mera ostentazione di forza con successivo avvio delle procedure diplomatiche,

mentre nei confronti di Qadesh, uno dei più importanti regni della Siria centrale e roccaforte ittita,

occorreva una dimostrazione di forza ben più decisiva; la conquista di Qadesh avrebbe costituito il

punto più avanzato per le successive proiezioni del faraone in Siria settentrionale, e nell’immediato

rappresentava l’ideale teatro per qualsiasi scontro campale di vaste proporzioni.

La scelta operata dal faraone si basa sulla giusta considerazione che ogni altro tentativo ai danni di

altri regni siriani ubicati più a nord della linea Irqata-Qadesh sarebbe risultato vano per due motivi.

Il primo è che Muwatalli poteva in qualsiasi momento aggirare l’“invasore” sfruttando i vantaggi

della conoscenza del terreno e di una piena libertà di concentramento delle sue forze grazie anche

all’appoggio dei regni vassalli di Ugarit, Tunip, Niya, Nuhhashe, Qatna, Ashtata ed Emar con

Aleppo, Alalakh e Karkemish quali capisaldi in posizione più arretrata (1).

Il secondo motivo, ben più importante, è che prima o poi, l’offensiva egiziana si sarebbe trovata ad

affrontare la superiorità militare della “difesa” ittita, basata sull’azione combinata di forze mobili e

di quelle asserragliate nelle città fortificate e Ramesse non disponeva di solide basi di

approvvigionamento in territorio nemico né di un approdo di vitale importanza come Ugarit per

l’afflusso di mezzi e rinforzi. L’unico vantaggio che dunque si profilò agli occhi del faraone in

occasione della sua avanzata in Siria era la possibilità di destabilizzare il sistema di alleanze

esistente fra il gran re di Hatti e i suoi vassalli più lontani. Ramesse sapeva bene che non poteva

controllare stabilmente la Siria, esposta com’era all’infedeltà politica e alle continue proiezioni

offensive ittite, e che solo una schiacciante e definitiva vittoria su Muwatalli avrebbe garantito

all’Egitto, almeno per qualche tempo, la stabilità del sistema di sfruttamento diretto dei territori

conquistati. La geniale strategia dell’avo Tuthmosi III manifestava tutta la sua efficacia ed

attuabilità.

Per affrontare il temibile rivale il faraone doveva quindi puntare su Qadesh; da qui aveva facile

accesso verso nord e con l’apporto dei porti levantini per l’approvvigionamento delle sue truppe, la

prima fase della riconquista dell’Asia aveva buone probabilità di successo. Sul piano pratico –

occorre prenderne atto – c’erano sostanzialmente tre problemi. Il primo era quello di ottenere il

pieno e totale controllo della Fenicia, del territorio compreso fra il Libano e l’Antilibano (che fa

capo a Kumidi ancora caposaldo egiziano), e della fascia di territorio di Amurru compresa fra

Simyra e Ullaza. Il secondo problema era quello di sferrare un’offensiva con un esercito forte di

circa ventimila uomini (2) in un territorio ostile e di difficile percorribilità per l’alternarsi di alture

ripide, di gole e valli piuttosto strette; infatti, per giungere a Qadesh il faraone aveva teoricamente

tre possibilità: raggiungere la piana di Megiddo a nord di Djefti, per poi successivamente toccare

Acco e, attraverso la Via Costiera, arrivare a Tiro. Da qui giungere nella valle compresa tra il

Libano e l’Antilibano, costeggiare il Litani, toccare Kumidi e costeggiare l’Oronte per poi puntare

su Qadesh. La seconda soluzione consisteva nel proseguire a nord di Tiro sulla costa, toccare

Sidone e Biblo e superata Irqata, raggiugere la gola dell’Eleutheros ove un sentiero permetteva di

accedere direttamente alla piana di Qadesh. La terza soluzione consisteva nel superare Megiddo,

raggiugere Beth Shan e puntare a nord costeggiando il fiume Giordano per giungere ad Hazor; da

qui si proseguiva a nord toccando il fiume Litani e il ramo meridionale dell’Oronte e poi puntare

sulla piana di Qadesh (3).

Un terzo problema era prettamente tattico: sconfiggere Muwatalli effettuando una manovra

avvolgente (4); il faraone alla testa delle sue quattro divisioni (la “Amon”, la “Ra”, la “Ptah” e la

“Seth”) si sarebbe diretto su Qadesh sfruttando la via interna, mentre un corpo di spedizione

composto da uomini “scelti”(5) avrebbe percorso la via costiera col duplice compito di proteggere

il fianco sinistro del faraone e di convergere sulla città siriana attraverso la gola dell’Eleutheros per

chiudere la trappola strategica. Emerge così una preziosa conferma dell’importanza della campagna

siriana condotta da Ramesse nel suo IV anno di regno e cioè un anno prima dell’epico scontro. Il

modo migliore per cogliere il quadro strategico entro il quale si colloca il disegno del faraone è di

collegare il suo operato in questa campagna all’efficacia ed acutezza dei suoi successivi piani di

battaglia. La valentia strategica della campagna dell’anno IV è pienamente dimostrata dall’idea del

faraone di percorrere la via costiera con l’intento di assicurarsi l’appoggio e la fedeltà dei porti della

Fenicia meridionale e di assediare Irqata per indurre Benteshina re di Amurru ad abbracciare la

causa egiziana. Con la presa di Irqata e l’appoggio di Benteshina, Ramesse raggiunse il suo triplice

scopo: disporre di sicure basi di approvvigionamento sulla costa, garantirsi l’accesso a Qadesh dalla

gola dell’Euletheros per l’efficacia della sua manovra e attirare su di sé l’attenzione di Muwatalli.

Il teatro delle operazioni

Agli esordi della contesa egizio-ittita, Qadesh è uno dei più importanti regni siriani della Tarda Età

del Bronzo; il suo territorio, oltre a comprendere la capitale omonima, sede della regalità e

principale centro religioso del regno, era piuttosto esteso confinando ad ovest con il regno costiero

di Amurru, a nord con Qatna, a sud e sud-est con i territori dei regni di Biblo, di Kumidi e di

Damasco saldamente controllati dall’Egitto.

L’importanza di Qadesh risiede innanzitutto nella sua posizione strategica in grado di fungere da

centrale crocevia delle carovaniere provenienti dalla Siria e Anatolia a nord, dall’Egitto e Canaan a

sud, da Babilonia e Golfo Persico ad est (via Damasco) e dalla costa della Fenicia ad ovest

attraverso la Gola dell’Euletheros. Altra peculiarità del territorio di Qadesh è la sua ricchezza

dovuta alla particolare conformazione morfologica scandita da ampie vallate verdeggianti, alture

non elevate e presenza di ricchi corsi d’acqua, fra i quali, spicca per importanza il fiume Oronte

(Nahr al Assi). La capitale del regno, Qadesh, è da tempo identificata nel sito di Tell Nebi Mind

ubicato a circa 6 km dalle sponde del Nahl al Assi e posizionato al centro di un’ampia vallata; dalle

fonti disponibili sul sito, fra le quali annoveriamo quelle afferenti alla battaglia e le uniche che

raffigurano la città, sappiamo che Qadesh era un imponente insediamento, circondato da un

profondo canale e dotato, secondo la consuetudine siriana, di una poderosa cinta muraria dotata di

bastioni rettangolari (a doppio vano interno e merlatura) nei punti più deboli e di pilastri aggettanti

ad intervalli regolari per tutta la sua estensione.

Questi accorgimenti, secondo la prassi del tempo, miravano a determinare la completa disfatta

dell’attaccante; gli ampi camminamenti e i bastioni aggettanti lungo la cinta potevano infatti

sviluppare una notevole potenza di tiro dei dardi, pesi o liquidi bollenti sugli assedianti. I due

3

requisiti principali ai quali sembrano soggiacere le fortificazioni siriane sono l’altezza, che mette in

posizione ideale i difensori, e lo spessore delle murature che offre la stabilità necessaria per

difendere i punti deboli dell’intero complesso: la base, gli angoli e gli accessi. A questi si aggiunga i

vantaggi garantiti dalle porte della città inglobate in vere e proprie fortezze, dotate di più livelli di

calpestio e con sviluppo lineare interno, capaci di moltiplicare la potenza di tiro dei difensori da più

punti ed altezze.

Di certo, la situazione attuale del sito appare ben diversa da quella descritta dalle fonti della

battaglia, oggi infatti la piana è un tavolato agricolo sul quale emergono tenui tracce delle vestigia

della città e degli insediamenti di epoca successiva che nel corso dei secoli hanno sofferto di

gravissimi danni; tuttavia, i dati archeologici raccolti in situ sembrano confermare, seppur con

qualche approssimazione, la conformazione descritta dalle fonti egizie. Dalle indagini effettuate sul

terreno, per il periodo di nostro interesse, sono emerse diverse tracce di un’antica canalizzazione

atta a circondare il sito (di 800 x 300 m) e consistenti resti del circuito murario e delle strutture

abitative interne, le cui caratteristiche planimetriche e strutturali riflettono i tradizionali elementi

della cultura siriana.

La posizione e la valenza strategica del sito, unita alla ricchezza del territorio circostante per

l’approvvigionamento degli eserciti, ne faceva dunque l’ideale teatro delle operazioni in Siria

centrale e la sede più idonea per uno scontro decisivo fra i due contendenti.

NOTE AL CAPITOLO TERZO

1- Dopo le conquiste di Suppiluliuma I nel XIV sec.a.C., l’impero ittita controllava stabilmente Ugarit, Aleppo,

Nuhhashe, Niya, Qatna, Mukish, Amurru, Alalakh e forse anche Emar di Ashtata (quest’ultima dipendente da

Karkemish). Karkemish e Aleppo erano i punti-chiave del dominio ittita in Siria. Agli esordi del regno di Ramesse II, la

situazione non sembrava affatto mutata: Karkemish già sede del “viceré” ittita era divenuto il regno più potente in Siria

mentre Qadesh e Amurru non persero la loro secolare funzione di “stati cuscinetto” nella contesa fra Egiziani ed Ittiti.

2 - È communis opinio fra gli studiosi che ogni divisione egiziana fosse composta dai 4000 ai 5000 uomini: RITANC II,

39-42 con bibliografia; Cavillier 2001, 64-66 con bibliografia.

3 - Sulla viabilità in Siria-Palestina in età ramesside: Cavillier 2001,109; Cavillier 2003 con bibliografia.

4 - Si tratta di una variante raffinata della manovra “convergente”. Infatti, mentre quest’ultima prevede l’uso di unità di

combattimento “autonome” che convergono sull’avversario, quella avvolgente è realizzata da un distaccamento o corpo a

ranghi completi indipendente sotto il profilo tattico dal nucleo principale ma dipendente “logisticamente” da questo. In

questo modo, il corpo “avvolgente”, più esiguo e sgravato dal peso delle salmerie, poteva entrare in azione al momento

“giusto” in quanto, a parità di tempo, poteva coprire distanze maggiori rispetto al nucleo principale; l’unica limitazione

imposta alla manovra è che, al termine della manovra, il corpo avvolgente doveva necessariamente ricongiungersi al

nucleo principale. La manovra avvolgente realizzata da Ramesse a Qadesh trae certamente origine dalle esperienze di

Sethi I nella valle settentrionale del Giordano e nella piana di Esdraelon nel suo primo anno di regno: Curto 1981, 621;

Kitchen 1993, 36-38; Cavillier 2001, 94-95; Cavillier 2002.

5 - Nel poema questi soldati sono indicati come waw tpy m Hawty nb n mSa.f “l’avanguardia del suo esercito (del

faraone)” (lit. i soldati di prima linea di tutto il suo esercito: RITA, II, 4, 23, 1 e KRI, II, 23 § 63). Che si tratti di un

corpo a ranghi completi è ampiamente dimostrato nelle scene della battaglia (KRI, II 126, L1, L2 e L3; 127, R1, R2, 128

A e I) nelle quali è visibile una formazione di fanteria pesante e di carri in pieno assetto di combattimento intenta ad

avanzare – probabilmente a marce forzate - verso l’accampamento del faraone. Si tratta di veterani o di soldati

particolarmente esperti in queste manovre, capaci di entrare tempestivamente in azione indipendentemente dal nucleo

principale. Sull’organizzazione tattica dell’esercito e la disposizione di marcia: Cavillier 2001, 67-70 con bibliografia;

Cavillier 2002.

CAPITOLO QUARTO: La battaglia

La battaglia che Ramesse II combatte a Qadesh è un episodio epocale, la cui portata equivale a

quella di uno scontro cruciale per le sorti dei due principali antagonisti del tempo ma soprattutto è

l’incontro di due modi differenti di concepire e combattere la guerra. Malgrado il significato

ideologico e propagandistico attribuitogli dalla tradizione storiografica moderna, l’evento ha due

anime: una strategica, l’altra tattica. Di ambedue si sono date interpretazioni discordanti, tanto che è

difficile trovare in tutta la storia egizia un evento bellico che registri un paragonabile accumulo di

erudizione e bibliografia. Con gli attuali strumenti d’indagine, un giudizio complessivo - direi più

un’impressione - può essere senz’altro proposto senza scatenar controversie fra gli studiosi. Nelle

valutazioni moderne della battaglia c’è anzitutto una falsa prospettiva che si riassume nel tentativo

di voler dipingere l’evento pari ad una sorta di “giostra” fra due antagonisti ciascuno in grado di far

pesare la propria superiorità numerica o l’efficacia dei propri mezzi. Si sa che l’egiziano usa il carro

quale piattaforma per lancio dei dardi e quale mezzo per rompere la compattezza delle schiere

avversarie e che l’ittita usa il carro quale piattaforma per l’uso della lancia pesante oltre che per il

lancio dei dardi. Entrambe le forme di combattimento necessitano dei carri e di un folto numero di

fanti in grado di avanzare sul terreno e completare l’opera dei carristi assicurando così la vittoria

finale. In questa prospettiva, tuttora radicata tra gli studiosi, Ramesse e Muwatalli spostano a loro

piacimento truppe e mezzi in uno scacchiere di guerra dagli orizzonti vistosamente “allargati” e

difficilmente definibili. Vista così, la guerra ha una forte connotazione “paradigmatica” dettata da

regole, riti e codici tipici dell’etica del tempo che induce spesso a vistose dilatazioni o a brusche

restrizioni allorquando si deve fare i conti con altri fattori indispensabili ad una corretta rilettura

della vicenda. Mobilità degli eserciti sul campo e nei percorsi, approvvigionamento e costi del

mantenimento delle truppe e caratteristiche del teatro delle operazioni rappresentano il trinomio

indispensabile per qualsiasi serio tentativo di analisi sulla battaglia. Oggi siamo quindi portati a

ripensare in termini diversi la fenomenologia degli eventi, grazie al fruttuoso apporto di una più

ricca e ariosa documentazione e ad un atteggiamento forse più critico in grado di valutare nella

giusta luce il nesso fra le caratteristiche dell’evento e i suoi protagonisti.

Il percorso

Tutto comincia a Tjarw la più importante piazzaforte del Delta orientale. Nella primavera del 1275

a.C.(1), Ramesse alla testa del suo esercito percorse i 250 km che lo separavano dalla sua prima

tappa: Gaza capitale della provincia egiziana di Canaan. Da qui il sovrano puntò più a nord verso la

valle di Jezreel ricevendo lungo il suo cammino il tributo dei principi e capi tribù locali. Nonostante

il silenzio delle fonti egiziane è ragionevole pensare che il faraone avesse puntato a nord lungo la

costa passando per Ashkelon e Ashdod. Dopo aver superato Jaffa e Aphek, nel tratto compreso tra

la piana di Sharon e le colline di Samaria, Ramesse avrebbe potuto sfruttare il sentiero che si

inoltrava nella valle di Irron e da li raggiungere Taanach (Tel Ta‘anakh) e la valle di Jezreel. Da qui

Ramesse poté proseguire verso nord costeggiando agilmente la riva occidentale del mare di

Kinnereth (Lago di Galilea), quella del fiume Giordano toccando Hazor, Tel Dan poi Tell Dibbon

(Iyyon) e sbucare nella valle di Hasbani (nei pressi dell’attuale Al Khiyam)(2). Altri percorsi erano

ovviamente disponibili ma difficilmente sfruttabili a causa della ridotta mobilità di grosso esercito

com’era quello egiziano. A questo punto l’accesso al fiume Litani e alla valle della Beqaa era

chiaramente assicurato. Il faraone giunse a Kumidi (Kamid el-Loz) capitale della provincia egiziana

di Upi per poi proseguire verso Qadesh. L’arrivo del faraone al guado di Hermel (Qamuat el-

Hermel) a circa 15 miglia da Qadesh nell’ottavo giorno della terza stagione di Shomu chiuse il

faticoso percorso. Ramesse alla testa del suo esercito aveva percorso circa 682 km in un mese e ora

poteva accamparsi nei pressi dell’Oronte e dare il via alla successiva fase della campagna.

Il preludio

All’alba del giorno 9, il faraone alla testa della divisione Amon riprese il suo cammino per guadare

l’Oronte (3). Immediatamente dietro avanzavano in ordine: la divisione Ra (a distanza di un iter (4)

dalla Amon), poi la Ptah che probabilmente in quel momento aveva raggiunto i dintorni di Qamuat

el-Hermel e infine la Seth. Secondo le vere intenzioni di Ramesse le sue forze avrebbero dovuto

convergere e congiungersi tutte nella piana Qadesh nel giro di due giorni in attesa dell’impatto con il

nemico. Stando invece al racconto ramesside, il faraone era ignaro della posizione del nemico ed

avanzava nella speranza di intercettarlo. A questo punto, per accentuare la drammaticità della

situazione e l’eroismo del faraone, la propaganda ramesside dimostrò così tutta la sua raffinatezza:

appena giunto nella piana di Qadesh a sud di Shabtuna (Tell Ma‘ayān) a Ramesse si presentarono

due nomadi Shasu, alleati degli Ittiti, che dichiararono di voler passare dalla parte egiziana. I due

Shasu, in realtą spie hittite, riferirono che Muwatalli si trovava in quel momento ad Aleppo (a circa

190 km da Qadesh). Il faraone ignorava che il gran re di Hatti aveva in realtà già preso posizione ai

margini della piana di Qadesh. Quel che è importante dimostrare da parte egiziana è che la condotta

di Muwatalli nel preludio allo scontro fu sleale e contraria alle regole della guerra, in quanto non

solo l’ittita non inviò alcuna sfida ufficiale al faraone precisando il luogo dello scontro ma inviò i

due Shasu con l’intento di ingannarlo (5). Non sappiamo quanto risponda a realtà, ma vista da

diversa angolazione, quella essenzialmente strategica, l’idea di uno scontro fortuito fra i due

contendenti non appare sostenibile vista l’accurata preparazione da entrambe le parti. È evidente che

ciascuno dei due belligeranti presumeva di conoscere l’esatta posizione dell’altro e non è un caso

credo che, al di là delle false informazioni fornite dalle spie hittite, il faraone abbia proseguito la sua

marcia nella piana e si sia accampato a nord-ovest di Qadesh. La scelta di Ramesse di posizionare il

suo campo in un’area delimitata ad est dal Nahr es-Sih, ad ovest dal tratto settentrionale dell’Oronte

e a sud da un ampio corridoio pianeggiante compreso fra lo stesso Nahr es-Sih e il Nahr Iskarği (al-

Mukadiyah) suggerisce questo stato di cose (6). Gli egiziani erano quindi intenzionati a restare a

Qadesh per dar battaglia agli Ittiti e non come abilmente dipinto dalla propaganda ramesside a

proseguire successivamente la loro marcia alla ricerca del nemico. Nel frattempo, Muwatalli si era

accampato già da qualche tempo a Qadesh l’antica (Sefinet Nuh) ubicata a circa 3 km del nuovo

insediamento. L’antica città dell’Antico e Medio Bronzo rappresentava per l’ittita un’ideale base di

operazioni (7).

Al termine della giornata la situazione sul campo è la seguente: Ramesse e la divisione Amon intenti

ad accamparsi, gli Ittiti a Sefinet Nuh, la divisione Ra in procinto di guadare l’Oronte, la Ptah ad

Hermel e la Seth a seguire. L’obbiettivo fondamentale di tutta questa ben ponderata attività da parte

egiziana, soprattutto nei tempi e nei ritmi delle marce delle divisioni, era quello di radunare il

maggior numero possibile di uomini sul campo di battaglia e di realizzare l’accerchiamento del

nemico. Secondo i piani di Ramesse, il movimento aggirante che stava per essere eseguito a Qadesh

poteva condurre alla completa distruzione degli Ittiti nel momento in cui la formazione

“avvolgente” (il corpo proveniente dalla costa) avesse preso posizione dietro la retroguardia nemica

per tagliare la sua via di ritirata proprio durante lo svolgimento della battaglia. In altre parole,

disponendo di corpi d’armata mobili ed autonomi e conoscendo con sufficiente anticipo il luogo e il

momento dell’azione, aveva poca importanza per il faraone in quale punto della zona di operazioni

gli Ittiti fossero stati scoperti. In breve tempo il punto di intercettazione del nemico sarebbe

divenuto il punto di massima concentrazione di tutte le forze egiziane. Questa precisione

assiomatica non era ovviamente sempre possibile e il decentramento prima dell’azione era

altrettanto importante quanto il concentramento durante l’azione.

È innegabile che il piano operativo di Ramesse sulla carta faceva impressione, ma all’atto pratico

presentava diversi punti deboli. In primo luogo le divisioni dovevano avanzare a distanze tali tra

loro (uno o due iter) che era impossibile potessero prestarsi aiuto vicendevole in caso di pericolo;

secondariamente il piano presupponeva che i generali si muovessero di concerto; in pratica, invece,

questi non furono capaci di dare il loro apporto al momento giusto. La difficoltà per il faraone di

coordinare i movimenti del suo esercito divenne sempre più evidente col passar del tempo e richiese

tutto il suo genio militare e la sua capacità per superare la grave situazione che ne derivò.

Muwatalli, dal canto suo, con estrema abilità non rimase inerte dinnanzi alle mosse dell’avversario.

La strategia del sovrano ittita era perfettamente adattata alle informazioni in suo possesso sulla forza

e sulle debolezze del nemico e non si può negare che le sue misure di segretezza nelle operazioni di

ricognizione furono così efficaci, che gli egiziani non ebbero davvero idea di quello che stava per

accadere. Al termine della giornata del 9 mentre la divisione Amon completava le operazioni di

acquartieramento a nord-ovest di Qadesh, Muwatalli conosceva perfettamente la posizione del

rivale.

Resosi conto del pericolo che incombeva qualora le forze egiziane si fossero riunite nella piana e

considerando la situazione nel suo insieme, al re ittita non rimaneva che attaccare immediatamente il

faraone; per avere successo la sua manovra doveva tener anche conto dell’imminente avanzata della

divisione Ra nella piana verso il campo egiziano. Dopo la distruzione della Ra, l’irruzione nel

campo egiziano rappresentava l’ideale coup de grâce da infliggere all’ignaro invasore. Muwatalli

preparò le sue forze all’azione dell’indomani (8). Nella mattinata del giorno 10, la divisione Ra

dopo aver guadato l’Oronte, si apprestava a coprire i 15 km che la separavano dal faraone. Appena

la colonna egizia avesse raggiunto il centro della piana, e cioè in una posizione ideale al

dispiegamento dei carri, Muwatalli avrebbe sferrato il suo micidiale attacco.

Lo scontro

1) – La prima fase

Nella gradualità di situazioni evidenziate nel capitolo precedente, ben si inserisce la cattura da parte

egiziana di due esploratori ittiti che rivelarono al faraone il reale stato delle cose. Il consiglio di

guerra fu riunito in tutta fretta e si diede ordine al visir di sollecitare l’avanzata della divisione Ptah

(9). Bisognerebbe chiedersi quale fosse in realtà la preoccupazione di Ramesse visto che in quel

preciso momento non vi erano ancora chiari segni che potessero prefigurare l’imminente attacco

ittita. È chiaro che con le forze in suo possesso, Ramesse giustamente confidava di non potersi

misurare in campo aperto col rivale. Il faraone pensò che l’azione più probabile di Muwatalli

sarebbe stata quella di disporsi lungo la riva est dell’Oronte per poi schierarsi successivamente nella

piana per la battaglia. A Ramesse sarebbe bastato attendere l’arrivo della divisione Ptah per

sostenere le prime fasi dello scontro; le forze provenienti dalla costa e la divisione Seth avrebbero

completato il resto. In questo però si sbagliava. I carri ittiti avevano coperto in breve tempo i 4 km

che li separavano dal guado dell’Oronte; dopo aver attraversato il fiume ed essersi schierati per la

carica si lanciarono sulla divisione Ra. Non si può fare a meno di riconoscere l’effetto psicologico

provocato dall’improvviso apparire di una formazione di carri in pieno assetto di combattimento

verso il fianco di un esercito in marcia. La manovra ittita, basata sul concetto di un attacco a

percussione frontale inteso ad annientare la compattezza dello schieramento avversario (10), in

questa occasione ebbe effetti davvero devastanti: in breve tempo la divisione Ra fu spezzata in vari

tronconi e messa fuori combattimento; ogni possibile resistenza egiziana si trasformò in una fuga

disordinata attraverso la piana (11). Approfittando della favorevole situazione e incoraggiati

dall’iniziale successo, i carristi ittiti erano intenzionati a puntare sul campo egiziano.

2) - La seconda fase

Si può facilmente comprendere come la mossa inaspettatamente aggressiva di Muwatalli colse di

sorpresa il faraone. Le regole di una corretta battaglia campale erano state stravolte e ora l’intero

baricentro della vicenda si spostava nella striscia di terra compresa fra il Nahr es-Sih e il Nahr

Iskarği avente come cuspide il campo egiziano. Ramesse si rese subito conto della gravità della

situazione. Per contrattaccare il faraone disponeva di una sola divisione, la Amon, forte di circa

quattromila fanti e di duecentocinquanta carri ma del tutto impreparata all’imminente scontro. La

“solitudine” del faraone dinnanzi alla moltitudine dei nemici diverrà il tema centrale della

propaganda ramesside ma ha un fondo di verità e cioè l’impossibilità da parte di Ramesse di

disporre immediatamente di carri e soldati in pieno assetto di combattimento. Siamo in piena

mattinata del 10 e la situazione egiziana appare davvero critica. Di lì a poco l’assalto ittita avrebbe

investito la divisione Amon e chiuso così la battaglia.

La comparsa nella scena del corpo di spedizione proveniente dalla costa parve gettare una luce più

favorevole su tutta la situazione: ora il faraone disponeva di un numero di carri sufficiente per

contrattaccare; bisognava solo contenere l’assalto nemico per il tempo necessario ai rinforzi di

raggiungere il campo (12). Non vi erano molte finezze in questo piano - certamente il migliore che il

faraone potesse formulare in quelle circostanze - che consisteva in una serie di efficaci contrattacchi

contro i carri nemici allo scopo di disorientarli e costringerli a ripiegare. Nel caso invece che gli Ittiti

avessero deciso di proseguire lo scontro facendo prevalere la loro superiorità numerica, per gli

Egiziani l’importante era resistere e guadagnare tempo. Non si trattava di una decisione emotiva ed

affrettata ma di un rischio ben calcolato dal punto di vista militare. Dopo aver digerito la portata di

un imminente disastro, Ramesse capì di avere tra le mani la possibilità di infliggere agli Ittiti un

colpo ben più decisivo di quanto egli non avesse mai osato sperare. Se avesse respinto gli attaccanti

in più momenti avrebbe permesso ai carri superstiti della divisione Ra e quelli della Ptah in fase di

avvicinamento di completare l’accerchiamento (13). Gli Ittiti avanzarono e Ramesse non perse

tempo: il suo contrattacco fu efficace ed immediato. Il problema di come il faraone fosse riuscito a

respingere un attacco così devastante è ancora da risolvere ma è fuori dubbio che colti en flagrant

délit e dopo alcune perdite gli Ittiti non ebbero altra scelta che battere frettolosamente in ritirata

prima che la trappola strategica si fosse chiusa alle loro spalle. L’arrivo dei resti della divisione Ra e

della Ptah nei pressi del campo chiuse probabilmente la giornata del 10 e la seconda fase della

battaglia (14).

3) – La terza fase

Il giorno seguente i due antagonisti vennero a contatto anche se era fin troppo palese che nessuno

dei due intendeva veramente impegnarsi in uno scontro finale. Non è chiaro se entrambe le parti si

aspettassero che la pace o la sottomissione del rivale potesse scaturire dall’ostentare l’efficienza

delle proprie truppe schierate o dal disperato tentativo di attaccare l’avversario. Ancora una volta la

propaganda egiziana pone in evidenza, per ovvie ragioni di prestigio, l’atteggiamento del faraone di

punire sovrano ittita piombando nel suo accampamento e di vendicarsi del torto subito. Ma al di là

delle vanterie di Ramesse, la sua avventura in Siria poteva dirsi ormai conclusa. Qadesh avrebbe

potuto essere la battaglia egizia per eccellenza, se non fosse stato per gli errori di valutazione del

suo condottiero, la lentezza delle sue truppe e la mancanza al momento decisivo dei carri. Il faraone

cercò di addossare ai suoi generali la responsabilità delle sue perdite; ma questa fu in gran parte

propaganda. Il fatto che Ramesse fosse stato costretto ad impegnare i rinforzi provenienti dalla costa

per respingere gli Ittiti era un chiaro sintomo che aveva sottovalutato la capacità offensiva del rivale

e mal calcolato la sua posizione. Muwatalli, dal canto suo, non potendo conoscere l’esatta

evoluzione dello scontro non fu in grado di sfruttare pienamente l’iniziale paralisi dell’esercito

egiziano. Non è dunque strano che ambedue le parti accettassero volentieri una tregua e alcuni

studiosi vedono in questo gesto una prova inconfutabile della sconfitta di uno dei due antagonisti.

Al di là delle opposte visioni storiografiche, qualunque potesse essere il risultato di una simile

decisione da entrambe le parti, questa era basata su validi motivi. In due giorni di combattimenti

l’esercito egiziano aveva perso probabilmente un quarto di mezzi e uomini fra feriti e dispersi

mentre gli Ittiti non disponevano più di mezzi sufficienti e di valenti comandanti per altre iniziative

belliche (15).

Sul piano della grande strategia fu indubbiamente Ramesse ad aver avuto la peggio. Prima di

mettere piede in Siria, il faraone non pensava affatto che il logorio per le marce continue e una serie

di brevi scontri avrebbe dimezzato in così poco tempo l’efficienza del suo esercito. Il tentativo di

sconfiggere Muwatalli in una decisiva battaglia campale prima che i suoi rifornimenti si fossero del

tutto esauriti era miseramente fallito. Il faraone aveva compiuto sforzi inauditi per dare al suo

esercito adeguata assistenza logistica per la campagna siriana, ma tutto ciò si dimostrò insufficiente

e troppo arduo per le possibilità del tempo. All’indomani della battaglia, Muwatalli, in attesa dei

rinforzi necessari per riprendere le ostilità, poteva ancora contare su efficienti formazioni di fanteria

supportati da alcuni squadroni di carri oltre che di un solido avamposto costituito dalla città di

Qadesh, mentre Ramesse, pur avendo a disposizione circa tre quarti del suo esercito, non aveva

alcuna possibilità di ricevere rinforzi e rifornimenti. Col passare del tempo, il faraone era conscio

che le probabilità erano sempre più contro di lui e prese la saggia decisione di rientrare in Egitto.

Le lezioni che si possono trarre dalla battaglia nel suo complesso sono importanti per comprendere

sia l’abilità dei due belligeranti sia il clima storico nel quale questi agirono. La bravura tattica con la

quale il faraone rimediò ai quasi fatali errori iniziali e il modo in cui manovrò i rinforzi durante

l’attacco ittita meritano ogni lode così come Muwatalli dimostrò maggiore lungimiranza strategica

non impegnandosi in una battaglia decisiva - riservandosi di colpire l’avversario in un momento più

favorevole – per poi approfittare della ritirata egiziana per impadronirsi della valle della Beqaa e

regolare i conti con l’infido Benteshina di Amurru (16). Sotto molti aspetti, la battaglia di Qadesh

diede indubbi vantaggi materiali agli Ittiti ma per il faraone segnò l’inizio di un’era. Fu da questa

esperienza che Ramesse trasse e perfezionò le sue concezioni militari.

La sua insistenza nel considerare la rapidità di movimento delle truppe in rapporto alla distanza e

l’uso dei corpi d’armata gli avrebbero garantito successivamente ben altre conquiste. La battaglia di

Qadesh, era praticamente finita ma il ricordo era destinato a persistere incancellabile fino ai giorni

nostri.

NOTE AL CAPITOLO QUARTO

1 - La cronologia qui adoperata è quella generalmente utilizzata dagli studiosi, sebbene è già da qualche tempo, è in

corso un processo di rielaborazione ed assestamento della stessa a seguito una sentita necessità di sincronizzare le

diverse cronologie regionali. Il risultato ottenuto valido in linea generale è gravato certamente da una devianza

nell’ordine di dieci-quindici anni, ragion per cui in recenti contributi la battaglia è stata collocata nel 1285 a.C: Liverani

1994, 8; Cavillier 2001, 158; Cavillier 2002.

2 - cfr. RITANC II, 16 §15 (iv).

3 - Il poema della battaglia indica a questo punto l’attraversamento da parte del sovrano del Tst QdS “ponte di Qadesh”

(KRI, II, 14 §36). Si tratta di un luogo di ardua identificazione data la presenza di diversi punti di attraversamento e

guado lungo il fiume. Fra i possibili punti di transito vi erano quello di Gisr el-‘Asi, quello in prossimità del bosco di

Labui e quello di Ribla ubicati rispettivamente a 3, 13 e 15 km da Qamuat el-Hermel. Se si sceglieva di attraversare

immediatamente l’Oronte a Gisr el-‘Asi bisognava fare i conti con un terreno abbastanza ripido (Qamuat el-Hermel è a

782 m sul livello del mare), mentre nel secondo caso bisognava superare il bosco di Labui; la terza possibilità appariva

meno ardua ma sconsigliabile per l’ulteriore distanza da coprire.

4 - Corrisponde a circa 10.5 km: RITANC II, 17 §15 (vi)

5 - Questo evento è stato ritenuto fittizio da molti studiosi e da altri del tutto fondato. Una più attenta lettura delle fonti

induce tuttavia a credere, al di là della possibile presenza degli Shasu tra le file ittite, che l’“inganno” rientri

perfettamente nel filone propagandistico del tempo e sia stato abilmente sfruttato dal faraone per accentuare il suo valore

e la scorrettezza del rivale: Liverani 1994, 102-3; 133 e 158-9.

6 - Infatti, Ramesse non pone il campo nella piana di Qadesh, luogo ideale per accampare tutte le sue forze, bensì in una

striscia di terra abbastanza difendibile e in una posizione tale da studiare sia la limitrofa città, sia la piana sottostante. I

dati stratigrafici e topografici rilevati a Qadesh lasciano ipotizzare che il corso del Nahr es-Sih e del Nahr Iskarği (Mkd

= al-Mukadiyah) fossero pressoché uguali a quelli odierni come confermato dalle tracce di una canalizzazione rilevata a

sud del sito che, come già accennato nel capitolo terzo, confermano quanto rappresentato nei rilievi egiziani.

7 - Date le caratteristiche morfologiche del teatro delle operazioni, è chiaro che Sefinet Nuh era un luogo ideale per

accamparsi poiché poco visibile dalla piana. Questa considerazione deve tuttavia fare i conti con l’intento egiziano di

sottolineare la viltà di un nemico “nascosto” dietro la città.

8 - Questa ipotesi contrasta con l’idea che l’attacco ittita debba essersi svolto nel pomeriggio del giorno 9, in quanto, la

divisione Amon forte di circa 3500-4000 uomini più salmerie e personale di sussistenza non avrebbe potuto realmente

coprire circa 13 ½ km (da Qamuat el-Hermel al guado del Nahr el-Asi -Labui), guadare o attraversare l’Oronte, coprire

altri 15 km fino alla zona di accampamento e completare l’apprestamento del campo in metà giornata. Molte delle teorie

che difendono la tesi del giorno 9 si basano essenzialmente su tre ipotesi. La prima è che la velocità media di marcia

dagli eserciti del tempo (13-15 miglia al giorno: W.J. Murname, The Road to Kadesh Chicago 1990, 95-97) potesse

corrispondere a quella utilizzata dall’esercito di Ramesse (RITANC II, 16 §15 (vi)). La seconda ipotesi si basa sul fatto

che nei rilievi della battaglia (KRI, II, 19 R.11, 132, 1) si evince chiaramente che durante l’attacco ittita il campo era

ancora in fase di approntamento e la terza ipotesi è che Muwatalli nel giorno 10 non avrebbe potuto sfruttare il fattore

sorpresa. Per quanto riguarda la velocità di marcia, è difficile credere nell’uniformità e precisione delle tappe di marcia

dell’esercito egiziano dopo l’arrivo a Qamuat el-Hermel data la difficoltà connessa con l’attraversamento dell’Oronte e

la stanchezza accumulata dai soldati per le marce precedenti. Ad ogni modo, pur ammettendo una velocità di marcia di

13-15 miglia giornaliere, il faraone avrebbe impiegato tutto il giorno 9 per percorrere le 17 miglia (28 km) da Qamuat el-

Hermel a Qadesh. Per quanto riguarda l’apprestamento del campo bisogna fare i conti con il tentativo da parte degli

artisti egiziani di dover accentuare la drammaticità della situazione e l’eroismo del faraone circondato da un nemico

facilmente penetrato nel suo campo. Se così fosse stato, i carri ittiti avrebbero dovuto “manovrare” in uno spazio ristretto

e pieno di ostacoli. Per quanto riguarda invece la questione tattica, l’idea che Muwatalli abbia agito immediatamente

dopo aver appreso dalla spie Shasu della presenza degli egiziani nella piana non appare sostenibile per tre motivi. Primo

perché il coordinamento e la conduzione di un attacco di carri contro una divisione in marcia avrebbe richiesto tempi

piuttosto lunghi, perciò se si ipotizza che il faraone si accampò nel tardo pomeriggio del 9, l’attacco ittita si sarebbe

svolto al tramonto e in condizioni di luce del tutto sfavorevoli agli attaccanti. In secondo luogo, se Muwatalli avesse

davvero voluto sfruttare la sorpresa nel giorno 9 avrebbe dovuto sferrare il suo attacco nei confronti del faraone e della

divisione Amon e non della Ra. Infine, se vicenda degli Shasu è vera è assai improbabile che questi abbiano potuto

essere lasciati liberi dal faraone e abbiano percorso più di 15 km in un paio d’ore per far rientro al campo ittita. Anche

ammettendo una simile eventualità, agli Ittiti sarebbe mancato il tempo necessario per coordinarsi e attaccare la Ra prima

del tramonto.

9 - I dati in nostro possesso non permettono di conoscere l’esatta posizione della divisione in questo preciso istante ma

solo di ritenere che questa fosse nei pressi dell’Oronte. Infatti, nel “poema” la divisione si trovava a sud di Hernam

(RITA, II, 4, 23:1 e KRI, II, 23 § 61), nel “bollettino” questa era invece a sud di Shabtuna (RITA, II, 16, 117:1 e KRI, II,

117 § 72-74) mentre nei rilievi è indicato che questa non aveva ancora attraversato il bosco di Labui (KRI, II, 19, R.11

parte finale).

10 - L’attacco a “percussione frontale” è ben attestato nelle fonti del Tardo Bronzo. In generale: Liverani 1991, 456;

Cavillier 2001, 92-95; Cavillier 2003; Cavillier 2005.

11 - È ragionevole pensare che i superstiti della divisione Ra tentassero di dirigersi a sud ove si trovava la Ptah e a nord

verso il campo della divisione Amon.

12 - L’irruzione di alcuni carri ittiti nel campo egiziano (lato ovest) così come abilmente raffigurato nei rilievi, sebbene

efficace per sottolineare la drammaticità della situazione, è tuttavia ancora da dimostrare data l’impossibilità per i cavalli

sia di puntare su ostacoli fermi sia di manovrare liberamente una volta penetrati nel campo. Inoltre, se davvero i carri

ittiti erano intenzionati ad irrompere nel lato ovest del campo sarebbe stato per loro impossibile saperlo nella fase di

avvicinamento all’obbiettivo. È probabile quindi che lo scontro sia avvenuto dinnanzi all’accampamento e che il faraone

abbia tentato di respingere l’attacco nemico con le forze immediatamente disponibili. Questa ipotesi si basa sulla

constatazione che da parte egiziana l’approntamento dei carri presenti all’interno del campo e la loro disposizione in

pieno assetto di combattimento avrebbe richiesto un considerevole lasso di tempo.

13 - In questa situazione i carri ittiti sarebbero stati intrappolati dagli egiziani sia a nord che a sud e con il Nahr es-Sih e

il Nahr Iskarği che fungevano da ostacoli sui fianchi.

14 - Stando al poema, Muwatalli sferrò un secondo attacco di 1000 carri contro il faraone probabilmente per

“alleggerire” la pressione egiziana sulla prima “ondata”. Si tratta chiaramente di una variante – diremmo quasi un

ampliamento – del racconto al fine di accentuare ulteriormente l’effetto distruttivo operato da faraone sui suoi nemici.

Data la situazione tattica sul teatro delle operazioni il secondo attacco ittita aveva solo due percorsi disponibili: guadare

l’Oronte a nord di Qadesh per puntare direttamente sul lato orientale del campo egiziano o sfruttare il percorso della

prima ondata. Entrambe le possibilità non sono da escludere ma devono fare i conti con alcune difficoltà. Nel primo

caso, l’attraversamento o il guado del ramo settentrionale dell’Oronte (ben più ampio rispetto a quello presente nella

piana) sarebbe stato pressoché impossibile per i carri senza la presenza di ponteggi e di un’organizzazione “a monte”.

Nel secondo caso gli Ittiti avrebbero dovuto far i conti sia con la presenza nella piana della divisione Ptah e dei resti

della Ra in pieno movimento, sia col fatto che un simile attacco avrebbe costituito un ostacolo per un’eventuale ritirata

da parte dei superstiti della prima ondata e avrebbe potuto causare la perdita di tutti i carri ittiti. Al riguardo, va tenuto

presente che, a differenza della cavalleria, i carri necessitavano di idonei spazi, di un’opportuna disposizione sul terreno

e di un efficace coordinamento per poter dare il massimo rendimento sul campo (Cavillier 2001, 92-93). Pertanto, un

secondo attacco ittita avrebbe dovuto essere previsto prima dell’inizio delle ostilità e Muwatalli non poteva sapere con

precisione né l’evolversi della situazione nei pressi del campo egizio né le intenzioni del rivale.

15 - Secondo le fonti egizie, nel corso della battaglia, Muwatalli aveva perso due fratelli, due scudieri, un segretario, il

capo della guardia del corpo, quattro comandanti di squadre di carri e sei ufficiali d’alto rango. È difficile stabilire il

reale numero delle perdite da entrambe le parti anche se una rilettura più consapevole delle fonti e alcune considerazioni

tattiche fanno ritenere che il numero di carri ittiti impegnati nella battaglia non doveva superare le 500-700 unità.

16 - Il passaggio di Benteshina dalla parte egiziana agli esordi del regno di Ramesse II aveva, di fatto, agevolato

l’avanzata ramesside in Siria e Muwatalli, all’indomani della battaglia, destituì il sovrano amorreo sostituendolo con il

principe Shapili. Benteshina recuperò il suo regno dopo aver giurato fedeltà al nuovo re ittita Hattusili III, ma stavolta

senza più defezioni: Liverani 1991, 566; Grimal 1992, 333; Cavillier 2002.

CAPITOLO QUINTO: Narrazione e propaganda

È difficile negare la seduzione e il fascino che la battaglia seppe esercitare sull’immaginario

collettivo egizio fra adulazione per “l’eroico faraone unico vincitore degli Ittiti” e consapevolezza di

una superiorità militare e culturale sul mondo allora conosciuto. Ramesse vorrebbe far intendere a

noi e ai suoi contemporanei di aver vinto da solo lo scontro reagendo contro un nemico più

numeroso sbucato all’improvviso sulla piana di Qadesh; è una giustificazione che tuttavia ben si

accorda con la prassi del tempo che, come già evidenziato, prevede il rispetto del “codice” nella

conduzione delle campagne militari da parte dei belligeranti e che dunque non ammette viltà o

scorrettezze nello svolgimento delle attività prima, durante e dopo ogni scontro campale.

Nell’ottica egizia, pertanto, l’attacco di sorpresa ittita alla divisione Ra testimonia la viltà di

Muwatalli e fa emergere la genialità del faraone come stratega e il suo valore come condottiero. Il

faraone è perciò abile nel voler dare a credere alla collettività, verso cui si rivolge simbolicamente il

racconto, che la sua conduzione delle operazioni è stata decisamente impeccabile e a tal fine ricorre

ad una descrizione dinamica dell’evento con immagini e testi che si soccorrono reciprocamente nel

comune intento narrativo; per descrivere ed attualizzare la vicenda, anche a distanza di anni, il

modello militare, ovvero il paradigma del comportamento del condottiero, si ottiene se immagini e

testi riescono efficacemente a fondersi e a dare un senso quasi unitario alla vicenda.

Per comprendere appieno la logica che sottende tale visione è dunque necessario scandire fase per

fase le tappe che portano a tale risultato e ciò perché la vicenda non è solo composizione che

abilmente riassume e sintetizza la supremazia del faraone sui nemici ma è soprattutto paradigma

della condotta di ogni condottiero egizio. Vista nella sua componente più eminentemente narrativa,

la vicenda non è che il risultato di un’efficace interpolazione di tre strumenti: il poema, il bollettino

e la rappresentazione visiva. I primi due costituiscono la narrazione testuale in senso stretto e la

terza funge da idoneo supporto iconografico; la particolarità del sistema descrittivo della battaglia è

l’assoluta indipendenza dei tre elementi narrativi in grado però di agevolarsi l’un l’altro al fine di

fornire una visione chiara e precisa dell’evento. Ciò significa che l’arte scribale ramesside dimostra

in tale frangente di aver superato la dicotomia fra narrazione retorica e narrazione puntuale e che,

anzi, è proprio la combinazione tra questi due schemi, espressa simbolicamente nella descrizione

della battaglia siriana, a fungere come la sintesi più autentica dell’eccellenza storiografica.

Il bollettino

Nucleo essenziale della narrazione testuale è il “bollettino di guerra”, uno strumento derivante dal

più comune hrwyt “giornale” o “resoconto giornaliero” dal termine hrw “giorno” e stante ad

indicare tutto ciò che “avviene nella giornata lavorativa” (1). Il bollettino, almeno in origine, ha poco

a che fare con la letteratura e trova invece più degna giustificazione nella necessità da parte dello

scriba di rendicontare tutte le attività svolte nei diversi settori della vita quotidiana, militari compresi

e ciò spiega perché la scansione temporale è elemento essenziale e costante ineliminabile del

bollettino di guerra. Fino agli esordi dell’età ramesside, il bollettino non è che un razionale

susseguirsi di azioni aventi un comune denominatore di natura essenzialmente temporale a

disposizione dello scriba per componimenti d’altro livello. In altre parole, il bollettino funge da

supporto narrativo semplice ma essenziale sul quale innestare la rappresentazione e rielaborazione

degli eventi storiografici.

Per la battaglia di Qadesh si assiste ad un differente modus operandi: rispetto al passato – si pensi

agli Annali di Tuthmosi III, alla nelle stele di Karnak e di Menfi di Amenhotep II, al frammento di

stele di Bubastis di Amenhotep III e alla stele di Beth Shan di Sethi I – i cui testi si seguono uno

schema narrativo piuttosto lineare, il bollettino ramesside segue un diverso itinerario poiché è

concepito per “supportare” una visione globale dell’evento; infatti, la propaganda ramesside

adopera il bollettino quale tradizionale strumento di rendicontazione delle gesta del faraone ma al

contempo lo converte in una “mappa operativa” nella quale il condottiero può agire e dalla quale il

lettore può attingere gli utili riferimenti geografici e politici in gioco.

Questo spiega l’idea degli scribi ramessidi di “snellire” il bollettino dai precisi richiami sulla

pianificazione delle operazioni militari e di arricchirlo invece di nessi narrativi che fungano da

idonei richiami per il poema e l’iconografia; così, le tappe principali della marcia vittoriosa del

faraone, la posizione del nemico e i suoi piani per ingannare gli Egiziani, la scelta del condottiero di

accamparsi nei pressi della città siriana e il teatro delle operazioni divengono gli elementi essenziali

di lettura del bollettino capaci di proiettare lo spettatore direttamente sul luogo degli avvenimenti e

di suggerirgli sullo stato delle cose prima della battaglia.

Il testo a questo punto pone in rilievo i due principali elementi contrapposti: il campo egiziano e le

forze ittite nascoste sull’altro versante per poi assumere una connotazione più epica nel narrare di

un faraone intento a consultare il suo consiglio di guerra nell’accampamento in vista dell’imminente

attacco ittita; l’astuzia della composizione sta dunque nell’attenta dosatura degli elementi in gioco:

la posizione dei due eserciti (quella leale egizia e quella infida ittita), l’allocuzione del sovrano ai

suoi generali e l’attacco devastante ittita.

In questo incessante susseguirsi di eventi, l’abilità dello scriba sta dunque nell’evidenziare anche in

un supporto narrativo apparentemente limitato come il bollettino il corretto comportamento del

faraone e la sua determinazione a proseguire la lotta. Dopo l’inaspettato attacco ittita alla Ra e al

campo egizio, il faraone risorge e respinge i nemici fino a farli annegare nell’Oronte; vista così la

narrazione del bollettino appare ben più ricca ed efficace di un semplice resoconto di guerra.

Non c’è che dire: la sequenza degli avvenimenti segue lo stile del bollettino ma non gli appartiene;

ciò perché mancano i necessari riferimenti temporali e topografici che costituiscono l’ossatura di un

tipico resoconto bellico come i luoghi e gli orari delle tappe percorse dall’esercito egizio in taluni

tratti cruciali per la battaglia come, ad esempio, quello compreso fra “il ponte di Qadesh” e la città

siriana; è ovvio che lo scriba tenta di infinocchiarci sui tempi e gli spazi «a monte» della battaglia

che appaiono fin troppo esigui: Ramesse riesce a coprire i 24 km che separano Qamuat el-Hermil da

Qadesh addirittura in 5-6 ore e a porre il campo dinnanzi alla città prima del tramonto. Lo stesso

dicasi per la reazione del faraone che insegue gli impauriti carristi ittiti per circa 4 km e li costringe

al tuffo finale nell’Oronte mentre l’impeccabile avanzata a ranghi serrati delle truppe provenienti

dalla costa completa lo scenario. Nella narrazione, così come nella rappresentazione, tutto è

compattato e lo spettatore non può che meravigliarsi di un caotico e frenetico susseguirsi di scenari

e stati d’animo che è inquietante e, al tempo stesso, serve per amplificare l’eroismo del sovrano.

Tutto questo strumentario celebrativo, del resto, come già detto è concepito in funzione di una

visione dinamica dell’evento e non può fare a meno della contribuzione dei suoi elementi costitutivi;

ciò spiega perché alcune precisazioni temporali e spaziali di corollario sono fornite dal poema: la

partenza e la preparazione delle truppe a Tjaru, l’arrivo e l’accurata specifica di una delle tappe

della marcia “la città di Ramesse che è nella valle delle conifere” e la direzione successivamente

seguita. Dopo la descrizione degli innumerevoli nemici tocca alle posizioni delle divisioni e persino

al corpo avvolgente che proviene dalla costa di Amurru. È con queste premesse, che il bollettino

può ora entrare in scena mentre il poema passa a connotare la codardia dell’avversario e si focalizza

sulla valentia del sovrano. Si capisce perché nella ricomposizione della vicenda, lo scriba si lascia

certamente guidare dal duplice intento di propagandare l’impresa e di assicurare il nucleo minimale

del rendiconto bellico.

Lo sviluppo di una precisa logica all’interno del contesto narrativo del bollettino e il richiamo alla

coerenza ideale di alcuni valori essenziali legati all’evoluzione tattica o meglio all’esigenza di

attualizzare la serie di azioni condotte dal faraone e dal suo seguito, si evince dall’uso di

un’innovativa struttura narrativa alla quale certamente soggiace la scelta della terminologia e delle

forme grammaticali da adottare. La formula di base della struttura si compone di una serie di

“azioni” che si susseguono ciclicamente con l’avvio delle operazioni:

I. Posizione iniziale (Pi)

II. Movimento dell’esercito (M)

III. Posizione finale (Pf)

IV. Evento (E)

V. Specificazione dell’evento (SE)

VI. Consiglio – Pianificazione - Decisione (C)

VII. Iniziativa (I)

Per dare l’avvio al bollettino lo scriba ne specifica gli elementi iniziali: data e contesto bellico nel

quale la vicenda si colloca:

“Anno 5, 3° mese di Shomu, giorno 9 […]”

“Ora Sua Maestà era in Djahy per la sua seconda campagna di vittoria” (KRI II, 102, 1-3)

La posizione iniziale del sovrano e del suo esercito (Pi) è il “Ponte a Sud di Qadesh” (KRI II, 102:§4)

al quale segue il movimento della spedizione (M): “Sua Maestà procedeva verso Nord” e il punto di

arrivo (Pf): “area a sud della città di Shabtuna” (KRI II, 103).

Si assiste ora all’evento (E) e cioè la venuta degli Shasu e il successivo colloquio con il faraone:

“Vennero due Shasu della tribù di Shasu per riferire a Sua Maestà” (KRI II, 103)

L’inganno da parte delle due spie ittite ai danni del sovrano conclude l’episodio. In un simile

frangente narrativo, dallo stile più epico per accentuare l’azione scorretta dell’Ittita, l’arguzia dello

scriba sta nel legare l’evento alla precedente sequenza degli avvenimenti e nel costruire i

presupposti evenemenziali successivi; per fare questo l’autore assume la funzione di una voce

«fuori campo» così da ragguagliare puntualmente lo spettatore sia sulle reali intenzioni degli Shasu

(1) sia sulla tipologia e posizione delle forze ittite (2):

1. “era il caduto di Hatti che li aveva inviati per vedere ove Sua Maestà fosse così da prevenire

l’esercito di Sua Maestà dall’essere preparato a combattere con il caduto di Hatti” (KRI II,

106)

2. “ora il caduto di Hatti aveva inviato gli Shasu per dire queste cose a Sua Maestà essendo venuto

con le sue truppe e i carri insieme con i sovrani di ogni paese che era nella terra di Hatti con le

loro truppe e i carri che egli ha portato con sé come alleati per combattere con l’esercito di Sua

Maestà (Egli sta) pronto ed equipaggiato dietro Qadesh antica” (KRI II, 107)

Lo scriba può ora abilmente concludere la “specificazione dell’evento” (SE) con un’asserzione che

sottende la fase del “Consiglio” (C) e che evidenzia l’impossibilità da parte del faraone di

prevedere ulteriori mosse del nemico:

“Sua Maestà non sapeva ove essi fossero” (KRI II, 108).

L’allontanamento delle spie ittite dalla scena del consiglio funge da iniziativa (I):

“i due Shasu che erano al cospetto (di Sua Maestà) furono portati via” (KRI II, 108)

A questo punto, lo schema si ripete: Ramesse che riprende il cammino dall’area a sud della città di

Shabtuna (il Pi questa volta è sottinteso) verso nord (M):

“procedere di Sua Maestà verso nord ” (KRI II, 108)

per giungere nei pressi di Qadesh (Pf):

“giungere a nord-ovest di Qadesh ” (KRI II, 108). La posizione egizia è ora essenziale per il successivo

evolversi della vicenda: è il luogo ove il faraone si accampa, è il punto di concentramento delle

divisioni in marcia è l’idoneo scenario per la pianificazione della battaglia.

Il sopraggiungere al campo di un esploratore egizio che reca con sé due spie ittite costituisce

l’inatteso evento (E):

“Venne un esploratore che era al servizio di Sua Maestà avendo catturato (lit. portato) due

esploratori del caduto di Hatti. Essi furono introdotti al cospetto (di Sua Maestà)”

(KRI II, 109)

Il colloquio tra il faraone e i prigionieri conclude l’episodio. Per evidenziare l’accuratezza e la

veridicità del resoconto da parte delle spie ittite, lo scriba non deve far altro che ritoccare alcune

delle asserzioni formulate in precedenza:

“Essi sono forniti con la loro fanteria e carristi; essi sono più numerosi della sabbia della spiaggia.

Guarda, essi sono equipaggiati, pronti a combattere, dietro Qadesh antica” (KRI II, 112)

La specificazione dell’evento (SE) è ora essenziale nel racconto poiché serve a giustificare

l’impreparazione del faraone dinnanzi all’imminente pericolo, dovuta all’incapacità dei suoi generali

di tenerlo informato. Il sovrano convoca il suo stato maggiore per fare il punto della situazione e

ammonire i colpevoli:

“Allora Sua Maestà convocò i suoi Ufficiali al suo cospetto per fargli udire tutte le parole dette dai

due esploratori del caduto di Hatti che erano al suo cospetto ” (KRI II, 112)

“i miei governatori dei paesi stranieri e i miei alti ufficiali, sotto la cui responsabilità sono i territori

del faraone, non mi hanno detto che essi (gli Ittiti) sono venuti!” (KRI II, 115)

Nella fase del consiglio (C) allo scriba non resta che evidenziare il corretto comportamento del

faraone mediante l’ammissione della colpa da parte degli ufficiali accusati:

“gli alti ufficiali che erano al cospetto di Sua Maestà risposero al Signore così: (questo è) un grande

crimine che i governatori dei paesi stranieri e gli alti ufficiali del faraone (hanno commesso) non

riferendo ad essi sul caduto di Hatti ovunque egli fosse” (KRI II, 116)

Tocca ora all’iniziativa (I): il faraone invia il visir per sollecitare le altre divisioni in marcia verso il

campo egizio:

“Allora il visir fu incaricato di sollecitare l’esercito di Sua Maestà” (KRI II, 117)

La scena si sposta nella piana di Qadesh e allo scriba non resta che applicare lo schema consueto:

l’agente è ora l’esercito egizio (la divisione Ra), la zona a sud della città di Shabtuna funge da ben

collaudato luogo di transito (Pi) e l’accampamento del faraone (qui sottinteso) è il luogo di

destinazione (Pf):

“Essi erano in marcia sul sentiero a sud della città di Shabtuna per portarsi ove Sua Maestà era”

(KRI II, 117)

Una volta definiti i limiti dello scenario, l’evento (E) centrale dell’intera vicenda non può che

manifestarsi improvvisamente:

“Il vile caduto di Hatti venne con le sue truppe e carri con i numerosi paesi che erano con lui” (KRI

II, 117)

Ciò che conferisce enfasi all’episodio è la specificazione dell’evento (SE) che definisce

accuratamente sia lo stratagemma ittita (1), sia le possibili conseguenze per le truppe egizie (2):

1. “Essi attraversarono il ponte a sud di Qadesh ed entrarono n(ei ranghi d)ell’esercito di Sua

Maestà mentre essi marciavano ignari” (KRI II, 118)

2. “Allora l’esercito di Sua Maestà e i carri fuggirono dinnanzi a loro verso nord ove Sua Maestà

era. Allora gli sconfitti del caduto di Hatti circondarono i combattenti di Sua Maestà che erano

nella sua direzione” (KRI II, 118)

Nel momento di massima crisi per l’esercito egizio, l’esame della situazione da parte del faraone

(C): “Allora Sua Maestà osservò essi” (KRI II, 119) è presupposto essenziale per la sua furiosa

reazione (I): “Allora egli reagì contro di essi” (KRI II, 119).

La narrazione di stampo evenemenziale cessa in questo preciso momento e il testo assume i

consueti toni epici con il condottiero che fa strage dei nemici nelle sembianze e movenze di un dio

guerriero:

“Sua Maestà era come Seth grande di potenza, come Sekhmet nel momento della sua furia. Sua

Maestà massacrò tutti i soldati del vile caduto di Hatti, insieme con tutti i suoi grandi capi e fratelli,

tutti i sovrani di tutti i paesi stranieri che erano con lui e le sue truppe e i suoi carri ” (KRI II, 121-

122).

Ciò che stupisce della composizione è l’accurata ripartizione dei suoi eventi costitutivi che, a ben

guardare, non segue né i ritmi né i meccanismi del tipico bollettino. Una storia che si basa su di uno

schema ben preciso è qualcosa di diverso da una fluida e fin troppo razionale sequenza di eventi

bellici; l’abilità dello scriba ramesside sta dunque nel selezionare le informazioni ritenute essenziali

e nel strutturarle in modo da ricavare una traccia o filo logico che suggerisca lo spettatore sulla

corretta interpretazione della vicenda. All’incessante, cadenzato e uniforme manifestarsi di azioni di

un “diario di guerra” lo scriba preferisce una storia fatta di percorsi, eventi e scenari che si

manifestano ripetutamente nel quale l’osservatore può soffermarsi, di volta in volta, anche per

riconoscere alcuni dei personaggi e delle azioni raffigurate nei rilievi.

Il poema

A differenza del bollettino, che pur differisce da un tipico resoconto di guerra, il poema ha invece il

compito di informare lo spettatore sulle dinamiche che attengono l’intera vicenda con particolare

riferimento ai presupposti dello scontro, alla potenza e numerosità dei nemici del faraone, agli stati

d’animo dei protagonisti, alla drammaticità e all’eroismo del condottiero; questo spiega lo stile e i

toni che lo scriba infonde nella narrazione e tali da evidenziare questo stato di cose. E anche quando

nel poema, oltre ai dovuti riferimenti all’eroicità e divinità del faraone, si accenna ad alcune delle

tappe del percorso del sovrano è fin troppo chiaro che l’intento è enfatizzare l’unicità e l’importanza

dell’impresa:

“Cominciando della vittoria del re Usermaatra-Setepenra Ramesse, a cui sia data vita

eternamente, che ottenne contro il paese di Hatti, Naharina, contro il paese di Arzawa,

contro Pidassa, (e) contro il (paese di) Dardanya, contro il paese di Masa, contro il paese

di Qarqisha e Lukka; contro Karchemish, Qode (e) il paese di Qadesh, contro il paese di

Ugarit (e) Mushnatu.

Ora, Sua Maestà preparò la sua fanteria ed i suoi carri (e i) guerrieri Shardana che

Sua Maestà aveva catturato e riportato con il suo potente braccio; essi ricevettero le armi e

i piani di battaglia. Ora, Sua Maestà procedette verso nord con la sua fanteria e i suoi carri

e, dopo una partenza senza ostacoli nell’anno quinto, nel secondo mese dell’estate, giorno

nono, Sua Maestà passò la fortezza di Tjarw, forte come Montu quando avanza. Tutti i paesi

tremarono dinnanzi a lui e i loro capi portarono tributo; tutti i ribelli si sottomisero per

paura dell’autorità di Sua Maestà; il suo esercito marciava sui sentieri come se marciasse

sulle strade d’Egitto. Qualche tempo dopo, Sua Maestà era in ‘Usermaatra-Meriamon la città’ che è nella Valle delle

Conifere. Sua Maestà procedette verso nord. Ora quando Sua Maestà giunse il ponte di Qadesh,

allora Sua Maestà marciava diritto, come suo padre Montu signore di Tebe ed attraversò il guado del

(fiume) Oronte con la prima divisione di Amon che dà vittoria ad Usermaatra-Setepenra. Allora Sua

Maestà giunse alla città di Qadesh.” (KRI II, 3-16)

Il poema descrive con accuratezza e precisione la posizione e la numerosità delle forze nemiche atte

ad evidenziare la viltà di Muwatalli:

“Ora, il vile caduto (capo) di Hatti era venuto, egli aveva raggruppato attorno a sé tutti i paesi

stranieri fin dai limiti (estremi) del mare: l’intero paese di Hatti è venuto, come anche quello di

Naharina e quello di Arzawa, Dardanya, quello di Gasga, quello di Masa, quello di Pidassa, quello

di Arwanna, quello di Qarqisa (e) Lukka, Kizzuwatna, Karchemish, Ugarit, Qode, l’intero paese di

Nuhasse, Mushnatu e Qadesh. Egli portò con sé ogni paese lontano; i loro sovrani erano con lui,

ciascun uomo con le sue forze; i loro carri erano una moltitudine, senza eguali; essi ricoprivano le

alture e le valli come una moltitudine di locuste. Egli non aveva lesinato il denaro del suo paese e si

era spogliato di tutti i suoi beni per darli a questi paesi affinché lo accompagnassero in guerra.

Ora, il vile caduto (capo) di Hatti, insieme con i numerosi paesi che erano con lui, stavano nascosti e pronti a

nordest (della città) di Qadesh. Ora, Sua Maestà era solo con il suo seguito, la divisione di Amon marciava

dietro di lui, la divisione di Ra attraversava il guado nell’area a sud della città di Shabtuna ad una distanza di

1 iter da ove Sua Maestà era, la divisione di Ptah era a sud della città di Arnam e la divisione di Seth stava

(ancora) marciando sulla via. Sua Maestà aveva inviato truppe scelte del suo esercito e ora essi erano sulle

coste del paese di Amurru.

Il vile caduto re di Hatti stava in mezzo all’esercito che era con lui e non usciva a combattere per

paura di Sua Maestà. Allora, egli inviò all’attacco uomini e carri, una moltitudine, numerosa come la

sabbia; essi erano tre uomini per ogni carro [essi formavano le loro unità di tre, ogni corridore era

del paese del caduto di Hatti], essi erano equipaggiati con ogni (tipo) di armi da battaglia. Essi

erano stati posizionati per stare nascosti dietro la città di Qadesh.” (KRI II, 16-26)

Giunge inaspettato l’attacco ittita alla divisione Ra e, informato degli avvenimenti, il condottiero

reagisce immediatamente:

“Allora essi sbucarono dal lato meridionale di Qadesh e attaccarono in pieno la divisione di Ra

che avanzava ignara e non preparata alla battaglia. Allora le truppe e i carri di Sua Maestà

piegarono dinnanzi a loro. Sua Maestà si era stabilita a nord della città di Qadesh, sulla riva

occidentale dell'Oronte. Si venne ad informare di questo Sua Maestà e allora Sua Maestà sorse come

suo padre Montu, afferrò le sue armi da battaglia e indossò la sua cotta di maglia: era Baal in

azione! Il grande cavallo che portava Sua Maestà era ‘Vittoria in Tebe’, della grande scuderia di

Usermaatra-Setepenra, amato da Amon.

Sua Maestà uscì al galoppo e si precipitò nel mezzo delle forze del vile di Hatti, senza che nessuno

fosse con lui. (KRI II, 26-30)

La drammaticità della situazione e la valentia del condottiero sono abilmente rimarcate dallo scriba:

“Allora Sua Maestà avanzò per guardarsi intorno e si vide circondato da 2500 carri ittiti che

convergevano sui di lui e da tutti i ‘corridori’ del vile ittita e dei numerosi paesi che lo

accompagnavano: da Arzawa, Masa e Pidassa [da Gasga, Arwanna e Kizzuwatna; da Aleppo,

Ugarit, Qadesh e Lukka] essi erano tre uomini per carro che agivano come un’unità. Ma non c’erano

alti ufficiali con me, nessun carrista, nessun soldato, nessun portatore di scudo; il mio esercito e i

miei carri sono fuggiti dinnanzi ad essi, nessuno può resistergli e combatterli.” (KRI II, 31-33)

L’ideologia e la propaganda della regalità tocca il suo apice nella preghiera che il condottiero

rivolge ad Amon:

“Ti invoco, padre mio Amon,

sono nel mezzo di una folla sconosciuta,

tutti i paesi sono coalizzati contro di me e mi ritrovo solo, senza nessuno.

Le mie numerose truppe mi hanno abbandonato e nessuno dei miei carristi si cura di me.

Grido verso essi ma nessuno ode i miei richiami,

so che Amon mi sarà di maggior aiuto di milioni di fanti,

di centinaia di migliaia di carri,

di diecimila fratelli e figli uniti nello stesso slancio.” (KRI II, 39-41)

La risposta del dio è repentina:

“Ecco che pregavo nell’imo dei paesi stranieri e la mia voce fu udita a Tebe,

mi accorsi che Amon rispondeva ai miei appelli: mi tese la mano e me ne rallegrai,

mi parlò dietro le spalle come se fosse stato vicino:

«coraggio! Sono con te, sono tuo padre e ti dò manforte

sono meglio di centomila uomini

sono il signore della vittoria e amo il valore!».” (KRI II, 42-44)

La valenza epica del poema emerge nuovamente nel dialogo fra il faraone e il suo fido scudiero

Menna, quest’ultimo timoroso di non sopravvivere agli Ittiti:

“Quando Menna, il mio scudiero, vide il gran numero di carri (nemici) che mi accerchiavano,

sbiancò in viso e il terrore lo invase. Egli disse alla Mia Maestà: «Mio buon signore, principe potente

[…] siamo soli in mezzo ai nemici ! Guarda ! la fanteria e i carri ci hanno abbandonato ! Perché stai

qui per proteggerli ? allontaniamoci da qui, salviamoci, Usermaatra !». Allora disse Sua Maestà al

suo scudiero: «Sii fermo, rincuora te stesso, o mio scudiero ! Io piomberò su di loro come l’artiglio

di un falco, ucciderò, massacrerò e li getterò al suolo !».” (KRI II, 65-69)

Dopo l’evento, i generali di Ramesse si prostrano dinnanzi a lui e celebrano la sua schiacciante

vittoria; lo scriba a questo punto utilizza abilmente l’adulazione dei generali per evidenziarne la

codardia e rimarcare l’eroismo di un condottiero ora intento ad ammonirli:

“Il mio esercito venne a cantare le mie lodi, (stupefatti) al vedere ciò che avevo fatto […]. Egli subito

li rimproverò per la loro codardia e la loro indisciplina: «che dirà la gente quando si saprà che avete

abbandonato lasciandomi solo ? Non un ufficiale, né un comandante, né un soldato venne ad

aiutarmi mentre combattevo ! Ho conquistato milioni di terre straniere, solo con ‘Vittoria in Tebe’ e

‘Mut è contenta’, i miei valorosi cavalli da carro ! Ecco chi ho trovato ad aiutarmi, mentre

combattevo le armate straniere. Io mi curerò personalmente perché sia dato loro il foraggio in mia

presenza ogni giorno, quando sarò nel mio palazzo: sono loro che ho trovato ad aiutarmi nel mezzo

della battaglia, insieme con il carrista Menna, mio scudiero, e accanto a me i miei coppieri di

palazzo, miei testimoni della battaglia. Io li trovati (accanto a me) !».” (KRI II, 72-84)

La fine delle ostilità, nell’ottica della narrazione epica, è sancita dalla richiesta di armistizio da parte

di Muwatalli; anche il testo della missiva ittita, accuratamente rielaborato, funge da utile strumento

di propaganda:

“«Il tuo umile servitore proclama a gran voce che sei il figlio di Ra, nato fisicamente da lui e a cui

ha concesso (il dominio) di tutti i paesi. Per quanto riguarda il paese d’Egitto e il paese di Hatti sono

tuoi servi, sono ai tuoi piedi: è tuo padre, il divino Ra che te li ha dati. Non usare il tuo potere contro

di noi ! Si, la tua autorità è grande e la tua forza preme pesantemente sul paese di Hatti. Ma è giusto

che tu uccida i tuoi servi, (e rivolga) il (tuo) volto terribile contro di essi, senza (mostrare) pietà ?

Guarda: ieri hai passato il giorno ad uccidere centomila uomini e oggi sei ritornato e non risparmi

gli eredi ! Non portare troppo avanti il tuo vantaggio, o re vittorioso ! La pace è migliore della

guerra, dacci il soffio della vita !».” (KRI II, 92-95)

Così, la decisione del faraone di non infierire oltre sul nemico e di accettare la pace è abilmente

giustificata dallo scriba, quale concessione del condottiero ai suoi timorosi e prudenti generali:

“Allora dissero tutti d’accordo: «La pace è il miglior bene, sovrano nostro signore! Non vi è colpa

nella riconciliazione, quanto tu la effettui ! infatti chi può affrontarti nel giorno della tua collera ?».”

(KRI II, 97)

La consueta celebrazione dell’eroismo del sovrano al quale fa da sfondo la conta dei caduti, dei

prigionieri e del bottino estorto al nemico concludono la narrazione.

L’iconografia

La battaglia, data la sua importanza e funzione propagandistica, viene accuratamente rappresentata

in cinque fra i più imponenti ed importanti templi dell’Alto Egitto: Abido (mura esterne

settentrionali e occidentali), Karnak (muro esterno meridionale della grande sala ipostila e ingresso

meridionale sul lato occidentale), Luxor (facciata del pilone ed muro esterno delle corti), Tebe

ovest (Ramesseum – facciata del pilone e corti anteriori) e Abu Simbel (grande sala colonnata);

tuttavia, solo tre di questi complessi presentano l’iconografia pressoché completa: Luxor,

Ramesseum e Abu Simbel. Pur ravvisandosi lievi differenze tra le diverse rappresentazioni (a

Luxor, Karnak, Tebe ovest sono duplici), è da ritenere che l’iconografia della battaglia segua un

progetto unitario: un modulo “bidimensionale” costituito da due scene principali (supportate da

altre di dimensioni minori poste su vari registri) e un comparto testuale fatto di commenti alle scene,

del bollettino e del poema; la prima grande scena è dedicata al sovrano all’interno del suo

accampamento mentre la seconda è dedicata allo scontro.

Per motivi di semplicità è parso utile prendere in considerazione i rilievi di Luxor; il centro

dell’intera rappresentazione spetta alla scena del faraone assiso sul trono al centro del suo

accampamento intento a colloquiare con i suoi generali (A), mentre nel registro sottostante sono

raffigurate le due spie ittite percosse dai soldati del faraone e intente a rivelare i piani di Muwatalli

(B) e i soldati della guardia, fra i quali spiccano per diversa foggia gli Shardana (C). A destra del

sovrano è visibile il campo egiziano (D), delimitato da una palizzata di scudi o di tende, con i

soldati e il personale ausiliario impegnati in varie attività; al centro del campo è presente il

complesso degli alloggiamenti reali (costituito dalla tenda del faraone e da altre più piccole riservate

ai principi) delimitato da un muro o da una palizzata nei pressi del quale irrompono carri ittiti.

All’estrema destra del campo è raffigurata con estrema cura l’arrivo delle truppe da Naharina (E),

mentre al di sotto di questi e al di sopra del registro l’artista descrive l’irruzione dei carri ittiti (F) e

la fuga dei superstiti della divisione Ra verso il campo egiziano (G) e la reazione delle truppe del

faraone (H).

A sinistra del registro superiore è raffigurata la città di Qadesh (I), con alti torri merlate e soldati di

vedetta, circondata dalle acque del fiume Oronte; al di sotto delle mura della città e oltre il fiume

sono presenti gli alleati di Muwatalli (L) e lo stato maggiore del re ittita (M); nella parte destra del

registro è raffigurato il faraone sul carro (N) che calpesta i nemici e li insegue fino a farli annegare

nel fiume (nei rilievi di Abu Simbel la scena dell’annegamento coinvolge il principe ittita Sippazili

fratello di Muwatalli, mentre nei rilievi del Ramesseum viene raffigurato anche il principe di

Aleppo); al di sotto, al di sopra e dietro al faraone e al di sopra della città sono rappresentati i carri

ittiti (O) in fase di attacco respinti ed incalzati da Ramesse e dalle sue truppe.

All’estrema destra della rappresentazione sono presenti una serie di scene: la partenza del

messaggero egizio (O) per sollecitare le divisioni Ptah e Seth, la conta dei caduti (P) e la

presentazione dei prigionieri al faraone (Q).

3

4

Appare del tutto evidente che la rappresentazione non è concepita per delineare una sequenza logica

degli avvenimenti bensì per una lettura istantanea delle diverse scene, atta ad impressionare

l’osservatore sul drammatico e incessante susseguirsi di eventi al centro dei quali emerge la figura

del faraone. La dovizia di particolari nella descrizione dei nemici, del teatro delle operazioni e del

faraone e del suo seguito ha la precipua funzione di informare l’osservatore sullo stato delle cose

durante l’evento e, al contempo, di sancirne l’autenticità storica. Lo stesso dicasi per le proporzioni

adottate dall’artista egizio atte ad evidenziare l’importanza del condottiero faraone e a sminuire la

valentia di un avversario sleale ben più numeroso e che nel contesto storico globale è destinato per

sua natura e agire inevitabilmente a soccombere.

NOTE AL CAPITOLO QUINTO

1- Il sovente ricorso da parte degli studiosi al termine “diario giornaliero” (Tagebuch) per indicare il bollettino si deve al

fatto che nella letteratura egizia a sfondo bellico del Nuovo Regno non esiste un termine specifico per indicare il

“bollettino di guerra” (Kriegstagebuch); negli Annali di Tuthmosi III (Urk.IV 693.8-14) è infatti menzionato il ar(t) hAw “rotolo del giorno” (Wb.II.476:2) supporto sul quale lo scriba annota in ieratico gli avvenimenti giornalieri: Cavillier

2002b; Cavillier 2003 con bibliografia.

CAPITOLO SESTO: Le campagne successive

Gli insegnamenti ed il significato militare della battaglia di Qadesh sono della massima importanza

per comprendere le successive mosse di Ramesse nello scacchiere politico del Vicino Oriente. Agli

inizi dell’estate del 1272 a.C.(1), nel settimo anno del suo regno, il faraone era intenzionato a

riaprire la questione siriana; il fatto che dopo Qadesh gli Ittiti avessero raggiunto Kumidi e i dintorni

di Damasco e che la loro pressione sulla Siria meridionale si fosse ulteriormente accentuata, aveva

convinto il faraone sulla necessità di un suo immediato intervento.

Per fare questo Ramesse doveva innanzi tutto assicurarsi nuovamente l’appoggio dei suoi centri di

approvvigionamento in Fenicia e in Siria meridionale e annientare possibili ostacoli intermedi per

poi concentrare tutti i suoi sforzi contro l’ittita. Il faraone aveva ora i mezzi e l’esperienza

necessaria per attuare il suo piano e l’occasione non tardò ad arrivare. I regni della Palestina

orientale di Moab e Edom-Seir fomentavano ribellione e si avvalevano di bande degli Shasu per

indebolire il potere dei limitrofi regni canaanei. Il prestigio egiziano in Asia era nuovamente in gioco

e Ramesse non perse tempo. Il principale intento del faraone era quello di annientare gli Shasu per

poi ottenere la sottomissione dei regni ribelli.

Questo piano, basato sull’analisi delle campagne di Sethi I, appariva ottimo sulla carta ma all’atto

pratico presentava alcune debolezze. In primo luogo, la superiorità tattica e numerica degli Egiziani

rispetto a quella nemica era ingannevole dato che più della metà delle forze del faraone non era

adatta a contrastare la guerriglia. Un ulteriore elemento di debolezza era rappresentato dalla natura

del terreno che offriva agli Shasu possibili linee di arroccamento e toglieva agli Egiziani la

possibilità di impiegare i carri e la fanteria pesante. Per vincere guerrieri dotati di forte mobilità

come gli Shasu, occorreva attirarli allo scoperto e tagliare le loro vie di ritirata verso le alture.

L’armamento leggero (giavellotti, archi e asce) e le caratteristiche tattiche di queste bande di

seminomadi esperti nella guerriglia ne faceva dei guerrieri davvero temibili. Sorgeva poi il problema

di dover affrontare anche le forze messe in campo dai regni ribelli.

Ramesse fece astutamente ricorso alla manovra avvolgente. Il faraone divise la sue forze in due

corpi d’armata, uno posto sotto il suo comando e l’altro affidato al figlio Amonkherkhepshef. Il

compito del principe era quello di attirare su di sé l’attenzione degli Shasu - che vedendolo

avanzare si sarebbero certamente ritirati sulle alture per tendergli pericolose imboscate – per dare il

tempo al faraone di chiudere la trappola strategica alle loro spalle.

Il piano ebbe pieno successo: Amonkherkhepshef incalzò gli Shasu per tutto il Negev, sottomise i

ribelli di Moab e di Edom-Seir e arrestò la sua marcia vittoriosa a Raba Batora (città sulle alture

che dominavano la valle del Mar Morto) in attesa di ricongiungersi con il padre. Ramesse, dal canto

suo, dopo aver percorso un tratto della Via Maris e aver raggiunto Ascalona, si era inoltrato

all’interno delle alture della Giudea con l’intento di prevenire eventuali proiezioni offensive da parte

dei regni locali a supporto dei ribelli. Il faraone marciò su Gerusalemme e Gerico per poi entrare in

Moab da nord per colpire la principale piazzaforte moabita a Dibon e, attraverso la Valle di Arnon,

si ricongiunse al figlio per infliggere il coup de grâce ai ribelli.

Una volta ripristinato il potere egiziano su Canaan e sulla valle del Giordano ed essersi assicurato il

controllo delle principali vie per la Siria, Ramesse poté proseguire a nord per Heshbon, Ammon,

Qarnaim e raggiungere Damasco. Con la successiva riconquista di Kumidi e il ripristino della

provincia egiziana di Upi, la campagna dell’anno settimo poteva dirsi felicemente conclusa (2). La

Palestina e la valle della Beqaa - controllate in maniera capillare grazie all’incremento delle

guarnigioni e delle fortezze – costituivano delle basi strategiche perfettamente funzionanti grazie alle

quali il faraone poteva rivolgere il suo sguardo più a nord. La seconda fase dell’offensiva egiziana

stava per concretizzarsi e questa volta il piano del faraone era realistico e audacemente concepito;

accurata organizzazione logistica, rapidità e sorpresa ne erano la base principale. Per prima cosa

Ramesse era deciso a penetrare nei possessi ittiti con il duplice intento sia di dominare ed intimidire

il rivale sbaragliando le sue principali piazzeforti sia di costituire delle “teste di ponte” in previsione

di un possibile prolungamento delle ostilità. Il faraone non aveva mai dato prova della sua maestria

nella strategia offensiva decidendo di affrontare il rivale in più momenti e in differenti teatri

operativi.

I vantaggi apportati da un simile modus operandi sono piuttosto evidenti: il faraone non correva il

rischio di finire in pericolose “trappole” come quella di Qadesh e non era costretto a separare le sue

forze potendo sfruttare pienamente le risorse logistiche e umane offerte dai territori conquistati.

Questo significa che, man mano che la campagna procedeva, la fitta rete di “basi logistiche” che si

sarebbe venuta a creare dietro la linea di penetrazione egiziana, avrebbe garantito il successo delle

operazioni.

Così, nell’estate del 1271 a.C. il faraone piombò nella valle del giordano per soffocare gli ultimi

focolai di resistenza in Galilea e da qui avanzò verso Acco per assicurarsi il possesso di questo

importante approdo portuale. Poi fu la volta dei porti della Fenicia di Tiro, Sidone, Beirut e Biblo.

Dopo aver lasciato traccia del suo passaggio sulle rocce del Nahr el-Kelb nei pressi di Beirut,

Ramesse proseguì la sua marcia attraverso la Via Costiera. Com’era prevedibile, un simile

inaspettato evento colse di sorpresa Ullaza, Irqata e Simyra, le principali piazzeforti di Amurru, che

tentarono di resistere ma invano.

Questa mossa si rivelò essenziale per il prosieguo della campagna perché, con la conquista di buona

parte del territorio amorita, Ramesse disponeva ora di nuove basi logistiche e di una completa

libertà d’azione nei possedimenti ittiti. A conti fatti, però, il numero degli obiettivi del faraone

appariva ben più esiguo di quanto la situazione desse ad intendere, dato che gli era praticamente

impossibile manovrare e guidare il suo esercito in un fronte così vasto; Ramesse ritenne quindi più

saggio rinunciare ad una strategia basata sull’attacco su un largo fronte per concentrare i suoi sforzi

su di un unico obiettivo in grado di assicurargli, almeno per qualche tempo, il pieno controllo dei

territori conquistati.

Due erano i possibili obiettivi del faraone: puntare a nord e conquistare Ugarit o marciare all’interno

verso est attraverso la valle dell’Euletheros per impossessarsi dei territori di Tunip e del medio

corso dell’Oronte. L’obbiettivo prescelto fu senza dubbio il secondo per due motivi: il primo è che

Ugarit era troppo distante da Amurru e difficilmente espugnabile senza l’appoggio di una flotta e di

punti di approdo sulla costa. Il secondo motivo è che la conquista di Tunip avrebbe garantito il

pieno possesso della piana di Qadesh, evitato eventuali manovre aggiranti da parte ittita ed avrebbe

scoraggiato eventuali ribellioni dei regni limitrofi.

Come era da attendersi, una delle prime mosse di Ramesse fu quella di separare Amurru da Tunip;

di conseguenza, il faraone si impadronì di Dapur un’importante piazzaforte situata ai confini

settentrionali di Amurru. Sotto il profilo politico e propagandistico, quest’evento, sancito

dall’erezione di una statua del faraone nel tempio della città e ampiamente rappresentato in Egitto,

segnò il culmine del potere egiziano in Asia, mentre sotto il profilo militare, permise a Ramesse di

penetrare in profondità nel territorio di Tunip per raggiungere il suo principale obbiettivo strategico:

isolare Qadesh e Amurru dagli Ittiti. All’inizio del suo nono anno di regno (1270 a.C.) il faraone

poteva rientrare in Egitto soddisfatto delle sue conquiste e del favorevole momento determinato

dell’inerzia del nemico vistosamente preoccupato per la difficile successione al trono di Muwatalli e

l’inaspettato slancio bellico degli Assiri ai danni del regno di Mitanni (Khanigalbat nelle fonti

accadiche). Malgrado queste incertezze, la contromossa ittita non tardò ad arrivare e fu più efficace

di quanto non sia stato spesso ritenuto. Infatti, con una rapida azione coordinata delle forze

immediatamente disponibili guidata dal re di Karkemish, gli Ittiti ristabilirono il loro controllo sui

territori di Tunip e su Dapur evitando astutamente di impegnarsi in uno scontro diretto col faraone e

vanificando tutti i suoi precedenti sforzi. Punto sul vivo, Ramesse sferrò un nuovo attacco nell’anno

decimo del suo regno (1269 a.C.): dopo aver lasciato nuovamente traccia del suo passaggio sul

Nahr el-Kelb, il faraone riconquistò Dapur e ampliò ulteriormente le sue conquiste ai danni di

Tunip per poi far rientro in Egitto.

In questo preciso istante, gli Ittiti si mossero e recuperarono nuovamente i territori siriani. Non

sappiamo per quanto tempo si sia protratta questa “disputa” fra i due avversari ma di certo la

strategia ittita dimostra che la casa reale di Hatti non aveva alcuna intenzione di impegnarsi in una

lotta in campo aperto contro l’antico rivale.

Bisognerà attendere l’anno diciottesimo di regno del faraone (1261 a.C.) per assistere ad un

imminente scontro fra i due antagonisti, questa volta causato dal rifiuto di Ramesse di consegnare al

nuovo re ittita Hattusili III (fratello di Muwatalli) il principe Urkhi-Teshub, figlio di Muwatalli,

intronizzato col nome di Murshili III e detronizzato poco dopo dallo stesso Hattusili. In tale

frangente, Kadashman-Turgu re di Babilonia offrì agli Ittiti il proprio appoggio militare

probabilmente per garantirsi nuovi territori ai danni degli Egiziani.

Lo scontro però non ebbe luogo e Ramesse ebbe tutto il tempo per riaffermare il suo potere sulla

valle del Giordano e di rientrare in Egitto per celebrare con grande enfasi i suoi successi (3). La

ragione del mancato confronto fra Egizi ed Ittiti è da attribuirsi probabilmente all’annessione del

regno di Mitanni, operata da Salmanassar I d’Assiria, che costituì un più serio pericolo per Hattusili

di quanto potesse rappresentare una nuova offensiva di Ramesse. Il gran re di Hatti preferì quindi

stipulare un trattato di pace con l’Egitto per riequilibrare la situazione e per ridimensionare le

velleità di conquista degli Assiri e dei Babilonesi. Nell’anno ventunesimo di regno di Ramesse

(1259 a.C.) il trattato di pace egizio-ittita chiuse definitivamente le ostilità in Siria occidentale ed

aprì una nuova era di prosperità, pace e cooperazione tra i due popoli.

NOTE AL CAPITOLO SESTO

1 – La cronologia qui adoperata è in sintonia con quella generalmente utilizzata dagli studiosi; tuttavia, come già

accennato per la battaglia di Qadesh, è da segnalare che in recenti contributi è stato ipotizzato che le campagne siriane

di Ramesse dopo la battaglia si siano svolte a partire dal 1283 a.C: cfr. Liverani 1994, 8 –11 con bibliografia; Cavillier

2002a.

2- Nel Pap.Anastasi I 22:6 è menzionata una fortezza ubicata nei dintorni di Hernam. Si tratta probabilmente di uno

degli avamposti ramessidi per la difesa del confine settentrionale della provincia di Upi: cfr. RITANC II, 43.

3 - Le imprese del faraone finora descritte non hanno avuto, nella storiografia egizia e orientalistica una fortuna

paragonabile a quella relativa alla battaglia di Qadesh. La suggestiva ipotesi di una rivincita egizia dopo la battaglia non

appare ancora sufficientemente provata, in quanto, molti dei siti conquistati dal faraone sono ancora di difficile

identificazione o risultano delle mere riproduzioni di toponimi elencati in monumenti di precedenti sovrani. Stante il

silenzio delle fonti ittite, le iscrizioni egizie di Nahr el-Kelb e di Beth-Shan alle quali si affiancano iscrizioni e rilievi

del Ramesseum, di Karnak e di Luxor al momento non permettono ulteriori chiarimenti sul reale svolgimento degli

eventi: Singer 1988; Weinstein 1981; RITANC II, 55-63; Redford 1992, 186 note 286-87; Cavillier 2001, 162-64;

Cavillier 2002a.

2

3

CAPITOLO SETTIMO: L’alleanza egizio-ittita

Il trattato

Sulle cause dell’alleanza egizio-ittita vi sono ancora incertezze; per grandi linee sappiamo che la

pace voluta da Hattusili III dopo sedici anni di lotta armata contro il faraone è essenzialmente

motivata da questioni di natura politica legate ad eventi di particolare rilevanza per il complesso

mosaico vicinorientale antico: la definitiva sottomissione del regno di Mitanni (o Mittani) da parte

degli Assiri (esorcizzata in un primo tempo mediante un trattato di alleanza con il re Kadashman-

Turgu di Babilonia ma non del tutto conclusa stante l’avversione da parte della casa reale

babilonese per gli Ittiti) e la delicata questione afferente alla legittimità del regno di Urhi-Teshup

spalleggiato dall’Egitto.

Nel momento però in cui i due antichi rivali decidono di stipulare il trattato di alleanza, fra le due

corti si stabilisce un’intensa e proficua corrispondenza epistolare (della quale possediamo solo

alcune missive) essenziale per stabilire modalità e clausole dell’importante strumento giuridico.

Abbiamo già accennato alla consuetudine ittita di stabilire trattati politici per sancire o rafforzare

alleanze con altri Stati di pari rango; di norma, il trattato prevedere un’“introduzione storica” nella

quale si evidenziano accuratamente le motivazioni alla base della redazione del documento, il

“giuramento” fra le parti con accurata elencazione degli obblighi e doveri reciproci e le “formule

conclusive”; eppure, il trattato che inaugura la pax heithitica e che ratifica l’alleanza egizio-ittita

non ha precedenti proprio per la sua valenza politica ed ideologica. È un evento che non solo

testimonia il diverso equilibrio di quelle forze che compongono il complesso mosaico politico

internazionale ma ha indubbi riflessi nella concezione egizia dei rapporti diplomatici; in un impero

tradizionalmente avverso all’idea della reciprocità tra il faraone e i “Grandi Re” asiatici (seppur

appellati “fratelli” nella corrispondenza), l’accettazione da parte egizia di questo particolare

strumento giuridico ittita può esser apparso, ad un certo momento, come una forzatura rispetto alle

tradizionali procedure della cancelleria reale. Ciò perché la stipula del trattato nella consuetudine

ittita comporta non soltanto la ricezione da parte egizia della tavoletta d’argento (quale supporto del

testo in accadico) ma la successiva resa pubblica contestuale ad una redazione speculare del trattato

(in geroglifico) da parte dello stesso ricevente da spedire presso la corte ittita.

Come per le fonti della battaglia, anche quelle afferenti all’alleanza provengono per la maggior parte

dall’Egitto; della versione ittita del trattato possediamo tre frammenti rinvenuti nell’archivio reale di

Hattusa, alla quale fa da idoneo riscontro una copia della tavoletta d’argento inviata dal faraone alla

corte ittita; il testo si compone di diciotto articoli e stranamente non riporta l’introduzione storica

ma “rilegge” gli eventi pregressi quasi in modo antistorico ponendo l’accento sulla fratellanza e

amicizia che ha contraddistinto i rapporti fra i due regni:

“Ora, per quanto riguarda il tempo di Muwatalli, Gran Re di Hatti, mio fratello, egli combatté (con

Ramesse), il Gran Re d’Egitto. Ma ora, da oggi, ecco, Hattusili […] (fa) un trattato per stabilire la

relazione che ha fatto Ra e che ha fatto Seth: la terra d’Egitto con la terra di Hatti, per prevenire le

ostilità che sorgano tra loro, per sempre. Ecco, Hattusili […] si lega per trattato a Ramesse […]

incominciando da oggi, per creare pace e buona fratellanza tra noi per sempre, essendo egli

amichevole ed in pace con me, ed io essendo amichevole e in pace con lui per sempre […].”

Nella versione egizia si dà invece un maggior impulso ai presupposti politici che hanno portato alla

pace: la contesa tra Sethi I, Ramesse II e Muwatalli, l’ascesa al trono di Hattusili (ora del tutto

legittima per l’Egitto) e le precedenti trattative diplomatiche, il tutto accuratamente attualizzato

mediante la specificazione della data di arrivo della tavoletta a Pi-Ramesse:

“Anno 21°, primo mese dell’inverno, giorno 21 […]. In questo giorno Sua Maestà si trovava nella

città di Pi-Ramesse […]. Lì giunsero (tre messaggeri reali egiziani) insieme con il Primo ed il

Secondo Messaggero Reale di Hatti, Tili-Teshub e Ramose, e il Messaggero di Karkemish Yapusili,

portando la tavoletta d’argento che il Gran Re di Hatti, Hattusili mandava al Faraone per chiedere

pace alla Maestà di Usimaatra.” (KRI, II, 226, 1-9)

La parte relativa agli obblighi reciproci in entrambe le versioni è particolarmente incisiva e si

estrinseca essenzialmente in un patto di non aggressione tra i due sovrani:

“Il Gran Re di Hatti non oltrepasserà mai i confini della terra d’Egitto per prendere alcunché da

essa. Ramesse […] non oltrepasserà i confini della terra di Hatti per prendere alcunché da essa. (KRI, II, 227, 15-228, 1)

nella riconferma dei trattati precedenti fra i due popoli:

“Per quanto riguarda il trattato permanente che era in vigore al tempo di Suppiluliuma […] e

ugualmente per il trattato che era in vigore al tempo di Muwatalli […] io ora vi aderisco. Ecco,

Ramesse […] (anche) vi aderisce. La pace che è diventata nostra insieme, iniziando da oggi, noi vi

aderiamo e agiremo secondo queste relazioni regolari. (KRI, II, 228, 1,15)

nella reciproca alleanza difensiva contro aggressioni esterne ed interne:

“Se un qualche altro nemico venisse contro i territori di Usimaatra […] ed egli inviasse una richiesta

al Gran Re di Hatti dicendo: «Vieni con me come alleato contro di lui !» allora il Gran Re di Hatti

agirà (con lui e) ucciderà i suoi nemici. Ma se il Gran Re di Hatti non sarà disposto ad andare

(personalmente) manderà le sue truppe e i suoi carri ed essi uccideranno i suoi nemici […].

Se un qualche altro nemico venisse contro l Gran Re di Hatti allora Usimaatra […] agirà come suo

alleato e ucciderà i suoi nemici. Ma se Ramesse non sarà disposto ad andare (personalmente)

manderà le sue truppe e i suoi carri in reciprocità per i territori di Hatti […] ” (KRI, II, 228, 1-20)

nell’eventuale supporto egiziano alla legittima successione al trono dopo la morte del sovrano

ittita:

“Osserva, all’erede di Hattusili, Gran Re di Hatti, sia assicurata la sovranità sul paese di Hatti dopo

Hattusili, suo padre, dopo i numerosi anni di regno di Hattusili, Gran Re di Hatti. Se i figli del paese

di Hatti trasgrediranno contro lui, allora Ramesse invierà le sue truppe e i suoi carri in suo aiuto.”

e al rimpatrio dei fuggiaschi di qualsiasi rango e posizione ai quali è riservato un trattamento

dignitoso:

“Se un Egiziano, o due, o tre, fuggiranno e andranno dal Gran Re di Hatti, il Gran Re di Hatti li

prenderà e li restituirà a Ramesse, Gran Re d’Egitto. Per quanto riguarda la persona riportata a

Ramesse, Gran Re d’Egitto, che il suo sbaglio non gli venga fatto pagare: la sua casa, le sue mogli o

i suoi figli non vengano distrutti, egli non venga ucciso. Non siano fatte mutilazioni ai suoi occhi, alle

sue orecchie, alla sua bocca o alle sue gambe, non gli venga imputato alcun crimine.

Ugualmente, se un Ittita, o due, o tre, fuggiranno e andranno dal Gran Re d’Egitto, il Gran Re

d’Egitto li prenderà e li restituirà ad Hattusili, Gran Re di Hatti. Per quanto riguarda la persona

riportata ad Hattusili, Gran Re di Hatti, che il suo sbaglio non gli venga fatto pagare: la sua casa, le

sue mogli o i suoi figli non vengano distrutti, egli non venga ucciso. Non siano fatte mutilazioni ai

suoi occhi, alle sue orecchie, alla sua bocca o alle sue gambe, non gli venga imputato alcun

crimine.” (KRI, II, 231, 1-20)

Il trattato viene così sancito con la testimonianza degli dèi egizi e ittiti:

“Ora, riguardo ai termini del trattato che il Gran Re di Hatti ha concluso con Ramesse, Gran Re

d’Egitto, essi sono scritti su questa tavoletta d’argento. Riguardo a questi termini, mille dèi maschi e

femmine che appartengono ad Hatti insieme a mille dèi maschi e femmine che appartengono

all’Egitto sono con me come testimoni e hanno udito questi termini (essi sono:)

Il Dio-Sole Signore del Cielo, la Dea-Sole della città di Arinna, il Dio della Tempesta Signore del

Cielo, il Dio della Tempesta di Hatti di Arinna; gli Dèi (della) Tempesta di Zippalanda, Pittiyarik,

Hissaspa, Saressa, Aleppo, Lihizina, Huruma, Nerikka, Sapinuwa […], Astarte di Hatti […] la

Signora di Karanha, la Signora del Campo di Battaglia, la Signora di Ninive, […] la Regina del

Cielo; gli Dèi, Signori del Giuramento […] i Fiumi della Terra di Hatti; gli Dèi di Kizzuwatna

Amon, Ra e Seth; gli dèi maschi e femmine; i fiumi e le montagne della terra d’Egitto; il Cielo, la

Terra, il Grande Mare, il Vento, le Nuvole di Tempesta.” (KRI, II, 229, 13; 230,1-13)

Il trattato si conclude con le consuete formule atte a dare legittimità e ad ammonire eventuali

trasgressori:

“Riguardo ai termini incisi sulla tavoletta d’argento per Hatti e per l’Egitto:

Chi non li rispetterà, i mille dèi di Hatti insieme ai mille déi d’Egitto distruggeranno le sue case, il

suo paese e i suoi servi.

Chi rispetterà i termini (scritti) su questa tavoletta d’argento, Ittita o Egiziano […] i mille dèi di

Hatti insieme ai mille déi d’Egitto lo renderanno prospero, lo faranno vivere, con le sue case, il suo

paese ed i suoi servi.” (KRI, II, 230, 14; 231, 2)

La copia egizia del trattato presenta un prezioso colofone posto alla fine del documento contenente

una descrizione minuziosa dei sigilli di Stato presenti su entrambi i lati della tavoletta ittita; ciascun

sigillo, di forma circolare, reca al centro l’immagine del sovrano (o della regina) e della divinità

tutelare (Dio della Tempesta o Dea-Sole di Arinna) e sul bordo un’iscrizione cuneiforme; la

cancelleria reale ramesside tuttavia non si esime dall’‘egizianizzare’ gli dèi stranieri, identificando il

Dio della Tempesta con Seth e la Dea-Sole di Arinna con Ra:

“Quello che è nel mezzo della tavoletta d’argento, nella sua faccia anteriore: figura di Seth (Dio

della Tempesta) che abbraccia l’immagine del Gran Re di Hatti, circondata sul margine iscritto come

segue: ‘Sigillo di Seth (Dio della Tempesta), Signore del Cielo; Sigillo del trattato che ha fatto

Hattusili Gran Re di Hatti, il forte, figlio di Mursili, Gran Re di Hatti, il forte’. Quello che è

all’interno del bordo della raffigurazione: Sigillo di Seth (Dio della Tempesta), Signore del Cielo.”

Quello che è nel mezzo dell’altra faccia: figura della Dea di Hatti che abbraccia l’immagine della

Grande (Regina) di Hatti, circondata sul margine iscritto come segue: ‘Sigillo del Dio-Sole di

Arinna, Signore della Terra; Sigillo di Pudukhepa, la Grande (Regina) del paese di Hatti, la figlia

del paese di Kizzuwatna la [sacerdotessa?] del Dio-Sole (?) di Arinna, la Signora della Terra, la

servitrice della dea’. Quello che è all’interno del bordo della raffigurazione: Sigillo del Dio-Sole di

Arinna, Signore di ogni terra”. (KRI, II, 232, 2-15)

Il matrimonio

Le implicazioni di natura cerimoniale e politica legate alla stipula del trattato furono davvero

notevoli e non mancarono di far sentire il loro peso in tutto il mondo vicinorientale; in tutti i territori

ittiti ed egiziani si susseguirono feste e celebrazioni dell’evento e tra le due corti reali si stabilì una

corrispondenza epistolare piuttosto fervida che ebbe anche il pregio di avvicinare l’Egitto alle

consuetudini ittite, come, ad esempio, il riconoscimento della figura della sposa reale quale

“consorte” del sovrano e perciò dotata di un similare arbitrio nelle questioni diplomatiche. È una

situazione che, a conti fatti, deve aver turbato non poco la tradizionale sensibilità egizia più

orientata verso la figura del faraone quale unico protagonista della vita politica del paese. Stanti

tuttavia talune motivazioni di natura prettamente politica alla base del trattato di pace, è ragionevole

ipotizzare che la cancelleria egiziana in questo delicato frangente non ebbe particolari problemi ad

adeguarsi ad una simile consuetudine, come si evince, ad esempio, dalla missiva che la regina

Nefertari inviò alla regina ittita Pudukhepa:

“Così dice Naptera [Nefertari in babilonese] la Grande Regina d’Egitto: «A Pudukhepa, la Grande

Regina di Hatti, mia sorella, parlo così:

Da me, tua sorella, va tutto bene; nel mio paese va tutto bene. Che possa andar bene anche da te,

sorella mia; che tutto possa andar bene nel tuo paese ! Ora, vedi, ho preso nota che tu, sorella mia,

mi hai scritto per informarti della mia buona salute. E che tu mia hai scritto riguardo alle (nuove)

relazioni di buona pace e fratellanza che esistono tra il Gran Re, re d’Egitto, e suo fratello il Gran

Re, re di Hatti.

Possano il Dio-Sole (d’Egitto) ed il Dio della Tempesta (di Hatti) portarti gioia; il Dio-Sole faccia

sì che la pace sia buona e dia buona fratellanza al Gran Re, re d’Egitto, con suo fratello il Gran

Re, re di Hatti, per sempre. E (ora) io sono in relazione di amicizia e di sorellanza con mia sorella,

la Grande Regina (di Hatti), ora e per sempre»”. (Kbo 1.29+9.14).

A corredo delle missive, secondo la consuetudine del tempo, le due corti inviarono cospicui doni

(gioielli, abiti e materie prime) atti a testimoniare concretamente l’impegno diplomatico conseguito;

ma i rapporti egizio-ittiti andarono ben oltre: nell’anno ventitreesimo del regno di Ramesse II,

Hattusili offrì sua figlia in sposa al faraone per suggellare l’alleanza tra le due potenze e il

matrimonio venne celebrato in tutto l’Egitto e redatto in varie copie per i principali templi del

paese; nel documento sono riportate accuratamente tutte le fasi del lieto evento, seguite da entrambe

le corti con evidente apprensione:

“Anno 34, sotto la Maestà dell’Alto e Basso Egitto Usermaatra-Setepenra Ramesse […].

Inizio della splendida celebrazione […].

Si venne per recar gioia a Sua Maestà dicendo: «Ecco, il Gran Re di Hatti ha inviato la sua figlia

maggiore, con un ricco tributo, essi ricolmano le strade (?) la principessa con i grandi del paese di

Hatti, portandolo. Essi hanno attraversato montagne remote e passi difficili ed ora hanno raggiunto

il confine della Tua Maestà. Che l’esercito e i funzionari vadano ad accoglierli !».

Così Sua Maestà si rallegrò […] quando sentì di questo meraviglioso avvenimento […]. Egli inviò

rapidamente l’esercito e i funzionari a riceverli […].

Ecco, quando la figlia del Gran Re di Hatti entrò in Egitto, le truppe, i carri e i funzionari di Sua

Maestà la scortarono, undendosi alle truppe, ai carri e ai funzionari di Hatti […].

Mangiarono e bevvero insieme, uniti come fratelli, nessuno respingeva il suo compagno, vi erano

pace ed amicizia tra di loro, secondo il volere del dio stesso, Ramesse.

Ora quando il corteo raggiunse Pi-Ramses essi ricevettero celebrazione […] nell’anno 34, terzo mese

dell’inverno, del re dell’Alto e Basso Egitto Usermaatra-Setepenra Ramesse. Poi la figlia del Gran

Re di Hatti venne introdotta alla presenza di Sua Maestà con grande e ricco tributo al seguito, senza

limite, con ogni genere di cose. Allora Sua Maestà la contemplò, come una bella d’aspetto, prima fra

le donne; i grandi (la onorarono come ?) una vera dea […]. Ella era bella agli occhi di Sua Maestà

ed egli l’amò più di ogni cosa […]. Il suo nome egiziano fu stabilito così: Sposa reale Maat-Hor-

Nefrure […] venne installata nel palazzo reale ed accompagnava il sovrano ogni giorno, il suo nome

era proclamato in tutto il paese […].” (KRI, II, 235-4; 255, 3)

L’intronizzazione a Pi-Ramesse della nuova regina d’Egitto (il cui nome era “Colei che appartiene

ad Horo, splendore visibile di Ra”) avviò un periodo di stringente cooperazione fra i due imperi,

tant’è che attestata una visita in Egitto del principe ereditario ittita Hishmi-Sharruma (futuro

Tuthkaliya IV), e forse successivamente, quella del Gran Re ittita, come si evince da una missiva di

Ramesse ad Hattusili:

“«Il Dio-Sole (dell’Egitto) e il Dio della Tempesta (di Hatti) faranno sì che mio fratello veda suo

fratello; e che mio fratello possa seguire questo buon consiglio di venire qui e di vedermi. E allora

siederemo l’uno di fronte all’altro, nel luogo dove il re (Ramesse) siede in trono. Così io andrò in

Canaan per incontrare mio fratello, e vederlo, faccia a faccia e riceverlo nella mia terra !».”

La pax heithitica costituì forse il risultato più vero e duraturo della contesa egizio-ittita per il

dominio dell’Asia; a voler però guardare le cose più da vicino, nell’ottica dei protagonisti, ci si

accorge che proprio quei convulsi e drammatici avvenimenti sui campi di battaglia, di là

dall’esprimere e testimoniare l’eroismo dei condottieri, funse invero da ideale presupposto per la

risoluzione della lotta e l’avvio delle relazioni diplomatiche fra i due potenti imperi.

APPENDICE

Bollettino

1.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

8.

9.

10.

11.

12.

13.

14.

15.

16.

17.

18.

19.

20.

21.

22.

23.

24.

25.

26.

27.

28.

29.

30.

31.

32.

33.

34.

35.

36.

37.

38.

39.

40.

41.

42.

43.

44.

45.

46.

47.

48.

49.

50.

51.

52.

53.

Traslitterazione

1. @At-sp 5 Abd 3(-nw) n ^mw sw 9 xr Hm n Ra-@r kA nxt mry MAat nsw-bit Wsr-MAat-Ra ¤tp-n-Ra ¤A Ra Ra-ms-sw mry Imn di anx Dt

2. Ist Hm.f Hr ©hy m wDyt.f snwt nt nxt rsw nfr m anx wDA snb m imAw n Hm.f Hr Tst rst nt QdS 3. m-xt nn Hr tr n dwAyt xa(t) Hm.f mi wbn Ra [Ssp].n.f Xkrw nw it.f MnTw 4. wDA nb m xd spr r [Hm.f] hAw rsy dmi n ^btn Iy.in ^sw 2 nA n 5. mhwt ^sw r Dd n Hm.f m nAy.n snw nty m aAw n mhwt m-di pA xrw n #t 6. di iwt.n n Hm.f r Dd iw.n r irt bAkw n Pr-aA anx wDA snb mtw.n rwi.n m-di pA xrw n #t 7. Dd.in Hm.f n.sn st Tnw nAy.tn snw di iw.tn r Dd pAy sxr n Hm.f Dd.in.sn n Hm.f st 8. m pA nty pA wr Xsy n #t im pA wn pA xrw n #t m pA tA n #rb Hr mHt &wnp snD.f 9. n Pr-aA anx wDA snb r iyt m xntw Dr sDm.f r Dd Pr-aA anx wDA snb iw m xd Ist D dnA ¥sw 10. nAy mdwt Dd.sn n Hm.f m aDA iw m pA xrw n #t di iwt.sn r ptr pA nty Hm.f im n ib n tm 11. dit Hr sw pA mSa n Hm.f r aHA Hna pA xrw n Ist pA xrw n #t di iwt nAw ^sw r Dd nAw mdwt n Hm.f 12. iw.f iw Hna mSa.f nt-Htrw.f Hna wrw n tA nb nty m tww n pA tA n #t 13. mSa.w nt-Htrw.w in.n.f m-di.f m nxtw r aHA Hna mSa n Hm.f aHa grg Hr 14. n-HA QdS tA isy iw n rx Hm.f r-Dd st im wSd pA ^sw 2 nty m-bAH 15. nat Hm.f m xd spr r mHt imnty QdS wAH ihw n mSa n Hm.f im snDm Hm.f Hr isbt nt Damw Hr 16. mHty QdS Hr tA rit imntt nt IrnT Iyt.in HApytw nty m Smsw Hm.f Xr HApytw 2 n

17. pA xrw n #t sTA.w m-bAH Dd.in Hm.f n.sn nttn ix Ddt.n.sn tw.n pA wr n #t 18. ntf di iwt.n r ptr pA nty Hm.f im Dd.n Hm.f n.sn sw tnw ntf pA xrw n #t mk 19. sDm.i r-Dd sw m pA tA n #rb Hr mHt &wnp Dd.n.sn n Hm.f ptr pA 20. wr Xsy n #t iw Hna xAswt qnw nty Hna.f in.n.f m-di.f m nxtw pA tA n _rdny pA tA n Nhrn 21. pA KSkS nA Ms nA Pds pA tA n QrqS Hna Rk pA tA n KrkmS 22. pA tA n IrTw pA tA n IkrT pA Irwn pA tA n Ins MwSnt QdS #rb pA tA n Qd r-Dr.f 23. st apr Xr mSa.w Hna nt-Htrw Xr nAy.sn xaw nw r-a-xt 24. aSAw st r Sa wDbw pt st aHaw Hr r aHA n-HA QdS tA ist 25. aHa.n rdi.n Hm.f aS.tw srw m-bAH r dit sDm.sn mdwt nbt Dd.n pA HApytw 2 n 26. pA xrw n #t nty m-bAH Dd.in Hm.f n.sn ptr.tn pA sxr nty 27. nAw imy-r xAswt Hna nA wrw n nAw tAw n Pr-aA anx wDA snb im.f ir.sn aHa Hr Dd n Pr-aA anx wDA snb tnw

hrw 28. pA wr Xsy n #t m pA tA n #rb Hr mHt &nwp sw war r-HAt Hm.f Dr sDmw.f r-Dd mk Pr-aA anx wDA snb 29. iw xr.sn Hr Dd n Hm.f m-mnt ptr ir.i sDm m tAy wnwt m-di pAy HApytw 2 n pA xrw n #t 30. r-Dd pA xrw Xsy n #t iw HnaxAswt aSA nty Hna.f m rmT ssmwt qnw mi pA Sa ptr st aHa qAp 31. n-HA QdS tA ist iw bw rx nA imy-r xAswt Hna nAy.i wrw nty nA tAw n Pr-aA anx wDA snb r-xt.sn 32. Dd n.n st iw Dd.n srw nty m-bAH wSb.sn n nTr nfr r-nty btA aA pA irw nA imy-r xAswt 33. Hna nA wrw n Pr-aA anx wDA snb pA tm dit smt.tw n.sn r pA nty pA xrw n #t m pA nty nb sw im 34. mtw.sn Dd smi.f n Pr-aA anx wDA snb m-mnt aHa.n rdi m Hr n TAty r As mSa n Hm.f 35. iw.sn Hr mSaHr wAt rsy dmi n ^btn r int.w r pA nty Hm.f im 36. ist wnn Hm.f snDm Hr mdt m-di srw iw pA xrw Xsy n #t iw Hna mSa.f nt-Htrw.f 37. m-mitt xAswt aSAt nty Hna.f Day.sn tA mSdt nty Hr rsy n QdS aHa.n.sn 38. aq m-Xnw pA mSa n Hm.f iw.sn Hr mSa iw bw rx.sn aHa.n bdS.n pA mSa 39. nt-Htrw n Hm.f r-HAt.sn m xd r bw nty Hm.f im aHa.n inH

40. pA xrw n nA n xrw n #t nA Smsw n Hm.f nty r-gs.f aHa.n gmH st Hm.f wn.in.f Hr 41. aHa As aHa.n.f xar r.sn mi it.f MnTw Ssp.n.f Xkrw aHA TAy.f 42. sw m pAy.f Tryn sw mi ¤wtx m At sxm.f aHa.n.f Ts r nxtw m WAst 43. pAy.f Htr aA iw.f Hr xrp As waw Hr-tp.f Hm.f sxm ib.f wmty n rx.tw aHa 44. r-HAt.f w.f nb Hr rkH xt wdb.n.f xAst nbt m hh.f irty.f(y) HsAy Dr mA.f st 45. bAw.f Hr nbyt mi xt r.sn n Dar.n.f HH m xAstyw ptr.f st mi dHA 46. iw Hm.f Hr aq m-Xnw pA xrw n nA n xrw n #t Hna xAswt aSAt nty Hna.sn 47. iw Hm.f mi ¤wtx aA pHty mi ¤xmt m At nSny.s iw Hm.f Hr Xdb pA xrw n 48. pA xrw Xsy n #t r-Dr.f Hna nAy.f snw r-Dr.w m-mitt wr nb n xAswt nbt iy Hna.f 49. mSa.w nt-Htrw.w xr Hr Hr.sn m wa Hr wa.iw Hm.f Hr smA st m st.sn iw.sn m gbgbt 50. r-HAt ssmwt.f iw Hm.f waw n ky Hna.f wn.in Hm.f Hr dit hA pA xrw n nA n xrw n #t 51. Hr Hr.sn m wa Hr wa m hA msHw r pA mw nw IrnT iw.i m-sA.sn mi axx hd.i xAswt nbt 52. iw.i wa.kwi iw xAa wi pAy.i mSa tAy.i nt-Htrw bw aHa wa im.sn anw anx n.i mr wi Ra 53. Hsi wi it.i Itm ir sxr nb Dd.n Hm.i ir.i st m mAat m-bAH mSa.i nt-Htrw.i

Traduzione

(1) Anno 5°, mese 3° della stagione di Shomu, giorno 9 sotto la Maestà di Ra-Horo, Toro possente,

amato da Maat, Re dell’Alto e Basso Egitto, Usermaatra SetepenRa, figlio di Ra, Ramesse, amato

da Amon cui sia data vita in eterno. (2) Ora, Sua Maestà era in Djahy (Siria) per la sua seconda

campagna di vittoria. Un felice risveglio in vita, prosperità e salute nella tenda di Sua Maestà nelle

colline a sud di Qadesh. (3) Ora dopo questo, al mattino Sua Maestà apparve, come Ra sorge, e

assunse le sembianze di suo padre Montu. (4) Il Signore allora procedette verso nord e raggiunse

l’area a sud della città di Shabtuna. Allora due Shasu delle (5) tribù Shasu vennero a riferire a Sua

Maestà: “Sono i nostri fratelli, che sono i capi delle tribù al seguito del nemico di Hatti (6), che ci

hanno inviato a Sua Maestà per dire che agiranno al servizio del faraone - in vita, prosperità e salute

– noi abbiamo disertato dal nemico di Hatti” (7). Allora Sua Maestà disse loro: “Dove sono essi, i

vostri fratelli che vi hanno ordinato di venire e di dire alla Sua Maestà queste cose ?” ed essi dissero

a Sua Maestà: “essi (8) sono nello stesso luogo ove è il vile capo di Hatti, il nemico di Hatti è nel

paese di Aleppo a nord di Tunip. Egli ha paura (9) del faraone - in vita, prosperità e salute – per

venire a sud da quando ha sentito che il faraone - in vita, prosperità e salute – è venuto a nord”. Ma

gli Shasu (10) che dissero queste parole avevano ingannato Sua Maestà perché era il nemico di Hatti

che li aveva inviati per vedere dove Sua Maestà fosse per esser sicuro di non (11) lasciare che

l’esercito di Sua Maestà fosse pronto a combattere con lui (lit. nemico di Hatti). Ora, il capo di

Hatti aveva inviato gli Shasu per dire queste cose a Sua Maestà (12) avendo egli portato con se il

suo esercito e i suoi carri insieme ai capi di ogni paese che erano nei confini del suo paese (lit.di

Hatti) (13), i loro eserciti e i loro carri che egli aveva portato con se come alleati per combattere con

l’esercito di Sua Maestà. (Egli sta) pronto ed equipaggiato dietro (14) Qadesh antica e Sua Maestà

non sapeva ove essi fossero. I due Shasu che erano al reale cospetto furono portati via (15). Sua

Maestà procedette verso nord, arrivando a nord-ovest di Qadesh. Il campo dell’esercito di Sua

Maestà fu posizionato lì e Sua Maestà si sedette sul suo trono di elettro a (16) nord di Qadesh sulla

riva ovest dell’Oronte. Allora giunse un esploratore della guardia di Sua Maestà avendo catturato

(lit.portato) due esploratori del (17) nemico di Hatti ed essi vennero introdotti al reale cospetto. Sua

Maestà disse loro: “chi siete ?”. Essi risposero “noi seguiamo il capo di Hatti (18) che ci ha inviati

per scoprire ove Sua Maestà è”. Sua Maestà disse loro: “dov’è lui, il nemico di Hatti ? (19) mi

avevano riferito che era nel paese di Aleppo a nord di Tunip”. Essi dissero a Sua Maestà: “guarda,

il (20) vile capo di Hatti è venuto insieme con molti paesi stranieri che erano con lui e che egli ha

portato con se come alleati: il paese di Dardani, il paese di Naharina (21), di Kashka, di Masa, di

Pidasa, quello di Kerkesh, quello di Lukka, quello di Karkemish (22), quello di Arzawa, quello di

Ugarit, di Arwanna, quello di Inasa, Mushanet, Qadesh, Aleppo, quello intero di Qode (23). Essi

sono pronti con i loro soldati e carri equipaggiati con le loro armi da combattimento (24). Essi sono

molto più numerosi della sabbia della spiaggia, guarda, essi sono equipaggiati, pronti a combattere,

dietro Qadesh antica”.(25)

Allora Sua Maestà convocò i (suoi) ufficiali al reale cospetto per fargli udire tutte le parole dette dai

due esploratori del (26) capo di Hatti che erano al reale cospetto. Sua Maestà disse loro: “osservate

ciò in cui (27) i governatori dei paesi stranieri e i capi dei paesi del faraone - in vita, prosperità e

salute – sono (coinvolti). Essi hanno riferito al faraone - in vita, prosperità e salute – ogni giorno

(28): ‘il vile capo di Hatti è nel paese di Aleppo a nord di Tunip ed egli è fuggito dinnanzi a Sua

Maestà quando ha udito: Vedi, il faraone - in vita, prosperità e salute – (29) è arrivato !’ ecco ciò

che essi dissero a Sua Maestà ogni giorno. (Ma) vedete io ho udito in questa (stessa) ora da questi

due esploratori del nemico di Hatti (30) che il vile capo di Hatti è venuto con molti paesi che sono

con lui, con uomini e cavalli, numerosi come la sabbia. Vedete, essi stanno nascosti (31) dietro

l’Antica Qadesh. I governatori dei paesi stranieri e i miei alti ufficiali, sotto la cui responsabilità

sono i territori del faraone - in vita, prosperità e salute – non sono stati capaci di (32) dirmi che essi

(gli Ittiti) sono venuti !”.

Allora gli alti ufficiali che erano al reale cospetto risposero al Signore (lit.buon dio) così: “(questo

è) un grande crimine che i governatori dei paesi stranieri (33) e gli alti ufficiali del faraone - in vita,

prosperità e salute – hanno fatto (commesso), non riferendo ad essi sul capo di Hatti, ovunque egli

fosse (34) facendo rapporto al Faraone - in vita, prosperità e salute – giornalmente.” Allora il visir

fu incaricato di sollecitare l’esercito di Sua Maestà (35); essi erano in marcia sul sentiero a sud della

città di Shabtuna per portarsi ove Sua Maestà era (36). Mentre Sua Maestà era assiso, parlando con

gli ufficiali, il vile capo di Hatti venne con il suo esercito e i suoi carri (37) e con i numerosi paesi

stranieri che erano con lui; essi attraversarono il ponte a sud di Qadesh. Allora essi (38) entrarono

n(ei ranghi d)ell’esercito di Sua Maestà mentre essi marciavano ignari e non pronti (alla battaglia);

allora fuggì l’esercito (39) e i carri di Sua Maestà dinnanzi a loro (gli Ittiti), mentre essi marciavano

verso nord ove era Sua Maestà. Allora gli sconfitti (lit.le forze) (40) del capo di Hatti circondarono

i combattenti di Sua Maestà che erano nella sua direzione (lit.accanto a lui). Allora Sua Maestà li

vide (41), risorse immediatamente e reagì contro di essi come suo padre Montu, assunse gli

ornamenti da guerra (42), indossò velocemente la sua corazza ed era come suo padre Seth nel

momento del suo furore. Allora egli montò ‘Vittoria in Tebe’ (43), il suo grande carro, e si lanciò

alla carica. Sua Maestà era possente, il suo cuore era forte e nessuno era capace di stare (44)

dinnanzi a lui. Ogni suo territorio (fu distrutto) con il fuoco, egli bruciò ogni paese straniero con la

sua fiamma, i suoi occhi erano fieri nel guardare essi (i paesi) (45) e la sua potenza ardeva come

fuoco contro di essi. Egli non si cura dei milioni di (paesi) stranieri e li considera (lit.guarda) come

fuscelli (46). Sua Maestà penetrò (lit.entrò nel mezzo) nelle forze (lit.caduti) del capo di Hatti

insieme con i numerosi paesi stranieri che erano con loro (47). Sua Maestà era come Seth grande di

potenza, come Sekhmet nel momento della sua furia. Sua Maestà massacrò le forze (lit.caduti) del

(48) vile capo di Hatti, insieme con tutti i suoi grandi capi e fratelli e tutti i sovrani di tutti i paesi

stranieri che erano venuti con lui (49); le sue truppe e i suoi carri caddero sulle loro facce, uno

sull’altro. Sua Maestà li massacrò nei loro posti ed essi caddero precipitosamente (50) dinnanzi ai

loro cavalli; Sua Maestà era solo, nessuno era con lui. Allora Sua Maestà fece che le forze

(lit.caduti) del vile capo di Hatti (51) cadessero sulle loro facce, uno sull’altro, come i coccodrilli

immersi nelle acque dell’Oronte; io ero dietro loro come un grifone, quando attaccai ogni paese

straniero (52), tutti da solo, il mio esercito e i miei carri mi avevano abbandonato, nessuno di essi

rimase o tornò indietro. (53) Come io vivo e Ra mi ama e mio padre Atum mi prega, per ogni cosa

detta dalla Mia Maestà io la feci veramente dinnanzi al mio esercito e i miei carristi.

Poema

1.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

8.

9.

10.

11.

12.

13.

14.

15.

16.

17.

18.

19.

20.

21.

22.

23.

24.

25.

26.

27.

28.

29.

30.

31.

32.

33.

34.

35.

36.

37.

38.

39.

40.

41.

42.

43.

44.

45.

46.

47.

48.

49.

50.

51.

52.

53.

54.

55.

56.

57.

58.

59.

60.

61.

62.

63.

64.

65.

66.

67.

68.

69.

70.

71.

72.

73.

74.

75.

76.

77.

78.

79.

80.

81.

82.

83.

84.

85.

86.

87.

88.

89.

90.

91.

92.

93.

94.

95.

96.

97.

98.

99.

100.

101.

102.

103.

104.

105.

106.

107.

108.

109.

110.

111.

112.

113.

114.

115.

116.

117.

118.

119.

120.

121.

122.

123.

124.

125.

126.

127.

128.

129.

130.

131.

132.

133.

134.

135.

136.

137.

138.

139.

Traslitterazione

1. ¡At-a m pA nxtw n nsw-bit Wsr-MAat-Ra ¤tp-n-Ra ¤A Ra Ra-ms-sw mry Imn di anx Dt ir.n.f m pA tA n ¢t Nhrn m

2. pA tA n IrTw m Pds m pA _rdny m pA tA n Ms m pA tA n QrqS 3. Hna Rk m KrkmS Qd tA n QdS m pA tA n IkrT MSnt ist Hm.f m nb 4. rnpw pr-a iwty sn-nw.f xpSwy.f y wsrw ib.f wmt pHty.f mi MnTw m At.f nfr Abwt mi Itm 5. Haa.tw n mAA nfrw.f wr nxtw Hr xAswt nbt n rx.tw Ssp.f r aHA sbty Dr m rk mSa.f pAy.sn

6. qra hrw n aHA TAw-pDt n mitt.f qn sw r Hfnw dmD Smw n Hr.f aqw m aSAt iw ib.f 7. mH m pHty.fy sxm HAty m wnwt Hw-ny-r-Hr mi xt m tr.s n wnn mn ib mi kA Hrw Hr 8. bAwy bw xmt.n.f tA nb dmD bw rx s xA smnt r-HAt.f Hfnw bdS n ptr.f nb snDt aA

9. hmhmt m HAty nw tAw nbw wr Sfty wsr fAw mi ¤wtx [Hr tp Dw tnr/Hr (?)] m ib n xAstyw mi mAi 10. HsA m int iAwt wD m qnt iy Hb.n.f xft-Hr n Dd m aba mnx sxrw nfr tp-rd gm.tw m 11. tAy.f wSbyt tpt ^d mSa.f hrw aHA nxw aA n tAy.f nt-Htri in Smsw.f nHm mnfAyt.f 12. iw ib.f mi Dw n Hmt nsw-bit Wsr-MAat-Ra ¤tp-n-Ra ¤A Ra Ra-ms-sw mry Imn di anx ist rf spdd.n Hm.f pAy.f

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48. r tm irt.w m pAy.k wbA qd.i n.k bxnwt aAw saHa.n.i nAy.sn snwt Ds.i in.n.i n.k txnw m Abw 49. iw ink ir may inr stA.i n.k mnSw m wAD-wr r xnt n.k bAkt xAswt ix kA.tw xpr sp Srf r 50. pA nty Hr hn.f n pAy.k sxr ir nfr n pA nty Hr ip.k k Air.tw n.k m ib mrr aS.n.i n.k it.i Imn iw.i m Hry-ib 51. aSAwt n rx.i st xAswt nbt dmD.sn r.i iw.i wa.kwi Hr-tp.i n ky Hna.i iw xAa wi pAy.i mSa aSA 52. bw nw.n wa r.i m tAy.i nt-Htri wnn.i Hr sgbw n.sn bw sDm.n n.i wa im.sn iw.i Hr aS 53. gm.n.i Ax n.i Imn r HHw n mSaw r Hfnw m nt-Htri r s Dba n sn Hr Xrdw iw.sn dmD m ib wa 54. bn kAt n rmT qnw Ax Imn r.sn pH.n.i nAw Hr sxr n r.k Imn bw sny.i pAy.k sxr ist irr.i 55. smAaw m pHwy xAswt iw xrw.i pXr m Iwnw Smaw gm.n.i Imn iw Dr aS.i n.f di.f n.i Drt.f Hna.i tw.i 56. Ha.kwi aS.n.f n-HA.i m Hr r Hr n Hr.k tw.i Hna.k in kit.k Drt.i m-di.k Ax.kwi r Hfnw

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Ra 126. sA Ram Ai nb xpS Ra-ms-sw mry Imn di anx Dt Dd bAk im di.f rx.tw r-nty ntk sA Ra pr m Haw.f diw.f n.k tAw

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Ra 139. tAw nbw xAswt nbt xr Xtbw Xr Tbwty.f<y> r nHH Hna Dt

Traduzione

(1) “Cominciando della vittoria del re Usermaatra-Setepenra Ramesse, cui sia data vita in eterno,

che ottenne contro il paese di Hatti, Naharina, contro (2) il paese di Arzawa, contro Pidassa, (e)

contro il (paese di) Dardanya, contro il paese di Masa, contro il paese di Qarqisha (3) e Lukka;

contro Karchemish, Qode (e) il paese di Qadesh, contro il paese di Ugarit (e) Mushnatu.

Ora, Sua Maestà era un Signore (4) giovane, attivo e senza eguali. Le sue braccia possenti, il suo

cuore forte, la sua potenza come Montu nel suo momento, perfetto di forma come Atum (5) alla

visione della sua bellezza ci si riallieta, grande di vittorie in ogni paese straniero, uno che è

sempre pronto al combattimento (lit. che non sa quando combatterà), una forte muraglia attorno

al suo esercito (6) il loro scudo nel giorno della battaglia, un arciere senza eguali, egli è valoroso

più di centinaia di migliaia tutti insieme, uno che avanza alla testa e carica nelle moltitudini, il

suo cuore (7) pieno di potenza, forte di cuore nell’ora del combattimento, come il fuoco nel suo

tempo di esaurimento, stabile di cuore come un toro terribile sul (8) campo di battaglia. Egli non

teme (lit.non pensa a) tutti i paesi, un migliaio di uomini non sa come opporsi (lit. stare saldo

dinnanzi) a lui, centinaia di migliaia svengono alla sua vista. Signore del timore, grande (9) dal

grido di guerra nel cuore di tutti i paesi, grande di maestà, ricco di splendore come Seth [sulla

cima dell’altura (?)], possente nel cuore degli stranieri come un leone (10) selvaggio in una valle

di bestiame. Uno che parte valoroso e ritorna quando ha trionfato secondo il suo disegno, senza

parlare vanagloriosamente, eccellente di piani e ottimo di istruzioni, uno che trova (ciò che è

necessario) nella (11) sua prima risposta. Uno che libera il suo esercito nella battaglia, grande

campione della sua carreria, uno che riporta (salva) la sua guardia e che salva la sua fanteria (12).

Il suo cuore è come una montagna di rame, il re dell’Alto e Basso Egitto Usermaatra-Setepenra,

figlio di Ra Ramesse amato da Amon, cui sia data vita.

Ora, Sua Maestà preparò la sua fanteria (13) ed i suoi carri (e i) guerrieri Shardana che Sua

Maestà aveva catturato e riportato con il suo potente braccio; essi ricevettero le armi (14) e i

piani di battaglia. Ora, Sua Maestà procedette verso nord con la sua fanteria e i suoi carri e, dopo

una partenza senza ostacoli (15) nell’anno quinto, nel secondo mese dell’estate, giorno nono, Sua

Maestà passò la fortezza di Tjarw, forte come Montu quando avanza. Tutti i paesi tremarono

dinnanzi a lui (16) e i loro capi portarono tributo; tutti i ribelli si sottomisero per paura

dell’autorità di Sua Maestà; il suo esercito marciava (17) sui sentieri come se marciasse sulle

strade d’Egitto.

Qualche tempo dopo, Sua Maestà era in ‘Usermaatra-Meriamon la città’ (18) che è nella Valle

delle Conifere. Sua Maestà procedette verso nord. Ora quando Sua Maestà giunse il ponte di

Qadesh, allora Sua Maestà marciava diritto (19), come suo padre Montu signore di Tebe ed

attraversò il guado del (fiume) Oronte con la prima divisione di Amon che dà vittoria ad

Usermaatra-Setepenra (20). Allora Sua Maestà giunse alla città di Qadesh.

Ora, il vile caduto (capo) di Hatti era venuto, egli aveva raggruppato attorno a sé tutti i paesi

stranieri fin dai limiti (estremi) del mare (21): l’intero paese di Hatti è venuto, come anche quello

di Naharina e quello di Arzawa, Dardanya, quello di Gasga, quello di Masa (22), quello di

Pidassa, quello di Arwanna, quello di Qarqisa (e) Lukka, Kizzuwatna, Karchemish, Ugarit, Qode

(23), l’intero paese di Nuhasse, Mushnatu e Qadesh. Egli portò con sé ogni paese lontano (24); i

loro sovrani erano con lui, ciascun uomo con le sue forze; i loro carri erano una moltitudine,

senza eguali; essi ricoprivano (25) le alture e le valli come una moltitudine di locuste. Egli non

aveva lesinato il denaro del suo paese e si era spogliato di tutti i suoi beni (lit. cose (26) tutte)

per darli a questi paesi affinché lo accompagnassero in guerra.

Ora, il vile caduto (capo) di Hatti, insieme con i numerosi paesi che erano con lui, stavano

nascosti (27) e pronti a nordest (della città) di Qadesh. Ora, Sua Maestà era solo con il suo

seguito, la divisione di Amon marciava dietro di lui, (28) la divisione di Ra attraversava il guado

nell’area a sud della città di Shabtuna ad una distanza di 1 iter da ove Sua Maestà (29) era, la

divisione di Ptah era a sud della città di Arnam e la divisione di Seth stava (ancora) marciando

sulla via. Sua Maestà aveva inviato (lit.fatto) (30) le truppe scelte del suo esercito e ora essi

erano sulle coste del paese di Amurru. Ora, il vile caduto di (31) Hatti stava in mezzo all’esercito

che era con lui e non usciva a combattere per paura di Sua Maestà. Allora, egli inviò all’attacco

uomini e carri (lit.fece che uomini e carri venissero) (32), una moltitudine, numerosa come la

sabbia; essi erano tre uomini per ogni carro [essi formavano le loro unità di tre, ogni corridore

era del paese del caduto di Hatti], essi erano equipaggiati con ogni (tipo) di armi da battaglia.

Essi erano stati posizionati per stare (33) nascosti dietro la città di Qadesh.

Allora essi sbucarono dal lato meridionale di Qadesh e attaccarono la divisione di Ra (34) - in

pieno (lit. nel suo mezzo) - che avanzava ignara e non pronta alla battaglia. Allora le truppe e i

carri di Sua Maestà piegarono (35) dinnanzi a loro. Sua Maestà si era stabilita a nord della città

di Qadesh, sulla riva occidentale dell'Oronte. Si venne (36) ad informare di questo Sua Maestà e

allora Sua Maestà sorse (lit. apparve in gloria) come suo padre Montu, afferrò le sue armi da

battaglia e indossò la sua cotta di maglia (37): era Baal in azione! Il grande cavallo che portava

Sua Maestà era ‘Vittoria in Tebe’, della grande scuderia di Usermaatra-Setepenra, amato da

Amon, della residenza (38).

Sua Maestà uscì al galoppo e si precipitò nel mezzo delle forze del vile di Hatti, solo, senza che

nessuno fosse con lui. (39) Allora Sua Maestà avanzò per guardarsi intorno e si vide circondato

da 2500 carri che convergevano sui di lui e da tutti i ‘corridori’ (40) del vile di Hatti e dei

numerosi paesi che lo accompagnavano: da Arzawa, Masa e Pidassa [da Gasga, Arwanna e

Kizzuwatna; da Aleppo, Ugarit, Qadesh e Lukka] essi erano tre uomini (41) per carro che

agivano come un’unità. Ma non c’erano alti ufficiali con me, nessun carrista, nessun soldato,

nessun portatore di scudo; (42) il mio esercito e i miei carri sono fuggiti dinnanzi ad essi,

nessuno può resistergli e combatterli (43).

Allora Sua Maestà disse:

“Che cosa ti affligge, o padre mio Amon ? È da padre ignorare un figlio ? Ho fatto qualcosa (44)

senza di te, non ho marciato, non mi sono arrestato ad un tuo cenno ? Io non ho disobbedito ad

ogni comando che hai decretato ! Com’è grande il Signore dell’Egitto che permette a genti

straniere di avvicinarsi [al suo cammino] ! (45) Perché ti dovrebbero stare a cuore, o Amon,

questi vili Asiatici che ignorano Dio ? Non ho costruito per te moltissimi monumenti ? Non ho

riempito (46) i tuoi templi delle mie prede di guerra ? Ho costruito per te il mio ‘Palazzo di

Milioni di Anni’ e ti ho dato tutte le mie ricchezze con testamento; ti ho dedicato (47) tutte le

terre per arricchire le tue offerte, ti ho sacrificato decine di migliaia di capi di bestiame e ogni

sorta di erbe profumate. Io non ho trascurato di compiere buone azioni (48) nel tuo santuario, io

ho costruito grandi piloni per te erigendo io stesso le aste per gli stendardi, io ho trasportato

obelischi per te da Elefantina (49) e io fui il portatore delle pietre. Io ho inviato navi per te sul

mare (lit.Grande Verde) onde recarti i prodotti delle terre straniere. Che cosa si direbbe se

accadesse una piccola sventura (lit. evento) (50) a colui che crede nei tuoi disegni ? Se è

pregevole colui che conta su di te, allora agirà per te con cuore devoto. Ti invoco, padre mio

Amon, sono nel mezzo (51) di una folla sconosciuta, tutti i paesi sono coalizzati contro di me e

mi ritrovo solo, senza nessuno. Le mie numerose truppe mi hanno abbandonato (52) e nessuno

dei miei carristi si cura di me. Grido verso essi ma nessuno ode i miei richiami (53), so che

Amon mi sarà di maggior aiuto di milioni di fanti, di centinaia di migliaia di carri, di diecimila

fratelli e figli uniti nello stesso slancio.

(54) Non v’è fatica di molti uomini, finché Amon è più valido di essi. Io ho realizzato ciò

attraverso il piano (pronunciato) dalla tua bocca, o Amon. Io non ho trasgredito il tuo consiglio.

Ecco che pregavo (lit.facevo (55) preghiere) nell’imo dei paesi stranieri e la mia voce fu udita a

Tebe, mi accorsi (lit.trovai) che Amon rispondeva ai miei appelli: mi tese la mano (56) e me ne

rallegrai, mi parlò dietro le spalle come se fosse stato vicino (lit.faccia a faccia): ‘coraggio! Sono

con te, sono tuo padre e ti dò manforte, sono meglio di centomila uomini (57), sono il Signore

della vittoria e amo il valore!’.

Il mio cuore si rafforzò e si rallegrò, tutto ciò accadde perché io ero come Montu (58). Io

colpisco sul mio lato destro e faccio prigionieri nel mio lato sinistro, io ero come Seth, nel suo

momento, nel suo lato. Io trovai 2500 carri (59) che mi circondavano (lit.nel cui mezzo io ero),

cadendo precipitosamente dinnanzi al mio cavallo. Nessuno di essi furono in grado di battersi, i

loro cuori (60) divennero deboli nei loro corpi a causa della paura di me; essi non erano capaci

di (lit.trovavano i loro cuori per) sollevare le loro lance. Io li gettai (61) in acqua come

coccodrilli immersi ed essi caddero giù sui loro volti, uno sull’altro. Io li uccisi a mio piacere,

nessuno si voltò e nessun altro (62) si salvò (lit.tornò indietro). Chiunque cadde in mezzo a loro

non si alzò più.

Allora il vile capo di Hatti stava tra il suo esercito e i suoi carri (63) e guardava il combattimento

di Sua Maestà che era solo poiché il suo esercito e i suoi carri non erano con lui. Egli (il re ittita)

attendeva, voltandosi indietro, (64) stringendosi essendo impaurito; allora inviò numerosi capi

(sovrani alleati) ciascuno con i suoi carri; essi erano equipaggiati con le loro armi (65) – il capo

di Arzawa, quello di Masa, il capo di Arwanna, quello di Lukka, quello di Dardanya (66), il

capo di Karkemish, il capo di Qarqisa, quello di Aleppo, gli alleati (lit. i fratelli) di quello di

Hatti, riuniti tutti insieme. (67) In totale erano 1000 carri ed essi avanzavano verso il faraone

(lit.la fiamma), io li affrontai da solo (lit.mi portai contro essi), essendo come Montu. Io li ebbi

(lit. assaporai) (nella) (68) mia mano in (lit. nel passare di) un momento, li massacrai, uccisi nelle

loro posizioni. Uno di essi (venne fuori e) disse: “non c’è uomo (eguale) (69) fra noi, (è) Seth,

grande di potenza, Baal in persona. Ciò che egli fa non sono le cose che un uomo fa, sono quelle

di uno solo che attacca centinaia di migliaia (di uomini) non essendo con lui l’esercito (70) né i

carri. Andiamocene velocemente e fuggiamo davanti a lui, così da restare in vita (lit.cerchiamo

per noi la vita) e respirare l’aria. Guarda, se uno (71) si avvicina a lui le sue mani e le sue

membra si indeboliscono; uno è incapace di maneggiare l’arco e la lancia quando (72) lo vede

avanzare, visibile dalla distanza.”

Ora, Sua Maestà era dietro di essi come un grifone. “Io li uccisi e non ne lasciai vivo nessuno (lit.

non ne lasciai). Io elevai (73) la mia voce per chiamare il mio esercito, dicendo: siate saldi, saldi

siano i vostri cuori, o mio esercito ! guardate la mia vittoria (74) io ero solo. Amon sarà il mio

protettore, le sue mani erano con me. Come deboli sono i vostri cuori miei carristi, c’è nessun

valoroso (75) fra voi ? Non c’è uno fra voi a cui (non) avrei fatto del bene nella mia terra ? Non

sono sorto come Sovrano mentre voi eravate poveri, (76) facendo di voi i governatori del mio

patrimonio ogni giorno ? Io ho fatto che un figlio gestisca gli affari (lit.sia sulle cose) del padre,

espungendo tutto il male che è in questa terra, lasciandovi i vostri (77) servi e restituendovi

coloro che vi erano stati tolti. Chiunque presenterà una petizione, ‘io lo farò per te’ così dico a

lui ogni giorno. Nessun Sovrano ha fatto (78) per il suo esercito queste cose, che la Mia Maestà

ha fatto per il suo desiderio. Io vi ho fatto risiedere nelle vostre città, evitando di arruolarvi come

soldati e come miei carristi (79); io ho fornito di strade le loro città, dicendo: ‘io le troverò oggi

in questa escludendole dalla guerra’. Ora guardate, voi avete commesso (80) un atto vile insieme

nello stesso luogo; nessuno fra voi è rimasto per aiutarmi (lit.ha dato la sua mano a me) mentre

combattevo. (Come è vero che) il ka di mio padre Amon perdura, io governo (lit.sono sull’) (81)

Egitto come il padre dei miei padri, e non (furono essi che) videro (il nemico di) Kharu e che

non combatterono con lui speditamente ? Non uno di voi è venuto a riferire (82) ciò che egli ha

fatto nella terra d’Egitto, quali provvedimenti per realizzare molti monumenti per Tebe, la città

di Amon. Il crimine che il mio esercito (83), insieme ai miei carristi, hanno commesso è troppo

grande per esser detto; guardate, Amon mi ha dato la sua vittoria quando non c’era esercito e

carristi con me. (84) Egli ha permesso ad ogni terra lontana di vedere la mia vittoria con il mio

forte braccio, essendo solo senza alcun ufficiale accanto a me, non c’era alcun conduttore di

carro né (85) fante del mio esercito né guerriero carrista. I paesi stranieri che mi videro

riferiranno il mio nome fin nei più lontani e sconosciuti paesi, come anche (86) ciascuno di quelli

che fuggirono dalla mia presa (lit.mano), essi stavano rivolti a guardare ciò che avevo fatto. Se

attaccassi milioni di essi, i loro piedi non sarebbero più saldi e (87) fuggirebbero; se scagliassero

(dardi) contro di me (lit.mia direzione), le loro frecce si disperderebbero non appena giunte su di

me.

Quando (88) Menna, il mio scudiero, vide il gran numero di carri (nemici) che mi accerchiavano,

sbiancò in viso e il terrore (lit.grande paura) (89) lo invase (lit. entrò nel suo corpo). Egli disse

alla Mia (lit.Sua) Maestà: ‘Mio buon signore, principe potente, grande protettore dell’Egitto nel

giorno della battaglia, (90) siamo soli in mezzo alla guerra ! Guarda, la fanteria e i carri ci hanno

abbandonato ! Perché stai qui per proteggerli ? (91) allontaniamoci da qui, salviamoci, o

Usermaatra Setepenra !’. Allora Sua Maestà disse al suo scudiero: ‘sii fermo, rincuora te stesso,

o mio (92) scudiero ! Io piomberò su di loro (lit.entrerò in essi) come l’artiglio di un falco,

ucciderò, massacrerò e li getterò al suolo ! allora, cosa (93), sono per te questi codardi, milioni

dei quali io non mi curo !’.

Allora Sua Maestà avanzò rapidamente e piombò (lit.entrò precipitosamente) in mezzo (94) ai

nemici per la sesta volta. ‘Io ero come Baal che li metteva in fuga (lit. era sulle loro schiene) nel

momento della sua potenza, io li massacrai (95) e non ne risparmiai nessuno (lit.senza fallire).’

Ora, quando il mio esercito e i miei carristi vide che ero come Montu, potente di braccio, (96) e

che Amon, mio padre, era insieme a me, facendo si che ogni paese straniero fosse atterrato (lit.

messo nella paglia) dinnanzi a me, essi si disposero uno alla volta (97) per avvicinarsi al campo

di notte e trovarono tutti i paesi stranieri che avevo sconfitto (lit. in cui ero entrato) che

giacevano prostrati nel loro sangue (98), con tutti i migliori guerrieri di Hatti, con i bambini e i

fratelli dei loro comandanti (lit.capi). Io riempii i campi della terra (99) di Qadesh (di cadaveri)

così che nessuno sapesse ove camminare a causa della loro moltitudine.

Il mio esercito venne a cantare le mie lodi, (stupefatti al vedere – lit. con i loro volti - ciò che

avevo fatto), i miei ufficiali (100) vennero a magnificare il mio braccio; i miei carristi,

ugualmente, si vantarono nel mio nome:‘che eccellente guerriero, uno che fortifica il cuore.

(101) Tu salvi il tuo esercito e i tuoi carri, tu sei il figlio di Amon che agisce con le sue braccia;

tu hai distrutto la terra di hatti con un tuo valoroso braccio (102), tu sei un eccellente guerriero,

nessuno è come te – un re che combatte per il suo esercito nel giorno della battaglia. Tu sei

grande di cuore, primo nella battaglia, non ti curi di (103) tutti i paesi (lit.ogni terra) coalizzati

(lit.assemblati) in un unico luogo, tu sei grande di vittoria alla presenza del tuo esercito e

dinnanzi all’intero paese (lit.terra), senza vanterie, sei uno che protegge l’Egitto e che sottomette

i paesi stranieri. (104) Tu hai fracassato la schiena di Hatti in eterno !’

Allora Sua Maestà disse al suo esercito, ai suoi ufficiali come pure ai suoi carristi:‘cosa è (ciò)

per voi (105) ora, miei ufficiali, mio esercito e miei carristi, che non sapete combattere ? un

uomo che non si fa grande nella sua città, è colui che viene e agisce (106) valorosamente alla

presenza del suo Signore ? eccellente è il nome di colui che combatte giorno dopo giorno, un

uomo si rispetta principalmente per le sue gesta (lit.il suo braccio). (Potrei mai) fare del bene ad

uno solo di voi (107), (visto che) mi avete abbandonato in mezzo alla guerra ? come è fortunato

colui che fra di voi ancora vive, nel vostro respiro d’aria (108) mentre io ero solo ! ignoravate,

dicendo nei vostri cuori che io sono il vostro divino bastione di metallo ? cosa si dirà quando si

(109) saprà (lit.udirà) che mi avete abbandonato lasciandomi solo ? Non un compagno, né un

ufficiale, né un guerriero carrista, né un soldato venne ad aiutarmi mentre combattevo !

(110) Ho conquistato milioni di terre straniere, solo con ‘Vittoria in Tebe’ e ‘Mut è contenta’, i

miei valorosi cavalli (da carro) ! (111) Ecco chi ho trovato ad aiutarmi, mentre combattevo i

numerosi paesi stranieri. Io mi curerò personalmente perché sia dato loro il foraggio (112) in mia

presenza ogni giorno, quando sarò nel mio palazzo; sono loro che ho trovato ad aiutarmi nel

mezzo della battaglia, insieme con il carrista Menna, mio (113) scudiero, i miei coppieri di

palazzo che erano accanto a me, miei testimoni della battaglia. Io li trovati (accanto a me) !.

(114) La Mia Maestà si interruppe essendo valoroso e vittorioso. Io ho sconfitto centinaia di

migliaia (di nemici) tutti insieme con il mio (forte) braccio. All’alba ho condotto le truppe (115)

nella battaglia; io ero preparato a combattere come un toro arguto, io sorsi in gloria contro essi

come Montu (116), essendo equipaggiato con gli adornamenti di valore e vittoria. Io piombai

(let.entrai) nella battaglia, combattendo come un falco rapace; colei che era sulla mia fronte (dea

protettrice) distrusse per me (117) i miei nemici e ne bruciò i volti. Io ero come Ra quando sorge

all’alba e i miei raggi (118) scottarono le carni dei ribelli.’

Uno di essi si rivolse ad un suo compagno: ‘preparatevi, fate attenzione (lit.guardatevi), non

avvicinatevi a lui (119) poiché è Sekhmet, la Grande, che è con lui, essa è con lui sul suo cavallo

e la sua mano è con lui; se uno si avvicina a lui, (120) una ventata di fuoco gli brucerà le carni’.

Allora essi stettero a distanza, inchinandosi (lit. a faccia in terra) con le loro mani (121) dinnanzi

a me. Allora la Mia Maestà prevalse su di essi, li massacrai e non ne risparmiai nessuno; essi

caddero (122) dinnanzi al mio cavallo, giacendo prostrati tutti nel loro sangue.

Allora il vile capo e nemico di Hatti inviò messaggio (123) per onorare il mio nome e quello di

Ra, dicendo: ‘tu sei Seth, Baal stesso, il timore di te è come una fiamma nel paese (lit.terra) di

Hatti’. (124) Allora venne il suo messaggero, portando il messaggio nella sua mano, (dicendo):

nel gran nome della Mia Maestà, si invia questo messaggio per la Maestà del Palazzo – in vita,

salute e forza – di (125) di Ra-Horakhty, Toro vittorioso, amato da Maat, sovrano che protegge

il suo esercito, possente a causa del suo braccio, un bastione per i suoi soldati nel giorno della

battaglia, re dell’Alto e Basso Egitto, Usermaatra-Setepenra (126), figlio di Ra, Leone, Signore

del (forte) braccio, Ramesse, amato da Amon, cui sia data vita in eterno.

‘Il tuo umile servitore proclama a gran voce che sei il figlio di Ra, nato fisicamente da lui e a cui

ha concesso (il dominio) di tutti i paesi. (127) Per quanto riguarda il paese d’Egitto e il paese di

Hatti – si essi sono tuoi, tuoi servi sono sotto i tuoi piedi. È Ra, il tuo nobile padre, che te li ha

dati. (128) Non prevalere su di noi, il tuo potere è grande ! la tua forza preme pesantemente sul

paese di Hatti. Ma è giusto che tu uccida i tuoi servi (129), (e rivolga) il (tuo) volto terribile

contro di essi, senza (mostrare) pietà ? Guarda, ieri hai passato il giorno ad uccidere centinaia di

migliaia (di uomini) e oggi sei ritornato e non risparmi gli eredi ! (130) Non portare troppo

avanti il tuo vantaggio, o re vittorioso ! La pace è migliore della guerra, dacci il soffio della vita

!’

Allora la Mia Maestà ritornò in vita e potere ed era come Montu nel suo momento (131) quando

egli attacca veramente. Allora la Mia Maestà convocò tutti i comandanti del suo esercito insieme

ai carristi e tutti i governatori (132), tutti riuniti, per fargli udire il messaggio inviato. Quando gli

feci udire queste parole che il vile capo di Hatti mi aveva inviato, (133), allora dissero tutti

d’accordo: ‘La pace è il miglior bene, o Sovrano nostro Signore! Non vi è colpa nella

riconciliazione, quanto tu la effettui ! chi può affrontarti (134) nel giorno della tua collera ?’.

Allora Sua Maestà comandò loro di ascoltare le sue parole e indicò (lit.fece azione di) in pace il

Sud; Sua Maestà tornò in pace in Egitto (135) con il suo esercito e i suoi carri e tutta la vita, la

stabilità e il potere erano in lui. Gli dèi e le dee protessero il suo corpo, reprimendo tutti i paesi

con il terrore di lui. (136) La potenza di Sua Maestà proteggeva il suo esercito e tutti i paesi

stranieri adoravano il suo bellissimo volto. Arrivo in salvezza in Egitto a Pi-Ramesse, amato da

Amon, (137) grande di vittorie; restando nel suo Palazzo di vita e potere, come Ra sul suo

orizzonte. Gli dèi di questa terra (vennero) a lui, salutando e dicendo: ‘benvenuto figlio nostro

(138), nostro amato, re dell’Alto e Basso Egitto, Usermaatra-Setepenra, figlio di Ra, Ramesse,

amato da Amon, cui sia data vita.’ Essi gli diedero milioni di giubilei eterni sul trono di Ra,

(139) tutte le terre e i paesi stranieri cadono uccisi sotto i suoi sandali per sempre.

Trattato egizio-ittita

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Traslitterazione

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Traduzione

(1) Anno 21°, primo mese della stagione di Peret, giorno 21, sotto la Maestà del re dell’Alto e Basso

Egitto, Usermaatra Setepenra, figlio di Ra, Ramesse, amato da Amon cui sia data vita in eterno.

L’amato di Amon-Ra, Horakhty, ‘Ptah-Sud del Suo muro’, Signore di Menfi, Mut Signora di Isheru

e Khonsu-Nefer-Hotep. (2) L’amato che sorge sul trono di Horo dei viventi come suo padre Ra-

Horakhty per sempre. In questo giorno, Sua Maestà si trovava nella città di Pi-Ramesse amato da

Amon, (3) facendo ciò che è gradito a suo padre Amon-Ra-Horakhty-Atum, Signore delle Due

Terre, l’heliopolita, Amon di (Pi-)Ramesse amato di Amon, [Ptah di (Pr-) Ramesse amato di Amon]

e Seth, Gran di forza, Figlio di Nut, per ciò che essi che fecero per lui eternamente (4) in Giubilei e

perpetuità di anni pacifici, ogni terra e tutti i paesi stranieri si prostrano sotto i suoi piedi per sempre.

Vennero il messaggero reale e aiutante della carreria [---], [il messaggero reale --- ?] (5), il

messaggero del paese di Hatti [---] Tili-Teshub, e il secondo messaggero di Hatti Ramose [---] e il

messaggero di Karkemish (6) Yapusili, portando la tavoletta d’argento che il Gran Re di Hatti,

Hattusili aveva inviato al Faraone – in vita, salute e forza - per chiedere pace alla Maestà del (7) re

dell’Alto e Basso Egitto, Usermaatra Setepenra, figlio di Ra, Ramesse, amato da Amon cui sia data

vita in eterno, come suo padre Ra ogni giorno.

Copia della tavoletta di argento che il Gran Re di Hatti, Hattusili (8), ha inviato al Faraone – in vita,

salute e forza – per mano del suo messaggero Tili-Teshub, del suo messaggero Ramose per

chiedere pace alla Maestà del (9) re dell’Alto e Basso Egitto, Usermaatra Setepenra, figlio di Ra,

Ramesse, amato da Amon, il Toro dei sovrani che estende a suo piacimento i suoi confini in ogni

paese.

Il trattato che il Gran Re di Hatti, Hattusili (10), il forte, figlio di Mursili, il Gran Re di Hatti, il

forte, figlio del figlio di Suppiluliuma (11), il Gran Re di Hatti, il forte, (trascritta) su di una

tavoletta di argento per Usermaatra Setepenra, il Gran Re d’Egitto, il forte, figlio di Menmaatra, il

Gran Re d’Egitto (12), il forte, figlio del figlio di Menpeh(ty)ra, il Gran Re, il forte. Il buon trattato

di pace e fratellanza che farà si che la buona pace e la fratellanza esisteranno (13) sempre fra noi per

sempre.

Per cominciare, sino all’eternità, quanto alle relazioni del Gran Re d’Egitto con il Gran Re di Hatti –

il Dio non permetterà che esistano ostilità (14) fra loro mediante il trattato. Tuttavia, al tempo di

Muwatalli, il Gran Re di Hatti, mio fratello, egli combatté con [Ramesse, amato da Amon /

Usermaatra Setepenra] il Gran Re d’Egitto.

(15) Ora, a cominciare da questo giorno – vedi, Hattusili, il Gran Re di Hatti, è [ha stipulato] un

trattato che stabilisce relazioni che Ra e Seth hanno decretato (lit.fatto) fra il paese d’Egitto e (16) il

paese di Hatti e per far si che non vi siano ostilità fra di essi in futuro. Hattusili, il Gran Re di Hatti,

ha stipulato un trattato con (17) Usermaatra Setepenra, il Gran Re d’Egitto, a partire da questo

giorno, per permettere che una buona pace e buona fratellanza esistano fra noi per sempre. Egli è

fraterno con me ed egli è in pace (18) con me, io sono fraterno con lui e in pace con lui per sempre.

Quando Muwatalli, il Gran Re di Hatti, mio fratello, seguì (lit. fu dietro) (19) il suo fato, Hattusili

sedette come Gran Re di Hatti sul trono di suo fratello. Vedi, sono divenuto con Ramesse, amato

da Amon, (20) il Gran Re d’Egitto. Noi [abbiamo stipulato (lit.fatto)] la nostra pace e la nostra

fratellanza – che è la migliore della prima pace e fratellanza che vigeva nel Paese.

Vedi, io sono il Gran Re di Hatti con (21) [Ramesse, amato da Amon / Usermaatra Setepenra], il

Gran Re d’Egitto, in buona pace e in buona fratellanza. I figli dei figli del Gran Re di Hatti sono in

buona fratellanza con i figli dei (22) figli di Ramesse, amato da Amon, il Gran Re d’Egitto, (essi)

sono nelle nostre relazioni di fratellanza e di pace.

Il paese d’Egitto e il paese di Hatti sono in pace e in fratellanza come noi per sempre, (23) e alcuna

ostilità esisterà fra noi per sempre. Il Gran Re di Hatti non oltrepasserà mai i confini della terra

d’Egitto per prendere alcunché da essa. (Ugualmente) Usermaatra Setepenra, (24) il Gran Re

d’Egitto, non oltrepasserà i confini della terra di Hatti per prendere alcunché da essa per sempre.

Per quanto riguarda il trattato permanente che era in vigore al tempo di Suppiluliuma, il Gran Re

di Hatti, (25) e ugualmente per il trattato permanente che era in vigore al tempo di Muwatalli, il

Gran Re di Hatti, mio padre - io ora vi aderisco. Vedi, Ramesse (26) amato da Amon, il Gran Re

d’Egitto, (anche) [vi aderisce. La pace che è (lit. fatta)] diventata nostra insieme, iniziando da oggi,

noi vi aderiamo e agiremo secondo queste relazioni regolari.

Se un qualche altro nemico venisse contro i (27) territori di Usimaatra Setepenra, il Gran Re

d’Egitto, ed egli inviasse una richiesta al Gran Re di Hatti dicendo: “Vieni con me come alleato

contro di lui !”, il Gran Re di Hatti [agirà con lui] e (28) ucciderà i suoi nemici. Ma se il Gran Re

di Hatti (lit.il suo cuore) non sarà disposto ad andare, egli invierà le sue truppe e i suoi carri per

inseguire e uccidere (29) i suoi nemici.

Ora, se Ramesse amato da Amon, [il Gran Re d’Egitto] è irritato coi suoi servitori quando essi

commettono un’altra cattiva azione contro di lui ed egli va (30) per ucciderli, allora il Gran Re di

Hatti agirà con lui [per distruggere chiunque di loro li irriterà].

Ora, se un qualche altro nemico venisse contro il Gran Re di Hatti, [allora ?] Usimaatra Setepenra,

il [Gran Re d’Egitto agirà] (31) e verrà a lui come suo alleato per uccidere i suoi nemici. Ma se

Ramesse amato da Amon, il Gran Re d’Egitto, (lit.il suo cuore) non sarà disposto ad andare, egli

[--- invierà (32) le sue truppe e i suoi] carri in reciprocità per i territori di Hatti.

Ora, se i servi del Gran Re di Hatti lo violeranno, allora Ramses amato da Amon [---] (33) il paese

di Hatti e il paese d’Egitto [---] la vita, allora egli dirà: “io seguirò (lit.andrò dietro) il suo fato” [---

] Ramesse amato da Amon, il Gran Re d’Egitto, che viva per sempre [---] il paese di Hatti (34) [---

] ciò\tutto\ogni (?) che sarà fatto [---] di loro (?) [---] ed essi agiranno per fare di lui il loro Signore,

affinché Usimaatra Setepenra, il Gran Re d’Egitto, li zittisca (lit. faccia silenzio) con la sua bocca

per sempre. (35) Ora, se egli venisse per distruggere il paese di Hatti e lui ritorna [---] il Gran Re di

Hatti e ugualmente il [--- se un vassallo dell’Egitto fuggisse e andasse da (?)] il Gran Re di Hatti o

una città di quelle dei territori di (36) Ramesse amato da Amon, Gran Re d’Egitto, ed esse vanno

dal Gran Re di Hatti, il Gran Re di Hatti non li riceverà. Ma il Gran Re di Hatti li restituirà (lit.

inviati indietro) a Usimaatra Setepenra (37), il Gran Re d’Egitto, il loro Signore – in vita, salute e

forza.

Se un uomo o due fuggiranno inosservati dal paese d’Egitto e andranno nel paese di Hatti per

essere servitori di un altro (38), essi non saranno lasciati nel paese di Hatti e saranno riconsegnati

(lit. portati indietro) a Ramesse amato da Amon, il Gran Re d’Egitto.

Se un vassallo del paese di Hatti andasse da Usimaatra Setepenra, il Gran Re d’Egitto, o (39) una

città o un distretto o [---] di quelle del paese di Hatti ed essi venissero a Ramesse amato da Amon,

il Gran Re d’Egitto, Usimaatra Setepenra, allora il Gran Re d’Egitto (40) non li riceverà. Ma

Ramesse amato da Amon, il Gran Re d’Egitto, li restituirà (lit. inviati indietro) al Gran Re di Hatti

ed essi non saranno rilasciati. Ugualmente, se un uomo o due fuggiranno inosservati e (41)

andranno nel paese d’Egitto per essere servitori per altri, allora Usimaatra Setepenra, il Gran Re

d’Egitto, non li lascerà (nel paese d’Egitto) e saranno riconsegnati (lit. portati indietro) al Gran Re

di Hatti.

Ora, riguardo (42) ai termini del trattato che il Gran Re di Hatti ha concluso con Ramesse amato da

Amon, Gran Re d’Egitto, essi sono scritti su questa tavoletta d’argento. Riguardo a questi termini,

mille dèi (43) maschi e femmine che appartengono ad Hatti insieme a mille dèi maschi e femmine

che appartengono all’Egitto sono con me come testimoni e hanno udito questi termini (essi sono:)

(44) Ra Signore del cielo; Ra della città di Arinna; Seth Signore del cielo; Seth di Hatti; Seth della

città di Arinna; Seth della città di Zippalanda; (45) Seth della città di Pittiyarik; Seth della città di

Hissaspa; Seth della città di Saressa; Seth della città di Aleppo; Seth della città di Lihizina; Seth

della città di [Huruma ?]; (46) Seth della città di [Nerikka ?]; Seth della città di [---]; Seth della

città di [---]; Seth della città di Sapinuwa; Astarte del paese di Hatti; il Dio di Zitkharriya; il Dio di

Karzis (47); il Dio di Khalpantalias; la Dea della città di Karanha; la Dea di Zeri; la Dea di Ninive;

la Dea di Zin[---]; il Dio {di} Ninatta; il Dio di Kulitta; (48) il Dio di Khebat; la Regina del cielo;

gli Dèi, Signori del Giuramento; la Dea, Signora della terra, Signora del Giuramento; Ishkara, la

Signora; le Montagne e i Fiumi (49) del paese di Hatti; gli Dèi del paese di Kizzuwatna; Amon,

Ra e Seth; gli Dèi maschi e femmine; le Montagne e i Fiumi del paese d’Egitto; il Cielo e la Terra;

(50) il Gran Mare; i Venti e le Nuvole.

Riguardo ai termini che sono (incisi) su questa tavoletta d’argento per il paese di Hatti e per il

paese d’Egitto: chi non li rispetterà, (51) i mille dèi del paese di Hatti insieme ai mille déi del paese

d’Egitto distruggeranno le sue case, la sua terra e i suoi servi.

Chi rispetterà i termini che sono (incisi) su questa tavoletta d’argento (52), essendo esso Ittita o

Egiziano, e non li trasgredirà, i mille dèi del paese di Hatti (53) insieme ai mille déi del paese

d’Egitto lo renderanno prospero, lo faranno vivere, con le sue case, la sua terra e i suoi servi.

Se un Egiziano (lit. un uomo) fuggirà dal paese d’Egitto, o due (uomini), o tre (uomini), e

andranno dal Gran Re di Hatti, (allora) il Gran Re di Hatti (54) li prenderà e li restituirà a

Usimaatra Setepenra, Gran Re d’Egitto. Per quanto riguarda la persona riportata a Ramesse amato

da Amon, Gran Re d’Egitto, che il suo crimine non gli venga fatto pagare (let. agisca (55) contro di

lui): la sua casa, le sue mogli o i suoi figli non vengano distrutti ed egli non venga ucciso; non siano

fatte mutilazioni ai suoi occhi, alle sue orecchie, alla sua bocca o alle sue gambe, alcun crimine gli

sia imputato (let. agisca contro (56) di lui).

Ugualmente, se un Ittita (lit. un uomo) fuggirà dal paese di Hatti, siano essi uno, due, o tre, e

andranno da Usimaatra Setepenra, il Gran Re d’Egitto, Ramesse amato da Amon (57), il Gran Re

d’Egitto, li prenderà e li restituirà al Gran Re di Hatti. Il Gran Re di Hatti farà in modo che i loro

crimini non gli vengano fatti pagare: la sua casa, le sue mogli e i loro (58) figli non vengano

distrutti ed egli non venga ucciso. Non siano fatte mutilazioni ai suoi occhi, alle sue orecchie, alla

sua bocca o alle sue gambe, non gli venga imputato alcun crimine.

(Descrizione della tavoletta)

(59) Ciò che è al centro della tavoletta d’argento, nella sua faccia anteriore:

figura dell’immagine di Seth (Dio della Tempesta) che abbraccia l’immagine del Gran Re di Hatti,

circondata da una iscrizione sul margine che dice: “Sigillo di Seth (Dio della Tempesta), Signore

del cielo; il sigillo (60) del trattato che Hattusili, il Gran Re di Hatti, il forte, figlio di Mursili, il

Gran Re di Hatti, il forte, ha fatto”.

Ciò che è all’interno del bordo della raffigurazione:

Il sigillo (61) di Seth (Dio della Tempesta), Signore del Cielo.

Ciò che è al centro dell’altra faccia:

figura dell’immagine (62) della Dea di Hatti che abbraccia l’immagine della Grande (Regina) di

Hatti, circondata da una iscrizione sul margine che dice: “Sigillo del Dio-Sole della città di Arinna,

Signore della Terra; sigillo di Pudukhepa, la Grande (Regina) del paese di Hatti, la figlia del paese

(63) di Kizzuwatna la [sacerdotessa del Dio-Sole ?] della città di Arinna, Signora della Terra,

Servitrice (64) della dea”.

Ciò che è all’interno del bordo della raffigurazione:

il sigillo del Dio-Sole di Arinna, Signore di ogni terra”.

Note all’Appendice

Per le iscrizioni geroglifiche, la traslitterazione e la traduzione vale la seguente simbologia:

[ ] passo in lacuna integrato

<> passo omesso dallo scriba ed integrato

[▒▒] passo corrotto ma leggibile

[---] passo corrotto illeggibile

[…] passo omesso

{ } passo superfluo

( ) integrazione per chiarire il testo

Per questioni di coerenza con quanto delineato nel quinto capitolo sulla narrazione e propaganda della battaglia

(rispondenza fra testi e immagini), le iscrizioni geroglifiche (con relativa traslitterazione) riportate in appendice si

riferiscono prevalentemente ai testi presenti nel tempio di Luxor ed indicate in KRI II, 2-124 con le lettere L1

(pilone settentrionale), L2 (corte di Ramesse II, pareti occidentale e meridionale), L3 (corte di Amenhotep III, parete

occidentale), Lp (palinsesto, facciata nord della torre occidentale del pilone); tale percorso narrativo è stato di

volta in volta integrato con le altre versioni disponibili sull’evento (Abido, Karnak, Ramesseum, Abu Simbel, Pap.

Sallier III, Pap. Chester Beatty III vs.1 e 2-3). Il testo geroglifico afferente al trattato di pace egizio-ittita è desunto

dal KRI II, 226-232 nell’unica versione disponibile presente nel tempio di Karnak (indicata con la lettera K) con le

integrazioni fornite dalla lacunosa versione del Ramesseum (indicata con la lettera R). A differenza delle traduzioni

riportate nel quarto, quinto e settimo capitolo, desunte dai diversi contributi e volumi dedicati all’argomento e il cui

stile riflette appieno la loro vocazione narrativa e letteraria, quelle proposte in appendice seguono direttamente il

testo geroglifico ai fini di un loro più idoneo utilizzo didattico.

BIBLIOGRAFIA

Abbreviazioni

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AfO – Archiv für Orientforschung

AJA - American Journal of Archaeology

BIFAO - Bulletin de l’Institut Française d’Archèologie Orientale

BASOR - Bulletin of the American Schools of Oriental Research

BIFAO - Bulletin de l’Institut Française d’Archèologie Orientale

BiOr – Biblioteca Orientalis

BN - Biblische Notizien

Cavillier 2001 - G.Cavillier, Il Faraone Guerriero: i sovrani del Nuovo Regno alla conquista dell’Asia, tra

mito, strategia bellica e realtà archeologica (Torino 2001)

Cavillier 2002a - M.C.Guidotti – F.Pecchioli, La Battaglia di Qadesh: Ramesse II contro gli Ittiti per la

conquista della Siria (Livorno 2002);

Cavillier 2002b - “Il bollettino di guerra nella prassi narrativa ramesside” in F.Pecchioli Daddi –

M.C.Guidotti, Narrare gli eventi: Atti del Convegno degli Egittologi ed Orientalisti italiani in

margine alla mostra “La Battaglia di Qadesh” (Firenze, 4-6 dicembre 2002), Studia Asiana 3, 83-98;

Cavillier 2003 – G.Cavillier, Tuthmosi III: Immagine e strategia di un condottiero (Torino 2003)

Cavillier 2005 – G.Cavillier, Gli Shardana nell’Egitto Ramesside – B.A.R. n.1438 (Oxford 2005)

Cd’E - Chronique d’Egypte

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Del Monte 1993 – G.F.Del Monte, L’annalistica Ittita (Brescia 1993)

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SAM - Sheffield Archaeology Monographs

SMMA - Sheffield Monographs in Mediterranean Archaeology (Sheffield)

TSO - Texte und Studien zur Orientalistik Ufo – Ugarit-Forschungen

ZA - Zeischrift für Assyriologie

ZÄS - Zeischrift für ägyptische Sprache und Altertumskunde

ZDPV - Zeischrift des deutschen Palästina-Vereins

Capitolo primo

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Qadesh: Ramesse II contro gli Ittiti per la conquista della Siria (Livorno 2002), 21-25 con

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Capitolo secondo

Organizzazione dell’esercito egizio e ittita:

S.Al-Nubi “Il Soldato” in AA.VV. L’uomo egiziano a cura di S.Donadoni (Roma 1990);

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Battaglia di Qadesh: Ramesse II contro gli Ittiti per la conquista della Siria (Livorno 2002),

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2005; P.M.Chevereau, Prosopographie des cadres militaires égyptiens du Nouvel Empire

(Antony 1994); L.A. Chistophe “L’organisation de l’armée égyptienne à l’époque ramesside” in

Revue du Caire 39, n.207 (1957), 387-405; S. Curto “Krieg” in LÄ, III, col.745-86; L’Arte

Militare presso gli Antichi Egizi (Quaderno n. 3 del Museo Egizio di Torino - 1970); L’Antico

Egitto (Torino 1981 e ristampa 2000); R.O. Faulkner “Egyptian Military Organization” in JEA 39

(1953), 32-47; A. Schulman, Military Rank, Title and Organization in Egyptian New Kingdom in

MÄS 6 (Berlino 1964); H.W.Helck, Der Einfluss der Militärführerin der 18 Ägyptische Dynastie

(Hildesheim 1964); A.Kadry, Officiers and Officials in the New Kingdom (Budapest 1982);

J.Yoyotte e J.Lopez, “L’organisation de l’armée et les titulatures de soldat au Nouvel Empire

égyptien” in BiOr 26 (1969), 45-49;

L’armamento individuale

R.Beal, “I reparti e le armi dell’esercito ittita” in M.C.Guidotti – F.Pecchioli, La Battaglia di

Qadesh: Ramesse II contro gli Ittiti per la conquista della Siria (Livorno 2002), 93-108 con

bibliografia; Cavillier 2001, 71-85; Cavillier 2002a, 40-43 con bibliografia; Cavillier 2003;

Cavillier 2005; J.Coles, Archeologia Sperimentale (Milano 1981); J. Coles e A.F.Harding, The

Bronze Age in Europe (New York 1979); T.N.Dupuy, The evolution of weapons and warfare

(Indianapolis 1980); F.Di Donato, Archi e frecce nell’Antico Egitto (Milano 1984); L. Donatelli

“Strumenti di misura, utensili, armi” in AA.VV. Civiltà degli Egizi (Milano 1987), 160-87; R.

Drews, The end of the Bronge Age. Changes in Warfare and the Catastrophe ca.1200 B. C.

(Princeton 1993); D.H.Gordon “Swords, Rapiers, and Horse-riders” in Antiquity 27 (1953), 67-78;

M.C.Guidotti voce “Armi e armature - Egitto” in 2° supplemento dell’Enciclopedia dell’Arte

Antica classica e orientale (1971-1994), 407-8; M.A.Littauer e J. H. Crouwel, Wheeled Vehicles

and Ridden Animals in Ancient Near East (Leida e Colonia 1979); Chariots and Related

Equipment from the Tomb of Tuthankhamun (Oxford 1985); W.Mc Leod “An impublished

egyptian composite bow in the Brooklin Museum” in AJA 62 (1958), 400-ss; “Egyptian Composite

Bows in New York” in AJA 66 (1962), p.13-19; Self Bows and other archery tackle from the

Tomb of Tuthankamun (Oxford 1982); T.G.E.Powell “Some implications of Chariotry” in I.Forster

and L.Adcock, Culture and Environment.Essays in Honour of Sir Cyril Fox (London 1963), 165-

66; E. Robinson, The Egyptian Composite Bow and Archery (Los Angeles 1951); N.K.Sandars,

The Sea Peoples: Warriors of Ancient Mediterranean 1250-1150 B.C. (Thames and Hudson

1978); N.Stillman e N.Tallis, Armies of the ancient Near East 3000 BC to 539 BC. (W.R.G.P.

1984); Y.Yadin, The Art of Warfare in Biblical Lands (London 1963)

Le fortificazioni

A.Badawy, A History of Egyptian Architecture Vol. III (Los Angeles 1966), 447-474; R.Beal, “Le

strutture militari ittite di attacco e di difesa” in M.C.Guidotti – F.Pecchioli, La Battaglia di

Qadesh: Ramesse II contro gli Ittiti per la conquista della Siria (Livorno 2002), 109-121 con

bibliografia; G.Cavillier, “The Ancient Military Road Between Egypt and Palestine Reconsidered: A

Reassessment” in GM 185 (2001), 23-33; Cavillier 2001, 163-64 e 197; Cavillier 2002a, 40-43;

A.H.Gardiner, “The Ancient Military Road between Egypt and Palestine” in JEA VI (1920), 99-

116; Z.Gal, “Some Aspect of Road-Planning Between Egypt an Canaan” in M.Heltzer, A.Segal e

D.Kaufman, Studies in Archaeology and History of Ancient Israel in Honour of Moshe Dothan

(Haifa 1993), 77-82; L.Giddi, “Notes and News” in EA 12 (1998), 29;; L.Habachi, “The Military

Posts of Ramesse II on the Coastal Road and the Western part of the Delta” in BIFAO 1980, 13-30;

M.G.Hasel, Domination and Resistence: Egyptian Military Activity in Southern Levant (1300-

1185 BC) (Leiden, Boston e Köln 1998); Z.Herzog, Archaeology of the City (Tel Aviv 1997), 165-

211; C.R.Higginbotham, Egyptianization and Elite Emulation in Ramesside Palestine (Leiden,

Boston e Köln 2000); A.W.Lawrence, “Ancient Egyptian Fortifications” in JEA 51 (1965), 69-94;

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138-141; E.Oren, “The Ways of Horus” in A.F. Rainey ed. Egypt, Israel, Sinai: Archaeological

and Historical Relationships in the Biblical Period (Tel Aviv 1987), 69-119; “Military

Architecture along the “Ways of Horus: Egyptian Reliefs and Archaeological Evidence” in EI 20

(1989), 8-22 (ebraico); “Palaces and Patrician Houses in the Middle and Late Bronze Ages” in

A.Kempinski e R.Reich. The Architecture of Ancient Israel: From the Prehistoric to Persian

Period (Jerusalem 1992), 105-120; “Sinai” in NEAHL, 1389-91; P.M.Pecorella, “L’Anatolia del

XIV e XIII secolo a.C.” in M.C.Guidotti – F.Pecchioli, La Battaglia di Qadesh: Ramesse II contro

gli Ittiti per la conquista della Siria (Livorno 2002), 80-92 con bibliografia.

Capitolo terzo

Cavillier 2001; Cavillier 2002a; 2003; Liverani 1994; G.Rosati, “Il Faraone e gli dèi d’Egitto in

battaglia” in M.C.Guidotti – F.Pecchioli, La Battaglia di Qadesh: Ramesse II contro gli Ittiti per la

conquista della Siria (Livorno 2002), 44-47 con bibliografia; A.M.Polvani, “Le divinità ittite e la

guerra” id. 122-125 con bibliografia; A.Kuschke in ZDPV 95 (1979), 7-35; id., “Qadesch”, LÄ V,

27-32; S.J.Bourke in Levant 25 (1993), 155-195;.P.J.Parr, “Tell Nebi Mind” in OEANE IV, 114-

115 con bibliografia.

Capitolo quarto

A.Alt, ZDPV 55 (1932), 1-25; 66 (1943), 1-10; J.Assmann, Mannheimer Forum 83/84 (1983/84),

175-231; J.Bérard, Revue des études anciennes 49 (1947), 217-ss; G.Botterweck, Bonner

Biblische Beiträge 1(1950), 26-32; J.H.Breasted, The Battle of Kadesh. A Study in the Earliest

Know Military Strategy Vol.V (Chicago 1903); A.J.Burne, JEA VII (1921), 191-195; H.Cazelles,

MUSJ 46 (1970), 33-35; M.J.de Bruyn in O.M.C. Haex, H.H.Curvers e P.M.M.G. Akkermans, To

the Euphrates and Beyond – Archaeological Studies in honour of Maurits N.van Loon

(Rotterdam/Brookfiled 1989), 135-165; Cavillier 2001, 158-62; Cavillier 2002a, 192-91; Cavillier

2002b; E.de Vaumas, MUSJ 46 (1970), 53-57; E.Edel, ZA 49 (1950), 195-212; 50 (1952), 253-

58; R.O.Faulkner, MDIK 16 (1958), 93-111; G.Fecht, GM 80 (1984), 23-57; A.H.Gardiner AEO,

I, 1947 188*-189*; Grimal 1992, 326-333; M.Healy, Qadesh 1300 BC (1993); W.Helck, AfO 22

(1968/69), 23-26; UFo 5 (1973), 286-80; A.Götze, OLZ 32 (1929), 832-38; A.Kadry, BIFAO

Bulletin du Centenaire (1981), 47-55; K.A.Kitchen, Il faraone trionfante (Roma-Bari 1992), 74-

91; RITANC, II, 42-50; A.Kuschke, ZDPV 95 (1979), 7-35; “qadesh” LÄ V (1983), 31-37;

Liverani 1991, 564; Liverani 1994, 158-160; “La battaglia di Qadesh” in M.C.Guidotti –

F.Pecchioli, La Battaglia di Qadesh: Ramesse II contro gli Ittiti per la conquista della Siria

(Livorno 2002), 17-20; J.Loza Vera in M.Sigrist, Études égyptologiques à la mémoire du Pèere

B.Couroyer (Parigi 1996); W.Mayer, R.Mayer-Opificius, UFo 26 (1994), 321-368; P.Montet, RHA

18/66-67 (1960), 109-115; R.North MUSJ 46 (1970), 70-103; B.G.Ockinga, CdE 62/Fasc. 123-24

(1987), 38-48; A.F.Rainey, UFo 3 (1971), 143-48; 5 (1973), 280-82; Redford 1992, 184-85;

A.Santosuosso, Journal of Military History 60 (1996), 423-444; A.R.Schulman, JARCE 1 (1962),

47-53; JSSEA 11 (1981), 7-19; I.Shirun-Grumach in C.Eyre, Seventh International Congress of

Egyptologists (Lovanio 1998), 1064-74; C.Vandersleyen, La guerre de Ramsès II contre les

Hittites/Der Hettiterkrieg Ramses’II de J.Sturm 1939 (Bruxelles 1996); Y. Yadin, The Art of

Warfare in Biblical Lands (Londra 1963), 103-109; S.Yeivin, JNES 9 (1950), 101-107.

Capitolo quinto

Fonti testuali

KRI, II, 1-101, §1-331 (poema); KRI, II, 102, §1-119 e KRI, II, 125-ss; papiri: KRI, II, 2-147, §3

e KRI, II, 927: 12-13 (bollettino); RITA, II, 2 –26 (traduzione integrale); RITANC, II, 3-55 (note,

commenti e storia degli studi).

Fonti iconografiche

Karnak: PM2

II, 58 (171-2, 174-5) e II, 179 (535-7); Luxor: PM2 II, 304-5 (13, 14) e II, 334 (205-

7); Ramesseum: PM2

II, 433 (3-4) e II, 434 (10); Abido: PM VI, 39/41 (75-88); Abu Simbel: PM

VII, 103-4 (41-42); KRI, II, 125-128.

Commentario

Sui mezzi della narrazione ramesside: M.Noth, “Die Annalen Thutmois’III. Als Geschichtsquelle”,

ZDPV 66 (1943), 156-74; A.H.Gardiner, AEO I, 188*-189*; H.Grapow, Studien zu der Annalen

Tuthmosis del Dritten und zu ihmen Verwendten historischen Berichten des neuen Reiches

(Berlino1949), 51; J.Osing, Kriegstagebuch in LÄ III (1980), 789-90; A.J.Spalinger, Aspects of the

Military Documents of the Ancient Egyptians, (New Haven e Londra 1982), 120-92; D.B.Redford,

Pharaonic King-Lists, Annals and Day-Book, SSEA vol.4 (Ontario 1986), 97-126; M.G.Hasel,

Domination & Resistance: Egyptian Military Activity in Southern Levant 1300-1185 BC (Leiden-

Boston-Köln 1998), 23-25; RITANC IV/2, §8 (ii); Cavillier 2002, 182-95 con bibliografia;

Cavillier 2002b; Cavillier 2005; C.Obsomer, “Récits et images de la bataille de Qadech. En quoi

Ramsès II transforma-t-il la réalité? ” in L.Van Ypersele, Images et réalité (Louvain-la-Neuve

2003), 339-67 con bibliografia

Capitolo sesto

S.Ahituv “Economic Factors in the Egyptian Conquest of Canaan” in IEJ 28 (1978), 93-105; E.

Anati Palestine Before the Hebrews (London 1963); Cavillier 2001, Cavillier 2002a, 182-191 e

206-211 con bibliografia; E.Edel “Weitere Briefe aus der Hieratskorrespondenz Ramses II” in

J.B.C. Mohr, Geschchte und Altes Testament, Festschrift für Albreicht Alt (Tübingen 1953); Die

Ortsnamenlisten aus dem Totentempel Amenophis III (Bonn Hanstein 1966); “Die Ortsnamenlisten

in der Tempeln von Aksha, Amarah und Soleb im Sudan” in BN 11 (1980), 63-79; I. Filkelstein

“Living in the Fringe. The Archaeology and History of the Negev and neighbouring regions in the

Bronze and Iron Age” in SMMA 6 (1995); A.Gaballa “Minor war scenes of Ramesse II at Karnak”

in JEA 55 (1969), 82-88; Z. Gal Lower, Galilee during the Iron Age (Winona Lake 1992);

R.Giveon, Les Bédouins Shosu des documents égyptiens (Leyde 1971); The Impact of Egypt on

Canaan (Fribourg 1978); N.Grimal, Storia dell’Antico Egitto (Roma-Bari 1992), 333-35;

A.Harrak, Assyria and Hanigalbat TSO 4 (Hildesheim 1987), 155-ss; K.A.Kitchen, Il faraone

trionfante (Roma-Bari 1992), 97-100; “The Egyptian Evidence on Ancient Jordan” in

P.Bienkowsky, Early Edom and Moab: The Beginning of the Iron Age in Southern Jordan - SAM

7 (1992), 21-34; RITANC II, 55-146; Liverani 1991, 564; Liverani 1994; N. Na’aman “The Land

of Israel in the Canaanite period: the Middle Bronze and Late Bronze Ages (2000-1200 B.C.E.)” in

I.Eph’al, The History of Eretz-Israel: Introductions and the Early Periods (Jerusalem 1982), 129-

246; Redford 1992, 186-88; I. Singer “Merneptah’s Campaign to Canaan and the Egyptian

Occupation of the Southern Coastal Plan of Palestine in the Ramesside Period” in BASOR 269

(1988), 1-10; “The northern wars of Sethi I: an integrative study” in JARCE 16 (1979), 29-47;

“Traces of the Early Career of Ramesse II” in JNES 38 (1979), 271-286; “Historical Observations

on the Military Reliefs of Abu Simbel and other Ramesside Temples in Nubia” in JEA 66 (1980),

83-99; “La Siria dopo la battaglia di Qadesh” in M.C.Guidotti – F.Pecchioli, La Battaglia di

Qadesh: Ramesse II contro gli Ittiti per la conquista della Siria (Livorno 2002), 198-205 con

bibliografia; J. Sturm “La guerre de Ramsès II contre les Hittites” in C.Vandersleyen, Connaissance

de l’Egypte ancienne VI (Bruxelles 1996); E.J. Van der Steen “The Central East Jordan Valley in

the Late Bronze Age and Early Iron Ages” in BASOR 302 (1996), 51-74; “Survival and Adaption:

Life east of the Jordan in Transition from the Late Bronze Age to the Early Iron Age” in PEQ 131

(1999), 176-192; J. Weinstein “The Egyptian Empire in Palestine: A Reassessment” in BASOR 241

(1981), 1-28; “The collapse of Egyptian Empire in Southern Levant” in W.A.Ward e M.Sharp-

Joukowsky, The Crisis Year: the 12th Century B.C. from beyond the Danube to the Tigris

(Dubuque - Iowa 1992), 142-150

Capitolo settimo

A.M.Polvani, “Trattative diplomatiche e conclusione della ‘pace eterna’” in M.C.Guidotti –

F.Pecchioli, La Battaglia di Qadesh: Ramesse II contro gli Ittiti per la conquista della Siria

(Livorno 2002), 212-215 con bibliografia; G.Rosati, “La pace egizio-ittita: Hattusili e Ramesse

definiscono la pace” id. 216-219 con bibliografia.