La 1^C mette radici
-
Upload
antonella-cavallin -
Category
Documents
-
view
242 -
download
4
description
Transcript of La 1^C mette radici
Fasan Angelica 11
Favaron Francesco 12
Gallina Sebastiano 13
Giacomazzi Riccardo 14
Girardi Anita 15
Guglielmin Piermaria 16
Innocente Marco Liberali Andrea
17
18
Mazzocca Arianna 19
Meroi Camila 20
Miatello Juliette 21
Moretto Nicolo’ 22
Rasulo Martina 23
Rizziero Francesco 24
Sbrissa Giovanni 25
...in aula informatica.
Una volta realizzata la bozza in Word, il
testo è stato corretto e tradotto in formato
“notiziario” con Publisher. I ragazzi sono
così entrati nel ruolo del giornalista, ope-
rando tagli al testo, scegliendo immagini
ed impaginando i contenuti e a volte
sacrificando la quantità...alla qualità!
Giudicate voi stessi! Buona lettura.
Prof.ssa Valentina Berton
“Immagina di essere una pian-
ta… un fiore, un albero da frut-
to, una pianta secolare, un sem-
preverde, una pianta medica-
mentosa… Immedesimati in una
di queste piante e scoprine qua-
lità, caratteristiche, poteri e
punti deboli.
Cerca in essa qualcosa che
possa essere accomunato a te.”
Questo lo spunto che abbiamo
fornito ai ragazzi affinchè potes-
sero sperimentare un testo di
scrittura creativa, prendendo a
modello la tecnica della personi-
ficazione dei personaggi su cui
è costruito il libro di Buzzati
letto durante l’anno.
Alcuni di loro hanno accettato la
sfida, provando a diventare
pianta… altri ne hanno sempli-
cemente raccontato le caratteri-
stiche.
Certamente hanno davvero co-
minciato a mettere radici.
Prof.ssa Mariassunta Rossi
Nelle ore del pomeriggio...
Antonello Filippo 3
Barbiero Arianna 4
Bertolo Mattia 5
Caon Alberto 6
Contesso Sara 7
Dalla Costa Federica 8
De Grandis Arianna Dotto Adelaide
9
10
Sommario
Laboratorio di lettura, scrittura ed informatica
La I^C mette radiCi
Classe IC
ANTONELLO FILIPPO
La sequoia è un albero originario dell’Ameri-ca Settentrionale, specificatamente dalla Sierra Nevada in California.
È una pianta che ama il sole se non troppo eccessivo, e non le arreca danni neanche il gran freddo.
Le sue foglie sono dei piccoli aghi grigio-verdi e i frutti sono piccole pigne tondeggian-ti lunghe 3-6 cm che sono prodotte in tarda estate.
È uno dei più maestosi alberi del mondo dato che può benissimo raggiungere i 90m d’al-tezza e i 10 di diametro. Il suo legno, di colore bruno-rossastro può essere un ottimo com-bustibile ed è facilmente lavorabile. Un’antica leggenda sostiene che il primo uomo a tro-vare il primo esemplare sarebbe stato un indiano. Tra i loro vari canti c’è questo:
Questa roccia non è venuta qua da sola.
Questo albero non sta qui da solo.
C’è qualcosa che ha fatto tutto questo;
che ci mostra ogni cosa.
Se fossi una sequoia certamente vorrei
abitare in montagna per poter sentire, la mattina, il soffio del vento montano che passerebbe lieve tra le mie fronde .
Probabilmente troverei la neve che nella notte è andata a posarsi sui miei
piedi come una candida coperta soffice. Starei sempre a dormire
Una sequoia gigante nel
parco di Yellow Stone
Sequoie famose
senza mai preoccuparmi di niente, mi sentirei invulnerabile ed invincibile, sarei l’albero più maestoso della foresta. Ma sarei , proprio per questo, altruista e saggio: farei da riparo a tutti gli animaletti che non trovano la via di casa. Sarei molto gentile anche quando mi dovessero recidere i rami, perché saprei che servirebbero per curare gli stati d’ansia data la proprietà riconosciuta ai miei germogli, o magari servirebbero per costruire qualcosa di utile o necessario a qualcuno. Sarebbe una
vita magnifica, una vita perfetta
Le sequoie non vengono mai tagliate in pezzi.
Ad alcune delle più Ad alcune delle più Ad alcune delle più Ad alcune delle più
imponenti sequoie è imponenti sequoie è imponenti sequoie è imponenti sequoie è
stato attribuito un nome stato attribuito un nome stato attribuito un nome stato attribuito un nome
speciale. Le più famose speciale. Le più famose speciale. Le più famose speciale. Le più famose
sono: sono: sono: sono: Il “General Sherman”Il “General Sherman”Il “General Sherman”Il “General Sherman”Il “General Sherman”Il “General Sherman”Il “General Sherman”Il “General Sherman”Il “General Sherman”Il “General Sherman”Il “General Sherman”Il “General Sherman”
La “President”La “President”La “President”La “President”La “President”La “President”La “President”La “President”La “President”La “President”La “President”La “President”
La “Grizzly Giant” La “Grizzly Giant” La “Grizzly Giant” La “Grizzly Giant” La “Grizzly Giant” La “Grizzly Giant” La “Grizzly Giant” La “Grizzly Giant” La “Grizzly Giant” La “Grizzly Giant” La “Grizzly Giant” La “Grizzly Giant”
La “Bull Buck”La “Bull Buck”La “Bull Buck”La “Bull Buck”La “Bull Buck”La “Bull Buck”La “Bull Buck”La “Bull Buck”La “Bull Buck”La “Bull Buck”La “Bull Buck”La “Bull Buck”
Soprattutto il “General Soprattutto il “General Soprattutto il “General Soprattutto il “General
Sherman” con i suoi 85 Sherman” con i suoi 85 Sherman” con i suoi 85 Sherman” con i suoi 85
m di altezza e 35 di m di altezza e 35 di m di altezza e 35 di m di altezza e 35 di
diametro basale è diametro basale è diametro basale è diametro basale è
considerato l’essere più considerato l’essere più considerato l’essere più considerato l’essere più
voluminoso sulla Terra, voluminoso sulla Terra, voluminoso sulla Terra, voluminoso sulla Terra,
tanto che il suo peso tanto che il suo peso tanto che il suo peso tanto che il suo peso
stimato è di circa 5445 stimato è di circa 5445 stimato è di circa 5445 stimato è di circa 5445
tonnellate!!!tonnellate!!!tonnellate!!!tonnellate!!!
La sequoia è La sequoia è La sequoia è La sequoia è
un albero un albero un albero un albero
tutelatissimo tutelatissimo tutelatissimo tutelatissimo
tanto che c’è tanto che c’è tanto che c’è tanto che c’è
anche una anche una anche una anche una
legge che legge che legge che legge che
vieta vieta vieta vieta
l’abbattimento di questa l’abbattimento di questa l’abbattimento di questa l’abbattimento di questa
pianta. pianta. pianta. pianta.
Notizie di rilievo:
• LA SEQUOIA E I SUOI
SEGRETI
• SEQUOIE NEL MONDO
• ITERVISTA AD ANTO-
NELLO FILIPPO: NEI
PANNI DELLA SE-
QUOIA
Pagina 3 Laboratorio di lettura, scrittura ed informatica
La sequoia
Pagina 4 Laboratorio di lettura, scrittura ed informatica
Se io fossi un fiore… sarei un girasole.
Il nome “ girasole” deriva dal caratteristico movi-mento eliotropico, cioè la tendenza di questa pianta a girare sempre il capoli-no verso il sole: all’alba i girasoli sono rivolti a est, poi iniziano a ruotare, per trovarsi al tramonto rivol-ti verso ovest. Durante la notte avviene l’opposto e ritorna ad est. Il nome scientifico del girasole è “Helianthus annuus”. Helianthus deriva da due parole greche, “helios”= sole e “anthos”= fiore. Il girasole è una pianta annuale appartenente al-la famiglia delle Composi-te, con una grande infio-rescenza a capolino. È u-na pianta che raggiunge notevoli dimensioni. Il fu-sto, dritto e robusto, può raggiungere un’altezza tra 1,5 e 2,5 metri. Le fo-glie sono grandi, semplici e dentate. La caratteristi-ca principale del girasole è che il fiore segue sem-pre il sole.
Vive in luoghi caldi e as-solati. È un fiore antico, è
originario del Perù nell’A-merica Latina dove gli In-dios lo ritenevano la rappre-sentazione del dio sole e lo coltivavano a scopo alimen-tare come fonte di cibo pre-zioso. I semi erano conside-rati magici dalle antiche po-polazioni per la loro antica disposizione a spirale. Que-sta pianta si diffuse in Eu-ropa nel XVI secolo, fu im-portata nel 1510 e divenne molto apprezzata per i suoi bellissimi fiori. Con i semi si produce un olio di pregevoli qualità nutritive. In Cina i semi sono considerati un ci-bo che rende immortali.
Il girasole vive in luoghi cal-di, per crescere ha bisogno di tanto sole, quindi ama l’estate. Può essere col-tivato in qualsiasi terreno ed è molto semplice da colti-vare.
Nella sua corolla ha un cen-tinaio di semi che si possono raccogliere e seminare l’an-no successivo.
Nel linguaggio dei fiori si-gnifica felicità, allegria e or-goglio. È un fiore spirituale per tutta la luce che splende dai suoi petali. Era il fiore preferito da Van
Gogh e li dipingeva nei suoi bel-lissimi quadri.
Una leggenda narra che nell’an-tica Grecia il girasole era sacro ad Apollo, il dio del sole. Si racconta che una ragazza di nome Clizia si fosse innamorata del dio Apollo e per questo guar-dava sempre il suo carro nel cie-lo. La leggenda narra che dopo nove giorni la giovane ragazza venne trasformata in un giraso-le.
Se io fossi un fiore, sarei un gira-sole. È alto, ha i petali gialli se-gue sempre il sole e porta fortu-na.Io mi sento un girasole perché mi piace l’ estate, il caldo e le belle giornate.
Ha i petali gialli come i miei ca-pelli , è alto quasi come me; d’e-state li pianto sull’orto perché mi piacciono molto: sono pieni di a-pi, gli uccelli mangiano sempre i suoi semi ed è un fiore gigante.
Ha i fiori grandi e gialli che cer-cano il sole: emettono felicità.
Barbiero Arianna
Il girasole
Pagina 5 La I^C mette radiCi
CLIVIA
La pianta che ho scelto si chiama Clivia.
Questa pianta ha dei fiori bellissimi che a fine inverno sbocciano a grappoli di colore rosso fuoco come fossero fuochi di artificio. Può fare da 10 a 20 fiori che durano circa 3 settimane.
Il rosso fuoco è il colore che più mi pia-ce, tanto da aver dipinto una parete del-la mia camera di questo colore.
È alta 50 cm cioè un terzo della mia al-tezza, è proporzionata ed ha molte fo-glie lunghe e un po' disordinate che ri-cordano i miei capelli.
Ama tutti i climi, ma come me soprattut-to i periodi più caldi essendo originaria del Sud Africa.
Mi piace soprattutto perché è robusta, solida e resistente. Fa i fiori in febbraio che è il mese in cui compio gli anni e
pur soffrendo un po' nei mesi inver-nali, con l'avvento dei primi tepori, rifiorisce più bella e forte di prima.
Le malattie che attaccano questa pianta sono: la cocciniglia cotonosa che è causata da un clima caldo sec-co, marciume del colletto che è cau-sata da un eccesso di annaffiature, macchie gialle sulle foglie causate dall'innaffiamento con acqua fredda, foglie accartocciate e ingiallite cau-sate da annaffiature eccessive o ca-renti.
Nel mio caso non posso parlare di annaffiature, certo anch'io dovrei sta-re attento agli eccessi… ma di pasta-sciutta e di patatine fritte.
Mattia
Bertolo
Il “Tronchetto della felicità”, me-glio noto come Dracaena fa parte della famiglia delle Lilia-cee. Esistono numerose specie di dracaena tra cui: Dracaena Deremensis, Dracaena Sande-riana, Dracaena Fragrans, Dra-caena Marginata, Dracaena Draco, e Dracaena Godseffia-na. Tra tutte queste specie ho scelto la Dracaena Fragrans. Sono un esemplare di tronchet-to della felicità, vivo nel caldo Madagascar, ma spesso dei miei fratelli vengono presi ed esportati in tutto il mondo. Noi, non siamo apprezzati per i frutti o per il colore ed il profu-mo dei fiori, ma siamo ambiti per decorazione. Un po’ mi di-spiace quando i miei fratelli se ne vanno; moriranno giovani o perlomeno vivranno male non trovando le condizioni di vita adatte. Inoltre vedo sempre e-normi quantità di alberi tagliati, se penso che è grazie a noi che gli uomini respirano provo una grande amarezza. Però ci sono cose che invidio agli uomini, il poter muoversi da soli e mangiare quello che vogliono (io mi sarei anche stu-fato di mangiare solo zuccheri, zuccheri e zuccheri, e, poi gli esseri umani possono curarsi
dalle malattie. Io e la mia specie siamo però fieri di nutrire animaletti e insetti; anche se potrebbe-ro portarci alla morte, noi siamo orgogliosi di far vivere animali affamati e insetti infreddoliti. Nella mia chioma ospito nidi di uccelli e dentro di me scorrono numerosi insetti, questa e la vecchiaia potrebbero essere le cause della mia morte. Mie è arrivata la notizia dai miei parenti cinesi che li i panda li scambiano per bambù e li mangiano. Negli ultimi giorni di vita riesco a mala pena a produrmi il cibo e liberare ossigeno. . . ad un trat-to però sento arrivare le forze, mi sembra di es-sere un giovane fusto, ma era un illusione, infatti quella notte non mi svegliai più . . .
Caon Alberto
Il tronchetto della felicità
Pagina 6 Laboratorio di lettura, scrittura ed informatica
Esistono circa cin-quanta tipi di Nin-fee, piante acquati-che perenni, dai fio-ri molto ornamenta-li, spesso delicata-mente profumati, provenienti dall'Au-stralia e dal sud A-frica. E' senz'altro la più famosa tra le piante acquatiche. Le foglie rotonde, galleggianti, cresco-no dal fondo ancora arrotolate, si sroto-lano quando rag-giungono la superfi-cie dell'acqua e rico-prono ampie esten-sioni; sono verde in-tenso, tinte di rosso sulla pagina infe-riore. I fiori sono molto grandi, spes-so anche più di 10 cm di diametro, di svariati colori, gal-leggianti e molto profumati. Sboccia-no di giorno e si chiudono di notte; durano pochi giorni, ma la pianta ne produce continua-mente di nuovi da maggio a settem-bre.
Nella mitologia greca la Ninfea era consi-derata il simbolo del-l’amore non corrispo-sto, ma anche dell’a-more platonico. Gli Egizi hanno scelto questo fiore per orna-re le loro abitazioni e hanno dipinto le pa-reti delle tombe dei faraoni. In Oriente, la ninfea simboleggia l’alba, l’arrivo del so-le; alcune varietà si aprono quando sorge il sole e poi si richiu-dono al tramonto.
E’ un fiore molto bel-lo, particolare, che ha alcune cose in co-mune con me.
Come la Ninfea an-ch’io amo l’acqua, quando sono al mare passo il mio tempo in acqua, nessuno rie-sce a tirarmi fuori; inoltre è un fiore molto colorato e un’-altra delle cose che io amo di più sono i co-
lori. Per questo ho scel-to la Ninfea perché ha caratteristiche sempli-ci, ma bellissime!!!
La I^C mette radiCi
La Ninfea
Sara Contesso
Il bucaneve è un fiore perenne, molto
delicato e appartiene alla famiglia delle
Galanthus Nivalis. Anch’io sono a volte
delicata e ho una famiglia che mi pro-
tegge. Il nome Galanthus deriva da due
parole greche: “gala”= latte bianco e
“antos”= fiore. Il bucaneve è un fiore
che dà speranza e forza. Io, alle mie a-
miche do speranza e forza nel momento
in cui hanno bisogno. Queste piante so-
no presenti nell’Europa Meridionale e
nelle zone Caucasiche. Vivo in Europa
meridionale, e in Italia. Si trovano nei
boschi di latifoglie, amano le zone di
penombra e preferiscono i terreni ric-
chi di sostanze nutritive. Amo le zone
di mezz’ombra e devo avere una ali-
mentazione sana per crescere bene. I
petali esterni sono liberi e formano una
stella, il fiore così ha un’armonia parti-
colare, i
colori
variano
dal
bianco al
viola
chiaro.
Il viola è anche il mio colore prefe-
rito perché mi mette ottimismo e
speranza. Il Bucaneve fiorisce in
Febbraio e in Marzo, quest’ultimo è
il mese in cui sono nata. Dal Buca-
neve si ricavano anche delle so-
stanze per fare dei preziosi cosme-
tici, che uso per lavarmi e profu-
marmi.
Dalla parola Bucaneve deriva il de-
lizioso biscotto “bucaneve” che per
la prima volta fu sfornato nel 1950,
che è l’ideale per essere inzuppato
nel latte e nel tè; difatti è il mio
preferito biscotto per la colazione.
Il fiore è anche fonte d’ispirazione
per molti cantanti come: Eros Ra-
mazzotti che nel suo album “Ali e
Radici” scrisse la canzone chiama-
ta “Bucaneve”. Eros Ramazzotti è
uno dei miei cantanti preferiti. Il
Bucaneve è quindi il fiore che mi
descrive di più, mi dà speranza e
spero anche agli altri!!
IL BUCANEVEIL BUCANEVEIL BUCANEVEIL BUCANEVE Dalla Costa Federica
Se potessi vivere un’altra vita, rinascerei fiore. Vorrei essere un’Orchidea Phalae-nopsis. Il primo esemplare di questa pianta fu ritrovato sull’isola di Java dal biologo C. L. Blume, che le diede il suo nome perché l’orchidea gli ricordava le farfalle quando spiccano il volo. Questo nome significa infat-ti “simile a farfalla”, da Pha-laena = farfalla e Opsis = simile. Il fiore si è adattato agli habitat più vari, come dimostra la sua presenza in molte zone della Terra. Que-sto fiore è simile a me per-ché sboccia nei mesi inver-nali. L’inverno è la mia sta-gione preferita perché mi affascina con il suo manto di neve bianco e silenzioso. Io infatti sono nata in Gen-naio. L’orchidea è però un fiore imprevedibile, tanto che non sboccia sempre nel periodo ritenuto adatto; an-che in questo è un po’ come me, la mia nascita era previ-sta per il venti gennaio e invece sono nata il ventiset-te. La Phalaenopsis è rite-nuta una pianta avara, ma in questo non mi riconosco. Io sono sempre disponibile ad aiutare gli altri, anche se sono un po’ timida: non mi butto mai a capofitto nelle cose della vita perché ho paura di non saperle poi ge-stire. Ma con l’aiuto dei miei genitori e dei miei amici, che mi spronano ad affrontare queste situazioni, sono di-
ventata più coraggiosa e re-sponsabile. Non so se l’orchi-dea sia una pianta “responsabile”, ma è questo lo spirito che vedo in lei. A volte ho la testa fra le nuvole, com-pletamente “staccata” dal cor-po, come il fiore dal resto della pianta; questo, infatti, è “sopraelevato” e se non ci fos-sero le radici a tenerlo ancora-to al terreno, la pianta mori-rebbe, come per me che, se non ci fossero i miei genitori a “tirarmi giù” dalle nuvole, fluttuerei tutto il giorno so-gnando ad occhi aperti cose impossibili. Ci sono orchidee di vari colori, ma quella con la corolla bianca e la parte inter-na rosa scuro/fucsia è la mia preferita. Questi colori non sono appariscenti, sono sem-plici, ma sono carini lo stesso. Anch’io sono così, “bianca” e semplice fuori, determinata ed energica dentro. Infine, questa pianta mi piace perché tiene il meglio di sé all’interno, mo-strandolo a poco a poco; è si-mile a me anche per questo: io sono più bella dentro e piano piano questo sta uscendo, nel senso che riesco ad esprimere meglio quello che ho dentro. All’inizio in questa pianta non riuscivo trovare a niente di simile a me, poi però, attraver-so la ricerca e un’adeguata ri-flessione, ho iniziato a ricono-scere in lei molte delle mie ca-ratteristiche e adesso l’orchi-dea mi piace molto: è una pianta meravigliosa, proprio come me!. L
a I
^C
mett
e
rad
iCi
Laboratorio di lettura, scrittura
Pagina 9 La I^C mette radiCi
De G
randis A
rianna
L’Orchidea
Sono una bellissima orchidea e mi chiamo
Vanda, un nome che mi piace moltissimo. Ho
lunghe foglie di un verde brillante che lucci-
cano alla luce del sole. I miei fiori sono mol-
to grandi e colorati di un viola intenso, ma le
mie sorelle possono essere di molti altri colo-
ri che vanno dalle sfumature più chiare a
quelle più scure.
Adoro stare sotto i raggi del sole perché vedo
risplendere le mie foglie, ma ho anche biso-
gno di un piacevole venticello fresco che ac-
carezzi i miei petali. Guai a lasciarmi in luo-
ghi poco umidi: non lo tollero! Sono una tipi-
na molto esigente ed ho bisogno di tante cure
e attenzioni.
La mia terra d’origine ha un clima caldo e
molto umido, infatti vengo dall’Australia,
dalla Nuova Guinea e dallo Sri Lanka.
Ho sempre fame soprattutto in primavera e in
estate e se qualcuno mi dà un bel po’ di con-
cime per nutrirmi cresco e sboccio in mille
altri fiori. Non smetto mai di fiorire e se sono
trattata bene i miei fiori profumati possono
durare anche per parecchie
settimane.
Attenzione però a non ba-
gnarmi troppo i piedi per-
ché questo potrebbe rovina-
re il mio bell’aspetto e far-
mi stare male. Per fortuna
però non subisco gli attac-
chi dei malvagi parassiti e
dei fastidiosi funghi che so-
no sempre in agguato.
In conclusione, se dovessi
descrivermi con tre aggetti-
vi direi che sono affascinan-
te, altezzosa, ma soprattutto
tanto tanto “fashion”!
Adelaide Dotto
Pagina 10 La I^C mette radiCi
L’orchidea Vanda
Se
dovessi essere una pianta,
vorrei essere la campanula
cinese (Platycodon Grandi-
florum).
L’ho scelta perché appena
ho visto la foto ho pensato
“questo è il fiore giusto”.
Fa parte della famiglia del-
le Campanulacee, il suo no-
me deriva dai termini greci
“platys”, piatto e “kodon”,
campanula.
I luoghi d’origine sono la
Cina e il Giappone. Ora è
presente in tutto il mondo;
si trova in Europa dal 1782.
E’ una pianta che viene uti-
lizzata per aiuole, per bor-
dure grazie alla ricca fiori-
tura, e, in Cina, viene usata
in erboristeria e nell’antica
medicina cinese. Viene im-
piantata in primavera e fio-
risce tra luglio e settembre.
E’ una pianta erbacea peren-
ne, ha un fusto sottile e slan-
ciato, alto 30-50 cm con foglie
ovali all’incirca sessili.
I fiori sono a stella di colore
blu, bianco, rosa e in particola-
re lilla, il mio colore preferito.
Questa pianta ama i terreni
profondi e abbastanza freschi,
va messa in un luogo soleggiato
(con pieno sole), fino a mezz’-
ombra. I Platycodon sopporta-
no senza problemi temperature
molto rigide perché vanno in
riposo vegetativo nei mesi in-
vernali.
A volte la pianta si secca com-
pletamente e rinasce a prima-
vera inoltrata (è successo an-
che a casa mia, la pianta si era
seccata quest’inverno e adesso
sta germogliando).
Va annaffiata frequentemente
e regolarmente, soprattutto
nei mesi più caldi.
La moltiplicazione è diversa a
seconda delle stagioni: in au-
tunno la pianta si può moltipli-
care per seme, in primavera si
possono dividere i gruppi di
foglie e in estate si possono
praticare talee.
In genere queste piante non
sono attaccate da parassiti o
da malattie (questa, secondo
me, è una qualità che, sotto
certi aspetti, penso di avere
anch’io.)
Vorrei essere questa pianta
perché oltre al colore, ha i
fiori a forma di stella belli,
eleganti e discreti, proprio
come penso di essere io.
Come me, ama i luoghi soleg-
giati e freschi; ama l’acqua,
infatti, io ne bevo molta.
Mi ha colpito molto il fatto
che i fiori sono sempre in
gruppo e a me piace stare in
compagnia.
E’ per tutti questi motivi che
vorrei essere una CAMPANU-
La I^C
La campanula cinese Fasan
Angelica
Favaron Francesco IL PAVERO
Il papavero comune è il mio fiore preferito. Il suo nome deriva dal lati-no: Papaver Rhoeas. E’ un fiore che cresce spontaneo sia in Europa che in Asia. E’ una pianta comune e può crescere nei campi coltivati di grano, lungo le siepi fino ai 1700 m. di quota. Fiorisce in primavera - estate, da aprile fino a metà luglio. Il fusto è eretto, coperto di peli ri-gidi, il fiore ha petali rossi e caduchi, con una macchia nera in corri-spondenza degli stami.
E’ un fiore che ha dato origine a leggende e credenze popolari. Nella tradizione mitologica si narra che Demetra, la dea dei campi e dei raccolti, abbia riacquistato la serenità in seguito alla morte della figlia soltanto bevendo infusi di papavero. Si racconta inoltre che Gengis Khan, imperatore e condottiero mongolo, portasse sempre con sé al-cuni dei semi di papavero che spargeva sui campi di battaglia, in ri-cordo e rispetto di coloro che vi erano caduti. Anche in Gran Bretagna il papavero è tradizionalmente dedicato alla memoria delle vittime del-la Prima e Seconda Guerra Mondiale. Il significato del papavero è quello della consolazione.
Se potessi essere un fiore, vorrei proprio essere un papavero rosso. Di esso mi piace la spontaneità, una caratteristica che riconosco a me comune oltre alla semplicità di questo fiore. Anche a me piace stare in luoghi comuni, insieme agli altri. Mi piacerebbe essere un papavero anche per il suo colore rosso: un colore vivace, che dà allegria; infatti pure io preferisco i colori accesi. L’ aver saputo inoltre che questo fio-re serve a consolare, lo rende ancora più vicino a me perché anch’io, a volte, riesco a consolare qualche amico o familiare.
L’ unico punto debole che il papavero ha sono i suoi petali delicati che appassiscono in fretta, questa è una debolezza che condivido poiché spesso anch’ io sono soggetto ad allergie che sciupano la mia pelle.
Anche i ragazzini d'estate vengono a trovarmi. L'anno scorso avevano costruito una ca-setta, ma essa crollava sempre dati i miei rami penduli e non molto rigidi, allora decisero di co-struirla intorno al mio fusto bruno-rossastro e solca-to e ne uscì un fortino per difen-dersi dagli attac-chi degli altri ra-gazzi che abitava-no il castello.
Quando arrivò l'inverno e la bella stagione se ne andò io rimasi so-lo, anche la fami-glia di rondini se n'era andata per poi tornare in pri-mavera.
Fu allora che ini-ziai a pensare alle caratteristiche che avevo in co-mune o con uno
dei ragazzini che d'estate giocava con me:i miei lun-ghi rami assomi-gliavano ai suoi capelli che gli rico-privano la metà del volto,anche a lui piaceva molto l'acqua tant'è vero che si faceva sempre il bagno nel fossato.
Il suo carattere e-ra come i miei ra-mi, flessibili e ro-busti; infatti lui si adattava con faci-lità alle nuove si-tuazioni e aveva un'indole fortissi-
ma.
La sua pelle era sempre piena di tagli, come la mia corteccia piena di solchi,
adorava il cibo ci-nese e le leggen-de di quel paese, e quando me le narrava mi ricor-davano il bosco da cui provengo.
Però due mesi fa si trasferì e non lo vidi più e fu da al-lora che assunsi l'aspetto malinco-nico che hanno tutti i salici.
E' primavera, la mia stagione pre-ferita: i fiumi e i ruscelli si riempo-no di acqua, l'ac-qua fresca che mi bagna le radi-ci, gli uccelli tor-nano dai paesi caldi, gli animali si risvegliano dal le-targo, le prime fo-glie e i primi fiori iniziano a sboc-ciare lungo i miei rami bruni, sottili e penduli: sono un salice piangente.
Ho appena finito di parlare con la famiglia di rondini che abita i miei rami.
Abito nel giardino di un antico ca-stello, vicino al fossato.
La gente ,spesso, si siede sotto la mia chioma emi-sferica e ricaden-te fin quasi al suolo, ad ascolta-re musica o a leg-
La
Il salice piangente
Sebastiano Gallina
La I^C
mette radiCi
ABETE BIANCO
Se dovessi rinascere e diventare una pianta, vorrei essere un abete bianco perchè ha molte cose in comune con me.
Nasce spontaneo nei nostri territori “nordici”e questo mi ricorda la provenienza da parte di mio papà dall’Austria.
E’ una pianta sempreverde: io non sono quasi mai triste.
È un albero molto longevo ( vive fino a seicento anni), infatti la nonna materna ha ottantanove anni e il nonno paterno ne ha ottantatre. Ho buone possibilità di vivere a lungo.
L’abete bianco soffre se rimane all’ombra, ama stare al sole: io non amo rimanere in disparte, a me piace essere solare e stare in compagnia.
Fiorisce verso Maggio e Giugno, io mi sento più forte e pieno di energia in questo periodo dell’anno.
I rami sono regolari e anche i miei capelli sono quasi sempre in ordine.
Il legno dell’abete bianco serve anche a costruire case antisismiche in Giappone, io mi sento abbastanza forte a sostenere sia fatiche fisiche che mentali.
È a basso rischio sradicamento, anch’io, a mio parere, difficilmente mi abbatto moralmente.
La pianta di cui parliamo ha un legno molto chiaro, mi ricorda la mia carnagione chiara.
Ha proprietà medicamentose per le vie respiratorie, per strappi, e per le malattie agli occhi ed è anche a me piace, quando posso, aiutare gli altri.
È una pianta che vive in gruppo, infatti a me piace la compagnia.
In Italia è presente sulle Alpi, a me piace andare in montagna e praticare molte attività come lo sci e camminare lungo i sentieri.
È chiamato anche “PRINCIPE DEI BOSCHI”e questo mi fa ricordare la mia discendenza “ nobile” austriaca.
La sua altezza di 50 metri mi fa pensare ai giocatori di basket, sport che pratico da diversi anni.
Il legno è leggero e lo associo al mio scarso peso.
L’abete bianco è maestoso e slanciato ...modestamente mi rispecchio!!!
Perchè avete quelle facce?!
Giacomazzi Riccardo
Il mughetto è il mio fiore preferito.
Il suo nome è sinonimo di ritorno alla felicità e di por-tafortuna, deriva dalla vec-chia denominazione latina Lilium Cornovallium o gi-glio delle convalli; oltre a mughetto, viene anche chiamato volgarmente Vungherino Convallaria e Fioraliso.
Il Mughetto ha un fusto erbaceo altro fino a venti cm; le radici sono a rizo-ma e ha due foglie basali larghe circa 2,4 cm, che sono lungamente picciola-te, appuntite e racchiuse in una guaina.
Il loro colore è verde chia-ro e ha nervature paralle-
le.
Il mughetto si presenta con dei fiorellini bianchi a forma di campanella e profumatis-simi.
Vive generalmente nei posti boscosi e umidi specie nei suoli calcarei, dalla pianura alla montagna, nasce spon-taneamente nei boschi delle prealpi, ma se coltivato può vivere in tutte le zone d’Ita-lia, escluse la parte meridio-nale e isole.
La leggenda dell’origine del Mughetto, narra che in Francia, durante la festa del primo Maggio, San Leonar-do dovette combattere con-tro il demonio con le sem-bianze di diavolo, egli vinse, ma lo scontro fu così violen-to che rimase ferito, e le gocce del suo sangue sul terreno si trasformarono in bianchi campanellini.
Il Mughetto, oltre a essere il mio fiore preferito, ha molte aspetti in comune con me, per esempio è molto delica-to e discreto come lo sono io, è carino e non troppo appariscente e infine è una pianta inflorescente (con molti fiori) e alche a me pia-ce stare insieme agli altri.
Il mughetto
Girardi Anita
Il Pungitopo è un
arbusto spinoso che
raramente supera il
metro e mezzo
d’altezza. Le sue
foglie sono poco
appariscenti, misurano
da uno a quattro
centimetri di
lunghezza e terminano
con una punta spinosa.
I fiori, piccoli e poco
visibili, sono di colore
giallo chiaro e
producono delle
bacche rosse che
danno alla pianta un
aspetto molto
decorativo.
Il Pungitopo è molto
diffuso nelle regioni
mediterranee,
solitamente nei boschi
del Leccio ed è
originario dall’Europa
meridionale. Tollera
bene qualsiasi
esposizione, sia al sole
sia in posizione
ombreggiata e cresce
bene nei climi
mediterranei. Sopporta
variazioni di clima
piuttosto sensibili
poiché si tratta di una
specie molto
resistente.
Il pungitopo è
considerato un
“portafortuna”, e a dire
la verità io di fortuna
ne porto molta,
soprattutto quando si
tratta di trovare un
parcheggio per la
macchina.
Il pungitopo ha la
qualità di adattarsi ad
ogni tipo di situazione,
anche io mi adatto
facilmente ad ogni
situazione.
L’ allegria che
emanano le bacche
rosse è simile a l’
allegria che ho io di
solito.
Il suo punto debole è il
fatto che la gente tende
ad evitarlo per paura di
pungersi…!Il
pungitopo non viene
usato per decorare la
casa a parte durante il
periodo natalizio.
Esso ha il potere di
tenere lontani i topi dai
salami, infatti viene
posizionato a mazzetti
nei fili in cui vengono
messi e nelle mensole
in cui vengono posti i
Il pungitopo
La I^C mette radiCi
Guglielmin Piermaria
Se potessi essere pianta
sarei… l’artiglio del dia-
volo. Si tratta di una
pianta originaria del Sud
Africa. Questo nome
particolare deriva dai
piccoli uncini che sono
presenti sul suo frutto.
E’ una pianta “sportiva”,
infatti questa ha la qua-
lità di guarire i dolori
che solitamente accusa-
no le persone che prati-
cano sport.Le sue radici
contengono principi atti-
vi dalle spiccate proprie-
tà antifiammatorie anal-
gesiche, perciò è indica-
ta nel caso di artrosi,
reumatismi ed altre ma-
nifestazioni articolari
dolorose.Aiuta ad alle-
viarei dolori, migliora la
mobilità e l’elasticità ar-
ticolare. E’ anche utile
per i disturbi degli spor-
tivi, come tendiniti e di-
storsioni ( e secondo me
non solo per gli sportivi!).
Può essere somministrato
sottoforma di tisana op-
pure come estratto secco.
E’ profumato e la sua cre-
ma o tisana è di color
marrone. Esistono anche
unguenti o gel per i mas-
saggi defaticanti dopo l’-
attività sportiva o in caso
di trauma. Cresce nelle
zone fredde di montagna
ed è attaccata ad una
roccia oppure ad un albe-
ro, il suo colore è viola.. Io
ho scelto questa pianta
perché mi può assomiglia-
re per vari motivi: è
“sportiva”, minuta ed ha
dei filamenti con dei
“riccioli” che spuntano co-
me capelli disordinati, i-
dentici ai miei (peccato
che questi “riccioli” siano
fucsia, mentre i miei sono
neri). Curando le persone
a me dà l’idea dell’amicizia e
dell’amore verso gli altri, per-
chè con le sue molteplici pro-
prietà è come se si prendesse
cura di essi per farli stare me-
glio. Mi sento anch’io un po’
“curativo” perché, essendo una
persona altruista ed ottimista,
credo di essere d’aiuto alle
persone che mi stanno vicino.
La
I^C mette radiCi
L’artiglio del diavolo
Marco Innocente
Liberali Andrea BAOBAB
Il baobab è un gigante buono africano chiamato dagli Africani “ albero farmacista” o “albero della
vita”.
Questo immenso albero è il simbolo dell’ Africa perchè sembra unire il cielo con la terra, esso forni-
sce agli uomini nutrimento e rimedio a disturbi e malattie di vario genere. E’ un albero-scultura, è
uno degli alberi più grandi della terra ed è utile anche quando non vive più perché il suo tronco sca-
vato è stato utilizzato come prigione, come chiesa e a volte semplicemente come abitazione per in-
tere famiglie . Il legno del suo tronco è infatti molto morbido perché ha la funzione di accumulare
acqua e ciò gli permette di sopravvivere durante i lunghi periodi di siccità. La sua solitaria vita è lun-
ghissima e in media può essere di 500 anni , ma in alcune parti dell’ Africa sembra che esistano e-
semplari di 5000 anni.
Il baobab, come me, viene talmente rispettato dagli abitanti, che solo gli iniziati e i saggi hanno il
permesso di arrampicarvisi sopra.
Il baobab è una pianta tropicale appartenente alla famiglia delle Bombacacee, cresce spontaneamen-
te in Africa e Madagascar ; nel tempo però l’ uomo ha iniziato a disseminarlo ampiamente anche in
altri paesi.
Il Baobab gioca un ruolo essenziale nella far-
macopea tradizionale e praticamente tutte
le parti dell’ albero vengono utilizzate. Ad esem-
pio nell’ Africa occidentale le radici sono cotte e
mangiate in tempo di care- stia, in Sierra Leone
perfino si utilizza il decotto di radice per aumen-
tare la carica sessuale. I tronchi degli alberi
vivi invece, sono impiegati come serbatoio di
acqua ,infatti un grosso al- bero può contenere
fino a 9000 litri di acqua, in Zimbabwe perfino la
cavità di un albero è usata come sala di attesa per i bus. Il legno invece non si taglia facilmente,
perchè la forza del taglio viene assorbito dall’elasticità delle cellule del parenchima.
Le foglie macerate e poi compresse servono per fare lavaggi alle orecchie ed agli occhi dei bambini
ammalati, con effetto anti infiammatorio.
La polpa del baobab è stata recentemente impiegata come base idrofila in produzioni farmaceutiche
di compresse di paracetamolo e teofillina a rilascio prolungato. La polpa è usata anche nei confronti
della diarrea infantile, sciolta in acqua è usata sottoforma di cataplasmi sugli occhi arrossati. La pol-
pa è ricchissima di vitamina C, addirittura fino a otto volte in più di quella delle arance, può essere
perfino polverizzata e preparata come bevanda dissetante e rinfrescante.
La polpa, dal punto di vista nutrizionale può essere una fonte interessante per l’apporto energetico e
vitaminico, mentre le foglie possono essere un ottima fonte di sali minerali, soprattutto cal-
cio,fosforo e ferro. Invece dai semi si estrae un olio ricco di acidi grassi essenziali che può essere
utilizzato nell’ alimentazione umana e nella cosmesi.
Per questi motivi penso che il baobab possa rappresentarmi, perchè ogni parte del suo “ corpo” aiuta
l’ ambiente, come me quando aiuto la gente nel bisogno.
Se fossi una pianta vorrei
essere un GLICINE più pre-
cisamente una Wisteria Fru-
tescens.
Originaria del Nord America,
è una pianta arbustiva rampi-
cante, presenta foglie molto
piccole, dalla tipica forma
lanceolata, disposte in ma-
niera fitta. I fiori, che ven-
gono prodotti in grandi quan-
tità, sono raggruppati a
grappolo, di colore tra l'az-
zurro e il lilla, che è il mio
colore preferito, hanno u-
n'intensa e gradevole profu-
mazione, che io adoro, posso
dire che è il profumo da me
preferito. Nella mia camera
da letto ci sono due piantine,
appunto di glicine, che pro-
fumano e colorano la stanza.
Il glicine non teme il freddo,
sopporta temperature anche
di diversi gradi sotto lo ze-
ro, ma predilige una posizio-
ne luminosa e soleggiata. Vi-
ve bene in piena terra, nelle
aree con clima temperato
fresco, in un terreno argillo-
so e ricco di sostanze orga-
niche, anche se senza diffi-
coltà si adatta alle diverse
tipologie di terreno anche
con esposizione a mezzom-
bra: io sto bene in qualsiasi
luogo e con qualsiasi tempe-
ratura, ad esempio usavo so-
lo la maglietta con le mezze
maniche in inverno.
I fiori del glicine dal profu-
mo molto intenso e piacevole
sono commestibili mentre i
suoi frutti sono velenosi: as-
somigliano a me che da fuori
sembro “velenosa”, ma den-
tro sono una simpaticona!
Il glicine rappresenta l'ami-
cizia, tenera e reciproca; si
narra, infatti, che gli Impe-
ratori giapponesi, durante i
lunghi viaggi di rappresentanza,
portassero con sé bonsai di gli-
cine; quando giungevano in luo-
ghi stranieri si facevano prece-
dere dagli uomini del seguito,
che sostenevano alberelli di gli-
cine fiorito, al fine di rendere
note le proprie intenzioni, ami-
chevoli e di riguardo, per gli a-
bitanti di quelle terre.
Il significato che il dono del gli-
cine ha conservato è quello di
segno di disponibilità ed anche
prova di amicizia:io farei qual-
siasi cosa per un amico.
Il glicine simboleggia la prima-
vera, il suo intenso profumo ri-
corda le sere d'estate. E' una
pianta considerata scacciaguai,
allontana le negatività: quando
arriva la primavera, mi sembra
proprio di rinascere, cominciare
una nuova vita.
Come questo resistentissimo
rampicante, un po’ selvaggio,
non mi preoccupo molto delle
buone maniere, sono fatta così
e, se a qualcuno non va bene,
pazienza!!!! Nulla può ostacolar-
mi o abbattermi perché ho una
forza di volontà incredibile!
Laboratorio di lettura, scrittura ed
Il glicine
Arianna Mazzocca
CEIBO
L’ALBERO DI CORALLO
Essendo una pianta del Sudamerica, di una
zona che era abitata da diversi popoli indi-
geni, ha ricevuto diversi nomi in diverse lin-
gue. Dal popolo guaranì veniva chiamato
ceibo o zuinadì.
La leggenda guaranì del Ceibo narra:
C'era una volta, sulla riva del fiume Paranà,
una indianina brutta che incantava tutti con
le sue magnifiche canzoni ispirate agli dei.
L'indianina si chiamava Anahì.
Un giorno, Anahì, venne catturata dai Con-
quistadores assieme ad altri nativi.
Pianse per molti giorni e cantò tutte le notti
finché, una sera, la guardia della sua cella si
addormentò e lei poté scappare ma, in quel
momento la sentinella si svegliò e lei, per
poter compiere il suo obbiettivo, affondò il
pugnale nel petto della guardia e scappò
verso la foresta.
All'urlo del soldato moribondo, anche le al-
tre guardie si svegliarono e cominciò la cac-
cia alla povera Anahì. Catturata l'indiana, la
misero al rogo e andarono via senza degnar-
la di uno sguardo. Mentre i Conquistadores
andavano via, il fuoco, ai piedi della nativa,
non aumentava di fronte al coraggio che la
giovane dimostrava; sembrava non aver paura
della morte. Il mattino seguente, i soldati anda-
rono a vedere cosa era successo ad Anahì. Pen-
savano di trovare un mucchio di cenere, ma al
suo posto trovarono uno splendido albero dalle
foglie di un verde acceso e dai fiori rossi, che ap-
pariva come simbolo di coraggio e di forza da-
vanti alla sofferenza.
L'albero di corallo, o ceibo, è un albero di piccola
dimensione (la sua circonferenza può arrivare a
50 cm e non supera i 5-8 metri in altezza), in A-
merica settentrionale fiorisce da aprile a ottobre,
mentre, nell'emisfero australe, da ottobre a apri-
le.
I suoi fiori rossi attirano spesso molti insetti che
fanno si che avvenga l'impollinazione.
Il ceibo è un albero originario di Argentina e U-
ruguay, paesi dove il cui fiore è considerato fio-
re nazionale, Brasile e Paraguay.
Il ceibo è adatto a un clima che supera i 40° e che
non scende più di qualche grado sotto lo zero.
Io ho scelto come mia pianta rappresentativa il
ceibo perché è originaria del mio paese, l'Argen-
tina.
Se io fossi un ceibo mostrerei con molto orgoglio
i miei bellissimi fiori rossi e non sarei per niente
gelosa degli altri fiori, perché so che i miei fiori
rappresentano il coraggio.
Sarei “venerata” da tutti gli abitanti dell'Argen-
tina e dell'Uruguay, essendo la loro pianta na-
zionale, e mi sentirei piccola e magra al fianco
delle altre piante data la mia piccola statura.
Camila Meroi
Parma con papà che mi ha portato in un nego-zietto dove vendevano solo pasticceria a base di violetta: ce n’erano di va-rie forme glassate, candi-te, assieme ai marron-sglacés e in torte speciali guarnite di coroncine con violette. Le Viole gradi-scono zone ombreggianti, un terreno morbido e ric-co di sostanze nutritive. I miei pasti devono essere equilibrati, ma sostanzio-si per permettermi di cre-scere sana e sempre con la voglia di leggere e scri-vere.
Le Viole sono utilizzate come piante ornamentali nei giardini e nelle aiuole e per fare per fare dei mazzetti da regalare al-la mamma.Per il loro intenso profumo si rica-va la delicata essenza “Acqua di Parma”che usava Giuseppina Bona-parte quasi tutti i giorni nella sua toilette.
La viola è un fiore, deli-cato, profumato e minu-to. Anch’io mi sento a volte delicata e piccola. Cresce spontaneo nei sot-toboschi con penombra e umidità. Non manca giorno che mi venga vo-glia di fare le cose in mo-do spontaneo, senza un ordine stabilito e questo mi succede quando voglio disegnare o preparare un piatto nuovo.È della fa-miglia delle violaceae, vive nel Mediterraneo, nelle zone tropicali, nell’-America centrale e meri-dionale. Vivo con la mia famiglia e mi sento più mediterranea che nordi-ca. È comune nei nostri campi, soprattutto lungo gli argini dei fossati,dove forma una macchiaripa-rata da arbusti ed ede-re.Attorno a me ci sono tante amiche con le quali condivido le stesse pas-sioni e talvolta ci sentia-mo un corpo unico protet-to dai genitori. Deriva dalla parola latina“viola,-
ae”, che è un nome scientifico usato in bo-tanica. Il mio nome Ju-liette deriva dal dimi-nutivo della parola lati-na “Julia,-ae”, Giulia. É alta 10-20 centimetri, con fioriture in prima-vera, con i colori più fantasiosi e corolle tra le più stravaganti in unaesplosione di armo-nia e felicità. Mi piac-ciono i colori sgargianti soprattutto al cambio di stagione quando la natura dà il meglio di sé e mi contagia la fan-tasia in tutti i sensi. La specie della viola si ri-produce per via ases-suata e sessuata con l’impollinazione e l’au-toimpollinazione.Tra le specie più note c’è la viola Tricolor chiamata anche viola del pensie-ro che cresce spontanea nei sottoboschi di tutta l’Europa. Tra le specie perenni c’è la viola Cal-carata a fiori gialli o lillà, quest’ultimo è il mio soprannome. Poi c’è la Viola Odorata o Viola mammola che porta un colore e un profumo intenso. I fiori vengono usati canditi in pasticceria e per ri-cavarne l ‘essenza di violetta. Mi ricorda una giornata trascorsa a
Juliette Miatello LA VIOLETTA
Quindi la violetta
fa rima con Giu-
lietta e assieme
formano un
bel…….mazzetto!
Nicolò Moretto
LA ROSA
Sono come la rosa, un fiore delicato e gentile che esprime amore e passio-ne, infatti cerco di mettere queste qualità in ogni cosa che faccio.
Come lei adoro stare sempre “fuori”, in mezzo al verde e farmi notare e va-lorizzare dagli altri.
Sono simpatico come il gambo verde e robusto, che però se vuole sa difen-dersi quando ne ha bisogno, grazie ai suoi “aghi “; infatti bisogna sapere come prenderla e come prendermi, nel modo giusto s’intende, per saperla apprezzare ed ammirare senza farsi o “ farmi” troppo male.
Sono come i suoi petali, a volte gialli come la “gelosia” a volte rossi come la “passione” e il mio “amore”, o rosa come la mia dolcezza e come il mio forte romanticismo.
Martina Rasulo
IL CILIEGIO
Sono un ciliegio molto sensibile , ma allo stesso tempo mi piace stare in compagnia.
Sono sensibile perché non mi piace che le persone mi prendano in giro: se lo fanno ci re-
sterei molto male. A me piace stare con i miei amici, loro mi fanno sentire bene e io li
faccio ridere come loro fanno ridere me.
Sono molto felice quando i bambini vengono con i loro genitori a prendere le cilie-
gie. Il mio fusto è molto sottile, però non sono molto alto. Mi piace vedere i bambini gio-
care con il pallone in giardino. Io adesso ho i fiori e in estate avrò i frutti i fiori sono
sul rosa e un po’ bianchi. quando vedo le signore di sera passeggiare, mi viene voglia di
camminare con loro e parlare.
A me piace l ‘ estate, anche perché le ciliegie maturano in quella stagione. Invece
mi da fastidio quando le formiche vengono a mangiucchiare le mie ciliegie e le sporca-
no,ma quando vengono io so come difendermi perché i miei padroni mi mettono un prodot-
to che fa allontanare le formiche così non ci “mangiucchieranno” più i frutti.
C’è una cosa che mi dà veramente fastidio, e diciamo anche paura quando c’è il tem-
porale, perché io sento il triplo e allora mi da fastidio e ho paura,invece quando c’è la
pioggia mi diverte perché mi lava tutto.
Sono molto contento di essere un ciliegio!
Ho scelto il fico poi-ché raggiunge il suo massimo splendore in Agosto o comun-que nei mesi estivi e per questo è molto simile a me. Amo l ‘estate per-ché mi sento libero dagli impegni, gene-roso nelle amicizie e vivace, ma anche gaio. Un’ altra similitudi-ne con il fico sono i rami intrecciati, in-garbugliati e con-torti che assomi-gliano al mio carat-tere sinistro, talvol-ta ombroso e coper-to; ma la maggiore similitudine che ho con la pianta di fico è la spontaneità e la generosità. Mi sento in pace con me stesso quando sento e posso esse-re spontaneo con i miei amici, con i miei
Il fico è una pianta che nasce spontane-amente, ama i climi caldi e tendenzial-mente è molto resi-stente. Se sei accal-dato puoi sostare all’ombra di un fico perché ha la chioma rigogliosa. Le foglie sono pal-mate e appaiono simpatiche, il tronco è robusto e resi-stente, e i rami sono contorti. Il frutto del fico è molto delicato, ma molto prelibato, ma-tura ad Agosto e si raggiunge scalando i rami attorcigliati che simboleggiano le difficoltà della vita; quando rag-giungi la meta ti senti appagato e soddisfatto. Il fico è considerato il frutto della passio-ne, quando lo mangi
cogli il giusto equili-brio tra dolcezza, morbidezza e felici-tà. Il fico probabil-mente proviene dal-l’Oriente; nell’antica Grecia era l’albero sacro ad Atena dea della saggezza e a Dioniso dio dell’eb-brezza, ma è l’em-blema della vita del-la luce e della forza. Celebre è il raccon-to di cui fu protago-nista Catone che grazie al frutto di fico raccolto tre giorni prima, fece capire al senato quanto erano vicini i nemici di Roma. Famosa è anche la leggenda di Romolo e Remo che furono cresciuti sotto un fico. Nell’antichità il fico riveste un significa-to di immortalità e di abbondanza.
Giovanni Sbrissa
Laboratorio di lettura,
Un’ altra similitudi-ne con il fico sono i rami intrecciati, in-garbugliati e con-torti che assomi-gliano al mio carat-tere sinistro, talvol-ta ombroso e coper-to; ma la maggiore similitudine che ho con la pianta di fico è la spontaneità e la generosità. Mi sento in pace con me stesso quando sento e posso esse-re spontaneo con i miei amici, con i miei genitori e con gli insegnanti. Vorrei anch’io esse-re generoso come il fico con i suoi frut-ti, magari coltivando delle buone azioni o delle buone amici-zie. Chiaramente io ho scelto il fico per-ché……… modesta-mente…….. sono fi-co!!
Il fico
rimanendo intere per difenderlo.
Più mio padre raccontava, più que-st'albero mi affascinava. Mi sem-brava addirittura di rispecchiarmi in esso. Non gli assomigliavo forse un po'?
Ero alto e robusto come lui; inoltre ero sempre spettinato e, ad ogni difficile risveglio mattutino, due ciuffi ribelli si ergevano ai lati del mio capoccione come fronde dagli aghi scomposti...
Da allora, non passò giorno senza che io andassi a trovare il grande Tog sulla collina.
Non ci crederete, ma proprio quelle verdi e possenti braccia che si ele-vavano verso il cielo, quasi a voler-si spingere sempre più in alto, mi insegnarono a non rinunciare ai sogni, anche a quelli più difficili da realizzare. E le pigne, così piccole ma tenaci, mi diedero un'altra le-zione: occorre coltivare con impe-gno e pazienza le ricchezze che portiamo dentro, confidando che prima o poi verrà il tempo in cui ne godremo i frutti.
Questa è la mia storia. Come l'Abe-te Rosso , io non ho mai rinunciato alle mie radici: continuo ad amare il gelo della mia terra, a cercare il silenzio dei boschi..., anche se la vita mi ha portato lontano.
Ora che sono vecchio, qui, nel mio studio odoroso di trementina (Lo sapevate? Si ricava dalla resina dell'abete rosso!), ringrazio mio padre, lo zio Erik e il mio AMICO Tog, che con i suoi 9950 anni conti-nua eroicamente a sfidare il vento del Nord e a dominare la collina.
Mi chiamo Franz Rizzersen e so-no un anziano pittore. Attualmen-te mi godo la vecchiaia a Stoccol-ma: ho infatti la fortuna di essere in salute e molto ricco grazie miei quadri che, oltre a rendermi famo-so in tutto il mondo, mi hanno fruttato profitti inaspettati.
La mia è stata un'infanzia abba-stanza dura: provengo da una povera famiglia di boscaioli e sono vissuto in un villaggio isolato, nel-l'immensa taiga scandinava. Co-me sono arrivato fino a qui? Be', un danaroso lontano parente, lo zio Erik, mi ha spinto ad intra-prendere la carriera di artista e mi ha sostenuto anche quando non ero nessuno. Devo il mio successo a lui e... ad un "amico" speciale, di cui ora, se avrete la pazienza di ascoltare, vi parlerò.
Era inverno. Avevo circa sette an-ni. La coltre candida era molto spessa e mio padre, un omone grande e grosso, come dopo ogni nevicata, con un badile cercava di spalare quanta più neve possibile per liberare l'ingresso di casa. Ma quella volta aveva fioccato così tanto che avevo dovuto aiutarlo, prima che le tenebre e il gelo della notte rendessero impossibile l'im-presa.
Felice di vedermi impegnato in quel lavoro, l'indomani mi propose di andare con lui a tagliar legna nel bosco. Sperava di indirizzarmi al mestiere di boscaiolo, anche se in cuor suo non era convinto che questo sarebbe stato il mio desti-no...
Comunque ci inoltrammo insieme nella vicina foresta. Gli alberi era-no tutto un ricamo e nella selva aleggiava un'atmosfera di magica tranquillità.
Salimmo su una piccola altura: un gigantesco Abete Rosso si ergeva
al centro della collina; tutt'intorno crescevano solo bassi cespugli e arbusti.
Mi bloccai, quasi rapito dalla visio-ne di quella pianta colossale che si allungava fino a toccare il cielo.
Mio padre mi chiamò dall'altro ver-sante dell'altura (evidentemente era già sceso), così dovetti rag-giungerlo in fretta. Nella corsa, però, scivolai sul pendio ghiacciato e mi ritrovai in un lampo ai piedi del rilievo, a pancia in giù, con la neve gelida che, penetrandomi sotto i vestiti, mi faceva venire la pelle d'oca.
Quell'omone di mio padre, ridendo, mi prese in braccio per poi lasciar-mi subito ricadere sulla neve. Ca-pendo che era in vena di scherzi, formai una palla bianca e gliela lanciai. Un minuto dopo, caddi sot-to i tiri infallibili di papà e fui som-merso dalla massa nevosa. Che divertimento...!
Raccolta la legna, tornammo a ca-sa felici.
La sera, accanto al focolare, mio padre, esperto uomo dei boschi, mi disse:
-Ho visto come guardavi quell'abe-te... Vuoi che ti racconti i suoi se-greti?
Annuii.
-Devi sapere- iniziò -che i nostri antenati lo chiamavano "Tog", che in vichingo significa "il grande". È un Abete Rosso millenario. Pensa che gli antichi lo adoravano. Hai visto com'è dritto e robusto il suo tronco? Non teme nulla e, per so-pravvivere lassù senza essere dan-neggiato dal vento e dalla neve, ha reso la sua chioma molto più stret-ta di quella dei suoi compagni che vivono a bassa quota...
Lo ascoltavo senza fiatare e lui continuò:-Hai notato come sono disposti a spirale i suoi aghi? E le pigne? Sembrano così dure e insi-gnificanti, ma racchiudono al loro interno il segreto della vita: lo cu-stodiscono come un tesoro fino alla maturità, quando cadono al suolo
Laboratorio di lettura,
Francesco Rizziero
Abete rosso
Anno scolastico 2010-11 Modulo a 36 ore
La I^C mette radiCi