L orizzonte verticale

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L’ORIZZONTE VERTICALE ALESSANDRO PELLICCIOLI EDIZIONI L’OBLIQUO Disegni di Franco Rinaldi

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Alessandro Pelliccioli è nato a Brescia il 28 ottobre 1957. Laureato in Medicina e Chirurgia è attualmente dirigente medico fisiatra presso il polo ospedaliero di Leno-Manerbio (Bs).Opera in campo poetico da oltre vent’anni e ha partecipato con successo a numerosi premi letterari di carattere nazionale , tra i quali il Premio Beato Angelico 1976 , i Premi viareggini Antonio Morganti 1977 e 1978, il premio Pascoli 1987. Sue poesie sono apparse sulle rivista bimestrale di poesia ed arte “Contrappunto” , fondata da Mario Gorini . Ha pubblicato Raglio d’asino, La voce del Popolo Edizioni, 1983, con prefazione di Andrea Barretta; Zooantroponosi Piovan Editore, 1985, con prefazione di Roberto Pazzi; L’anima o un rublo, Bric Edizioni, 1999, con prefazione di Mario Arduino; Una Poesia, Pulcinoelefante Edizioni, 1999, con linoleum di Franco Rinaldi; Il re nudo, Nuovi Autori Edizioni Milano, 2003, con prefazione di Mario Arduino; L’anima, Pulcinoelefante Edizioni, 2008, con linoleum di Franco Rinaldi.

Franco Rinaldi, nato nel 1954, si dedica alla pittura sin dalla fine degli anni settanta. Dal 1989 si dedica anche alla grafica, sua è la xilografia in copertina del libro di Alda Merini La vita facile, Bompiani 1996. Per le Edizioni l’Obliquo ha pubblicato nel 1996 con Alberto Casiraghy Il mio oceano che dorme e nel 1997 con Alberto Albertini Fuochi fatui. Nel 2006 per La Nuova Rapida Cremona publica con Padre Galdino Tagliabue Necessità della Pasqua e nel 2007 La notte che illumina. Numerose opere accompagnano i libretti del Pulcinoelefante e delle Edizioni l’Obliquo. “Città e Dintorni” pubblica in copertina un suo disegno. Sue opere compaiono in “Vogue Italia”, “Tono Minore”, “Dentro Casa”, “Stile Arte”, “Nostro Lunedì”, “L’Ago” e in numerosi quotidiani. Nel 2005 curata da Riccardo Barletta esce una monografia per la Primo’s Gallery Edizioni. Nel 2009 per “Stile Arte”, curata da Maurizio Bernardelli Curuz, esce Nei giardini del sogno.

L’ORIZZONTE VERTICALE

ALESSANDRO PELLICCIOLI

EDIZIONI L’OBLIQUO

Disegni di Franco Rinaldi

L’ORIZZONTE VERTICALE

ALESSANDRO PELLICCIOLI

EDIZIONI L’OBLIQUO

Disegni di Franco Rinaldi

In copertina un disegno di Franco Rinaldi (2011)

Copyright © 2012 Edizioni l’Obliquo25121 Brescia, corso Magenta [email protected]

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Un poeta ed un pittore, un pittore ed un poeta: due artisti, che si esprimono con “linguaggi” solo apparentemente distanti. Le parole e le immagini danno vita ad un interscambio che, pagina dopo pagina, si armonizza e ci consegna, alla fine, un volume di esemplare equilibrio. Magia e mistero dell’arte che, pur disponendo di strumenti diversi, quand’è autentica e di sincera ispirazione, accomuna ed esalta ogni sua forma, facendosi espressione unica e alta.

Così all’intimismo di Alessandro Pelliccioli, artista delicato nel sentire dell’animo, ma al tempo stesso acuto e forte nella sua poesia nitida e scevra da cedevoli sdolcinature, risponde, integrandosi compiutamente, Franco Rinaldi, alchimista dei sogni che conferma una volta di più come proprio il sogno sia il vero generatore della sua creatività, caratterizzata da un grande afflato surreale, che irradia da ogni sua opera, dove la raffigurazione è sempre sospesa in una dimensione senza spazio e senza tempo. Da parte loro, le poesie di Alessandro Pelliccioli disvelano una interiorità forgiata dalla vita stessa. Già nella silloge del titolo si coglie un particolare modo di essere e di sentire che rimarca una forte aspirazione alla libertà, che infrange il limite imposto da un mondo che vorrebbe imbrigliare i sentimenti e magari imprigionare e spegnere ogni calore umano. Nei versi del medico-poeta sembra di cogliere, talora, la “denuncia” di un malessere esistenziale, ma anche la volontà di resistenza, di lotta di un’indole tenace, grazie alla quale si sente l’amore pieno per la vita, per la bellezza del Creato e, più forte, la speranza. È così che l’arte assolve ad una salvifica funzione liberatoria, come indica Marcel Proust: “L’immaginazione, il pensiero possono essere macchine in sé meravigliose, ma possono altresì essere inerti. La sofferenza, allora, le mette in moto”.

Poesia in risonanza con l’immagine, dunque, potremmo dire, poiché le due attitudini si fondono, accostandosi proprio per il vigore del sentimento con cui poeta e pittore “interrogano” e interpretano i diversi eventi della vita.

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L’incanto dei versi di Pelliccioli, così come l’incanto dei quadri di Rinaldi, stanno infatti nella scoperta di come ogni tempo sia nuovo e ricco, anche se qualche volta doloroso, per chi si levi a spiarlo in punta di piedi. Così il privato, il vissuto non sono oggetto, ma alimento dell’arte: il personale e istintivo aspira alla forma che è liberazione da larve e fantasmi. Nell’individuare volti e personaggi, propri e altrui – con parole e immagini – c’è anche purificazione e possibilità del distacco.Alessandro Pelliccioli e Franco Rinaldi hanno la virtù di non chiudere, non definire e, attraverso lo spiraglio che lasciano aperto, escono dalla “bella veste” di ogni loro opera; passano oltre ogni frivolezza – e viene da citare ancora una volta Proust – grazie a uno spirito critico ed ad una cultura non accademica sorvegliatissimi.

Agostino Mantovani

L’ORIZZONTE VERTICALE

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Prologo

Trimetro giambico,tetrametro trocaico,scazonte, anapesto…Ambisco un verso che sia diversoe colga di sorpresal’Universo,sormonti montied alto all’apparenzanon tema di gettarsinel manto immensodi quel cielo cupocui gli occhi spessorivolgono preghiere,inanellando stelle,contando innumerabilifacellecon solo un ordineillusorio datoper mano d’uomo,costellazioni astrali,oroscopo su foglidi giornaliin cieco affidamentod’anime tecnologicheall’ignoto.Sarebbe una sorpresacome un presentimentosentir che non v’è un sensonell’avvicendamentodi quel manto,nell’affastellamentodi quel cielo,sarebbe come un pianto,ed il mio versopotrebbe liberarsi allora per incanto

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da lunga prigionia,da un senso dell’attesavissuto come un vanto,effimera contemplazioned’anima sola,per scendere dai monti,volare sopra vallie scorgere brucaredentro l’erbecerbiatti inquietierti nei lunghi collial minimo frusciare.Inquieto come quellisomiglierebbe al ventodunque il verso mio,preludio di tempesta,un invitato a festanon atteso,un brivido improvviso,sferzante la foresta,poiché non troverebbe piùla via maestra,lontano ormaidal carcere sicurod’una verginità non monda,perso nel desideriod’altri corpie baci e abbracci,quel verso mio per quanto soloricercherebbe straccid’assenso,muto peregrinared’occhi e di fame,dapprima specchioall’altro,come nel sorgereadolescenziale,per ritrovarsi ugualee illudersi di vincere

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duettandol’atavica paura del morire,quindi nel divenirepiù maturo di quel diversoamore, ch’essendo complemento,è di natura al versola dolce punizioneinflittaper fragile difettoe a noiper incapacitàdi viver soli.Né stupirebbeallorache il mio verso,questo mio versoun po’ sgualcitoe stanco,si rivolgesse infineagl’inferi del mare,s’inabissasse accantomuto all’altro mutoin apparenza mondo dei pesciper ascoltar rapitosenza rimpiantodella balena il cantoo il tenue picchiettaredi pesce pappagallosul coralloo il placido frusciard’erbe marineal gioco bruscodelle correnti…per rimirare il sonnodi tartarughe al fondoe perdersi con essein quello eterno.

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Ad Agnese

L’anima tua somiglia al vento,non bussa alla mia portaper fare un complimento,non viene per trovarela seduzione o un canto,ma per restare,leggera ed impetuosa,in cima ai miei pensieri,al fondo di ogni cosa,ch’è stata ierio che sarà domaninelle mie manie dentro il cuore,come una traccia,come un odore. Riposa in me l’anima tua,è quanto posso offrirtidentro questa sventurad’essere umanoe solidale,se il mondo è cieco,ma in questa immensa gioia come di caneper una tua carezzae un po’ di pane.

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Autunnale

Cullato al ventoe piano franto,non v’èpensiero mioper teche non conoscala levità delle foglie,né disconoscal’invisibile giocodi questo nostroandare,la regola sottiledello staccarsi in volo,del lento fluttuareper poi tornarea cingersi in volutee rasentare il suolo,l’eternitàdell’essere mortale,infine,se prima di cadereè amore.

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Curve gaussiane

La storia naturaledel Potere,a cui l’umanitàsoggiacecome fa il greggecol suo cane,rimanda in paragonein geometria al tratto curvilineodi campane,con un’ascesaper lo più insinuante,un forte acmè centraledi massimo consenso,ove si celebra nel suntola dissolvenza estremad’umane aspirazioni,una discesa, ancora,dolce,un lento declinare,in cui si lavala lordura e si finisce prestoper dimenticare.Soltanto un gesto folle,una follia soltantopuò frammentard’incantoquest’armoniaapparente, può disvelare a un trattocon l’impeto d’un attola maschera di sangue,del nostro sangue,celata dietro il re.

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Discorso alla luna

Ero bambino,quattr’anni appena,cinque a venire.Né la sorte mi avrebberegalato tempo miglioreper esserlo, eppure ignaro,come solo un bambinosa concepire,se un uomo,un uomo di allora,Papa quasi per caso,detto perciò di transizione,parlava in quell’autunnoa mondo e lunae concepivapure in severitàper parte suadi regalarmi una carezza,come una tenerezzadedicata e tesaall’infanzia intera,sentore forsedel prossimoabbandono, offerto come donodall’era tecnologica. L’Islam fratello,non ancoraincombente,i barbari minacciasufficiente,per risvegliar coscienze,di quel discorso,quelle parole,io ancora ignaro,come solo un adulto

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sa illudersi,conservo oggi la traccia,un grido di minacciache tenta d’arginarequesta velocitàche passa,questo volereintriso dalla massa,groviglio di matassasenz’anima.Pure ti vidi,Papa buono,dacché la transizionepassacom’è destino,ti vidi mortol’estate dopo,immagine dell’etere,composto e fermoe senza più parole,senza più frasid’amore,neppure per me,e mi ritrassinon spaventato,no,ma non più ignaro,come solo un bambino può concepire,così che fosti il primomorto mio,la prima ideaconfusa, eppure certa,d’offerta a Dio.Quanto tempo trascorso,uomo giusto,quanto iterar di lustroda quando fui bambino,da quando fosti Papa…Ora non è più luna

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e non è più carezza,ma sottigliezza d’un sostituto tuoche fa d’autoritàmandatosenz’autorevolezza.

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Il testamento

Pensa se fosse il contrario, pensa…Quanto tempo è fuggito,madre mia,da quel tuo testamento verbale,quanto tempo ancoraper comprenderlo appieno,per mettermi davvero nella parte dell’altro.Persino oggi,che sei divenutaun fantasma,e le tue sembianze scolorano,e ad occhi chiusi,forzandomi,quasi non ti rintraccio più,pure le tue paroletornano,come ritorna ogni cosa,ch’è in divenire,ed è cosìche il finirenon muore.

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Itaca

E torno a voipellegrino e stranierosull’onda del pensierocome rondine al nido.Lascio le chiuse d’Esnae le pendici fertili del Nilo,lascio ogni cosae parto.Né dimenticoin questo approssimarsidi primaveraun ultimo volteggio,un’ultima illusionedi giovinezza specchiatanel blu cobaltodel fiume sacro,tenace e impenetrabilealla luce.E lo so bene anch’io,ormai lo so,che il viaggionon dura eternamentee che la vitasi snoda come un nienteanche se eterna parequesta distanza da colmareper arrivare a voie per varcar la sogliadi là da cui nessunopiù ritorna.Pure non mi spaventadi partire,né d’affrontar l’istintodi finirese del destinoquesto è l’ordito,nemmeno, dunque,

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di tornare a voi,a te, madre mia,fuggita via di seraall’improvvisosenza bagaglio,senza preavviso,ancora bellasul carro rosso fuocodi quel tramonto estivo,lasciando a me l’incantod’un mare di dolore,e a te, padre,che, invece, hai distillatoil tempochiedendomi di prendertiper mano,lasciando a me l’incantodi quella presasempre più lenta,di quel respirosempre più tenueprima del silenzio.Così ritorno a voicol cuore in manoe se fortuna arride,se Zefiro è compagno,prima di terminareil viaggioe di puntarelà dove riposate,immobili e sottrattialla mia vista,ve lo prometto,sorvolerò Venezia,darò uno sguardoalla città di fiaba,ch’è stata il vostro mieledi molto primache venissi al mondo

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e cercherò quei visie quegli sguardi e gesti,che furono anche vostri,poiché dove vi amastee dove s’amano gli amantie dove s’ameranno ancora,di molto prima ch’io venissial mondoe similmente in vitae dopo il mio tramontolà, dentro i visie in quegli sguardi e gesti,io sono nato, rinasco e nascerò.

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La candida rosa

L’unico uomo che volòcosì in alto,da poter dire,al suo rientro,di non aver visto Dio,né angeli in cielo,fu Jurij Alekseevic Gagarin.Ma, forse, l’anima nostrasa volarepiù in alto ancora.

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La cometa

Riflette la stella polarequesta tua solitudineinquieta,che riposa nel ventoe nel silenzioe tintinna lontano.Per prima appare in cielo,per ultima scomparee la sua luce è rottaai navigantidi questo immenso mare.Intorno ad essaogni cimento è vanoogni parola suonadistorta ed è giàmortasolo che al dirlarovina l’armonia,rompe l’incanto.Prevede l’alba questotuo andare solitarioed è presago di quel manto oscuroe fondodella notte,buio assoluto,cui l’uomo è destinato.Mi fingo spesso chenascentenon sarà mai cadentequesto brillar,se ardente volgogli occhi al cielo,ma in questo siedel’amore tuo per me,nel prendermi la mano,nell’additar lontano,

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come polare stella,ogni timore mio,che pure brilla,quel lento degradard’uomini e cosenel dimostrar ch’è vanosenza amore.

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La perla del Pacifico

Quando ripensoagli occhi di Maevaa quel languoredi sclera siderale,a quel profondod’iridi nerecome notti,eppur luminescenticome stelle,quando m’imbattoall’improvvisocon la mentein quello sguardoe sono qui,lontano,affaccendato,rincorso da mille distrazioni,pagate a caro prezzoper occuparmi l’anima,quando rammentoancora a un trattola sua armonia,quel fiorefra i capelli, e quel dolore anticoche vi si sprigionad’una bellezza estremae coraggiosa,io non ho più paurae volentierim’accucciosenza far rumore ai piedi suoicome fa il cane,come fa il sole,

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che sul finirdel giornonel ventredi nuvole rosate s’ingraziasilenziosol’Otemanue vi si spegne.

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Mi amado.( da Anna, soror…di Marguerite Yourcenar)

I baci tuoi ricordoe scordo,come l’avvicendarsid’onde,e in questo frangersiperpetuoil cuore mio riposa…

Sorella Morte,compagna d’una vita,quando presenzierai,vestita a festa,all’atto estremodel compitare mio,nell’indulgenza offerta,ti prego,non porgermidel Cristo in croceil simulacro,né di preghiere il coro,né di capelli scioltiil pianto,ma srotolapreziosa come filmla seta dei miei bacie della loro storiae della mescolanza ch’ebberocon altri mille baci,e fra di questi staglia,ti prego, alfine,nell’indulgenza estrema,le labbra sue per me,che io ricordo e scordo,

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come l’avvicendarsid’onde,e nel cui frangersiperpetuoil cuore mio riposa.

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Nel traffico(a Paola)

Cavalchi l’era tecnologicama non sei di questo tempo.Pure ti sei disposta a comprenderlo,ad amarlo persino in certe formee per questa contemporaneitàhai faticato non poco.Stamane, dopo l’alba, dall’abitacolodella mia macchina, la luna pienain cielo e l’instancabile auroradalle rosee dita mi hanno parlato di te,sussurrato di noi,d’un altro tempoin tutto simile all’incantobuono e giusto,a volte anche crudele,di certe fiabe.E mi ha rapito per un attimoin silenzio questo pensieroche un giorno, tra non molto,saremo abbracciati per sempree l’ingiustizia soccomberàe non avremo più paura.Ma il tempo del semaforo rossonon vale il tempo d’una metaforae al verde, al suono d’un clacson,riprendo l’usato cammino.

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Simbiosi

In fondo al mare,cullato per incanto,adeso a somiglianzaad una roccia,eppur leggerocom’angelo del cielo,riposa l’anemone mioed io riposo in luisenza timoree al dondolo tentacolaregiaccio,dacché son divenutoil suo pagliaccio.

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White Christmas

Com’è dispersonel mio presenteil tempoun tempo dolce,quell’iterarsi d’un evento in cui si rinasceva nascendo un bimboal freddoin una stallae si faceva corpoalla vigiliariunititutti insiemegodendo di quel cibo,ch’era miracolodi vita,ripercorrendoancoraad ogni anno il magico sentored’una vittoriain pugno,l’usanzacollettivadello scoccard’un dardodiritto al cuoredella Morteper osservare fra le risail suo periredentro l’immensagioia e dentro i cuori.Com’è dispersonel mio presente

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il tempo un tempo dolce…Ora conoscodi quel raduno anticoqual’era la regiache dava il tocco,la mano che adunavaognunoper trasformar comparsein grandi attori,la voce che guidaval’insieme del vociarein coro a dire pococelestiale,la voce spessoassente,all’opera in cucina,eppur possentequando giungeval’ecocome di regina.Ora conosco,madre mia,da che hai seguitoil vento del destino,come la Morte,unica vera attricedi quella sgangheratacompagnia,che fu di principianti,torni soventea ribussare porteseppur non invitatae dunque maisia morta,ma solo finsenell’occasioneper piacere a tee a quel che fu

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l’amore tuo per noi.Ora comprendo,fratelli miei, dacché non v’è piùmano,né voce, né regia,come quell’adunanzanostra anticasia dispersae cosa poi di noisia stato.E se il mio sguardovolge adesso altrovee cerca tracciadi questo rinnovarsi,che fu la nascitad’un bimboal freddo,fuori dal nostroerrore personale,trova senz’altropeggiore storiadi bimbi anonimicon fame e sete,di lunghe, disperatemigrazioni,di morti vivisenza sepolturae qui,vicino a noi,d’un piccolo paesedel bresciano in cui si dà mandatod’ostracizzarealla vigilia del Nataletutti colorosenza lasciapassare.Sicché mi vienda dire e da pensareche il nostro

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di peccato familiare,un tempo dolcealla memoria mia,non fu proprioveniale,quanto piuttostosimile a quello interodel mondo occidentale,che tende in ricorrenzaa sublimarsi per Natalesenza dar troppo pesoa chi sta male.

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Il fiore del pesco

Non chiedete dove vannoi miei pensierise come nubi nel cieloneppure io conoscodove il vento li spinge.Mi è già di confortoche le vostre parolerincorrano il corsodei vostri pensierie siano come il verdemanto erbosoche non muore neppurenelle lunghe gelate invernali.Perdonate il mio cantose come il fiore del pescos’aprì d’incanto incautoal primo sole di primavera,perdonateci entrambi,il mio canto ed io,se moriremoalla prima recrudescenzadel gelo.

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Alda

Non hai taciuto,né mai potesti,e fu il tuo cuoresanguinante,in tutto similea quello idolatratodel Cristo in croce,a chiedere più volteal vento nel silenziouna risposta, un sensoall’abbandono,come se Dioascoltasse,come se Diosapesse,e fu pertanto il cuoree furon le sue spine a saettar la mente tuacon la velocitàdel dardoma di rapacesguardooltre l’abissoin cui vivestinon già l’infermitàdel corpo o del giudizioma l’esecrabilecondono rimesso a teper questadal mondo intero,quasi l’Uomoascoltasse,quasi l’Uomocapisse.Hai detto parole

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non solo d’amore,qualcuna l’hai scrittasu pezzi di carta,qualcuna su carta da pane,le più son volatedisperse com’animeerrantinel solco del tempoche inghiotte,ma ve n’èche ripete di nottelo stesso miracolo,che fu del ritornod’Ulissese un canes’accorse di lui,ve n’è che riecheggiavolgendolo sguardodi nottealla volta stellata.

Ad Alda Merini, poetessa, 21 marzo 1931 - 1 novembre 2009

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Pìetas(22 agosto 2010)

In ogni luogo del mondov’è un padresulla cui tombail figliolascia un fiore,in ogni parte del mondov’è un padre sepoltoil cui sorrisostemperail pianto del figlio,in ogni anfratto del mondosorriso e piantos’abbracciano fortee s’aprono un varcoin questo mestiered’esistere,ma v’è un punto nel mondo,un piccolissimo punto,in Liguria,dove quel pianto di figlioe quel sorriso di padresono oggi anche i miei.

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Olometabolo

Quando fa notte,prima di coricarmi,capita a volte che,spogliandomi,io non dismettasolol’abito del giorno,ma insieme ad essotransitoriamentela mia seconda pelle,solcata ormaida rughe incise,fatta d’anfrattisaturidi volti, gestie fatti,ove s’annidanonel fondol’occupazione,cui soggiacel’anima mia,l’alibi estremodel declinardel nulla,l’imago, infine,fragilee bellissimadi me,a cuinon credo più.E mi ritrovolarvacon la mia primapelle di seta,distante dall’ansiad’apparire,lontano da necessità

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di copula,soltanto tesonell’istinto veroa cresceree cibarmi.Mi sdraio,spengo la lucee consideroquanto brevesia nella mia vital’esistenzadella partemigliore di me,cui gli altri non assistono.All’indomani,sarò di nuovoinsetto.

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Madre Teresa(nel centenario della nascita)

Resta pur veroche se un miracolosi rintracciassepoinella tua vitao in quella d’ogni santoo in quella ancorae soprattuttod’ognun di noi, alcun evento maiparrebbe più esemplaree misteriosocome la remissionecui l’uomo fa ricorsoad altro uomo,talora a Dio,solo credendovi,solo affidandosi,solo abdicandoalla ragione.

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Multa renascentur(quae iam cecidere)

Una manciata d’anniappena,un piccolo granelloinfinitesimoe indistinto,visibile soltantoin controlucedentro il sollevamentoimmenso e polveroso del tempo,un lasso così scarnoe turbinantecome di sogno,di cui s’è persatraccia,un viaggio così brevein paragone a quelloche fece guadagnareterra ad animalid’acqua,e noi,se fossimo capacialmenodi ricordare,saremmo lìmuti, impietriti,di fronte a cumulidi pettini ancoraintrisi di capelli,a cumuli di scarpedisabitate, a cumuli di fotorubate ad attimid’intimità struggente,a cumuli di fumonero e spesso,

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sedimento di carnee di dolore,presagio d’animelievi,a cumuli di librie di pensieridati al rogoa somiglianzadegli stessi corpi,presagio di paroleerranti,e noi,che pure siamolatitanti,se fossimo capacialmenodi non dimenticare,saremmo a benedirecol reverendo Jonesl’avvento d’un mondodi pace.

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La piuma

Neppure Zeus può modificarela lunghezza del filo,che Lachesi ha dato in sortealla nascita,Cloto ha filato con pazienza e Atropo ha reso impossibiletorcersi per meglio reciderlo.Così, quando le Parchevolgeranno altroveil loro sguardo,e il mio si spegnerànel ventre stellato di Nut, la dea del cielo,vorrei che per un attimo,un attimo soltanto,come d’incantoil cuore mio pesassecome piuma,senza rancori,senza ricordi,un attimo soltanto,se Maat me lo concede,prima di spegnermi.

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Enduring freedom

Brilla Baghdad dalle mille e una notte,città sulle rive del Tigri splende,al bagliore di mille fuochi fatuicome di morti prima della morte,al clamore di bombe intelligenticome di vivi senza più speranza,dacché l’intelligenza ai giorni nostrinon già con il creare si sostiene,ma nel distruggere precisa arrancacome fa il mulo carico d’ingombro.Pure fu un tempo non troppo lontanoche in quella terra della mezzalunaAristotele, il sommo, fu osannatoed il pensiero greco fece intrecciocon la matassa algebrica e le stelle,con l’arabo paniere d’Avicenna,con lumi ed astri d’Averroè d’Islam.Volesse allora un dio, qualsiasi dio,che ancora vaghi sopra questa terra,volesse allora che nel mentre brillinel cielo cupo sopra questa terrala luce d’una bomba o d’una stellal’uomo sussulti in preda a smarrimentodel tutto simile alla tenerezzae trasfiguri come per incantoda preda o predatore una carezza.

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La leggerezza

La nostra diversità,fratello mio*,è ancoral’estrema leggerezzacon cui spiccavidi ramo in ramoda bambino,mentre nel chiuso,come un bambino,anch’io per mesognavobianche scapolealate.

(* Andrea Pelliccioli)

EPILOGO

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L’orizzonte verticale(in lode a Giacomo Leopardi)

Tra poco farà seracom’è di vitae per ognun di noi destino.Rimane poco tempo,un grumo d’attimisoltanto,per dare sguardoall’infinito estremodi là da questa siepe,al lento declinaredolce d’ulivie colli,prima che del contornod’ogni cosasi perdano le tracce.Eppure eterna parela sospensione in cui la mia struggenzamuoveed è una festa di colorie suoniche sa balzarmiintanto.Quanti ricordi,quante speranzee quanti errori,quante rinunce hanno solcatocome d’aratroil corsosu questa terra mia!Di quali estremesoluzioninon ho trovatoad oggiancor coraggio,

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se il campoun tempo fertilenon sa più darforaggio!Pure, di questasiepe,che la modernitàvorrebbe virtuale,io non so coglierepresenza alcuna, seppure soggettiva,se non quella reale, che sa di fogliee di frusciar di vento,d’umore terreoe di spavento,d’infinita dolcezzae di ripensamento,d’amore per il veroe di sgomento.E anche là,di là da questasiepe,nell’orizzonteimmenso,in cui la cecitàcontemporaneae barbaraaltro non vedese non l’intentotrasversaled’un atto di consumovisuale,io scorgo,proprio al fondo,al fondo estremodi questo nostroandare,come un’ascesa,

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un tratto verticale, quasi vocazionale, ma senza Dio.Forse per questastrada,forse per questa viasuccede di ritrovarsi solie solidali,forse così si smettedi rimirare infinel’infinitoper ospitarloin noi.

Di questo volumetto sono stati ultimati presso la tipografia Grafiche Artigianelli cinquecento esemplari, cinquanta dei quali contengono, fuori testo, un linoleum di Franco Rinaldi, stampato a mano dall’autore su carta Fabriano.

Brescia, gennaio 2012

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Alessandro Pelliccioli è nato a Brescia il 28 ottobre 1957. Laureato in Medicina e Chirurgia è attualmente dirigente medico fisiatra presso il polo ospedaliero di Leno-Manerbio (Bs).Opera in campo poetico da oltre vent’anni e ha partecipato con successo a numerosi premi letterari di carattere nazionale , tra i quali il Premio Beato Angelico 1976 , i Premi viareggini Antonio Morganti 1977 e 1978, il premio Pascoli 1987. Sue poesie sono apparse sulle rivista bimestrale di poesia ed arte “Contrappunto” , fondata da Mario Gorini . Ha pubblicato Raglio d’asino, La voce del Popolo Edizioni, 1983, con prefazione di Andrea Barretta; Zooantroponosi Piovan Editore, 1985, con prefazione di Roberto Pazzi; L’anima o un rublo, Bric Edizioni, 1999, con prefazione di Mario Arduino; Una Poesia, Pulcinoelefante Edizioni, 1999, con linoleum di Franco Rinaldi; Il re nudo, Nuovi Autori Edizioni Milano, 2003, con prefazione di Mario Arduino; L’anima, Pulcinoelefante Edizioni, 2008, con linoleum di Franco Rinaldi.

Franco Rinaldi, nato nel 1954, si dedica alla pittura sin dalla fine degli anni settanta. Dal 1989 si dedica anche alla grafica, sua è la xilografia in copertina del libro di Alda Merini La vita facile, Bompiani 1996. Per le Edizioni l’Obliquo ha pubblicato nel 1996 con Alberto Casiraghy Il mio oceano che dorme e nel 1997 con Alberto Albertini Fuochi fatui. Nel 2006 per La Nuova Rapida Cremona publica con Padre Galdino Tagliabue Necessità della Pasqua e nel 2007 La notte che illumina. Numerose opere accompagnano i libretti del Pulcinoelefante e delle Edizioni l’Obliquo. “Città e Dintorni” pubblica in copertina un suo disegno. Sue opere compaiono in “Vogue Italia”, “Tono Minore”, “Dentro Casa”, “Stile Arte”, “Nostro Lunedì”, “L’Ago” e in numerosi quotidiani. Nel 2005 curata da Riccardo Barletta esce una monografia per la Primo’s Gallery Edizioni. Nel 2009 per “Stile Arte”, curata da Maurizio Bernardelli Curuz, esce Nei giardini del sogno.

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