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L L oggetta la la oggetta di Piansano e la Tuscia Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 26-2-2004 n. 46) art. 1 comma 1 - DCB Centro Viterbo notiziario notiziario di Piansano e la Tuscia copertina di Giancarlo Breccola Una città di nome Tuscia

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oggettadi Piansano e la Tuscianotiziario

periodico bimestrale dell’ Associazione Culturale omonima senza finidi lucro, finanziato prevalentemente attraverso le quote associative

La Loggetta n.72, gennaio-febbraio 2008Una città di nome Tusciacopertina di Giancarlo Breccola: “...Una copertina che propones-se una realtà urbanistica caratteristica della Tuscia con un’altrasituazione globale e avveniristica. La scelta di un paese specifi-co mi sembrava criticabile e quindi ho optato per la città fanta-sma di Castro, che ritengo eloquente e al disopra di ogni cam-panilismo fazioso; sullo sfondo Tokyo. Una città che non esistemessa a confronto con la città più popolosa del pianeta e chequindi è anche troppo concreta”.

EditoreAssociazione Culturale “la Loggetta”Fondatore e direttore responsabile Antonio Mattei

Vicedirettore Beniamino MechelliRedazione Agostino Barbieri, Stefano Bordo,

Giancarlo Breccola, Piero Carosi, Antonella Cesàri,Anna Ciofo, Rosa Contadini, Paolo De Rocchi,

Giuseppe Imperiali, Adelio Marziantonio, Roberto SèlleriSegretaria di redazione Caterina Magalotti

Elab. immagini e impaginazione Mario MatteiFotografia Luigi Mecorio Fumetti Marco Serafinelli

Webmaster Carlo Bronzetti Cd-rom Vincenzo MelaragniTraduzione sommari in inglese on-line Anna Mattei

Stampa Tip. Ceccarelli - Grotte di CastroAut. Tribunale di Viterbo n° 431 dell’8.5.1996

N°iscr. ROC 12722 - cod. fisc. 90041710568 - ccp 10914018Direzione, redazione, amministrazione

Piazza dell’Indipendenza 15-16, 01010 Piansano (VT)segr. tel./fax 0761 451221 - 450723 - direttore 320 2939956

www.laloggetta.it - [email protected] - [email protected]© TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Indice

Una città di nome Tuscia, di Giancarlo Breccola p. 5“Lessico famigliare”: La dimensione umanadei piccoli centri, di Roberto Sèlleri p. 10Anagrafe (Nuovi arrivi, Sposi, Ricorrenze,Ci hanno lasciato) p. 13Dicono di noi (recensioni su Biblioteca & Società) p. 23Storie di parole, storia di cultura:La “cacciarella” nelle terre di Maremma(III ed ultima parte), di Luigi Cimarra e Luciano Laici p. 25La Cacciarella giù al Cannetaccio (poesia),di Luciano Laici p. 26Piansano che lavora: Da puledro tignóso a... p. 28Storia a fumetti: Castrum Planzani,di Marco Serafinelli p. 29TusciaLibri news: Grandi storie, grandi libri,grandi personaggi, di Romualdo Luzi p. 33Le ricette della nonna: La pasta con la pancetta,di Maria Pia Brizi p. 35Voci di condominio: Vuoi il condizionatore?Ecco le condizioni, di Andrea Angeli p. 36Streghe e dintorni: La nebbia di perle,di Mario Lozzi p. 37Alloro per... p. 39Note di agricoltura: Meglio l’acqua o il PSR?,di Giovanni Papacchini p. 41Agrodolce, di Nescio Nomen p. 43Flash (Corso di pittura, Passeggiata per sentieri,Cambio della guardia alla Carivit) p. 44Economia e Ambiente: Globalizzazione: le ricaduteeconomico-finanziarie, di Paolo De Rocchi p. 45Detti di casa nostra, di Oliva Foderini p. 48Cara Loggetta... (I “collaboratori di Satana”,La carissima zia suora, Canto africano,Rivivere la mia terra, Ambulanza sì ambulanza no...) p. 49Un po’ di latinorum, di Antonio Pelosi p. 52Sport (Con la mountain-bike per mari e... Monti,Non solo pallone, Calcio: pulcini 95/96e pulcini 96/97 vincitori del campionato provinciale),di Gianfranco Brizi p. 53Dalla parrocchia (Don Alberto tra noi per affrontareil problema della droga, Anno catechistico) p. 54Strapaese: Stella, di Umberto Mezzetti p. 55Il trigramma di San Bernardino, di Loretta Mattei p. 59

Associato USPIUnione Stampa Periodica Italiana

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Per un tragico errore uccide il padre e la madre,di Vincenzo Ceniti p. 61

MontefiasconeIl processo a “la Frociona”, di Normando Onofri p. 62

OnanoLa chiesa della Madonna del Carmine,di Giuliano Giuliani p. 64Onano in festa: Sant’Antonio abate minutoper minuto, di Francsco Massella p. 64

Torre AlfinaUna vendita all’asta colossale, di Rita Pepparulli p. 65

Grotte di CastroItalian book, di Adelio Marziantonio p. 67

CapodimonteUn’intervista difficile, di Piero Carosi p. 69Sul “nostro lago” una diagnosi confortante,di Piero Carosi p. 70

San Lorenzo NuovoIl sapore del pane, di Silvio Verrucci p. 71

GradoliE se parlassimo anche di vino?,di Luciano Piccinetti p. 72

Castiglione in TeverinaDelitto di briganti?, di Cesare Corradini p. 74

ViterboMemorie del tempo che fu: usanze,credenze, modi di dire, di Giorgio Falcioni p. 75

TuscaniaCaro Prefetto ti scrivo...,di Marco Quarantotti e Valeria Sebastiani p. 77Grande successo di pubblico per lapresentazione del libro Felicità Oscura p. 78

AcquapendenteRicordi di scuola, di Giovanni Riccini p. 79Il più bel Pugnalone 2008, di Giovanni Riccini p. 80Il lago enigmistico, Bibliolago Festival(di Marcello Rossi),Acquapendente-San Lorenzo Nuovo-Bolsena(di Giuliano Giuliani) p. 81

VetrallaBonaparte o buonadonna...?Letizia Bonaparte Wyse, di Mary Jane Cryan p. 82

CaninoNews: VII Festa del Malato,L’istituto comprensivo “Paolo III” si apre al territorio,di Roberto Sèlleri p. 84

Bagnoregio“... avvelenare l’ostia che Sua Santitàdovesse consacrare...” - il bagnorese D.B.e l’attentato contro la vita del papa,di Luca Pesante p. 85

CellereI conti Macchi, di Paolo De Rocchi p. 87

Ischia di CastroMadre Maria Maddalena dell’Incarnazione:una Beata a casa nostra, di Angelo Alessandrini p. 90

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Mi capita, talvolta, di riflet-tere sul fatto che i circa300.000 abitanti dellaprovincia di Viterbo, ra -

dunati in un unico centro abitato,andrebbero a formare una città cheoggi potremmo definire media,all’incirca simile a Bari, Catania oFirenze. Oppure potrebbero anima-re un solo quartiere di grandi cittàcome Napoli, Roma o Milano; odisperdersi negli spazi di megalopo-li come Tôkyô (34.900.000), NewYork (21.600.000), São Paulo(20.250.000) e Bombay (18.150.000).Che cosa accadrebbe, allora, allagrande quantità di tradizioni, sto-rie, patrimoni culturali, dialetti dicui gli abitanti di ognuno dei nostrisessanta comuni sono depositari?Che cosa ne sarebbe di quel chiarosenso d’identità che scaturiscedalla consapevolezza di appartene-re ad una realtà in cui il numerodegli individui rientra in concettiquantificabili? La risposta è preve-dibile: i “tusciani” sarebbero desti-nati a scomparire, omologandosialle tendenze comuni o, più breve-mente utilizzando una parola invoga, globalizzandosi.

Spingendo questa considerazioneall’estremo, mi trovo anche adimmaginare un mondo in cui si siarealizzata una totale omologazione,tale da produrre una “perfetta”società in cui tutti gli individui pro-vano le stesse emozioni e agiscono

animati dalle stesse oneste motiva-zioni. Non vi nascondo di avvertire,allora, uno vago senso di nausea.In un suo scritto Isaiah Berlindichiarava che: “Appartenere a unadata comunità, essere connesso aisuoi membri dai legami indissolubilie impalpabili di un linguaggiocomune, della me moria storica, delcostume, della tradizione e dei senti-menti, è un bisogno umano fonda-mentale non meno naturale di quel-lo del mangiare e del bere, dellasicurezza e della procreazione”.La Vita, con le sue leggi inflessibili,sa comunque provvedere alle pro-prie necessità, e inesorabilmente sidifende da ciò che non rientra nellestrategie dell’evoluzione e dellaten denza all’adattamento. L’effi -cienza dei meccanismi selettivi,infatti, dipende proprio dalla gran-de varietà di differenze strutturaliche finiscono per costituire la veraforza e ricchezza della “Grande Ma -dre”, la Natura.

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Ecco perché, in un mondo chesfrutta forme di comunicazione uni-versali sempre più omologate eomologanti, si assiste all’affioraredi prepotenti ansie locali, in appa-rente contraddizione con i priorita-ri orientamenti mondiali. La con-traddizione, in questo caso, è sol-tanto apparente, perché questi ulti-mi, per la loro affermazione, neces-sitano di un elemento complemen-tare che ristabilisca una forma diequilibrio esistenziale e che, con-temporaneamente, rappresenti unformale risarcimento del dan no

subito. Ed ecco perché i sessantacomuni della Tuscia, con la lorocollocazione sparsa nel territorio,costituiscono un antidoto naturalea questa “malattia”; antidoto cheviene corroborato dalle crescentiiniziative scolastiche, amministrati-ve, private e associative rivolte alrecupero ed alla trasmissione delpatrimonio identitario delle varierealtà territoriali. Di questo, il fenomeno Loggettacostituisce un esempio più che elo-quente, e in parallelo appare quan-to mai calzante quanto scrive sui

nostri centri storici il direttoreAntonio Mattei nell’articolo Il belpaese (Loggetta 68-69 di mag-ago2007): “... Non si può negare che essirappresentano una risposta possibi-le ad un urbanesimo sempre più esa-sperato, una rivincita di umanesimo,[...] così che, da luoghi materiali del-l’esistenza, i centri storici diventanorifugi dell’anima, stili di vita e filoso-fie dell’essere. C’è il sentimentoambivalente di chi coltiva la storialocale: la sensazione di ‘perderetempo’ con marginalità insignifican-ti, letteralmente travolte dalle emer-genze planetarie del villaggio globa-le, e al tempo stesso - o forse proprioper questo - un bisogno di identitàsenza la quale non ci può essereapertura, confronto, coesistenza e -qui librata. C’è la rivendicazione diappartenenza che è anche riaffer-mazione di ritmi e prospettive menoalienanti, il riconoscimento del valo-re paradigmatico del localismo, co -me se l’intera civiltà umana nonfosse altro che una somma infinita dipiccole storie patrie che si integranoed evolvono”.“Penso che i motivi scaturiscano dalfatto che siamo usciti dal tempo delprogresso - aggiunge in proposito lostorico Jaques Revel -. Fino aglianni ‘60-70 le nostre società viveva-no da quasi due secoli nell’idea diun progresso lineare orientato positi-vamente: si andava da un meno aun più. Potevano esserci degli inci-denti (anche gravi) come ad esem-pio la Prima o la Seconda guerramondiale, ma, nonostante tutto, c’e -ra un’evoluzione che nel complessoera sentita come positiva. Per lenostre società, invece, l’avvenire èdivenuto estremamente incerto, ilpresente praticamente indecifrabile,e quindi anche il passato ha cambia-to statuto. Esso non è più soltanto unpunto di riferimento grazie al qualepossiamo misurare il nostro progres-so, ma acquista il valore di ‘rifugio’”.Ma ora entriamo nella “città”Tuscia in modo meno speculativo,utilizzando dei dati demograficiISTAT ed altri desunti dal portaleinternet della Provincia.

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Mutamenti demograficiI principali mutamenti chehanno caratterizzato le dina-miche e la struttura dellapopolazione nella provinciadi Viterbo nel corso degliultimi anni sono dovuti adalcuni fenomeni demograficiin atto in Italia ma anche intutti i paesi europei, come ilcalo delle nascite e dei matri-moni, l’aumento delle sepa-razioni e dei divorzi e il progressivoinvecchiamento della popolazione.In questo contesto le politiche pub-bliche sono chiamate a far fronte a

nuove esigenze dovute a un muta-mento delle condizioni socio-eco-nomiche che derivano dal cambia-mento continuo della strutturadella popolazione.Passando ad analizzare i dati siosserva che la popolazione resi-dente nella provincia di Viterbo al31 dicembre 2005 è pari a 302.547abitanti, più di un terzo dei qualirisiede nei comuni con più di10.000 abitanti: Viterbo (capoluogo60.254 abitanti), Civita Castellana(16.156 abitanti), Tarquinia (16.058abitanti), Montefiascone (13.257abitanti), Vetralla (12.675 abitanti). Nei comuni della provincia si deli-nea una realtà con dinamichedemografiche diverse: sostanzial-mente stagnanti per i centri più pic-coli, e positive per i comuni confi-nanti con la provincia di Roma.I comuni piccoli, con popolazioneinferiore a 1.000 abitanti, nei qualirisiede l’1,9% della popolazione,

hanno registrato un aumento del21% dei residenti, il che è dovutosia alla retrocessione a questa cate-goria del comune di Latera, che nel

1999 contava 1.058 abitanti, sia alledinamiche positive riscontrate inalcuni comuni di questa classequali Barbarano Romano e Calcata.Un calo demografico è registrato,invece, nei comuni di medio-picco-le dimensioni (1.001-3.000 ab.),dovuto soprattutto al passaggioalla categoria inferiore del comune

precedentemente descritto eall’accesso alla classe superio-re del comune di OrioloRomano con un incrementodella popolazione del 14,4%, eMonterosi 29%. Incrementoche ha interessato, nel quin-quennio analizzato, i comunidella fascia meridionale dellaprovincia di Viterbo al confinecon la provincia di Roma, neldettaglio i paesi di Sutri, Fa -

leria e Nepi.Le realtà comunali che mostranouna dinamica demografica più viva-ce rispetto al dato provinciale sonoi comuni situati a sud della provin-cia, limitrofi con la provincia diRoma. Il comune capofila risultaessere Monterosi con un incremen-to della popolazione pari a +9,6%, ei comuni con più di 10.000 abitanticome Montefiascone e Vetralla cherisentono della vicinanza dell’areadi Viterbo.Gli ambiti che invece presentanodinamiche demografiche negativeo al di sotto della media provincia-le sono i comuni più decentrati ri -spetto ai grandi centri sia provin-ciali che limitrofi.Si tratta soprattutto di piccoli co -muni come Celleno, Onano, Lu -briano, Valentano, ecc.Normalmente, tanto minore è ladensità abitativa, tanto maggiorisono la qualità della vita e lo statodi benessere di un territorio. Secompariamo la densità abitativadella provincia (censita al 2001)pari a 80 ab./kmq con il dato regio-nale (297 ab./kmq) e con il dato

� Selva del Lamone

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medio nazionale dello stesso anno(189 ab./kmq), ne possiamo conclu-dere che la concentrazione dellaprovincia è particolarmente bassa.Essa è, infatti, inferiore alla densitàmedia nazionale (oltre la metà),considerata tra le più alte in Eu -ropa. Tale indicatore sinteticodimostra dunque una condizionefavorevole per la provincia di Vi -terbo. Se si analizzano, inoltre, iparametri di densità rilevati persingoli comuni, si notano differenzetalvolta consistenti. Ciò in quantola vitalità economica dei diversicentri e la presenza di infrastruttu-re che favoriscono il collegamentocon i centri economici limitrofi,specie con il capoluogo regionale.Per esempio i comuni di Vigna -nello, Monterosi, Fabrica di Roma,Civita Castellana presentano unadensità di popolazione al di sopradella media provinciale, contraria-mente a realtà come quelle diProceno, Ischia di Castro, Tessen -nano e Farnese, dove i valori siriducono sensibilmente.

Bilancio demograficoIl saldo naturale della provincia diViterbo ha assunto nel decennio1992-2001 valori negativi, mostran-do a partire dal 1992 un calo pro-gressivo che si è tradotto comples-sivamente nel passaggio dalle 384unità (1992) alle 837 unità (2001) didecessi eccedenti il numero dellenascite. Pertanto nella nuova transi-zione demografica, il ruolo determi-nante per il riequilibrio naturale

della popolazione viene giocatodalla immigrazione, dai flussi migra-tori che, mantenendo sostanzial-mente inalterati gli standard difecondità del paese d’origine, dannoun contributo considerevole ai livel-li di natalità del paese ospitante.Il tasso di natalità nel 2003 è statopiù basso rispetto al tasso di mor-talità, ossia per ogni 1000 abitanti afronte di 8 nascite si sono avuticirca 12 decessi.Il saldo migratorio, valutato perl’intera provincia e per lo stessointervallo di tempo, indica una ten-denza all’immigrazione che, a parti-re dal 1992, ha caratterizzato laquasi totalità dei comuni. I comuniche mostrano i valori più alti deisaldi migratori sono Montefiascone(+181), Vetralla (+169), Fabrica diRoma (+143), Orte (+102) e OrioloRomano (+99).

Indice di vecchiaiaLa diminuzione progressiva dellenascite e il calo della popolazioneche ne deriva viene contrastatoanche dall’aumento della sopravvi-venza in età avanzata. Se si poneattenzione alla distribuzione dellapopolazione per età, la “città”Tuscia dimostra di essere un terri-torio piuttosto “anziano”, in quantoi giovani ne costituiscono la mino-ranza. I giovani sotto i 34 anni rap-presentano infatti solo il 38,2% deltotale della popolazione residente.Una comunità con una grandequantità di anziani deve dedicarsiintensamente ad iniziative per laloro assistenza sanitaria e sociale,a fornire servizi di facile accessoagli ultrasessantenni e così via. Uncomune prevalentemente giovanedovrà soddisfare richieste maggioridi attività educative, di ricreazionee di associazionismo adatto allagiovane età dei partecipanti. Un’a -nalisi del fenomeno, quindi, oltre amettere in evidenza la situazioneattuale e ad offrire spunti per indi-viduare le esigenze per una vitasociale e culturale “sostenibile”,permette di comprendere l’anda -mento nel tempo e, quindi, ipotiz-zare degli scenari futuri utili a pre-venire eventuali criticità che do -vessero manifestarsi nel tempo.Riguardo all’indice di vecchiaiaemerge dai dati disponibili una ten-denza generalizzata all’invecchia-mento della popolazione del viter-

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bese, ossia un notevole incrementoin percentuale degli ultrassessanta-cinquenni rispetto ai giovani (0-14anni).Da un rapporto di circa 75 anzianiogni 100 giovani del 1981 si è passa-ti, infatti, ad un rapporto di 164anziani ogni 100 giovani nel 2001.Dall’ultimo censimento ISTAT dellapopolazione (2001) i comuni più“vecchi” si sono rivelati Onano (497anziani per 100 giovani), Latera(310), Cellere (309) e Farnese (300);al contrario i comuni più “giovani”sono stati Monterosi (90 anzianiogni 100 giovani), Vitorchiano eNepi (per entrambi 99 anziani ogni100 giovani).

Indice di dipendenzaAltro indicatore di rilevanza eco-nomica e sociale è l’indice didipendenza generale, cioè il rap-porto percentuale tra il totaledella popolazione in età non lavo-rativa e la popolazione in età atti-va (14-64 anni). Questo indicatoremisura il “peso” delle classi di etàche dipendono per la loro sussi-stenza e assistenza dal resto dellapopolazione. Osservando i datirilevati per gli anni censuari 1981,1991 e 2001 si rileva una dinamicadell’indice di dipendenza decre-scente nel primo decennio (da 52,3a 49,17) e in ripresa nel secondoperiodo (da 49,17 a 51,15). E’ darilevarsi che l’indice di dipenden-za del territorio viterbese è statosuperiore ai valori rilevati a livelloregionale; ciò nonostante il fatto

che le variazioni tra il 1991 e il2001 siano state minime rappre-senta un segnale non propriamen-te negativo.Anche per l’indice di dipendenzasi delineano a livello comunalenotevoli differenze. I comuni la cuipopolazione attiva nel 2001 erasottoposta ad un maggior caricoda parte della popolazione chevive fuori dal mercato del lavoro,sono Latera (82,7), Onano (70,7),Civita Castellana (70,1) e Farnese(68,7). Al contrario si trovano inuna condizione più favorevole icomuni di Montalto di Castro(40,7), Monterosi e Fabrica diRoma (44,7) e Oriolo Romano(44,9).

Distribuzione per sessoPer quanto riguarda la distribuzio-ne per sesso della popolazione, nelcorso degli anni 1991-2001 taleripartizione ha sostanzialmentemantenuto gli stessi valori (media-mente la popolazione di sesso fem-minile è il 51% rispetto alla popola-zione totale). In realtà, sia purquasi impercettibile, si è registratauna variazione progressiva inaumento per la popolazione femmi-nile a dispetto di quella maschiledell’ordine dello 0,30%.

InfrastruttureLa dotazione complessiva delleinfrastrutture della provincia viter-bese è buona e leggermente miglio-re di quella nazionale e di quelladell’area di riferimento, all’internodella quale occupa il terzo posto. Arendere elevata questa posizionesono gli impianti elettrici, la cuidotazione rientra nelle prime dieciposizioni a livello nazionale classifi-cando la provincia al secondoposto nel contesto del Centro.Meno rilevanti, ma di sicuro spes-sore, sono le dotazioni ferroviarie edelle telecomunicazioni. Decisa -men te migliorabile, invece, la situa-zione relativa a strade, aeroporti edimpianti di depurazione e distribu-zione delle acque.

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stan ze dalla città sfuggendo a ogni dovere di apparte-nenza e di lealtà. “Una parte della devastazione di città,di campagne, di coste, è stato dovuto a incuria e abu-sivismo che non hanno uguali in Europa. Ma è stata lafede nel futuro delle macchine che ha occupato inmodo pesante, invadente il territorio italiano, un po’ovunque, senza alcuna eccezione per la bellezza dellanatura e per quella dell’arte”.La stessa popolazione, distribuita nei 60 comuni delviterbese, vive un’altra dimensione. Non che in questerealtà tutto sia rimasto immutato. Le grandi trasforma-zioni stanno investendo anche i piccoli centri; anchequi si nota un accentuato individualismo, un crescentedisinteresse per ciò che è “altro”, “fuori”, “pubblico”. Etuttavia ancora sono persistenti aspetti della tradizio-ne, della vecchia cultura. Intanto la modesta di -mensione dei centri urbani non favorisce isolamenti oforme di vita autarchica.Naturalmente quanto si va affermando si basa su certetendenze che stanno interessando i piccoli centri,senza pretesa di predeterminare orientamenti e flussio pronosticare veri e propri cambiamenti. Diciamo checi sono delle avvisaglie che non possono essere trascu-rate. Il dato è questo: in molti dei nostri comuni si regi-stra un’immigrazione dalla città di persone, per lo piùpensionate, e quindi più libere di potersi muovere, allaricerca di una dimensione di vita più umana.Facciamo due esempi. Il primo riguarda Giovanni (Ser -ra), residente attualmente a Tessennano, un uomo po -

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E’ indispensabile tornare con ostinazione all’idea che costruire vuol dire continuare la civiltà...

E progettare l’oggetto, l’ambiente, la casa,la città, il territorio, il paesaggio è il solo modo

sensato di dare forma alla realtà; dunque far continuare la storia”

(Furio Colombo, La città è altroveriflessioni sull’architettura)

La provincia di Viterbo distribuisce i suoi285.000 abitanti su 60 comuni. Se consideriamoche solo 4 comuni, escluso Viterbo con i suoioltre 57.000 abitanti, superano i 10.000 abitanti,

i re stanti 55 comuni hanno una popolazione che va dai400 ai 7-8.000 abitanti. Piccoli nuclei abitativi. Il totale degli abitanti di Viterbo e provincia corrispon-de appena a un quartiere di una grande città.Tralasciando la struttura imprenditoriale e produttiva,ci interessa qui un altro aspetto: la qualità della vita.Partiamo brevemente dalla condizione della città o diun quartiere corrispondente alla nostra dimensionedemografica. Le città in questi ultimi decenni hannosubito una profonda evoluzione. I più anziani che vivo-no nelle città ricordano quando nel quartiere c’eravita, identità dei suoi abitanti. Ora abbiamo stradeoccupate da folla, assembramenti, vandalismo, accet-tazione silenziosa delle scritte che deturpano il nuovointonaco, il motorino abbandonato, l’immondizia chefuoriesce dai cassonetti, l’anonimato più assoluto, ladiffidenza verso tutto e tutti. Quar tieri che stanno mo -rendo. La vita è esangue, le porte sono fatte per chiu-dersi. E’ la casa rifugio, la casa i cui confini segnano iconfini della vita pubblica. Il resto (il fuori) non ciriguarda. Per i più giovani esuberanti il resto è danneg-giabile. Per i più anziani è infido. Basta vedere cosasuccede nelle città dopo una partita di calcio. La gentenon si fida più della città, preferisce blindarsi dentrocasa dove tutto avviene sotto il proprio controllo.Il traffico “è diventato un movimento di contestazionealle case, agli oggetti, ai simboli e arredi della città”. Gliuomini vivono come una folla solitaria. Gli spazi diven-tano parcheggi. Chi può costruirsi una casa fuori città,circondato da fiori e aiuole lo fa grazie alle miglioratecondizioni economiche e per il desiderio di ritorno allacampagna, ma è anche un modo per prendere le di -

“Lessico famigliare”

La dimensione uummaannaadei piccoli centri

di Roberto Sèlleri

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liedrico, scrittore, poe -ta, mosaicista e scul -tore, un dicitore infor -mato, barbetta alla Pi -randello. Col suo cagno-lino batte molti comuniviciniori, sempe attentoalle trasformazioni epronto a contrastareogni atto che deturpil’ambiente. Semprepron to ad opporsi e apolemizzare con tuttequelle iniziative chetendono a trasformareil paese e renderlo simi-le alla città, distruggen-done il tessuto, le tradizioni, la cultura. Egli si è porta-to nel cuore una Roma che non c’è più. Lui abitantedella Garbatella, una zona a sud ovest di Roma, fuori lemura aureliane, un tempo circondata da orti e canneti,piante da frutta, pini e prati per pascolo, ricorda quan-do i romani si riversavano nelle strade, negli orti, nelleosterie con i tavoli fuori, nelle fraschette fuori porta.Ora “non si può stare a proprio agio nella grande città;nelle metropoli si inizia a stare male sin dal primo mat-tino. Si vedono quantità di tutto e sciami di metallo chesfrecciano e formiche di persone che paiono indaffarateper un inutile fare... Qui [in Maremma] sono presenti gliodori... qui c’è la possibilità di armonizzarsi con la natu-ra, esiste e si accelera la sensazione di vedere crescerealberi, erba, fiori, e questa è storia, la primordiale”.Tessenna no rappresenta la metafora di una terraincontaminata, dai lunghi silenzi, dalla vita a dimensio-ne umana. Qui si è creato una specie di romitorio, lon-tano dall’inquinamento, dai disbocamenti, dalle cave,dalle trivellazioni, dall’invadente cemento armato. Quipensa, scrive e compone mosaici.“Tessennano: il mio non mio paese. Fra tocchi e rintoc-chi la campana del mio paese ricorda agli altri l’ora, ame getta una scala ove con il suono è un salire sin doveè possibile ancora nel cielo e perdermi fra le sue ariosebraccia. E’ questo l’anticamera di un ricordo infantile?Od il richiamo all’Assoluto? E’ un magnificare il Crea -tore? O solo voglia di significare? Talvolta il vento mari-no all’ultimo tocco della campana prolunga il suono equesto suono diventa la fune che annoda, unisce, colle-ga il qui con il là sino a sparire”. “La Tuscia è difesa daun ancestrale tabù: quel vivere in simbiosi con la natura,ideale degli antichi abitatori etruschi”. Dopo una giorna-ta di pioggia non è difficile trovarlo là per le campagnea cercare cicoria, erbe commestibili, frutti selvatici edaltro con cui confezionare i suoi pranzi. Le sue esigen-ze sono strettamente legate al necessario. “Er cicoriaroè quello c’ha capito tutto”, scrive in una sua poesia. Egià. Se volete sapere qualcosa sulle piante commestibi-li o salutari trovate in Giovanni una esauriente enciclo-pedia.

Così egli vive e percepisce iltrasferimento da Roma a Tes -sen nano, dalla grande città alpiccolo centro, dove ha trova-to la sua giusta dimensione divita. E’ una posizione, la sua,velleitaria, di nicchia, un ecolo-gista reazionario, una rispostaradicale a problematiche esi-stenziali? Non sappiamo, ecomunque non sta a noi espri-mere un giudizio. Un compor-tamento, una scelta di vita,innanzitutto, vanno compresie rispettati.Un altro caso, questo moltopiù semplice e più solare,

riguarda un altro romano trasferito a Canino. Anche luipensionato vive nel quartiere le Buche con la signora.Paolo, imprenditore edile, ora in pensione, è statoindotto a una tale scelta da un bisogno abbastanzacomprensibile, quello di avere intorno a sé delle perso-ne con cui parlare, a cui raccontare la sua storia, le suetraversie, le sue giovanili scorribande, i suoi amori, ilgrande affetto per la sua compagna. In pochissimotempo si è inserito nella nostra comunità tanto da fardimenticare la sua provenienza. E’ un instancabile ani-matore di feste, frequentatore del centro anziani e delbar. Si considera maestro della briscola, tressette eramino. A suo dire ora è soddisfatto e sereno. Nonsente affatto la nostalgia della città d’origine; sembrache l’abbia totalmente rimossa, tanto si è integratobene nell’ambiente nostrano.Gli esempi potrebbero continuare. E’ un fenomeno,questo, che nonsta a noi studiare.Né conosciamoquan to sia la suaestensione. Questopossiamo registra-re con certezza: c’èqualcuno chescap pa dalla città,che molte cittàormai sono diven-tate palcoscenicianonimi dove èsempre più difficilepersonalizzare unsorriso, un dolore,una gioia, aspettidella vita umanache passano inos-servati, consumatinel privato.

“Lessico famigliare”

Opere in mosaicodi Giovanni Serra:

il dio Mitra (a sinistra)e Tex Willer (sopra)

Il romano Paolo

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Via Maternum, 100Piansano (VT)

Tel. 0761.451235

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Nuovi arriviUn bel citto, Simone Pesci: trechili e cinquecentosettantagram mi per cinquantasette cen -timetri di lunghezza! Pri mo ge -nito del martano Alessandro e diSimona Melaragni (l’amazzonevalentanese-piansanese - ricor -date? - figlia di Grat tì no e dellanostra Rosanna d’Orizzèo), Si -mo ne ha scelto una data impor-tante per rivoluzionare la vita deineogenitori: sabato 14 luglio,anniversario della presa della

Bastiglia, venendo al mondo all’ospedale di Tarquiniacon qualche settimana di ritardo. La mamma non sen-tiva le contrazioni, mentre la zia Silvia (gemella dellamamma) nelle settimane precedenti alla nascita si èpiù volte allontanata dal posto di lavoro con forti dolo-ri addominali di natura - per allora - sconosciuta. Inonni materni, manco a dirlo, non si tengono: Grattìnoha finalmente un maschietto in casa dopo tre figliefemmine! Sicché lo ha già fatto salire a cavallo e nonpasserà molto che se lo porterà dietro a caccia, tantoche il babbo Alessandro gli ha già comprato un fucilet-to su misura; Rosanna, che ancora non ce la fa a capa-citarsi della promozione a nonna, col suo piglio per oraè l’unica che riesce a far stare un po’ tranquillo quel-l’argento vivo del nipote. Per l’ingresso nella comunitàcristiana, infine, Simone ha avuto un battesimo davve-ro speciale: a Marta, la notte di Natale, don Roberto gliha impartito il sacramento dopo averlo adagiato nien-temeno che nella culla di Gesù Bambino!

Ciao, sono Simone Adagio, coni miei tre chili e mezzo sononato all’ospedale di Belcollevenerdì primo febbraio per lagioia dei miei genitori Pietro eDeliana Moscatelli e di tutti.Sono il primo nipotino per lanonna paterna e il terzo per lafamiglia della mamma, ma ilprimo in casa anche per gli ziiun piano più su. Mi piace tantis-

simo mangiare e non ammetto deroghe! Sono sempreattento e sorridente, mi piace la compagnia e le cocco-le, e la sera non voglio dormire mai! Insomma sono pic-colo ma mi do da fare anch’io! Vi ringrazio e vi mandoun salutone coi fiocchi.

Alessandra Lucci, secondo-genita di Vittorio e OmbrettaDe Santis, è nata all’ospeda-le di Città di Castello lunedì3 marzo per la gioia di geni-tori e nonni, ma soprattuttodella sorella Serena, che dal-l’alto dei suoi otto anni epassa con la nuova arrivatafa le prove da mamma accu-dendola e spupazzandola.Figliona di quasi quattrochili e di oltre mezzo metroalla nascita, Alessandra è digrande ap petito e a tre mesiha più che raddoppiato il suo peso. E’ tranquilla, attentae gioiosa, e, come vi accostate, subito socializza coi suoigorgoglìi. Buffe sono le due sorelline insieme, che se laintendono a perfezione, e quando Serena intona l’innodella nazionale di calcio, Alessandra non smette più diridere e chiacchierettare a suo modo. Buon pronosticoper i prossimi campionati europei?

Ciao a tutti, sono AlessiaRuiz. La mia mamma si chia-ma Roberta Talucci ed il miobabbo Emiliano. Sono natadomenica 13 aprile all’ospe-dale di Belcolle. Per i nonnigrossetani Anna e Ales san -dro sono la prima nipotina,mentre per quelli piansanesiAugusta e Francesco (Chéc -co) sono la terza; infatti hodue cuginette, Francesca eMartina, che mi adorano. Ilbisnonno Raoul che vive aCivitavecchia vorrebbe veni-re tutti i fine settimana a tro-varmi, essendo la prima pro-

nipote, mentre per il bisnonno Peppinèllo, che ha rag-giunto quota 97 anni, sono l’ottava pronipote. Sonouna bimba vivace ma dolcissima, sorrido a tutti e pian-go solo quando ho fame, e se la mamma non mi dàsubito il latte divento una vera leoncina.

Alle nove di mattina dimartedì 5 febbraioall’ospedale di Città diCastello è nato FlavioPapacchini, che oltreche dai genitori Luca e

con la collaborazione di

Anna RitaCampitelli

e

GiuseppaFalesiedi

Anagrafe

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Paola Vetrallini era atteso in famiglia dai fratellini Iris eAlessio, di sette e quattro anni. I quali ce lo presenta-no così: “Ha gli occhi azzurri, i capelli chiari, mangia edorme tranquillamente nonostante tutte le nostregrida e i nostri rumori... Non vediamo l’ora che crescaper poterci giocare...”. Nella contentezza generale, dinonni e zii compresi, neppure Iris, che si ritrova duemaschietti per casa, si sente in minoranza, perché si favalere ugualmente per diritto di primogenitura.

Alle dieci e quarantaset-te spaccate di martedì 3giugno all’ospedale diOrvieto è nato GabrieleSensoni, figlio di Li -berato e di Patrizia Ce -trini nonché fratello mi -no re di Riccardo. Il qualeRic cardo, da degno pri-mogenito di batterista,non appena il neonato ègiunto a casa ha fattosubito il suo programma:“Gabriele suonerà ilbasso e io la batteria”.Alé!, sicché il parentadogià si prepara ai concerti

familiari in arrivo. Qualcuno vorrebbe insinuare chesotto sotto c’è lo zampino paterno, ma possiamo assi-curarvi che il treènne Riccardo mostra già - di suo -orecchio e determinazione. Per il momento, comun-que, come vedete si tiene stretto il futuro bassista, ascanso di indebite... “circonvenzioni d’incapace”!

SposiAndrea Silvestri eSilvia Di Fran ce -sco si sono sposatisabato 9 febbraionella basilica diS.Maria Maggiore aTu sca nia. Dopo lacerimo nia la festa èpro seguita in unno to ri storante diTar qui nia dove,no nostante il ca -len dario inusuale,l’atmosfera si è ri -velata... caliente.Dal sole di Tar qui -nia gli sposi sonopassa ti alla neve diVien na, dove hanno trascorso un romantico viaggio dinozze. Dopodiché sono rientrati a Perugia doveentrambi lavorano dopo gli studi universitari (Andrea

è chimico farmaceutico, Silvia ingegnere ambientale).Perlomeno in attesa di sviluppi futuri…

Aleatorietà del sim-bolismo delle date!Nel pomeriggio di sa -bato 24 maggio, anzi-ché dichiararsi guer-ra, i nostri EmilianoBrizi e Amelia Mo -sca telli hanno addi-rittura coronato illoro sogno d’amorenella nostra chiesaparrocchiale. E acon celebrare c’era nola bellezza di quattropreti, perché oltre aipadroni di casa don Andrea e don Aristide c’eranoanche gli zii di Emi liano, don Giampiero e don Pierluigi.Dopo la cerimonia gli sposi so no andati di corsa a farele foto per i vicoli caratteristici della Roc ca e del cen-tro storico per concludere poi il servizio a Bol sena,dove l’intero corteo di parenti e amici si è trasferitoper il banchetto. Sorpresa del fratello di Amelia,Alessandro, che con l’aiuto dell’amico Luigi li ha accol-ti con musica e bandiere, e allegro intrattenimentodella gang di amici, con il simposio protrattosi fino atarda notte. Adesso gli sposi “gironzolano” ancora perPiansano, dove hanno costruito il loro nido in localitàSodi del Piano. Per il viaggio di nozze dovranno aspet-tare ancora un po’ per via del lavoro: Amelia è inse-gnante alla scuola elementare di Vetralla ed Emiliano sioccupa di contabilità alla CNA di Viterbo.

Ci giunge notizia del matrimonio di Alessio Colelli,ventinovenne figlio di Domenico di Raniero - che a suotempo presentammo anche come militare in Kosovo -il quale lunedì 5 maggio si è sposato civilmente a Cer -veteri con Elisabetta Trio. Un saluto e un augurio.

Ci giunge anche notizia delle seconde nozze del nostroconcittadino Angelo Egidi con Mariya Antoshkiv,celebrate civilmente nel comune di Montalto di Castrosabato 7 giugno. Angelo - nipote del sagrestano, percapirci, ossia figlio di suo fratello Bernardo - è uno deinostri pesciaròli che lasciarono il paese nell’estate del‘55. La sua famiglia abitava in fondo al Vicolo Vecchio,in quella casa sopra alla scalinata rimasta da alloradisabitata: genitori e quattro figli, cui si aggiunse unaquinta dopo il trasferimento al podere. In paese lui nonè tornato spessissimo, specie dopo la scomparsa deigenitori che vi si erano ritirati dopo aver lasciato ilpodere. Ve l’abbiamo rivisto con Mariya proprio inoccasione della festosa “rimpatriata” dei pesciaròli diqualche anno fa, e quel clima di nuova serenità familia-re c’era sembrato già allora di buon augurio.

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Ricorrenze15 giugno 2008: festa dei sessantenni

A Piansano gran rimpatriata dei nati nel 1948 perfesteggiare il loro sessantesimo compleanno! In unasplendida giornata di metà giugno i vispi sessantennivenuti da ogni parte d’Italia (Ro ma, Genova, Napoli,Grosseto, Subiaco, ecc.) si sono dati appuntamentoalle 11 davanti a quella chiesa dove furono battezzati,dove fecero la prima comunione e dove molti di loro sisono sposati. Saluti, baci, abbracci, poi la messa con-celebrata da d.Andrea, d.Aristide e dal diaconoAntonio Fagotto (classe 1948). E’ stato quest’ultimoche, salutando i convenuti, ha ricordato con poche matoccanti parole il cammino fin qui percorso. Dopo lamessa tutti a Marta per pranzare nel raffinato ristoran-te Da Gino al Miralago, di proprietà di Felicetta Monti(classe 1948). Inutile dire che il trattamento è statoeccellente (si giocava in casa!). Molti i cibi prelibati,moltissimi i brindisi, innumerevoli le canzoni cantatein coro da tutti. Durante il pranzo tutto un intrecciarsidi ricordi lontanissimi nel tempo eppure ancora vivinella memoria di ognuno.Per non farsi mancare niente i sessantenni hanno pen-sato bene di concludere la giornata a Piansano con unaspizzettata, musica e balli. Insomma una organizza zio -ne perfetta grazie ad An tonia (de ‘Nfrizza), Giusep pa(de Diodato) e Silvana (mia). Sul tardi l’adunata si èsciolta con i consueti abbracci, qualche lacrimuccia ela promessa di non perderci di vista e di rivederci pre-sto. Quasi quasi... nun vedemo l’ora d’ave’ settant’anne!Anzi, ‘nvecchiènno ‘mpazzènno, pensate ‘n po’!, me c’èscappata pure ‘na poesia:

Ai nati nel 1948Il millenovecentoquarantottofu per Piansano ‘na gran bella annatae ‘n branco de cicogne col fagottodecisero de facce la fermata.La sor’Assunta, doppo qualche fiotto,strillò: “Dateve ‘n po’ ‘na regolata!”:uscìnno allora da le fagottellesessanta tra gallette e pollastrelle.

E cominciònno a crescia sane e belle,infanzia, gioventù... poe la famiglia.Gioe e dolori impresse sulla pelle:la vita a volte dà, a volte piglia;un giorno manna acqua a catinellequel’altro ‘n sole ch’è ‘na meraviglia,finchè te trove, senza fa’ richiesta,c’hae sessant’anne (e qui nun se protesta!).

Si mo’ qualche galletto è senza crestae qualche pollastrella è ‘n po’ spennatanun s’émo d’avvili’, ma famo festa,tanto oramae è fatta la frittata.Vivemo bene ‘l tempo che ce restae godémese ‘nsieme ‘sta giornata.Del resto ce vo’ poco a èssa contenti;Quant’anne c’émo! ? ‘Mbe’... tre volte venti!

Luigi Mecorio (classe 1948) ai suoi coetanei

Anagrafe

www.palazzocaposavi.com - [email protected]

Bolsena

�Matrimoni - ricevimenti - Cene d’affari

Palazzo Caposavi

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Ci hanno lasciato (a cura di am)

Poco dopo le dieci di sera di martedì 8gennaio all’ospedale di Belcol le diViterbo è morto Federigo Bordo(Righétto de la Fontanàra, comedicono in paese), che era nato aPiansano il 6 luglio 1929 daDomenico e Rosa Billi (appuntovalentanese de Le Fonta ne, come

rivela il cognome). Uomo di campa-gna da tempo in pensione, Righetto

era persona tranquilla e piuttostoappartata, tra gli ultimi piansanesi rimasti a

“presidiare” quell’angolo di centro storico tra le Scalettee la piazzetta del Fabbretto, davanti alla chiesa parroc-chiale (anche se ciò l’aveva portato in passato a qualcheincrescioso diverbio coi gestori del pub per via dei suoninotturni). Sicché più che altro si muoveva letteralmenteper “la strada dell’orto”, tra andirivieni campestri e pic-cole incombenze domestiche. Unica piccola rogna, quelnome personale con la g, esempio unico in paese e piut-tosto raro in assoluto, che naturalmente lo condannavaa dover rettificare le frequenti (ed arbitrarie) correzioniburocratiche in Federico. Lascia la moglie NerisSciarretta, sposata nel ‘53, e tre figlie: Rosella del ‘54,Giuseppina del ‘58 e Maddalena del ‘64, tutt’e tre trasfe-rite da tempo a seguito del matrimonio.

Alle quattro pomeridiane di lunedì 14gennaio nel centro geriatrico Gio -vanni XXIII di Viterbo è mortaNazarena Ceccarini - la Nèna deGradinòro, sempre stando all’a na -grafe paesana - che era nata aPiansano l’8 febbraio 1926 daAdele Brizi e dal povero Naza reno,morto neppure due mesi prima chelei nascesse e del quale la neonata“rinnovava” il nome. Ricordate il librosui nostri Caduti? Suo padre era stato richiamato in guer-ra che era già sposato. Aveva avuto il primogenitoOlindo nel ‘15 e al ritorno dal fronte - ferito e gravemen-te ammalato - fece in tempo ad avere Èlio nel ‘20, Èlia nel‘22 e Geltrude nel ‘24. “Ma l’anno dopo [1925] fu tragicoper la famiglia. A luglio, nel giro di pochi giorni, morironosia Èlia sia Geltrude [...] e a dicembre Nazareno, chelasciò la moglie incinta di sette mesi. A febbraio l’Adeledette alla luce una bambina e la chiamò Nazarena. Ladonna si ritrovò dunque con questa creatura e i duemaschietti Olindo ed Èlio, di dieci e cinque anni. Non sirisposò, e per mantenere onoratamente la famiglia unadonna non aveva allora altre strade: andar per serva.L’Adele fu per tanti anni ‘la serva dei carabinieri’..., e poila ‘graziàna’ dei De Simoni”.La Nèna comunque non si è mai sposata. Piuttosto toz-zetta e claudicante nei suoi brevi andirivieni tra la piaz-

za e il vicoletto de le scòle, dove abitava, era rimasta apresidiare la vecchia casa paterna del Portonaccio, doveper tanti anni aveva accudito il fratello Èlio, il Gradinòrodi paesana memoria. Era un tipo estroverso, argutamen-te affabulatrice come tutte le Cicèrchie, e al tempo diGradinòro aveva familiarmente ospitato l’amicoFrancesco Petroselli, più volte “in missione” dall’univer-sità di Göteborg per le sue ricerche lessico-antropologi-che sul nostro territorio. Rimasta sola e con i disagi dellasua condizione, anni fa si era ricoverata nel centro geria-trico, facendo inevitabilmente perdere a quell’angolo dipaese un po’ della sua anima popolana.

Anna Brinchi Giusti è morta al -l’ospedale di Belcolle di Viterbo alledieci e quindici di giovedì 17 genna-io. Da qualche anno non aveva piùl’uso della vista e dopol’assistenza in casa di una ba danteera stata ospitata in una casa diriposo di Tuscania. Per sona curata

e di modi precisi, la Nannina era ori-ginaria di Grotte di Castro (da cui il

cognome non piansanese), dov’era natail 30 luglio 1923 da Biagio e Domenica Palombo. A Pian -sano era ve nuta nel ‘51 a seguito del matrimonio conNenuccio Falesiedi, stabilendosi inizialmente al Fab -bricone e poi in quella casa di Via Roma 51, sopraall’Ammasso, dove praticamente la famiglia è sempre vis-suta fino all’ultimo trasloco di lei in Viale Santa Lucia.Vedova dall’81, lascia l’unico figlio Giuseppe, del ‘56,rimasto in paese.

Alle nove e cinquantacinque di lunedì21 gennaio nella sua casa di Vicolodell’Archetto è morto GiacomoLucci, che era nato a Piansano il 6luglio 1923 da Bernardo e Filo -mena Eusepi. Stava male da tempoed era stato riportato a casa inquesti ultimi mesi dopo un periododi permanenza in una casa di riposodi Tuscania. Bracciante e manovalegenerico, anche Giacomino era stato tra inostri emigranti in Germania tra il ‘61 e il ‘68, operaio,insieme ad altri paesani succedutisi in quegli anni, in unaimpresa edile nella distrutta Norimberga. Da anni sigodeva la sua pensione tra il vicoletto di casa, la piazzadel comune e il centro anziani. Lascia la moglie CesarinaGuidolotti, sposata nel ‘53, e tre figli: Elda (Guiduccia) del‘54, Bernard(in)o del ‘57 e Toni del ‘64, sposati e datempo trasferitisi per lavoro o a seguito del matrimonio.

Giulia Eutizi è morta all’ospedale diBelcolle a Viterbo la mattina di gio-vedì 31 gennaio. Da circa tre anniera ospite di una casa di riposo aTuscania, ma da tempo era biso-gnosa di assistenza costante per-

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ché ridotta quasi alla cecità, sicché aveva sperimentatola presenza in casa di una badante ucraina e comunqueda anni non la si vedeva più per il paese. Semplice donnadi casa, di modi familiarmente apprensivi, la Giulia eranata a Piansano il 17 maggio 1934 da Francesco e MariaFagotto. Dal ‘94 era vedova di Fiore Virtuoso, che avevasposato nel ‘59 andando ad abitare in un appartamentodi Via Roma; fino all’acquisto della “casa nuova” nelnuovo piazzale Lucia Burlini, dove si trasferì con la fami-glia una decina d’anni dopo. Lascia due figli: Massimo del‘60 e Gianfranco del ‘66, entrambi sposati e residenti inpaese.

Verso la diciannove e trenta dellostesso giorno, giovedì 31 gennaio,sempre all’ospedale di Belcolle èmorto Pietro Brizi, che era nato aPiansano il 21 marzo 1935 daAntonio e Angela De Carli. Chi nonsapeva della malattia è rimastoincredulo, perché Pietro era unomone dai modi franchi, ed haaffrontato la situazione con dignità eforza d’animo. Pensionato con un passa-to di agricoltore e manovale edile, lascia la moglieTeresa Bronzetti, sposata nel ‘62, e tre figli: Silvana del‘64, sposatasi ventenne e subito trasferita a Ischia diCastro; Otello del ‘65, che dopo varie esperienze di cara-biniere ausiliaro, cuoco, rappresentante di commercio...al momento tira avanti la piccola azienda di famiglia; eMarcello del ‘67, il nostro custode cimiteriale, sposato erimasto in paese.

Nel pomeriggio di mercoledì 20 febbraioall’ospedale Belcolle di Vi terbo è mortoFrancesco Coscia, che era nato aPiansano il 18 marzo 1925 daGiuseppe e Rosa Santimora. Un rico-vero improvviso, perché nonostantegli incomodi dell’età vedevamo tutti igiorni Chécco aggirarsi con il bastone

nei pressi della sua abitazione o affac-ciato con la moglie alla finestra di casa

al piano terra. Persona semplice e mite dimodi, ricorderemo Chécco per il lungo servizio

da netturbino del comune (Chécco lo scopìno, dice anco-ra la gente per capirsi), e anzi in tale ruolo è stato anchel’ultimo banditore pubblico, ossia l’incaricato di divulga-re avvisi pubblici e privati girando per le vie del paese alsuono di una trombetta e gridando di quando in quandol’annuncio di turno (in gergo, manna’ o butta’ ‘l banno.Usanza che meriterebbe di essere ricordata, con le sueatmosfere e le inevitabili gag, perché lontanissima nelcostume ma incredibilmente vicina nel tempo, repertosignificativo di quella civiltà medievale da cui siamo usci-ti appena l’altro ieri). Chécco lascia la moglie FrancescaColelli (Chécco e la Chécca, venivano infatti familiarmen-te indicati nel vicinato), sposata nel ‘52, e le figlie RosaMaria e Giuseppa, la prima residente a Tuscania e pre-

maturamente vedova di Franco Tuccini, come si ricorde-rà, e Giuseppa sposata a Piansano e con due figli. L’unicomaschio avuto da Chécco, Lazzaro, morì che aveva dapoco compiuto sei anni, nel gennaio del 1975, in un tragi-co incidente d’auto qui in paese.

Nella mattinata di sabato 23 febbraioall’ospedale di Belcolle a Viterbo è mortaFelicita Marchionni (la Felicétta delGrottàno, nella solita onomastica pae-sana), che era nata a Piansano il 24dicembre 1931 da Arduino e MariaCor de schi. Semplice donna di casa, laFelicétta stava male da tempo, e sonoa tutti noti i suoi continui andirivieniper il centro trasfusionale di Viterboper le dialisi. Era detta del Grottàno pervia del matrimonio con Giu seppe Scatena,nativo appunto di Grotte di Castro, dove lei si era tempo-raneamente trasferita a metà degli anni ‘50 con lamamma Mariétta a seguito del trasferimento dell’alloraparroco don Nazareno Gaudenzi, di cui la Mariétta eraappunto la perpetua. Ma subito dopo il matrimonio lacoppia si era stabilita a Piansano sistemandosi prima inuna casa delle Capannelle e poi in Vicolo Vecchio. Lìsono praticamente cresciuti i figli Maria Vincenza (del‘57), a sua volta emigrata a Ravenna con il matrimonio diquasi trent’anni fa, ed Ernesto (del ‘65), il nostro benzi-nàro e “angelo custode” dell’ambulanza. Era vedova dacinque anni quando la Felicétta, rimasta sola in quel vico-lo ormai completamente spopolato, nell’88 si trasferì nel-l’attuale abitazione di Via Tuscania.

[Marchionni non è cognome indigeno, e con la mortedella Felicétta ora a Piansano è estinto del tutto. Vi fuimportato nella seconda metà dell’800 da un fabbro dinome Venanzio, nato a Valentano nel 1851 da Luigi e dauna certa Attilia Lisini (che dal cognome neppure leisembra originaria di queste parti). Nell’80 Venanziosposò la nostra concittadina Felice Salvatori e si stabilìqui in una casa della Rocca, dove morì settantasettennenel 1928. In una ventina d’anni ebbe undici figli, sei deiquali morti a pochi mesi di vita, due trasferitisi coltempo a Tuscania e uno a Roma. Solo Arduino (dell’85)e Marianna (del ‘91) rimasero in paese, dove a pocadistanza l’uno dall’altra si sposarono con due Cordeschi,Luigi e Maria, anch’essi fratello e sorella e dal cognomed’importazione (precisamente di Cellere, e anzi destina-to ad estinguersi anch’esso, localmente, essendo ilnostro Anchise unico discendente maschio e senzafigli). Per la verità Arduino Marchionni ce la mise tuttaper continuare la genìa, ma degli otto figli avuti dallaMariétta - quattro femmine e quattro maschi, due deiquali gemelli - sono sopravvissuti soltanto due femmi-ne: la nostra Felicétta, appunto, e la sorella Annunziata,del ‘25, trasferitasi a Tuscania dopo la guerra a seguitodel matrimonio con Giovanni De Grossi].

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La mattina del lunedì di Pasqua, 24marzo, nella sua casa di Via Etruriaè morto Arnaldo Colelli, che eranato a Piansano il 13 luglio 1920 daVincenzo e Angela Zampilli (Cèn -cio del Testone e l’ultracen tenariazi’ Angelina, ricordate?). Anche lui“ha fatto presto”, come si dice, e,

anzi, tanti neppure s’erano accortidell’improvviso ricovero e del solleci-

to ritorno a casa per il precipitare dellecondizioni. Sicché ricorderemo Arnaldo nella sua anzia-nità tranquilla, seduto sulle panchine di Via Umberto I o,col suo bastone e l’andatura claudicante per un anticoincidente, nei brevi spazi tra casa, il centro anziani e lecomunelle di amici, che lui andava a trovare quando nonce la facevano più a uscire di casa: sereno e familiarmen-te estroverso, col suo passato di uomo di campagna ecome con la coscienza di chi ha fatto la sua parte per lafamiglia e gli affetti domestici. Musi cante storico dellanostra banda, Arnaldo ne era stato anzi uno dei primi epiù importanti elementi, sempre attento nel suo ruolo diseconda tromba al tempo del capomusica Tersilio, cuifaceva da spalla fidata. Lascia la moglie Maria Ceccarelli,sposata nel ‘47, e i due figli Vincenzo e Peppino - che nelnome “rinnovano” entrambi i nonni - sposati e residentiin paese.

Verso le nove e mezzo di sera di saba-to 29 marzo, nella sua casa di ViaEtruria si è spento Fulvio Lucci, ilnostro caro Fulvio, vinto dal maleche l’aveva attaccato un paiod’anni fa e contro cui aveva lottatocon una dignità e una coscienzacristiana davvero am mi revoli.Sottoposto ad intervento e quindi aterapie e controlli continui, fino adue/tre mesi prima appariva in condizio-ni quasi normali, anche per quella sua facile e affettuosacomunicativa con tutti. La situazione è letteralmenteprecipitata nelle ultime settimane, e per quanto ormaifosse nell’aria, la notizia ha toccato tutti. Fulvio era bennoto e stimato. Non solo gestiva da sempre il negozio dialimentari come da tradizione di famiglia (“la bottega delFabbrétto”), ma era stato sempre coinvolto nelle localiiniziative artistico-culturali come la corale e l’attività tea-trale (“il tuo cuore e la mente sempre accese / per le coseche rendono gioiosi / ... Ti piaceva la vita e il bel canto...”,scrive il cognato Ireneo Moscatelli), e per temperamentoe per educazione manteneva con tutti rapporti di serenacordialità. La prova difficilissima piombata sulla famigliacon l’incidente del figlio Franco l’avevano visto con lamoglie Erina affrontare la situazione con sacrificio eforza morale, esempio di abnegazione e quotidianaaccettazione delle avversità. Doveva sostenerlo la “non-curanza” del credente, per vederlo fino all’ultimo cosìconfidente, di una umanità contagiosa. Bella figura, di cuicertamente il paese viene a mancare.

Fulvio era nato a Piansano il 21 luglio 1936 da Francescoe Rita Ciofo. Si era sposato con Erina Colelli nel ‘62 e oltrealla moglie lascia i figli Franco, nostro collaboratore, eVittorio, che ne ha continuato l’attività e proprio all’ulti-mo gli ha dato se non altro la gioia della nipotinaAlessandra (vedi pagina 13).

Ci giunge notizia anche della morte dei seguenticoncittadini trasferiti:

Ci viene segnalata la prematura scom-parsa di Tiziana Lattanzi, avvenutaall’improvviso ad appena 36 anni acausa di un male incurabile. Ildecesso è avvenuto l’11 dicembreal policlinico Tor Vergata di Roma,dove Tiziana era ricoverata dacirca un mese. Era sposata da dieci

anni con Stefano Capradossi, primo-genito della nostra concittadina

Giovanna Ciofo, e la famiglia, che risiedea Roma, era apparsa al completo in un numero dellaLoggetta del 2002 in occasione della nascita della piccolaIlaria. Oltre al marito, infatti, Tiziana lascia anche duebambine, Arianna di nove anni e Ilaria di sei. Tra le provedifficili della vita, queste sembrano le più strazianti,appunto perché ci sono delle creature da crescere senzala guida insostituibile della mamma.

Giovedì 3 gennaio al policlinico Ge -melli di Roma è morto AngeloZampetti, che era nato a Piansanoil 25 marzo 1924 da Giacomo eNatalina Cecconi. Una delle fami-glie che lasciò il paese per laBonifica, quando nell’ottobre del‘42, in piena guerra, chiuse la suacasa alla Rocca per trapiantarsi inun podere della Selvicciòla. Dopo laguerra Angelo si sposò con Maddale naMoscatelli - altra piansanese della Bonifica - e ne ebbedue figli: Margherita nel ‘48 e Bruno nel ‘53, oggi entram-bi sposati a loro volta con figli e residenti a Roma.“Ritiratosi” con la moglie a Canino, Angelo aveva ultima-nente qualche problema con il cuore. Lo teneva a badacon controlli periodici, ma l’ultimo ricovero - quarantagiorni tra il Columbus e il Gemelli - non è riuscito a supe-rarlo. Nel darcene notizia, la moglie lo ricorda a quantil’hanno conosciuto.

Venerdì 1° febbraio al pronto soccor-so dell’ospedale di Tarquinia èmorta Domenica Brizi, nata aPiansano il 23 dicembre 1934 daDomenico e Fermina Tagliaferri. Sipuò dire però che del nostro pae -se Mecuccia si ricordasse poco oniente, essendone partita a neppu-

re quattro anni, nella primavera del

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1938. Il destino della fa miglia era scritto nel mestiere delpadre, boàro, come ancora si legge nel vecchio cartellinoanagrafico, che per necessità di lavoro lo portò appuntonelle campagne della Maremma. La giovane famiglia, chedal Vicolo della Volpe era andata ad abitare nella Viadelle Capannelle, lasciò il paese e non vi fece più ritorno.Con i genitori c’erano quattro figli, dai tre ai tredici anni:Bernardino, Emilio, Mario e la nostra Mecuccia, appunto(oggi solo Mario è tuttora vivente). A Tarquinia Mecucciasi sposò nel ‘61 con Antonio Vitali e ne ebbe quattro figli:il primogenito Camillo, defunto; Massimo, tuttora in casacon il padre vedovo, e Maurizio e Paola, entrambi sposa-ti e residenti a Tarquinia.

Venerdì 22 febbraio nella sua casa diTarquinia è morta Rosaria Festa -relli, che era nata a Piansano l’8agosto 1921 da Vincenzo e Mar -gherita Lucattini. Una famiglia dicui ci siamo occupati altre volteper ricordare la morte di duesorelle maggiori di Rosaria, scom-

parse tra il 2000 e il 2001 a neppureun anno di distanza l’una dall’altra. Il

cognome non è originario di Pian sano.Vi fu importato da un contadino di Farnese, Vincenzo,che era della classe 1884 e nell’11 sposò la nostra concit-tadina Lucattini stabilendosi in una casa di Via UmbertoI. Qui, tra prima e dopo la guerra la coppia ebbe sei figli:Malfisa nel ‘12, Annunziata nel ‘14, Ruggero nel ‘19,Rosaria nel ‘21, Antonia nel ‘23 e finalmente, nel ‘27,Ritardo, che con tale nome, evidentemente, per tutta lavita avrà dovuto spiegare ogni volta il perché e il perco-me della propria venuta al mondo. Tra l’altro il cognomeoriginario era Fastarelli, con la a, che rimase rispettosa-mente inalterato per qualche tem po; quindi divenneFestarelli per Ruggero, Rosaria e Antonia, per tornareall’originale Fastarelli alla nascita di Ritardo e consolidar-si invece definitivamente come Festarelli nei successiviluoghi di residenza! (amenità dei servizi demografici diun tempo!). La famiglia, in ogni modo, nell’autunno del‘30 si trasferì al completo nelle campagne di Montalto diCastro e in paese non tornò più. Vincenzo, anzi, cheavendo trovato lavoro come guardiano del marcheseGuglielmi pensava di aver risolto ogni problema, proprioquell’anno morì “di disgrazia” lasciando la moglie incin-ta dell’ultimo figlio, che appunto nacque di lì a poco e“rinnovò” il nome del padre.

Lo stesso giorno - venerdì 22 febbraio- in casa della figlia Lina a Montaltodi Castro è morta Maria Martinelli,che zitta zitta era quasi centenaria,essendo arrivata alla vigilia delsuo 97° compleanno. Infatti eranata a Piansano, da Nazareno e Ce -cilia Eusepi, il 9 marzo del 1911, equindi era tra le piansanese piùgranne de tutte, contandosi al mo -

men to solo un paio di suoi coetanei e un’unica supersti-te della classe 1910. La Maria si era mantenuta autosuffi-ciente e in discreta salute fino a un paio di anni fa, quan-do aveva dato giù tutto insieme allettandosi. Una donnet-ta forte e “lavoratrice”, figura di massaia rurale dellanostra tradizione con tadina. Nel ‘34, a 23 anni, si erasposata con Francesco Lu cat tini e due anni dopo neaveva avuto la figlia Maria Mad da lena (la Madalenad’Attiglio, per capirci). Rimasta vedova dopo appenaquattro anni, nel ‘38, la Maria si era risposata con Gia -como Brizi (‘l Caprarétto, nell’anagrafe paesana), anchelui vedovo di una prima moglie dopo quattro anni dimatrimonio e con un bambino di soli tre anni, Francesco.Da queste seconde nozze nacquero Nazareno (1941),Lina (1944) e Cesare (1947), che naturalmente si aggiun-sero in casa ai precedenti figli di entrambi. Fino a quan-do l’intera famiglia si trasferì nel podere di PesciaRomana intorno alla metà degli anni ‘50, a seguito dellariforma agraria dell’Ente Maremma. Rimase in paese soloMaddalena, ormai in procinto di sposarsi con Attilio.Dopodiché gli anziani coniugi, lasciato il podere ai figli,nei primi anni ‘70 tornarono a Piansano stabilendosi inuna casa delle Capannelle. Giacomo però si poté goderepoco il meritato riposo (e la caccia, di cui era rinomatoed accanitissimo cultore), perché nel settembre del ‘75morì lasciando sola la Maria. La quale rimase a Piansanoancora per parecchi anni, prima di raggiungere la figliaLina a Montalto.

Domenica 9 marzo nella sua casa diValentano è morto Giu seppe Me -laragni, il più grande dei cinquefigli del nostro concittadinoReginaldo (era nato il 27 dicembredel 1933), che appunto nel ‘33 sitrasferì a Valentano a seguito delmatrimonio con Santa Grossi. Lì

Reginaldo - apprezzato poeta abraccio, morto appena sessanta-

duenne nel ‘72 - ebbe cinque figli: ilnostro Pèppe, Renzo (a lungo direttore della nostraCorale), Enrico ed Ezio poi trasferitisi ad Onano, e infineCaterina, anche lei trasferitasi con il matrimonio in queldi Roma. Rimasto scapolo, Pèppe era anche l’unico figlioche aveva continuato l’attività paterna di agricoltore-allevatore, e praticamente conduceva la sua vita nelpodere-castagneto che si era comprato a Valentanodopo che la famiglia aveva liquidato le Mandrie nelnostro territorio.

Nel pomeriggio di mercoledì 2 aprile,alla vigilia del suo novantesimocompleanno, nella sua casa diCivitavecchia è morta NazarenaLepri, che era nata a Piansano daAngelo e Maria Bordo appunto il21 aprile del 1918. Era la mamma didon Giuseppe Papacchini, di cuiabbiamo dovuto riferire a suo tempo

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la prematura perdita, ricordate? Don Giuseppe, che eradel ‘39, era il figlio primogenito che Nazarena avevaavuto dal marito Na zareno Papacchini, scomparsoanche lui ancor giovane nel ‘64. Don Giuseppe era statoordinato sacerdote l’anno prima e inviato come vicepar-roco a Montefiascone, ma in casa con la madre ancorac’erano la sorella Maria (del ‘42), il fratello Angelo (del‘49) e la sorella Teresa (del ‘53), che a quel punto lascia-rono tutti la casa al Fabbricone per raggiungere donGiuseppe a Montefiascone. Nel ‘65 Maria sposò il com-paesano Francesco Eusepi, allora poliziotto, e lo seguìdapprima a Cuneo e poi a Migliarino Pisano, dove tutto-ra abita (Purtroppo ne abbiamo dovuto ricordare lamorte per incidente del figlio Roberto, del ‘70, che eramaresciallo dell’esercito e in quel tragico venerdì 27 feb-braio 2004 - due giorni prima della morte di donGiuseppe! - lasciò la moglie in attesa di un bambino).Verso il 1970 don Giuseppe fu trasferito a Civitavecchiacome parroco di S. Agostino e si portò dietro anche allo-ra i familiari. Dopodiché Teresa volò nientemeno che inAustralia diventandovi una manager, e dal ‘78 Angelo -del quale pure abbiamo riferito in passato importantiaffermazioni culturali e professionali - è ordinario di sto-ria e filosofia all’università di Cali, in Colombia. Con donGiuseppe era rimasta quindi solo la mamma, che loaveva seguito nella parrocchia di S. Gordiano e nei variincarichi di responsabilità nella diocesi di Civitavecchia.

Lunedì 7 aprile è morto a Roma Naz -zareno Ciofo, che era nato a Pian -sano la sera del 24 giugno 1920 daOreste e Rosa Brizi. Era venuto almondo in una casa di Via dellaFontana, che ora non esiste più eche neppure sappiamo dove si tro-vasse. Era l’ultimo di dieci figli, due

dei quali morti di spagnola tra il ‘18e il ‘19. Dopodiché la famiglia si

trasferì a Roma che Nazza reno avevaappena sei anni e con il paese si interruppero i contatti.Solo a seguito della comunicazione di decesso abbiamorintracciato la figlia Rossana, che anzi ringraziamo peraverci inviato le foto e il commosso ricordo riportato nelbox a lato.

[Nel quale, per inciso, il nome Nazzareno è scritto condue z perché così consolidato nell’uso e nella stessadocumentazione amministrativa successiva all’emigra-zione dal paese natìo (nonché per rispetto della memo-ria del defunto e della volontà della figlia), ma cheandrebbe ricondotto all’originaria forma grafica con unasola z - Nazareno - perché così risulta nel relativo atto dinascita, che è la prima attestazione pubblica delle gene-ralità della persona e dunque il documento al quale siricorre appunto per dirimere controversie o dubbi inmateria. D’altronde tutti i Nazareni piansanesi dell’ulti-mo secolo sono scritti con una sola z, a differenza dicome usava tra ‘8 e ‘900, quando le due forme si alterna-vano o addirittura era prevalente la versione con la dop-pia z. Anche il nonno materno del Nostro era un Naza -

reno, del quale evidentemente si volle “rinnovare” ilnome per ben due volte: con questo nipote del 1920 econ un suo fratellino premortogli ad appena un anno divita nel 1919. Del resto è appunto questa la forma corret-ta, derivando l’attributo dalla tradizione cristiana diGesù Nazareno, ossia nativo di Nazareth.Vero è che il nome proprio è strettamente personale edentro certi limiti dipende dalla volontà del dichiarante lanascita (in genere il padre), il quale potrebbe volerloscritto con due z, ma nella storia recente del nostro

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In memoria di mio padre Nazzarenodi Rossana Ciofo

E’ deceduto il 7 aprile scorso, all’età di 87 anni, mio padreNazzareno Ciofo. Trasferitosi in tenerissima età a Roma, dove tra-scorse tutta la sua vita, ebbe una giovinezza feconda di moltepli-ci interessi ed esperienze, affettuosamente unito al suo nucleofamiliare ed in particolare alla madre Rosa che, considerato ilprecario stato di salute del marito, tornato provato dalla GrandeGuerra, sempre si prodigò per il benessere della famiglia.Chiamato alle armi all’avvio del secondo conflitto mondiale, feceparte della divisione Venezia, che inizialmente operò sul frontegreco-albanese e successivamente nei Balcani: in particolarenegli impervi territori della Bosnia, dell’Erzegovina e delMontenegro. Come più volte mio padre mi ha narrato, furonoquelli, per i soldati italiani, anni tragici e dolorosissimi, segnati dastenti indicibili e terribili sofferenze, attanagliati dalla fame, dalgelo e dalle malattie, costantemente in pericolo di perdere la vita,nel corso dei quali ai già orribili eventi bellici si mescolavano levicende politiche e sociali di quelle terre straniere, non solo coin-volte nel conflitto ma teatro di lotte interne fra le stesse parti jugo-slave belligeranti.All’indomani dell’armistizio (8 settembre 1943), le divisioniVenezia e Taurinense, forti di circa 22.000 uomini, seppero resi-stere eroicamente all’invito alla resa incondizionata imposto daitedeschi e dai loro alleati fascisti, ed il 2 dicembre 1943 costitui-rono la divisione italiana partigiana Garibaldi, collaborando allalotta di liberazione del popolo jugoslavo per vincere in nome dellaPatria lontana la propria stessa guerra di liberazione, e per riaffer-mare i più alti valori di libertà, democrazia e giustizia sociale.Undicimila i caduti accertati ed i dispersi, pari al 50% degli effet-tivi; l’altra metà i sopravvissuti, gran parte dei quali rimpatriatiper ferite o malattia, fra cui mio padre Nazzareno. E’ per me motivo di orgoglio trarre questo spunto dal libro Soldatiitaliani nella Resistenza in Montenegro (p. 149), scritto dal gen.Angelo Graziani, all’epoca dei fatti anch’egli della divisioneGaribaldi col grado di capitano, e pubblicato nel 1992 in colla-borazione con la rivista Patria indipendente dell’A.N.P.I.(Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), che assieme ad altreopere dedicate a quelle vicende tragiche e gloriose, ripercorre legesta dei militari italiani in Montenegro dall’estate 1943 alla pri-mavera 1945. Eccone il testo:“Nazzareno Ciofo, di Piansano (Viterbo), classe 1920, genieredella ‘Garibaldi’, già effettivo alla 76a Compagnia artieri dellaDivisione ‘Venezia’, mutilato di guerra, vivente. Dopo l’armistiziodell’8 settembre 1943, con grave rischio della propria vita,costruiva grosse bombe anticarro, ripiene di tritolo e di ferraglie,che trovarono largo impiego contro mezzi di trasporto tedeschi.Il 2 settembre 1944, catturato dai cetnici (nazionalisti monte-negrini) mentre svolgeva attività operativa presso la 29aDivisione jugoslava, venne condotto a Gacko (Erzegovina) dove

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paese, per esempio, l’unico caso del genere è quello diNazzareno Scoccia - ‘l Sardegnòlo, per capirci - che a que-sto punto l’ha trasmesso in tale forma al nipote omoni-mo e che per ciò stesso costituisce l’eccezione che con-ferma la regola. Non è neppure da escludere - ed anzi peril passato è di gran lunga più probabile - che in casi simi-li in realtà non si sia trattato tanto di volontà del padredichiarante, quanto piuttosto di semplice ignoranzadello “scriba” municipale al momento della stesura del-l’atto, così com’è capitato di trovar scritto Mulio per

Amulio, Liscia per Licia, Alfonzo per Alfonso, Gianpieroper Giampiero...: non è pensabile che l’abbia volutoespressamente il padre dei neonati; trattasi con tutta evi-denza della traduzione grafica del parlato operata dal-l’addetto allo stato civile.Distorsioni dialettali, ipercorrettismi e scarsa accultura-zione generale hanno sempre alimentato confusioni eincertezze nelle forme onomastiche. Significativo èl’aneddoto di quel Brizi - che a Piansano è il cognome piùdiffuso in assoluto e notoriamente è scritto senza ecce-

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fu sottoposto a maltrattamenti e minacce di morte. Nel la stes-sa giornata un improvviso e violento attacco di partigiani jugo-slavi ed italiani (2a Brigata ‘Garibaldi’) costrinse il nemico aduna precipitosa ritirata. I cetnici, per non perdere il ‘prigioniero’che si attardava a seguirli, lo colpirono con una raffica di pal-lottole esplosive che gli frantumò l’osso della gamba sinistra.Ciofo subì sul posto un primo intervento chirurgico, ma per lagravità della ferita fu costretto al rimpatrio; lascia Gacko il 16settembre 1944 con un aereo da trasporto che faceva ritorno inItalia. Atterrato a Bari fu ricoverato all’ospedale militare dellacittà e poi in altri luoghi di cura, dove la degenza si protrasseper altri due anni.A questa triste odissea del geniere Nazareno Ciofo intendo acco-munare tanti altri compagni di lotta della Divisione Garibaldi”.In effetti mio padre in Italia subì altri interventi chirurgici allagamba ferita e, al fine di consentire la ricostituzione del calloosseo da sotto al ginocchio fino alla caviglia, essendo stata latibia completamente distrutta dalle pallottole esplosive, restòingessato per quattro lunghi anni. Fortunatamente, sebbene conl’ausilio di scarpe ortopediche, di cui non poté più fare a meno,fu poi in grado di riprendere lentamente a camminare e quindicondurre un’esistenza piena ed autosufficiente malgradol’oggettiva limitazione fisica.Dallo Stato italiano gli furono riconosciute quattro croci di guerraal valor militare e, in data 17 febbraio 1986, alla presenza delpresidente Sandro Pertini, fu insignito dalla Repubblica socialistafederativa di Jugoslavia di decorazione al valore con l’Ordine dellaFratellanza e l’Unità con serto d’argento. Lo stesso Stato jugosla-vo, in segno di riconoscenza e gratitudine, già nel marzo 1981 gliaveva conferito altra medaglia per il “contributo prestato allacomune vittoria sul fascismo e per l’avvicinamento e l’amiciziatra i popoli”. Nel novembre 1977 gli fu attribuita dall’Associazione nazionaleVeterani e Reduci Garibaldini la stella al merito garibaldino, isti-tuita da Giuseppe Garibaldi nel 1863, “per la fedeltà agli idealidella tradizione garibaldina”. Di detta associazione, all’iniziodegli anni ‘80, ricoprì l’incarico di presidente della sezione diRoma, con sede in Porta San Pancrazio, continuando a coltivare,tramite l’attività ivi svolta, gli ideali di libertà e democrazia cheispirarono durante il secondo conflitto mondiale le gesta delladivisione Garibaldi. Dal 1948 al 1970 prestò lodevole servizio presso gli uffici della

direzione generale dell’INPS in Roma dove fu sempre apprezzatoper la sua responsabilità e competenza.Nel 1949, ancora sofferente per la ferita e deambulante a fatica,si unì in matrimonio con mia madre Assunta Zollo, nata a Roma,che aveva già conosciuto negli anni antecedenti la guerra e chesempre lo sostenne, con la quale ha condiviso felicemente ben cin-quantanove anni di vita in comune e di comuni intenti, costruen-do per me, Rossana, loro unica figlia, nata nel febbraio del ‘50,una famiglia amorevole che tanto mi ha dato insegnandomi saniprincipi ed arricchendomi di valori di cui ho fatto tesoro. Unico e bellissimo è stato il rapporto con mio padre, a cui mi uni-vano molti aspetti del carattere ed altrettanti ideali ed aspirazio-ni. Era amorevole e disponibile ma dignitoso, gioviale tuttaviaimpegnato; fu per me compagno di giochi ed amico, oltre chemaestro di vita. Sono felice di avergli potuto dare la soddisfazio-ne di vedermi conseguire nel 1974 la laurea in scienze politichee più di recente, circa dieci anni fa, superare il concorso a diri-gente presso l’INAIL di Roma dove sino allo scorso mese di settem-bre ho prestato attività lavorativa.Mio padre Nazzareno fu sempre circondato dall’affetto dei suoifamiliari e dalla stima di tutti quanti lo conobbero e lo apprezza-rono per il suo animo generoso ed attento ai bisogni altrui, per isuoi modi gentili e socievoli, per il suo atteggiamento positivosempre aperto alla vita.Nel corso della sua esistenza sopportò con forza e speranza moltemalattie anche gravi, confortato dalla fede che mai lo abbando-nò, subendo nel tempo ulteriori interventi chirurgici e recuperan-do tuttavia ogni volta un discreto stato di salute.Nel 1986 fu allietato dalla nascita della sua unica nipote, miafiglia Ilaria, che amò moltissimo e con cui strinse fin da subito unlegame complice ed amichevole, arricchito dall’insegnamento deivalori posti a base della sua vita. Accolse mio marito Carlo consentimento paterno e Carlo lo ricambiò con altrettanto affettosostenendolo nella malattia ed accompagnandosi con lui nei gior-ni più lieti.Nel dicembre del 2004 fu purtroppo colpito da una grave formadi ischemia cerebrale che fiaccò gradatamente le sue condizionigenerali ma non il carattere del suo animo, restato gentile edaffettuoso, sino al recente decesso causato da complicanze daultimo insorte. Le esequie si sono svolte in Roma presso la basi-lica di Cristo Re il giorno 8 aprile ed è stato tumulato nella tombadi famiglia presso il cimitero Verano. Resta ora un incolmabilevuoto appena attutito dalla certezza che ora vive nella pace eter-na e veglia ancora su di noi con amore come sempre. Per SuaMemoria.

bibliografia minima: La divisione italiana partigiana Garibaldi, di Stefano Gestro, 1981 ed. Mursia

Soli in Montenegro, di S. Gestro e E. Bedini, 1972 ed. Tamari Ventimila caduti, di Giacomo Scotti, 1970 ed. Mursia

L’armata stracciona - L’epopea della Divisione Garibaldi in Montenegro (1943-1945), di S. Gestro, 1976, ed. Comitato Regionale Toscano

per il 30° della Resistenza e della Liberazione.

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zioni con una sola z - il quale, lasciato il paese per laprima volta per il servizio militare, si trovò assegnato adun reparto dove c’era un tenente romano con lo stessocognome. (Stiamo parlando di cinquant’anni fa, e quindidi gente tuttora vivente, non del tempo delle guerre puni-che). Un po’ per dovere e un po’ per curiosità, l’ufficialechiese al nostro concittadino: “Ma il tuo cognome com’èscritto, con una zeta o con due?”. Al che il Nostro lo guar-dò perplesso come per indovinare la risposta che l’altrovoleva sentire, e quindi se ne uscì con un desolato: “Boh!...Voe che dite, sòr tene’?”].

Mercoledì 16 aprile a Villa Serena aMontefiascone è morta TommasinaSonno, che era nata a Piansano il 6gennaio 1939 da Carlo e VittoriaCoscia (del Poeta). Una delle fami-glie dei nostri pesciaròli: genitori equattro figli: Tommasina, Mario,Giuseppe e Gino, due nati prima

del richiamo alle armi di Carlo e duedopo il suo ritorno dalla prigionia. Da

via Umberto I la famiglia si era trasferi-ta nel Vicolo della Volpe, ma nell’estate del ‘55 avevalasciato il paese al completo per il podere di PesciaRomana. “Purtroppo la vita di Tommasina è stata piutto-sto tormentata - ci scrivono i familiari - perché la polio-melite che la colpì da piccola le ha lasciato gravi deficitmentali... È vissuta sempre in casa con i genitori, e poi,dopo la loro morte, coi tre fratelli sposati. Conl’aggravarsi delle sue condizioni generali, e la frattura dientrambi i femori, era stata ricoverata a Villa Serenadove poteva essere accudita in modo più specifico...”.

Sabato 14 giugno nella sua casa di Tuscania è mortoGiuseppe Cesàri (omonimo del nostro vigile urbano inpensione, del quale è cugino), che era nato a Piansanoil 2 febbraio 1933 da Francesco Giu seppe e NazarenaLucattini. Al l’epoca la famiglia abitava nel vicolo dellaTorre, ma dopo la guerra si spostò in una casetta alpianoterra giù alla Rocca. Coi genitori c’erano il primo-

genito Giuseppe, Cesira del ‘42,Girolamo del ‘46 e Rosa del ‘50.Una famiglia contadina, cometutte, coi figli più grandicellimessi a garzone. Fin quando nel-l’estate del ‘53 la famiglia al com-pleto si trasferì a Tuscania, nellecui campagne era più facile trova-

re lavoro. Giuseppe - persona sem-plice e onesta, rimasto uomo di cam-

pagna, sia pure ormai in pensione dauna decina d’anni - si sposò piuttosto grandicello, nel‘70, con Maria Teresa Della Posta, originaria di Ponte -corvo, nel Frusinate, e ne ebbe due figli: Rosa nel ‘73 eFran cesco nell’80, oggi entrambi sposati a loro voltama con destinazioni diverse: Francesco in polizia aFirenze, e Rosa, madre di una bambina, rimasta aTuscania.

Domenica 15 giugno all’ospedale diGrosseto è morto Angelo Catalani,che era nato a Piansano, in una casaall’imbocco di Via della Chiesa, il 31ottobre del 1928. Il cognome non èindigeno, perché suo padre Carloera un contadino trentanovenne diBarbarano Ro mano trasferitosinelle campagne di Montalto. Avevasposato la piansanese Marianna Me -laragni e questa era venuta a partorirequi i primi due figli: Francesco nel ‘26 e,appunto, Angelo nel ‘28. Quindi nell’autunno del ‘31 lafamiglia si era trasferita a Montalto, dove tre anni doponacque l’ultima figlia Maria, e in paese non era più torna-ta. In pensione ormai da una quindicina d’anni, Angelo erastato a lungo ragioniere contabile della cooperativaChiarone di Pescia Romana, dove oggi lascia la moglieCaterina Berga maschi, sposata nel ‘59, e i tre figli, a lorovolta tutti sposati con figli e residenti a Pescia: Anna Mariadel ‘60, Giuseppe del ‘64 e Cinzia del ‘72.

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Dicono di noi (da Biblioteca & Società, anno XXVI, 1-2, giugno 2007, pp. 55-56)

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Luigi Cimarra

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III edultima parte

Abbiamo attraver-sato gli inestrica-bili viluppi disottobosco, fatti

di rovi, edere e clematidi,i forteti, le macchie pro-fumate e misteriose dellaterra d’Etruria, seguendole orme di un animalevigoroso, tutto forza efisicità, il cinghiale. Esso,come tutte le bestie sel-vatiche, ha uno sviluppa-to istinto di sopravviven-za, acuito dalla lotta perla vita. E’ diffidente esolingo, annusa l’aria,percepisce i rumorianche quelli impercetti-bili, avverte ogni minimomovimento. Vive immer-so nella natura ed usa lerisorse che essa gli offre:per trarre nutrimento(bacche, radici e tuberi,pannocchie, frutti selvati-ci e cascaticci), per alle-vare i suoi piccoli, perrintanarsi in un covile,per trovare scampo dachi lo caccia. Quando siacquatta tra il folto delleerbe, i cacciatori diconoche s’è allascato: se nesta, immobile ed invisibi-le, tra le lascàre, cioè icespugli di fitto falasco,o tra le rogàre, do’ se‘nfilza o s’allèstra alprimo segno di pericolo.Tra le sue strategie difen-sive non v’è solo la preci-pitosa fuga, ma anche laritirata silenziosa persottrarsi alla vista.

La “cacciarella”nelle terre di Maremma

Storie di parole, storia di cultura:

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Ecco, abbiamo recupera-to un’altra parola, chenon appartiene soltantoal linguaggio settorialedella caccia: sia il verbolascasse che il sostantivolascàra derivano da lascoo asco, che è un terminemolto diffuso tra Lazio eToscana, legato all’alle-vamento o, più in genera-le, alla sfera animale:oltre che “ombrarefrigerante”, a Ble ra, aMonteromano e altrove(per esempio Capranica)indica una macchiòzza diarbusti vicino ad un fon-tanile (es.: fontanile del-l’asco bbèllo) o ad unapozzanghera, un luogoombroso dove le bestievanno a ripararsi dallacalura estiva (Blera: icavalli e le vacches’allàscono), così anche aBarbarano (la bbèstia vaall’asco, sotto l’ombra affrescura). Ma si usaanche riferito all’uomo:nnamo a llasco che ffa ncallo che sse mòre(Blera), ve séte llascate(Monte Romano). Unnoto studioso ditoponomastica toscana,Silvio Pie ri, vi riconosceuna forma dell’italianoantico, usata con diverseaccezioni, sia nel signifi-cato di “terreno molle, dipoca consistenza”, sia inquello “di terreno convegetazione rada”.Qualche vocabolario,come lo Zingarelli, spiegail vocabolo come “terre-no che si veste natural-mente d’erbe e di mac-chia”.L’attestazione più anticaa noi nota per l’AltoLazio si ricava da unacarta viterbese del 1237,dove compare sotto laforma asca (Il “Liber qua-tuor clavium” del Comunedi Viterbo, doc. 304, p.

336: vineam meam, pasti-num, sterpalia, terras etcastagnetum et ascam,quas habeo...), di generefemminile come in tuttigli altri documenti deisecoli successivi (con lavariante grafica ascha e ildiminutivo ascarella).Compare ancora nel 1506nella didascalia di unatavoletta votiva del san-tuario della Madonnadella Quercia, che un talFrancesco diMichelangelo dedica allaVergine, perché, “stennoin una ascha”, era riusci-to a difendersi a colpid’ascia dall’assalto di unlupo feroce.Stiamo ormai per giunge-re al termine del nostroviaggio sul lessico relati-vo alla “cacciarella”, manon possiamo chiuderesenza far riferimento allavoce forse più significati-va: un vecchio cacciatoretuscanese, mentre ci rac-conta le imprese venato-rie fatte in gioventù, cital’inzòjjo, cioè il “luogodove il cinghiale si va aintrujjare di fango perlevarsi di dosso i fasti-diosissimi insetti parassi-ti che lo tormentano,cioè le cavujje, e percurarsi le ferite”. Nei dia-letti della Maremmatoscana e dell’Alto Laziola parola è nota con rife-rimento alle abitudinidell’animale. Ecco laserie di microvarianti,che hanno tutte significa-to affine: zòjjo “fango” ezojjaréccia “pozzangheracon fango” (BassanoRomano), inzòjjo “inso-glio, luogo fangoso eacquitrinoso” (Blera) o“acqua sporca di fango”(Oriolo Romano), ‘nzòjjo“pozzanghera fangosa”(Capranica), inzòglio,zòglio “piccolo avvalla-

mento o buca del terre-no, dove, nel ristagnodell’acqua piovana, maia-li bradi e cinghialis’infangano” (Maremma),a cui bisogna aggiungereil femminile ‘nzòjja“pastone di crusca per imaiali” (Villa SanGiovanni). Non meno diffusa è lacorrispondente formaverbale: nzojjà “rotolarenel fango” (detto deimaiali) (Villa SanGiovanni), anzojjasse /nzojjasse “voltolarsi nelfango”: le pòrche se nzòj-jono ner pantano (Blera),inzojjà “sporcare”(Oriolo Romano), inzo-gliarsi “rotolarsi nell’ac-qua melmosa”(Maremma). A Grotte diCastro si registra nzujja’,mentre a Piansano ‘nzoj-ja’ è riferito anche a per-sona: ‘N te ‘nzojja’!, siraccomandavano lemamme; oppure, contono di rimprovero:“Guardelo! S’è ‘nzojjatocome un maiale!”. Anche fuori della provin-cia di Viterbo, per esem-pio ad Ascrea, ‘nzojjasseha il significato generico

di “impiastricciarsi”.Infine, a Tarquinia ilverbo, oltre al significatoconcreto, ne assume unaltro figurato: è riferito apersona sia per lo spor-co fisico che morale. Labase etimologica è lastessa della voce anticasugliardo “sporco”, “schi-foso” (Guittone d’Arezzo,sec. XIII), cui corrispon-de il francese souillard eche alcuni etimologistifanno risalire all’anticofrancese souiller / soiller,a sua volta fatto derivaredal diminutivo latinosuculus “porcellino”. Mal’etimo non è sicuro enon è da tutti condiviso.Ci rimane un’ultima cosada aggiungere, a confer-ma della tradizione popo-lare raccontata dal vec-chio cacciatore tuscane-se. In un dizionario del-l’antica lingua francese ilcompilatore cita un testonel quale si dice che “chiva a caccia di cinghiali,[sappia che] essi si vol-tolano volentieri nelleacque melmose e, se ven-gono feriti, il rimedio perguarire è quello di roto-larsi nel fango”.

La Cacciarella giù al Cannetacciodi Luciano Laici

Durante tutta la guerra mondialenun se tiraron tante schioppettatecome giù al Cannetaccio ce so’ stateper ammazza’ quattordici cignale;mo’ questo fatto de la sparatoriada la mi’ penna ce diventa storia.

Silvan Veruschi detto ‘l Patacchinovisto ‘l gran branco che s’era puntatocol su’ fucile subbito ha sparatomiranno al branco, questo gran cecchino,ma le su’ bbòtte date co’ attenzionehanno farciato solo che l’erbone.

Francesco Alberti, a chi non ce creda,tre de panacche l’ha pure tiratema annate a vvòto so’ le schioppettate,mentre ‘l Patacchino annava a veda

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tutto sdegnato e mezzo annichilitosi qualche cignale c’era lì ferito.

Gnaffetta co’ Learco de Piciolloe Respampani stavano all’agguatoe proprio lue lì ha sfonconato,ma se sarvò ‘l cignal a rotta de colloche scusa l’erba alta de un erbaio‘l su’ bel colpo nun annò a bersajo.

Parecchie gente hanno padellato,pure le fratel Maurizi de Carlaccio, Pompei e Pompili e altre io le taccioe pure un beccacciaro ch’è tornatosu le passe e ha chiesto molte pallepronto su le cignale de tiralle.

Natali era quel Valentaneseche ha la riserva qui a Piandevìco,ma mo’ de ba’ de Rambo io ve dicoche trenta colpe e più, com’è palese,a voto l’ha sparate a le cignalesenza chiappalle e senza faje male.

La carabina da esso ‘mbracciatasparava come fosse ‘na mitrajache se trovava ‘n mezzo a ‘na battajae nel trambusto de questa cacciatale cignale han fatto mossa astutaridando al Patacchin la riavuta.

Altra padella fatta dall’amico,mentre dell’alto Re Bruno rampogna:Ma che padelle! Ma che gran carogna!!Quintal de ròcchie a mal che nun ve dicoche co’ ‘na stima e pur senza contallevicino a cento le tiraron de palle.

Se c’erano almen quelle de Monteromanoforse la riparavan qualche padellafacendo la cacciata anche più bella,ch’è risaputo in tutto ‘l monno sanonun vale annacce poe sopra le orme,ché chi padella poe notte nun dorme.

Io l’ho provato pe’ la mi’ esperienzache si la palla ce va sopra al segnosèe tutta boria e de lode degno;si nun se pja, beh, ce vo’ pazienza,ché “fame ha ‘l bifolchetto quanno sciojee rabbia ha ‘l cacciator quanno nun coje”.

Coraggio, amiche mie de brutta luna,ché doppo ave’ assaggiato le faciòle,poe doppo magneremo le braciole,ché se ce assiste la gran Dea Fortunaio lo prevedo co’ le mi’ strofepjaremo le solénghe e tante scrofe.

Ed ora firmo co’ la penna ‘n manoil vostro amico, son Laici Luciano.

da “Senza filtro” (mensile di Tuscania)di gennaio 1995

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PPPPiiiiaaaannnnssssaaaannnnoooo cccchhhheeee llllaaaavvvvoooorrrraaaa

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domi a mio fratello Flori, con ilquale ho cercato di lanciare unaproduzione di orologi da paretetutta fatta da noi con il marchioF.P.A.; poi con l’avvento dei cinesiabbiamo abbandonato questa ideae sono ripartito da solo sempre conl’agenzia Olimpic, poi sostituitadalla DCG Eltronics e da altre piccoleaziende italiane ed estere, aggiun-gendo orologi da parete e svegliealla distribuzione diretta di piccolielettrodomestici. Opero tutt’oggisu Lazio, Umbria e parte della To -scana.Il lavoro ti porta a conoscere sem-pre tanta gente, ma esiste un rove-scio della medaglia. Si passa pocotempo a casa e molto in macchinaper cercare di visitare più negozipossibili. Non vi di co la moglie...Che mi chiacchiera sempre per gliorari! Ma quando non sei un dipen-dente c’è sempre tanto da fa’ e nonsi timbra mai né il cartellino dientrata né quello di uscita.Ora scappo, ché i clienti aspettano!Alla prossima.

ditta Olimpic International di Mi la -no, che all’inizio era molto diffiden-te soprattutto per la mia giovaneetà (avevo solo 22 anni). Ricordobene le prime parole che mi disse:“Io sto cercando un purosangue, perquesto lavoro, non un puledro”, allu-dendo al fatto che non avrei mairaggiunto grandi risultati in terminidi vendite. Così ho iniziato la sfidaper tigna (come se dice a Piansano)

in una zona piccolae poco remunerati-va, riuscendo peròin pochi anni conmolto im pegno e sa -crificio a conquista-re la fiducia delladitta e a raggiungereil tetto di fatturatoprevisto (pensateche ho lavorato perquasi due anni traperdite e pareggi).Negli anni la miaattività ha avutodelle trasformazio-ni, prima associan-

DDDDaaaa ppppuuuulllleeeeddddrrrroooo ttttiiiiggggnnnnóóóóssssoooo aaaa.... .... ....

Salve, sono Antonio Papac -chini e attualmente mi oc -cupo della distribuzione di e -lettrodomestici ai negozi al

dettaglio.Ho iniziato ad abituarmi al “vizio”del lavoro molto presto per neces-sità di indipendenza dalla famiglia.Nel periodo giovanile, durantel’estate, ai classici lavori dell’epoca- prima manovale con Leonbruno epoi a cottimo in campagna comepajaròlo (che all’epoca era moltopesante ma formativo nella resi-stenza fisica di un giovanotto, e...anche ben remunerativo!) - seguìper un po’ di tempo il lavoro in fab-brica a Manzano (UD), dove monta-vo sedie. Ma ad uno spirito liberopiansanese il lavoro di fabbrica staun po’ stretto! Così dopo il periodomilitare in Sarde gna (uno sfigatocome me solo a Cagliari potevaandare), e dopo un grave incidentein moto dal quale uscii piuttostomalconcio, tentai le strade del com-mercio.Il primo tentativo fu decisamentedemoralizzante: vendevo passeggi-ni e carrozzine a Roma e partivotutti i giorni con il 127 di Òschere.Roma all’epoca era una città moltogrande e dopo eccessive perditedovetti desistere. Ma non mollai, enel 1979 iniziai il “vero” lavoro! Iltutto nacque dall’incontro che ebbicon il direttore commerciale della

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Storia a fumettiCastrum Planzani (segue dal n. 70)disegni di Marco Serafinelli (testi liberamente elaborati da “Piansano” di Antonio Mattei)

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32 LoggettaLlagen-feb 2008(continua)

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Chi segue queste nostresegnalazioni bibliografi-che sa con quantaattenzione si cercano di

segnalare tutte le opere cheriguardano il Viterbese, siaquando consistono in brevimonografie, spesso per questointrovabili, o in studi più appro-fonditi.In questa occasione vogliamoporre l’attenzione, come abbia-mo scritto nel titolo, su di unaserie di studi importanti. Si trat-ta di opere complesse e che cisentiamo di trattare perché costi-tuiscono il risultato di ricercheparticolarmente complesse o,quanto meno, che si segnalanoper un diverso e innovativomodo di approccio anche adargomenti apparentemente menoimpegnati. Come al solito, labrevità delle schede non inganniil lettore. Si dovrebbe dire moltodi più per illustrare testi cheappassionano e che i “cultori”non dovrebbero perdere!Joseph Ratzinger, SanBonaventura. La teolo-gia nella storia, Assisi,Edizioni Porziuncola, 2008,254 p. Questo studio dell’allora

giovane Ratzinger, apparso nel1959, costituiva parte di unosaggio più vasto dedicato alconcetto di rivelazione inBonaventura da Bagnoregio, dicui traccia un profilo del pen-siero. L’occasione della ristampaè stata suggerita dalla ricorren-za dell’80° della nascita della

Provincia di Viterbo. Così ai let-tori è offerto un saggio di singo-lare profondità che, attraversoBonaventura, ripercorre le tappedella cultura cristiana del sec.XIII. Pietro Ispano (PapaGiovanni XXI), Il tesorodei poveri. Ricettariomedico del XIII secolo, acura di Luca Pesante, S.Sepolcro, Aboca Museum ed.,2007, 246 p., illustrazioni a

colori. Pietro Ispano nacqueverso il 1210 a Lisbona, oveiniziò gli studi. Lo troviamo poistudente nell’università di Parigie, quindi, docente in medicinaa Montpellier. Raggiunge l’Italiaed è lettore nell’università diSiena e quindi impegnato pres-so la Curia in Vaticano. Vieneeletto al pontificato nel concla-ve di Viterbo nel settembre1276 ma, appena qualchemese dopo, questo papa medi-co e scienziato perisce tragica-mente sotto il crollo del tettodella sua stanza nel palazzovescovile di Viterbo e vienesepolto nella cattedrale.Dell’unico papa portoghesedella storia ci sono pervenutediversi scritti, soprattutto dicarattere medico. Questo ricet-tario, contenuto in un codicepergamenaceo della fine del1200-inizi 1330, proviene dal-l’area viterbese. Luca Pesante -tra l’altro collaboratore dellaLoggetta - ha curato la trascri-zione facendola precedere da

un ampio saggio. La riproduzio-ne fotografica a colori del testomanoscritto rende l’opera parti-colarmente importante.Muzio Polidori, Discorsi,annali e privilegij diCorneto, edizione dei trevolumi manoscritti a cura diGiovanni Insolera, Tarquinia,

Società Tarquiniese d’Arte eStoria, 2007, LXVI, 482 p., ill..16 tav. a colori, f.t. Nel 1977 fucurata un’edizione dei primi duevolumi del Polidori che andòpresto esaurita. Con la solitacompetenza e profonda “cultu-ra” storica, Giovanni Insolera siè sobbarcato alla grande faticadi curare questa straordinariaedizione dell’opera completa delPolidori facendola precedere daun saggio di rara puntualitànelle citazioni storiche e docu-mentarie, con un apparatobibliografico di duplice valenza:quello di individuare le operecitate dallo stesso Polidori equello di base utilizzato per lariedizione. Il tutto completato daun indice cronologico dei docu-menti, di un “repertorio finaledelle cose più notabili” e di unimpianto iconografico essenzia-le, ma assolutamente necessarioper la completezza dell’argo-mento. Particolare cura è statariservata alla trascrizione dellecarte del Polidori, munite dellanumerazione originale, di anno-tazioni relative allo stesso testoe di note a pie’ di pagina checonsentono una migliore e più

documentata lettura del docu-mento.Montalto di Castro.Storia di un territorio.Vol. I - Dalle origini alMedioevo, Viterbo, Zetacidueed., 2007, 487 p., 170 fig.b.n. e colori. Si può finalmentedire che Montalto di Castro hauna sua vera e “monumentale”storia, di cui questo primo volu-me è un segno assolutamentenotevole per la qualità dei saggie la professionalità dei curatori.Dagli albori geologici sino agliavvenimenti medievali, il territo-rio della cittadina è presentatoin maniera scientificamenteineccepibile e con un corredo diimmagini e di disegni che nefanno una vera e propria “fonte”non solo per gli studiosi di que-sto centro. L’imponente operanecessiterebbe di una trattazio-ne più completa e circostanzia-ta. Non ne abbiano lo spazio,ma non possiamo esimercialmeno dall’elencare i numerosie qualificati studiosi che hanno

costituito una straordinaria équi-pe: Luciano Palermo, CarloAlberto Falzetti, Daniele Mattei,Giacomo Cozzolino, AntonioMenghini, Emanuele Eutizi,Vittorio Gradoli, Antonio Maffei,Cristina Corsi, ManuelaPaganelli, Laura Romeo, PaoloEmilio Urbanetti, EugenioSusim, Stefano Del Lungo,Giuseppe Giontella, LoredanaPeruzzi, Enrico Lupidi, RiccardoTardioli, Fulvio Ricci, oltre anumerosi altri studiosi.

TusciaLibri news

Grandi storie, grandi libri,grandi personaggidi Romualdo Luzi

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34 LoggettaLlagen-feb 2008

Enrico Guidoni, Il sacroBosco di Bomarzo nellacultura europea,VetrallaEd. Galeb, 2006, 180 p. ill.,XXXII tav. Colori. Oltre che pre-sentare un’opera fondamentaleper approfondire lo studio del“sacro bosco”, curato con sin-golare passione dall’amico prof.Enrico Guidoni, ci sentiamo di

ricordarlo agli amici dopo la suaimprovvisa e immatura compar-sa. Tornando a questo suo sag-gio, così particolareggiato pernote, documenti, e immagini, sipuò affermare che, pur nell’am-pia bibliografia sull’argomento,l’autore ci svela - diremmo trauna riga e l’altra - molte enuove curiosità nel confrontocon disegni, medaglie, operescultoree e riferimenti letterari.Le numerose illustrazioni e letavole a colori consentono diripercorrere un’avventura artisti-ca che solo la Tuscia può vanta-re e che costituiscono il patri-monio lasciatoci nel sec. XVIdalla profonda cultura umanisti-ca e artistica di Vicino Orsini.Giorgio Felini, collaborazione.Giovanni Cesarini e CristianaParretti, Il volto diGiacinta. Iconografia di

Santa GiacintaMarescotti. Mostra di dipintia cura di Italo Faldi, Viterbo 3-25 nov. 2007. Viterbo, Assoc.S.G. Marescotti, 2007, 104 p.ill. b.n. e colori.Giornate giacintiane.Atti. Convegno di Studia cura di Giovanni Cesarini eLuca Cilli, Viterbo, 25-26 mag-gio 2007. Presentazione e pre-ghiera del vescovo mons.Lorenzo Chiari nelli. Assoc. S.G.Marescotti, p. 224, figg. Con la pubblicazione di questidue volumi si completa, dopo lapresentazione del volume sullelettere di Santa Giacinta, la tri-logia dedicata alla santa inoccasione del bicentenario dellacanonizzazione. L’avvenimentoè servito a focalizzare moltepliciaspetti della figura della clarissadi Vignanello e della storia dellasua monacazione nel monasterodi San Bernardino in Viterbo. Inparticolare va ricordata lamostra del 2007, tenuta nellasala del conclave del Palazzodei Papi, il cui catalogo testi-

monia della quantità e qualitàdi dipinti, incisioni ed opered’arte sacra legati allaMarescotti. La lettura del volu-me consente appena di ricorda-re il fascino e la religiosità del-l’atmosfera vissuta durante lavisita del percorso espositivoove si è percepita appieno ladevozione cui ha goduto e godela nostra santa.Gli atti, invece, delle “giornategiacintiane” consentono di vol-gere lo sguardo su aspetti sin-golari e poco conosciuti, nonsolo sull’agiografia della santa,quanto di ricostruzioni storico-ambientali e della società deltempo. I singoli interventi,dovuti alla penna di valenti stu-diosi, sono di seguito appena

accennati: L. Osbat (Momentidi santità nella Viterbo di S.Giacinta); F.T.Fagliari ZeniBuchicchio (GiacintaMarescotti e la sua famiglia);G. Giontella (I vescovi dellaDiocesi di Viterbo e Tuscania -1585/1726); N. Angeli(Monastero di S. Bernardino diViterbo e le religiose); S. VaroliPiazza (L’orto monastico di S.Bernardino e il giardino delCastello di Vignanello); R. Luzi(La spezieria del monastero);G: Felini (Le cerimonie per labeatificazione del 1726 e perla canonizzazione del 1807);Q. Galli (La vita e le opere diS. G. nel teatro); G. Pannuti(Fonti per lo studio di SantaGiacinta); C. Pasqualetti (Caritàverso il prossimo. Opere assi-stenziali legate a S. G.); B.Barbini (Le tappe della cano-nizzazione di G.M.). Elena Agostini-LucianoPiccinetti, Gradoli nellecartoline. Immagini edappunti sul Paese checambia 1910-1980, Grottedi C, Ceccarelli, 2007, 143 p.ill. a colori. Di simili pubblica-zioni, dedicate ai nostri paesi,esistono veramente in quantità,ma crediamo che l’edizionecurata dai nostri amici abbiauna valenza del tutto particola-re. Non si tratta di una sempli-ce riproposizione di immaginicon un commento più o menoapprofondito, ma della presen-tazione di uno spaccato di sto-ria locale ove, alla pubblicazio-ne della cartolina, nelle duefacce, sono affiancate annota-zioni sui personaggi che hannoscritto e ricevuto le missive, ladescrizione del francobollo, e,per ogni decennio, un ampiosaggio che presenta i maggioriavvenimenti della storia locale,spesso legata, necessariamente,a quella nazionale. Il tutto èreso graficamente con unaforma assolutamente gradevolee di grande gusto. Insommauna pubblicazione da prenderead esempio per chi si volesse

incamminare in simili impegni.Giovanni Faperdue, Viterboin posa. Monumenti,Simboli, Misteri eSegreti, Viterbo, Agnesotti,2007, 515 p. illustrate a colori.Non nascondiamo che il primopensiero che ci è venuto inmente, nell’avere tra le maniquesto ponderoso libro suViterbo e nello scorrere le suepagine, è stato quello di averfatto rivivere, in chiave moder-na, l’altra preziosa pubblicazio-ne dello Scriattoli, sempre dedi-cata a Viterbo, ormai da quasiun secolo. In effetti le circa1300 immagini che sono postea corredo del libro, tutte ade-guatamente commentate, con-sentono al lettore una completavisita della città che, sicura-mente, non saremmo in gradodi percorrere con i nostri piedie, soprattutto, anche se ci riu-scissimo, chissà quanti partico-lari ci sfuggirebbero e di quantinon capiremmo il significato.Monumenti, chiese, vie, operedell’arredo urbano, sono meti-colosamente documentate(anche con un’ormai necessariatraduzione in inglese, se voglia-mo che anche gli “altri” ciseguano) tanto che il librocostituisce un vero e proprio“archivio storico della città” e ciconsente davvero di fermare adoggi quello che è Viterbo.Questa è la valenza fondamen-tale di una pubblicazione cuipossono ricorrere non solo iviterbesi, ma soprattutto gli sto-rici e gli studenti, perché lepagine del libro sono letteral-mente una “guida” a quantooffre la città, come dicel’autore, non solo per la partemonumentale, ma per il mondodei “Simboli, Misteri e Segreti”.Un libro, per concludere, chenon può mancare a chi fa della“storia” il segno della propriacultura, come fa ormai datempo il nostro autore che haanche voluto contenere il prezzodell’opera (€ 40) che certamen-te è inferiore alla qualità dellapubblicazione.

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TusciaLibri news

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Specialmente durante l’inverno il guanciale e lapancetta vengono usate per preparare ottimisughi per condire bucatini o semplicemente unpiatto di pasta di qualsiasi formato.

Le nostre nonne avrebbero detto: “Ogge fo ‘l sugo co’ laventresca!”; noi, invece: “Oggi preparo i bucatiniall’amatriciana”, ma in effetti parliamo della stessa pre-parazione.Gli ingredienti sono facilmente reperibili in qualsiasistagione dell’anno e sono: guanciale a fette di circamezzo centimetro di spessore, cipolla e aglio, unaspruzzata di vino bianco, polpa di pomodoro, olio

d’oliva, sale, e un pizzico di peperoncino e formaggiopecorino grattugiato.Si taglia il guanciale a dadini, dopo averlo privata dellacotica, e si mette a soffrigere con poco olio (perché ilguanciale stesso formerà il grasso), con la cipolla el’aglio finemente tagliati. Quando il tutto è ben rosola-to, spruzzate con vino bianco e lasciate evaporare afiamma vivace, quindi aggiungete la polpa di pomodo-ro e lasciate insaporire il sugo. Intanto lessate la pastanel formato da voi preferito in abbondante acqua sala-ta. Cotta che sia, scolatela e conditela col sugo (perfarla meglio insaporire passiamo la pasta lessata e sco-lata nella pentola del sugo). Non dimenticate, in ognicaso, di aggiungere un’abbondante manciata di pecori-no grattugiato. Se vogliamo evitare di usare il pomodo-ro avremo un sugo detto “alla grigia”. A voi la scelta!

Le ricette della nonna

La pasta con la pancetta

di Maria Pia Brizi

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La disciplina è regolatainnanzi tuttodall’articolo 1122 delco dice civile, per il

quale ciascun condomino, nelpiano o porzione di piano disua proprietà, non può ese-guire opere che faccianodanno alle parti comuni del-l’edificio e alle proprietà deglialtri condomini. In pratica,l’articolo di legge vieta ognidanno che comporti unadiminuzione di valore delleparti comuni o delle singoleproprietà, in base alla funzio-ne di queste ultime. In particolare, costituiscedanno alle cose comunianche il pericolo, attuale enon solo ipotetico, connessoal rischioso funzionamento oalla realizzazione imperfettadi un impianto - come unsistema di aria condizionata- quando l’installazione el’uso dello stesso comportila possibilità di danno alleparti o agli impianti centrali(secondo la pronuncia dellaCassazione 870 del 25 gen-naio 1995). Vale inoltre la pena di ricor-dare che le opere relativeagli impianti di climatizza-zione - ad aria o ad acqua -possono essere di diversaentità e che gli impianti adaria sono generalmentecostituiti da due corpi: unoda installare all’interno dellaproprietà e l’altro (il motore)all’esterno. Ed è proprioquesto motore esterno acreare le occasioni più fre-quenti di contenzioso (men-tre non esistono grosse que-stioni quando si tratta dipiccoli apparecchi trasporta-bili oppure quando si trattadi apporre dei fori nel vetrodelle finestre).

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Quando vi sia necessità diinstallare il motore all’ester-no - particolarmente quandonon c’è la possibilità dialloggiare il motore sulla ter-razza ed è quindi necessarioinstallarlo sui muri perime-trali - la questione diventacomplessa. E’ vero infattiche, a norma dell’articolo1102 del codice civile, ilcondomino può usare delleparti comuni condominiali(naturalmente purché nonimpedisca il pari godimentodegli altri e faccia l’opera asue spese), ma è anche veroche, nell’uso delle particomuni, il condomino nondeve alterare la sicurezza, lastatica e il decoro architetto-nico dell’edificio (articolo1120, secondo comma, delcodice civile).

Altro limite all’installazionedi un impianto di climatiz-zazione è rappresentato dalrispetto delle distanze inverticali o in appiombo, dicui all’articolo 907 delcodice civile. Secondo que-sta norma, se si vuoleappoggiare la nuova costru-zione al muro in cui esisto-no vedute dirette od obli-que, essa deve arrestarsialmeno a tre metri sotto laloro soglia. Il contenzioso sul punto ètuttavia assai meno consi-stente e può riguardare icondomini dei piani sopra-stanti, per la violazionedella distanza di tre metriin verticale misurati dallasoglia della finestra o deiterrazzi del piano superiore.A questo proposito si tenga

presente che, agli effetti delrispetto delle distanze verti-cali, per costruzione deveintendersi non solo ilmanufatto in mattoni ecemento, ma qualsiasiopera di qualsiasi specieche ostacoli l’esercizio dellaveduta (si vedano, adesempio, le sentenze dellaCassazione n. 1445 del17.5.1955, e n. 12907del 22.11.1955). Infine, tra le altre cauteleche devono essere tenute inconsiderazione in vista del-l’installazione del climatiz-zatore, rientrano anchequelle relative alle immis-sioni di rumore a normadell’articolo 844 del Codicecivile e quelle relative allostillicidio della condensa.

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LoggettaLlagen-feb 2008

Avvenne quando erano statimandati i guerrieri di Allah daIbrahim Al Aghlab, Emiro ditutti i paesi che guardano la

Spagna e la Sicilia - su di lui sia la pace- ed avevano percorso e devastato lacosta. Centocelle era stata arsa ed essis’erano spinti dentro, fino a far gemerei bifolchi indifesi che s’aggrappavanoalle rive del lago.Il kaid Al Hakim ben Malik - su dui luisia il Perdono - aveva condotto le sci-mitarre di Muhammad fino a quellesponde e le aveva percorse e scarnite.Aveva falciato i cristiani, la gente delLibro, miserabili e stracciati, e nonaveva trovato chi si gli opponesse.Solo un castello aveva mostrato ilfreno delle sue esili torri, ma i soldatidella mezzaluna l’ave vano prostrato epareggiato alla ter ra. Il castello si chia-mava allora Rovigliano, o forse furonochiamati così i suoi ruderi a causa deiviluppi di rovo che li oppressero neltempo, fino a sprofondare nel pozzodella dimenticanza. Anche la piccolachiesa vicina era stata diruta, così chei seguaci dell’Al Kitab non potesseropiù pregarvi Dio, che solo il Profeta -su di lui sia la benedizione - avevapotuto conoscere appena attraverso

l’invocazione nei sacri novantanovenomi dell’Altissimo.Poi, lungo l’immenso Magreb, i discen-denti di Al Aghlab erano stati cacciatifino a perdere l’ultimo sangue davantiall’oceano infinito.Dopo di loro erano venuti i discendentidella Figlia del Profeta: Fatima - su di leisia la pace - ed avevano posto troniduraturi fin dove si potevano vedere,dal mare, le montagne lontane chedominano il grande padre Sahara, edall’Egitto, per tutta la lunghezza

dell’Occidente, fino alle grandi acquedell’oceano. E, al primo di essi, il kaidAl Hakim ben Malik - su di lui sia ilPerdono - aveva raccontato l’impresa.Aveva detto che l’Emiro lo aveva invia-to perché si diceva che sulle sponde diquel lago, bello come l’Occhio delMisericordioso - che è Allah per i seco-li eterni - si trovava un grande tesoro.Un intero carro d’oro massiccio, nasco-sto dai guerrieri del nord dopo che erastata tradita e uccisa una loro regina. AlHakim ben Malik - su di lui sia il riposo

Streghe e dintorni

di Mario Lozzi

La nebbia di perle

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LoggettaLlagen-feb 2008

- aveva cercato a lungo, ma nessuno deiservi della gleba che aveva interrogatosapeva nulla di quel carro. Esso erastato raccontato a lungo accanto ai fuo-chi delle sere fredde. Ma la memoria,venuta della bocca dei vecchi, nonsapeva più altro. Così il kaid era dovu-to tornare, e in ginocchio davanti al -l’Emiro aveva confessato il suo insuc-cesso. Perciò era stato racchiuso nellecatene degli schiavi fino a quando i reAghlabiti erano stati cacciati.Questo aveva raccontato Al Hakim benMalik, ormai vecchio, al primo CaliffoFatimita. E queste cose stava leggendo,su una pergamena antica, il quarto diquei re che amava percorrere le vie deifatti antichi quando avevano dipinto disangue e di gloria le vicende dei suoiantenati - su di loro sia la felicità eter-na del giardino di Allah -.Egli era Abu al Aziz Bi-llah - su di lui siala pace - che leggeva mentre la suafavorita traeva dolcezza di musica dalQanun. Il sole andava ormai ad illumi-nare con l’ultima carezza l’estremoMa greb, ed il Califfo decise che ormaiera il tempo del riposo. Sognò, duran-te la notte, visioni d’oro che avrebberoriempito le casse del suo regno, stre-mate dalle guerre condotte per sedarele rivolte dei berberi in Sicilia. Sognònuova potenza, nuovi eserciti da man-dare a travalicare i confini dell’Egitto,verso la Siria, e nella Spagna a detro-nizzare gli Emiri e i Califfi ch se l’eranospartita, rompendo così l’equilibriodell’Umma che il Profeta - su di lui siala Benevolenza - aveva sognato pertutti i credenti nell’Islam.

Fu così che all’alba chiamò i suoi gene-rali e fu decisa la seconda invasione diCivitavecchia, la porta sul mare da cuipenetrare fino al lago della leggenda. Ilkaid Iussuf beni Hassam avrebbe gui-dato la spedizione. Furono allestitenavi. Furono armati ancora i combat-tenti per la fede, fu innalzata la bandie-ra verde del Profeta, con la mezzaluna,segno della rivelazione.E l’esercito salpò. Le coste del Laziosubirono l’ennesimo tormento: morte,cattura di schiavi, incendio, e fu getta-to ancora il seme della fame duratura. Poi Iussuf organizzò un gruppo sceltoper l’incursione verso il lago. Anche suquelle povere terre tranquille si scate-nò la rabbia delle spade ricurve. Fufatta mietitura di gente, furono intes-suti tormenti, ma nessuno seppe direcon precisione nulla di utile. Fra glispasimi qualcuno accennò ai ruderid’un castello...E Iussuf giunse di nuovo a Rovigliano.C’erano solo pietre sconnesse e atter-rate e c’era un piccolo ammasso difrantumi, là dove prima avevanocostruito una chiesetta. Un vecchioera seduto su quelle macerie e avevasulle ginocchia una piccola cassa. Fucircondato e minacciato. Egli depose aterra la cassetta quando Iussuf lointerrogò. “Cosa tieni lì, vecchio?”. E lafaccia era fatta come di scaglie dibasalto. “Un pegno di fede - rispose ilvecchio - E’ la testa, lisciata dal tempo,di una giovane che offrì la vita perCristo, molto tempo prima che nascesseil vostro profeta”. Iussuf rise: “Cristo èsolo un profeta, ma il Sigillo della Pro -

fezia è stato confermato da Mu hammed- su di lui sia la pace! - Voglio vederequesto teschio, perché era di una ragaz-za col coraggio di un guerriero”. Feceafferrare il vecchio e ordinò alle guar-die di portargli il cofanetto. E le guar-die cercarono di sollevarlo. Erano duemori d’ossa e muscoli potenti. Ma ilcofano non si mosse. Ten ta rono tre equattro e dieci. Nulla!Poi cominciarono ad emergere dallago le mani della tempesta, a flagella-re molto oltre le sponde, e il ventorapiva i guerrieri armati e li sbattevafra le piccole canne e la grandine vio-lenta tormentava le armature, e unanebbia, lucida come il brillìo delleperle, stendeva un velo leggero intor-no al piccolo cofano e al vecchio chel’aveva di nuovo raccolto senza sforzo.E, dove c’era la nebbia di perle, in quelpiccolo spazio, non c’era vento, négrandine, né furia di onde.E fuggirono gettando ogni arma, ognipeso che potesse impacciare.E il vecchio fu solo, fermo con la suapiccola cassa. La depose di nuovo aterra perché cominciava di nuovo adesprimere peso. Essa stava lì, fra i tufispezzati, e una piccola nebbia di perlaalitava intorno.Il vecchio pregò. Poi raccolse un ba -stone perché lunga sarebbe stata, perla sua vecchiaia, la strada che condu-ceva al colle. Su fino al limitare dellavallata, fino al castello e alla gente chel’abitava. Poiché sentiva, dentro di sé,come una spina che lo pungolava adover annunciare ciò che era accadu-to.

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Mercoledì 24 ottobre all’università della Tuscia diViterbo si è laureata in lingua e letteratura tedesca (vec-chio ordinamento) Emanuela Menicucci, la fja deMecuccio d’Ansuino dela Bionda Maggiore edell’Ersilia de Titta deSbuchetta, per dirla allapaesana (se condo unoschema che a momentitira in ballo le discen -denze bibliche!). Ema -nue la - di cui tempoaddietro avevamo ricor-dato le nozze martane -ha conquistato un bel106 con una tesi daltitolo, pensate un po’:Ce spugli di sambuco, ca -rote reali e piante velenose: alcuni aspetti della natura inE.T.A. Hoffmann, che sfidiamo chiunque a non ritenerlo diprimo acchito uno studio di botanica. E invece si tratta dilingua, perché “il concetto di natura - ci spiega Emanuela -rappresenta uno dei grandi temi del Roman ticismo: lanatura è il luogo in cui l’anima può dar sfogo ai propri sen-timenti, e le liriche dei romantici si trasformano in quadriarmoniosi, accompagnati da parole che diventano musica.Da questo contesto si stacca la poliedrica figura di E.T.A.Hoffmann, nelle opere del quale il concetto di natura assu-me connotati completamente diversi”. “Nel mio lavoro -prosegue la neodottoressa - affronto alcuni aspetti dellanatura di Hoffmann, partendo dalla sua negazione con laconseguente dissoluzione della realtà. Quando la natura èpresente, Hoffmann la mostra con la sua arma più pungen-te, quella dell’ironia...”. E qui ci fermiamo per non svelarvitutto l’arcano. Non vi diciamo l’emozione di Emanuela, equella di parenti e amici presenti alla discussione!

Martedì 27 novembre si è laureata in fisioterapia allaSapienza di Roma Elisa Colelli, figlia di Giancarlo, che per-sonalmente non è proprio conosciutissimo in paese ma chea sua volta è figlio dell’Ernesta e di Vittorio ‘l Guardiano, equindi fratello di Erina e Luigi. Nata a Roma, Elisa vive aColleferro con i genitori e il fratello Matteo, anch’egli laurea-to due anni fa in psicologia, ma a Piansano capita spesso per

venire a trovare lanonna e gli zii. La tesidiscussa aveva per titoloIl trattamento riabilitativoprecoce e a lungo termi-ne in fibrosi cistica, el’intero cursus studiorumè stato coronato da unbel 108. Ragion per cuiauguri e felicitazioni allaneodottoressa non solodalla Loggetta, ma ancheda tutti quanti la cono-scono.

Giovedì 13 dicembre è stata la volta di Maria GraziaBrizi, secondogenita dei nostri concittadini residenti aViterbo Bernar dino e Licia Ercolani, entrambi insegnanti.Maria Grazia si è laureata in giurisprudenza all’universi-tà di Roma-Tor Vergata con una tesi di diritto comparatodal titolo Il regime giuridico dell’adozione nazionale inArgentina ed in Italia, ciò che le ha comportato anche dilavorare per tre mesi all’università cattolica di BuenosAires con una borsa di studio della propria università. Conla sua padronanza della lingua spagnola anche per prece-denti corsi e progetto Erasmus a Barcellona, Maria Graziadovrà ora approfondire anche lo studio dell’inglese, indi-spensabile per partecipare ai concorsi cui la neodottores-sa si accinge. Intanto, però, non possiamo non sottolinea-re per l’ennesima volta l’àmbito veramente internazionaledello studio e delle prospettive di lavoro di questi nostriragazzi, e non complimentarci con la bravissima MariaGrazia (buon sangue non mente!) augurandole le migliorifortune.

Mercoledì 19 dicembre si sono laureate all’università diSiena le gemelle Paola e Ilaria Zarabba, che qui vediamocon il loro relatore prof. Emanuele Monto moli. Paola eIlaria sono le figlie della nostra farmacista, e dunque,secondo voi, in che cosa dovevano laurearsi? Sicché la

prima ha di -scusso una tesidal titolo Ri -schio pande -mia influen za -le: nuovi ceppivirali emer gen -ti, mentre l’al -tra ha af fron -tato Nuove pro -spettive vac ci -na li: pa pillo ma -vi rus, rotavirused her pes zo -ster, co me adire due lavori

Alloro per...

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com ple mentari su nuo vi malanni e nuo vi rimedi. Per ora ledue ge melle le ab biamo intraviste qualche volta in farma-cia insieme alla mamma (naturalmente confondendole,perché loro si alternano, ma a noi, che le vediamo in cami-ce bianco di là dal bancone, sembrano sempre la stessa),ma non abbiamo dubbi che ben presto spiccheranno ilvolo. Augu rissimi!

Lunedì 21 aprile, natale di Roma, all’università per stra-nieri di Perugia la nostra Manuela Bordo ha conseguitola laurea specialistica in Pubblicità e comunicazioned’impresa. Un sonoro 107 ha premiato un cursus studiorumbrillante, che ha avuto come epilogo una tesi sicuramente

a genio di tutti gli amantidella buo na tavola: Con -sumo e co municazionepub blicitaria della pastanegli anni Ot tanta: dellapasta da pa sto, natural-mente, alimento tipicodegli italiani, quello cheha nella Barilla l’aziendaleader del settore. E pro-prio con la Barilla lanostra Manuela è entratain contatto per le suericerche. Data l’attualesituazione del rincaro deigeneri alimentari, infatti,la tesi si poneva l’obiet -tivo di analizzare il calodei consumi della pastache si verificò negli anni‘70 (in quel caso dovuto a

motivi ideologici legati alla dieta e ad un’ossessiva curadel corpo scimmiottata dall’A me rica), e la successivaripresa negli anni ‘80 grazie a campagne pubblicitarie disuccesso come quella del marchio Barilla, che resero pos-sibile una riaffermazione di questo alimento, simboloappunto del mangiare all’italiana (Al berto Sordi l’avevaanticipato da un pezzo, ricordate?: “... Mac cheroni... m’haeprovocato... e io me te magno!”). “Finalmente - ci confida ora la nostra Manuela - si è conclu-so il tanto sudato ciclo di studi 3+2, formula che penso moltistudenti universitari si ricorderanno per essere stati soggettia ritmi di studio frenetici a causa dell’aumento considerevo-le del numero degli esami. Ma alla fine ne è valsa proprio lapena!... Ora si dovrà passare al mondo del lavoro, che spero- sia pure con difficoltà - riesca a ricambiare gli sforzi com-piuti”.

Giovedì 8 maggio è stata la volta di Angela Forti, che haconquistato la laurea specialistica in Lingua stranieraper la comunicazione internazionale con la bellezza di110 e lode. La tesi, in lingua francese, sviluppa un’analisicomparativa dei moderni testi di comunicazione comepubblicità, articoli di giornale, manifesti elettorali, e-mail,ecc. in francese, inglese e italiano, i quali tutti, com’era

prevedibile, evidenzia-no una generale ten-denza alla standardiz-zazione del linguaggio(L’abbiamo già vatici-nato che prima o poi gliultimi parlanti nelle lin-gue nazionali sarannoconfinati nelle riservecome gli indiani d’A -merica?). In tanto, però,la no stra Angioletta potrà dedicasi completamente allavoro e godersi il tem po libero.

Venerdì 6 giugno nella sede della Provincia di Viterbosono state premiate con due borse di studio le nostre gio-vani studentesse Paola Foderini (I media) e FrancescaMoscatelli (II media), vincitrici di un concorso provincia-le sulla “Sicurezza sui luoghi di lavoro” studiato proprioper sensibilizzare i ragazzi al problema. Al concorsohanno partecipato tutte le scuole elementari e medie dellaprovincia e sono state previste cinque borse di studio perle prime e cinque per le seconde. E due di quest’ultime,appunto, sono toccate alle Nostre.

La cerimonia è stata molto bella. C’erano molti ragazzi deidiversi istituti, la commissione esaminatrice e il presiden-te della Provincia Alessandro Mazzoli. Lungo discorsointroduttivo sul tema e sui lavori dei ragazzi e quindi lapremiazione. Visibilmente emozionati, i vincitori sonostati chiamati nominalmente dal presidente per le congra-tulazioni, la consegna di un bell’assegno di mille euro e lafoto-ricordo (qui vediamo le due premiate con l’inse -gnante Ornella Mei e la preside Anna Maria Cori, entram-be presenti alla manifestazione). Grande e meritata soddi-sfazione per Paola e Francesca (che per assonanza riman-dano al Paolo e Francesca di dantesca memoria, non èvero?), ma giusto ritorno d’immagine, come si dice, ancheper la nostra scuola media, che non da oggi si distingueper il buon livello dei suoi allievi.

Alloro per...

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Dopo tanti mesi diattesa, l’8 giugno2006 sono statipubblicati i bandi

del PSR e quindi è divenutopienamente operativo il Pro -gramma di Sviluppo Rurale2007/2013. Una volta gliagricoltori aspettavanol’acqua, oggi invece unapioggia di euro. In questoperiodo sono arrivate entram-be!A parte gli scherzi, si trattadi un fatto di vitale importan-za per l’economia agricoladel nostro territorio; molteaziende in procinto di fare

investimenti aspettavano conansia questa pubblicazioneper vedere finanziate le pro-prie iniziative.Come ormai molti sanno, ilPSR è diviso in misure, ognu-na delle quali è orientata alfinanziamento di un settoreparticolare di opere. I bandidi misura ora approvati e dimaggiore interesse per gliagricoltori sono i seguenti:

112- Insediamento giovaniagricoltori e “pacchetto gio-vani”Di questa misura abbiamogià anticipato i vantaggi in unprecedente articolo. Consenteal giovane agricoltore di otte-nere un premio di primoinsediamento pari o superiorea 30.000 euro, più contributi

a fondo perduto fino al 55%sugli investimenti da effettua-re, più ancora un abbatti-mento sugli interessi gravantisulla spesa che rimane a pro-prio carico. Si tratta di unaspinta non indifferente a chivuole intraprendere l’attivitàagricola in proprio.

113- PrepensionamentoAnche questa è stata già illu-strata. Prevede un premioannuo compreso fra 10.000e 18.000 euro a chi cedel’attività agricola. Il beneficia-rio deve avere almeno 55anni se uomo, 50 se donna,avere esercitato l’attività agri-cola negli ultimi dieci anni edessere in regola con i contri-buti. Il premio annuo vienecorrisposto per un massimo

di 10 anni ed è così calcola-to: 10.000 euro fissi + 200euro per ogni 1.000 euro direddito an nuo dimostrabilecome derivante dall’attualeattività agricola. Con questomeccanismo di calcolo siarriva molto facilmente alpremio mas simo di 18.000euro.

121- Ammodernamentodelle aziende agricoleSi tratta della misura più uti-lizzata dalle aziende agricole.Finanzia la maggior partedegli investimenti; in partico-lare:1) costruzione, ammoderna-mento e miglioramento oriconversione di beni immobi-li dell’azienda, per la raziona-lizzazione ed ottimizzazione

Note di agricoltura

di GiovanniPapacchini

Meglio l’acqua o il PSR?

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dei processi produttivi; 2) costruzione di serre (serrefisse, serre mobili, e relativiimpianti);3) costruzione, ammoderna-mento e allestimento di localie strutture per la trasforma-zione, la conservazione e lacommercializzazione, inclusala vendita diretta di prodottiagricoli;4) acquisto dei terreni, perun costo non superiore al10% del totale dell’investi-mento ammesso;5) acquisto di macchinari,attrezzature nuove compresequelle informatiche, impiega-te nella produzione agricola onelle attività di trasformazio-ne e commercializzazione;6) investimenti per la prote-zione e il miglioramento del-l’ambiente naturale, ivi inclu-si quelli per il risparmio ener-getico;7) investimenti per il miglio-ramento delle condizioni diigiene e benessere degli ani-mali;8) adeguamento ai requisiticomunitari di nuova introdu-zione;9) realizzazione di impiantiper la produzione di energiabasata su fonti rinnovabili(energia idroelettrica, solare,eolica e da biomasse); 10) realizzazione di nuoviimpianti di colture arboree edarbustive poliennali, inclusiquelli finalizzati alla produ-zione di biomasse da impian-ti forestali a rapido accresci-mento. Vorrei sottolineare il punto n.9, nuovo e di estrema impor-tanza nell’attuale situazionedi mercato delle fonti energe-tiche. Sono previsti contributi com-presi fra il 35 e il 55% aseconda del tipo di soggettorichiedente, della classifica-zione del comune ove è ubi-cata l’azienda e del tipo dispesa.

123- Accrescimento valoreprodotti agricoli e forestaliSi tratta di una misura desti-nata ad aziende quali caseifi-

ci, frantoi, cantine, che tra-sformano prodotti agricoli,utilizzando materie primeprodotte da altre aziendeagricole. Sono finanziabili,con un contributo massimodel 40%, le seguenti opere:1) acquisizione, costruzione omiglioramento di beni immo-bili; 2) acquisto di nuove macchi-ne, attrezzature, compresi iprogrammi informatici;3) acquisizione di know-how esupporto tecnico perl’attivazione di sistemi di trac-ciabilità;4) spese propedeutiche all’ac-quisizione di certificazioni diprocesso e di prodotto;5) acquisto di brevetti elicenze.

311- Diversificazione versoattività non agricoleQuesta misura serve a stimo-lare le aziende agricole a cer-care nuovi sbocchi occupa-zionali, integrando l’attivitàagricola con altre ad essaconnesse. Vengono finanziateiniziative volte ad integrare inazienda attività plurifunziona-li, artigianali, agrituristiche,produzione di fonti energeti-che rinnovabili. Anche inquesta misura sono previsticontributi compresi fra il 35e il 55%.

132- Sistemi di qualità ali-mentareQuesta misura finanzia conun contributo dell’80% tuttele spese sostenute per la cer-tificazione dei prodotti azien-dali, quali quelli biologici,DOP, DOC, ecc.

111- Formazione professio-nale e informazioneLa misura prevede il finanzia-mento di enti preposti a for-nire un servizio di aggiorna-mento professionale, permigliorare le competenzenecessarie al conduttore diun’azienda agricola.

114 - Utilizzo di servizi diconsulenzaLa misura è indirizzata

all’erogazione, a favore degliimprenditori agricoli e fore-stali, di un sostegno voltoalla copertura dei costi soste-nuti per l’acquisizione di ser-vizi di consulenza forniti soloed esclusivamente da sogget-ti preventivamente ricono-sciuti come “Organismi diConsulenza” dalla RegioneLazio.

115- Avviamento di servizidi consulenza, gestione,sostituzioneLa misura finanzia associa-zioni, società, cooperative eloro consorzi, che si costitui-scano per l’erogazione di ser-vizi di consulenza, assistenzaalla gestione e sostituzionetemporanea del conduttorenelle aziende agricole, fore-stali ed agroalimentari o che,se preesistenti, si organizzinoper l’offerta di tali servizi. Idestinatari finali dei servizisono gli imprenditori agricolie forestali.

Queste ultime tre misureforse sembreranno agli agri-coltori di minor interesse pra-tico, ma rivestonoun’importanza enorme, per-ché in un contesto comequello attuale l’imprenditoreagricolo ha bisogno di uncontinuo aggiornamento tec-nico, normativo, economico,ecc. Si ritiene cheun’utilizzazione corretta diqueste misure può contribui-re al miglioramento dellecapacità imprenditoriali equindi dell’efficienza econo-mica delle aziende agricole.Per questo ci si ripropone didedicare un successivo arti-colo alle opportunità che pos-sono essere colte nell’ambitodelle misure 111, 114 e115.Ritornando ad un discorsogenerale sul PSR, va detto chesono previsti quattro periodidi presentazione delledomande; il pri mo scade il10 ottobre 2008; il secondoil 29 maggio 2009; poi il 18dicembre 2009; infine il 30giugno 2010. Per ogni perio-

do verranno effettuate gra-duatorie fra le domande pre-sentate, per stabilire, in baseai fondi stanziati, quelle dafinanziare. Nel l’attribuzionedei punteggi per le graduato-rie avranno un peso notevolei seguenti requisiti: qualificadi giovane agricoltore; avran-no precedenza assoluta adesempio progetti integratiaziendali presentati da giova-ni agricoltori; partecipazionedell’azienda a sistemi di qua-lità; adesione al sistema dicontrollo biologico. Avrannoinoltre un certo peso il com-parto produttivo, la localizza-zione dell’azienda, la tipolo-gia degli investimenti, ecc.Una sicura priorità spetteràpoi ai progetti integrati difiliera. Per progettazione inte-grata di filiera si intendel’insieme coordinato ed orga-nico di azioni riferibili a piùmisure del PSR alle quali unaaggregazione di soggetti cheoperano nei diversi segmentidi una determinata filieraproduttiva agroalimentare (adesempio una cooperativa ed isuoi soci o più cooperativeche operano nello stesso set-tore), accedono ai beneficiattraverso la presentazione diuna domanda collettiva pro-posta da un soggetto capofi-la. L’iniziativa dovrà prevede-re, quindi, una pluralità disoggetti partecipanti (è previ-sto un numero minimo varia-bile a seconda del compartoproduttivo) collegati tra loroda vincoli a carattere contrat-tuale in cui vengono eviden-ziati obblighi e responsabilitàreciproche nella realizzazionedell’intero progetto e per ilraggiungimento di specificiobiettivi. In pratica ciascunaazienda singola partecipanteindica le opere da realizzarein proprio, ma tutte le operedelle varie aziende devonoavere uno scopo comunerelativo al miglioramentodella filiera produttiva. Leopere da realizzare devonoessere immediatamente can-tierabili.

Note di agricoltura

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LoggettaLlamag-ago 2007

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Agrodolce

Lo sfogo del Cristo

Basta! Così nun se pò anna’ più avante!

A ‘ste pastore ‘n’ je va bene niente:

qualunque tempo manno, ce so’ tante

che bestemmieno e che ‘n so’ mae contente.

Ogge fo piova?. “Piove, ...io birbante!”.

Jé manno ‘l sole?: “Sciutta, ...io Serpente!”.

La nèbbia? ‘L gelo? ‘L vento de levante?

‘L colpevole chi è? L’Onnipotente!

Cerco de fa’ del bene a ogni costo,

ma con queste ’n ce se ‘ndovina mae.

Vorrebe véda ‘n antro, qui al mi’ posto!

Io ‘nde la vita ho passo tante guae,

ma quant’è vero ‘l Sacramento esposto,

‘l peggio commàtta è co’ le pecorae!

Le ba’ sémo tutte uguale

Quanno l’ora verrà de sta’ al cospetto

de quel Signore arcigno col barbone,

me tremaranno pure le calzone,

me se gelarà ‘l core dentr’al petto.

Me verrà fatto ‘l conto dell’azione,

sia quelle bòne che quelle a dispetto:

per quelle bòne bastarà ‘n fojetto,

pe’ le cattive ce vorrà in libbrone.

Però confido ch’a quel punto Dio,

ch’è ba’, e certe cose sa capille,

farà come io fo col fjo mio:

‘n cielo se vedaranno le scintille,

ma tutto finirà tra ba’ e fjo:

con qualche ‘mprecazione e quattro strille.

Rimandi

Ciò giù al casale ‘na cagnòla e ‘n gatto

che stanno tutto ‘l giorno a litica’:

quello alza ‘l pelo e solfia come un matto;

quel’altra ‘nn’è mae stracca d’abbaia’.

Basta però che io jé metto ‘n piatto

con dentro qualche cosa da magna’

che lo scenario cambia tutt’an tratto:

‘ndo’ c’era odio c’è fraternità.

Allora me diverto a stalle a véde

magnasse ‘nsieme la scodella sana

lì fianco a fianco: ... ròbba da nun créde!

Io ch’ogni giorno assisto a ‘sta mattana,

nun ve so di’ perchè, ma me succede

de pensa’ a la politica italiana.

Agrodolcedi Nescio Nomen

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Corso di pitturaAnche quest’anno a conclusione del corso di pittura si è svolta unabella mostra presso il locale del comune vicino alla chiesa Nuova (exsala giochi). La mostra è stata inaugurata domenica 18 maggio ed èstata aperta anche lunedì 19, in coincidenza dei festeggiamentipatronali di San Bernardino da Siena.L’allestimento è stato gradevole da vedere, sia per i temi, sia per letecniche usate. I quadri rappresentavano paesaggi, tramonti, ripro-duzioni di opere famose (Turner, Monet, Modigliani...), autoritratti,ritratti, riproduzioni di fotografie, nature morte, animali..., effettua-te con colori a olio, acquerelli e spatola.Gli allievi del corso erano sei, di Piansano e dei paesi vicini, e siincontravano tutti i giovedì pomeriggio, dalle quindici alle dicianno-

ve, dal mese di ottobre fino a maggio. Un ringraziamento va al maestro Martin Figura, che con la sua elevataprofessionalità e la sua calma ha saputo insegnare e far conoscere le tecniche ed i modi con i quali si riesce adipingere. L’ambiente si presentava gradevole e rilassante, aperto a chiunque si volesse iscrivere, e dunquesperiamo di riprendere in autunno. (Gli allievi)

Passeggiata per sentieriLunedì 26 maggio i bambini si sono dati apppuntamento all’Oratorioper una passeggiata nei preziosi sentieri piansanesi. Circa una settan-tina di bambini camminavano sotto un sole cocente pensando allamerenda che li attendeva al palazzetto. A chiudere il gruppo c’eranoalcune mamme che connotevole impegno cercava-no di affrontare le ripidesalite sotto l’incitamento deiloro figli. E’ bastata la vistadi pizzette, crostate connutella e dolci vari perdimenticare tutti gli sforzi

fatti fino a quel momento. E’ stato un pomeriggio molto divertente edun’occasione per riunire i bambini di Piansano. Alla prossima!!!(Alessia Melaragni)

Cambio della guardia alla CarivitDopo una quindicina d’anni buoni, il direttore della nostra filiale Carivit dottorGiorgio Casavecchia ci ha lasciato. Promosso a più prestigioso incaricoall’Agenzia 2 di Viterbo, Giorgio - come veniva semplicemente chiamato da tutticon rispettosa familiarità - ha lasciato il posto alla signora Daniela Venturini diTuscania, che dal canto suo si è ugualmenteimposta per simpatia e affabilità. Sposata con duefigli - Riccardo di 22 ani e Serena di 16, i suoi gio-ielli, come ci tiene a precisare - la signoraDaniela ha un’esperienza nel campo quasi tren-tennale, avendo esordito all’Agenzia 1 di Viterbonel lontano 1979. Dopo alcuni anni a Viterbo e

poi a Tuscania - preziosamente strategici, perché al tempo dei figli piccoli - lasignora Daniela è stata vicedirettore per sei anni a Civitavecchia e poiall’Agenzia 3 di Viterbo, anch’essi più che utili per i diversi contesti di matu-razione professionale. Alla direzione della nostra filiale c’è dal 14 febbraio.“Per San Valentino”, ci fa notare. E noi, che pure non siamo scaramantici,siamo ugualmente convinti che sia un segno beneaugurale per una lunga eproficua entente cordiale con la cittadinanza intera.Intanto mandiamo un salutone coi fiocchi a Giorgio, che ringraziamo per ilservizio reso e certamente ricorderemo sempre con affetto.

Flash

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Da un esame atten-to dei dati fornitidalla Bancad’Italia e pubbli-

cati sul suo sito web,emerge il grave disagio diquelle famiglie italiane chenegli ultimi dieci anni sisono indebitate perl’acquisto di una casaattraverso il ricorso amutui bancari, sia decen-nali che ventennali. Iltasso di interesse, quasisempre indicizzato nei con-tratti sottoscritti con gliistituti di credito, ha subitoun incremento di almenoquattro punti negli ultimisei anni, passando dal 3,6al 7,6 e mettendo a rischiodi insolvenza la maggiorparte dei contraenti. Infattisu un mutuo di 100.000euro l’aumento di un solopunto del tasso di scontoincrementa di 60 euro laquota mensile del medesi-mo mutuo per cui, nellepeggiori condizioni (cioè di4 punti), l’incrementomensile per il contraentediventa pari a 240 euro. E’da tener presente che isottoscrittori di mutuiprima casa in Italia sono3.200.000 e che nellasola provincia di Viterbo lefamiglie interessate al pro-blema sono circa 28.500.In una sua recente dichia-razione Antonio Catricalà -presidente Antitrust -sostiene che 110.000famiglie italiane sottoscrit-trici di mutui casa sonostate dichiarate insolventied i loro immobili pignora-ti, mentre, ulteriori420.000 famiglie sono già

in stato di sofferenza.Questo fenomeno è di rile-vante impatto sugli equili-bri economici familiari ed èconcomitante alla crisi delsettore immobiliare ameri-cano di cui parleremo piùavanti. La sua naturamanifesta una vincolanteinterdipendenza finanziariafra le economie mondiali,provocando veri e propridissesti nei vari settori checaratterizzano l’interopanorama finanziario mon-diale, poiché rispondono aleggi di natura inequivoca-bilmente globalizzata. A tutto questo non sfugge

il mercato finanziario depu-tato alla compravendita dititoli, azioni, obbligazioni,ecc., dove è possibile inve-stire i propri risparmi maanche condurre spregiudi-cate speculazioni finanzia-rie. In questo maremagnum del quale fannoparte le borse di tutto ilmondo, sono avvenute edavverranno con sempremaggiore frequenza opera-zioni di vera truffa, che perquanto riguarda l’Italiahanno avuto dolorosi risul-tati per i piccoli risparmia-tori che acquistarono a suotempo bond argentini,

azioni Cirio, Parmalat edaltri prodotti finanziari dinotevole rendimento ma discarsa credibilità. E’ dei nostri giorni lo scan-dalo dei mutui “subprime”americani, che sono, intermini più comprensibili,prestiti erogati senzagaranzie da banche senzascrupoli e speculatrici aclienti che hanno acquista-to una casa. Questo feno-meno di enorme dimensio-ne (milioni di mutui di cuisolo negli USA al 31 dicem-bre 2007 sono andati inscadenza 800.000) hadato luogo alla vendita sulmercato finanziario (trami-te società truffaldine) diquesto tipo di titoli nonsolvibili per almeno l’85%dei casi. Il debito contrattoattraverso il mutuo èdiventato così un titolo checambierà proprietario infi-nite volte. La crisi di solvi-bilità dei subprime ameri-cani, che quasi semprecopre l’intero costo dell’im-mobile, è dovuta anche alforte rialzo del costo deldollaro (tasso di sconto)passato dall’1% del 2004al 5,25% nel 2007, cheha quasi quintuplicato laquota interessi dei mutui.A questo si è aggiuntol’effetto speculativo dellabolla immobiliare, che hafatto crollare le quotazionidegli immobili dal 30 al40%. L’effetto di tutto que-sto ha determinato la crisidi un intero settore ameri-cano, quello immobiliare,che ha rivestito un ruolofondamentale nell’econo-mia statunitense. Le agen-

Globalizzazione: le ricaduteeconomico finanziarie

Economia e Ambiente

(seconda parte)

di PaoloDe Rocchi

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zie di rating quali Moody’se Standard & Poor’s, cheavevano il compito, delega-to dalla Banca CentraleAmericana (FederalReserve), di valutare illivello di sicurezza dei titolie quindi la loro solvibilità,hanno ignorato, forse volu-tamente, quanto stavaavvenendo in questo enor-me settore della finanza.L’insolvenza macroscopicadei subprime, ad oggiriscontrata, avrebbe nelpassato rappresentato unproblema limitato perché ilrapporto, in precedenza,intercorreva fra le bancheed i mutuatari: oggi nonpiù; il titolo di credito èglobalizzato. Infatti, dettiprestiti immobiliari sonostati inseriti (cartolarizzati)in altri prodotti finanziariche poi sono stati vendutisui mercati finanziari mon-diali. Questo sistema defi-nito della “salsiccia” haveicolato ingenti masse difondi comuni e obbligazio-ni ad altissimo rischio chesono stati esitati ai rispar-miatori. L’operazione èstata concertata talmentebene che nessuno, nem-meno le banche di grandedimensione, ha percepito ilrischio contenuto in queiprodotti. Gli americani

hanno così potuto trasferiresugli investitori finanziari ditutto il pianeta mutui defi-niti “carta straccia” per unvalore complessivo di qual-che milione di miliardi didollari. Si è quindi inne-scata una crisi globaleimplacabile che ha riguar-dato le borse mondiali, lequali hanno registrato per-dite così ingenti da produr-re il panico degli investito-ri. Le Banche centralihanno bruciato (so prattuttogli istituti di emissioned’America, Giappone, Cinaed Europa) rilevanti quanti-tà di danaro per immettereliquidità sui mercati, ondecontenere nel breve perio-do i danni arrecati agli isti-tuti di credito. Le responsabilità di questoterremoto finanziario vannoascritte, come detto, alloscorretto comportamentodelle società di Ratingamericane che hannoomesso ogni giudizio dimerito sulla validità deiprodotti immessi nel mer-cato. Non possono esserenemmeno esclusi i ruoli dicontrollo che le BancheCentrali (istituti di emissio-ne) di ogni paese avrebbe-ro dovuto esercitare suimedesimi prodotti. Lastampa di settore di tutto il

mondo ha definito il feno-meno più grave dellarecessione del 1929, men-tre gli osservatori più indi-pendenti ed illuminatihanno stigmatizzato gliStati Uniti per aver espor-tato coscientemente glieffetti di una crisi che dasola avrebbe affossatol’intera economia america-na. Tutti i paesi, masoprattutto quelli europei,hanno subito il conseguen-te panico finanziario cheha fatto registrare unagenerale diminuzione deitassi di crescita economi-ca (PIL). Questa crisi, le cui conse-guenze globali sono ancoratutte da verificare, ci inse-gna che qualsiasi bollaspeculativa prima o poiimplode, facendo emergereil carattere spregiudicato dioperazioni “confezionate”per arricchire aree di pote-re economico-politico aidanni di milioni di rispar-miatori. Non è la primavolta che gli americani“esportano” le loro crisifinanziarie nel resto delpianeta e sicuramente que-sta non sarà l’ultima. Anostro giudizio la veraragione della crisi è quelladi aver imposto negli indi-vidui quella falsa fiduciaper cui è possibile spende-re di più di quanto si gua-dagna; vivere cioè al disopra dei propri mezzi;tant’è che oggi assistiamoad indebitamenti nellefamiglie (soprattutto ameri-cane) che talvolta supera-no alcuni anni di redditopercepito. Quel comporta-mento virtuoso del rispar-mio, praticato in tempipassati da molte famiglie,ha lasciato il posto ad unasocietà quasi sempre afflit-ta dai debiti, quindi piùesposta ad operazioni dibasso profilo speculativo.

Joseph Stiglitz, premioNobel per l’economia edocente alla ColumbiaUniversity, a proposito diquesta particolare crisifinanziaria ha dichiarato:“Ci sono molte lezioni chel’America e il resto delmondo potranno trarre daciò che stà accadendo, etra queste l’esigenza diuna più ampia regolamen-tazione del settore finan-ziario e soprattutto moltapiù trasparenza e unamigliore protezione versoprestiti speculativi”.Una lezione emblematica,in rapporto alla spregiudi-cata politica finanziariaamericana, è la recentequanto incredibile notiziasecondo la quale la BancaCentrale cinese, in perfettasintonia con gli intendi-menti del suo governo, haacquistato per cinquemiliardi di dollari la parte-cipazione del 10% dellaMorgan Stanley: la bancad’affari di eccellenza ame-ricana, cuore dell’etabli-shment di Wall Street cheper la prima volta in quasi80 anni di operatività haregistrato 10 miliardi didollari di perdite in un solotrimestre. Paradossalmentesi osserva che la crisi, cheha origine dal crac deimutui casa (subprime), èstata sostenuta dalla Cinacomunista: il regime auto-ritario più grande delmondo e da sempre peri-coloso nemico del neo libe-rismo americano. Gliesperti finanziari di tutto ilmondo concordano chequesto è solo l’inizio del-l’assalto alle roccaforti delcapitalismo americano enon solo. Il fenomeno, diper sé inquietante, è figliodella inarrestabile globaliz-zazione che ha sconvoltole regole a base dell’equili-brio geopolitico ed econo-

Lavoratore americano assistito da sussidio statale

Economia e Ambiente

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mico del mondo occidenta-le.Abbiamo esaminato, inquesto e nel precedentenumero della Loggetta,due emblematici aspettidel mercato globale che asua volta è parte integrantedella “filosofia neoliberista”che nasce sulle elaborateteorie di Milton Friedman,il quale sosteneva che “ilprofitto costituiscel’essenza della democra-zia; per cui le questioniattinenti il vero oggettodella politica quali la pro-duzione, la distribuzionedelle risorse, nonchél’organizzazione dellasocietà, vanno lasciatealle forze del mercato”.Il mercato globale, attuatooperativamente sui presup-posti anzidetti dalle conte-stuali politiche neo liberistedi Ronald Reagan negli USAe di Margharet Thatcher inInghilterra, ha invece pro-dotto un sistema economi-co-politico dominante alivello globale che ha mas-simizzato i profitti dellagrande impresa e che, nelcontempo, ha imposto edesercitato il controllo oltreche le scelte di larga partedella comunità umana. Datempo assistiamo al fattoche le ricadute economi-che della globalizzazionesono state molto similianche se a diverse latitudi-ni soprattutto nei paesi delterzo mondo: un aumentodel divario fra ricchi e

poveri sia economico chesociale; l’appropriazionedelle materie prime spessoavvenuto con metodologieneocolonialiste; la pericolo-sa degradazione ambienta-le dovuta a processi pro-duttivi a bassissimo costod’investimento; una econo-mia mondiale fragile e vul-nerabile che comunque haconcentrato ricchezzeincommensurabili nellemani delle multinazionali.Noam Chomsky, considera-to fra i più importanti eco-nomisti americani viventi,sostiene che “il neoliberi-smo è l’elemento dinami-co del capitalismo ed èrappresentativo diun’epoca in cui il potereeconomico è più forte edaggressivo che mai, men-tre la società con cui devemisurarsi è impotentecome non lo era mai statain passato”. A completamento del qua-dro “dinamico” del com-mercio globale, per suanatura strettamente colle-gato alle politiche econo-mico-finanziarie, va dettoche non è sempre vero chela concorrenza stabilisca leregole del gioco favorendol’offerta più vantaggiosa,perché, essendol’economia per larga partedominata dal grande capi-tale (il quale esercita unincondizionato potere dicontrollo sullo stesso mer-cato), non viene di fatto astabilirsi il regime di libera

concorrenza. Laglobalizzazione, in buonaso stanza, non è altro che ilrisultato delle attività dellemultinazionali che impon-gono ai paesi manifatturieriaccordi commerciali e con-tratti a basso costo dellamanodopera, esercitandoin tal modo un dominio suquei paesi senza contrarrealtri obblighi verso quellepopolazioni. Questo tantoamato quanto odiato siste-ma, che non distribuiscecultura agli operai dellefabbriche ma che trasfor-ma enormi masse inconsumatori; che non co -struisce strutture socialima solo smisurati centricommerciali, a nostro giu-dizio potrebbe andareincontro ad un rigetto(questo sì, globale) daparte di una rilevante com-ponente dell’umanità, opotrebbe essere fortementecondizionato da inderoga-bili esigenze ambientali agaranzia della sopravviven-za del pianeta.Il risultato di tali macro-scopiche contraddizioni,oltre a scelte strategichenon sempre oculate poichéspesso speculative, han noprodotto una vistosa frena-ta alle previsioni di svilup-po delle economie euro-pee, ormai avviate versoun periodo di profonda sta-gnazione sia della doman-da che delle produzioni dibeni di consumo, modifi-cando in tal modo le strut-

ture del nostro sistemaeconomico europeo. Per gliStati Uniti lo scenario chesi intravede è ancora piùpesante: non è più unsegreto che le perdite affe-renti i mutui casa america-ni (subprime), divenuti cre-diti in sofferenza quindinon più esigibili, sonovalutati in 1000 miliardi didollari; gli enormi debitiaccumulati dai titolari dicarte di credito cheammontano a 250 miliardidi dollari; i costi degliinterventi bellici americaniin Afghanistan ed in Irakche hanno superato i1100 miliardi di dollari; idebiti di imprese industrialifallite, le perdite delle ban-che e delle compagnie diassicurazione oltre le per-dite di Wall Street cheinsieme hanno bruciatoalmeno 350 miliardi didollari; il costo del barile dipetrolio che ha sforato i120 dollari; i 28 milioni dicittadini americani senzalavoro e che ricorrono alsussidio governativo finaliz-zato alla spesa alimentare,connotano l’economiaamericana non più in regi-me di stagnazione bensì indecisa recessione. Questapreoccupante fase, la cuidurata non è dato prevede-re, è rafforzata dal deprez-zamento della monetaamericana sui mercatimonetari internazionali edalla crescente disoccupa-zione sia intellettuale chein settori qualificati delmondo imprenditoriale.L’aspetto più allarmante èquello del contagio dellafase recessiva dell’econo-mia americana nei con-fronti dell’area dell’euro acausa delle leggi e dei vin-coli che rendono interdi-pendenti i sistemi econo-mici globalizzati.Interno della Borsa di Wall Street

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Pan de legnoe vino de nuvole:

chi vo’ mugula’, mùgule!

Letteralmente: “Castagne e acqua:chi vuole lamentarsi, si lamenti!”.Bellissima la definizione della casta-gna come “pan de legno”, ossia ciboproveniente da un albero, da unapianta legnosa, nonché frutto rico-perto prima dal riccio e poi da unduro guscio fibroso, tra l’altro dicolore marrone, e poi tendente adindurirsi come per la stagionaturadel legno, appunto. Le castagneerano un alimento povero, a buonmercato e facili da trovarsi, fossero“marroni” o “asinine”, ossia piccolee selvatiche; fresche o essiccatecome “mosciarèlle”, quando nonridotte in farina per torte o focacce.Ma singolare è anche l’immagine del“vino de nuvole” per definire l’acqua,nella quale è avvertibile, per contra-sto, l’uso esclusivo del vino comebevanda da pasto. E il “vino de nuvo-le” mal si accompagna alle castagne.In proposito venivano tirate in ballo- non si sa con quale fondamento -anche proprietà di assorbimento, didiverso “impasto” tra il frutto e illiquido, tant’è che “Le castagnevònno ‘l vino”, si diceva; “... mejorosso”, si aggiungeva anzi, e altravolta abbiamo ricordato il detto“Castagne e vinello: spara castello”per dire della flatulenza provocatadall’accoppiata, facile da immagina-re in una veglia con le caldarrostedavanti al camino. Acqua e castagne, dunque, non sonoun’accoppiata felice, ma in questocaso, evidentemente, è quantopassa il convento e ognuno è liberodi “mugulare”, ossia mugugnare, bor-bottare (ma si noti l’efficacia di quel-l’esortativo finale, selvatico, dal tonoultimativo e sprezzante, amplificatodalla e dialettale e dall’accentazionesdrucciola). Senza escludere, peral -tro, il mu gulìo, il borbottìo della pan-cia per la fame, dato che “castagne eacqua” sono comunque un ripiego,

surrogato del classico “pane e vino”.Come dire: “Tempo de carestia: pande véccia”.

‘L patronenun va pell’acqua!Il “padrone” - che poteva anche esse-re semplicemente l’occasionaledatore di lavoro - non va a prenderel’acqua per dissetare gli operai,ossia non si abbassa e/o perdetempo con un umile servizio, solita-mente riservato a un ragazzo o aduno degli operai stessi - l’acquaròlo,appunto - a ciò espressamente depu-tato. Osservazione neutra e veritàscontata che trae spunto dai lavoridella campagna, che per il fatto disvolgersi molto spesso sotto il solecocente per lunghe ore della giorna-ta, richiedevano il sia pur minimosupporto logistico dell’acquaròlocon la barlòzza e del portaspese,ossia dell’incaricato di ritirare daifamiliari dei braccianti i fagòtti con ilpranzo da consumare sul posto. Inaltro contesto si potrebbe dire -chessò - che l’industriale non è tenu-to a fornire agli operai della catenadi montaggio generi di conforto, omomenti di svago, durante i turni infabbrica o in laboratorio, quantun-que siano enormemente mutate siala sensibilità generale sia la legisla-zione sulle condizioni di vita negliambienti di lavoro, e non pochiimprenditori si siano resi conto datempo che più confortevoli condizio-

ni di lavoro si traducono in realtà inefficienza e maggiore produttività. Il principio dunque è lo stesso, e anziformalmente costituisce anche unriconoscimento esplicito del diversoruolo di proprietari e imprenditori,delle loro funzioni-guida con esone-ro da più basse mansioni meramen-te esecutive. Ma nel detto si avvertela “coscienza di classe” del sottopo-sto che sapeva di non doversi aspet-tare solidarietà o umana compren-sione, specie in un tempo in cui ladistinzione di rango tra le personeera più netta e fisicamente tangibile.“Il padrone vuole essere servito”, o“va servito”, sembra anche di sentir-vi con una punta di stizza padronale.Sicché vi si mescolano il “comanda-mento sociale”, un po’ di “ribelli-smo” e di filosofica accettazione in -sieme; più dell’uno, o dell’altro, aseconda del tono e del contesto.Paradossalmente, oggi tale principionon solo è sempre valido, ma anzienormemente più spietato: qualemultinazionale, nelle moderne ma -crodinamiche socio-economiche, invista di un profitto si farebbe scru-polo di gettare sul lastrico folle ano-nime di piccoli azionisti e risparmia-tori? Sicché “‘l patrone nun va pell’ac-qua” diventa un assioma, la rasse-gnazione sconsolata ad una veritàsancita dalle vicende umane di sem-pre, il non doversi aspettare nienteda chi è più in alto, più ricco e poten-te.

(commenti di am)

di Oliva Foderini

Detti di casa nostra

Angelo de Romano col suocero Pèppe Ciofosu uno degli ultimi carretti per la strada delle Caciare

(foto di Gioacchino Bordo)

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49LoggettaLlagen-feb 2008

I “collaboratoridi Satana”A proposito dell’orchestrinaStella ricordata in uno degliultimi numeri della Loggetta,mentre mi ha fatto veramentepiacere che si sia rammentataquella bella ventata di giovi-nezza nel paese dei primissi-mi anni ‘50, volevo fare unaprecisazione importante: il piùacerrimo avversario dellanostra attività musicale non fuil buon don Giacomo Barbieri,vecchio e mite [morì giustonel 1954, ndr], ma il giovaneparroco don NazarenoGaudenzi, di ben altra temprae peso nella vita della parroc-chia (pensate al suo ruolonelle vicende perl’assegnazione delle terre!). Fului che stroncò con toni apo-calittici la nostra voglia giova-nile di suonare e divertirci.Siccome - come è stato scritto- avevamo raggiunto unacerta notorietà e ci chiamava-no a suonare anche nei paesivicini (Valentano, Bolsena...),succedeva che se gli organiz-zatori erano democristiani o dichiesa, tutto filava liscio, mase per caso partecipavamo afestini o serate in odore dicomunismo, apriti cielo! Noi,naturalmente, accettavamoqualsiasi invito, perché quelsoldino del compenso ci face-va gola (e anzi pareva impos-sibile, all’epoca, che si potes-se rimediare qualcosa diver-tendosi e “senza lavorare”),ma nel clima da don Camilloe Peppone di allora, tuttodiventava occasione di scon-tro. Finché una domenicamattina, alla messa di mezzo-giorno, vedendoci entrare inchiesa in leggero ritardo, conquei suoi modi da Savonaroladon Nazareno tuonò dall’alta-re: “Ecco i collaboratori diSa tana!”. Figuratevi noi! Efiguratevi la gente e i nostrigenitori, gente casa e chiesa ecol timordiddìo! Che vergo-gna! Scappò fòra ‘na guerra!Potrà sembrare assurdo, maquella “scomunica” ci rovinò!I miei genitori nascosero glistrumenti a me e mio fratelloClelio. Ci stracciarono le giac-

che (quelle belle giacche con-fezionateci dalla Grazietta,che insieme con il cappellodella divisa ci erano costateun bel po’) e ci proibirono tas-sativamente di continuare inquelle pratiche offensive dellareligione e della morale!Noi eravamo furiosi: jé volìve-mo mena’!, al prete. E altempo stesso eravamo dispe-rati, tanto che mio fratelloneanche mangiava più dalmagone. Io lì per lì non cipensai a rinfacciarglielo, mapoi mi ricordai che donNazareno mi aveva fatto unaltro “torto”, quando ero pic-colo. Facendo il chierichettocol suo predecessore donCruciano, infatti, mi ricordoche ogni ab ba tèllo venivacompensato con una candelaper ogni servizio funebre econ dolcetti e uova in occasio-ne della benedizione pasqualedelle case. Don Nazarenovolle cambiare: “Che ve nefate di uova e candele? - cidisse per convincerci - Meglioqualche soldino, che rimanea voi... Registrate tutto in unlibretto, ché a fine anno fare-mo tutto un conto”. Beh, lo

volete sape’? ‘Nco’ l’émo dafa’, le conte!Sta di fatto, per tornare all’or-chestrina Stella, che dopoqualche tempo ci ritrovammoper suonare (gli strumenti,che ci avevano fatto crederedi aver rotto, erano stati solonascosti), ma non fu più lastessa cosa. Anzi, tirammoavanti un altro po’ alla menopeggio e ben presto finì.Le prove le facevamo nellavecchia bottega di mio nonno‘l Bastàro [quella accanto alvecchio forno di Benito vicinoalla chiesa parrocchiale, oggigarage di Mario Ciofo], cheera diventata la bottega difalegname di mio fratello.Clelio, infatti, era statoapprendista falegname colpòro Righetto Falesiedi, fratel-lo di Tersilio, e mentre daRighétto aveva imparato ilmestiere, da Tersilio avevaimparato la musica. AncheMarino aveva studiato un po’di musica, ma io e Pèppesuonavamo a orecchio...Insomma era stataun’esperienza esaltante. Ilprete ci rovinò...

Duilio Moscatelli

La carissimazia suoraCarissimi amici della Loggetta,vivo a Ladispoli ed ho la gradi-ta opportunità di sfogliare ilvostro giornale che trovo sem-pre sul tavolo di mio fratelloMarcello. A parte il saporedolce del dialetto, delle fotod’epoca, delle vicende dellaprovincia, trovo nel vostro gior-nale un che di rilassante, gio-ioso intermezzo all’affanno deinostri giorni. E’ pane per lospirito. Non voglio banalizzareil vostro impegno, che immagi-no dia spazio ad incontri,dibattiti, “polemiche” inevitabi-li in un contesto culturale; perquesto vorrei spiegarvi il per-ché di “questa mia” (vedi ildialetto!).Ho una zia suora: suor MariaAmalia Guidolotti, nata aPiansano da Oreste e AssuntaMassimi nel lontano gennaiodel 1913. Ha lasciatoPiansano nel 1937 per intra-prendere la sua missione pres-so istituti religiosi e ospedaliche ha gestito da superiora adAssisi, Castellammare diStabia, Roma, Catanzaro. E’stata apprezzatissima per lesue qualità e capacità, per ilsuo sorriso instancabile, per ildono della comprensioneimmediata di chi si rivolge alei. E’ l’ultima dei nove figli diOreste e Assunta. Vive serena-mente e lucidamente con leconsorelle francescane alcanta-rine in una bella antica casa aManziana (RM). Noi nipotiandiamo a farle visita perchéabbiamo bisogno di carica. E’serena, ottimista, e sa tantecose del mondo perché lo haattraversato tra mille peripezie.

Cara Loggetta...

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50 LoggettaLlagen-feb 2008

Perché racconto tutto questo?Semplice: vorrei che lei potes-se essere presente tra le righedel vostro giornale, che andràforse in mano a qualcuno chela ricorda. Ve ne saremmotutti grati. Vi invio una suafoto e per dirvi grazie vi facciopervenire un libro su Ladispoliscritto da mio marito, prema-turamente scomparso. Ancoragrazie, amici di Piansano (oparenti?).

Maria Amalia Guidolotti,Ladispoli

Indirettamente, di suor MariaAmalia Guidolotti avevamofatto il nome nel numero dellaLoggetta di settembre 2000,nell’articolo Nei secoli fedelerelativo a suo fratello Antonio(‘Ntògno del por’Oreste, comedicevano i più anziani):“Antonio era del ‘2 - scrivem-mo in quell’occasione -terzogenito ma primo ma schiodi Oreste e Assunta Massimi,che prima di lui avevanoavuto Emilia nel ‘98 e Annanel ‘900. Anna era morta adappena un anno di vita nel-l’aprile del 1901 (rimpiazzatada un’omonima nel ‘13), matutti gli altri figli successivi -dieci in tutto, uno ogni dueanni - sono tutti sopravvissutisparpagliandosi con il tempoin diversi paesi dopo il matri-monio; solo lui, alla fine, èrimasto a Piansano...”. SuorMaria Amalia, al secolo, èappunto quella Anna del ‘13venuta a “rimpiazzare”l’omonima sorellina maggioremorta ad appena un anno divita. E ci fa piacere avernenotizie, saperla ancora lucida eserena e ottimista dispensatri-ce di “carica”, dopo una vitacosì ricca di opere in spirito diservizio. A Piansano nonabbiamo mai avuto occasionedi conoscerla, ma se è come ilfratello Antonio, quella comu-nissima anima nobile di cuiancora ricordiamo la signorilitàaustera e affettuosa insieme,non stentiamo a credere aquanto ci scrivono. E ce ne ral-legriamo, ringraziando perl’affettuoso ricordo della nostracomune “piccola patria”.

... Accluso un assegno di due-cento dollari. Apprezziamomolto le notizie da Piansanoe il vostro lavoro. Gradite inostri sinceri saluti.Phyllis Macchioni (Saronno),per “Jimmy” e Rose Bronzetti,

Syracuse, NY, USA

... La cortesia della prof.ssaPiera Damiani mi ha consen-tito nell’estate del 2007 diprendere visione della “inte-

ressante” rivista la Loggetta.Come dichiarato nell’appellodel n. 68-69/2007, la rivistarappresenta una vera “espe-rienza culturale... unica nelpanorama provinciale”, e conil mio scritto desidero espri-mere il mio apprezzamento el’incoraggiamento nel prose-guire nella pubblicazione allaluce anche degli orientamentiche l’assessorato alla Culturadella Provincia ha di recente

adottato sulla spnta dellaRegione Lazio.Sono un pensionato, originariodelle Puglie, attento alle ini-ziative presenti nella Tuscia,ma con poca disponibilità adaggiornarmi su eventi e perso-naggi della realtà locale. Imiei attuali interessi vertonosulla Via Francigena e sulleattività di una associazionearcheologica (Archeotuscia).

Filippo Maselli, Viterbo

Canto africanoMi piace andare alla prima messa nellachiesa Nuova di Piansano. Amo questachiesa molto luminosa, dove non cisono dorature, stucchi, colonne, e nem-meno cupi quadri di santi, alcune voltesconosciuti. Vi è una statua dellaMadonna illuminata da ceri votivi eadornata di fiori profumati, e un piccoloaltare dedicato a San Giuseppe; dapoco, anche due splendide vetrate.Sopra l’altare c’è un grande pannelloraffigurante il Cristo crocefisso. E’ un’opera meravigliosa che domina tutta la chiesa. QuestoCristo non piange lacrime di sangue, non è il Cristo di don Camillo che parla e sgrida ledebolezze umane, bensì è un Gesù vituperato, umiliato, torturato, assetato, trafitto e moren-te, inchiodato alla Croce, ma, dopo la morte, finalmente Risorto! Il suo volto dolente ti parlaal cuore: ti dice che anche tu sei stato umiliato e calpestato, ma la tua croce la devi portarecon fede, che la tua croce è molto più leggera della sua. Con Lui io parlo, piango, prego eracconto le mie pene; e Lui, sono sicura, mi ascolta.Un giorno, durante la messa officiata da don Aristide, al mo mento dell’elevazione il sacerdoteha intonato un canto sacro del proprio paese, un inno insolito e melodioso con toni dolci eforti. Ovviamente non capivo le parole; ma la forza di quell’inno mi ha colpito per la passionee la profondità dell’amore per Dio. Mentre la musica si insinuava nella mia testa, ho chiusogli occhi, ed allora mi è successa una cosa ben strana! Nella mia mente hanno cominciato ascorrere, come in un film, immagini dell’Africa vive, piene di colori, di canti e di persone.Durante il canto ho visto il sole tramontare in un mare di fuoco, così velocemente che il buione ha preso subito il posto in un tappeto di stelle, con la Croce del Sud, guida dei viandanti,splendente come un grosso diamante. Ancora altre immagini: grandi civiltà erose dai millen-ni, fiumi, cascate tumultuose e deserti infuocati. Ho visto oasi in cui il tempo si è fermato:ho sentito il tonfo del secchio immergersi nel pozzo, il ruminare dei cammelli, il belare dellecapre e un canto di bimbi dai grandi occhi scuri. Ho sentito la sabbia infuocata del desertocantare sul suo eterno spostamento e una carovana di nomadi avanzare nel terribile caldo etrovare riparo e riposo sotto tende dove tutti, anche gli stranieri, trovano ospitalità. C’eranoprofumi intensi, aromi piccanti, frutti e grossi fiori profumati: tutto ciò mentre in chiesa ilcanto continuava; e tante antiche tribù danzavano: masai, bantù, pigmei, tuareg e persino ipiccoli boscìmani con le frecce avvelenate infilate nei capelli; schiavi in catene, animali tene-ri e feroci, deboli e forti impegnati nella lotta quotidiana della sopravvivenza. E grandi città,ricche miniere, giardini e splendide ville. Ma anche tanto sangue versato nelle lotte e nelleguerre di potere su quel grande paese ricco e martoriato con tanti bimbi senza sorriso e colpancino gonfio. Ho visto uomini e donne bianchi curare, aiutare, predicare e istruire, moltevolte amati, altre uccisi con crudeltà.Il canto ora è terminato, riapro gli occhi, mi sento emozionata! Sotto il crocefisso nella miamente ho visto scorrere tutto: luce e ombre, pianti e sorrisi, acqua e sete, amore e odio, oroe sangue, dolore e gioia, nascita e morte!Don Aristide, ogni tanto vorrei sentire quel canto del tuo paese: sotto le braccia del Cristomorente, rivedrò ancora l’Africa...

Piera Scotuzzi, Piansano

Cara Loggetta...

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51LoggettaLlagen-feb 2008

Riviverela mia terraGentile redazione, ho ricevutooggi la lettera di sollecito perla richiesta del periodico laLoggetta. Personalmente chie-do scusa della mia negligen-za, dovuta più che altro aicambiamenti di residenza.Attualmente mi trovo a Romae il mio nuovo indirizzoè...[...]. Vi chiedo cortese-mente di inviarmi il numerodella rivista con il bollettino,

provvederò subito a riparareal mio mancato dovere.Per me, leggere la Loggettanon è semplice curiosità pertutto ciò che accade nella“mia” terra, ma è anche sco-prire, ricordare, rivivere... Holasciato Piansano a undicianni, ho girato un po’ perl’Italia lavorando semprecome maestra pia, inseritanella scuola statale, nellediocesi, nelle parrocchie, ap -portando ovunque il mio

umile contributo a favoredella Chiesa. Mi son fatta“vecchia” (come dicono inMaremma), ma l’amore e lanostalgia per le proprie radicinon si è affievolito. La fedesemplice e genuina dei nostricari ci ha formati e ci ha datol’opportunità di aprirci allarealtà con occhi attenti allenecessità degli altri e uncuore grande per amare senzariserve tutti i fratelli (penso aquanti religiosi e religiose, sa -

cerdoti, missionari,ha partorito la chiesadi Piansano).La rivista ci permettedi mantene i contatticon il presente erileggere gli avveni-menti del passatocon gli occhi un po’velati di nostalgia.Mentre vi chiedo gen-tilmente di continuaread inviarmi laLoggetta, mi compli-mento con tutta laredazione che concompetenza e dedi-zione svolgeun’attività gradita edutile. Saluto e auguroa tutti ogni bene.

Suor Rosa RocchiM.P.F.

Ambulanzasì,ambulanzanoCome ogni volta chec’è da prendere delledecisioni si trova chiè favorevole e chi ècontrario, così la noti-zia della trattativa perl’acquisto di unanuova ambulanza haaperto due fronti. La Confederazionedella Misericoria nonè proprietà privata dinessuno, appartienealla quali totalità deipiansanesi che lasostengono e nefanno parte comesoci attraversao latessera. Ogni quattroanni avviene la con-vocazione dell’assem-

blea generale dei soci perl’elezione del nuovo direttivo.Quest’anno, 2008, nel mesedi giugno avverrà questoimportante adempimento alquale tutti gli aventi dirittosaranno invitati a parteciparee a votare. Ed è proprio que-sto organismo, nel gergo chia-mato Magistrato, guidato daun Governatore coadiuvatodai Provi Viri e dai SindaciRevisori, che, dopo aver valu-tato le diverse ipotesi - rifaci-mento del motore all’attualeambulanza; acquisto di unmezzo usato o di uno nuovo...- con i pro e i contro per ognisoluzione, ha deciso perl’acquisto di una nuova ambu-lanza. A questo punto sonostati chiesti dei preventivi aditte specializzate nel settore,e a parità di prestazioni saràaccolta l’offerta economica-mente più conveniente.Ma il problema che incuriosi-sce alcuni e che preoccupaaltri è sicuramente quello delprezzo e di come sarà pagato.Il costo si aggira sui 50.000euro; la Misericordia ha incassa all’incirca la metà deisoldi occorrenti; per il restoabbiamo la promessa di inte-ressamento del presidentedella Regione on. PieroMarraz zo, del nostro sindacoRoseo Melaragni presso laProvincia di cui è consigliere,le lettere inviate a banche eprivati, e soprattutto... laforza dei piansanesi, che vor-ranno contribuire - come giàalcuni hanno fatto - nel modoche riterranno più idoneo.Oltre a questi, per ora solo laCarivit ha risposto esprimen-do un positivo avviso alriguardo.Per ora è tutto quanto eradoveroso far conoscere. Lapopolazione continuerà adessere informata tramite laconsueta disponibilità dellaLoggetta.Il Direttivo della Misericordia

MISERICORDIADI PIANSANO

Cara Loggetta...

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52 LoggettaLlagen-feb 2008

HECTORI PARATOREPLAECLARISSIMO IN VRBE ED IN ORBE

LITTERARVM LATINARVMPHILOLOGO ATQVE MAGISTRO

SSSSEEEEPPPPTTTTEEEEMMMMBBBBEEEERRRRProemium

En September adest! Rident in collibus uvae;aër ac tepidus perflat qui corpora mulcensagricolis fert laetitiam blandumque levamen.Iam silvae redolent fungos; per prata serenaerrantis pecoris tinnitus funditur atquepastorum longe resonant iam vespere cantus.

Memoriae

In Urbe, contra, fumus, odor malussonique, rumor, turba, negotiapermulta regnant, quae gravant coratque animum nimium molestant.

In Urbe, vero, dego Penatibusprocul benignis saepeque temporisrecordor acti cum trahebamruri humilem placitamque vitam.Sic memini: autumni pluvias frondesque caducasac iuvenum voces carmina qui lepidacantantes, pedibus leviter saliendo premebantuvas dum pulchre tempora cincti hederacircum ludebant hilares pueri atque puellae.Et memini gestus ruricolae veterisqui solers sacro spargebat semina ritusub caelo densas ob nebulas piceo.Dein, gelido Borea comitante albaque pruina,adveniebat hiems; inque focis calidisdenuo splendebat crepitans gratissimus ignis.Tandem mane aliquo (commoveor memorans)mirum! desiliens de celso candida caelonix! Tunc festivi nos subito pueriegressi domibus niveis certamina sphaerisinsituebamus; perque vias, plateasperque vicos alii passim simulacra struebant.Post cenam ante focum voce sua tenuimater “Morganae” fabellas, gesta latrorumnarrabat...

A ETTORE PARATOREFAMOSISSIMO FILOLOGO

E MAESTRO DI LETTERE LATINEIN ROMA E NEL MONDO

SSSSEEEETTTTTTTTEEEEMMMMBBBBRRRREEEEProemio

Eccoci a settembre! Sui colli ridono le uve e soffia unatepida brezza che, accarezzando i corpi, reca agli agri-coltori letizia e un dolce sollievo. Ormai le selve odora-no di funghi, per i prati tranquilli si diffonde il tintinnìodell’errante bestiame e di lontano risuonano già i cantidei pastori.

Memorie

Al contrario, a Roma regnano il fumo e i cattivi odori ei suoni, il rumore, la folla, i moltissimi negozi, cose cheappesantiscono il cuore e troppo infastidisconol’animo.

Purtroppo vivo in città lontano dalla casa paterna espesso mi ricordo del tempo che fu, allorché trascor-revo in campagna la mia vita modesta ma piacevole.Ricordo le piogge dell’autunno, le foglie che cadevanoe le voci dei giovani che, cantando scherzose poesie,leggermente saltellando, pistavano le uve mentreall’intorno, con la fronte cinta d’edera, contenti, sidivertivano fanciulli e fanciulle.E ricordo i gesti dell’anziano contadino che con sacrorito spargeva sollecito i semi sotto un cielo plumbeo acausa delle dense nuvole.In seguito, accompagnato dalla gelida tramomtana edalla bianca brina, arrivava l’inverno e nei caldi focola-ri, di nuovo scoppiettando, risplendeva un piacevolis-simo fuoco.Finalmente, una qualche mattina - mi commuovo ricor-dando - cosa meravigliosa! quando una candida nevescendeva dal cielo! Allora noi fanciulli, subito usciti dicasa, davamo inizio ad una gara con pallate di neve;mentre per le vie e le piazze altri costruivano pupazziqua e là.Dopo cena, davanti al fuoco, la madre con la sua vocesottile narrava le favole della “Maga Morgana” e le sto-rie dei briganti...

(continua)

AntonioPelosi

UUUUnnnn ppppoooo’’’’ ddddiiii llllaaaattttiiiinnnnoooorrrruuuummmm

Questa poesia venne premiata ex aequo con medaglia d’argento nella XXVII Gara Vaticana dell’anno 1984. I versi, secondo l’ordine, sono:esametri, alcaici, distici, alcaici, saffici, alcaici, asclepiadei, alcaici, esametri. Traduzione italiana del prof. don Domenico Cruciani.

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Con la mountain-bikeper mari e.... MontiSi è concluso nel migliore dei modi per la nostra SerenaMonti il 9° Trofeo Baby Cross Country, una serie di gare inmountain-bike per bambini da 6 a 11 anni che si sono svol-te in diverse località del centro Italia e che hanno visto lapartecipazione di numerosi baby-corridori, maschietti e fem-minucce. Serena, classe 1998, militante nelle file delGruppo Ciclistico Grotte di Castro, ha partecipato a tutte le gare, vincendole tutte tranne due nelle quali è giunta seconda,ovviamente nella sua categoria (G3F), ma dopo aver dato filo da torcere anche ai maschietti. Questi punteggi le hanno permes-so di aggiudicarsi il trofeo dell’intera stagione, oltre ad essere campionessa provinciale e regionale! Non paga dei traguardi otte-nuti, Serena ha partecipato anche al Meeting Nazionale di Treviso dove ha vinto la propria batteria surclassando le avversariee finendo sulle pagine sportive dei giornali locali.

Non solo palloneDopo aver sfiorato l’impresa l’anno passato, quando è giunto secondo ai campionati pro-vinciali studenteschi di corsa campestre nonostante avesse gareggiato contro ragazzi piùgrandi, quest’anno il nostro piccolo concittadino Lorenzo Bordo ha colto il successo nellastessa manifestazione che si è svolta al campo scuola di Viterbo giovedì 31 gennaio e cheha visto la partecipazione di circa 150 ragazzi frequentanti la prima media delle scuoledella provincia. Primo! Questo exploit gli ha permesso di partecipare alle finali regionalistudentesche che si sono svolte a Rieti il 19 febbraio presso il mitico stadio di atletica leg-gera Raoul Guidobaldi, sede del famoso meeting. Alla gara, che si è sviluppata sulla distan-za di 1500 metri, hanno partecipato circa 100 atleti provenienti dalle scuole medie di tuttala regione, e il nostro Leonardo, pur non avendo fatto allenamenti specifici, si è fatto onorearrivando settimo assoluto e primo fra gli atleti della provincia di Viterbo (!), tanto da esse-re premiato dall’organizzazione con una medaglia individuale (per la cronaca, la competi-zione è stata vinta da una ragazzo di colore di una scuola media di Roma). Insomma, unrisultato brillantissimo che fa di Lo ren zo un nostro campioncino!

Calcio: pulcini 95/96 e pulcini 96/97 vincitori del campionato provincialeLe due squadre del settore giovanile piansanese hanno vinto i rispettivi gironi del campionato provinciale realizzando degli otti-mi risultati in campo, sia sul piano del gioco che su quello della disciplina, sconfiggendo le avversarie a suon di gol. Ecco le vittorie ottenute dai nostri campioncini 95/96: S. Barbara Viterbo-Piansano 1-4; Piansano-Tuscania B 4-0; TuscaniaA-Piansano 1-5; finale Monterosi-Piansano 1-9.E queste le vittorie dei campioncini 96/97: Piansano-Vignanello 3-0; Piansano-Monterosi 6-1; Piansano-Barco Murialdina 2-0; Piansano-Cus Viterbo 5-2; finale Montero mano-Piansano 1-10. Mister don Andrea e mister Brizi Germano, con la collabo-razione dei dirigenti Sandro Bordo e Scipio Claudio, possono vantarsi di aver lavorato bene.Finisce il campionato Amatori guidati da mister Brizi Germano con tre sconfitte, una vittoria e un pareggio, con lo scivolone ametà classifica: Tuscania-Piansano 2-0; Piansano-Acquapen dente 2-0; Marta-Piansano 3-1; Piansano-Torrese 0-1; Zeppo -nami-Piansano 1-1.

Gianfranco BriziSport

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54 LoggettaLlagen-feb 2008

di Margherita M. e Daniela F.

La sera di venerdì 4 aprile nelsalone parrocchiale abbiamoavuto un caro e gradito ospite:don Alberto. Sono molti anni

che non è più con noi, ma è ricordatocon affetto ed è stato accolto con talecalore che speriamo si sia sentito unpo’ a casa.Ma lui non è venuto a parlare con noidi quando ci faceva giocare al Grest, odi quando ci ospitava nella sua mac-china, in dieci o dodici bambini, e ciportava a Capodimonte a prendere ungelato. E’ venuto, dopo nostro insi-stente invito, a parlarci di un proble-ma grande quale è la droga: qualcosache entra nelle vite di tanti ragazzisconvolgendole. Un problema delquale si parla troppo poco e che inve-ce affligge tante famiglie.Don Alberto, che da venticinque anniaccoglie e accompagna tanti giovaniin un percorso di “riconquista di lorostessi” che si chiama comunità tera-peutica, insieme a Fabio e Angelo,due ospiti della comunità, introdottidal nostro don Andrea, in neanchedue ore di chiacchierata ci hannochiarito alcuni punti sulla droga ehanno messo a fuoco alcuni aspettidella società e della famiglia attuali.Ci hanno detto che fra le tante drogheesistenti non va sottovalutato l’usodell’ashish (considerato una drogaleggera e purtroppo comunementeusato dai più giovani), perché anchequello crea una dipendenza e può por-tare ad una forma di depressione.Fabio e Angelo ci hanno spiegatoquanto è forte il richiamo della drogapesante; come chi ne fa uso calpeste-rebbe tutto pur di averla; di quanto èdifficile tirarsi fuori una volta entrati inquel giro; di come non ci si sente rag-giunti da nessuna voce familiare,neanche la più accorata, che chiededi smettere. Ci hanno spiegato che la

droga non fa altro che riempire unvuoto che alberga dentro tanti nostriragazzi; che ci sono dei malesseri pro-fondi che portano l’adolescente o ilgiovane ad essere poi vulnerabiledavanti all’amico più grande o piùdisinibito che una sera gli proponequalcosa di più eccitante. Ma cihanno detto che la società e soprat-tutto la famiglia possono giocare diprevenzione. Don Alberto ci ha lasciato alcuni sug-gerimenti preziosi: lasciate che i vostrifigli portino il peso delle loro respon-sabilità, ad ogni età, fin da piccoli,senza toglierglielo dalle spalle nellaconvinzione di far loro del bene. Fatein modo che la sera vadano a dormirecon la soddisfazione di aver fatto delloro meglio. Insegnate ai vostri ragaz-zi i valori veri della vita: la sincerità,l’onestà, il rispetto verso loro stessi egli altri, l’importanza della paroladata. Fate in modo che desiderino,aspettino e conquistino qualcosa: benaltro sapore avrebbe così l’oggettodesiderato, ben altra stima di lorostessi sentirebbero.Non è facile recepire tali messaggi nelnostro benessere, dove il consumo

impera e dove tutti vogliamo tutto esubito. Ma ringraziamo don Albertoper i suggerimenti che ci ha dato e loabbracciamo forte, e con lui abbrac-ciamo e ringraziamo Angelo e Fabioche ci hanno fatto ricordare una bellacanzone di De André che canta: “...Non saranno gigli ma pur sempre figlie vittime di questo mondo...”.Sentiamo il dovere di informare lagenerosa comunità di Piansano chenei giorni 29 e 30 marzo sono statiraccolti per il Ce.i.s. San Crispino(ossia tutto l’apparato composto daaccoglienza e varie comunità per ilrecupero di tossicodipendenti diViterbo, presieduto da don Alberto)circa 900 euro con la vendita di botti-glie di olio biologico da loro prodotto.Vogliamo infine aggiungere che sealcuni dei nostri ragazzi volessero pro-seguire la chiacchierata con donAlberto e gli ospiti della comunità, oavessero altre domande da fare, nondevono far altro che rivolgersi a donAndrea o alle mamme all’oratorio,poiché don Alberto si è reso disponibi-le per un’eventuale continuazione deldiscorso.

Don Alberto tra noi per affrontare il problema della droga

Anno catechisticoLa sera di sabato 7 giugno al salone parrocchiale si è concluso il catechi-smo 2007/2008 con tanti canti e delle mini-recite. Hanno partecipatotutti i bambini delle scuole elementari, i ragazzi della scuola media e diprima superiore. Le recite erano incentrate sui valori della solidarietà,della tolleranza, dell’altruismo, del rispetto delle persone anziane..., valo-ri oggi un po’ dimenticati, che la società non propone.Il salone era gremito di persone, con tanta gente in piedi - genitori, nonni,familiari... - ed ognuno si è spesso ritrovato ad immedesimarsi nei varipersonaggi proposti: un buon modo per fermarsi a riflettere, sia per i gran-di, sia per i bambini. La serata è stata allietata dai ragazzi del prof. BrunoDel Papa, che con chitarre e tastiere hanno eseguito diverse canzoni.Un ringraziamento caloroso va alle catechiste per il duro lavoro svolto esoprattutto per quello fatto durante l’anno: spesso con tanto spirito disacrificio hanno messo da parte i loro interessi per mettersi a disposizio-ne della comunità e dei ragazzi. Un grazie infine a don Andrea per il coor-dinamento, e un arrivederci al prossimo anno.

Dalla parrocchia

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essendo di indole focosa, era maneggevole ed affettuo-sa, e dimostrò subito la sua innata intelligenza per laspiccata capacità di imparare i comandi ed eseguirlidocilmente. Man mano che la puledra cresceva, il suomantello diveniva sempre più grigio, finché da adultaassunse un colore grigio-scuro, schizzato di marrone. Quando raggiunse i due anni di età, mio padre ritennegiunto il momento che la puledra cominciasse a ren-dersi utile, e un giorno le infilò il pettorale per farle trai-nare l’èrpice (attrezzo di ferro, largo e dentato, cheall’epoca serviva a spianare il terreno arato e coprirele sementi). La puledra rispondeva bene ai comandiche mio padre le impartiva attraverso le guide (redini),finché per la troppa facilità mio padre commise unerrore: lasciò le guide e si mise a gettar lontano alcunisassi che l’erpice aveva portato in superficie.Sentendosi libera, la puledra cominciò a muoversi perraggiungere l’altra cavalla che distava una cinquantinadi metri. Partì di passo, poi cominciò a trottare.Urtando tra i sassi, l’erpice sobbalzava producendo unrumore sinistro che le sensibili orecchie della puledranon avevano mai sentito. Sicché questa ebbe paura ecominciò a correre, aggravando così la situazione. Miopadre cercò di rimediare correndole dietro e chiaman-dola. Troppo tardi. Ormai in preda al panico, la pule-dra correva all’impazzata trascinandosi dietro il peri-coloso ferro dentato. Non c’era ostacolo che la fermas-

Strapaese

UmbertoMezzetti

StellaUn altro racconto del nostro autore di tante storie diStrapaese. Un racconto “serio”, semplice, ricordocommosso di un bellissimo esemplare di cavallo chetanta parte ebbe nella storia di famiglia dell’autore,compagno di lavoro e presenza affettuosa per unalunga fase della vita.Vogliamo proporlo non solo come lettura gradevole diricordi adolescenziali (tra l’altro anche per le immagi-ni davvero inedite di un giovane Tonino Imperiali), maanche come testimonianza del diverso rapporto congli animali - vicino nel tempo e insieme lontano anniluce dalla sensibilità odierna - esistente nei paesi con-tadini fino a mezzo secolo fa. Un rapporto severo eprofondamente affettuoso, “vero”, come tutto ciò chenasce dalle necessità primarie dell’uomo e si irrobu-stisce per lunga faticosa consuetudine.

Ero bambino quando mio padre, agricoltore epastore, possedeva un’anziana cavalla gravidache in primavera partorì una bella puledra.Questa aveva il pelo color roano, la coda riccia

e nera, e in fronte aveva una vistosa macchia biancafrastagliata a forma di stella. Da qui il nome.La puledra cresceva bene, vivace, snella, docile.Quando veniva lasciata libera nei campi insieme allamadre, correva veloce in semicerchio, allungando ilcollo e drizzando la coda come certi purosangue. Pur

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se. Scavalcò fratte, fossati, reti per le pecore, e persinostaccionate munite di filo spinato. Eravamo nella zonadel Fiocchino. Mio padre, confuso, amareggiato, sisentì colpevole dell’accaduto e con il patema d’animoche potete immaginare si mise a seguire la direzionedella puledra, sperando in cuor suo di ritrovarla nonmolto lontano. Ma questa speranza veniva sempremeno man mano che lungo il percorso trovava i pezzideformati dell’erpice, l’attacco, collegato a questo,macchiato di sangue, e i lunghi crini della coda e delcollo impigliati nelle fratte e nei fili spinati. Ancora piùavanti trovò ampie chiazze di sangue sulle erbe e sulterreno, e a questo punto credette che la puledra sifosse massacrata o sfracellata dentro qualche fosso.Avvilito, angosciato, proseguì la sua ricerca senza piùsperanza. Pensò a quei due anni di addestramentosprecati per una banalità, all’affezione che quella pule-dra aveva suscitato in lui e soprattutto in mia madre,che le voleva bene come fosse stata una componentedella famiglia. Sicché proseguì la ricerca in preda allosconforto finché giunse in prossimità della fonte diMarano. E qui, fosse per un pizzico di fortuna o perl’intercessione di Sant’Antonio - che mia madre invoca-va spesso affinché proteggesse quell’animale - miopadre trovò la puledra, che qualcuno aveva legato adun ramo. Era fradicia di sudo-re, tremante, convistose escoriazionisulle zampe e qua elà su tutto il corpo;nella coscia destraaveva uno squarciolargo e pro fondo, dacui il sangue uscivaco pioso imbrattan-dole coda e garretti.Mio padre le si avvi-cinò premuroso ecercò di confortarla,parlandole a acca -rezzandola sul mu -so. Alla sua vista lapuledra si rincuoròed emise qualchesommesso nitrito,poi mio padre lavò ecercò di tamponarela grossa ferita san -guinolenta. Per cu -rar la a dovere fuchia mato il veterina-rio di Capodimonte,il dottor Moschini,che alla vista dellemolteplici ferite siimpressionò e dissesubito che per medi-

carla bisognava legarle le zampe in modo che non simuovesse e non scalciasse. Mio padre si oppose:“Dotto’, le piede je le reggio io. State tranquillo che lapolléra ‘n se mòve”. E la puledra non si muoveva.Sopportava le cure senza alzare un piede, nemmenoquando nella ferita della coscia le infilavano un tubet-to di platica collegato ad una pera di gomma che lespruzzava del disinfettante. Queste medicazioni dura-rono a lungo, e il veterinario rimaneva ogni volta stupi-to della docilità e della forza di volontà di quella pule-dra. “ ‘Sta cavalla l’ha capito - disse un giorno - che si jefamo male co’ le medicazione, è pe’ falla guari’”. Na -turalmente mia madre seguiva giornalmente le cure, eogni tanto, commossa, si asciugava gli occhi pieni dilacrime. La puledra guarì completamente e su tutte leparti del corpo le cicatrici scomparvero, ricoperte dalpelo. Ma sulla coscia destra rimase indelebile unavistosa cicatrice a forma di doppia vu rovesciata, tristemonito di quella brutta avventura.L’addestramento riprese, non senza qualche difficoltàper via della vivacità e dell’esuberanza della puledra,ormai cavalla. Ma mio padre era un buon addestratore,nell’usare sia le buone che le cattive maniere, e l’ani -male imparò alla perfezione ad eseguire i comandi, atrainare la coltrìna e l’èrpice. Poi mio padre comprò da

Lorenzino [Gu gliel -mi] una solida, pe -sante vignaròla, unavia di mezzo tra ilcarretto e il calessi-no, allora piuttostodiffusa come mezzodi trasporto cam -pestre. La ca vallaim parò a trainarlaegregiamente, e inbreve imparò anchea portare in groppa,cosa che poi diven-ne la sua specialità.Mio padre mi facevamontare fin da bam-bino ed io ne eroentusiasta. In quelperiodo non si usa-vano le selle comeora: erano un lussoche pochi si conce-devano. Si cavalcavaa pelo, o tutt’al più simetteva sulla grop-pa una sacchettavuota del grano. Di -venuto un po’ piùgrandicello, non per-devo occasione perfarmi una cavalcata,e per la mia gioventù

Strapaese

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e passione mi de streggiavo molto be neanche quando, nel periodo della semina,per scorciare un po’ di strada salivamoper le Coste de Pancéllo, quelle che da ViaValleforma portavano alla strada del Po’di Stecche. Superato il fosso, il tratturosaliva repentinamente, e per via dellepiogge e del gelo, degli smottamenti e del-l’ombra cupa che gravava sul posto acausa degli alti alberi che lo attanagliava-no, questo tratto era difficile da superareanche a piedi. Il percorso era viscido, concrepe profonde, e qua e là ostruito dagrossi massi che una natura selvatica viaveva fatto rotolare. Ma tutto questo nonci impressionava, eravamo abituati, epotevamo contare sull’abilità della cavallache anche in quelle circostanze sapeva come cavarse-la. Le caricavamo sul dorso il sacco contenente ilgrano per la semina giornaliera e via in marcia. Io stavocavalcioni sopra al sacco, dovevo sorreggerlo affinchénon scivolasse all’indietro, sicché mi aggrappavo conle mani alla folta criniera della cavalla con le gambrestrette intorno al sacco, come una scimmia. Mio padreseguiva a piedi, mantenendosi di lato per tenered’occhio la situazione. La cavalla mostrava tutta la suaintelligenza superando con cautela i punti più difficili,senza urti o sobbalzi che mi avrebbero fatto cadereinsieme al sacco. Così giungevamo indenni nel terrenodel Fiocchìno o in quello de le Formóne.Col passare del tempo la cavalla affinò le sue doti, esal-tate dall’addestramento pressoché costante che miopadre le impartiva, tanto da raggiunere livelli circensi.Molti bambini di allora, ormai sessantenni e passa,quando vedevano mio padre di ritorno dall’abbeverataalla Fonte del Giglio gli chiedevano: “Ore’, fateje fa’ ‘lcavallo campione!”, riferendosi alle avventure di unnoto cavallo “televisivo” di allora. Mio padre li accon-tentava. Lasciava libera la cavalla togliendole la cavez-za, e nel tratto che da Checcarìno entra in ViaValleforma la incitava, battendosi le mani sulle cosce edicendole: “Via, fa’ le giòche!”. La cavalla partiva algaloppo inarcando il collo, alzandosi dritta a candela,reggendosi sulle zampe posteriori e rampando con leanteriori. Quindi tornava con le zampe a terra e scrol-lava la testa scalciando. Quando mio padre la richia-mava a fischio, la cavalla si fermava e tornava da luiper farsi mettere la cavezza, e quei ragazzini si allonta-navano soddisfatti.Molte altre cose imparò, quella cavalla. Ad esempiobastava metterle davanti al muso il pettorale perché leivi infilasse dentro il collo; oppure, quando era tuttabardata dei finimenti per essere attaccata alla vignarò-la, mio padre le diceva: “Via, va sotto!”, e lei si mettevada sola nella giusta posizione tra le stanghe. Quandodovevamo salirle in groppa, la avvicinavamo a qualcherialzo del terreno, o meglio ancora a qualche muretto;in questo caso la cavalla si metteva in posizione offren-

do la parte sinistra, che meglio si prestaper salire e scendere. Se non era vicinaabbastanza da farci salire agevolmente,mio padre le diceva: “Ao’, ma ‘n te pared’èssa troppo distante? Tìrete qua!”, e leisi accostava ancora, tanto che bastavaalzare la gamba destra per ritrovarsi acavallo. Per guidarla non servivano bri-glie né capezzóne; bastava metterle unpezzo di corda intorno al collo e conquesta la guidavi con leggerezza in ognidirezione voluta.In quegli anni si partiva per i campi almattino e si ritornava la sera. Quando lacavalla non serviva per il lavoro, lalasciavamo pascolare libera negli spaziincolti e negli stradoni di confine. Però,

per il continuo brucare, in quegli spazi ristretti l’erbaera scarsa e poco appetitosa. Di contro, il grano che inprimavera cresceva rigoglioso lì a portata di bocca, eraun boccone ghiotto ed invitante, e perciò la cavallaogni tanto ci provava, allungava il collo e se ne riempi-va la bocca. Ma mio padre che la teneva d’occhio, contono imperativo le gridava: “Brutta birbacciona, lassafa’ quel grano!”. E lei ritornava composta al suo posto.La sera, quando era ora di tornare a casa, la chiamava-mo con una voce o con un fischio e lei accorreva pron-tamente. Aveva un solo difetto. Come già detto, era sempre sle-gata, e qualche volta, ubbidendo a chissà quale atavi-co genetico richiamo, alzava la testa guardando lonta-no, allargando le froge del naso emetteva tre o quattrosonori soffi, alzava la coda e partiva al galoppo. Sordaai richiami, nessuno riusciva a fermarla fin quandogiungeva davanti al cancello dell’orto dove avevamo lastalla. In questo caso mio padre non gliela faceva pas-sare liscia, ed oltre all’immediato viaggio di ritornol’animale si buscava una buona dose di bòtte. Ma que-ste repentine fughe accadevano raramente, sì e no unpaio di volte all’anno. Per farla stare più comoda lecostruimmo un piccolo recinto annesso alla stalla, conrelativo cancello di legno fermato da una corda benannodata. Ma in breve tempo la cavalla imparò a scio-gliere i nodi con i denti, con un colpo di muso apriva ilcancello e noi la ritrovavamo a zonzo dove voleva.Dovemmo legare il cancello con un robusto filo di ferroben attorcigliato.A furia di salirle in groppa e scendere, io ero talmenteallenato che le balzavo sopra usando una sola mano.Gli adulti presenti si stupivano, e quando Sante DeCarli, il padre di Ubaldo il giornalaio, mi vedeva con lacavalla, non perdeva occasione per farmi esibire:“Umbe’, famme ‘n po’ veda come piane a cavallo”, dice-va. Io non mi facevo certo pregare: mettevo la manodestra sulla criniera, spiccavo un salto ed ero in grop-pa, e il volto di Sante, sempre un po’ cupo per natura,si apriva compiaciuto ad un lieve sorriso.

(continua)

Strapaese

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Simbolo dai colori vivaci, il trigram-ma veniva posto in locali pubblici eprivati. Fu disegnato da San Bernar -dino stesso, per questo è considera-to “Patrono dei Pubblicitari”.

Il simbolo consiste in un sole raggian-te in un campo azzurro. Sopra cisono le lettere I H S che sono le primetre del nome di Gesù in greco. Adogni elemento del simbolo Ber -nardino applicò un significato: il SOLECENTRALE è chiara allusione a Cristoche dà la vita come fa il sole; il caloredel sole è diffuso dai RAGGI, ed eccoallora i dodici raggi serpeggianti, cioèi dodici apostoli, e poi da otto raggidiretti che rappresentano le beatitu-dini; la fascia che circonda il sole rap-presenta la felicità dei beati che nonha termine; il CELESTE dello sfondo èsimbolo della fede; l’ORO è simbolodell’amore.

Il trigramma di San Bernardinodi Loretta Mattei(classe 1968)

Comitato festeggiamenti classe 1968

realizzato dai bambini della scuola dell’infanzia

realizzato dai bambini della 3a elementare

realizzato dai ragazzi della 3a media su com-pensato di legno, sarà posto nella chiesina del-l’oratorio

realizzato dai ragazzi del catechismo di 1a media

Dopo 600 anni un simboloancora attuale, pieno di si -gnificati storici, culturali ereligiosi. Simbolo di fede e

di evangelizzazione che porta con séun nome ancora di moda.Così i ragazzi delle nostre scuole, susollecitazione del comitato festeg gia -menti (classe 1968) in oc casione del -la ricorrenza del santo patrono, dallascuola dell’infanzia alla scuola medialo hanno interpretato e rappresenta-to, grazie alla collaborazione dell’in -se gnante di religione Ciri pic chioMarica, dell’insegnante di edu ca zio -ne artistica Mei Ornella e delle cate-chiste Milvia, Marcella e Oliva.

raccolta di notizie e curiosità storiche sullafigura di San Bernardino realizzato dai ragazzidel catechismo di 2a media

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dallaTuscia

Vincenzo Ceniti

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Per un tragico erroreuccide il padre e la madreSan Giuliano detto l’“Ospitaliere” è il patrono di Faleria, che lo ricorda due volteall’anno con solenni liturgie. Della sua travagliata esistenza, che si concluse con unasofferta redenzione, parla anche Gustave Flaubert in uno dei suoi “Tre racconti”

Parricida e matricida, poi santo. Durante una bat-tuta di caccia Giuliano trafisse per sua disgraziaun cervo fatato che prima di morire gli fece unapremonizione agghiacciante: “Ucciderai i tuoi

genitori”. Sconvolto da questo anatema, scappò di casa ilpiù lontano possibile dal padre e dalla madre. Conobbein terra sconosciuta una castellana e la sposò. I genitoriche da tempo stavano alla ricerca del figlio, giunsero ungiorno al castello di Giuliano dove, in sua assenza, ven-nero accolti dalla moglie. La premurosa nuora li fece rifo-cillare offrendo loro il proprio letto perché potesseromeglio riposare del lungo viaggio. Giuliano, insidiato daldiavolo, ritornò improvvisamente di notte e trovando iltalamo nuziale occupato ebbe l’impressione di vederenella penombra sua moglie giacere con un amante.Accecato dall’ira sfoderò la spada e uccise, secondo laprofezia, i malcapitati genitori.Per redimere l’anima dall’infa-me delitto giurò penitenzaaffrontando una vita di caritànei confronti del prossimo esoprattutto dei malati e deibisognosi (verrà chiamatol’“Ospitaliere”), trasformandoil suo castello in un ospedale.Si adoperò anche per traghet-tare i pellegrini da una rivaall’altra di un corso d’acquaalquanto malsicuro. In unanotte di tempesta, visto un leb-broso in difficoltà nel fiume,incurante del pericolo del con-tagio, scese in acqua e lo soc-corse. Mentre lo trasportavasulle braccia, s’accorse chequel lebbroso era Gesù in per-sona che dopo averlo benedet-to sparì. Fin qui la leggenda.Giu liano è davvero esistito?Per gli occhi della Chiesa nonha importanza; contano solo lasua sofferta redenzione el’esempio che viene dato aifedeli. Nel Viterbese è veneratoa Faleria (dove è patrono dal1442) che gli ha dedicato lachiesa romanica nel centro

storico dove è custodito un affresco quattrocentescocon l’immagine del santo. La sua devozione è molto radi-cata nel paese ed i fedeli sanno esprimerla con gesti dav-vero singolari. Intanto la sua memoria viene celebratadue volte all’anno, a gennaio e maggio. La secondadomenica di gennaio, oltre alla messa, si svolge la pro-cessione in suo onore e si procede al sorteggio di duecapifamiglia (festaroli) che hanno il privilegio di conser-vare nelle rispettive abitazioni un piccolo simulacro inmetallo, deposto su un occasionale altarino, conl’obbligo, specialmente durante la prima settimana, diaprire la porta a chiunque desideri venerarlo. L’impegnoè anche quello di offrire vino e dolcetti della casa. Ilprimo festarolo tiene la statuina da gennaio ad aprile e ilsecondo da maggio a settembre. Le celebrazioni liturgi-che si ripetono con maggiore partecipazione, complice il

bel tempo, la terza domenicadi maggio. In questo caso laprocessione si svolge duevolte: la sera del sabato e ladomenica successiva dopo lamessa. San Giuliano è venera-to in numerosi paesi europei:Belgio, Francia, Spagna. InItalia mol te città ricorronoalla sua protezione, comeMacerata, che conserva nel-l’atrio della pinacoteca comu-nale una scultura (1326) raffi-gurante il santo a cavallo. ARoma la chiesa tardo sei -centesca di San GiulianoOspi taliere (nei pressi dilargo Argentina) è dal 1844tempio nazionale dei Belgi. Lasua singolare tragedia rivivein molti testi latini, di linguaromanza e contemporanea.Gustave Flaubert, l’autore di“Madame Bova ry”, ne ha fattoil personaggio di uno dei “Treracconti” scritti tra il 1875 e il1876.

San Giuliano nella pala d’altareall’interno della chiesadi Faleria a lui dedicata

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Quella che segue è una brutta“Storia di Adulterio, Pregnan -za, Parto illegittimo, Vita sco-stumata e Scandalosa”, come

recita il titolo del processo tenutosipresso il Tribunale Ecclesiastico diMon te fiascone. Racconta d’un fattoav venuto centosettantacinque anni fae, a modo proprio, è anche una storiad’amore, o di amori, che evidenzia sen-timenti femminili mal riposti nel classi-co personaggio dal fascinoso bello edannato le cui pessime azioni, anzichésqualificarlo, gli conferiscono un alonedi accattivante attrazione relegando ledonne che di lui s’invaghiscono alruolo di vittime.

La cronaca iniziale degli accadimentiriguarda la prevenzione di un possibileinfanticidio. Era esattamente il dueottobre 1833 ed avvalendosi dellalegge che prevedeva l’intromissionenelle abitazioni private, monsignorVicario Generale decise d’intervenireman dando in casa di Teresa B., detta laFrociona, abitante a Mon tefiascone incontrada il Butinale presso via delBorgo, il Cancel liere CommissarioCrimina le Comunale, Filippo Paradisi.Secondo attendibili voci, Teresa B. eragravida senz’essere coniugata e prossi-ma al parto, avendone avuto i segnipremonitori. Alle ore 22, il vicarioParadisi si recò pertanto presso

l’abitazione indicata, situata al lato delpalazzo Lampani, ove trovò duedonne: la Frociona che emettevalamenti e l’anziana madre che la conso-lava. Le lagnanze della partoriente,come presto scoprì il commissario,non erano dovute alle doglie ma altimore dell’arrivo del fratello che, igna-ro della situazione, l’avrebbe sicura-mente picchiata a sangue per il disono-re che essa arrecava alla famiglia. Pertranquillizzare e confortare la donna, ilcommissario chiamò allora la pubblicae approvata levatrice Ridei, dettaPelina, alla quale fece giurare di riferiresolamente a lui l’andamento del trava-glio. Le chiese inoltre di verificare se la

NormandoOnofri

Montefiascone

dallaTuscia

Il processo a “la Frociona”

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partoriente era in condizione di cam-minare per trasferirla in altro luogo evi-tando così l’incontro col terribile fra-tello. L’ostetrica controllò ed emise ilsuo verdetto: sarebbero passate altrecinque ore prima del parto e laFrociona poteva sopportare lo sposta-mento ad altra sede. Si formò allora unquartetto di persone che, favorito dalbuio della notte, lentamente prese laVia della Rocca ove si fermò in unadelle camere appartate al lato dellaStamperia.Dopo un paio d’ore, quando l’ostetricaPelina comunicò al commissariol’avvenuta nascita di un maschiettovitale, ricevette l’immediato incarico diportare il neonato alla Casa degliEsposti (trovatelli) in Viterbo e tornarecon la relativa documentazione. Il pro-cesso per porre riparo allo scandalo eper determinare sia l’autore della pre-gnanza sia lo stato di nubilato dellacorrea cominciò il successivo dicias-sette ottobre con gl’interrogatori deisingoli testimoni, previo loro giura-mento dopo aver toccato le scritture,di dire la verità senza mentire e senzaoccultare.Prima testimone fu Teresa C. dimoran-te in contrada il Butinale: “Pel vicinato,da un anno in qua, viene un certo N.Calisti di Cel leno, uomo di nome pessi-mo circa le Donne. Viene quasi sempreil dopo pranzo e talvolta anche la matti-na. Pel vicinato quando si vedeva, dice-vano tutti: ecco lo zimbello e se è veroche la Frociona ha partorito dico chenon può essere stato che lui perché laragazza non s’è veduta mai con nessu-no. Confermo la deposizione e aggiungoche il Calisti ha moglie e la Frociona èzitella”.La testimonianza di Anna Maria M.,ventiquattrenne montefiasconese,donna di servizio in Viterbo: “Tutta lafamiglia de la Frociona s’era stabilita aViterbo in zona la Crocetta, ma ho senti-to che furono cacciati via. Sulla gravi-danza della figlia tutti dicono che è statoN. Calisti e tutti ci convengono perché ilCalisti in genere di donne è un pezzac-cio e si sa che ne ha rovinate parecchie.Inoltre, una sera dello scorso mese diaprile o maggio presso la Porta diBorgariglia ho visto Calisti dietro laFrociona. Sua sorella più giovane, dettala Bicchierina, era invece sotto bracciocon Giovanni P., suo padrone di casa”.La teste successiva fu Marianna C.: “Houn solo figlio maschio nato lo scorsodicembre e la Commare fu la sorella dela Frociona, Margherita detta la

Bicchierina. Lo scorso aprile io e miomarito andammo a trovare la Commarein casa sua per mostrarle il bambino ein casa c’era anche l’altra sorella,Teresa detta la Frociona ed un certo N.Calisti. Dopo essere uscita con mio mari-to risalii in fretta per riprendere il fazzo-letto che m’ero dimenticata e trovai chela madre era andata via e la Frocionaera seduta proprio accanto accanto alCalisti ond’io capii che s’erano intimori-ti assai quando mi videro comparire enon sapevano che se dì e che se fa. Oraper tutte le botteghe e per tutte le stradesi sente dire che la Fro ciona ha partori-to e che l’autore è N. Calisti, uomoammogliato del quale ho sempre intesodire di guardarsi bene da lui perchéavea rovinato sei o sette ragazze”. Fu la volta di Serafina R., trentenne:“Faccio la Viniera, ossia vendo vino, incontrada Butinale, vicino a CasaLampani. Lo vendo a molti e conoscotutte la famiglie della zona, compresaquella di B. che è composta di padre,madre, due fratelli e due sorelle. Si sentedire dappertutto che la figlia grande,Teresa detta la Frociona, abbia partoritosenza aver marito anche se l’autore sidice che sia stato N. Calisti che, per ledonne, buscherelo quant’è cattivo!Quando veniva il Calisti e saliva incasa, la madre scendeva a pigliare unboccale lasciandolo solo con laFrociona per cui ben gli sta quello chegli è accaduto perché siamo tutti diMonte Fiascone e sapemo bene qualisono le pecore bianche e quali le nere”.La testimonianza di Giovanni P., venti-settenne stampatore, celibe: “Posseggouna casa in Contrada Borgariglia diSopra e l’ho appiggionata a varj tra iquali Tommaso B. con tutta la sua fami-glia. Di costui dicono che la figlia piùgrande detta la Frociona abbia partoritosenza aver marito. Mi sono recato piùvolte in casa loro per chiedere la pigio-ne o per avere vino, che pubblicamentevendevano. Con più frequenza di altri ciho veduto N. Calisti che domandi purequante ragazze ha rovinato e sentiràche tutti dicono: arrabbialo Calisti, ne hafatta un’altra! Poi, su suggerimento delCano nico De Angelis mandai via tutta lafamiglia B. da casa mia per la condottadelle figlie con gli uomini, specialmentela Frociona col Calisti, dato che lui hamoglie”.Agli atti del Tribunale Ecclesiastico diMontefiascone contro N. Calisti diCelleno ma domiciliato in Montefia sco -ne, furono rinvenuti numerosi addebitigiudiziari. Nell’anno 1814 risultò: Il

Calisti è ritenuto e provato inimico delGoverno Pontificio avendo con allegrez-za detto “E’ finito il Governo dei Preti”,appartiene egli alla Setta Massonica, èstato persecutore dei Ministri delSantuario, ha negato l’esistenza delPurgatorio chiamandolo “Bot teghino deiPreti”. Egli mena vita eccessiva, dissolu-ta e scandalosa, ha confessato extrajudi-cium d’essere stato complice nell’ucci-sione di certo Leopoldo G. In aggiunta,l’imputato era stato riconosciuto autoredi due pregnanze nella stessa giovanenubile Annunziata P., allorché la ritene-va al suo servizio nonché quando stavain casa di Girolamo M. Nell’anno 1816 emerse: Il Calisti ha tra-smesso la Lue venerea a Lucrezia C.moglie di Giovanni Battista C. che avuto-ne infezione avvenne la divisione delMatrimonio. Scaturì inoltre chel’imputato aveva avuto una scandalosapratica con certa femmina di Cellenoper nome Agnese la quale veniva a tro-varlo in una delle casette in Contrada“Le Cannelle”, mentre nel 1819 risultòautore di una pregnanza nella giovaneAnna Maria F.Nell’anno 1827 il Calisti fu autore di unapregnanza nella giovane Marina C. allaquale suggerì d’incolpare un incognito,cosa che la corresponsabile eseguì,rimanendo in contraddizione e con testi-moni de visu alla copula col Calisti.Risultò inoltre che l’anno precedentecon la stessa Marina C. s’era fatto reo diun’altra pregnanza e anche in quell’oc-casione le aveva suggerito egual sotter-fugio, pienamente escluso dagli Atti.Dalla documentazione fu accertataanche la condanna a mesi due diEsercizi Spirituali (sic!) nel Ritiro diVetralla. Alla ripresa del processo, il cancelliereFilippo Paradisi sentenziò che, avendoacquisito un cumulo d’indizi sufficientia farne ragione di prova, si proponevacontro l’inquisito N. Calisti l’ordine diarresto con riserva d’invocare qualun-que altra misura contro la correa TeresaB. detta la Frociona, attualmente puer-pera. Il giorno dopo, 18 ottobre 1833, ilcomandante la brigata dei carabinieri,maresciallo Poccioni, comunicò che N.Calisti si trovava già in prigione perdebiti e rimaneva a disposizione dellamagistratura.Quasi come ai giorni nostri, una laconi-ca annotazione del cancelliere FilippoParadisi conclude la documentazionepervenutaci: “Il presente incarto non haproceduto più oltre con rapidità”.

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� La piazza di Montefiascone nei primi decenni dell’800, disegno di Ludwig Emil Grimm

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La chiesa della Madonna del Carmine sorge sulla via diValenta no, poco prima del bivio che conduce alcastello di S. Cristina. Co me tutti gli oratori campestridi Onano, anche quello dedicato alla Madonna del

Carmine è di origine cinquecentesca, anche se di quel temponon si riconosce nulla.Le notizie su questo tempietto sono scarse, sembra che siastato ricostruito due volte. Nella prima ricostruzione l’edificiorisultava di modestissime dimensioni tanto da contenereappena l’altare; con la seconda, datata 1964, ha assuntol’attuale conformazione.In tempi andati, secondo la preziosa testimonianza del Cabro

di don Bernardino Luzi, la chiesina del Carmine era detta“Madonna del Bargello”, perché fatta per sua devozione dalbargello di stanza a Onano (col termine bargello si usavaindicare l’ufficiale longobardo incaricato di controllare ilcastello). All’interno vi era un affresco, oggi scomparso, cheraffigurava la Madonna del Carmine e attribuito al concitta-dino Serafino Can-nucciari. Attualmente il tempietto è moltocurato sia all’interno che all’esterno, e questo grazie all’im-pegno assunto dalla famiglia Eutizi, ed in particolare dalmaestro Dario, onanese di adozione visto che le sue originisono piansanesi, e stimatissimo maestro della locale scuolaelementare.

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di Giuliano Giuliani

Onano La chiesa dellaMadonna del Carmine

Dal re della forestaall’uomo sapiens,c’è in mezzo S. Antonio Abate.

Curatore e saggista,ieri come oggi, per un mondo naturalista.

Come santo di parte, Antonio, sicuramente e più di ogni altro,deve aver visto all’opera, e capito, il saggiodel piccolo ragno appena nato.

Un mistero come tantiper la trama del ricamo:per Antonio a prima vistail Paradiso Santo.

Dal Sacro al profano,se è vero che il 17 di ogni meseda tutti è schivato,per Antonio e la sua genteè un giorno fortunato.

L’alba è salutatada un fragoroso sparo,mentre in piazzaper la grigliatabrucia il cioccoper tuttala giornata.

Man mano che la notte si va spegnendo nel silenzioecco che arrivan fumanti in tavolail maiale, la pecora e l’agnello.

Il tutto per l’uomo forchettoneamante della cicciaarrivato in piazza a piedie non più a cavallo della miccia.

Come avrebbe voluta la tradizioneuomo e somaro insiemeper la santa benedizione.

Un connubio, questo, antico quanto il pane,tanto nobile quanto bastonato,che oggi più non vale.

Da quando il mezzo agricolo, il trattore,in concorrenza per l’acqua santa,si è presentato ad Antonio,anche per la bottiglia di champagna.

In piazza intantola festa incalza:corre il sacco, la padellae la pentolacciae come da copionecorrono pure le maccherone.

Assenti...per essere ricordati, primo fino a ieri, eprimi a figurare:il palio con l’asino,la corsa del saracinoe l’albero della cuccagnada fusto insaponato.

Memorie a tutt’oggi in vita a noi grandi.

Al termine della Santa Messa dell’ora media,pronta è la bandaper il consuetoservizio in piazza, il popolo frontalmente schieratoplaudente ringrazia.

A questo punto,dopo un pranzo a strozzo, tipico di un manovale, eccoci di nuovo in piazzaper la stretta finale.

Parte favoritoil carro di Antoniocon pochi animali e di spalle il demoniopiù sorridente che mai:non tanto per l’uomo Santoin quanto tale, bensì per il carro che segue,a tutto vantaggio del re carnevale.

Un re sorridente e magico, aperto a tutti, a piccoli e grandi, per la gioia di un giornocostellato di coriandoli,di trombette e ciuffoli,di tamburi e piatti:chi suona bene e chi suola male, e chi gioca alla farina,schiuma e talco, poiper giorni e giorniperdenti e vincenti,tutti avranno di che spazzolare.

Dopo cena le foche,in piazza le girandolee poe la buonanotte.

Questa festa per il paese di Onano,lasciatemelo dire,è la festa folcloristicapiù bella dell’anno:“S. Antonio Abate”dal campanelloa lungo richiamo, lui benedice per far star benetutto l’anno

Francesco Massella

Onano in festa: Sant’Antonio abate minuto per minuto

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Quando nel marzo1969 tutto il con-tenuto del castellodi Torre Alfina

andò all’asta perché lebanche lo requisirono perdebiti al proprietarioAlberto Baroli di Roma, lacollezione di ope re e arredid’arte accumulata daTeofilo Rodolfo Cahen erauna delle più prestigiosed’Italia. Il marchese diTorre Alfina, raffinato uomodi cultura, le aveva raccol-te in più di un trentennio.Amico di Matilde Serao edi Gabriele D’Annunzio, ri -tratti insieme a lui nellepitture murali della galleriaal piano nobile, vide anno-verate le sue ricchezzenegli annali turistici del-l’epoca, finché la furianazista non si abbattésulla testa degli ebrei.Costretto a un esilio forza-to e seguito solo dal mag-giordomo a cui lascerà tutti

i suoi averi, non fece ritor-no a Torre Alfina se nonper chiudere il bilancio diun’epoca or mai definitiva-mente passata.Salvati persino dalla guer-ra, anche col concorso dimolti torresi, in meno didieci anni gli arredi furono

completamente dispersi.Trasportati sui camion dinotte senza che i piùimmaginassero tanto sface-lo, i 1296 “articoli” venne-ro battuti in un’asta colos-sale durata otto giornipresso l’Hotel CavalieriHilton di Roma.

Primo articolo battuto:coppa circolare con piattoin ottone lavorato; ultimo:caffettiera in Sheffield. Inmezzo: arazzi, tappeti,salotti, scrigni e tavoliintarsiati, opere pittorichedi Andrea del Sarto,Innocenzo da Imola, LucaCambiaso, Giulio Romano,Agostino Carracci... Ciòche più ci manca sono idue busti in marmo, forse

di Rita Pepparulli

Torre Alfina

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Una vendita all’asta colossale

Busti marmorei di Sforza Cervara e Dianira Baglioni (fine sec. XVI)attribuibili a Ippolito Scalza

Copertina del catalogo

Castello di Totte Alfina: la prima galleria Sarcofago etrusco Statua romana

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opera dello scultore earchitetto orvietanoIppolito Scalza, che ritrae-vano Sforza Cervara e suamoglie Dianira Baglioni,signori di Torre Alfina nellaseconda metà del ‘500 eai quali si deve l’ultimaepoca d’oro della famiglia

Monaldeschi in questi luo-ghi. Erano loro dei veri abi-tatori del castello, i numitutelari da più di quattro-cento anni. Ma i creditori,si sa, non amano inutili“distinguo” di carattereculturale e tantomenoaffettivo.

Da allora la società SIATAgestisce castello e proprietà,il tutto rimasto pressochéinvariato per circa un qua-rantennio, anche se passatoper più mani: negli annisettanta quelle di una socie-tà di architetti romani; daiprimi anni ottanta al 2005

quelle di Luciano Gaucci,fino al disastroso crack delPerugia Calcio. Ancora oggiil castello è sottoposto asequestro, solitario e titu-bante del suo futuro, dinuovo abbandonato comequando Edoardo Cahen loacquistò nel 1881.

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Andrea del Santo: Madonna col Bambino Luca Cambiaso: il bagno di Diana Giulio Romano: ritratto femminile

Agostino Carracci: San Gerolamo Elisabetta Vigee-Lebrun: Carlotta Corday in carcere

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Negli anni 1905-6-7 emigraro-no negli Stati Uniti circaduecento grottani. Alcunidi questi si trasferirono

per lavoro nella città di WhitePlains, una sessantina di chilometria nord di New York. Tra questi viera anche Berna Antonio di Fran -cesco.Metto in evidenza questo emigratopoiché un amico, venuto a cono-scenza delle mie ricerche fatte sugliemigranti nel nostro paese, mi haregalato un piccolo testo scolasticodal titolo “Libro illustrato di linguainglese - English-Italian languagebook and reader”, edito a Boston nel1907, nel quale, nella sua primapagina, è riportato a matita il nomi-nativo di Berna Antonio. Il volumet-to era stato consegnato all’immigra-to, il 25 gennaio del 1908, dalla dire-zione della scuola serale di WhitePlains. Per comprenderne lo spiritoe lo scopo, riporto in parte quanto èscritto nella sua prefazione:“Questo piccolo libro è stato prepara-to specialmente per gli operai italia-ni, che vengono in America a vivereonestamente. Senza la conoscenzadel linguaggio l’operaio è in difficol-tà, e non può trovarsi un impiego, népuò soddisfare a chi lo impiega.Dovendo poi diventare un cittadinoamericano, ha bisogno anche diconoscere i costumi e le leggi delPaese; i privilegi ed i vantaggi che glisi offrono, e come evitare ingannocontro se stesso e offese contro lalegge della nuova Patria [...] Di gior-no per lo più si lavora; perciò l’adultoforestiero deve dipendere per la suaistruzione dal nostro sistema dellescuole serali”.E’ evidente che potevano frequenta-re questo tipo di scuola soltantocoloro che non erano analfabeti.Berna aveva sicuramente fatto,come era nella consuetudine di allo-

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AdelioMarziantonio

Grotte di Castro Italian bookun testo scolastico del 1907

scritto per gli emigranti italiani in U.S.A.

English-Italian language book, Map of Italy

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ra, la terza elementare. Infatti nel-l’ultima pagina in bianco del volu-metto compare la copia di una lette-ra, scritta a matita da Antonio ad unamico, nella quale è riportata ladata 19-9-1908. E la località: VatePlense, scritta come la pronunciava-no in modo deformato gli italiani.Il testo si articola in 32 lezioni e 26letture. Tra le varie illustrazionicompaiono le carte geografichedegli U.S.A. e dell’Italia. Ho volutoriprodurre quest’ultima perché, trale altre curiosità (si noti per esem-pio il confine con l’Austria di primadella guerra, e i territori jugoslaviancora soggetti all’impero ottoma-no), vi è riportata anche la città diViterbo che non era capoluogo diprovincia.La lettura n. 24 “The night school”descrive come si svolgevano lelezioni: “Vi è un’aula, con lavagnealle pareti, un lungo tavolo e intornoad esso sono seduti una dozzina diragazzi. Gli scolari vanno dai 16 ai18 anni ed oltre, sono uomini chevengono dopo il loro lavoro; alcunisono barbieri, sarti, calzolai, murato-ri, giardinieri, fruttaioli, altri sonolavoratori giornalieri che fanno qua-lunque lavoro che gli capita.Vengono a scuola per impararel’inglese, perché non desideranovivere in America come ‘forestieri’,in un paese straniero...”. La lezionecontinua con insegnamenti di geo-gragia e storia americana.L’ultima lettura, dal titolo “A word ofadvice!” (una parola di consiglio),che è stata scritta da un “naturali-zed American”, è la seguente:“Conna zio nali, volete vivere bene inAmerica? Allora studiate la linguainglese, onorate le leggi di questaterra, rispettate voi stessi, aiutate ivostri fratelli, e non opprimeteli mai,abbiate fede in Dio, sopportate i vo -stri travagli con coraggio, non cerca-te mai la vendetta, e non disonoratemai il buon nome dell’Italia [...] Tuavrai molti amici e sarai benvenutoin questo Paese. Per l’onore del -l’Italia e il bene dell’Ame rica, tienipresente questa regola d’oro: ‘Dounto others ye [=you], would that

they should do unto you’”, il cui signi-ficato è il seguente: “Non fare maiagli altri quello che tu non vuoi siafatto a te”.Un solo commento: cento anni fa ungrande Paese, l’America, accoglievagli immigrati, ed allo scopo di inte-grarli aveva istituito le scuole serali,distribuendo gratuitamente un pic-colo testo scolastico che era unatestimonianza significativa di gran-de valore morale e dell’elevatosenso di civiltà del popolo america-no. Berna Antonio desideravadiventare cittadino americano edaveva messo da parte il denaro perpagare il viaggio in America allaconsorte, Filomena di Giovancarlo,insieme con i figli. Purtroppo ungrave infortunio, la perdita di unbraccio durante il lavoro, lo costrin-se a rientrare in patria. Al paeseriprese il suo faticoso e solitariolavoro di pastore che con sacrificioe coraggio aveva tentato invano dicambiare.

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Dott. Franklin Marini, nato a Binghamton(New York) nel 1928, nel giorno della laurea(1950). Era figlio del grottano AntonioMarini, emigrato in U.S.A. nel 1920, operaiodelle ferrovie. I padri, dunque, hanno forsefrequentato le scuole serali; i figli, in molti,hanno voluto raggiungere il massimo, il dot -torato all’università.

Il 7 dicembre, alla cerimonia diaperturra dell’anno accademico2007-2008 alla Scuola sottufficia-li dell’esercito, oltre alle autoritàcivili e militari della città era pre-sente il capo di stato maggioredell’esercito, generale di C.A.Fabrizio Castagnetti, che nel corsodella cerimonia ha tributato unencomio solenne ad un nostrocompaesano, il 1° marescialloGianfranco Sacco. Nel ripropornela motivazione, formuliamo alnostro bravo concittadino i nostricomplimenti insieme a vivissimiauguri.“Sottufficiale istruttore di nuoto eresponsabile delle attività natatoriedella Scuola Sottufficialidell’Esercito, in possesso di indi-scusse qualità umane, professiona-li e di carattere, ha costantementeoperato con impegno, serietà,costanza e senso di responsabilità.La sua azione formativa, di eleva-tissimo livello tecnico, è risultatasempre determinante per la prepa-razione psicofisica degli allievimarescialli. In particolare, durante un periododi nuoto libero dedicato ai fre-quentatori dei corsi, resosi contoche un allievo maresciallo erastato colto da malore ed era rima-sto privo di sensi sott’acqua, inter-veniva tempestivamente e, nelriconoscere i segni dell’annega-mento, praticava le necessarie tec-niche di rianimazione fino a farriprendere all’allievo maresciallol’attività respiratoria e cardio-circo-latoria. Successivamente, accortosidell’occlusione delle vie respirato-rie determinata dalle ripetute eviolente crisi dovute ai rigurgiti, siprodigava nel porre in atto tutte lepratiche di primo soccorso delcaso, al fine di mantenere in vital’allievo maresciallo Marini sinoall’arrivo del personale sanitario.Chiarissimo esempio di sottufficia-le animato da profondo senso deldovere e di responsabilità che, conil valore umano del gesto compiu-to, ha indubbiamente contribuito asalvare una vita umana e dareulteriore lustro alla Forza Armata”.

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“Correva un tempo / dietro a quelle pecore matte / per ipoggi / della piansanese...”.Questi versi di Pietro Pannucci richiamano tempi andatima, a guardar bene, essi possono ben fotografare il suospirito di oggi, sempre irrequieto e d’una irrequietezzasmaniosa, tesa alla continua ricerca di cose nuove, spaziinesplorati, mondi fantastici che possono ospitare con-temporaneamente immagini d’una infantilità disarmanteinsieme a spunti d’una profondità non meno disarmante. Ho avuto modo di conoscere Pietro in più occasioni,sempre legate ad eventi culturali, ed ho potuto apprezza-re la sua eccezionale sensibilità per tutto ciò che puòsuscitare creatività artistica, sia essa d’immagini, siapoetica ma non nego di trovarmiin difficoltà allorché tento d’im -brigliarlo entro un disegnopreordinato quale può essereun’in tervista: lascio allora chesia lui a parlare di sé, del suomondo, delle sue esperienze cer-cando così di cogliere, per quan-to m’è possibile, ciò che può defi-nirne la personalità, i suoi per-corsi artistici, i suoi ideali.Come tutte le persone sensibiliPannucci non fa che assorbireimmagini, sensazioni, ricordi; maa differenza di altri, lui non liarchivia secondo una logica benpreordinata ma li accumula così,come flash apparentemente sen-z’ordine che il suo modo di fararte restituisce poi nei momentipiù impensati allorché un ina-spettato e magari insignificantespunto fa scattare il lui l’operapoetica, sia essa una poesia, una fotografia od un’altraqualsiasi forma d’espressione artistica. “Pietro, Capodimonte...”. “Già, Capodimonte: due cose hoimpresse nella mia mente... due ricordi, ancora netti comefossero accaduti ieri: la grande nevicata del ’56 e le espe-rienze di scuola elementare. La neve del ’56! Mio padreteneva le barbabietole per le mucche nei bigonci dell’uvaal pianterreno di casa: per poterle prelevare, mia madre leirrorava d’acqua calda...”.“E la scuola?”. “Già, la scuola! Quell’anno, mi pare fossela terza elementare, eravamo nell’aula allora ospitata nel-l’attuale sala consiliare; d’inverno la tramontana cheentrava dalle finestre e dalla Loggia, il terrazzo che davasulla Rocca Farnese, ce bevìva, e la Maria, la bidella, ceportava il foco”.

La nevicata, la scuola, immagini lontane ma ancora vive etali da offrire al poeta Pietro occasione per trarne unariflessione profonda: cose di ieri, tanto vive come se fos-sero accadute pochi istanti o mille anni fa: “ Sapeva tuttodel posto / Perché c’era già stato / Migliaia d’anni prima...”.Questi versi, tratti dalla raccolta “Dì sempre quello chepen si”, tradiscono, tra l’altro, un attaccamento visceralealle radici paesane che diventano spunto di racconto epunto di raccordo con le vicende più grandi, vissute inaltri àmbiti ed in altre epoche. Pannucci non è solo unpoeta o, meglio, non scrive poesie soltanto con la pennama lo fa, ed in maniera eccellente, anche con la fotogra-fia. In occasione della presentazione in Capodimonte dellibro prima citato, affermai che se si voleva coglierel’essenza genuina di quelle poesie le si doveva “leggere”più con gli occhi che con la mente: flash improvvisi, scat-

ti inaspettati, tesi a cogliere parti-colari d’immagini solo apparente-mente secondari. “... andate per la strada tra Tu -scania e Vetralla / alle otto dellasera del 20 giugno / e fermatevi adosservare / il giallo del grano / ilverde della quercia, / il rosso deipapaveri / il blu delle nuvole con-trosole...”.E’ un quadro, quello che i bellissi-mi versi - tratti dalla stessa raccol-ta - ci offrono: pennellate rapide,quasi rabbiose, dove il grano, lequerce, i papaveri, le nuvole,mescolano i loro antichi colori perdarci emozioni sempre nuove.Non è sufficiente leggerle le poe-sie di Pannucci, occorre meditar-le, analizzarle parola per parola:solo così sarà possibile assapo-rarne la magìa che è tanto piùgenuina quanto più semplici sono

le immagini come queste: “Evidenti / sono le tracce d’uncavallo / sulla sabbia nera / proprio a pelo della riva dellago / che stamattina è celeste / come un cielo rovescia-to”.E sotto quel cielo, o sopra la sua immagine rovesciata,Pietro Pannucci continuerà la sua febbrile ricerca ditutto ciò che un mondo senza apparenti dimensioni saoffrirgli; noi non ce la sentiamo di costringerlo a seguirciin un’intervista che sa solo porre domande. E vogliamolasciarlo mentre osserva le tracce che il cavallo halasciato sulla riva del lago, che l’acqua certamente can-cellerà perché un poeta possa imprimerci ancora altrisegni, o scoprirvi altre immagini che, nell’incessanteandare della vita, saranno per lui motivo di nuove ispira-zioni, di nuovi sogni.

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Piero Carosi

Capodimonte Un’intervista difficile

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L’ing. Piero Bruni, presidente dell’AssociazioneLago di Bolse na, deve sentirsi, da un po’ ditempo a questa parte, più che ingegnere, dot-tore internista. Non di rado infatti si sente

fare do mande del tipo: “Come sta il nostro degente?”;“Quali di sturbi accusa?”; “Si tratta di malattia grave o diun male passeggero?”, e via di seguito.E’ paziente, Bruni, e come tutti i medici incontrati perstrada non può che limitarsi a dare del lago, perché diesso stiamo ovviamente parlando, informazioni verbali,ma se si ha la fortuna d’incontrarlo in un luogo che glipermetta di mostrare tutte le sue diavolerie elettroni-che, allora mostra grafici, statistiche, analisi così che lesue parole disegnano del “malato” una situazione preci-sa e convincente.E’ ciò che è avvenuto nel corso della sua prima confe-renza “Stato di salute del Lago di Bolsena” tenutasi il 3novembre scorso presso la sede del Club NauticoCapodimonte alla presenza di un folto e qualificato pub-blico. Tanti i nomi illustri - il sindaco di Capodimonte, ilsindaco di Marta, due assessori, il gen. NatalinoBellavia, e il principe d. Giovanni del Drago presidentead honorem dell’associazione e vari altri - che non sisono limitati ad ascoltare ma hanno impegnato l’illustreconferenziere con domande le più diverse. E risposte,tante, e tutte documentate grazie alle precise diagnosiche l’Associazione fa a scadenze stabilite, avvalendosidi una sonda multiparametrica e delle analisi del presti-gioso Istituto Idrogeologico del C.N.R.Grazie alla proiezione d’interessanti diapositive, Bruniha mo strato gli aspetti più delicati del suo lavoro che vadalle analisi chimiche alle varie profondità, alla misura-zione, nelle diverse stagioni, dell’ossigeno, della tempe-ratura, della trasparenza, della clorofilla, ecc., in unaparola di tutti gli elementi che, correlati e confrontati

scientificamente, consentono di trarre una “fotografia”dello stato di salute del lago ma anche precise indicazio-ni sulla sua evoluzione nel tempo. Ed è quest’ultimoaspetto il più importante; infatti il lago può essere usatoper fini utili all’uomo a condizione però che alla fine del-l’anno la qualità dell’acqua rimanga la stessa che eraall’inizio, altrimenti questo meraviglioso bene naturalediventerebbe un bene “usa e getta” e questo nessuno lovuole.E’ confortante la diagnosi di Bruni: “In estrema sintesi lostato di salute del nostro lago è considerato buono e con-tinuerà ad esserlo se, nell’arco dell’anno, l’ossigeno alfondo non si esaurisce mai e madre natura gli assicuranormali condizioni meteorologiche (piogge abbondantied inverni freddi con persistenti venti di tramontana)”. Lodevole il lavoro svolto dall’Associazione “Lago diBolsena” che, per puro volontariato, svolge un’azione ditutela del lago sempre più apprezzata: ne sono prova lerichieste di collaborazione di diverse amministrazionipubbliche, delle scuole, di vari istituti di studio, ecc.Non meno lodevole la disponibilità offerta dal ClubNautico presso cui, grazie all’iniziativa del magg.Giuseppe Fabri, si stanno tenendo, a cadenze mensili,conferenze sui più diversi argomenti d’interesse pubbli-co. Già quattro le conferenze tenute e sono auspicabiliincontri su importanti materie d’interesse quali, adesempio, sulla storia della famiglia Farnese, sull’archeo-logia del bacino lacustre, sulle produzioni agricole, sullapesca e via di seguito.Un grazie agli sponsor dell’iniziativa per il loro apprez-zato supporto: Rivablù Albergo Ristorante, Franklin’sShipyard Can tiere Navale, Paolo Storri Assicurazioni,Lega Navale di Capo di monte e, ovviamente, Club NauticoCapodimonte ASD.

dallaTuscia

Sul “nostro lago”una diagnosi confortantedi Piero Carosi

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“Amate il panecuore della casa,profumo della mensa,gioia del focolare...”.

Così recitaval’incipit di una tiri-tera, di mussoli-niana memoria,

che spiccava sulle paretidelle aule scolastiche finoalla seconda guerra mon-diale 1940-45, quando ilpane era la base principa-le della nostra alimenta-zione.Ma il tempo, si sa, corre etutto modifica; migliora opeggiora quelli che persecoli furono codificatimodi di vita.Oggi si può scegliere ognitipo di pane (rosette, sfila-tini, pane al latte, fruste,filoni) sfornato frescotutte le mattine neimoderni e meccanizzatiforni, ma sanno i giovanidi oggi quanta cura eranecessaria alle madri difamiglia di un tempo perportare in tavola quel filo-ne di pane?Parlo degli anni trenta equaranta del novecento,quando nei nostri piccolipaesi non esistevanoancora panifici come incittà ed ogni famigliadoveva provvedere al fab-bisogno quotidiano panifi-cando in casa una voltaalla settimana.A S.Lorenzo esistevanotre forni pubblici, benindividuabili per le fascinedi legna spesso appoggiatiai lati della porta. Il lavorocominciava la sera avantiquando si andava dallafornara a “richiedere il

forno”. “Come lo volete:alla prima infornata o allaseconda?”. “Alla prima”,rispondeva mia madre, ela fornaia annotava amatita su di un grossoquaderno. Poi, una voltatornati a casa, bisognavamettere il lèvito. Siammucchiava della farinasetacciata in un angolodella mésa (madia), si sca-vava una buchetta al cen-tro e lì si metteva la por-zione di pasta inaciditaaccantonata dalla voltaprecedente che avrebbefatto lievitare l’interoimpasto. Poi, con le mani-che succinte fino al gomi-to ed un fazzolettone intesta per proteggerel’impasto dai capelli ed icapelli dalla farina, siimpastava il tutto conacqua calda. Al termine siabbassava il coperchiodella madia dove avveni-va la lievitazione.La mattina dopo, di buono-ra, spesso ancora al buio,

la fornaia passava sotto lefinestre a “comandare”:“Giggia, fate il pane!”.In paese si diceva scher-zosamente: “... Chi com-manna?”. “... La fornara!”. Mia madre si buttava giùdal letto e correva in cuci-na ad accendere il fuocosotto la legna già prepara-ta. Sopra pendeva il paio-lo con l’acqua. Quandol’acqua era calda sicominciava ad impastareprima dentro la madia,poi si trasferiva l’impastosulla spianatora, e sempreimpastando si formavanofiloni o pagnotte da siste-marsi sulla tavola delpane sopra un telo dicanapa.Nel frattempo la fornaia,terminato il suo giro di“comando”, ritornava alforno e provvedeva ariscaldarlo bruciandovifascine di legna. Più tardi,quando il forno era pron-to, cominciavano ad arri-vare le tavole del pane

portate dalle donne dicasa o ritirate dalla forna-ia stessa.Erano in due, quelle delnostro forno. Le chiama-vano le fornarine, vestiva-no ancora all’antica conuna lunga gonna scura afiorellini e polacca (blusacorta), avevano un porta-mento eretto, la vita sotti-le per via del busto, ecamminavano spedite incoppia, una dietro l’altra,reggendo sulle coròje (ilcercine) messo sulle testele tavole del pane, che peril peso e la lunghezza eraimpossibile portare dauna sola persona.Prima di pranzo miamadre si recava al forno aritirare il pane cotto:pagava il dovuto e ripor-tava a casa sette pagnottedorate e fragranti chevenivano sistemate den-tro la madia. Ci avrebberoassicurato il pane per unasettimana e già il loro pro-fumo rallegrava la casa.

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Silvio Verrucci

San LorenzoNuovo Il sapore del pane

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Siamo nell’anno 1790, in un’estate caldissima chetoglie il respiro. I gradolesi, specialmente quelli piùpoveri costretti ad andare in campagna a lavorare,hanno sete, tanta sete, e non vorrebbero bere solo

acqua, ma, in modo particolare per loro, il vino costatroppo e in più non si riesce a trovare chi lo venda sfusoo almeno a misure garantite.E’ forse questa la causa che spinge un certo GiuseppeZecca a prendere un’iniziativa forte a nome di tutte lefamiglie povere e prive di protezione. Invia al cardinaleCamerlengo un ricorso contro quello che è diventato unabuso comune di tutte le osterie, compresa quella pubbli-ca: non rispettano più, ormai da tempo, le prescrizionidell’Eminenza in indirizzo che prevedono l’obbligo divendere il vino... con misure bollate di Boccale, Mezzo eFoglietta con il Bollo della Comunità. Al presente questiordini non vengono osservati dagli osti e nemmeno... daiChierici, Frati, ed altri Patentati... che vendono il vino di

loro produzione esclusivamente a piccole fiaschette ed acaro prezzo. Sostengono di non essere soggetti alle proi-bizioni del Camerlengo e, figurarsi, nemmeno agli ordinie bandi del luogo.Il cardinale chiede lumi sulla situazione alle autoritàecclesiastiche locali, fra l’altro parte interessata. La rispo-sta che esce dal Palazzo priorale di Gradoli dichiarainfondato il ricorso e descrive una situazione, secondoloro, del tutto diversa. Il priore Nicola Manni e Gio:BattaNocchia bollano come falso quanto contenuto nel ricor-so, assicurando che l’oste pubblico vende, com’èd’obbligo, a boccali, fogliette e mezze fogliette. Altre botte-ghe vi sono che vendono con la stessa regola, e perciò igradolesi possono servirsi come meglio aggrada loro.Quanto alla contestata capacità dei fiaschi, che i ricorren-ti considerano l’equivalente di due fogliette scarse, ilpriore af ferma che è la stessa in uso negli altri paesi.Passano solo pochi giorni, siamo al 31 ottobre, e Zecca, al

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LucianoPiccinetti

Gradoli

E se parlassimo anche di vino?

disegno di Angelo Mariotti

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quale si sono affiancati altri compaesani, fa vedere che nonè d’accordo con la difesa d’ufficio dei maggiorenti e rincarala dose. Prepara un’istanza che ricalca i contenuti del ricor-so e la fa sostenere da cinquantaquattro firme, anzi unafirma e cinquantatré croci. L’esposto è accompagnato dauna missiva del podestà, datata 6 novembre, che si schieradalla parte dei cittadini poco abbienti, in opposizione agliosti poco corretti e a quelli che tengono loro bordone,denunciando però la sua impotenza contro il “racket” dellafoglietta. Scrive... che qui da niuno si vende il vino con misu-re giuste e sigillate; ma soltanto à piccoli fiaschi non bollati,ma à prezzi esorbitanti... sia nelle bettole e sia nell’osteriapubblica. Quest’ultima la tiene a pigione il... Balivo, personamiserabilissima,... che, chissà perché, la fa rimanere spessopriva di vino ed anche di qualunque altro genere necessarioper la sua corretta conduzione. La lettera si conclude conun’invettiva contro... questi Bem pensanti che con tirannicoMonopolio vo gliono vendere il vi no come meglio gli aggra-da..., e non rinuncia ad azzardare una previsione, per mette-re in apprensione il Camerlengo, di una... possibile insorgen-za popolare, da non potersi nel mo mento ricavare leconseguenze di qualsisia in conveniente.Si potrebbe sperare che lo scritto dell’amministratore Fran -ce sco Muzi sia sufficiente ad indurre il Camerlengo a “leva-re il vin dai fiaschi” abbastanza velocemente, ma così non è.Il cardinale non si preoccupa ed il tempo passa senza chesucceda niente. Il prolungato stallo spinge di nuovo Zeccaed i suoi compagni a riprendere carta, penna, calamaio esollecitare, senza peli sulla lingua, la soluzione della faccen-da.L’indirizzo è sempre lo stesso, Eminentissimo e Reve ren dis -simo Signore, Roma; il tenore un po’ più vigoroso. La plateadei danneggiati si allarga con l’inserimento dei... forastieri,che se vogliano bere una foglietta, ó per mancanza di soldi liconviene morire di sete, ó pure restano forzati a prendere unfiasco al gravoso prezo di 5:, o 6: bajocchi.In questo stato di cose il ricorso, che risale allo scaduto ago-sto, si comprende non aver sortito ancora alcun effetto, perquesto... i poveri di Gradoli, dubbitano caduta l’informazionein mano di qualche parsiale, e ó attinente di quelli, che gran-de quantità di vino hanno da vendere, ó vero l’abbiano sob-bornato con regali, come in altra simile occasione avvenne,che regalando una quantità di fiaschi ad un certo soggetto, cheper degni riguardi si tace, e per timore di esso, seguitorno, eseguitano nel suddetto monopolio. Dopo questo passo, il cuicontenuto può essere considerato sempre molto attuale,concludono chiedendo ancora di porre fine a questa... mani-festa angaria, ed oppressione... emettendo nuovi ordini e,magari, vigilare sulla loro attuazione.Se non avessero trovato qualche saggia soluzione, senz’al-tro possibile in un paese da sempre conosciuto come culladel buon vino e dell’arte di arrangiarsi, i gradolesi, in attesadella decisione, sarebbero senz’altro morti di sete, perché lapilatesca disposizione del cardinale Camerlengo che cosìrecitava: Gradoli-Perché la vendita del vino si faccia a misurebollate o almeno da tutti a Fiaschi, fu resa nota soltanto il 19luglio 1793.

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Il fenomeno del bri -gantaggio fu tipicodel l’Ot to cento, efu per la massima

parte legato alle pre -carie condizioni di vi -ta dei contadini, trat-tati come schiavi daiproprietari terrieri aiquali vanamente re -cla mavano miglioretrattamento. Tra questi proprietari ebbero note-vole rilevanza nell’orvietano i contiFaina di San Venanzo, che moltoampliarono le loro proprietà graziealle leggi sulla liquidazione dell’asseecclesiastico, comprando terre aCastel Giorgio, Torre Alfina, Fi cullee Bolsena. Intorno al periodo del -l’Unità d’Italia, le tenute dei Fainasono amministrate dal conte Clau -dio, particolarmente conservatore,che si dedica all’allevamento dibovini, suini e polli, ai quali sembre-rebbe dedicare più attenzioni chenon ai contadini. Secondo la tradi-zione orale sarebbe per questaragione che la sua vita si concludetragicamente nel 1874, anche seufficialmente a causa del brigantag-gio.Nel volume di Fabio Facchini “Lafamiglia Faina, tre secoli di storia”, sidice che il 24 maggio 1874, mentretorna da Vi terbo, nei pressi diMontefiascone la carrozza del con -te Clau dio viene fermata da dueuomini armati con il volto copertoche lo costringono a scendere eseguirlo sotto un ponte, insieme adun notaio che viaggia in sua compa-gnia. Sotto il ponte ci sono altri dueuomini incappucciati che ordinanoal notaio di recarsi ad Orvieto conla richiesta di 150.000 lire di riscat-to da consegnare la stessa notte.Il notaio si reca subito dai figli Clelia

ed Eugenio informandoli dell’acca-duto, ma quest’ultimo riesce a tro-vare soltanto 30.000 lire, che conse-gna ad un garzone che incarica direcarsi a Montefiascone. Eugeniosegue il garzone insieme a due cara-binieri travestiti, ma appena fuoriOrvieto lo ritrova insieme a duesuoi contadini. Uno di questi ha unabusta consegnatagli dai rapitori conun messaggio del conte Claudio enuo ve istruzioni dei banditi. Eu ge -nio legge il messaggio ma, sembra acausa del buio, non lo comprendebene, credendo che il riscatto,sceso a 20.000 lire, debba esserepagato nella casa di un suo contadi-no. Alla quattro del mattino incon-tra nuovamente il garzone il qualegli riferisce di non aver potuto paga-re il riscatto, perché a casa del con-tadino non c’è nessuno dei banditi.Eugenio rilegge allora il messaggioaccorgendosi del grave errore com-messo e decide così di mandare ilgarzone a Montefiascone con ildenaro richiesto, mentre lui ritornaad Orvieto. “Quarantotto ore dopo, però... - scri-ve il Facchini - due contadini ritrova-no il corpo di Claudio con il voltorivolto al terreno fangoso, quasi vifosse stato compresso e soffocato. Su -bito i due contadini chiamano icarabinieri che informano Eu geniodell’accaduto. La perizia necroscopi-ca sul cadavere del conte Claudio,

rivela che era già morto diverse oreprima del ritrovamento, a causa didieci colpi di arma da fuoco. La suauccisione è rimasta sempre un miste-ro, forse è stata una vendetta di qual-cuno dei rapitori nei confronti diClaudio. Nes suno degli oggetti perso-nali di grande valore era stato tocca-to: né il portafoglio, né l’orologio, nél’anello d’oro con la preziosa pietrariportante lo stemma di famiglia...”.Per la morte di Claudio Faina vengo-no arrestate sei persone ed il pro-cesso si conclude con la condannaa morte di Gorgonio Guerrini diCivitella d’Agliano, ai lavori forzatidi Giovanni Sassara di Marta e aventi anni di carcere per AntonioPierini e Agostino Trovati di Or -vieto.Il figlio Eugenio rimarrà molto tur-bato dall’omicidio del padre e quan-do si candiderà alle elezioni del1882 i suoi avversari politici lo ac -cuseranno di non aver voluto paga-re il riscatto; ma la verità sulla suamorte starebbe in un particolareche ci tramanda la tradizione oralee che non si legge nel testo delFacchini: al momento del ritro va -mento, il conte Claudio a vrebbeavuto la faccia immersa nel fango,ma anche la bocca piena di paglia, ec’è chi dice che ai suoi contadiniche chiedevano più grano risponde-va che mangiassero paglia.

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CesareCorradini

Delitto di briganti?Castiglionein Teverina

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Superstizioni Dare fondamento positivo onegativo a (supposte) forzeocculte benefiche o malefi-che accompagna irrazional-mente e spesso la vita degliuomini: il gatto nero, ilnumero tredici, il gobbetto,le corna, lo spargimento disale, il ferro di cavallo.Ricordo alcuni casi disuperstizione che eranomolto in voga negli annidella mia infanzia, a comin-ciare dagli infausti giornidel martedì e venerdì, rite-nuti assolutamente nefastiper l’inizio di qualsiasi atti-vità, dal partire per un viag-gio all’indossare abiti oindumenti nuovi; figuriamo-ci poi per sposare, in osse-quio al ben noto dettopopolare “Né di Venere nédi Marte non si sposa enon si parte, né si dà prin-cipio all’arte”, che oggi ècaduto assolutamente indisuso, tanto che sonomolte le coppie che preferi-scono scegliere proprio que-sti due giorni per il loromatrimonio (forse solo per-ché è più facile trovare ladisponibilità di una chiesa odel comune e di un risto-rante) iniziando contestual-mente il viaggio di nozze...Se si desse retta, nessunopiù partirebbe il venerdì perl’week-end o il “ponte” emolte attività ricettive o diristorazione sarebbero sul-l’orlo del fallimento; anchegli esercizi commerciali diqualsiasi tipologia sarebbe-ro prossimi alla bancarotta.Ma torniamo ad altre cre-denze e pregiudizi, comequelli relativi alla posizionedel letto nelle stanze, per-ché ritenuta connessa aisogni e alla salute di chi visi corica: guai a dormirecon i piedi rivolti verso laporta, come pure rientrare

direttamente a casa dopoun funerale; il giovedì santole visite ai “Sepolcri”(l’attuale reposizione delCorpo di Cristo) dovevanoessere assolutamente dispa-ri e c’era chi, pur di evitareil numero pari, rientravanuovamente nella stessachiesa dalla quale eraappena uscito... Fatto con-siderato assolutamentenegativo era pure la rotturadi una bottiglia d’oliod’oliva: ma questo, è proba-bile fosse dovuto - comeattualmente - al suo elevatocosto.

M’hai dettoun prospero!Espressione usata in sensoironico in risposta ad unaproposta o invito a fare unacosa ritenuta eccessivamen-te onerosa o pesante ospiacevole. E’ riferita all’in-consistente valore del fiam-mifero o zolfanello, chiama-to popolarmente “prospero”per assonanza con fosforo.

Te fò magna’dal bao!Minacciosa espressionerivolta ai bambini capriccio-si affinché smettessero didisturbare, sperando checessassero le ramate dicapricci. Tra i numerosianeddoti che si narrano sudon Pietro Schiena, grandefigura di parroco viterbese,dai modi spicci ma profon-damente umano, confratellisacerdoti assicurano che inoccasione di una edizionedella storica e affollatissimaprocessione del CorpusDomini che coinvolgeval’intero rione di Pia no -scarano, don Pietro, cheammantato con un fastosopiviale recava l’ostensorio,irritato per il continuo efastidioso cicaleccio di unodei suoi sagrestanelli, gli sirivolse protendendo il sacroapparato con l’ostia consa-crata: A ragazzi’, si no lasmetti te fo magna’ dalbao!

Manna’ a li VecchiI “Vecchi” indicavano popo-larmente l’importante istitu-zione di assistenza aglianziani di S. Carlo (ubicatoa Pianoscarano) e S.Carluccio (a S. Pellegrino),ove venivano accolte le per-sone più povere e abbando-nate della città: Ve mannoa li Vecchi! era la fraseminacciosa che i familiari,specie le nuore - che fino alsecolo scorso avevanol’incombenza di prestareassistenza in casa ai vec-chietti - pronunciavano conatteggiamento forzatamenteintimidatorio in occasionedi richiami o rimproveri perqualcuna delle solite rama-te o giostre dei loro cari. Ricordiamo che l’Ospiziodei Vecchi di S. Carlo fuistituito da S. GiacintaMarescotti con FrancescoPacini nel XVII secolo, e le

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Memorie del tempo che fu:usanze, credenze, modi di dire

Giorgio Falcioni

Viterbo

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“Costituzioni” furono appro-vate dal vescovo card.Brancaccio nel 1643. Inseguito venne intitolato aGaribaldi e successivamen-te a Giovanni XIII. Da alcu-ni lustri occupa la più fun-zionale sede realizzata sullaprovinciale Teverina.

Far oraAttendere che arrivi l’ora dipranzo o di cena, quandonon si ha niente da fare ec’è la possibilità di trastul-larsi in chiacchiere, pette-golezzi ed altre amenità.Specie in estate, era il pas-satempo dei ricchi e deipoveri: le madri di famigliatiravano fuori di casa lasedia bassa, quella con legambe segate per stare piùcomode, e insieme ad altrevicine, a tutto spiano taglia-vano e cucivano i panniaddosso a parenti, amici econoscenti, interrompendosiogni tanto per andare adare una maneggiata allacazzaròla che bolliva afuoco lento sul fornelletto.Anche le signore non eranoda meno: magari stavanosu poltroncine di vimini,all’ombra del pergolato enon avevano l’incombenzadella cucina, perché ci pen-sava “la donna” (di servi-zio). Ma leggete come, inpoche righe, riesce a rievo-care l’atmosfera il giornali-sta Giovanni Mazzaroni inun articolo di mezzo secolofa, nella rubrica “Viterbocom’era”: “... Ed ecco ilbrusio, il sussurro,l’incertezza, i ‘sidice’...Signore borghesi! Edun Poeta rimò ‘Sta bbonasocietà quant’è cattiva!’.‘Far ora!’. Ma che bellaespressione! E l’ora scen-deva solenne dal campani-le della splendida Chiesade La Quercia, mentre leprime lampade elettrichebrillanteggiavano tra il fre-sco fogliame degli alberi,mentre le lanterne dondo-lanti passavano sotto lasala di un carretto: illumi-

nando la sagoma incertadel cane fedele che segui-va più che il carro, la fati-ca del contadino, e chelasciava intravederel’argentea suola delle scar-pe dell’asino”.

Vae all’inferno co’tutte le scarpePericolo che veniva fattoaleggiare sul capo dei bam-bini in occasione di capric-ci o temute disobbedienzedi particolare gravità, adindicare che il diavoloavrebbe potuto trascinarerepentinamente il marmoc-chio nel luogo della soffe-renza e punizione.

Tira su che lacolla è cara...Richiamo rivolto ai bambinimoccolosi che, nonostantele continue esortazioni, nonsi soffiavano il naso, macontinuavano a ìtirar suî;tale modo di dire era gene-ralmente completato da...quattro soldi la cucchia-ra..., riferito al costo dellacolla, che, come quella cer-vione (cervona), veniva ven-duta sciolta, a cucchiaiate.

Sgrullare dallafinestraEra un punto d’onore per ledonne di casa che effettua-vano tale operazione conlenzuola, cuscini, coperte,camicie da notte, ecc. lamattina presto, rassettandoe arieggiando la casa elasciando tutto a spuzzo-lentirsi sul davanzale: fon-damentale norma igienicache veniva seguita senzapreoccuparsi di chi abitasseal piano inferiore o deglisventurati che passavano instrada. Purtroppo non sitrattava di cosa di pococonto, perché un tempo(neppure tanto lontano)nella biancheria dei letti siannidavano pulci, pidocchied altri parassiti, che in talmodo si pensava di “scari-care” fuori. Operazione ana-loga veniva effettuata dopo

il pranzo e la cena con latovaglia in modo che le bri-ciole non sporcassero ilpavimento della cucina odella “saletta”... Tali abitu-dini sono andate perdendo-si con il tempo, ma capitaancor oggi, specie nei quar-tieri più eleganti, di vedersciorinare tovaglie e lenzuo-la (e lussuosi tappeti...) dafinestre e balconi, con ine-vitabile fuggi fuggi dei pas-santi. (Certo tutto questo èniente rispetto alla millena-ria usanza di vuotare dallefinestre buglioli e vasi danotte...).

Gojo come un ovocovatoL’attributo gojo (sul cuisignificato si sono sbizzarritidecine e decine di espertidi dialetto viterbese) riferitoad un uovo sta a significareche è divenuto immangiabi-le: figurarsi, quindi, comedeve essere quando è statoaddirittura incubato!L’espressione ha il valore dimatto, mattacchione,bislacco, stravagante, stra-no, strampalato, burlone...all’ennesima potenza.

Il materassoSe dobbiamo comprare unnuovo materasso non sonopochi né semplici i dilemmiche ci si presentano:Quante zone di portanzadifferenziata deve avere?Come deve essere la fasciatridimensionale? E la lastrain lattice traspirante eantiscivolo? Che si fa per ilrivestimento losangato?Anche in passato c’eranodiversi dubbi: di crine, divegetale, di foglie di gran-turco, di paglia? Oppure dilana o di piume? Una volta,per la maggior parte dellagente era esclusa la lana;non parliamo dei materassicon piume, che oltretuttoerano fermamente sconsi-gliati dagli igienisti in quan-to troppo soffici e facilmen-te soggetti ad infezioni ealle tarme, a meno che non

avessero avuto uno specifi-co trattamento preventivo.Il crine vegetale aveval’inconveniente di un odorepoco gradevole, al contrariodei fiori di tiglio, che si rite-neva avessero azione cal-mante per i nervi; consiglia-ti i materassi di foglie difaggio, che potevano racco-gliersi da chiunque inautunno e fatte essiccare:oltre ad emanare un odoregradevole, risultavano moltoelastiche e necessitavano dipochissima manutenzione.I contadini usavano soprat-tutto le foglie di granturco,che però avevano alcuniinconvenienti: principal-mente la rumorosità aseguito di qualsiasi movi-mento; non trasmettevanocalore; poi, tendevano,sotto il peso dei corpi, adammassarsi verso i bordi,problema che, tuttavia,poteva essere facilmenteeliminato il mattino succes-sivo infilando le mani nellefessure appositamentelasciate lungo i lati dellafodera di ruvido saccone.I materassi potevano infe-starsi di parassiti (cimici,pulci, pidocchi) che la notteinvadevano i letti e infasti-divano gli occupanti cau-sando prurito, ed era diffici-le eliminarli per la mancan-za di adeguate norme igie-niche e di disinfettanti ido-nei. Un manuale del primoNovecento consigliava, percombattere le cimici, unamiscela composta di allume(22 grammi), acido borico(6 gr) e acido salicilico (12gr) da cospargere sui mate-rassi, lavando anche le con-nessure di pavimenti e murinei quali potevano annidar-si gli insetti; oppure, collo-care nei letti cenci imbevutidi ammoniaca.E dire che oggi ci lamentia-mo se il materasso non hale due superfici estate-inverno...

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Nei primi del novecento al sot-toprefetto di Viterbo fu invia-ta un lettera dal titolo“Addebiti a carico dell’am mi -

nistrazione comunale di Tus ca nia”; lalettera non fu firmata e venne catalo-gata come ricorso anonimo. E’ curiosonotare come nonostante il passaredegli anni l’interesse dei cittadini per

la cosa pubblica sia sempre statomanifesto e poca fiducia fosse ripostanelle istituzioni comunali. Il ricorsoconsta di 21 voci che il suo relatoreanonimo cataloga dalla A alla Z, unalettera per ciascun male che affliggevail paese: L’inventario; Affitti ventinoven-nali; Usurpazioni; Oggetti d’arte rinve-nuti e non inventariati; Spese per attienfiteutici; Indennità di rappresentanza;Sussidio Pompei; Impieghi; Custodemattatoio; Posti mantenuti e retribuiti

sebbene non necessari; Acquedotto; Illavoro in via della Scrofa; Enfiteusidelle case comunali; Il lavori al lazza-retto; il carro funebre; Modificazionialla scalata del Palazzo Comunale; Latelefonista; Casse del Comune; Impiantoilluminazione elettrica teatro; La legnada ardere e il carbone; I lavori di fogna-tura. Tutti gli argomenti sono degni di

essere menzionati, ma ne elenchiamoalcuni che sembrano rappresentatividel periodo storico e del tradizionalemalcontento tuscanese. Usurpazioni: Vi è un terreno subitofuoriporta di Poggio, sulla piazza subur-bana di S. Antonio che fu già di utiledominio di tal Giovanni Cesetti (zio delProsindaco) che non pagò mai il cano-ne al comune. Quel terreno da oltretrent’anni era posseduto per intero dalcomune che se ne serviva come pubbli-

co scarico. Un bel giorno Cesetti lo haoccupato, non paga il canone e il comu-ne tace. Vi è un terreno denominatoRomitorio, posseduto da De Marchi, ovesono diritti del comune, e l’ammini -strazione tace.Oggetti d’arte rinvenuti e noninventariati [secondo nostre ri cerchesi tratterebbe di alcune tombe rinve-

nute in località Pian di Mola, in un ter-reno di proprietà Scriboni]: Vari annior sono fu trovata una sepoltura anticadi proprietà del comune. Il segretarioCerasa ispettore di antichità provvide atutto. ma dov’è l’inventario degli oggettitrovati? Dove sono riposti quelli di mag-gior valore?Sussidio Pompei: Al consiglio comu-nale a Secondo Pompei fu subito accor-dato un sussidio di lire 500 perché ilcomune, sussidiando l’automobile, non

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Marco QuarantottieValeria Sebastiani

Tuscania Caro Prefetto ti scrivo...Da una ricerca effettuata negli archivi della biblio-teca comunale è emerso tra gli altri un documentocurioso e interessante

Il palazzo comunale al tempo della lettera

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poteva più sussidiare la diligenza giàprima condotta dal Pompei, o meglio, laconcessione si mascherò fornendolaalla vedova del fratello di questi, con laquale esso convive ed ha comuni inte-ressi [si tratta del servizio diligenza traCorneto e Tuscania].Posti mantenuti e retribuiti sebbenenon necessari: Con l’appalto del dazioconsumo veniva a cessare la necessitàdell’ispettore daziario e del ricevitore.invece questi due (Quaran totti Placido eGambi Paolo) hanno seguitato ad annilo stesso stipendio. E quando è mortoEusepi, guardia comunale, non occorre-va fare una nuova guardia, perché nonvi era più il servizio del dazio, ma si ènominato Pasquali Alfeo. Prima le guar-die comunali erano addette anche allaconta del bestiame ora si è aggiunto unaltro impiegato, Ciccioli Federico, Presi -den te dell’Università agraria.I lavori al Lazzaretto: al tempo delcolera la giunta provvide a trasformareun braccio del convento di S. Paolo aLazzaretto. I lavori salirono ad alcunemigliaia di lire ebbene si dettero senzaesperimento di asta a trattativa privata.Il carro funebre: Furono fatti dei carrifunebri di lusso mentre per la giacituracolliva e con vie incomode e gradinatee per come è disposta la città non è pra-tico l’uso di detti carri. Anche qui, senzagara si sono spese migliaia di lire e si ècreato un nuovo impiegato: si da unassegno di lire 200 a Bruno Luchetti, peril trasporto di cadaveri mentre primaquesto servizio era svolto dai parrocigratuitamente.La telefonista: Fu nominata la telefoni-sta, dal consiglio comunale nella torna-ta dell’11 aprile 1911 e fu eletta lacognata del prosindaco Cesetti. Tra seimesi questa sposerà, ma la giunta hagià nominato per cinque anni si dice, laCesetti Celeste so rella del prosindaco.perché la nomina è stata effettuatadalla giunta e non dal Consiglio?La legna da ardere e il carbone:Tuscania ha il bosco comunale riserva.Ivi i cittadini vanno a prendere la legnae il carbone. Pensa il comune a faretagliare la legna e a produrre il carbone;Poi vende ai cittadini i biglietti perandare a ritirare la legna e il carbone.Prima i cittadini acquistavano i bigliettia loro piacimento secondo il bisogno; eve ne era per tutti, tanto che il comunevendeva fuori di Tuscania il carbone acentinaia di quintali. Ora la distribuzio-

ne dei biglietti si fa in modo irregolaris-simo, per non dire peggio. L’assessoreFiorini fa come crede. Egli stabiliscequanti ne deve dare ad ogni famiglia eli da così, a piacimento e senza unturno, ma i suoi amici ne hanno! E’ uningiustizia gravissima che produce unlamento generale.

Questi alcuni punti del ricorsoanonimo alla prefettura di Vi terbo cheabbiamo riportato per intero, cosìcome furono scritti dall’anonimo citta-

dino. Non siamo riusciti a sapere chifosse, ma sappiamo che la prefetturaaccolse il ricorso e interrogò l’am -ministrazione sulle irregolarità daesso denunciate. Il co mune risposealle interrogazioni e agli accertamentidella prefettura eccetto per quantoriguardava le presunte irregolaritànelle assunzioni, ma non sappiamo seil nostro “antico” concittadino riuscìmai nel suo intento di migliorare lecose.

[email protected]

Grande successo di pubblico per la presentazione del libro Felicità Oscurapiù di 400 persone intervenute per la prima opera di Annalisa Eutizi

E’ sicuramente andata al di là di ogni più rosea previsione la presentazione dellaraccolta di poesie di Annalisa Eutizi, tenutasi presso la sala conferenze dellabiblioteca comunale di Tu sca nia domenica 24 febbraio; la presenza di oltre 400persone, alcune delle quali rimaste fuori per l’esiguità dei locali, è stato il giusto tri-buto che Annalisa ha saputo merita-re per l’autenticità e la sensibilitàd’animo profuse nel suo libro di poe-sie Felicità Oscura.“E’ un titolo emblematico - spieganella prefazione Annamaria Cande -loro - che con un elegante ossimoroaccosta le due tematiche principalidella silloge, poste in contrasto traloro: nella raccolta, infatti, da unaparte sono espressi temi positivi, inparticolare legati alla vita, alla libertà,alla solarità dell’esistenza, allo splen-dore dell’amore. Dall’altra parte,invece, la celebrazione della bellezzadella vita viene incrinata dalla rifles-sione sui problemi di attualità delmondo in cui viviamo, che l’autriceintende denunciare con la suaopera”.Durante la presentazione sonointervenuti il relatore Enio Stac cini,l’assessore alla cultura dott.Salvatore Fusco, ed un insegnantedelle scuole superiori di Annalisa, ilprof. Cesare Aloisi, il quale ha sorpre-so tutti leggendo pubblicamente untema dell’autrice quando avevaappena 17 anni, scritto in poesia, eche già rivelava lo stato d’animo sensibile e la predisposizione ai versi dell’autrice.Coloro che sono riusciti ad entrare nella sala hanno potuto assaporare i momentitoccanti di alto spessore emotivo della lettura delle poesie dell’autrice in un elegan-te connubio artistico con l’accompagnamento di pianoforte, composto ed eseguitoper l’occasione dalla bravissima pianista Marina Gavelli.La raccolta di poesie di Annalisa è stata selezionata dopo aver partecipato ad unconcorso della casa editrice Il Filo, la quale in seguito ha pubblicato il libro. Si trat-ta della prima raccolta di Annalisa e già il giorno della presentazione sono state ven-dute oltre 100 copie. Il libro si può acquistare nelle librerie oppure on line collegan-dosi al sito della casa editrice Il Filo.

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Oltre alle foto, sono esposti oggetti del passato, ilbanco di legno con il calamaio, gli astucci di legno, lacartella, la lavagna e nelle bacheche pagelle, quadernie libri scolastici d’epoca e i registri scolastici.Tante sono le curiosità e le informazioni che emergonoda quest’ultimi con i quali si riesce ancor più a capireil susseguirsi delle fasi storiche e cambiamenti dellasocietà.Primo elemento che si evidenzia è l’alto numero deglialunni iscritti per ogni classe. Così riporta una maestranelle “cronache” di un registro di classe: (2 ottobre1942) “Come nello scorso anno prevedo di dover fatica-re se non sdoppiano la classe. Per ora sono 45 ragazzima devono iscriversi almeno 49 su 51 obbligati. E’ la sco-laresca più numerosa e spero che la R° Direttrice prov-veda. I ragazzi di oggi non sono più quelli di 25 anni fae le famiglie lo stesso. Direi quasi (e di chi il torto?) chein materia educativa si segnala un regresso”. (27 otto-bre) “Mi viene comunicato che la classe è sdoppiata. Siaringraziato il Signore! Resto con trenta ragazzi e spero dipoterli abituare alla disciplina e allo studio”.Altro elemento caratterizzante di quei tempi è quantiragazzi non portavano a compimento l’anno scolasticorimanendo indietro con gli anni o abbandonando com-pletamente la scuola: “Il programma è stato svolto com-pletamente nonostante la deficienza degli alunni. Lamaggioranza di essi, con tutto ciò, è stata promossa, per-ché nella prima metà dell’anno scolastico [1932-1933]ho curato moltissimo le materie principali... Su 45 scruti-nati, 31 sono stati approvati e 4 rimandati alla IIa sessio-ne”.Specie gli anni di guerra, i disagi per la frequenza sco-lastica sono ancor più evidenti, come pure la necessi-tà per i ragazzi di aiutare la famiglia specie nei lavoriagricoli: (2 dicembre 1942) “Fa freddo, il locale è espo-

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di Giovanni Riccini

Acquapendente Ricordi di scuola

Acompletamento della Festadella Madonna del Fiore,come da recente consuetu-dine, non poteva mancare

l’iniziativa culturale della bibliotecacomunale, curata anche quest’annodai volontari. I precedenti successiavuti dalla rivisitazione delle foto diAcquapendente più o meno antiche,sono stati presupposti per continua-re su questa strada. In effetti c’eramolta attesa per questa mostra e sultema che quest’ultima avrebbe pro-posto all’attenzione dei visitatori. A sorpresa è spuntato un titolocaro proprio a tutti: RICORDI DI SCUO-LA. Chi di noi in effetti non ha un ricordo più o menogradevole della scuola?, dei maestri o professori chesiano?, degli amici e compagni di classe?, delle mara-chelle fatte?, dei “torti” subiti?, e così via.... Tutte cose,magari, sbiadite dal tempo, ma che riemergono all’im-provviso nella memoria come fossero di ieri e che por-tano un attimo di serenità, gioia e grande nostalgia.I visitatori ritrovano davanti a quelle foto, qualcunamalinconicamente rovinata dagli anni ma per questoancora più importante, emozioni nascoste, cosedimenticate. I compagni di classe o magari di banco,che allontanati dalla vita e non più rivisti, tornano agliocchi con un misto di incredulità e commozione: ognipersonaggio fa ripensare ad un aneddoto o semplice-mente ad un ricordo sempre gradito.La mostra offre le foto delle scolaresche degli anni acavallo della prima guerra mondiale fino agli anni ’80-’90, passando per il periodo fascista e il primo dopo-guerra. Anche le immagini dal bianco e nero al coloretestimoniano lo scorrere inesorabile del tempo ed evi-denziano i vari mutamenti delle abitudini e della socie-tà. Le prime foto del novecento fanno risaltare più dioggi i ceti sociali della popolazione: dai colletti inami-dati, i vestitini ben stirati e i fiocchi eleganti degli alun-ni delle famiglie più facoltose, ai vestiti più sciatti e lescarpe chiodate (le famose “bollette”) dei menoabbienti. Poi con il tempo che scorre le divise diventa-no tutte uguali: da “balilla” a “piccola italiana” duranteil ventennio fascista, e bianche per le femmine e azzur-re per i maschi durante il secondo dopoguerra, finoalle attuali giacche a vento ed indumenti più o menogriffati. Nelle foto più antiche, in mezzo agli alunni spic-ca la figura del maestro o della maestra che denotasempre autorità, severità e soprattutto rispetto [comesono cambiati i tempi!].

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sto a ponente, vi è un vetro rotto, la tempera-tura è bassa. A un certo momento le menti deiragazzi sono intorpidite, è necessario muover-si... fuori non si può andare e in classe si sol-leva la polvere”. (8 dic.) “La frequenza è sem-pre buona, solo nelle giornate piovose nonvengono, perché 5 o 6 difettano di scarpe”. (18dic.) “Raccolta dello straccetto di lana. Anchei ragazzi si sono interessati a questa raccoltae han portato con entusiasmo il loro cartoccet-to di stracci di lana”. (19 dic.) “Chiusura dellescuole fino al 15 febbraio per economizzare lalegna...”.Nel giudizio finale la stessa maestra diceva: “La fre-quenza degli alunni a principio d’anno è stata totalitaria,ma nella stagione invernale è diminuita e in quella pri-maverile si sono più accentuate le assenze perché iragazzi han dovuto lasciare la scuola per aiutare lafamiglia nei lavori agricoli. La diligenza nello studio,fatta eccezione di 5 o 6, non l’ho riscontrata sufficiente,poiché gli alunni si sono dimostrati indolenti, distratti,indifferenti, sembravano solo vivi quando si parlava diguerra. I ragazzi sono stati trascurati dalle famiglie, forsele preoccupazioni della vita han distolto i genitori da ciòche è loro dovere: l’educazione dei figli...”.Altro elemento è l’igiene e la profilassi: [1932-33]: “Siriaprono le scuole dopo quattro mesi di vacanze! Lescuole sono rimaste chiuse per ragioni profilattiche evacanze del decennale [fascista]”. (4 dic.) “E’ una veradisperazione, mancano sempre in media 10-12 alunni acausa della malattia del morbillo che si presenta ora concomplicazioni...”. (17 dic.) “Visita del medico sanitarioper la scelta dei bambini bisognosi di olio di fegato cheviene dato gratuitamente dal dispensario della CroceRossa”.Ulteriori notizie che ormai fanno “storia” si desumonodai programmi e dalle materie d’insegnamento dellascuola elementare. Oltre alle classiche troviamo anche

le materie “Lavoro manuale e donnesco” (Attaccaturadi bottoni e di nastri, Monogramma a punto erba, Filzalibera, Fazzoletto a orlo a giorno,...); “Canto, disegnospontaneo, bella scrittura, recitazione” (Inno del Piave,Inno al Re,...), “Igiene” (Pratica di pulizia scolastica: abi-tuarsi a non gettare carta per terra, pulirsi le scarpeentrando in scuola, non cancellare con le dita, non lec-care la gomma e la matita, non voltare le pagine leccan-dosi le dita,...); “Cultura fascista” (Questa materia trove-rà il suo sviluppo e la sua spontanea applicazione nel-l’insegnamento giornaliero, scaturito mirabilmente datutte le materie ed in modo speciale da quelle lezioni,dagli avvenimenti giornalieri, dagli spunti occasionali incui si rifletterà la vita della Nazione, lo studio di grandi,il ricordo dei passati e presenti eroismi, il sacrificio delleanime forti.Porrò ogni cura per condurre i miei alunni all’obbedien-za, alla sincerità, alla costanza; per richiamarli al sensodi responsabilità delle proprie azioni, alla dignità inogni atto e parola, al compimento di piccoli sacrifici,...).Quelle citate sono piccole pillole in un mare di notizieche appartengono ad un mondo così diverso e cosìlontano che nessuno sembra più rimpiangere ma cheper tanti anni hanno forgiato intere generazioni diragazze e ragazzi.

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Il più bel Pugnalone 2008Nell’ambito della Festa più bella dell’anno in onore della Madonna del Fiore cele-brata ad Acquapendente, quest’anno il 51° concorso dei “Pugnaloni” è stato vintoda uno dei gruppi storici e più gloriosi che partecipano alla realizzazione di que-sti stupendi arazzi floreali, autentico vanto delle tradizioni dell’Alto Lazio: la“Prima Equipe - Via del Fiore” su disegno di Paolo Marziali.Il verdetto della giuria ha messo tutti d’accordo, popolo e pugnalonari:“Eccezionale il progetto e la realizzazione tecnica. Mediante una originale visioneprospettica che unisce elementi realistici e creazioni fantastiche, presenta unasituazione di forte attualità: il sontuoso portale che dal passato si apre ad un futu-ro di pace e di serenità”.La festa ha avuto come di consueto, un trionfo esagerato di pubblico, coinvoltoemotivamente da tanto folklore e tanta passione. Se ne riparlerà tanto fino allaprossima edizione per la riconferma dei vincitori e soprattutto per la rivincita deglialtri. Un grazie di cuore a tutti!

(Giovanni Riccini)

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Il lago enigmistico

Finalmente un giocosul territorio dell’altoLazio, anzi tanti giochisui paesi intorno allago di Bolsena. “Illago enigmistico” èstato il concorso orga-nizzato dal SistemaBibliotecario “Lago diBolse na” du rantel’anno scolastico2006-2007 per pro-muovere questo territo-rio, conoscerne la sto-ria e gli elementi carat-terizzanti attraversol’ideazione di giochiper ragazzi.Il risultato è stataun’ampia partecipazio-ne delle scuole prima-rie e secondarie di 1°

grado dei comuni del Sistema, con la produzione di gio-chi enigmistici simpatici e divertenti.Con i lavori prodotti è stata organizzata una mostra epubblicato un libro-gioco “Il lago enigmistico”, contenen-te tavole con i giochi enigmistici prodotti dalle scuole par-tecipanti al concorso. Sul retro delle stesse si apre inveceun grande gioco da tavolo, il “Girolago”, ideato daFrancesca Rossi, che unisce i vari paesi in un unico terri-torio e i ragazzi in un unico, comune gioco: si potrà cosìgareggiare con personaggi storici locali (il medicoGirolamo, la regina Amalasunta, il viaggiatore Defuk,l’etrusco Tiro, Giulia la bella...) lungo un percorso irto didomande sulla storia, le tradizioni e l’ambiente locale. L’obiettivo è che questo gioco, destinato ai ragazzi da 7 ai12 anni ma magari anche ai più grandi e ai loro genitori,possa essere un modo diverso per stare insieme e scopri-re il nostro ambiente giocando e scherzandoci sopra.

(Marcello Rossi)

Bibliolago Festival

Con la presentazionedi questa manifesta-zione la biblioteca diAcquapendente hachiuso il primo festivaldedicato al libro e allalettura denominatoBibliolago Festival:“un’occasioned’incontro con i libri,con chi li legge, lirilegge, ci studia e cilavora”. L’iniziativa,organizzata dal

Sistema Bibliotecario “Lago di Bolsena” dall’8 maggio al12 giugno, ha avuto un carattere territoriale, coinvolgen-do tutti i paesi del Sistema nella costruzione di un pro-gramma per valorizzare le nostre zone con manifestazionilegate al libro e alla biblioteca. In questo periodo ognipaese ha presentato un’iniziativa di lunga durata, adesempio una mostra, e intorno ad essa sono state fatteruotare altre iniziative per la promozione del libro e acarattere didattico. Ne è scaturito un cartellone di tuttorispetto con eventi ed offerte in parte “costruite” dallebiblioteche e in parte prodotte da altre realtà culturali.Tutte le manifestazioni sono state apprezzate e fruite dascuole e cittadini; in particolare si vuole ricordare, tra glieventi promossi nel Bibliolago Festival dalle bibliotechedel Sistema, oltre a tanti incontri con autori, illustratori estudiosi, la mostra “Il libro illustrato”, presentata per laprima volta ad Ischia di Castro e successivamente aGrotte di Castro, come pure la mostra “Saluti dalNovecento”, che tanto successo ha avuto fino ad oggi eche è stata presentata ora a Bolsena, e la mostra didatti-ca “La storia del libro dagli scaffali della biblioteca”riproposta per la seconda volta a Gradoli. Sicuramente la prima edizione del Bibliolago Festival èstata un banco di prova per le potenzialità che le bibliote-che, specie riunite in sistema, possono offrire, ma pensia-mo anche che questa esperienza abbia tracciato una stra-da importante per la crescita culturale di tutto il territoriodell’alto viterbese.

(Marcello Rossi)

Acquapendente-San Lorenzo Nuovo-Bolsena

E’ stato presentato di recente il terzo quaderno di studidella biblioteca comunale di Castel Giorgio. Si tratta diuna ricerca curata dal cav. Enzo Prudenzi dal titolo Laviabilità antica nell’Alfina e relativa alle strade Cassia eTraiana nova, in epoca romana. L’altopiano dell’Alfina èun’ampia zona geografica che si colloca a cavallo traUmbria, Lazio e Toscana, ed interessa i comuni di CastelViscardo, Castel Giorgio e parte di quelli di Ac -quapendente, San Lorenzo Nuovo e Bolsena.Il lavoro contiene estrapolazioni, relative all’argomento,dalle pubblicazioni di Evaristo Moretti (1925), EdoardoMartinori (1930), Fabiano T. F. Zeni Buchiccio (1970),William Harris (1965), Pietro Tamburini (1990), ArnoldEsch (1996) e Paolo Bruschetti (1999).La presentazione del volume si è tenuta prima a CastelGiorgio, dove è stata sviluppata dal dott. PietroTamburini, direttore del museo territoriale di Bolsena, esuccessivamente a Castel Viscardo da parte dell’arch.Alberto Satolli, storico e scrittore. In entrambe le circo-stanze, una performance narrativa ha fatto da corollarioall’iniziativa: gli attori Nadia Tizzi e Federico Fagianihanno infatti ben raccontato - con lodevole interpretazio-ne - un viaggio sulla consolare Cassia, nell’età romana,rivisitato anch’esso dall’autore del lavoro Enzo Prudenzi.Le dolci musiche del flauto di Rita Graziani hanno com-pletato una formula integrata di cultura, musica e teatrocon finalità di animazione e valorizzazione.

(Giuliano Giuliani)

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Èandata all’astarecentemente pres-so la Whyte’sAuctioneers di

Dublino una collezione dimanoscritti appartenentealla famiglia BonaparteWyse di Waterford. Sonostate pagate più di cento-mila euro per la collezio-ne di 34 lotti di lettere edocumenti che possonoaiutare gli storici a svela-re la vita frenetica di unadelle più irrequietediscendenti dei principidi Canino, Luciano eAlexandrine Bonaparte.

Letizia era una dellenove figlie di Luciano,quindi nipote di Napo leo -ne Bonaparte, ma rimanequasi una sconosciutanegli annali storici eanche nella recente bio-grafia di Luciano la figlia“irlandese” è appenamenzionata. La possiamovedere ritratta bambinaall’età di undici anni conla madre Alexandrine egli altri fratelli e sorellenel bellissimo disegno amatita “Portrait group ofthe Luciène Bonaparte Fa -mily” (1815) di Ingres,

oggi proprietà del FoggArt Museum di Harvard.Letizia ha molti legamicon Viterbo e la Tuscia, acominciare dal busto-ritratto di Dupré inmarmo che il visitatorenota appena entrato nelMuseo del Colle delDuomo a Viterbo. Laprincipessina passa lagiovinezza tra Frascati,Canino e le proprietà deiBonaparte nella campa-gna di Vulci eMusignano, dove i ge -nitori erano felicissimi diriempire le casse vuote

della famiglia con gliintroiti provenienti dallavendita di vasi ed altrioggetti etruschi trovatinei loro terreni.Sfortunatamente allamorte di Luciano le pro-prietà dove poi si scopri-rà la tomba Françoiserano già state vendutealla famiglia Torlonia. A soli sedici anni Letiziasi sposò con il gentiluo-mo irlandese ThomasWyse ed il padre le diedein dote alcuni gioelli difamiglia e la palazzinaconosciuta come il

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Mary JaneCryan

Vetralla Bonaparte o buonadonna...?Letizia Bonaparte Wyse

“Portrait group of the Luciène Bonaparte Fa mily” (1815) di Ingres, oggi proprietà del Fogg Art Museum di Harvard

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Casino di Viterbo, appe-na fuori Porta Fiorentina,oggi Hotel Nibbio.Dopo la nascita delprimo figlio di Letizia eThomas Wyse,Napoleone, conosciutocome Nappo, Letizia fuaccusata (giustamente ono?) di infedeltà e rin-chiusa nel convento diSanta Rosa per otto mesi,per riflettere sulle suesupposte colpe e ancheper assicurare la famigliache non fosse incinta diqualcun altro. Nel 1825, quando uscìdalla sua prigione pressole suore, partì perl’Irlanda insieme al mari-to. Arrivati a Waterford,Thomas si concentròsulla sua vita politicamentre Letizia, a 21 anni,diede alla luce un secon-do figlio, William. Mentrela carriera di Tho mascresceva e lui diventavamembro del parlamento,il suo matrimonio conLetizia crollava. La bellae stravagante principes-sa diventò un imbarazzoper il marito irlandeseper il resto della sua vita,ma lui non divorziò da leinonostante avesse avutotre figli da altri uomini. Ilbrillante ma serioThomas non bastava peruna principessa francesecresciuta nel caldo climaitaliano, e nel giro di unanno lei era già a Londra,lasciando a Waterfordmarito e figli e facendoparlare di sé per la suavita sregolata e brillante.Tre anni dopo inscenòun suicidio buttandosinel laghetto di un parco,dal quale venne ripesca-ta da colui che sarà permolti anni il suo amante-convivente, il capitanoStudholme John

Hodgdson. Passarono altri tre anni evenne alla luce una figlia,che venne chiamataStudolmina-Maria, laquale, come Letizia,aveva un carattere moltovicino a quello della zia,la bella Paolina Bona -parte, principessaBorghese. Come la zia,furono conosciute per laloro avvenenza e perso-nalità, ma oltre alla bel-lezza avevano una certa“leggerezza” morale. Negli anni che seguironola sua nidiata di figliaumentò ed in sieme alcompagno di turno e variamici girò nei vari paesie capitali europee, men-tre il marito ThomasWyse continuò la carrie-

ra diplomatica comemembro di parlamento eambasciatore britannicoad Atene. Ogni tanto i coniugiWyse-Bonaparte si senti-vano, ma solo per i variimbrogli e cause in cuivenivano invischiatianche cardinali e vesco-vi. Le richieste di soldida parte di Letizia e isuoi figli (veri e presunti)tuttavia continuarono.Mentre Wyse era amba-sciatore inglese adAtene, Letizia loimportunò e Stu dhol -mina-Marie mandò iconti dei vestiti compratiusando il suo nome aParigi. Nappo e suo fra-tello William sono gliunici figli che Wyse rico-

nobbe come suoi. Ilprimo fin da adolescentemostrò evidenti segni dischizofrenia, causatadalla solitudine soffertada bambino, mentre ilsecondo sarà conosciutocome esperto della lin-gua provenzale e comestorico di questa famigliacomplicata.Molto del materiale dal-l’archivio di famigliaWyse è adesso nelmuseo di Waterford inIrlanda, ma in passato sidiceva che a Waterfordnon si poteva comprareun pesce senza trovarloin cartato in lettere omanoscritti della famigliaWyse.

www.elegantetruria.com

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Busto di Letizia Bonaparte

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VII festa del malato e dell’anziano

Sabato 7 giugno, presso l’atrio comunale, si è svolta la VIIFesta del Malato e dell’Anziano, organizzata dalla sezionefemminile di Canino, una delle due componenti della CroceRossa. La benemerita associazione di volontari con la suacomponente femminile, ben radicata nel territorio, si èdistinta per le numerose opere umanitarie a favore dellefamiglie bisognose, degli infermi e degli anziani ed operaattraverso una sede, aperta ogni pomeriggio, a cui le per-sone possono rivolgersi per ogni necessità. Alla festa sonostati invitati tutti gli anziani di Canino che hanno compiu-to 80 anni: si sono presentati in 350, di cui 43 ultranovan-tenni. Un applauso sentito è stato riservato ai due di que-sti, quasi centenari, classe 1909: Ricci Santa e MenichettiBruno. A tutti è stato consegnato un attestato di partecipa-zione.Dopo la messa, concelebrata da don Lucio e don Pino, ledonne della sezione femminile hanno servito un rinfresco atutti i presenti. Inoltre è stata donata un’immagine dellaMadonna che il presidente della Croce Rossa, AntonioBattisti, ha portato da Medjugorie.

L’Istituto Comprensivo “Paolo III”di Canino si apre al territorio

Da alcuni anni l’Istituto comprensivo statale “Paolo III” sista evidenziando per una particolare attenzione alle proble-matiche del territorio.Un sentito riconoscimento va agli alunni e alle insegnantiche hanno elaborato e realizzato progetti finalizzati allaconoscenza e valorizzazione del patrimonio storico-archeo-logico e ambientale. Iniziative di questo genere consento-no il raggiungimento di un triplice obiettivo: l’acquisizionee il consolidamento della metodologia della ricerca, lapadronanza di contenuti curricolari (storia, scienze, geo-grafia, italiano ecc.) e lo sviluppo di comportamenti atten-ti e sensibili al territorio, alla sua storia e al suo ricco evasto patrimonio. Nel corso dell’anno scolastico, ormaigiunto al termine, abbiamo registrato almeno tre iniziativedegne di menzione.La prima riguarda la Cappella dell’Addolorata o dellaPietà, un piccolo tempietto collocato sulla strada Castrensedi cui si hanno scarse notizie. Nel passato, quando il traf-fico era costituito da pedoni, cavalli e carri, sicuramente hasvolto una funzione come luogo per una breve sosta e peruna preghiera. Oggi l’intenso traffico di questa arteria stra-dale ha determinato il graduale de clino della cappella. I

ragazzi della scuola elementare e della scuola media, dopouna ricerca storica e una puntuale descrizione dello statodella cappella, hanno raccolto dei fondi con i quali inten-dono effettuare degli interventi per restituirle decoro e ac -coglienza.Un altro progetto riguarda una ricerca realizzata dagli alun-ni delle classi 3 e 4 B della scuola elementare avente peroggetto il suggestivo paesaggio lungo il corso del Timone.Il lavoro, raccolto in una interessante pubblicazione, haprodotto una puntuale mappa delle risorse idriche del ter-ritorio e delle attività produttive (frantoi, ferriera, mulini)legate ai corsi d’acqua.E per finire il 5 giugno presso i locali dell’Arancera si èsvol-ta la cerimonia di assegnazione della I Borsa di studio“Luciano Bo na parte e il territorio vulcente” riservata aglialunni delle classi 5 elementare e 3 media dell’Istitutocomprensivo “Paolo III”, promossa dall’Associazione cultu-rale Luciano Bonaparte principe di Canino, con il patroci-nio della Provincia di Viterbo e dei comuni di Canino,Cellere e Tessennano.Gli elaborati degli alunni della scuola elementare sono stati

raccolti in unfascicolo dal titolo“A scuola parlia -mo di LucianoBo naparte”. Col -legata a que st’u l -tima ricerca, èstata portata a -vanti da alcuneclassi della scuo laprimaria, nel l’am -bito del pro gettoSapere Sa pori,una ricerca suipiatti tipici dellatradizione, con-clusasi con unad e g u s t a z i o n e ,presso la mensascola sti ca, di pie -tanze con fe zio na -te se condo le anti-che ricette.

Caninonews

di Roberto Sèlleri

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rini attinse a mani basse alle cassedello Stato, sia per favorire i suoifamiliari, cui concesse cospicue do -nazioni consentendo arricchimentiscandalosi e illeciti, sia per realizza-re i numerosi interventi edilizi, civilie militari, che caratterizzarono ilsuo ventennio sulla cattedra di Pie -tro. Ciò comportò un dissangua -men to delle finanze dello Stato cheimpose il ricorso a numerose ed ele-vate tassazioni che colpivano in par-ticolare i ceti meno abbienti. In un clima di così complesse ten-sioni - politiche, religiose ed econo-miche - che coinvolgevano interes-si nazionali ed internazionali, laspregiudicatezza degli attori non a -veva limiti. At ten tati, cospirazioni,congiure contro la vita degli avver-sari erano all’ordine del giorno. Eproprio tra le maglie di queste vi -cende si ritrova il nome di un per-sonaggio di Bagnoregio. L’episodioè citato dai princpiali storici dellachiesa: de Novaes, Ranke, Moroni,

qualche breve cenno anche inPastor.Scrive il de Novaes in Elementi distoria de’ sommi pontefici: “Anno1640 - Per avviso segreto fu informa-to Mons. Spada, Governatore di Ro -ma, che una persona era partita perNapoli, ad offerire al Vice Re di farmorire il Papa, quando perciò glidesse tre mila scudi. Era questiTommaso Orsolini Sacerdote di Re -canati, già segretario del Conted’Aglè Ambasciatore di Savoja.Scrisse il Governatore a Monsignordi Gerace Nunzio in Napoli, perchéosservasse gli andamenti dell’Or -solini. Furono contro questi trovatibastanti indizi, onde carcerato e por-tato a Roma, confessò che ad istiga-zione di Fra Domenico Bronza,Agosti niano di Bagnorea, era andatoa Napoli per manifestare al Vice Reun sospetto trattato de’ Principi, col-legati col Papa ad invadere quelRegno, per ovviare al quale si offeri-va al Bronza di far morire il Papa, segli dessero tremila scudi, ch’egliavrebbe dato al Sagrista di Urbano,già inabile, per succedergli nellaCarica, ed allora avvelenare l’Ostiache Sua Santità dovesse consacrare.Se poi non gli succedesse, avrebbefatto, che il Carcarasio, Spe ziale suoparente, nel medicare al Papa il fon-ticolo, gli ponesse il veleno. In vigo-re della sua confessione l’Orsolini fudegradato, ed impiccato agli 11Agosto 1640. Il P. Bronza in tantofuggì Apostata da Bagnorea, ma sa -putosi che fosse andato in Venezia,e quindi nella Schiavonia, fu presoin Trieste, donde condotto in Ra -venna, già condannato in contu -macia, fu per ordine del Papa pro -cessato dal Cardinal Legato Fran -ciotti, e nel Luglio del 1641 pagò an -ch’egli la pena della perversa suaintenzione, essendo ritornato il pro-cesso in Roma, e posto nell’Archiviodi Castel s. Angelo”.

Bagnoregio

Luca Pesante

“... avvelenare l’ostiache Sua Santità dovesse consacrare...”Il bagnorese D.B. e l’attentato contro la vita del papa

dallaTuscia

Maffeo Barberini era ilquinto figlio di un riccomercante fiorentino. A -ve va solo vent’anni

quan do entrò nell’amministrazionedello Stato pontificio, ove assunseinizialmente l’incarico di nunzioapostolico a Parigi, e all’età di 38anni, nel 1606, ricevette la berrettacardinalizia da papa Paolo V. Il periodo di governo di Urbano VIIIBarberini fu segnato da guerre lace-ranti sia in ambito internazionaleche nel territorio italiano. Il pontifi-cato si aprì (1623) quando la guerradei trent’anni era in pieno svolgi-mento. Le operazioni belliche era -no già iniziate da ben cinque anni esi stava per concludere il cosiddet-to “periodo boemo-palatino” con lasconfitta dei protestanti e la vitto-ria degli imperiali. Urbano VIII, rite-nendo che la guerra in Europa sicombattesse ancora per fini di reli-gione, si era schierato con la Fran -cia ancor prima che il Richelieu de -cidesse di schierarsi contro l’Im -pero.Una vicenda ancor più gravosa lovide impegnato nella impresa dellariconquista del ducato di Castro eRonciglione, che in quel momentoera nelle mani di Odoardo Farnese.Il ducato di Castro era stato asse-gnato da papa Paolo III (AlessandroFarnese) ai nipoti, unitamente a no -tevoli privilegi fiscali. Appro fit -tando del fatto che i Farnese in quelmomento erano fortemente indebi-tati presso alcuni banchieri romani,il papa confiscò tutti i loro beni edichiarò loro guerra. Il ducato diCastro fu occupato nel mese di ot -tobre del 1641; successivamenteOdoardo Farnese fu scomunicato eil pontefice lo dichiarò decaduto datutti i diritti di proprietà e sovrani-tà, minacciandolo di privarlo anchedel ducato di Parma e Piacenza.Durante il suo pontificato il Bar be -

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Nel 1926, il 21 novembre, comparvesul Corriere d’Italia, a firma di DecioCortesi, un articolo su questavicenda, in cui vengono riprese lesolite informazioni (purtropposenza indicarne la fonte) ma conqualche particolare in più: “Correval’anno 1640 in Roma, in quellaRoma del XVII secolo così piena dicontrasti. In quell’anno viveva ilsacerdote D. Tommaso Orsolini diRe canati [...] scelto dal conted’Agliè, ambasciatore del Duca diSassonia, a suo segretario, provve -duto di un lauto stipendio a vrebbepotuto viver felice se una colpevolepassione per una donna perduta nonl’avesse condotto alla rovina [...] Ilconte cacciò il suo segretario, ilquale si rifugiò nel convento di S. A -go stino, ove strinse amicizia con untal frate Domenico Branza di Ba -gnorea, cervello torbido, nel quales’agitavano arditi disegni. [...]L’Orsolini lo pregò d’aiuto e ilBranza gli disse che ben volentieril’avrebbe aiutato, s’egli si fosse volu-to sobbarcare ad un’impresa nellaquale era necessaria prudenza edardire. [...] L’Orsolini accettò la pro-posta e di notte, camuffato da conta-dino uscì da porta S. Giovanni eimbattutosi in un carretto che anda-va a Napoli se ne servì per recarsi inquella città. [...] Poco dopo l’Orsolinifece ritorno a Roma. Nel frattempoMons. Spada Governatore di Roma,avuto sentore che qualcosa si trama-va contro la vita del Pontefice, appe-na l’Orsolini giunse, lo fece im -prigionare. Innanzi i giudici dichiaròd’essersi recato in Napoli solamenteper isfuggire alla persecuzione deicreditori, ma sottoposto alla torturadella veglia confessò che il Bronzagli aveva confidato che per mezzod’un ben affetto del Papa avrebbetrovato il modo d’avvelenare l’Ostiacolla quale il Pontefice si sarebbecomunicato dicendo la Messa, e chese ciò non gli fosse venuto fatto, ilfarmacista del Papa che gli curavauna fontanella vi avrebbe immersoil veleno. Questi attentati cervelloticispesseggiavano parecchio nel seco-lo XVII. Poco prima aveva avutoluogo quello del Cantini, che tra fig -

gendo secondo una pra tica supersti-ziosa del tempo una statua di cerache rappresentava Urbano VIII erasicuro d’ucciderlo...”.

Le notizie riportate dai diversi sto-rici della chiesa (compreso ilNovaes) provengono in gran partedal Racconto delle cose più conside-rabili che sono occorse nel governodi Roma in tempo di Mons. GiovanBattista Spada (governatore diRoma al momento dei fatti), ove ècitata la vicenda dell’attentato allavita del pontefice, ma con una sin-golare differenza: il nome delnostro protagonista è qui indicatocome “Domenico Brancaccio daBagnorea Augustiniano”. Molte in -for mazioni sono note riguardo allefamiglie bagnoresi dei secolipassati, tuttavia dei Bran caccio,Bronza o Branza non c’è traccia trai documenti. In realtà è molto probabile cheBrancaccio sia una corruzione delcognome Brancazi, una nobilefamiglia bagnorese estinta sul fi niredel ‘700. Nel secolo che interessa lavicenda in questione ne facevaparte un Panfilio, notaio attivo dal1650 circa fino al 1663, e Giuseppe,nominato anch’egli notaio il 3dicembre 1666.Ma scorrendo le pagine di un im -portante libretto del benemeritoGiuseppe Quintarelli, edito a Romanel 1887 dal titolo Degli uomini illu-stri bagnoresi dell’ordine agostinia-no, si trova che il capitolo XV èdedicato a “P. Maestro DomenicoBrancazi da Bagnorea”. La primanotizia che lo riguarda è del 1623;

Nelle immagini:ritratto, busto e monetadel pontefice Urbano VIII

in seguito “resse il cenobio bagnore-se l’anno 1624 e seguenti. Fu uomodi zelo apostolico e di molta elo-quenza [...] dopo di che chiamatofuori di patria fu impiegato per oltre30 anni nel laborioso officio delmagistero, insegnando nei più cele-bri collegi dell’Ordine”; infine, con-clude il Quintarelli, nel 1659 padreDo menico Brancazi ritornò aBagnoregio come commissario ge -ne rale dei conventi della privinciaromana. Nessun riferimento quindi all’atten-tato al pontefice, ed inoltre è evi-dente la discordanza delle date perun’eventuale identificazione delledue figure che rispondono al mede-simo nome. Sappiamo infatti che ilBrancazi citato dai biografi diUrbano VIII muore impiccato aRoma nel 1641, a Campo de’ Fiori. Per concludere, si può dire che lamaggior parte di questa storia deveancora essere scritta. I documentisu cui si basano le principali rico-struzioni (anche quella delQuintarelli) sono molto esigui elasciano aperta la questione sullafigura del frate Domenico Brancazidi Bagnoregio coinvolto nell’atten -tato alla vita di Urba no VIII.Potrebbe fornire ulteriori elementiuna ricerca indirizzata sul rapportotra il frate bagnorese e la guerrache opponeva il pontefice e la fami-glia Farnese, ed infatti il 1641 èl’anno della morte di fra Domenicoed anche l’anno in cui viene occu-pato il ducato farnesiano di Castro.

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Vincenzo Macchi nacque a Ca po -di monte il 30 agosto 1770 nell’anticopalazzo di famiglia. Fu avviato aglistudi presso il seminario di Monte -fiascone, dove li ultimò con notevo-le profitto tanto da sostenere giova-nissimo dispute pubbliche di teo -logia e filo sofia. Seguirono gli studiuniversitari in Roma dove si laureòin scienze legali. Papa Pio VII, ap -prezzandone le doti intellettuali, lonominò uditore nella nunziatura diLisbona, dove restò fin quando l’ar -mata napoleonica nel 1808 invase ilPortogallo. Rientrato a Roma, glivennero conferiti dal papa poteristraordinari che ne confermaronocapacità degne di encomio. Nel 1818venne nominato nunzio apostolicopresso la Confederazione Svizzera,ma appena due anni dopo assunselo stesso incarico presso la nunziatura di Parigi, dovetrascorse ben otto anni durante i regni di Luigi XVIII eCarlo X. Il 2 ottobre 1826 Vincenzo Macchi, rientrato aRoma, venne promosso cardinale da papa Leone XII edestinato, quale legato apostolico, alla provincia diRavenna e Forlì. Il successivo pontefice Gregorio XVI nel1835 gli affidò la Congregazione per la revisione dei contie della pubblica amministrazione, oltre alla prefetturadella sacra congregazione del Concilio, cariche, queste,

che nel periodo del potere tempo-rale della Chiesa rappresentavanoimpegni di notevole prestigio e diestrema delicatezza. Contestual -mente venne nominato commissa-rio straordinario per le quattroLegazioni dell’Emilia Romagna,incarico di notevole livello nelquale il cardinale Vincenzo dimo-strò capacità organizzative, vivacein tel letto, equilibrio ed anche mo -derazione. Le competenze a lui at -tribuite da Gregorio XVI suggeriro-no il suo trasferimento presso laLegazione di Bologna, dove rimaseper alcuni anni onorato e stimatodai cittadini. Nel 1844 il nuovo papaPio IX lo nominò membro dellacom missione per gli Affari di Statoe nel 1847 decano del Sacro Col -legio. A questi prestigiosi incarichi

si aggiunse la nomina a Datario di Sua Santità, laSegreteria dei Brevi apostolici, la Segreteria dell’inquisi-zione e quella di Cancelliere degli Ordini Equestri. Sioppose a qualsiasi ipotesi di riforma della Chiesa ammo-nendo per le possibili conseguenze: la rilassatezza deicostumi, l’ignoranza quale facile fomentatrice degli erro-ri umani, deplorando apertamente la licenza delle opi-nioni. Non molto dopo la nomina Pio IX costituì unanuova Congregazione di Stato con il compito di provve-

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Cellere

Paolo De Rocchi I conti Macchi È la storia di una importante famiglia che ha avuto un ruolo de terminante nelletravagliate vicende storiche che hanno attraversato un lungo periodo temporale,iniziato nel diciassettesimo secolo fin quasi ad arrivare ai nostri giorni. Tutto pren-de avvio dalla leggendaria figura di Francesco Macchi di Capodimonte, il quale,proveniente da una nobile famiglia di Cremona, arriva nel Lazio per incarico delduca Ranuccio Farnese e assume il ruolo di governatore della città di Castro ecapitano delle milizie farnesiane, tra l’altro nel momento storico più critico delducato, nel quale appunto si preparava il conflitto fra la famiglia Farnese el’esercito pontificio. Il primo documento che menziona la presenza nel Lazio diFrancesco Macchi è il registro parrocchiale della chiesa di Santa Maria Assunta inCapodimonte, dal quale si evince che nel 1610 venne celebrato il matrimonio diFrancesco Macchi e tale Lucrezia Cagnazzini, appartenente alla medesima parroc-chia. Presso l’archivio storico di Capodimonte sono inoltre conservati numerosidocumenti che confermano l’origine cremonese del ramo della famiglia diFrancesco, capostipite, a sua volta, del ramo di Capodimonte e Viterbo. Francesco,che nasce quindi a Cremona nel 1575, è un militare divenuto ufficiale farnesiano,che dal matrimonio con Lucrezia ebbe ben dodi ci figli di cui solo Giovanni Maria sopravvisse al padre. IlMacchi morì nel 1669; aveva 94 anni. Sono molti i discendenti del ramo di Capodimonte e Viterbo della fami-glia; per ragioni di spazio ci occuperemo solo di alcuni personaggi, e fra questi i maggiori interpreti di un perio-do storico nel quale hanno inciso profondamente lasciando indelebili influenze sia politiche che religiose.

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dere alla corretta gestione del governo della Chiesa e diammodernarne le funzioni. Il cardinale Vincenzo Macchifu quindi un personaggio di primo piano della organizza-zione e gestione delle attività della Chiesa in un periodostorico critico nel quale i moti risorgimentali in atto ten-devano a modificarne il ruolo temporale. Passò a migliorvita il 30 settembre 1869 e fu sepolto nella chiesa deiSanti Giovanni e Paolo in Roma.

Luigi Macchi nacque il 3 marzo 1832 nel palazzo difamiglia in Viterbo. Frequentò, in età scolare, il collegioClementino di Viterbo per proseguire poi gli studi alseminario Capranica in Roma, dove successivamentefrequentò l’università gregoriana laureandosi in legge. Il

suo corso di studi fu brillante e sollecito dimostrando uncarattere deciso, notevole intelletto e tenace volontà.Nel 1859 venne ordinato sacerdote presso il CollegioRomano iniziando giovanissimo la sua rapida e fortuna-ta carriera quale addetto alla Segreteria di Stato.Ovviamente la presenza dello zio cardinale Vincenzofavorì l’inserimento di Luigi nella carriera ecclesiastica,tant’è che nel 1878, in qualità di Maestro di Camera diS.S. Pio IX, assistette il pontefice nel suo sereno trapassoe ne curò le esequie. Seguirono numerosi ed importantiincarichi fra cui quello di Amministratore del palazzoapostolico e Maggiordomo del nuovo pontefice LeoneXIII, che lo nominò cardinale nel concistoro dell’11 feb-braio 1889. Nelle sue nuove funzioni il cardinale LuigiMacchi si di mostrò attivissimo e di rara competenza:riordinò l’archivio ed i musei vaticani dando attuazione

al restauro delle celebri logge di Raffaello, e subito dopoindusse il papa ad aprire agli studiosi di tutto il mondo labiblioteca e gli archivi vaticani. Le biografie di Leone XIIne connotano un carattere difficile ed ostinato che soloabilità e pazienza potevano rimuovere. Fra i cardinali,po chissimi erano quelli che avevano capacità di influen-zare il pontefice, e fra questi sicuramente il Macchi. Inqualità di cardinale fu Consultore del Concilio e prefettodei Brevi. Nel 1899 fu nunzio presso la corte bavaresedove manifestò indubbie doti diplomatiche. Nel concla-ve del 1903 il cardinale Luigi sostenne la can didatura delpatriarca di Venezia cardinale Sarto che venne incorona-to nuovo pontefice quale papa Pio X. Nel tempo i rappor-ti fra il nuovo papa ed il cardinale Macchi si mostraronodifficili, con riferimento ai diversi temperamenti ed an -che alla semplicità del modo di vivere del papa, in evi-dente contrasto con gli splendori rinascimentali dellafamiglia Macchi. Nelle attività più significative del cardi-nale Luigi vi fu quella della riforma dell’Ordinamentovaticano, vale a dire l’insieme delle norme che conserva-vano ancora una impronta medioevale tipica del poteretemporale. Per questa impegnativa opera si avvalse dellacollaborazione di suo fratello, conte Vincenzo, il quale losostenne nel definire il nuovo ordinamento che vigequasi interamente ancora ai nostri giorni. Fu, tra l’altro,un amato benefattore verso i poveri, che soccorreva pre-valentemente con mezzi propri, e per le opere di recupe-ro di chiese e monumenti sacri. La casa del Macchi erafrequentata da influenti uomini politici dell’epoca (regnod’Italia) poiché egli apparteneva ad una scuola politicainfluente e conciliante. Era favorevole ad una intesa conlo Stato italiano onde dirimere ogni divergenza e nego-ziare con equità i reciproci interessi. Il cardinale Luigicondusse, tuttavia, una esistenza semplice e spartana:dormiva in un lettino in ferro ed in una stanza disadorna.Morì nel suo palazzo dell’Ara Coeli in Roma a 75 anni. Erail 30 marzo 1907.

Vincenzo Macchi nacque a Roma il 28 ottobre 1866.Negli anni della scuola e poi dell’università seppe distin-guersi come elemento di notevole intelligenza e diapprezzabile profitto che lo portò a risultati eccezionalinella sua preparazione culturale. Iniziò la sua carrieradiplomatica presso il ministero degli Esteri come segre-tario di legazione e, dopo diversi altri incarichi, venneinviato presso la legazione italiana di Buenos Aires.Dopo soli due anni tornò a Roma presso il ministero,dove diventò capo di gabinetto del sottosegretario agliesteri conte d’Arco. Con la stessa mansione assiste ilnuovo sottosegretario Bonin fino a quando nel 1898tornò in Argentina come incaricato di affari e segretariodi Legazione. Nel 1903 venne inviato all’ambasciatad’Italia a Washington col grado di primo segretario edambascia tore reggente in assenza del titolare, baroneMayor de Planches. Nel 1904 tornò nuovamente in Italiaquale capo di gabinetto dei ministri degli Esteri Tittoni eGuicciardini. Tornò ancora a Buenos Aires nel 1906(dove cinque anni prima aveva contratto matrimonio) in

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qualità di ambasciatore, nel quale ruolo profuse perso-nali energie ed influenti conoscenze per mitigare il climadi ostracismo che la popolazione locale nutriva per inostri emigranti. Nel 1910 il governo argentino, con ilpretesto di provvedimenti di natura igienica bloccò conun decreto, peraltro contrario alla convenzione sanitariainternazionale, l’emigrazione proveniente dall’Italia.L’azione del Macchi fu tempestiva ed efficace sia sulgoverno argentino che su quello italiano fino alla ripresadi normali rapporti fra i due paesi. Fu questa una opera-zione volta a valorizzare e tutelare il lavoro italianoanche quando di offerta scarsamente qualificata. Nel1911 tornò a Washington come ambasciatore del regnod’Italia per svolgere una mansione dalla forte connota-zione politica: favorire l’emigrazione italiana negli StatiUniti e costruire solidi contatti commerciali con unpaese esportatore di quelle materie prime necessariealla nostra industria di trasformazione. Quando scoppiòil primo conflitto mondiale, nel 1914, l’America ritenevache questo fosse un problema esclusivamente europeo.Giunse l’ottobre del 1917, quando Caporetto stava decre-tando la vittoria degli austro ungarici. Il Macchi, in stret-ta sintonia con il governo italiano (presieduto da Nitti),giocò la sua parte affinché gli Stati Uniti si decidesseroper l’intervento nella guerra. Certo, l’ambasciatoreMacchi non fu il solo ad auspicarlo e volerlo con forza,ma certamente diede un contributo risolutivo ad inverti-re il corso degli eventi. Molte furono le iniziative condot-te dal Macchi in terra d’America, talvolta finanziate esupportate anche con mezzi personali; tra questel’organizzazione di due uffici a New York e Chicago cheagendo sui nostri emigrati e sulla stampa “amica” svolge-

vano funzione di sostegno alla nostra immagine ed ainostri interessi. Le qualità diplomatiche di VincenzoMacchi emersero sul piano internazionale alla fine dellaprima guerra mondiale quando i vincitori si sedettero altavolo della conferenza per il trattato di pace deI 1919.Quello che avvenne in tale ambito è storia nota, ma quel-lo che condusse agli accordi fra le parti fu un preziosolavoro svolto dalla diplomazia “dietro le quinte”, di cuil’opera di Macchi fu intensa, difficile ed essenziale:incontri, contatti, trattative congiunte e riservate, conci-liazioni su interessi contrapposti e quanto altro fu neces-sario alla definizione del trattato di pace. Che fu una atti-vità frenetica e massacrante per l’Italia e per l’am -basciatore Macchi, lo testimonia nelle sue memorie ilministro Crespi. Macchi tornò al suo posto a Washingtonil 4 luglio 1919. Il 20 ottobre dello stesso anno, dopobreve malattia, passava a miglior vita con gli onori delgoverno americano che provvide al trasferimento dellasalma in Italia con l’incrociatore North Dakota. E’ sepoltoa Roma nella tomba di famiglia al cimitero il Verano.

I Celleresi, a ragione, si domanderanno: cosa c’entratutto questo con Cellere? Il pontefice Pio IX con Brevedel 4 maggio 1858 concedeva ad Oreste Macchi (1797-1878) il titolo di conte, costituendo in contea le terre dellecastellanìe di Cellere, Tessennano e Pianiano, ed appog-giando il titolo al predicato di Cellere. Tale titolo fu con-ferito al titolare ed alla discendenza maschile primogeni-ta. Per la verità i Macchi non assunsero mai la residenzain Cellere. Tuttavia per il disbrigo delle attività locali eper l’amministrazione del patrimonio si appoggiavano ailocali della locale Rocca Farnesiana.

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Ringraziamo vivamente il sig. Giuseppe Cerioni che ha voluto fornirci la docu-mentazione necessaria alla redazione di questo articolo. Ci auguriamo di poterfar seguire un ulteriore articolo riguardante Il Codice Cellerese (Cellere Codex)custodito in originale presso la Pierpoint Morgan Library di New York. Trattasidel libro di bordo o rapporto di bordo dell’ammiraglio Giovanni da Verrazzanodurante il suo viaggio verso le “Indie” nel quale approdò nell’isola di Manhattan(oggi New York) dove realizzò il primo insediamento umano. Questo documen-to fu ritrovato nel 1909 negli archivi dei conti Macchi in Roma.

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Con la solenne liturgiapropria di queste ceri-monie, il 3 maggioscorso nella basilica di

San Giovanni in Laterano aRoma è stata beatificata la fon-datrice dell’Ordine delleAdoratrici Perpetue del SS.Sacramento, Madre MariaMaddalena dell’Incarnazio ne,che fece della sua vita unanon comune e totale donazio-ne a Dio ed alla missione affi-datale, in mezzo a gravi diffi-coltà e contrasti, affrontaticon fede e virtù eroiche. L’evento, di frequente ricorren-za nella Chiesa, è stato perIschia di Castro eccezionale,poiché la Beata si può direche è di qui, avendo vissutoper quasi 20 anni, dal febbra-io del 1788 al maggio del1807, nel monastero dei santiFilippo e Giacomo, delle ter-ziarie francescane, luogo dellasua consacrazione religiosa edella ispirazione a fondare unnuovo ordine religioso. Caterina Sordini - così si chia-mava al secolo - era nata aPorto Santo Stefano, allorapiccolo centro di pescatori dinon più di 600 abitanti nellavicina Toscana, il 16 aprile1770, da “genitori facoltosi, emolto divoti del SagramentatoSignore, specialmente ilpadre, che spesso solevafarLo esporre a pubblicavenerazione”, come scrive, nellibro “Perpetue Adoratrici diGesù nel Divin Sacramentodell’Altare” (1829) il sacerdo-te ischiano don GiovanniAntonio Baldeschi, direttorespirituale e confessore dellaMadre, “uomo di grande spiri-to, sacerdote pio e dotto”,come lo definisce don EraclioStendardi.Un altro biografo della Beata,Gaetano Renzetti, dice della

famiglia: “Erano di una onestàspecchiata e di una grandepietà. Esercitavano la merca-tura dei coralli, possedevanodei beni stabili e dei basti-menti per il trasporto dicereali e di tonni. Ma quelpatrimonio non era soltantoloro: anche dei poveri. IlSordini era un grande elemo-siniere e la sua donna potreb-be chiamarsi oggi una damadi beneficenza. Sul letto dimorte lasciò al figlio Giovanniun vivo ricordo: fare semprela carità”.Non c’è che dire. In quel nidocaldo di affetti e di buoni sen-timenti la piccola Caterina cre-sce bene, esuberante e a volteanche piuttosto irrequieta. Asedici anni è una bella ragazzaed il padre - allora usava così- le mette davanti per farglielo

sposare un giovane diSorrento, Alfonso Capece,commerciante maritti-mo, e quindi conside-rato un buon partito.Caterina non si senteportata al matrimonio,ma, per accondiscen-dere al desiderio delpadre, accetta daAlfonso i gioielli difidanzamento. Conquesti un giorno, tuttaagghindata e sprizzan-te felicità, va in chiesaper mettersi in mostraalla gente vicino all’ac-quasantiera. Il padre lacerca e, trovatala, larimprovera aspramenteper mortificarne lavanità; ma la ragazzaè talmente presa ecompiaciuta di sé, che

corre a casa davanti allo spec-chio per ammirarsi. E le acca-de allora il fatto importanteche dà una svolta decisa allasua vita. Lo raccontò IsabellaBaldeschi, educanda dellascuola pia delle monache, alprocesso testimoniale davantial vescovo di Acquapendente:“Nelle occasioni in cui laServa di Dio vedeva noiragazze un poco studiose nel-l’abbigliarci, facevaci ilracconto da me po c’anzi rife-rito [circa la relazione con ilgiovane sorrentino] e, nellasua semplicità e per disto-glierci dalle vanità del mondo,aggiungeva l’avvertimento diessere noi piuttosto amanti diGesù Crocifisso; e così comu-nicò a noi quanto le avvennenello specchio. Disse pertantoche un giorno era innanzi allospecchio per vedersi abbiglia-ta, e vide in luogo della pro-pria immagine quella di GesùCrocifisso col capo chino etutto pieno di sangue. Leparlò il crocifisso Signore e leingiunse di prendere lo statoreligioso. Tale visione lerimarrà sempre viva nellamente ed, in considerazione

AngeloAlessandrini

Madre Maria Maddalena dell’Incarnazione:

una Beata a casa nostra

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Ischia diCastro

Madre Maria Maddalena dell’Incarnazione (tela della metà del XX sec.)

La visione dello specchio

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di tale visione, appena creataAb badessa nel monastero diIschia, introdusse l’uso diportare al petto il Cro cifissoin ottone su croce di legno,avente il capo chino; e sinchéella visse, mandò da Roma aquelle monache i crocifissi inquella forma”. Dopo quel fatto, l’addio almondo per una vita di ritiro edi preghiera è la risposta gene-rosa ed irrevocabile diCaterina. Con sigliata dai padripassionisti dell’Argentario, cheben conoscevano Ischia per leloro frequenti predicazioni eper il grande zelo profuso inquegli anni da San Paolo dellaCroce nella co struzione dellanuova più grande chiesaarcipretale di San t’Er mete, nelfebbraio del 1788, resistendoagli ultimi tentativi del padre edel fidanzato per dissuaderla,entra nel monastero dei SantiFilippo e Giacomo e, dopo ottomesi di prova, veste l’abitomonacale delle terziariefrancescane col nome di MariaMad dalena dell’Incarnazione.Nella vita della giovane novi-zia, un secondo fatto straordi-nario accade il 19 febbraio del1789, ad un anno appena dalsuo in gresso nel monastero.Mentre è intenta a fare lepulizie del re fettorio, passa dilì la badessa, che le dà unpezzo di pane per la colazione.Appena lo assaggia, sullaparete bianca della stanza leappaiono in visione verginiadoranti il santissimo sacra -men to. Nell’estasi, Dio lemanifesta il desiderio chefondi un ordine religioso perl’adorazione perpetua e lerivela il futuro riguardantel’ordine stesso e gli sconvol-genti avvenimenti della rivolu-zione francese e della vicendanapoleonica, dell’esilio del pa -pa e del suo stesso esilio aFirenze. Riavutasi, raccontatutto alla madre badessa, chele impone per obbedienza dimantenere il segreto: solo alsuo confessore potrà rivelarel’accaduto.Ad una riflessione puramenteumana, la richiesta divina di

questa nuova fondazione intempi così contrari - è l’annodella rivoluzione francese ed ilsecolo della esaltazione dellaRagione fino al delirio di onni-potenza e alla soppressione diconventi e comunità religiosegià esistenti - sembrerebbe uncontrosenso... Scrive a com-mento Nicola Gori nel suointeressante libretto sullaBeata, intitolato “Una lucenella Chiesa” (Edizioni SanPaolo, 2004): “Queste sono levie a noi sconosciute tracciateda Dio. Possiamo immaginarelo stupore di Madre Maria

Madda lena di fronte allarichiesta del Signore, leipovera monaca di un mona-stero della estrema provinciadello Stato Pontificio, sen zamezzi materiali necessari peril raggiungimento dello scopo;eppure, lei si fida, si affida alui e attende con pazienza ein preghiera il giorno in cui

ciò si sarebbe realizzato, per-ché consapevole che l’Opera èvoluta da Lui, che le ha scon-volto la vita. A lei non restache collaborare, nei limitidella natura umana, affinchéil disegno di Dio divenga real-tà”. I miracoli della fede, cheriesce ad illuminare e sostene-re il “corto vedere” dellamente umana.E intanto per la giovane suorasi prospettano giorni di durapro va. Svolge nel monastero ilcompito di infermiera e disacrestana, ma non gode dellastima e dell’affetto di molte

sue consorelle.L’incomprensione, o la gelosia,si annidano talvolta an che neiluoghi più impensati. Quellevisioni estatiche, quelle fre-quenti allusioni profetiche deisuoi discorsi, sono consideratedebolezze della mente, fruttodella vanità di una “sciocche-rella”, come molte in comuni-

tà la chiamano. La sofferenzaè grande per le calunnie, leinimicizie, i dispetti. “Ma nellasua umiliazione - scrive il Gorialla luce dei documenti pro-dotti nel processo di beatifica-zione - procurò di attenderesempre più all’osservanza diquelle virtù che la rendesseropiù cara a Dio e meritevole diquelle grazie che le abbiso-gnavano per resistere allefiere tentazioni da cui venivaspesso assalita e tormentata”.Tentazioni e prove non nuovenella vita dei santi, come quel-le della umanissima e grandeMadre Teresa di Calcutta, o diuno straordinario GiovanniPaolo II, di un don Bosco, diun San Francesco d’Assisi, diun Padre Pio, a cui dovetterobruciare di più le ferite procu-rate al suo spirito da “fuocoamico”, che non le stimmatenelle mani. Anche laicamente,questi esempi di totale dedi-zione alla “causa” fino al mar-tirio di sé nell’accettazione enel silenzio non possono nondestare ammirazione e rispet-to.E’ di fondamentale importanzae sostegno per la giovanesuora il suo confessore donBaldeschi, che la guiderà nelpercorso spirituale e la assiste-rà nella fondazione dell’Operadell’Adorazio ne Perpetua, finosul letto di morte. Nel convento cresce intanto lastima della comunità per suorMaria Maddalena, che il 20aprile del 1802 viene elettabadessa. Se ne dichiara pian-gendo indegna e incapace:accetterà l’incarico solo perobbedienza.Nell’aneddotica della Beata siracconta di fatti straordinari edi guarigioni avvenute perintercessione della Madre, chefecero parlare di miracolo e leprocurarono la fama di santa. Itempi erano difficili ed ilmonastero mancava quasi ditutto, anche del la farina perfare il pane. Un segno di crocesopra la poca farina e tre AveMaria recitate in ginocchio conle tre sorelle addette al forno,faranno crescere la pasta e

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La visione del giovedì grasso (tela del XIX sec.)

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cuocere pane sufficiente perquattordici giorni alle venti-quattro monache, cinque edu-cande, due serve e il casiere.Nel già citato libretto di NicolaGori si legge che “di un fattomiracoloso fu protagonistaanche il Cardinale Castiglioni,il quale, nell’autunno del1806, trovandosi ad Ischia invilleggiatura, ebbe un attaccodi gotta al piede, che gli pro-curava dolori tremendi. Ungiorno, don Baldeschi entra incamera del Car dinale con unpurificatoio, che Madre MariaMaddalena gli aveva dato,dicendo di recitare alcunepreghiere in onore dellaSantissima Trinità e di sten-derlo sulla parte malata chesarebbe guarita; dopo duegiorni, così avvenne. IlCardinale Castiglioni, in segnodi riconoscenza, per trentascudi, fece eseguire dei lavoridividendo il locale dellasacrestia dal confessionale”.Altre storielle hanno il gusto eil sapore tipici dei fioretti diSan Francesco, come quelladelle galline rimproverate emesse a di giuno fino a chenon fecero le uova, o l’altra dimastro Zuzzurro che, calatoall’interno del pozzo del chio-stro per ripulirlo, ci cadde den-tro e riuscì a risalire sano esalvo solo per l’intervento dellaMadre. Di questi suoi poteritaumaturgici ella faceva sem-pre riferimento alla potenza diDio, che attraverso la suaintercessione veniva in soccor-so di chi aveva bisogno. E nonmancava di aggiungere, consanta astuzia, che anche ilmonastero ave va tanto biso-gno della generosità dellagente.Un illustre benefattore delconvento fu il re di SardegnaCarlo Emanuele IV di Savoia,che, perso il regno per la bufe-ra napoleonica, si era rifugiatoa Roma. L’idea di ricorrere alui deve essere stata di donBaldeschi, che, tramite il fra-tello mons. Mario, “primominutante” presso la segreteriadi Stato vaticana poi nunzioapostolico a Madrid, con i

buoni uffici del cardinaleCastiglioni introdusse donMichelangelo Calmet, arcipretedi Ischia di Castro, negliambienti del sovrano, con unalettera della Madre. CarloEmanuele non solo inviò unabella somma di danaro, mavolle personalmente conoscerela Madre. Il 21 no vembre del1803 il sovrano venne aIschia, dove fu ospite del car-dinal Castiglioni. Il giornoseguente andò a far visita allesuore ed incontrò Madre MariaMaddalena. Tanto rimase col-pito il pio re dalla bontà deimodi e dalla lungimiranzadelle sue parole, che lasciòuna cospicua offerta per ibisogni del monastero, delquale poi fu sempre un munifi-co benefattore. Anche suamoglie, la principessa MariaClotilde, vivamente ammiratadella ricchezza e profondità divita interiore della comunità,fece dono alla Madre di unsuo abito indossato una solavolta, che le suore conservanoancora con amore come pre-zioso ricordo. Nel pianerottolodel monastero, sotto il ritrattodel re si può leggere la lapidecommemorativa dell’eventocon la seguente epigrafe: “Siasempre in tutti i giorni del-l’anno per noi il più felice, ilpiù fausto il dì XXI Novembredel 1803, in cui, ricorrendola festa della Presentazione diMaria Vergine al Tempio,Carlo Ema nue le IV, Re diSardegna, presentossi in que-sto sagro ritiro di vergini perriempirlo non solo della reli-giosa sua maestà, ma per col-marlo pur anche de’ regi suoibenefizi. La pietà, la munifi-cenza, la religione di tantomonarca sarà ad eternamemoria de’ posteri”.Ed intanto che la badessaprovvede alla sopravvivenzadel suo monastero in tantapovertà, non dimentica la mis-sione affidatale nella visionedel giovedì grasso di fondarel’Adorazione Perpe tua delSantissimo Sacramento. Nonpotevano esserci tempi peggio-ri di quel primo decennio del

1800, ma Madre MariaMaddalena, al confessore chela frena pregandola di starecon i piedi per terra, risponde:“Non voglio farla io l’opera,ma il Si gno re lo vuole. Gesùprovvederà per quanto ci biso-gna. Lei non ci pensi!”. Lasua è la cocciuta determina-zione dei santi, fondata su unafede senza limiti, che le fa direcon serafica semplicità di

avere “Uno con tanto diborsa, il quale le dava tantidenari che voleva”. Le sonovicini nella Fondazione i suoi“angeli custodi”: don GiovanniAntonio Baldeschi e donMichelangelo Calmet a Ischia;mons. Mario Baldeschi ed ilcardinale Casti glioni a Roma.La Provvidenza le fa trovare unfacoltoso benefattore nell’am-basciatore di re Carlo IV diSpagna a Lisbona, il marcheseNe grete, e due grandi amici

nelle gerarchie ecclesiastiche:il vescovo di Acquapendentemons. Pierleoni, ed il papa PioVII.Scrive per il nuovo ordine leCostituzioni, che sono appro-vate dalle autorità ecclesiasti-che, e il 31 maggio 1807parte per Roma per fare lafondazione con due consorelle,alcune giovani, il ve scovo, ilconfessore Baldeschi e la

signora Margarita Castiglio ni.Così racconta don Baldeschi lapartenza da Ischia: “Il distac-co da quel Monastero fu dolo-rosissimo per tutte, ma ognu-na si rassegnò a tutto quelloche voleva Iddio. La gente delpaese si radunò in quell’istan-te, e con la tenerezza del lorocuore le videro partire allavolta di Roma... La Madre,prima di partire per Romapromise alle consorelle che ilsuo cuore si sarebbe sempre

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Le prime due “messicane” del 1989: suor M. Maddalena e suor M. del Rosario

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incontrato con loro ai piedi diGesù Sacramentato”.Alloggiano per circa un mesepresso le suore agostiniane diSanta Lucia in Selci, per tra-sferirsi poi l’8 luglio 1807 nelconvento dei SS. Anna eGioacchino alle QuattroFontane, dove ha iniziol’esposizione e l’adorazione delsantissimo sacramento. Adiciotto anni dalla visione,l’opera è compiuta. Le mona-che avrebbero osservato laRegola di Sant’Agostino conCostituzioni proprie, adatteall’adorazione perpetua, scrittedalla Madre.Coll’occupazione napoleonicadi Roma anche la vita delmonastero di Sant’Anna èdisturbata e turbata da gravifatti: l’arresto di donBaldeschi, le perquisizioni alconvento e le persecuzionifatte alla “profetessa d’Ischia”,come è indicata la Madre neirapporti della polizia, la chiu-sura del monastero e l’ordine,nel luglio del 1811, di tornar-sene non ad Ischia, ma aPorto S. Ste fano, suo paese diorigine. Inizia un vero e pro-prio esilio, che la Madre accet-ta con rassegnazione e fedeincrollabile. Nel paese natale epoi a Firenze, dove è costrettaad andare ed a restare, con-trollata dalla polizia, per circatre anni, la sua condotta divita e la paziente sopportazio-ne di sofferenze ed umiliazionieccezionali, fanno diffonderetra la gente comune, comenegli am bienti dell’aristocrazianobiliare, la fama di santitàdella Madre e di un suo parti-colare carisma. Finalmente nelmarzo del 1814 può far ritor-no a Roma e il 13 luglio nellachiesa di Sant’Anna è nuova-mente esposto il SS.Sacramento.Un’altra grande benefattriceintanto appare all’orizzonte, laricca marchesa portogheseDas Minas, che fa all’Ordineun lascito destinato ad assicu-rargli la sopravvivenza nelfuturo.Queste conoscenze e supportiiberici - lo spagnolo Negrete

pri ma, la portoghese DasMinas poi - spiegano, forse, lalarga diffusione dell’Ordinenell’America Latina, particolar-mente nel Messico.L’opera della Fondazione vafinalmente verso il compimen-to. Il 12 maggio 1818 laMadre e tre consorelle emetto-no la professione religiosacome Adoratrici Perpetue edopo qualche mese, al termi-ne dell’anno di prova, la emet-tono anche dieci giovani novi-zie. Resta la formale approva-zione della Santa Sede, chegiunge con breve apostolico il22 luglio del 1818, giorno delcom pleanno della Madre. Allereligiose, 14 in tutto, vestite diuna tunica bianca con lo sca-polare rosso ed il mantellobianco per le celebrazionisolenni, Madre MariaMaddalena assegna il turno diadorazione, secondo la Regolache è ancora oggi in vigore.Nel 1822 le suore di clausuradel monastero di Sant’Annasono 23 e sette le converse.Ma nuove prove sono in arrivo.Dicerie ed insinuazioni spingo-no l’autorità ecclesiastica adeffettuare ispezioni e controllinel convento, durante i quali èsmascherata la menzogna deimaldicenti e, per contro, emer-ge l’altissimo profilo della vitaspirituale nel monastero.“Eminenza, io le augurereiche avesse altro Monasterosimile a quello delleAdoratrici...”, riferisce l’abateCanali al cardinale DellaGenga, il futuro papa LeoneXII, piuttosto prevenuto dallefalse informazioni.La salute della Madre, messaa dura prova durante gli annidell’esilio, è minata da unmale che la fa molto soffrirenel corpo e nello spirito. “Pocoo nulla mangiava - scrive donBaldeschi - e passava quasitutte le notti senza mai poterprendere sonno. Soffrivaancora soffocamento di gola,e tanti strapazzi nella vita,che gli cagionavano atrocidolori, e non vi era altro rime-dio di quello, che rassegnarsialla volontà di Dio, il quale

così disponeva sopra di lei,forse per una maggiore purifi-cazione dell’anima sua perdargli poi un premio grandenel Paradiso dopo la suamorte”. La Madre sente pros-sima la meta del suo impe-gnativo viaggio terreno e chie-de che le portino in cella untamburello ed il cembalo percantare la gioia della suaricongiunzione a Dio. Con lacamicia più logora, per lascia-re quella nuova alle consorelle,e in perfetta povertà serena-mente spira il 29 novembre1824.Scrive don Eraclio Stendardinel suo “Ischia di Castro-Memorie Storiche” (1969):“Nel Monastero d’Ischia laMadre si preparò e formò allagrandiosa missione, allaquale, anima eucaristica, ilSignore misteriosamente lachiamava...”.Del monastero d’Ischia, per-tanto, sarà interessante trac-ciare una breve storia, riman-dando chi volesse saperne dipiù alla sopra citata operadello Stendardi ed al volumet-to di Giuseppe Gavelli, “Ischiadi Castro e le Scuole PieFemminili di Santa LuciaFilippini” (1997), oltre che apubblicazioni e opuscoli dispo-nibili presso il monastero deiSanti Filippo e Giacomo diIschia di Castro.L’edificio fu fatto costruire nel-l’arco di tempo dal 1715 al1720, ad uso di scuola fem-minile e di abitazione per lemaestre, dalla signoraMargherita Baciocchi, maestradi Pitigliano, ma residente adIschia, coll’autorizzazione el’aiuto economico del ve scovodi Acquapendente mons.Recchi e dell’amministrazionecomunale. Fu chiamatoConservatorio di Santa Mariadella Misericordia e di SantaCaterina da Siena. Pur conti-nuando l’attività di educazionedelle ragazze del posto, dopoqualche anno la Baciocchi e lesue compagne decisero di riti-rarsi in clausura, come terzia-rie dell’ordine dei Servi diMaria, i frati del convento di

San Rocco. Nel 1743, mortala Baciocchi, da religiosa suorMaria Caterina della Croce, ilvescovo di Acqua pen dentedette incarico a suor LiliaMaria del SS. Crocifisso di fon-dare il monastero, che prese ilnome dei Santi Filippo eGiacomo, secondo la regoladelle terziarie francescane. Nel1798 le suore cessaronol’impegno educativo per diven-tare contemplative con clausu-ra vescovile. Perl’insegnamento, al loro postonel dicembre 1797 eranovenute le prime due maestrepie. Anche il monastero di Ischiasubì la soppressione napoleo-nica nel 1810, ma nel 1814poté riaprire e riprendere lapropria attività.Le suore, pur vivendo nelnascondimento e nella pre-ghiera, erano molto amatedalla gente del paese, chenumerosa frequentava la“chiesa delle monache” edaffollava il parlatorio per farvisita, chiedere consigli e pre-ghiere, portare doni e regali innatura per il sostentamentodella Comunità, numerosa ebisognosa di tutto. Cogli anni,però, le vocazioni diminuivanoed il numero delle suore siassottigliava, tanto che sicominciò a pensare ad unafusione coll’Ordine delleAdoratrici Perpetue del SS.Sacramento, col quale c’eranolegami, si può dire, di sanguee rapporti mai interrotti. Nel1959 iniziò l’adorazione euca-ristica quotidiana e il 2 febbra-io 1973 fu emesso il decretodi fusione. Il 29 settembre1973, festa di San MicheleArcan gelo, le poche suore delconvento deposero l’abito dellefrancescane e rivestirono quel-lo delle adoratrici perpetue,per continuare a vivere “inunum” nella sua genuina lim-pidezza lo spirito eucaristicodella loro madre MariaMaddalena dell’Incar na zione.Fu assicurata così lasopravvivenza al monasterod’I schia, poiché sarebbe potu-ta venire nuova linfa dai molti

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monasteri del nuovo Ordinesparsi in tutto il mondo. Subitodopo, infatti, vennero in aiutoe sostegno delle sorelle france-scane e contribuirono alla cre-scita del “nuovo carisma”Madre Maria Vincenzina, daMonza, superiora per anni;Suor Maria Giuliana, daSeregno, economa; MadreMaria Paola, da Oristano,superiora per anni; SuorMargherita Maria, da Cagliari.Queste prime suore sono anco-ra ricordate con gratitudine ericonoscenza nel monastero.Un nuovo avvenimento, peral-tro, si preparava ancora per ilmonastero di Ischia. Le voca-zioni continuavano purtroppoa mancare e le monache,rimaste in poche, chieseroaiuto al Mes sico, da dovegiunsero in Italia il 23 dicem-bre 1989 Suor MariaMaddalena e Suor Maria delRosario, della Comunità diCotija. Il 5 gennaio 1990,accompagnate da Madre M.Elena Ponzini del monastero diRoma, che rimase due annicon loro, entravano a far partedella Comunità di Ischia. Nel1992 la Federazione ItalianaAdoratrici, d’accordo colvescovo di Viterbo mons. Fio -rino Tagliaferri, ritenne neces-sario affiancare alle due, altresorelle del medesimo mona-stero messicano. Partirono perCo tija le due suore messicaneaccompagnate dal loro cappel-lano, don Tito Monanni, eritornarono con altre cinquesorelle.Oggi la comunità è compostadi dodici suore, delle qualidieci vengono dal Messico.L’auspicio di tutti è che adesse si possano aggiungerepresto giovani forze nuove peril convento, che si apre a chidesideri passarci qualche gior-no, o per una semplice visitadi conoscenza. Le suorerisponderanno al numero0761.425029 o anche perposta elettronica [email protected] Roma, alla cerimonia diBeatificazione del 3 maggio,erano presenti numerosi

ischiani, con le autorità e labanda cittadina. La settimanadopo, l’11 maggio, nel duomosi è svolta una solenne ceri-monia con la presenza delvescovo di Viterbo mons.Lorenzo Chiarinelli e dellaComunità delle Adoratrici.Subito dopo, un lungo corteodi popolo con le autorità citta-dine ha affettuosamenteaccompagnato le suore fin

dentro il monastero, dove, alsuono della banda, la gente hafesteggiato fino a sera. DalCielo, la presenza della Beataaleggiava protettrice sul chio-stro, “che solo amore e luceha per confine”, direbbeDante. Com pendiando effica-cemente il significato profondodell’evento, particolare perIschia, in un bell’opuscolettofatto uscire per l’occasione a

cura del comune, ha scritto labadessa, madre MariaDolores: “In questo piccolo eumile Monastero di Ischia diCastro, Dio ha voluto rivelareun progetto d’amore perl’umanità”: il progetto di testi-moniare la presenza viva diGesù nel mistero eucaristico,missione e carisma dell’Ordinedelle Ado ra trici Perpetue delSantissimo Sacramento.

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Dal Messico all’Italia, con il vescovo Tagliaferri e don Tito Monanni.La Comunità nel 1992

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