K. Marx - fioritofilsto.xoom.itfioritofilsto.xoom.it/Testi estivi/Marx.pdf · Introduzione:...

52
1 K. Marx Introduzione: Capitalismo, istruzioni per l’uso di E. Donaggio, P. Kammerer L’ideologia tedesca Manifesto del partito comunista Il controllo del potere sociale e l’individuo ricco di bisogni (testi da Manoscritti economico-filosofici del 1844, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, La guerra civile in Francia, Critica del Programma di Gotha. Note in margine al programma del Partito operaio tedesco) Introduzione: Capitalismo, istruzioni per l’uso di E. Donaggio, P. Kammerer La promessa e lo sconforto Meglio di così si muore Non s'intende qui restituire ogni aspetto dell'opera di Marx 1 , bensì proporne un attraversamento vivo e parziale come un viaggio; accessibile a giovani curiosi, adulti delusi e a chiunque sia ancora interessato a un discorso serio su questo pensatore, allo studio dei suoi testi e del loro principale oggetto d'analisi: il capitalismo come forma di vita, un modo di produrre ed esistere spaccato tra po- tenzialità e contraddizioni, ricchezza e miseria. … Lo scopo di questa raccolta è infatti quello di fare luce su un sentimento oggi diffuso: la percezione che il capitalismo rappresenti l'orizzonte insuperabile del nostro tempo, il destino inevitabile, agognato o temuto che sia, dell'intero genere umano. E che qualcosa, comunque, continui a mancare. Uno stato d'animo politico - prima ancora che un disagio esistenziale, privato - rispetto a cui Marx, e una serie di desideri, esperienze e fallimenti che si riallacciano al suo nome, non risulta estraneo. La promessa e lo sconforto Sostenere che, in virtù di una sua inesauribile vitalità, il pensiero di Karl Marx (1818-1883) è ancora attuale, può sembrare una battuta prevedibile o infelice. Una trovata per lusingare o irritare il lettore, disponendolo contro la corrente di un senso comune che ha ormai emesso il proprio verdetto. Dopo l'implosione del pianeta amministrato secondo i precetti del Manifesto del partito comunista e de II capitale, quelle opere e il loro autore meritano soltanto la polvere delle biblioteche e dei negozi di anticaglie. O, in alternativa, forme ancora più sterili di conservazione: icone pop per la sigla di trasmissioni televisive e le t-shirt di adolescenti ribelli quanto inoffensivi; immagini sacre per sette di fossili fedeli alla linea. Non c'è dubbio. Da tempo imperversa un'ansia euforica e rabbiosa di chiudere i conti con la costellazione di problemi, visioni e sconfitte legate al nome di Marx. Una gran voglia di sbarazzarsi di questo scarto del passato, facendone uno dei principali mandanti di quel "secolo delle idee assassine" che si sarebbe concluso nel 1989, l'anno in cui il suo "sogno di una cosa" sfumò sotto le macerie del Muro di Berlino. Ma inizia a manifestarsi anche un rifiuto di questa smania liquidatrice, 1 Il testo è l’introduzione a una raccolta antologica di testi di Marx, curata dai due autori

Transcript of K. Marx - fioritofilsto.xoom.itfioritofilsto.xoom.it/Testi estivi/Marx.pdf · Introduzione:...

1

K. Marx

Introduzione: Capitalismo, istruzioni per l’uso di E. Donaggio, P. KammererL’ideologia tedescaManifesto del partito comunistaIl controllo del potere sociale e l’individuo ricco di bisogni (testi da Manoscrittieconomico-filosofici del 1844, Lineamenti fondamentali della critica dell'economiapolitica, La guerra civile in Francia, Critica del Programma di Gotha. Note inmargine al programma del Partito operaio tedesco)

Introduzione: Capitalismo, istruzioni per l’uso di E. Donaggio, P. Kammerer

La promessa e lo sconfortoMeglio di così si muore

Non s'intende qui restituire ogni aspetto dell'opera di Marx1, bensì proporne unattraversamento vivo e parziale come un viaggio; accessibile a giovani curiosi,adulti delusi e a chiunque sia ancora interessato a un discorso serio su questopensatore, allo studio dei suoi testi e del loro principale oggetto d'analisi: ilcapitalismo come forma di vita, un modo di produrre ed esistere spaccato tra po-tenzialità e contraddizioni, ricchezza e miseria. …Lo scopo di questa raccolta è infatti quello di fare luce su un sentimento oggidiffuso: la percezione che il capitalismo rappresenti l'orizzonte insuperabile delnostro tempo, il destino inevitabile, agognato o temuto che sia, dell'intero genereumano. E che qualcosa, comunque, continui a mancare. Uno stato d'animo politico- prima ancora che un disagio esistenziale, privato - rispetto a cui Marx, e una seriedi desideri, esperienze e fallimenti che si riallacciano al suo nome, non risultaestraneo.

La promessa e lo sconforto

Sostenere che, in virtù di una sua inesauribile vitalità, il pensiero di Karl Marx(1818-1883) è ancora attuale, può sembrare una battuta prevedibile o infelice. Unatrovata per lusingare o irritare il lettore, disponendolo contro la corrente di un sensocomune che ha ormai emesso il proprio verdetto. Dopo l'implosione del pianetaamministrato secondo i precetti del Manifesto del partito comunista e de II capitale,quelle opere e il loro autore meritano soltanto la polvere delle biblioteche e deinegozi di anticaglie. O, in alternativa, forme ancora più sterili di conservazione:icone pop per la sigla di trasmissioni televisive e le t-shirt di adolescenti ribelliquanto inoffensivi; immagini sacre per sette di fossili fedeli alla linea.Non c'è dubbio. Da tempo imperversa un'ansia euforica e rabbiosa di chiudere iconti con la costellazione di problemi, visioni e sconfitte legate al nome di Marx.Una gran voglia di sbarazzarsi di questo scarto del passato, facendone uno deiprincipali mandanti di quel "secolo delle idee assassine" che si sarebbe conclusonel 1989, l'anno in cui il suo "sogno di una cosa" sfumò sotto le macerie del Murodi Berlino. Ma inizia a manifestarsi anche un rifiuto di questa smania liquidatrice,

1 Il testo è l’introduzione a una raccolta antologica di testi di Marx, curata dai due autori

2

un interesse di segno contrario, imprevisto e non facile da decifrare. Molti, direcente, sembrano infatti pronti a giurare - su quotidiani, riviste e libri - che lamorte di Marx, data ormai mille volte per certa, è soltanto apparente. A riprova cisarebbero le confessioni dei guru di Wall Street e i sondaggi della Bbc, che lopongono regolarmente al vertice nella hit parade dei più grandi pensatori di tutti itempi2. Ma anche il moltiplicarsi di interviste, compite o visionarie, con un Marxonnipresente e inafferrabile3; il rinvenimento di un manoscritto del Capitale di cuinessuno è più in grado di riconoscere la paternità, rendendoci tutti allieviinconsapevoli di un maestro ignorato4. O immaginarie conversazioni con JohnStuart Mill, nella nebbia di una notte londinese, sulla natura della democrazia5.Trovate e dubbi vecchi quanto Marx, o almeno quanto il marxismo. Una cifra dieccezionalità, infamante o apologetica, ha sempre caratterizzato il confronto conquesto pensatore e con gli esiti della sua riflessione. Una singolarità non certoardua da comprendere quando un terzo dell'umanità formava un blocco di nazionimodellate, non soltanto secondo la retorica di regime, da dottrine che si ri-chiamavano a Marx. E il "mondo libero" guardava alla "fabbrica di sogni" o al"cementificio" rosso con sacrosanto terrore o fierezza militante. Ma oggi, cheimpera la tentazione di ridurre tutto ciò a "un temporale d'estate all'ombra dellabanca mondiale"6, come può il corpo teorico e politico di Marx costituire ancora uncampo di battaglia? Come se si avesse a che fare con un crampo che la coscienzacontemporanea non riesce a sciogliere del tutto; con un desiderio, radicato in unostrato profondo della sua identità, che non vuole saperne di svanire.La risposta, non certo originale, che suggeriamo in questa nota introduttiva muoveda un presupposto preciso: impossibile parlare di Marx senza che il discorsoinvesta la nostra condizione presente e la residua capacità di immaginarla diversa emigliore. A dispetto dei tentativi di esorcizzarlo, lo scontro che si seguita acombattere intorno a Marx - e all'aura che avvolge in modo indistinto e spesso pocoinformato, carismatico o caricaturale, la sua figura e le sue idee - viene infattialimentato: 1) da una delle promesse di felicità più seducenti che la culturaoccidentale abbia mai arrischiato; 2) da un'analisi e una passione per il reale chegiustifica quell'aspettativa. Due fonti che confluiscono in una prospettiva disuperamento delle patologie generate dal capitalismo che ha trovato in molti passi econcetti marxiani un orizzonte di rara intelligenza e fascino.Una scienza delle cose feroce nella sua lucidità e una fondata speranza diemancipazione sociale: questi gli elementi inseparabili di quell'amalgama spurioche è l'opera di Marx. Il suo baricentro è saldamente ancorato nel presente e nellesue contraddizioni, distruttive quanto feconde, come insegna un metodo dialetticodi pensare il mondo. Ciò nondimeno è stata l'apertura sull'avvenire a conquistare lemasse, trasformando il pensiero marxiano in una macchina che generavaautomaticamente verità e salvezza. Una seduzione che, per il cinismo dei leader e ilbisogno di credere dei fedeli, ha assunto fogge spesso aberranti, come dimostra lastoria dei socialismi più o meno reali. Ma anche un'esigenza che, malgrado quelladeriva, non può venire rimossa o liquidata senza che si apra un vuoto sintomatico,difficile da colmare, proprio per via delle forme in cui quella speranza è statadisattesa o esaudita.

2 Cfr. J. Cassidy, The Return of Karl Marx, in "The New Yorker", 20 e 27, ottobre 1997;http://www.bbc.co.uk/radio4/history/inourtime/greatest_philosopher.shtml.3 Cfr. G. Carandini, Un altro Marx. Lo scienziato liberato dall'utopia, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 3-28;J. Goytisolo, Karl Marx Show, Cargo, Napoli, 2005.4 Cfr. B. Sichtermann, Karl Marx: neu gelesen, Wagenbach, Berlin 1995, p. 40.5 Cfr. P. Ginsborg, La democrazia che non c'è, Einaudi, Torino 2006, pp. 3-17.6 Cfr. B. Groys-M. Hollein (a cura di), Traumfabrik Kommunismus, Hatje Cantz, Ostfildern 2003; H.Muller, L'invenzione del silenzio, Ubulibri, Milano 1996, p. 61.

3

Non soltanto - occorre precisare - dalle società che da essa traevano legittimazione(la loro smentita di quell'aspettativa è stata così eclatante da non minarnedefinitivamente la plausibilità). Ma anche dal modo di esistere e produrre chedomina incontrastato sulle rovine di quel disastro. Il capitalismo ricava infattimolta della sua forza dal soddisfacimento individualizzato e mercificato del deside-rio nutrito da Marx; un modo di depotenziare e assorbire la carica di quel sogno,rinnovandolo costantemente solo per frustrarlo: la libertà del consumatore, ilcomunismo realizzato in un uomo solo, in ogni individuo isolato nella lotta per laricchezza e la felicità.Un fallimento che non intacca la promessa e una perversione che la disinnesca,evocandola di continuo: una peculiare forma di delusione marca dunque l'epocache ci siamo appena lasciati alle spalle; un disincanto riconducibile, attraverso varigradi di mediazione simbolica e reale, a una delle due componenti - quellastoricamente più sovraesposta - del pensiero marxiano: la speranza condivisa. Chesi guardi infatti al Novecento come al "secolo comunista", con la grigiadecomposizione della sua utopia; come al "secolo totalitario", scandito dal computoparallelo delle atrocità naziste e sovietiche; o come al "secolo del capitale" - checon fragilità blindata ripete ogni giorno: "Non si sta poi così male: da altre parti c'èstato e c'è ben di peggio"7 - questa "età degli estremi"8 sembra trarre il propriosenso da quanto è stato tentato e patito in nome di quell'istanza di emancipazione.Molto meno, si badi, da ciò che Marx ha effettivamente scritto - dettaglio nonirrilevante per i curatori di un'antologia di suoi testi, e forse non soltanto per loro -fatta eccezione per alcune frasi e slogan che, ripetuti come un mantra, hannogiustificato gli esperimenti condotti per decenni sulla carne viva di milioni dipersone.A chi si accosti oggi per la prima volta alle pagine marxiane tutto ciò potrebbeapparire, e non del tutto a torto, cronaca di una stagione conclusa. Ma gli effetti diquesta battaglia che ha consumato il Novecento determinano in profondità, anchese in modo spesso inavvertito soprattutto dalle generazioni più giovani, il climaintellettuale e politico, la temperatura delle passioni individuali e collettive, lafiducia in se stesso e la fantasia sociale di questo primo scorcio di nuovo millennio.Delineare la posta in palio e le conseguenze di una guerra tutt'altro che freddaintorno a un "desiderio chiamato Marx"9 può essere perciò di qualche utilità perdecidere se valga ancora la pena leggere, o tornare a studiare, parole e testieffettivamente usciti dalla sua penna, visitando il luogo dove il corpo e lo spettro -Marx e i comunismi di cui il Novecento è stato capace - non sono ancora confusi.Scoprendo così anche l'altra componente del suo pensiero, altrettanto fondamentalemalgrado l'ombra in cui è rimasta storicamente confinata: il tentativo di analizzaree descrivere, fornendo qualcosa di simile a delle istruzioni per l'uso, ilfunzionamento occulto del capitalismo, la matrice originaria di svariate critiche alnostro modo di vivere e produrre.Quale punto d'attacco, tra gli infiniti possibili, per riflettere sul primo dei due temisopra elencati - la speranza sociale - si potrebbe scegliere il dialogo sui massimisistemi posto al centro de Il correttore, un racconto filosofico di George Steiner10.Le sue battute drammatizzano in modi semplici, sospesi tra il kitsch di un profluviodi allegorie e il respiro di un romanzo russo, molti degli argomenti che vengonoavanzati per spiegare il volgersi in incubo del sogno auspicato da Marx; ma anche i

7 A. Badiou, Il secolo, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 10-12 e 848 Cfr. E.J. Hobsbawm, Il secolo breve 1914-1991, Rizzoli, Milano 2006.9 Cfr. J.F. Lyotard, Economia libidinale, Colportage, Firenze 1978.10 Le citazioni che seguono sono tratte da G. Steiner, Il correttore, Garzanti, Milano 1992, pp. 44-69. Losfondo teorico del racconto è tracciato in Id., La nostalgia dell'assoluto, Bruno Mondadori, Milano 2000.

4

motivi che hanno spinto a lottare per la sua realizzazione e, in anni più recenti, aopporsi al suo oblio definitivo.Il titolo potrebbe recitare La promessa e lo sconforto. Sullo sfondo delle immaginidel crollo del Muro di Berlino, i due protagonisti padre Carlo, un prete convertito almarxismo, e il Professore, un militante comunista, correttore di bozze dileggendaria precisione, sottopongono a un'incandescente autopsia la loro fedepolitica. Alla radice vi riconoscono la non accettazione del mondo così com'è, unitaall'indimostrabile certezza che "deve esserci qualcosa di meglio"; che se la vitafosse tutta qui, con "la sofferenza, il luridume che ci Seppellisce fino agli occhi. Sequesta dovesse essere l'ultima ratio, la somma finale, sarebbe meglio correre aimpiccarci al prossimo lampione. Al primo gancio da macellaio". Questapercezione parziale e acuta del male in ogni suo aspetto, anche quelli che paionomeno sanabili e congiunti all'esistere in quanto tale - dall'infelicità alla malattia,dalla fame all'ingiustizia e alla morte - sembra contemplare soltanto due sbocchi disperanza e redenzione, affini nelle aspirazioni ma divergenti nelle ricadutepratiche: la dottrina di Cristo e quella di Marx.Se ad animarle è il medesimo sdegno per un dolore immotivato, che si accanisce inparticolare sull’"innocente e l'indifeso", diverso è il rapporto con il futuro e la suaignota lunghezza, l'attesa; la scelta della gestione più redditizia, nei giorni o neimillenni, di quel "tesoro d'impazienza" e rabbia indispensabile per porre fine a untale tormento. Ai propri fedeli la Chiesa raccomanda docilità e ubbidienza,un'illimitata capacità di sopportazione che verrà ricompensata, alla fine dei tempi,nel regno di giustizia e dignità riservato al "popolo eletto della disperazione".Aspettando la sua venuta, e in nome dell'amore divino, le gerarchie ecclesiastichedistribuiscono "analgesici" di vario genere, e massacrano "con coerenza" ognieresia che indichi una scorciatoia terrena verso quella meta: "Non c'è niente cheRoma abbia temuto più dell'impazienza. Il suo regno non è di questo mondo. C'èmai stato un manifesto politico più abile? Rispondi, Professore".Anche il comunismo - insinua Padre Carlo - nasce da questa "fame molto piùantica", dalla "furia dell'adesso" che già divorava i profeti dell'Antico testamento,da una brama che non accetta di rinviare sine die un'esistenza degna dell'uomo.Quella di Marx - con la sua previsione dell'esito della lotta per il superamento dellamiseria, attraverso il decisivo supporto di "forze produttive" possenti (lavoroumano, industria, tecnologia e general intellect) - non sarebbe dunque una "scienzadella storia", bensì una rivelazione sotto mentite spoglie, che non soltantoannuncia, ma addirittura garantisce l'avvento di una società che sopprime losfruttamento dell'uomo sull'uomo: un futuro senza patologie sociali, che realizza lepromesse e i miracoli che il cristianesimo disperde in cielo.È proprio questa tuttavia - conclude il prete afflitto - la "menzogna centrale,assiomatica" che avvelena il "cuore del comunismo" e lo condanna al "tradimentosistematico della speranza umana": la fede nella possibilità di un'emancipazionereale, di una "liberazione dalla servitù qui e ora. In questo mondo". Un inganno cherappresenta un"`umiliazione dell'uomo e della donna peggiore delle tirannie e delledepravazioni del cristianesimo, per quanto orrende esse siano", e che ha trovato neiguardiani delle rivoluzioni rosse novecentesche i suoi sanguinari quantoimmaginabili esecutori.La replica del Professore inverte il segno di questa diagnosi, pur mantenendoneinalterati gli elementi fondamentali. Ai suoi devoti la Chiesa ha in realtà sempreriservato un "disprezzo tremendo", mortificandoli con paure e rimedi infantili.Soltanto al marxismo può invece essere ascritta una "sopravvalutazione forsefatale, forse insensata, eppure magnifica, giubilante, dell'uomo. Il più grandecomplimento che gli sia mai stato fatto". Sta qui, in questa dismisura, in questo"mostruoso" peccato di hybris commesso con le migliori intenzioni, la radice di uninganno che ha reso agli esseri umani, soprattutto agli ultimi tra loro, il più grande

5

degli onori, concependoli come una "cosa senza limiti", un'infinita potenza ditrasformazione del mondo. Sarebbe questa la "mossa più nobile della nostra tre-menda storia".Ben diversa la strategia che avrebbe assicurato il trionfo alla forma di vita che ilmarxismo si riteneva destinato ad abbattere. Saggio o cinico, il capitalismo coltivainfatti un peculiare rispetto della proporzione; non si accontenta nemmeno dilasciare l'uomo così com'è, ma lo rende "più piccolo", per farlo sentirecostantemente a suo agio nella propria pelle, a patto che disponga del denaro percomperare le cose che cementano questo benessere e regalano una salvezza istan-tanea, privata, a portata di tasca. E in questo sgravio dalle responsabilità neiriguardi del resto del mondo, unito a un'indulgenza assolutoria verso la propriaimperfezione, si cela la sua inesauribile fonte di profitto: "Questo è il vero geniodel capitalismo: impacchettare, mettere l'etichetta con il prezzo sui sogni degliuomini. Mai valutarci al di sopra della nostra mediocrità".

Meglio di così, si muore

"Liberazione dalla servitù qui e ora. In questo mondo." Per tutti. Sarebbe questa la"mossa più nobile della nostra tremenda storia", da cui sia la Chiesa, con il suoculto della pazienza, sia il capitale, con la sua religione della merce, si sarebberoben guardati, traendone in cambio durata, potere e profitto. E che Marx inveceazzarda.Se si dovesse rinchiudere in uno slogan il contenuto oggi più rivoluzionario dellapromessa e della ferita riconducibili al nome di Marx, noi forse suggeriremmoquesto. Un modo di declinare la "metafora assoluta" dell'emancipazione -un'immagine in cui l'umanità cristallizza le aspettative fondamentali nei riguardidel senso del mondo e del proprio agire11 - che ha subito smentite teoriche epratiche di tale entità da risultare letteralmente inconcepibile per il senso comunecontemporaneo. Ma anche una sorta di pietra miliare su cui misurare gli anni luceche ci separano dalla commovente fiducia in se stesso di un passato - il nostro -tutt'altro che remoto. E il prezzo di questo disincanto.In un lasso di tempo relativamente breve si è infatti consumato il supplizio di unasperanza che non proveniva da un altro pianeta, ma rappresentava l'utopico lietofine del romanzo di famiglia della modernità occidentale: appropriarsi della realtàsociale in cui si è inseriti, invece di avvertirla come un che di estraneo,ingovernabile e fatale, a cui doversi adattare o soccombere. La potenza dell'arsena-le scientifico, tecnico e politico di una ragione che ignora "ostacoli insormontabili evicoli ciechi"12 avrebbe finalmente permesso di istituire una condizione degnadell'uomo perché libera da ingiustizie e sofferenze non necessarie.A questo grande racconto Marx conferisce una prospettiva precisa, quella in cui gliindividui, con le loro forze associate, con il loro "lavoro", sono gli autori e attoridel proprio destino. Di qui l'enfasi posta sul ruolo del proletariato, a rappresentarel'irruzione delle masse nel regno degli ideali borghesi, l'emblema della "miseriaoggettiva" creata dal capitalismo, cioè della separazione dei soggetti dalle con-dizioni materiali della propria realizzazione, più che un gruppo caratterizzabile conprecisione sociologica. Ma anche, nel quadro di una conflittualità tra le classi intesacome motore di progresso, la conquista di un avvenire migliore per tutti, e non soloper una minoranza privilegiata. Marx riconosce cioè l'esistenza di un "lato cattivodella storia" dovuto non al vizio morale dei singoli individui o a un deficit di

11 Cfr: H. Blumenberg, Paradigmi di una metaforologia, il Mulino, Bologna 1969.12 B. Baczko, L'utopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell'età dell'illuminismo,Einaudi, Torino 1979, pp. 215-216.

6

regolamentazione giuridica, bensì al carattere strutturalmente antagonistico eoppressivo di un determinato modo di esistere e produrre. Un'ipotesi da cui segueuno dei più spinosi corollari del suo pensiero: una concezione della giustizia e dellaviolenza secondo cui "la storia è il giudice e il proletariato il suo esecutore".Queste mosse, e altre che non possono essere qui ricordate, spiegano come ilmodello prospettato da Marx sia riuscito a monopolizzare, quasi a esaurire perlungo tempo, l'orizzonte utopico della modernità occidentale, imponendosi come lasola autentica alternativa al capitalismo. Come l'unica via d'uscita da quella formadi vita e dalle sue patologie in grado di inverarne in modo non parziale o fittizio ilpatrimonio di aspirazioni. In ciò consisterebbe il suo carattere "singolare, totale eincancellabile", in un'eccezionalità legata a "una certa affermazione emancipatricee messianica, una certa esperienza della promessa che si può tentare di liberare daogni dogmatica e persino da ogni determinazione metafisico-religiosa, da ognimessianismo"13. Un effetto imputabile alla natura ibrida della riflessione marxiana,i cui ingredienti rispecchiano la fisionomia di un autore che abbina lo sguardoanalitico del "detective" a quello lungimirante del "liberatore"14: economia efilosofia, scienza e profezia, ideologia e utopia, ragione e rivoluzione. Da un lato,dunque, la dottrina di Marx operò come un "religione politica"15 orientatasull'avvenire, come uno straordinario riduttore di complessità che indicava il luogoe i protagonisti dello scontro decisivo per la salvezza sociale; che fissava unaprecisa gerarchia delle forme e degli obiettivi del conflitto, un codice universaledella liberazione capace di tradurre in un'unica koiné una pluralità di lingue eprogetti politici. Qualsiasi differenza di sesso, religione, nazionalità, cultura ecc.passava in secondo piano rispetto alle "maschere economiche" che la societàcapitalistica apponeva sul volto degli individui, alla lotta di classe. Eall'antagonismo "strutturale", quello tra capitale e lavoro, il cui esito avrebbe avutoricadute "sovrastrutturali" decisive. Il pensiero di Marx diventò così una sorta diprisma luminoso capace di concentrare, dando loro potenza e forma definita, idesideri che animavano le aspirazioni di mutamento più disparate. Ma anche unbuco nero in cui venivano inghiottite le diversità che distinguevano istanzeemancipative difficilmente compatibili con il suo modello di lotta per laliberazione16. Dall'altro lato, quello della comprensione dei meccanismi della realtàsociale esistente, la teoria marxiana si distinse per una spiccata capacità d'innesto eintegrazione, con il risultato paradossale che le sue carenze finivano per mutarsi inpunti di forza. Innalzata a "insuperabile orizzonte filosofico del nostro tempo"17,essa venne arricchita dagli apporti delle discipline più svariate: dalla psicoanalisialla fenomenologia, dalla linguistica all'antropologia. Il risultato fu, in diversi casi,un'immagine del mondo, un'ideologia onnicomprensiva in grado di risolvere ognisorta di enigma e ingiustizia. Un "oppio" che molti uomini di cultura assumevanoin buona fede o con falsa coscienza, salvo poi optare per forme più o menospettacolari di abiura.Difficile, infatti, "resistere al fascino di questo sistema in cui la scienza dimostrache sarà la necessità a eseguire i verdetti della coscienza. Il capitalismo condannatoa morte non in quanto intrinsecamente ingiusto, ma da questa stessa sua ingiustizia.Un appello sacrosanto alla lucidità, quale precetto cardine di un'etica intellettuale,che non può tuttavia far dimenticare come molte delle menti più aperte del

13 J. Derrida, Spettri di Marx, Cortina, Milano 1994, p. 115.14 E. Bloch, Il principio speranza, Garzanti, Milano 2005, p. 1581.15 Nella vastissima letteratura sul tema, cfr. ad es. H. Arendt, Religione e politica, in Antologia,Feltrinelli, Milano 2006, pp. 168-171.16 Cfr. E. Lacau-C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy. Toward a Radical Democratic Politics,Verso, London 20012, pp. 176-193.17 J.-P. Sartre, Questioni di metodo, in Crtica della ragione dialettica, il Saggiatore, Milano 1982, p. 32.

7

Novecento debbano i loro strumenti concettuali proprio al contatto con un'opera,quella di Marx, la cui lettura produce effetti di orientamento nel paesaggio sociale epolitico fuori dal comune: "Macigni interi cui ero passata accanto andavano a unloro posto, non potevo più fare come se non ci fossero o fossero fatali. In verità nonera una scoperta, era una presa d'atto senza più rinvii possibili"18.Nel concorrere di queste due istanze - nell'intreccio di religione, politica eWeltanschauung19 - trova la sua motivazione l'accusa più radicale che è stataavanzata contro Marx e gli effetti della sua dottrina. Quella di essere un'ideologia"totalitaria", un modo di concepire l'uomo e la storia potenzialmente violento eliberticida, che avrebbe trovato la sua attuazione coerente nei regimi che hannoinsanguinato il Novecento. Una critica, giunta dai fronti più disparati, che ha finitoper conferire alla riflessione marxiana il suo aspetto attuale, il reperto di un'erasepolta da cui non è più lecito attendersi nulla.Si tratta - e di norma la cosa viene presentata in questi termini - del definitivorisveglio da un sogno, o da un incubo; di uno scatto di maturità nel nostro rapportocon il mondo. Ma il frutto di questo apprendimento dai propri errori, a dispettodella retorica ufficiale in materia, non sembra avere reso più adulti e felici. Semmaipiù spossati e soli. Una sensazione descritta in modo efficace da chi sostiene che ilproblema degli individui sia oggi principalmente quello di risolvere per viabiografica le contraddizioni del sistema capitalistico20. Un sovraccarico dellefunzioni dell'Io imputabile al venire meno della fiducia in un sapere in grado difungere da orizzonte di un'azione collettiva. La frantumazione dei grandi codici chetentavano di fornire un'eziologia condivisa e una terapia partecipata all'afflizione oallo scandalo per lo stato del mondo rende infatti problematico, per il singolo,stabilire gerarchie di importanza che strutturino le sue reazioni di fronte a patologiesociali sempre più inflazionate21.Questa privatizzazione della cognizione del dolore, del dissenso e della speranza22,produce i suoi effetti sulla percezione della realtà sociale. A dominare sembranocomportamenti di tipo adattivo improntati a un'eternizzazione del presente e a unadesertificazione del futuro che mescolano toni euforici e sconsolati. Da un lato, unsenso di liberazione da ideali che impongono all'esistente un orizzonte di ulterioritàfrustrante, abbinato a una condanna talvolta spietata della sua imperfezione; ilpiacere per prospettive di vita finalmente adeguate alle proporzioni del singolo edelle sue effettive possibilità. Dall'altro, un senso di perdita e angustia, uno stranopessimismo che si fatica a organizzare. Sensazioni divergenti radicate nellapercezione che la vita è tutta qui, senza alternativa: un godimento del presente chenon intende sacrificarne un attimo sull'altare di un domani diverso, una felicitàesile, su misura dell'ego, la magnifica ossessione della me generation. Chiedere dipiù si è rivelato rischioso. Meglio di così, si muore.Si tratta di una diagnosi ambigua, capace di suscitare il realismo dell'adattamento,ma forse anche l'impazienza dell'hic et nunc, la consapevolezza del "se non ora,quando?". Il tramonto del "comunismo-speranza" consente infatti come possibilealternativa una rinnovata passione per il presente. Una nuova attenzione esensibilità per il "movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente" puòsostituirsi a una promessa di felicità delusa; la riduzione dell'uomo alla mediocritàpuò essere messa in crisi da una fiducia in se stessi rinsaldata da un'analisi delcapitalismo contemporaneo (e delle sue novità, che sono meno di quanto si creda),

18 R. Rossanda, La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005, p. 74.19 Visione del mondo20 Cfr. U. Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma 2000.21 Cfr. S. Sim (a cura di), Post-marxism. A Reader, Edinburgh University Press, Edinburgh 1998.22 Cfr. R. Aronson, Hope After Hope? Hoping for Social Change in the 21st Century, in "SocialResearch", 2, 1999, pp. 471-494.

8

dei suoi surrogati, del suo modo di occultare i problemi e le contraddizioni. Unaridda di ipotesi al cui fondo sta un interrogativo: si può oggi rileggere Marx senzaillusioni, pagando sino in fondo il prezzo del disincanto?Non tanto il Marx profeta del comunismo, quanto il critico dell'artificialità di unmodo di esistere e produrre disumano, che si vorrebbe inevitabile come un destino.Non solo il critico della fame e dello sfruttamento che ha spinto e ispirato moltegenerazioni, l'ultima delle quali ha smesso forse troppo presto di chiedere che cosasignifica essere comunisti23. Piuttosto un Marx critico della nausea e dellavergogna che - rimosse con un impiego massiccio di propaganda, ipocrisia e "oppiodel popolo" - costituiscono uno strato diffuso di sentimenti frustrati da riconosceree articolare."Lei mi guarderà sorridendo," scrive il giovane Marx a Arnold Ruge nel marzo1843, "e mi chiederà che cosa si è guadagnato? Dalla vergogna non nasce nessunarivoluzione. Ma io rispondo: la vergogna è già una rivoluzione, [...] se un'interanazione si vergognasse davvero."Dopo decenni di un regime internazionale di massima sicurezza, la santa Alleanza,Marx rivendica "aria libera per respirare" contestando quei filistei "così prudentiche tutti i loro desideri e pensieri più audaci non vanno oltre la piatta esistenza",oltre una forma di vita che sembra avere scordato persino il significato di questotermine. In tempi più recenti, un'esigenza simile è stata espressa da Hannah Arendt,ma in un tono rassegnato: "La passione to make the world a better place to live inha, in un primo tempo, davvero migliorato il mondo, ma ha avuto anche perconseguenza che tutti hanno dimenticato, nel corso del miglioramento del mondo,cosa significato live. Così [...] stanno davanti a uno dei `migliori dei mondipossibili', e hanno perso la vita. Questo è un inferno"24. Parole riferite agli StatiUniti, ma che valgono benissimo anche per i paesi del "socialismo reale" e per ilMarx a cui questi si richiamavano: il fautore imperturbabile di uno sviluppo che èpoi sempre quello capitalistico inteso come presupposto indispensabile delcomunismo; un Marx incurante o ignaro del pericolo che il "comunismo", nel corsodella realizzazione delle sue premesse, potesse dimenticare o smarrire il propriosignificato.Difficile invece immaginare cosa accadrà in paesi immensi, come la Cina e l'India,sempre più protagonisti della storia del pianeta. Il carattere occidentale dellaglobalizzazione reca con sé le istanze e i desideri di una soggettività individuale ecollettiva, non solo mortificata, ma anche arricchita dalla sensazione che la vita siatutta qui: una soggettività che cerca chiarezza nella confusione e precarietà delrapporto tra tempo di lavoro e di vita; insofferente verso un crescente potere dellecose e bisognosa di vecchi e nuovi rapporti di socialità. Ecco la posta in gioco diquesta antologia.

E. Donaggio, P. Kammerer, Karl Marx. Antologia. Capitalismo, istruzioni per l’uso, Feltrinelli, 2007,pag. VII-XVII

23 Cfr. A. Natoli, Identità comunista e forme di organizzazione, in "Problemi del socialismo", 6, 1986, p.55.24 H. Arendt, Denktagebuch, Piper, Munchen-Zurich 2002, vol. I, p. 105.

9

L’ideologia tedesca (1845-46)

Capitolo IIL’ideologia in generale e in particolare l'ideologia tedesca

La storiaSulla produzione della coscienza

… I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sonopresupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell'immaginazione. Essi sono gliindividui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle cheessi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione25.Questi presupposti sono dunque constatabili per via puramente empirica. Il primopresupposto di tutta la storia umana è naturalmente l'esistenza di individui umaniviventi. Il primo dato di fatto da constatare è dunque l'organizzazione fisica diquesti individui e il rapporto, che ne consegue, verso il resto della natura. Quinaturalmente non possiamo addentrarci nell'esame né della costituzione fisicadell'uomo stesso, né delle condizioni naturali trovate dagli uomini, come lecondizioni geologiche oro-idrografiche, climatiche, e così via. Ogni storiografiadeve prendere le mosse da queste basi naturali e dalle modifiche da esse subite nelcorso della storia per l'azione degli uomini. Si possono distinguere gli uomini daglianimali per la coscienza, per la religione26 per tutto ciò che si vuole; ma essicominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loromezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazionefisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamentela loro stessa vita materiale. Il modo in cui gli uomini producono i loro mezzi disussistenza dipende prima di tutto dalla natura dei mezzi di sussistenza che essitrovano e che debbono riprodurre. Questo modo di produzione non si devegiudicare solo in quanto è la riproduzione dell'esistenza fisica degli individui; anzi,esso è già un modo determinato dell'attività di questi individui, un mododeterminato di estrinsecare la loro vita, un modo di vita determinato. Come gliindividui esternano la loro vita, così essi sono.

Ciò che essi sono coincide dunque immediatamente con la loro produzione,tanto con ciò che producono quanto col modo come producono. Ciò che gliindividui sono dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione.Questa produzione non appare che con l'aumento della popolazione. E presupponea sua volta relazioni fra gli individui. La forma di queste relazioni a sua volta ècondizionata dalla produzione.

I rapporti fra nazioni diverse dipendono dalla misura in cui ciascuna di esseha sviluppato le loro forze produttive, la divisione del lavoro e le relazioni interne.Questa affermazione è generalmente accettata. Ma non soltanto il rapporto di unanazione con le altre, bensì anche l'intera organizzazione interna di questa stessanazione dipende dal grado di sviluppo della sua produzione e delle sue relazioniinterne ed esterne. Il grado di sviluppo delle forze produttive di una nazione èindicato nella maniera più chiara dal grado di sviluppo a cui è giunta la divisionedel lavoro. Ogni nuova forza produttiva, che non sia un'estensione puramente

25 Gli individui non sono astratti o dati in sé, ma determinati dalle condizioni storiche, sociali,economiche, politiche, etc. sia già esistenti sia prodotte dalla loro stessa azione.26 Riferimento a Essenza del cristianesimo di Feuerbach

10

quantitativa delle forze produttive già note (per esempio di dissodamento diterreni), porta come conseguenza un nuovo sviluppo nella divisione del lavoro.

La divisione del lavoro all'interno di una nazione porta con sé innanzi tutto laseparazione del lavoro industriale e commerciale dal lavoro agricolo e con ciò laseparazione fra città e campagna e il contrasto dei loro interessi. Il suo ulterioresviluppo porta alla separazione del lavoro commerciale da quello industriale. Inpari tempo, attraverso la divisione del lavoro all'interno di questi diversi rami, sisviluppano a loro volta suddivisioni diverse fra individui che cooperano a lavorideterminati. La posizione reciproca di queste singole suddivisioni è condizionatadai metodi impiegati nel lavoro agricolo, industriale e commerciale (patriarcato,schiavitù, ordini, classi). Quando le relazioni sono più sviluppate, le stessecondizioni si manifestano nei rapporti fra diverse nazioni. I diversi stadi disviluppo della divisione del lavoro sono altrettante forme diverse della proprietà;vale a dire, ciascun nuovo stadio della divisione del lavoro determina anche irapporti fra gli individui in relazione al materiale, allo strumento e al prodotto dellavoro.

La prima forma di proprietà è la proprietà tribale. Essa corrisponde a quelgrado non ancora sviluppato della produzione in cui un popolo vive di caccia e dipesca, dell'allevamento del bestiame o al massimo dell'agricoltura. In quest'ultimocaso è presupposta una grande massa dì terreni incolti. In questa fase la divisionedel lavoro è ancora pochissimo sviluppata e non è che un prolungamento delladivisione naturale del lavoro nella famiglia. L'organizzazione sociale quindi silimita ad essere un'estensione della famiglia: capi patriarcali della tribù, al disottodi essi i membri della tribù, e infine gli schiavi. La schiavitù, latente nella famiglia,comincia a svilupparsi a poco a poco con l'aumento della popolazione e deibisogni, e con l'allargarsi delle relazioni esterne, così della guerra come del baratto.

La seconda forma è la proprietà della comunità antica e dello Stato, che haorigine dall'unione di più tribù in una città, mediante patto o conquista, e in cuicontinua ad esistere la schiavitù. Accanto alla proprietà della comunità già sisviluppa la proprietà privata mobiliare e in seguito anche la immobiliare, che però èuna forma anormale, subordinata alla proprietà della comunità. I membri delloStato possiedono soltanto nella loro comunità il potere sui loro schiavi chelavorano, e già per questo sono legati alla forma della proprietà della comunità. Èla proprietà privata posseduta in comune dai membri attivi dello Stato, i quali difronte agli schiavi sono costretti a restare in questa forma naturale di associazione.Di conseguenza l'intera organizzazione sociale fondata su questa base, e con essa ilpotere del popolo, decadono nella misura in cui si sviluppa la proprietà privataimmobiliare. La divisione del lavoro è già più sviluppata. Troviamo giàl'antagonismo fra città e campagna, più tardi l'antagonismo fra Stati cherappresentano l'interesse della città e Stati che rappresentano quello dellacampagna, e all'interno delle stesse città l'antagonismo tra industria e commerciomarittimo. Il rapporto di classe fra cittadini e schiavi è completamente sviluppato.Tutta questa concezione della storia sembra contraddetta dal fatto della conquista.Finora erano considerate forze motrici della storia la violenza, la guerra, ilsaccheggio, la rapina ecc. Possiamo qui limitarci ai punti principali e prenderequindi soltanto l'esempio che più balza agli occhi, la distruzione di un'antica civiltàad opera di un popolo barbaro e il formarsi di una nuova organizzazione dellasocietà che ad essa si ricollega. (Roma e barbari, feudalesimo e Gallia, ImperoRomano d'oriente e turchi). Nel popolo barbaro conquistatore la guerra stessacostituisce ancora, come già abbiamo accennato, una forma normale di relazioni,che viene sfruttata con tanto maggiore impegno quanto più l'aumento dellapopolazione, perdurando il rozzo modo di produzione tradizionale che per essa èl'unico possibile, crea il bisogno di nuovi mezzi di produzione. In Italia invece, acausa della concentrazione della proprietà fondiaria (provocata, oltre che dagli

11

acquisti e dai debiti, anche dalle eredità, perché data la grande dissolutezza e i rarimatrimoni le antiche stirpi a poco a poco si estinguevano e i loro beni finivanonelle mani di pochi) e della sua trasformazione in pascolo (la quale fu provocata,oltre che dalle cause economiche ordinarie, valide ancor oggi, dall'importazione dicereali ricavati da saccheggi o da tributi e dalla conseguente mancanza diconsumatori per il grano italico), la popolazione libera era quasi scomparsa, glistessi schiavi a loro volta scomparivano e dovevano essere continuamente sostituitida schiavi nuovi. La schiavitù restava la base dell'intera produzione. I plebei, chestavano fra i liberi e gli schiavi, non riuscirono mai ad elevarsi al di sopra dellacondizione di sottoproletariato. Roma non fu mai niente di più che una città ed eralegata alle province da un rapporto quasi esclusivamente politico che naturalmentepoteva anche essere spezzato da avvenimenti politici. Con lo sviluppo dellaproprietà privata appaiono qui per la prima volta quelle stesse condizioni cheritroveremo, soltanto in misura più estesa, nella proprietà privata moderna. Da unaparte la concentrazione della proprietà privata, che a Roma cominciò molto presto(come prova la legge agraria licinia27) e procedette rapidamente a cominciare dalleguerre civili e soprattutto sotto gli imperatori; d'altra parte, e in relazione a ciò, latrasformazione dei piccoli contadini plebei in un proletariato che però, per la suaposizione intermedia fra cittadini possidenti e schiavi, non arrivò a uno sviluppoautonomo.

La terza forma è la proprietà feudale o degli ordini. Mentre l'antichitàmuoveva dalla città e dalla sua piccola cerchia, il Medioevo muoveva dallacampagna. La popolazione allora esistente, scarsa e dispersa su una vastasuperficie, debolmente incrementata dai conquistatori, determinò questospostamento del punto di partenza. Al contrario della Grecia e di Roma, lo sviluppofeudale comincia quindi su un terreno molto più esteso, preparato dalle conquisteromane e dalla diffusione dell'agricoltura che originariamente ne dipende. Gliultimi secoli del cadente Impero Romano e la stessa conquista dei barbaridistrussero una grande quantità di forze produttive; l'agricoltura era caduta inabbandono, l'industria rovinata per mancanza di sbocco, il commercio intorpidito oviolentemente troncato, la popolazione della campagna e delle città era diminuita.Queste condizioni preesistenti e il modo come fu organizzata la conquista, daquelle condizionato, provocarono, sotto l'influenza della costituzione militaregermanica, lo sviluppo della proprietà feudale. Come la proprietà tribale e laproprietà della comunità anch'essa poggia su una comunità alla quale sonocontrapposti come classe direttamente produttrice non gli schiavi, come per laproprietà antica, bensì i piccoli contadini asserviti. Insieme col completo sviluppodel feudalesimo compare anche l'antagonismo con le città. L'organizzazionegerarchica del possesso fondiario e le relative compagnie armate davano allanobiltà il potere sui servi della gleba. Questa organizzazione feudale eraun'associazione opposta alle classi produttrici, precisamente come la proprietà dellacomunità antica; solo che la forma dell'associazione e il rapporto con i produttoridiretti erano diversi, perché esistevano condizioni di produzione diverse.

A questa organizzazione feudale del possesso fondiario corrispondeva nellecittà la proprietà corporativa, l'organizzazione feudale dell'artigianato. Qui laproprietà consisteva principalmente nel lavoro di ciascun singolo. La necessità diassociarsi contro la rapace nobiltà associata, il bisogno di mercati coperti comuni inun tempo in cui l'industriale era insieme mercante, la crescente concorrenza deiservi della gleba fuggitivi che affluivano nelle città fiorenti, l'organizzazionefeudale dell'intero paese, portarono alle corporazioni; i piccoli capitali risparmiati apoco a poco da singoli artigiani e il loro numero stabile in seno a una popolazione

27 Legge del 367 A.C proposta dal tribuno Gaio Licinio Stolone che stabiliva un limite alla proprietàfondiaria.

12

crescente fecero sviluppare il rapporto di garzone e di apprendista, che detteorigine a una gerarchia simile a quella esistente nelle campagne.

Nell'età feudale dunque la proprietà principale consisteva da una parte nellaproprietà fondiaria col lavoro servile che vi era legato, dall'altra nel lavoropersonale con un piccolo capitale che si assoggettava il lavoro dei garzoni.L'organizzazione dell'una e dell'altro era condizionata dalle ristrette condizionidella produzione: la limitata e rozza coltura della terra e l'industria di tipoartigianale. Durante il fiorire del feudalesimo la divisione del lavoro era assailimitata. Ogni paese portava in sé l'antagonismo di città e campagna;l'organizzazione in ordini era fortemente marcata, ma al di fuori della separazionefra principi, nobiltà, clero e contadini nelle campagne, e fra maestri, garzoni,apprendisti e ben presto anche plebei a giornata nelle città, non esisteva alcunadivisione di rilievo. Nell'agricoltura vi si opponeva la coltivazione parcellare,accanto alla quale sorgeva l'industria domestica degli stessi contadini, nell'industriail lavoro non era affatto diviso all'interno dei singoli mestieri, pochissimo diviso fraun mestiere e l'altro. La divisione fra industria e commercio preesisteva nelle cittàpiù antiche, mentre nelle nuove si sviluppava lentamente, quando fra esse sistabilivano rapporti. L'unificazione di più vasti paesi in regni feudali era unbisogno tanto per la nobiltà terriera quanto per le città. L'organizzazione dellaclasse dominante, la nobiltà, ebbe quindi dappertutto al suo vertice un monarca.

Il fatto è dunque il seguente: individui determinati che svolgono un'attivitàproduttiva secondo un modo determinato entrano in questi determinati rapportisociali e politici. In ogni singolo caso l'osservazione empirica deve mostrareempiricamente e senza alcuna mistificazione e speculazione il legame fral'organizzazione sociale e politica e la produzione. L'organizzazione sociale e loStato risultano costantemente dal processo della vita di individui determinati; ma diquesti individui, non quali possono apparire nella rappresentazione propria o altrui,bensì quali sono realmente, cioè come operano e producono materialmente, edunque agiscono fra limiti, presupposti e condizioni materiali determinate eindipendenti dalla loro volontà.

La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primoluogo direttamente intrecciata alla attività materiale e alle relazioni materiali degliuomini, linguaggio della vita reale. Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambiospirituale degli uomini appaiono qui ancora come emanazione diretta del lorocomportamento materiale. Ciò vale allo stesso modo per la produzione spirituale,quale essa si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale, dellareligione, della metafisica, ecc. di un popolo. Sono gli uomini i produttori delleloro rappresentazioni, idee, ecc., ma gli uomini reali, operanti, così come sonocondizionati da un determinato sviluppo delle loro forze produttive e dalle relazioniche vi corrispondono fino alle loro formazioni più estese. La coscienza non puòmai essere qualche cosa di diverso dall’essere cosciente, e l’essere degli uomini èil processo reale della loro vita28. Se nell’intera ideologia gli uomini e i lororapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno derivadal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggettisulla retina deriva dal loro immediato processo fisico.

Esattamente all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca, che discendedal cielo sulla terra, qui si sale dalla terra al cielo. Cioè non si parte da ciò che gliuomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si pensa, siimmagina, si rappresenta che siano, per arrivare da qui agli uomini vivi; ma si parte

28 Cfr. K. Marx, “ Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale,politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, alcontrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza” Introduzione a Per la criticadell'economia politica

13

dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita sispiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo divita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell’uomo sononecessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamenteconstatabile e legato a presupposti materiali. Di conseguenza la morale, lareligione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di coscienza che adesse corrispondono, non conservano oltre la parvenza dell’autonomia. Esse nonhanno storia29, non hanno sviluppo, ma sono gli uomini che sviluppano la loroproduzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questaloro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienzache determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. Nel primo modo digiudicare si parte dalla coscienza come individuo vivente, nel secondo modo, checorrisponde alla vita reale, si parte dagli stessi individui reali viventi e si considerala coscienza soltanto come la loro coscienza.

Questo modo di giudicare non è privo di presupposti. Esso muove daipresupposti reali e non se ne scosta per un solo istante. I suoi presupposti sono gliuomini, non in qualche modo isolati e fissati fantasticamente, ma nel loro processodi sviluppo, reale ed empiricamente constatabile, sotto condizioni determinate. Nonappena viene rappresentato questo processo di vita attivo, la storia cessa di essereuna raccolta di fatti morti, come negli empiristi che sono anch’essi astratti, oun’azione immaginaria di soggetti immaginari, come negli idealisti.

Là dove cessa la speculazione, nella vita reale, comincia dunque la scienzareale e positiva, la rappresentazione dell’attività pratica, del processo pratico disviluppo degli uomini. Cadono le frasi sulla coscienza e al loro posto devesubentrare il sapere reale. Con la rappresentazione della realtà la filosofiaautonoma perde i suoi mezzi d’esistenza30. Al suo posto può tutt’al più subentrareuna sintesi dei risultati più generali che è possibile astrarre dall’esame dellosviluppo storico degli uomini. Di per sé, separate dalla storia reale, questeastrazioni non hanno assolutamente valore. Esse possono servire soltanto afacilitare l’ordinamento del materiale storico, a indicare la successione dei suoisingoli strati. Ma non danno affatto, come la filosofia, una ricetta o uno schema suiquali si possano ritagliare e sistemare le epoche storiche. La difficoltà comincia, alcontrario, quando ci si dà allo studio e all’ordinamento del materiale, sia diun’epoca passata che del presente, a esporlo realmente. Il superamento di questedifficoltà è condizionato da presupposti che non possono affatto essere enunciati inquesta sede, ma che risultano soltanto dallo studio del processo reale della vita edell’azione degli individui di ciascuna epoca. Qui prenderemo alcune di questeastrazioni di cui ci serviamo nei confronti dell’ideologia e le illustreremo conesempi storici.

La storia

Con gente priva di presupposti come i tedeschi dobbiamo cominciare colconstatare il primo presupposto di ogni esistenza umana, e dunque di ogni storia, il

29 Cioè non hanno uno sviluppo autonomo.30 La filosofia, come pura ricerca speculativa non ha più ragione di esistere. “si lascia correre la veritàassoluta, che per questa via e da ogni singolo isolatamente non può essere raggiunta, e si dà la cacciainvece alle verità relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro risultati amezzo del pensiero dialettico. Con Hegel ha fine, in generale, la filosofia; da una parte perché egli, nelsuo sistema, ne riassume l'evoluzione nella maniera più grandiosa, dall'altra perché egli, sia purinconsapevolmente, ci mostra la via che da questo labirinto di sistemi ci porta alla vera conoscenzapositiva del mondo. (F. Engels, “Ludovico Feuerbach”)

14

presupposto cioè che per poter « fare storia » gli uomini devono essere in grado divivere. Ma il vivere implica prima di tutto il mangiare e bere, l'abitazione, il vestiree altro ancora. La prima azione storica è dunque la creazione dei mezzi persoddisfare questi bisogni, la produzione della vita materiale stessa, e questa èprecisamente un'azione storica, una condizione fondamentale di qualsiasi storia,che ancora oggi, come millenni addietro, deve essere compiuta ogni giorno e ogniora semplicemente per mantenere in vita gli uomini. Anche riducendo la sensibilitàal minimo magari a un bastone come nel caso di san Bruno, essa presupponel'attività della produzione di questo bastone. In ogni concezione della storia dunqueil primo punto è che si osservi questo dato di fatto fondamentale in tutta la suaimportanza e in tutta la sua estensione e che gli si assegni il posto che gli spetta.Ma i tedeschi notoriamente non l'hanno mai fatto e perciò non hanno mai avuto unabase terrena per la storia e di conseguenza non hanno mai avuto uno storico. Ifrancesi e gli inglesi, pur avendo compreso tutt'al più in misura solo parziale illegame fra questo fatto e la cosiddetta storia, specialmente allorché si trovavanoimprigionati nell'ideologia politica, hanno fatto però i primi tentativi per dare allastoriografia una base materialistica, scrivendo per primi storie della società civile,del commercio e dell'industria. Il secondo punto è che il primo bisogno soddisfatto,l'azione del soddisfarlo e lo strumento già acquistato di questo soddisfacimentoportano a nuovi bisogni: e questa produzione di nuovi bisogni è la prima azionestorica. Il che indica anche di che pasta sia fatta la grande saggezza storica deitedeschi i quali, là dove viene loro a mancare il materiale positivo e non si agitanoassurdità teologiche, politiche o letterarie, affermano che non ha luogo la storia mai « tempi preistorici », senza però spiegarci come da questa assurdità della«preistoria» si passi nella storia vera e propria; nonostante che, d'altra parte, la lorospeculazione storica ami in modo tutto speciale gettarsi su questa « preistoria »,perché ritiene di trovarvisi più al sicuro dalle intromissioni del « fatto bruto » einsieme perché qui essa può allentare completamente le redini al suo impulsospeculativo e creare e distruggere ipotesi a migliaia. Il terzo rapporto che intervienefino dalle prime origini nello sviluppo storico, è che gli uomini, i quali rifanno ognigiorno la loro propria vita, cominciano a fare altri uomini, a riprodursi; è il rapportofra uomo e donna, tra genitori e figli: la famiglia. Questa famiglia, che da principioè l'unico rapporto sociale, diventa più tardi, quando gli aumentati bisogni creanonuovi rapporti sociali e l'aumentato numero della popolazione crea nuovi bisogni,un rapporto subordinato (tranne che in Germania) e deve allora essere trattata espiegata in base ai dati empirici esistenti, non in base al « concetto della famiglia »come si suol fare in Germania31. D’altronde questi tre aspetti dell’attività socialenon vanno concepiti come tre gradi diversi, ma appunto solo come tre aspetti, ocome tre « momenti » (tanto per scrivere in maniera chiara per i tedeschi), i quali

31 Costruzione di case. Presso i selvaggi è cosa ovvia che ciascuna famiglia abbia la sua propria grotta ocapanna, come presso i nomadi la tenda separata di ciascuna famiglia. Questa economia domesticaseparata è resa ancor più necessaria dal successivo sviluppo della proprietà privata. Presso i popoliagricoltori l’economia domestica collettiva è altrettanto impossibile quanto la coltivazione collettiva dellaterra. Un grande progresso fu la costruzione di città. In tutti i periodi del passato tuttavia l’abolizionedell’economia separata, che è inseparabile dall’abolizione della proprietà privata, era impossibile se nonaltro perché non ne esistevano le condizioni materiali.L’istituzione di una economia domestica collettiva presuppone lo sviluppo delle macchine,dell’utilizzazione delle forze produttive — per esempio gli acquedotti, l’illuminazione a gas, ilriscaldamento a vapore ecc. — e l’abolizione di città e campagne. Senza queste condizioni l’economiacollettiva non sarebbe neppure una nuova forza produttiva, mancherebbe di qualsiasi base materiale,poggerebbe su un fondamento puramente teorico, cioè sarebbe un puro capriccio e condurrebbe aun’economia claustrale. Quel che era possibile appare nella concentrazione in città e nella costruzione dicase collettive per scopi determinati (prigioni, caserme ecc.). Che l’abolizione dell’economia separata siainseparabile dall’abolizione della famiglia è cosa che s’intende da sé. (Nota di Marx e Engels)

15

sono esistiti fin dall’inizio della storia e fin dai primi uomini e ancor oggi hanno illoro peso nella storia.

La produzione della vita, tanto della propria nel lavoro quanto dell’altrui nellaprocreazione, appare già in pari tempo come un duplice rapporto: naturale da unaparte, sociale dall’altra, sociale nel senso che si attribuisce a una cooperazione dipiù individui, non importa sotto quali condizioni, in quale modo e per quale scopo.Da ciò deriva che un modo di produzione o uno stadio industriale determinato èsempre unito con un modo di cooperazione o uno stadio sociale determinato, equesto modo di cooperazione è anche esso una « forza produttiva »; ne deriva chela quantità delle forze produttive accessibili agli uomini condiziona la situazionesociale e che dunque la «storia dell’umanità» deve essere sempre studiata e trattatain relazione con la storia dell’industria e dello scambio. Ma è anche chiaro come inGermania sia impossibile scrivere la storia in questo modo, perché ai tedeschimancano non soltanto la capacità intellettiva e il materiale necessari, ma anche la «certezza sensibile », e al di là del Reno non si possono fare esperienze di questecose perché laggiù la storia non va più avanti. Appare già dunque, fin dall’origine,un legame materiale fra gli uomini, il quale è condizionato dai bisogni e dal mododella produzione ed è antico quanto gli stessi uomini; un legame che assumesempre nuove forme e dunque presenta una « storia », anche senza che esista alcunnon-senso politico o religioso fatto apposta per tenere congiunti gli uomini.

Solo a questo punto, dopo avere già considerato quattro momenti, quattroaspetti delle condizioni storiche originarie, troviamo che l’uomo ha anche una «coscienza »32 . Ma anche questa non esiste, fin dall’inizio, come « pura »coscienza. Fin dall’inizio lo « spirito» porta in sé la maledizione di essere « infetto» della materia, che si presenta qui sotto forma di strati d’aria agitati, di suoni, einsomma di linguaggio. Il linguaggio è antico quanto la coscienza, il linguaggio èla coscienza reale, pratica, che esiste anche per altri uomini e che dunque è la solaesistente anche per me stesso, e il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dalbisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini. Là dove un rapporto esiste,esso esiste per me; l’animale non « ha rapporti » con alcunché e non ha affattorapporti. Per l’animale, i suoi rapporti con altri non esistono come rapporti. Lacoscienza è dunque fin dall’inizio un prodotto sociale e tale resta fin tanto che ingenere esistono uomini. Naturalmente, la coscienza è innanzi tutto semplicecoscienza dell’ambiente sensibile immediato e del limitato legame con altrepersone e cose esterne all’individuo che prende coscienza di sé; in pari tempo ècoscienza della natura, che inizialmente si erge di contro agli uomini come unapotenza assolutamente estranea, onnipotente e inattaccabile, verso la quale gliuomini si comportano in modo puramente animale e dalla quale si lascianodominare come le bestie: è dunque una coscienza puramente animale della natura(religione naturale). Qui si vede subito che questa religione naturale, o questodeterminato comportarsi verso la natura, è condizionato dalla forma sociale eviceversa. Qui, come dappertutto, l'identità di natura e uomo emerge anche in ciò,che il comportamento limitato degli uomini verso la natura condiziona ilcomportamento limitato fra uomini e uomini, condiziona i loro rapporti limitati conla natura, appunto perché la natura non è stata ancora quasi modificatastoricamente, e d'altra parte la coscienza della necessità di stabilire dei contatti congli individui circostanti, costituisce per l'uomo la prima coscienza che vive in unasocietà. Questo inizio è di natura animale come la stessa vita sociale a questostadio, è pura coscienza da gregge, e l’uomo a questo punto si distingue dalmontone soltanto perché il suo è un istinto cosciente. Questa coscienza da montone

32 Gli uomini hanno una storia perché debbono produrre la propria vita, e la devono precisamenteprodurre in una maniera determinata: ciò è dovuto alla loro organizzazione fisica così come alla lorocoscienza. (Nota di Marx)

16

o tribale perviene a uno sviluppo e a un perfezionamento ulteriore in virtùdell’accresciuta produttività, dell’aumento dei bisogni e dell’aumento dellapopolazione che sta alla base dell’uno e dell’altro fenomeno. Si sviluppa così ladivisione del lavoro, che in origine era niente altro che la divisione del lavoronell’atto sessuale, e poi la divisione del lavoro che si produce spontaneamente o «naturalmente » in virtù della disposizione naturale (per esempio la forza fisica), delbisogno, del caso, ecc. La divisione del lavoro diventa una divisione reale solo dalmomento in cui interviene una divisione fra il lavoro manuale e il lavoro mentale.Da questo momento in poi la coscienza può realmente figurarsi di essere qualchecosa di diverso dalla coscienza della prassi esistente, concepire realmente qualchecosa senza concepire alcunché di reale: da questo momento la coscienza è in gradodi emanciparsi dal mondo e di passare a formare la « pura » teoria, teologia,filosofia, morale, ecc. Ma anche quando questa teoria, teologia, filosofia, morale,ecc. entrano in contraddizione con i rapporti esistenti, ciò può accadere soltanto peril fatto che i rapporti sociali esistenti sono entrati in contraddizione con le forzeproduttive esistenti; d’altra parte in una determinata cerchia nazionale di rapporticiò può anche accadere per essersi prodotta la contraddizione non all’interno diquesta cerchia nazionale, ma fra questa coscienza nazionale e la coscienzauniversale di una nazione. D’altronde è del tutto indifferente quel che la coscienzasi mette a fare per conto suo; da tutta questa porcheria ricaviamo, come unicorisultato, che questi tre momenti, la forza produttiva, la situazione sociale e lacoscienza, possono e debbono entrare in contraddizione fra loro, perché con ladivisione del lavoro si dà la possibilità, anzi la realtà, che l’attività spirituale el’attività materiale, il godimento e il lavoro, la produzione e il consumo tocchino aindividui diversi, e la possibilità che essi non entrino in contraddizione sta solo neltornare ad abolire la divisione del lavoro. E’ di per sé evidente, del resto, che i «fantasmi », i «vincoli», l’«essere superiore », il « concetto », la « irresolutezza »,altro non sono che l’espressione spirituale idealistica, la rappresentazioneapparentemente dell’individuo isolato, in realtà di ceppi e barriere molto empiricientro i quali si muovono il modo di produzione della vita e la forma di relazioniche vi è connessa.

La divisione del lavoro, che implica tutte queste contraddizioni e che a suavolta è fondata sulla divisione naturale del lavoro nella famiglia e sulla separazionedella società in singole famiglie opposte l’una all’altra, implica in pari tempo anchela ripartizione, e precisamente la ripartizione ineguale, sia per quantità che perqualità, del lavoro e dei suoi prodotti, e quindi la proprietà, che ha già il suo germe,la sua prima forma, nella famiglia, dove la donna e i figli sono gli schiavidell’uomo. La schiavitù nella famiglia, che certamente è ancora molto rudimentalee allo stato latente, è la prima proprietà, che del resto in questa fase corrisponde giàperfettamente alla definizione degli economisti moderni, secondo cui essa consistenel disporre di forza-lavoro altrui. Del resto divisione del lavoro e proprietà privatasono espressioni identiche: con la prima si esprime in riferimento all’attivitàesattamente ciò che con l’altra si esprime in riferimento al prodotto dell’attività.

Inoltre con la divisione del lavoro è data altresì la contraddizione fral’interesse del singolo individuo o della singola famiglia e l’interesse collettivo ditutti gli individui che hanno rapporti reciproci; e questo interesse collettivo nonesiste puramente nell’immaginazione, come «universale », ma esiste innanzi tuttonella realtà come dipendenza reciproca degli individui fra i quali il lavoro è diviso.E infine la divisione del lavoro offre anche il primo esempio del fatto che gliuomini si trovano nella società naturale, fintanto che esiste, quindi, la scissione frainteresse particolare e interesse comune, fin tanto che l'attività, quindi, è divisa nonvolontariamente ma naturalmente, l'azione propria dell'uomo diventa una potenza alui estranea, che lo sovrasta, che lo soggioga,invece di essere da lui dominata. Cioèappena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività

17

determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: ècacciatore, pescatore, o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere imezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sferadi attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere , la societàregola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggiquesta cosa, domani quell'altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, lasera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senzadiventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.

Questo fissarsi dell'attività sociale, questo consolidamento del nostro proprioprodotto in un potere obiettivo che ci sovrasta, che cresce fino a sfuggire al nostrocontrollo, che contraddice le nostre aspettative, che annienta i nostri calcoli, è statofino ad oggi uno dei momenti principali dello sviluppo storico, e appunto da questoantagonismo fra interesse particolare e interesse collettivo l’interesse collettivoprende una configurazione autonoma come Stato, separato dai reali interessi singolie generali, e in pari tempo come comunità illusoria, ma sempre sulla base reale dilegami esistenti in ogni conglomerato familiare e tribale, come la carne e il sangue,la lingua, la divisione del lavoro accentuata e altri interessi, e soprattutto — comevedremo più in particolarmente in seguito — sulla base delle classi già determinatedalla divisione del lavoro, che si differenziano in ogni raggruppamento umano diquesto genere e delle quali una domina tutte le altre. Ne consegue che tutte le lottenell’ambito dello Stato, la lotta fra democrazia, aristocrazia e monarchia, la lottaper il diritto di voto, ecc. ecc., altro non sono che le forme illusorie nelle qualivengono condotte le lotte reali delle diverse classi (del quale fatto i teorici tedeschinon hanno il più vago sentore, benché negli Annuari tedesco-francese e nella Sacrafamiglia33 si siano date loro in proposito indicazioni sufficienti), e inoltre che ogniclasse la quale aspiri al dominio, anche quando, come nel caso del proletariato, ilsuo dominio implica il superamento di tutta la vecchia forma della società e deldominio in genere, deve dapprima conquistarsi il potere politico per rappresentare asua volta il suo interesse come l’universale, essendovi costretta in un primomomento. Appunto perché gli individui cercano soltanto il loro particolareinteresse, che per loro non coincide col loro interesse collettivo, questo vieneimposto come un interesse « generale», anch’esso a sua volta particolare especifico, ad essi « estraneo » e da essi« indipendente», o gli stessi individuidevono muoversi in questo dissidio, come nella democrazia. Giacché d’altra parteanche la lotta pratica di questi interessi particolari che sempre si oppongonorealmente agli interessi collettivi e illusoriamente collettivi rende necessariol’intervento pratico e l’imbrigliamento da parte dell’interesse «generale» illusoriosotto forma di Stato. Il potere sociale, cioè la forza produttiva moltiplicata che haorigine attraverso la cooperazione dei diversi individui, determinata nella divisionedel lavoro, appare a questi individui, poiché la cooperazione stessa non è volontariama naturale, non come il loro proprio potere unificato, ma come una potenzaestranea, posta al di fuori di essi, della quale essi non sanno donde viene e dove va,che quindi non possono più dominare e che al contrario segue una sua propriasuccessione di fasi e di gradi di sviluppo la quale è indipendente dal volere edall’agire degli uomini e anzi dirige questo volere e agire.

Questa « estraniazione »; per usare un termine comprensibile ai filosofi,naturalmente può essere superata soltanto sotto due condizioni pratiche. Affinchéessa diventi un potere «insostenibile», cioè un potere contro il quale si agisce pervia rivoluzionaria, occorre che essa abbia reso la massa dell’umanità affatto « privadi proprietà » e l’abbia posta altresì in contraddizione con un mondo esistente dellaricchezza e della cultura, due condizioni che presuppongono un grande incremento

33 Si tratta di due opere di Marx

18

della forza produttiva, un alto grado del suo sviluppo; e d’altra parte questosviluppo delle forze produttive (in cui è già implicita l’esistenza empirica degliuomini sul piano della storia universale, invece che sul piano locale) è unpresupposto pratico assolutamente necessario anche perché senza di esso sigeneralizzerebbe soltanto la miseria e quindi col bisogno ricomincerebbe anche ilconflitto per il necessario e ritornerebbe per forza tutta la vecchia merda, e poiperché solo con questo sviluppo universale delle forze produttive possono aversirelazioni universali fra gli uomini, ciò che da una parte produce il fenomeno dellamassa « priva di proprietà » contemporaneamente in tutti i popoli (concorrenzagenerale), fa dipendere ciascuno di essi dalle rivoluzioni degli altri, e infinesostituisce agli individui locali individui inseriti nella storia universale, individuiempiricamente universali. Senza di che

1) il comunismo potrebbe esistere solo come fenomeno locale,2) le stesse potenze dello scambio non si sarebbero potute sviluppare come

potenze universali, e quindi insostenibili, e sarebbero rimaste « circostanze »relegate nella superstizione domestica,

3) ogni allargamento delle relazioni sopprimerebbe il comunismo locale.Il comunismo è possibile empiricamente solo come azione dei popoli

dominanti tutti in «una volta » e simultaneamente, ciò che presuppone lo sviluppouniversale della forza produttiva e le relazioni mondiali che il comunismo implica.Altrimenti, per esempio, come avrebbe potuto la proprietà avere una storiaqualsiasi, assumere forme diverse, e la proprietà fondiaria, a seconda dei diversipresupposti esistenti, spingere in Francia dalla suddivisione parcellare allaconcentrazione in poche mani, e in Inghilterra dalla concentrazione in poche manialla suddivisione parcellare, come oggi accade realmente? Ovvero come avvieneche il commercio, il quale pur non è altro che lo scambio dei prodotti di individui epaesi diversi, attraverso il rapporto di domanda e di offerta domina il mondo intero— un rapporto che, come dice un economista inglese, simile all’antico fatosovrasta la terra e con mano invisibile ripartisce fortuna e disgrazia fra gli uomini,edifica e distrugge regni, fa sorgere e scomparire popoli — mentre con l’abolizionedella base, la proprietà privata, con l’ordinamento comunistico della produzione econ la conseguente eliminazione di quell’estraneità che impronta le relazioni degliuomini con il loro proprio prodotto, la potenza del rapporto di domanda e di offertasi dilegua e gli uomini riprendono in loro potere lo scambio, la produzione, il mododel loro reciproco comportarsi?

Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, unideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimentoreale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimentorisultano dal presupposto ora esistente34.

D’altronde la massa di semplici operai — forza lavorativa privata in massadel capitale o di qualsiasi limitato soddisfacimento — e quindi anche la perdita nonpiù temporanea di questo stesso lavoro come fonte di esistenza assicurata,presuppone, attraverso la concorrenza, il mercato mondiale. Il proletariato puòdunque esistere soltanto sul piano della storia universale, così come il comunismo,che è la sua azione, non può affatto esistere se non come esistenza « storicauniversale ». Esistenza storica universale degli individui, cioè esistenza degliindividui che è legata direttamente alla storia universale.

La forma di relazioni determinata dalle forze produttive esistenti in tutti glistadi storici finora succedutisi, e che a sua volta le determina, è la società civile, laquale, come già risulta da quanto precede, ha come presupposto e fondamento la

34 Critica al comunismo precedente, definito da Marx “utopistico”, che si rappresentava attraversocategorie ideali, senza tener conto delle condizioni materiali per realizzarsi.

19

famiglia semplice e la famiglia composta, il cosiddetto ordinamento tribale, e neisuoi particolari è stata definita più sopra. Qui già si vede che questa società civile èil vero focolare, il teatro di ogni storia, e si vede quanto sia assurda la concezionedella storia finora corrente, che si limita alle azioni di capi e di Stati e trascura irapporti reali. La società civile comprende tutto il complesso delle relazionimateriali fra gli individui all'interno di un determinato grado di sviluppo delle forzeproduttive. Essa comprende tutto il complesso della vita commerciale e industrialedi un grado di sviluppo e trascende quindi lo stato e la nazione, benchè, d'altraparte debba nuovamente affermarsi verso l'esterno come nazionalità e organizzarsiverso l'interno come Stato. Il termine società civile sorse nel secolo diciottesimoquando i rapporti di proprietà si erano già fatti strada fuori dal tipo di comunitàantico medievale. La società civile come tale comincia a svilupparsi con laborghesia; tuttavia l'organizzazione sociale sviluppatasi immediatamente dallaproduzione e dagli scambi, la quale forma in tutti i tempi la base dello stato e diogni sovrastruttura idealistica, continua ad essere chiamata con lo stesso nome.

Sulla produzione della coscienza

Nella storia fino ad oggi trascorsa è certo un fatto empirico che i singoliindividui, con l’allargarsi dell’attività sul piano storico universale, sono statisempre asserviti a un potere a loro estraneo (oppressione che essi si sonorappresentati come un dispetto del cosiddetto spirito del mondo ecc.), a un potereche è diventato sempre più smisurato e che in ultima istanza si rivela come mercatomondiale. Ma è altrettanto empiricamente dimostrato che col rovesciamento dellostato attuale della società attraverso la rivoluzione comunista (di cui parleremo piùavanti) e l’abolizione della proprietà privata che con essa si identifica, questopotere così misterioso per i teorici tedeschi verrà liquidato, e allora verrà attuata laliberazione di ogni singolo individuo nella stessa misura in cui la storia si trasformacompletamente in storia universale. Che la ricchezza spirituale reale dell’individuodipenda interamente dalla ricchezza delle sue relazioni reali, è chiaro dopo quantosi è detto. Soltanto attraverso quel passo i singoli individui vengono liberati dai varilimiti nazionali e locali, posti in relazione pratica con la produzione (anchespirituale) di tutto il mondo e messi in condizione di acquistare la capacità digodere di questa produzione universale di tutta la terra (creazioni degli uomini). Ladipendenza universale, questa forma spontanea della cooperazione degli individuisu piano storico universale, è trasformata da questa rivoluzione comunista nelcontrollo e nel dominio cosciente di queste forze le quali, prodotte dal reciprocoagire degli uomini, finora si sono imposte ad essi e li hanno dominati come forzeassolutamente estranee. Questa concezione può a sua volta essere formulata inmaniera speculativo-idealistica, ossia fantasticamente, come «autoproduzione dellaspecie» (la «società come soggetto») e quindi la serie susseguentesi di individuiche stanno in connessione può essere immaginata come un singolo individuo checompie il mistero di produrre se stesso. Appare qui che gli individui, certo, si fannol’un l’altro, fisicamente e spiritualmente, ma non fanno se stessi, né nel nonsenso disan Bruno né nel senso dell’« unico », dell’uomo « fatto ».

Questa concezione della storia si fonda dunque su questi punti: spiegare ilprocesso reale della produzione, e precisamente muovendo dalla produzionemateriale della vita immediata, assumere come fondamento di tutta la storia laforma di relazioni che è connessa con quel modo di produzione e che da esso ègenerata, dunque la società civile nei suoi diversi stadi, e sia rappresentarla nellasua azione come Stato, sia spiegare partendo da essa tutte le varie creazioniteoriche e le forme della coscienza, religione, filosofia, morale, ecc. ecc. e seguiresulla base di queste il processo della sua origine, ciò che consente naturalmente

20

anche di rappresentare la cosa nella sua totalità (e quindi anche la reciprocainfluenza di questi lati diversi l’uno sull’altro). Essa non deve cercare in ogniperiodo una categoria, come la concezione idealistica della storia, ma resta saldacostantemente sul terreno storico reale, non spiega la prassi partendo dall’idea, maspiega le formazioni di idee partendo dalla prassi materiale, e giunge diconseguenza anche al risultato che tutte le forme e prodotti della coscienza possonoessere eliminati non mediante la critica intellettuale, risolvendoli nell’«autocoscienza » o trasformandoli in « spiriti », « fantasmi », « spettri », ecc., masolo mediante il rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti, dai qualiqueste fandonie idealistiche sono derivate; che non la critica, ma la rivoluzione è laforza motrice della storia, anche della storia della religione, della filosofia e di ognialtra teoria35. Essa mostra che la storia non finisce col risolversi nella «autocoscienza » come « spirito dello spirito », ma che in essa ad ogni grado si trovaun risultato materiale, una somma di forze produttive, un rapporto storicamenteprodotto con la natura e degli individui fra loro, che ad ogni generazione è statatramandata dalla precedente una massa di forze produttive, capitali e circostanze,che da una parte può senza dubbio essere modificata dalla nuova generazione, mache d’altra parte impone ad essa le sue proprie condizioni di vita e le dà unosviluppo determinato, uno speciale carattere; che dunque le circostanze fanno gliuomini non meno di quanto gli uomini facciano le circostanze. Questa somma diforze produttive, di capitali e di forme di relazioni sociali, che ogni individuo eogni generazione trova come qualche cosa di dato, è la base reale di ciò che ifilosofi si sono rappresentati come « sostanza » ed « essenza dell’uomo », di ciòche essi hanno divinizzato e combattuto, una base reale che non è minimamentedisturbata, nei suoi effetti e nei suoi influssi sulla evoluzione degli uomini, dal fattoche questi filosofi, in quanto « autocoscienza » e « unico », si ribellano ad essa.Queste condizioni di vita preesistenti in cui le varie generazioni vengono a trovarsidecidono anche se la scossa rivoluzionaria periodicamente ricorrente nella storiasarà o no abbastanza forte per rovesciare la base di tutto ciò che è costituito, equalora non vi siano questi elementi materiali per un rivolgimento totale, cioè dauna parte le forze produttive esistenti, dall’altra la formazione di una massarivoluzionaria che agisce rivoluzionariamente non solo contro alcune condizionisingole della società fino allora esistente, ma contro la stessa « produzione dellavita » come è stata fino a quel momento, la « attività totale » su cui questa sifondava, allora è del tutto indifferente, per lo sviluppo pratico, se l’idea di questorivolgimento sia già stata espressa mille volte: come dimostra la storia delcomunismo.

Finora tutta la concezione della storia ha puramente e semplicemente ignoratoquesta base reale della storia oppure l’ha considerata come un semplice fattomarginale, privo di qualsiasi legame con il corso storico. Per questa ragione si èsempre costretti a scrivere la storia secondo un metro che ne sta al di fuori; laproduzione reale della vita appare come qualche cosa di preistorico, mentre ciò cheè storico, inteso come qualche cosa che è separato dalla vita comune, appare comeextra e sovramondano. Il rapporto dell’uomo con la natura è quindi escluso dallastoria, e con ciò è creato l’antagonismo, fra natura e storia. Questa concezionequindi ha visto nella storia soltanto azioni di capi, di Stati e lotte religiose e ingenere teoriche, e in ogni epoca, in particolare, ha dovuto condividere l’illusionedell’epoca stessa. Se un’epoca, per esempio, immagina di essere determinata damotivi puramente « politici » o « religiosi », benché « religione » e « politica »siano soltanto forme dei suoi motivi reali, il suo storico accetta questa opinione.

35 Cfr. Marx e Engels, il Manifesto del Partito comunista: “La storia di ogni società esistita fino a questomomento, è storia di lotte di classi”. Non è un soggetto o un'idea che fa la storia, ma è la lotta di classe ilmotore della storia.

21

L’« immagine », la « rappresentazione » che questi determinati uomini si fannodella loro prassi reale viene trasformata nell’unica forza determinante e attiva chedomina e determina la prassi di questi uomini. Se la forma rozza in cui la divisionedel lavoro si presenta presso gli indiani e gli egiziani dà origine presso questipopoli al sistema delle caste nello Stato e nella religione, lo storico crede che ilsistema delle caste sia la potenza che ha prodotto quella rozza forma di società.Mentre i francesi e gli inglesi per lo meno si fermano all’illusione politica, che èancora la più vicina alla realtà, i tedeschi si muovono nel campo del « puro spirito» e fanno dell’illusione religiosa la forza motrice della storia.

. . . La storia non è altro che la successione delle singole generazioni, ciascunadelle quali sfrutta i materiali, i capitali, le forze produttive che le sono statitrasmessi da tutte le generazioni precedenti, e quindi da una parte continua, incircostanze del tutto cambiate, l’attività che ha ereditato; d’altra parte modifica levecchie circostanze con un’attività del tutto cambiata; è un processo che sul terrenospeculativo viene distorto al punto di fare della storia successiva lo scopo dellastoria precedente, di assegnare per esempio alla scoperta dell’America lo scopo difavorire lo scoppio della Rivoluzione francese; per questa via poi la storia riceve isuoi scopi speciali e diventa una « persona accanto ad altre persone» (che sono: «autocoscienza, critica, unico », ecc.), mentre ciò che vien designato come «destinazione », « scopo », « germe », « idea » della storia anteriore altro non è cheun’astrazione della storia posteriore, un’astrazione dell’influenza attiva che lastoria anteriore esercita sulla successiva. A mano a mano poi che nel corso diquesto sviluppo si allargano le singole sfere che agiscono l’una sull’altra, a mano amano che l’originario isolamento delle singole nazionalità viene annullato dalmodo di produzione sviluppato, dalle relazioni e dalla conseguente divisionenaturale del lavoro fra le diverse nazioni, la storia diventa sempre più storiauniversale, cosicché, per esempio, se in Inghilterra viene inventata una macchinache riduce alla fame innumerevoli lavoratori in India e in Cina e sovverte tutta laforma di esistenza di questi imperi, questa invenzione diventa un fatto storicouniversale; oppure, lo zucchero e il caffè dimostrarono la loro importanza, storicauniversale nel secolo diciannovesimo, in quanto la mancanza di questi prodotti,provocata dal sistema continentale napoleonico, portò i tedeschi a insorgere controNapoleone e divenne quindi la base reale delle gloriose guerre di liberazione del1813. Da ciò segue che questa trasformazione della storia in storia universale è nongià un semplice fatto astratto della « autocoscienza », dello spirito del mondo o diqualche altro fantasma metafisico, ma un fatto assolutamente materiale,dimostrabile empiricamente, un fatto dì cui ciascun individuo dà prova nell’andaree venire, nel mangiare, nel bere e nel vestirsi.

Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, laclasse che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenzaspirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materialedispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicchéad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzidella produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressioneideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presicome idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classela classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio. Gli individui checompongono la classe dominante posseggono fra l’altro anche la coscienza, equindi pensano; in quanto dominano come classe e determinano l’intero ambito diun’epoca storica, è evidente che essi lo fanno in tutta la loro estensione, e quindifra l’altro dominano anche come pensanti, come produttori di idee che regolano laproduzione e la distribuzione delle idee del loro tempo; è dunque evidente che leloro idee sono le idee dominanti dell’epoca. Per esempio: in un periodo e in unpaese in cui potere monarchico, aristocrazia e borghesia lottano per il potere, il

22

quale quindi è diviso, appare come idea dominante la dottrina della divisione deipoteri, dottrina che allora viene enunciata come «legge eterna». La divisione dellavoro, che abbiamo già visto come una delle forze principali della storia finoratrascorsa, si manifesta anche nella classe dominante come divisione del lavorointellettuale e manuale, cosicché all’interno di questa classe una parte si presentacostituita dai pensatori della classe (i suoi ideologi attivi, concettivi, i qualidell’elaborazione dell’illusione di questa classe su se stessa fanno il loro mestiereprincipale), mentre gli altri nei confronti di queste idee e di queste illusioni hannoun atteggiamento più passivo e più ricettivo, giacché in realtà sono i membri attividi questa classe e hanno meno tempo di farsi delle idee e delle illusioni su se stessi.All’interno di questa classe questa scissione può addirittura svilupparsi fino acreare fra le due parti una certa opposizione e una certa ostilità, che tuttavia cade dasé se sopraggiunge una collisione pratica che metta in pericolo la classe stessa:allora si dilegua anche la parvenza che le idee dominanti non siano le idee dellaclasse dominante e abbiano un potere distinto dal potere di questa classe.L’esistenza di idee rivoluzionarie in una determinata epoca presuppone giàl’esistenza di una classe rivoluzionaria sui cui presupposti abbiamo già dettoquanto occorre. Se ora nel considerare il corso della storia si svincolano le ideedella classe dominante dalla classe dominante e si rendono autonome, se ci si limitaa dire che in un’epoca hanno dominato queste o quelle idee, senza preoccuparsidelle condizioni della produzione e dei produttori di queste idee, e se quindi siignorano gli individui e le situazioni del mondo che stanno alla base di queste idee,allora si potrà dire per esempio che al tempo in cui dominava l’aristocraziadominavano i concetti di onore, di fedeltà, ecc., e che durante il dominio dellaborghesia dominavano i concetti di libertà, di uguaglianza, ecc. Queste sono, incomplesso, le immaginazioni della stessa classe dominante. Questa concezionedella storia che è comune a tutti gli storici, particolarmente a partire daldiciottesimo secolo, deve urtare necessariamente contro il fenomeno che dominanoidee sempre più astratte, cioè idee che assumono sempre più la formadell’universalità. Infatti ogni classe che prenda il posto di un’altra che ha dominatoprima è costretta, non fosse che per raggiungere il suo scopo, a rappresentare il suointeresse come interesse comune di tutti i membri della società, ossia, peresprimerci in forma idealistica, a dare alle proprie idee la forma dell’universalità, arappresentarle come le sole razionali e universalmente valide.

La classe rivoluzionaria si presenta senz’altro per il solo fatto che sicontrappone a una classe, non come classe ma come rappresentante dell’interasocietà, appare come l’intera massa della società di contro all’unica classedominante. Ciò le è possibile perché in realtà all’inizio il suo interesse è ancora piùlegato all’interesse comune di tutte le altre classi non dominanti, e sotto lapressione dei rapporti fino allora esistenti non si è ancora potuto sviluppare comeinteresse particolare di una classe particolare36. La sua vittoria giova perciò anche amolti individui delle altre classi che non giungono al dominio, ma solo in quantopone questi individui in condizione di ascendere nella classe dominante. Quando laborghesia francese rovesciò il dominio dell’aristocrazia, con ciò rese possibile amolti proletari di innalzarsi al di sopra del proletariato, ma solo in quanto essidiventarono borghesi. Quindi ogni nuova classe non fa che porre il suo dominio suuna base più larga della precedente, per la qual cosa anche l’opposizione delleclassi non dominanti contro quella ora dominante si sviluppa più tardi con tantomaggiore asprezza e profondità. Queste due circostanze fanno sì che la lotta da

36 L’universalità corrisponde: 1) alla classe contra ordine, 2) alla concorrenza, relazioni mondiali, ecc., 3)alla grande consistenza numerica della classe dominante, 4) all’illusione della comunità di interessi(inizialmente questa illusione è vera), 5) all’inganno degli ideologi e alla divisione del lavoro. (Nota diMarx).

23

condurre contro questa nuova classe dominante tenda a sua volta a una negazionedella situazione sociale esistente più decisa e più radicale di quanto fosse possibilea tutte le classi che precedentemente avevano aspirato al dominio.

Tutta questa parvenza, che il dominio di una determinata classe altro non siache il dominio di certe idee, cessa naturalmente da sé non appena il dominio diclassi in generale cessa di essere la forma dell’ordinamento sociale, non appenaquindi non è più necessario rappresentare un interesse particolare come universaleo « l’universale » come dominante.

Una volta che le idee dominanti siano state separate dagli individui dominantie soprattutto dai rapporti che risultano da un dato stadio del modo di produzione, esi sia giunti di conseguenza al risultato che nella storia dominano sempre le idee, èfacilissimo astrarre da queste varie idee «l’idea », ecc., come ciò che domina nellastoria e concepire così tutte queste singole idee e concetti come «autodeterminazioni » del concetto che si sviluppa nella storia. Allora è anchenaturale che tutti i rapporti degli uomini possano venire ricavati dal concettodell’uomo, dall’uomo quale viene rappresentato, dall’essenza dell’uomo,dall’uomo. È ciò che ha fatto la filosofia speculativa. Hegel arriva a confessare, allafine della sua filosofia della storia, « di avere considerato soltanto il processo delconcetto » e di avere esposto nella storia la « vera teodicea » . Si può quindiritornare ai produttori « del concetto », ai teorici, agli ideologi e ai filosofi, egiungere quindi al risultato che i filosofi, i pensatori come tali, hanno dominato dasempre nella storia; un risultato che, come abbiamo visto, fu anche già espresso daHegel. Quindi tutto il gioco di. abilità, per dimostrare la sovranità dello spirito nellastoria (gerarchia in Stirner), si riduce ai seguenti tre efforts:

1) Si devono separare le idee di coloro che dominano per ragioni empiriche,sotto condizioni empiriche e come individui materiali, da questi dominatori, e conciò riconoscere il dominio di idee o illusioni nella storia.

2) Si deve metter un ordine in questo dominio delle idee, dimostrare un nessomistico fra le successive idee dominanti, al che si perviene considerandole come «autodeterminazioni del concetto » (la cosa è possibile perché fra queste idee,attraverso la loro base empirica, esiste realmente un nesso, e perché esse, concepitecome pure idee, diventano autodistinzioni, distinzioni fatte dal pensiero).

3) Per eliminare l’aspetto mistico di questo « concetto autodeterminantesi »,lo si trasforma in una persona — « l’autocoscienza » — oppure, per apparireperfetti materialisti, in una serie di persone che rappresentano « il concetto » nellastoria, i « pensatori », i « filosofi », gli ideologi, i quali ancora una volta sonoconcepiti come i fabbricanti della storia, come il « consesso dei guardiani », come idominatori. Con ciò si sono eliminati dalla storia tutti quanti gli elementimaterialistici e si possono allentare tranquillamente le briglie al destrierospeculativo.

Questo metodo storiografico che dominava soprattutto in Germania, e specieperché vi ha dominato, va spiegato muovendo dalla sua connessione con l’illusionedegli ideologi in genere, per esempio le illusioni dei giuristi, dei politici (ivicompresi i pratici uomini di Stato), dai vaneggiamenti dogmatici di codesti tipi; laquale illusione è semplicissimamente spiegata dalla loro posizione pratica nellavita, dal loro mestiere e dalla divisione del lavoro.

http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1846/ideologia/index.htm

24

Manifesto del Partito comunista (1848)37

Borghesi e proletariProletari e comunisti

Uno spettro si aggira per l'Europa, lo spettro del comunismo. Tutte le potenze dellavecchia Europa, il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziottitedeschi, si sono alleati in una santa caccia spietata contro questo spettro38. Quale èil partito d'opposizione, che non sia stato tacciato di comunista dai suoi avversariche si trovano al potere? E quale è il partito d'opposizione, che, alla sua volta, nonabbia ritorto l'infamante accusa di comunista contro gli elementi più avanzatidell'opposizione o contro i suoi avversari reazionari?Da questo fatto si ricavano due conclusioni.Il comunismo è ormai riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee.È ormai tempo che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo il loromodo di vedere, i loro scopi, le loro tendenze, e che alla fiaba dello spettro delcomunismo contrappongano un manifesto del partito.A tal fine, comunisti delle più varie nazionalità si sono riuniti a Londra e hannoredatto il seguente manifesto, che viene pubblicato in lingua inglese, francese,tedesca, italiana, fiamminga e danese.

Borghesi e proletari

La storia di ogni società sinora esistita é storia di lotte di classi. Liberi e schiavi,patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, inuna parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hannosostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finìsempre a con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società.Nelle prime epoche della storia troviamo quasi dappertutto una completa divisionedella società in varie caste, una multiforme gradazione delle posizioni sociali.Nell'antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo signori

37 I testo fu preparata da Karl Marx e Friedrich Engels fra il 1847 e il 1848 e pubblicata a Londra alla finedi febbraio del 1848 mentre l’assetto dell’Europa stava per essere travolto dalle rivoluzione del 1848.38 Nella esemplificazione gli accostamenti hanno carattere antitetico, per porre in evidenza come nellacaccia allo « spettro del comunismo » si ritrovano uniti governanti e uomini e partiti politici, peraltrodivisi da concezioni sia religiose sia politiche. Il papa (Pio IX che aveva condannato il comunismo conl'enciclica Qui pluribus del 1846) si trova in compagnia dello zar ortodosso (Nicola I, che avevarepresso nel sangue l'insurrezione di Cracovia del 1846, insurrezione democratica contro il cuiprogramma si levò l'accusa di comunismo); il primo ministro austriaco Metternich (il grancancelliere della Santa Alleanza, tenace sostenitore dell'assolutismo, che condusse una lotta senzaquartiere contro idee e istituzioni liberali e si schierò contro ogni moto di indipendenza) stringe lamano a Guizot (liberale conservatore, che dal 1840 al 1848 diresse la politica estera del governofrancese); i radicali francesi (cioè i repubblicani borghesi democratici del tempo che ebbero parte decisivanella rivoluzione del febbraio 1848 a Parigi) vanno sotto braccio con i poliziotti tedeschi, tecnici dellacensura e della repressione della libertà di organizzazione non solo nei confronti dei comunisti ma anchedei liberali e dei radicali tedeschi. La spietata caccia allo spettro del comunismo viene definita « santa »per l'evidente richiamo alla vecchia « santa alleanza », stabilita nel 1815 dopo la caduta di Napoleone, trado zar Alessandro I, l'imperatore d'Austria, e il re di Prussia, al fine di combattere in Europa le tendenzeliberali e sostenere in Europa il potere assolutistico.

25

feudali, vassalli, maestri d'arte, garzoni, servi della gleba, e per di più in quasiciascuna di queste classi altre speciali gradazioni.La moderna società borghese, sorta dalla rovina della società feudale, non haeliminato i contrasti fra le classi. Essa ha soltanto posto nuove classi, nuove con-dizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche.L’epoca nostra, l'epoca della borghesia, si distingue tuttavia perché ha semplificatoi contrasti e classi.La società intera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici, in duegrandi classi direttamente opposte l'una, all'altra: borghesia e proletariato.Dai servi della gleba del Medioevo uscirono i borghigiani delle prime città; daquesti borghigiani ebbero sviluppo i primi elementi della borghesia.La scoperta dell'America e la circumnavigazione dell'Africa offrirono un nuovoterreno alla nascente borghesia. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, lacolonizzazione dell'America, lo scambio con le colonie, l'aumento dei mezzi discambio e delle merci in generale, diedero un impulso prima d'allora sconosciuto alcommercio, alla navigazione, all'industria, e in pari tempo favorirono il rapidosviluppo dell'elemento rivoluzionario in seno alla società feudale che s'andava sfa-sciando.L'organizzazione feudale o corporativa dell'industria da quel momento non bastòpiù ai bisogni, che andavano crescendo col crescere dei nuovi mercati. Subentrò lamanifattura. I maestri di bottega vennero soppiantati dal medio ceto industriale; ladivisione del lavoro tra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisionedel lavoro nelle singole officine stesse.Ma i mercati continuavano a crescere, e continuavano a crescere i bisogni. Anchela manifattura non bastava più. Ed ecco il vapore e le macchine rivoluzionare laproduzione industriale. Alla manifattura subentrò la grande industri moderna; almedio ceto industriale succedettero gli industriali milionari, i capi di interi esercitiindustriali, i moderni borghesi.La grande industria ha creato quel mercato mondiale che la scoperta dell'Americaaveva preparato. Il mercato mondiale ha dato un immenso sviluppo al commercio,alla navigazione, alle comunicazioni per terra. Quello sviluppo, alla sua volta, hareagito sull'espansione dell'industria; e in quella stessa misura in cui si sono andateestendendo l'industria, il commercio, la navigazione, le ferrovie, anche la borghesiasi é sviluppata, ha aumentato i suoi capitali e sospinto nel retroscena tutte le classiche erano una eredità del Medioevo.Vediamo dunque come la stessa borghesia moderna sia il prodotto di un lungoprocesso di sviluppo, di una serie di sconvolgimenti nei modi della produzione edel traffico.Ognuno di questi stadi nello sviluppo della borghesia fu accompagnato da uncorrispondente progresso politico. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feu-dali, associazione armata e autonoma del Comune, qui repubblica municipaleindipendente, là terzo stato tributario della monarchia, poi, al tempo della manifat-tura, contrappeso alla nobiltà nella monarchia a poteri limitati39 o in quellaassoluta, principale fondamento, in generale, delle grandi monarchie, col costituirsidella grande industria e del mercato mondiale, la borghesia si é impadronitafinalmente della potestà politica esclusiva nel moderno Stato rappresentativo. Ilpotere politico dello Stato moderno non è che un comitato, il quale amministra gliaffari comuni di tutta quanta la classe borghese.La borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria.

39 Monarchia a potere limitato, cioè con gli «stati» (clero, nobiltà, • « terzo stato a, borghesia)rappresentati negli organi consultivi della monarchia.

26

Dove è giunta al potere, essa ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali,patriarcali, idilliache. Essa ha lacerato senza pietà i variopinti legami che nella so-cietà feudale avvincevano l'uomo ai suoi superiori naturali, e non ha lasciato trauomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato «pagamento in con-tanti ». Essa ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremitidell'esaltazione religiosa, dell'entusiasmo cavalleresco, della sentimentalitàpiccolo-borghese. Ha fatto della dignità personale un semplice valore di scambio; ein luogo delle innumerevoli franchigie faticosamente acquisite e patentate, ha postola sola libertà di commercio senza scrupoli. In una parola, al posto dellosfruttamento velato da illusioni religiose e politiche, ha messo lo sfruttamentoaperto, senza pudori, diretto e arido.La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte quelle attività che per l'innanzierano considerate degne di venerazione e di rispetto. Ha trasformato il medico, ilgiurista, il prete, il poeta, lo scienziato in suoi operai salariati.La borghesia ha strappato il velo di tenero sentimentalismo che avvolgeva irapporti di famiglia, e li ha ridotti a un semplice rapporto di denariLa borghesia ha messo in chiaro come la brutale manifestazione di forza, che ireazionari tanto ammirano nel Medioevo, avesse il suo appropriato completamentonella più infingarda poltroneria. Essa per prima ha mostrato che cosa possa l'attivitàumana. Essa ha creato ben altre meraviglie che le piramidi. d'Egitto, gli acquedotti lromani e le cattedrali gotiche; essa ha fatto ben altre spedizioni che le migrazionidei popoli e le Crociate.La borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti diproduzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l'insieme dei rapporti so-ciali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti erainvece l'immutata conservazione dell'antico modo di produzione. Il continuorivoluzionamento della produzione, l'incessante scuotimento di tutte le condizionisociali, l'incertezza e, il movimento eterni contraddistinguono l'epoca borghese datutte le altre. Tutte le stabili e irrugginite condizioni di vita, con il loro seguito diopinioni e credenze rese venerabili dall'età, si dissolvono, e le nuove invecchianoprima ancora di aver potuto fare le ossa. Tutto ciò che vi era di stabilito e dirispondente ai vari ordini sociali si svapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gliuomini sono finalmente costretti a considerare con occhi liberi da ogni illusione laloro posizione nella vita, i loro rapporti reciproci.Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia pertutto il globo terrestre. Dappertutto essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dap-pertutto stringere relazioni.Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e ilconsumo di tutti i paesi. Con gran dispiacere dei reazionari, ha tolto all'industria labase nazionale. Le antichissime industrie nazionali sono state e vengono, di giornoin giorno, annichilite. Esse vengono soppiantate da nuove industrie, la cui intro-duzione é questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, industrie che nonlavorano più materie prime indigene, bensí materie prime provenienti dalle regionipiù remote, e i cui prodotti non si consumano soltanto nel paese, ma in tutte le partidel mondo. Al posto dei vecchi bisogni, a soddisfare i quali bastavano i prodottinazionali, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodottidei paesi e dei climi più lontani. In luogo dell'antico isolamento locale e nazionale,per cui ogni paese bastava a se stesso, subentra un traffico universale, unauniversale dipendenza delle nazioni l'una dall'altra. E come nella produzionemateriale, cosí anche nella spirituale. I prodotti spirituali delle singole nazionidiventano patrimonio comune. La unilateralità e la ristrettezza nazionale diventanosempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali esce unaletteratura mondiale.

27

Col rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioniinfinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà anche le nazioni piùbarbare. I tenui prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con cui essa abbattetutte le muraglie cinesi, e con cui costringe a capitolare il più testardo odio deibarbari per lo straniero. Essa costringe tutte le nazioni ad adottare le forme dellaproduzione borghese se non vogliono perire; le costringe a introdurre nei loro paesila cosiddetta civiltà, cioè a farsi borghesi. In una parola, essa si crea un mondo apropria immagine e somiglianza.Là borghesia ha assoggettato la campagna al dominio della città. Ha creato cittàenormi, ha grandemente accresciuto la popolazione urbana in confronto con quellarurale, e cosí ha strappato una parte notevole della popolazione all'idiotismo dellavita rustica. Come ha assoggettato la campagna alla città, cosí ha reso dipendentidai popoli civili quelli barbari e semibarbari, i popoli contadini dai popoli borghesi,l'Oriente dall'Occidente.La borghesia sopprime sempre più il frazionamento dei mezzi di produzione, dellaproprietà e della popolazione. Essa ha agglomerato la popolazione, ha centralizzatoi mezzi di produzione e concentrato la proprietà in poche mani. Ne è risultata comeconseguenza necessaria la centralizzazione politica. Province indipendenti, quasiappena collegate tra loro da vincoli federali, province con interessi, leggi, governi edogane diversi, sono state strette in una sola nazione, con un solo governo, una solalegge, un solo interesse nazionale di classe, un solo confine doganale.Nel suo dominio di classe, che dura appena da un secolo, la borghesia ha creatodelle forze produttive il cui numero e la cui importanza superano quanto maiavessero fatto tutte insieme le generazioni passate. Soggiogamento delle forzenaturali, macchine, applicazione della chimica all'industria e all'agricoltura,navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di interi continenti,fiumi resi navigabili, intere popolazioni sorte quasi per incanto dal suolo — qualedei secoli passati avrebbe mai presentito che tali forze produttive stessero sopite ingrembo al lavoro sociale?Abbiamo però veduto che i mezzi di produzione e di scambio sulla cui base sieresse la borghesia, furono generati in seno alla società feudale. A un certo gradodello sviluppo di questi mezzi di produzione e di scambio, le condizioni nelle qualila società feudale produceva e scambiava, vale a dire l'organizzazione feudaledell'agricoltura e della manifattura; in una parola i rapporti feudali di proprietà, noncorrisposero più alle forze produttive già sviluppate. Quelle condizioni, invece difavorire la produzione, la inceppavano. Esse, si trasformavano in altrettante catene.Dovevano essere spezzate, e furono spezzate.Subentrò ad esse la libera concorrenza con la costituzione politica e sociale ad essaadatta; col dominio economico e politico della classe borghese.Sotto i nostri occhi si sta compiendo un processo analogo. Le condizioni borghesidi produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la moderna societàborghese, che ha evocato come per incanto cosí potenti mezzi di produzione e discambio, rassomiglia allo stregone che non può più dominare le potenze sotterraneeda lui evocate40. Da qualche decina d'anni la storia dell'industria e del commercionon é che la storia della ribellione delle moderne forze produttive contro i modernirapporti di produzione, contro i rapporti di proprietà che sono le condizioni diesistenza della borghesia e del suo dominio. Basti ricordare le crisi commerciali,che nei loro ritorni periodici sempre più minacciosamente mettono in forsel'esistenza di tutta la società borghese. Nelle crisi commerciali viene regolarmentedistrutta una gran parte non solo dei prodotti già ottenuti, ma anche delle forzeproduttive che erano già state create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che

40 Reminiscenza della ballata di Goethe “L'apprendista mago” (1797).

28

in ogni altra epoca sarebbe apparsa un controsenso: l'epidemia dellasovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato dimomentanea barbarie; una carestia, una guerra generale di sterminio sembranoaverle tolto tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembranoannientati, e perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di.sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive di cui essadispone non giovano più a favorire lo sviluppo della civiltà borghese e dei rapportidella proprietà borghese; al contrario, esse sono divenute troppo potenti per talirapporti, sicché ne vengono inceppate; e non appena superano questo impedimentogettano nel disordine tutta quanta la società borghese, minacciano l'esistenza dellaproprietà borghese. I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenerele ricchezze da essi prodotte. Con quale mezzo riesce la borghesia a superare lecrisi? Per un verso, distruggendo forzatamente una grande quantità di forzeproduttive; per un altro verso, conquistando nuovi mercati e sfruttando piùintensamente i mercati già esistenti. Con quale mezzo dunque? Preparando crisi piùestese e più violente e riducendo i mezzi per prevenire le crisi.Le armi con cui la borghesia ha abbattuto il feudalesimo si rivolgono ora contro laborghesia stessa.Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che le recano la morte; essa haanche creato gli uomini che useranno quelle armi i moderni operai, i proletari.Nella stessa misura in cui si sviluppa la borghesia, vale a dire il capitale, sisviluppa anche il proletariato, la classe degli operai moderni, i quali vivono solofino a tanto che trovano lavoro, e trovano lavoro soltanto fino a che il loro lavoroaumenta il capitale. Questi operai, che sono costretti a vendersi al minuto, sono unamerce come ogni altro articolo di commercio, e perciò sono egualmente esposti atutte, le vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato.Il lavoro dei proletari, con l'estendersi dell'uso delle macchine e con la divisionedel lavoro ha perduto ogni carattere d'indipendenza e quindi ogni attrattiva perl'operaio. Questi diventa un semplice accessorio della macchina, un accessorio acui non si chiede che un'operazione estremamente semplice, monotona, facilissimaad imparare. Le spese che l'operaio procura si limitano perciò quasi esclusivamenteai mezzi di sussistenza necessari per il suo mantenimento e per la propagazionedella sua specie. Ma il prezzo di una merce, e quindi anche il prezzo del lavoro, éeguale al suo costo di produzione. Cosí, a misura che il lavoro si fa più ripugnante,più discende il salario. Più ancora: a misura che crescono l'uso delle macchine e ladivisione del lavoro, cresce anche la quantità del lavoro, sia per l'aumento delle oredi lavoro, sia per l'aumento del lavoro richiesto in una data unità di tempo, perl'accresciuta celerità delle macchine, ecc.L'industria moderna ha trasformato la piccola officina dell'artigiano patriarcalenella grande fabbrica del capitalista industriale. Masse di operai addensate nellefabbriche vengono organizzate militarmente. Come soldati semplici dell'industriaessi vengono sottoposti alla sorveglianza di tutta una gerarchia di sottufficiali e diufficiali. Essi non sono soltanto servi della classe borghese, dello Stato borghese,ma vengono, ogni giorno e ogni ora, asserviti dalla macchina, dal sorvegliante,soprattutto dal singolo borghese padrone di fabbrica. Siffatto dispotismo é tanto piùmeschino, odioso, esasperante, quanto più apertamente esso proclama di non averealtro scopo che il guadagno.Quanto meno il lavoro manuale esige abilità e forza, vale a dire quanto piùl'industria moderna si sviluppa, tanto più il lavoro degli uomini viene soppiantatoda quello delle donne e dei fanciulli. Le differenze di sesso di età non hanno piúnessun valore sociale per la classe operaia. Non ci sono più che strumenti di lavoro,il cui costo varia secondo l'età e il sesso.

29

Non appena l'operaio ha finito di essere sfruttato dal fabbricante e ne ha ricevuto ilsalario in contanti, ecco piombar su di lui gli altri membri della borghesia, ilpadrone di casa, il bottegaio, il prestatore a pegno, e cosí via.Quelli che furono sinora i piccoli ceti medi, i piccoli industriali, i negozianti e lagente che vive di piccola rendita, gli artigiani e gli agricoltori, tutte queste classisprofondano nel proletariato, in parte perché il loro esiguo capitale non bastaall'esercizio della grande industria e soccombe quindi nella concorrenza coicapitalisti più grandi, in parte perché le loro attitudini perdono il loro valore inconfronto coi nuovi modi di produzione. Così il proletariato si recluta in tutte leclassi della popolazione.Il proletariato attraversa diversi gradi di evoluzione. La sua lotta contro laborghesia. incomincia colla sua esistenza.Dapprima lottano i singoli operai ad uno ad uno, poi gli operai di una fabbrica, indiquelli di una data categoria in un dato luogo contro il singolo borghese che lisfrutta direttamente. Essi non rivolgono soltanto i loro attacchi contro i rapportiborghesi di produzione, ma li rivolgono contro gli stessi strumenti della pro-duzione; essi distruggono le merci straniere che fanno loro concorrenza, fanno apezzi, le macchine, incendiano le fabbriche, tentano di riacquistare la tramontataposizione dell'operaio del Medioevo41.In questo stadio gli operai formano una massa dispersa per tutto il paese esparpagliata dalla concorrenza.Il loro raggrupparsi in masse non é ancora la conseguenza della loro propriaunione, ma é dovuto alla unione della borghesia, che per raggiungere i suoi proprifini politici deve mettere in moto tutto il proletariato ed é ancora in grado di farlo.In tale stadio i proletari non combattono dunque i loro nemici, ma i nemici dei loronemici, gli avanzi della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi nonindustriali, i piccoli borghesi. Tutto il movimento storico é cosí concentrato nellemani della borghesia; ogni vittoria cosí é una vittoria della borghesia.Ma con lo sviluppo dell'industria il proletariato non cresce soltanto di numero; essosi addensa in grandi masse, la sua forza va crescendo, e con la forza la coscienza diessa. Gli interessi, le condizioni di esistenza ,all'interno del proletariato si livellanosempre piú, perché la macchina cancella sempre più le differenze del lavoro e quasidappertutto riduce il salario a un eguale basso livello. La crescente concorrenza deiborghesi fra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono sempre piùoscillante il salario degli operai; l'incessante e sempre più rapido perfezionamentodelle macchine rende sempre più precarie le loro condizioni di esistenza; i conflittifra singoli operai e borghesi singoli vanno sempre più assumendo il carattere diconflitti fra due classi. È così che gli operai incominciano a formare coalizionicontro i borghesi, riunendosi per difendere il loro salario. Essi fondano persinoassociazioni permanenti per approvvigionarsi per le sollevazioni eventuali.Qua e là la lotta diventa sommossa42.Di quando in quando gli operai vincono, ma solo in modo effimero. Il vero risultatodelle loro lotte non é il successo immediato, ma la unione sempre più estesa degli

41 Questi movimenti fecero la loro prima apparizione a Nottingham e nei distretti vicini alla fine del1811 e si estero in tutti i centri industriali dell'Inghilterra negli anni successivi fino al 1814, stroncati dasevere misure repressive. I gruppi di operai che, nottetempo, distruggevano o mettevano fuori uso le nuovemacchine, erano denominati « Luddisti », sembra dal nome Ned Ludd, di un operaio, sulla cui esistenzanon si hanno documenti.42 Riferimento alla attività della prima società operaia inglese fondata dal calzolaio Thomas Hardy (1752-1832), che accanto alla agitazione politica promosse numerosi moti di rivolta tra la popolazioneindustriale di Londra e dei Midlands. La società venne Soppressa nel 1799 nel quadro di generali misurerepressive, ma i movimenti si estesero nella illegalità e con lotte sanguinose fino al 1824-25 allorché ledisposizioni limitative della organizzazione degli operai vennero attenuate.

30

operai. Essa é agevolata dai crescenti mezzi di comunicazione che sono creati dallagrande industria e che collegano tra di loro operai di località diverse. Basta questosemplice collegamento per concentrare le molte lotte locali, aventi dappertuttoegual carattere, in una lotta nazionale, in una lotta di classe. Ma ogni lotta di classeè lotta politica. E l'unione per raggiungere la quale ai borghigiani del Medioevo,con le loro strade vicinali, occorsero dei secoli, oggi, con le ferrovie, vienerealizzata dai proletari in pochi anni.Questa organizzazione dei proletari in classe, e quindi in partito politico, viene adogni istante nuovamente spezzata dalla concorrenza che gli operai si fanno fra lorostessi. Ma essa risorge sempre di nuovo, più forte, più salda, più potente.Approfittando delle scissioni della borghesia, la costringe al riconoscimento legaledi singoli interessi degli operai. Cosí fu per la legge delle dieci ore di lavoro inInghilterra43.I conflitti in seno alla vecchia società in generale favoriscono in più modi ilprocesso di sviluppo del proletariato. La borghesia è di continuo in lotta: dapprimacontro l'aristocrazia, poi contro quelle parti della borghesia stessa i cui interessisono in contrasto col progresso dell'industria; sempre contro la borghesia di tutti ipaesi stranieri. In tutte queste lotte essa si vede costretta a fare appello alproletariato, a chiederne l'aiuto, trascinandolo cosí nel moto politico. Essa stessa,dunque, dà al proletariato gli elementi della propria educazione, gli dà cioè le armicontro se stessa44.Accade inoltre, come abbiamo già visto, che per il progresso dell'industria intereparti costitutive della classe dominante vengono precipitate nella condizione delproletariato o sono per lo meno minacciate nelle loro condizioni di esistenza.Anch'esse recano al proletariato una massa di elementi della loro educazione.Infine, nei periodi in cui la lotta di classe si avvicina al momento decisivo, ilprocesso di dissolvimento in seno alla classe dominante, in seno a tutta la vecchiasocietà, assume un carattere cosí violento, cosí aspro, che una piccola parte dellaclasse dominante si stacca da essa per unirsi alla classe rivoluzionaria, a quellaclasse che ha l'avvenire nelle sue mani. Perciò, come già un tempo una parte dellanobiltà passò alla borghesia, cosí ora una parte della borghesia passa al proletariato,e segnatamente una parte degli ideologi borghesi che sono giunti a comprendereteoricamente il movimento storico nel suo insieme.Di tutte le classi che oggi stanno di fronte alla borghesia, solo il proletariato è unaclasse veramente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e periscono con la grandeindustria, mentre il proletariato ne é il prodotto più genuino.I ceti modi, il piccolo industriale, il piccolo negoziante, l'artigiano, il contadino,tutti costoro combattono la borghesia per salvare dalla rovina l'esistenza loro di cetimedi. Non sono dunque rivoluzionari, ma conservatori. Ancora più, essi sonoreazionari, essi tentano di far girare all'indietro la ruota della storia. Se sonorivoluzionari, lo sono in vista del loro imminente passaggio al proletariato; cioènon difendono i loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri, abbandonano ilproprio modo di vedere per adottare quello del proletariato.Quanto al sottoproletariato, che rappresenta la putrefazione passiva degli strati piùbassi della vecchia società, esso viene qua e là gettato nel movimento da una

43 La legge che limitava la giornata lavorativa a 10 ore fu votata dal Parlamento inglese nel 1847.44 Esempi sono forniti dalle lotte del movimento operaio inglese all'inizio degli anni 30 per le riformepolitiche. Di queste lotte si servi la borghesia liberale come forza di pressione e con il loro aiuto nel1832 poté ottenere una riforma del Parlamento. I lavoratori di Parigi fecero forza con il loro interventosulla caduta della dinastia borbonica nel luglio 1830. Di quella vittoria si giovò la borghesia finanziariache stabili il suo potere con Luigi Filippo.

31

rivoluzione proletaria; ma per le sue stesse condizioni di vita esso sarà piuttostodisposto a farsi comprar e a mettere al servizio di forze reazionarie.Le condizioni di esistenza della vecchia società sono già distrutte dalle condizionidi esistenza del proletariato. Il proletario é senza proprietà; le sue relazioni con lamoglie e coi figli non hanno più nulla di comune con i rapporti familiari borghesi;il moderno lavoro industriale, il moderno soggiogamento al capitale, eguale inInghilterra come in Francia, in America come in Germania, lo ha spogliato di ognicarattere nazionale. Le leggi, la morale, la religione, sono per lui altrettantipregiudizi borghesi, dietro ai quali si nascondono altrettanti interessi borghesi.Tutte le classi che finora s'impossessarono del potere cercarono di assicurarsi laposizione raggiunta assoggettando tutta la società alle condizioni del loroguadagno. I proletari, invece, possono impossessarsi delle forze produttive socialisoltanto abolendo il loro modo di appropriazione attuale e con esso l'intero attualemodo di appropriazione. I proletari non hanno nulla di proprio da salvaguardare;essi hanno soltanto da distruggere tutte le sicurezze private e le guarentigie privatefinora esistite.Tutti i movimenti avvenuti sinora furono movimenti di minoranza o nell'interessedi minoranze.Il movimento proletario é il movimento indipendente dell'enorme maggioranzanell'interesse dell'enorme maggioranza. Il proletariato che é lo strato più bassodella società attuale, non può sollevarsi, non può innalzarsi, senza che tutta lasovrastruttura degli strati che costituiscono la società ufficiale vada in frantumiSebbene non sia tale per il contenuto, la lotta del proletariato contro la borghesia éperò all'inizio, per la sua forma, una lotta nazionale. Il proletariato di ogni paesedeve naturalmente farla finita prima con la sua propria borghesia.Tratteggiando le fasi più generali dello sviluppo del proletariato, abbiamo seguitola guerra civile più o meno occulta entro la società attuale fino al momento in cuiessa esplode in una rivoluzione aperta, e col rovesciamento violento dellaborghesia il proletariato stabilisce il suo dominio.Ogni società finora esistita ha poggiato, come abbiamo già visto, sul contrasto trale classi degli oppressori e degli oppressi. Ma per poter opprimere una classe,bisogna che le siano assicurate condizioni entro le quali essa possa almeno viverela sua misera vita di schiavo. Il servo della gleba ha potuto, continuando a essertale, elevarsi a membro del Comune, cosí come il borghigiano, pur sotto il giogodell'assolutismo feudale, ha potuto diventare un borghese. L'operaio moderno, alcontrario, invece di elevarsi col progresso dell'industria, cade sempre più in basso,al di sotto delle condizioni della sua propria classe. L'operaio diventa il povero, e ilpauperismo si sviluppa ancora più rapidamente della popolazione e della ricchezza.Appare da tutto ciò manifesto che la borghesia é incapace di rimanere ancora più alungo la classe dominante della società e di imporre alla società, come leggeregolatrice, le condizioni di esistenza della sua classe. Essa è incapace di dominareperché é incapace di assicurare al suo schiavo l'esistenza persino nei limiti della suaschiavitù, perché è costretta a lasciarlo cadere in condizioni tali, da doverlo poinutrire anziché esserne nutrita. La società non può più vivere sotto il suo dominio,cioè l'esistenza della borghesia non é più compatibile con la società.Condizione essenziale dell'esistenza e del dominio della classe borghese èl'accumularsi della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e l'aumento delcapitale; condizione del capitale é il lavoro salariato. Il lavoro salariato si fondaesclusivamente sulla concorrenza degli operai fra di loro. Il progressodell'industria, del quale la borghesia è l'agente involontario e passivo, sostituisceall'isolamento degli operai, risultante dalla concorrenza, la loro unionerivoluzionaria mediante la associazione. Lo sviluppo della grande industria togliedunque di sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si

32

appropria i prodotti. Essa produce innanzi tutto i suoi propri seppellitori. Il suotramonto e la vittoria del proletariato sono ugualmente inevitabili.

Proletari e comunisti

Che relazione passa tra i comunisti e i proletari in generale? I comunisti noncostituiscono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai.Essi non hanno interessi distinti dagli interessi del proletariato nel suo insieme.Non erigono principi particolari, sui quali vogliano modellare il movimentoproletario.I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solamente per il fatto che daun lato, nelle varie lotte nazionali dei proletari, essi mettono in rilievo e fannovalere quegli interessi comuni dell'intero proletariato che sono indipendenti dallanazionalità; d'altro lato per il fatto che, nei vari stadi di sviluppo che la lotta traproletariato e borghesia va attraversando, rappresentano sempre l'interesse delmovimento complessivo.In pratica, dunque, i comunisti sono la parte più risoluta dei partiti operai di tutti ipaesi, quella che sempre spinge avanti; dal punto di vista della teoria, essi hanno unvantaggio sulla restante massa del proletariato pel fatto che conoscono lecondizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario.Lo scopo immediato dei comunisti è quello stesso degli altri partiti proletari:formazione del proletariato in classe, rovesciamento del dominio borghese,conquista del potere politico da parte del proletariato.Le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee, sopra principiche siano stati inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo.Esse sono soltanto espressioni generali dei rapporti effettivi di una lotta di classeche già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. L'aboli-zione dei rapporti di proprietà che si sono avuti finora non é cosa che caratterizzipropriamente il comunismo.Tutti i rapporti di proprietà sono sempre stati soggetti a un continuo mutamentostorico, a una continua trasformazione storica.La rivoluzione francese, ad esempio, abolì la proprietà feudale in favore dellaproprietà borghese.Ciò che distingue il comunismo non é l'abolizione della proprietà in generale, bensíl'abolizione della proprietà borghese.Ma la moderna proprietà privata borghese é l'ultima e la più perfetta espressione diquella produzione e appropriazione dei prodotti, che poggia sugli antagonismi diclasse, sullo sfruttamento degli uni per opera degli altri.In questo senso i comunisti possono riassumere la loro dottrina in quest'unicaespressione: abolizione della proprietà privata.È stato mosso rimprovero a noi comunisti di voler abolire la proprietà acquistatacol lavoro personale, frutto del lavoro di ciascuno; quella proprietà che sarebbe ilfondamento di ogni libertà, di ogni attività e di ogni indipendenza personali.Proprietà acquistata, guadagnata, frutto dei proprio lavoro! Parlate voi forse dellaproprietà del piccolo borghese o del piccolo agricoltore, che precedette la proprietàborghese? Noi non abbiamo bisogno di abolirla; l'ha già abolita e la aboliscequotidianamente lo sviluppo dell'industria.Oppure parlate voi della moderna proprietà borghese privata?Ma che forse il lavoro salariato, il lavoro del proletario, crea a quest'ultimo unaproprietà? In nessun modo. Esso crea il capitale, cioè crea la proprietà che sfrutta illavoro salariato e che non può aumentare se non a condizione di generare nuovolavoro salariato per nuovamente sfruttarlo. La proprietà nella sua forma odierna è

33

fondata sull'antagonismo fra capitale e lavoro salariato. Esaminiamo i due terminidi questo antagonismo.Essere capitalista non vuol dire soltanto occupare nella produzione una posizionepuramente personale, ma una posizione sociale. Il capitale è un prodotto comune enon può essere messo in moto se non dall'attività comune di molti membri dellasocietà, anzi, in ultima istanza, soltanto dall'attività comune di tutti i membri dellasocietà.Il capitale, dunque, non é una potenza personale; esso è una potenza sociale.Se dunque il capitale viene trasformato in proprietà comune, appartenente a tutti imembri della società, ciò non vuol dire che si trasformi una proprietà personale inproprietà sociale. Si trasforma soltanto il carattere sociale della proprietà. Essoperde il suo carattere di classe.Veniamo al lavoro salariato.Il prezzo medio del lavoro salariato é il minimo del salario, ossia la somma deimezzi di sussistenza necessari a mantenere in vita l'operaio in quanto operaio.Quello dunque che l'operaio salariato si appropria con la sua attività, gli bastasoltanto per riprodurre la sua nuda esistenza. Noi non vogliamo punto abolirequesta appropriazione personale dei prodotti del lavoro necessari per lariproduzione della vita immediata, appropriazione la quale non lascia alcun profittonetto, che possa dare un potere sul lavoro altrui. Noi vogliamo soltanto abolire ilmiserabile carattere di questa appropriazione, per cui l'operaio esiste soltanto peraccrescere il capitale e vive quel tanto che é richiesto dall'interesse della classedominante.Nella società borghese il lavoro vivo è soltanto un mezzo per aumentare il lavoroaccumulato. Nella società comunista il lavoro accumulato è soltanto un mezzo perrendere più largo, più ricco, più progredito il ritmo di vita degli operai.Nella società borghese, dunque, il passato domina sul presente; nella societàcomunista il presente sul passato. Nella società borghese il capitale é indipendentee personale, mentre l'individuo operante é dipendente e impersonale.E la borghesia chiama l'abolizione di questo stato di cose abolizione dellapersonalità e della libertà! E ha ragione. Perché si tratta, effettivamente, di abolirela personalità, l'indipendenza e la libertà del borghese!Per libertà si intende, entro gli attuali rapporti borghesi di produzione, ilcommercio libero, la libera compra e vendita.Ma tolto il commercio, sparisce anche il libero commercio. Le frasi sul liberocommercio, come tutte le altre vanterie liberalesche della nostra borghesia, hannoun senso soltanto rispetto al commercio vincolato e allo asservito cittadino delMedioevo, ma non ne hanno alcuno rispetto all'abolizione comunista delcommercio, dei rapporti borghesi di produzione e della borghesia stessa.Voi inorridite all'idea che noi vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nell'attualevostra società la proprietà privata é abolita per nove decimi dei suoi membri; anzi,essa esiste precisamente in quanto per quei nove decimi non esiste. Voi cirimproverate dunque di voler abolire una proprietà che ha per condizione neces-saria la mancanza di proprietà per l'enorme maggioranza della società.In una parola, voi ci rimproverate di voler abolire la vostra proprietà. È vero: èquesto che vogliamo.Dall'istante in cui il lavoro non può più essere trasformato in capitale, denaro,rendita fondiaria, insomma, in una forza sociale monopolizzabile, dall'istante cioèin cui la proprietà personale non si può più mutare in proprietà borghese, daquell'istante voi dichiarate che è abolita la persona.Voi confessate, dunque, che per persona non intendete altro che il borghese, ilproprietario borghese. Ebbene, questa persona deve effettivamente essere abolita.Il comunismo non toglie a nessuno la facoltà di appropriarsi dei prodotti sociali;toglie soltanto la facoltà di valersi di tale appropriazione per asservire lavoro altrui.

34

È stato obiettato che con l'abolizione della proprietà privata cesserebbe ogniattività, si diffonderebbe una neghittosità generale.Se così fosse, la società borghese sarebbe da molto tempo andata in rovina perpigrizia, giacché in essa chi lavora non guadagna e chi guadagna non lavora. Tuttal'obiezione sbocca in questa tautologia: che non c'è più lavoro salariato quando nonc'è più capitale.Tutte le obiezioni, che si muovono al modo comunista di appropriazione e diproduzione dei prodotti materiali, sono state estese anche alla appropriazione eproduzione dei prodotti intellettuali. Come per il borghese la cessazione dellaproprietà di classe significa cessazione della produzione stessa, cosí cessazionedella cultura di classe è per lui lo stesso che cessazione della cultura in genere.La cultura di cui egli deplora la perdita è per l'enorme maggioranza degli uomini ilprocesso di trasformazione in macchina.Ma non polemizzate con noi applicando all'abolizione della proprietà borghese levostre concezioni borghesi della libertà, della cultura, del diritto, ecc. Le vostreidee sono anch'esse un prodotto dei rapporti borghesi di produzione e di proprietà,cosí come il vostro diritto non è che la volontà della vostra classe innalzata a legge,una volontà il cui contenuto è determinato dalle condizioni materiali di vita dellavostra classe.Questa concezione interessata, grazie alla quale voi trasformate i vostri rapporti diproduzione e di proprietà, da rapporti storici com'essi sono, che appaionoscompaiono nel corso della produzione, in leggi eterne della natura e della ragione,questa concezione voi l'avete in comune con tutte le classi dominanti scomparse.Ciò che voi comprendete quando si tratta della proprietà antica, ciò che voicomprendete quando si tratta della proprietà feudale, voi non potete piú com-prenderlo quando si tratta della proprietà borghese.Abolizione della famiglia! Persino i piú avanzati fra i radicali si scandalizzano dicosí ignominiosa intenzione dei comunisti.Su che cosa si basa la famiglia, odierna, la famiglia borghese? Sul capitale, sulguadagno privato. Nel suo pieno sviluppo la famiglia odierna esiste soltanto per laborghesia; ma essa trova il suo complemento nella forzata mancanza di famigliadei proletari e nella prostituzione pubblica.La famiglia del borghese cadrà naturalmente col venir meno di questo suocomplemento, e ambedue scompariranno con lo sparire del capitale.Ci rimproverate voi di voler abolire lo sfruttamento dei figli da parte dei lorogenitori? Noi questo delitto lo confessiamo.Ma voi dite che sostituendo l'educazione sociale all'educazione domestica noisopprimiamo i legami piú intimi.Ma non è anche la vostra educazione determinata dalla società, dai rapporti socialientro ai quali voi educate, dall'intervento piú o meno diretto o indiretto dellasocietà per mezzo della scuola, ecc.? Non sono i comunisti che inventanol'influenza della società sulla educazione; essi ne cambiano soltanto il carattere;essi strappano l'educazione all'influenza della classe dominante.Le declamazioni borghesi sulla famiglia e sull'educazione, sugli intimi rapporti fra igenitori e i figli diventano tanto piú nauseanti, quanto piú, in conseguenza dellagrande industria, viene spezzato per i proletari ogni legame di famiglia, e i fanciullivengono trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.Ma voi comunisti volete la comunanza delle donne ci grida in coro tutta laborghesia.Il borghese vede nella propria moglie un semplice strumento di produzione. Eglisente che gli strumenti di produzione debbono essere sfruttati in comune e,naturalmente, non può fare a meno di pensare che la sorte dell'uso in comunecolpirà anche le donne.

35

Egli non s'immagina che si tratta appunto di abolire la posizione delle donne comesemplici strumenti di produzione.Del resto, nulla è piú ridicolo del moralissimo sgomento dei nostri borghesi per lapretesa comunanza ufficiale delle donne nel comunismo. I comunisti non hannobisogno d'introdurre la comunanza delle donne: essa è quasi sempre esistita.I nostri borghesi, non contenti di avere a loro disposizione le mogli e le figlie deiloro proletari — per non parlare della prostituzione ufficiale — trovano uno deiloro principali diletti nel sedursi scambievolmente le mogli.Il matrimonio borghese é, in realtà, la comunanza delle mogli. Tutt'al più sipotrebbe rimproverare ai comunisti di voler sostituire alla comunanza delle donne,ipocritamente celata, una comunanza ufficiale, palese. Si comprende del restobenissimo che con l'abolizione degli attuali rapporti di produzione scompare anchela comunanza delle donne che ne risulta, vale a dire la prostituzione ufficiale e nonufficiale.Si rimprovera inoltre ai comunisti di voler sopprimere la patria, la nazionalità.Gli operai non hanno patria. Non si può toglier loro ciò che non hanno. Ma poichéil proletariato deve conquistarsi prima il dominio politico, elevarsi a classenazionale, costituirsi in nazione, è anch'esso nazionale, benché certo non nel sensodella borghesia.L'isolamento e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno via via scomparendo conlo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, conl'uniformità della produzione industriale e con le condizioni di vita ad essarispondenti.Il dominio del proletariato lì farà scomparire ancora di più. L'azione unita almenonei paesi civili é una delle prime condizioni della sua emancipazione.A misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo per opera di un altro,viene abolito lo sfruttamento di una nazione per opera di un'altra.Con lo sparire dell'antagonismo fra le classi nell'interno della nazione scomparel'ostilità fra le nazioni stesse.Le accuse che vengono mosse contro il comunismo partendo da considerazionireligiose, filosofiche e ideologiche in generale, non meritano d'essere più ampia-mente esaminate.Ci vuole forse una profonda perspicacia per comprendere che, cambiando lecondizioni di vita degli uomini, i loro rapporti sociali e la loro esistenza sociale,cambiano anche le, loro concezioni, i loro modi di vedere e le loro idee, in unaparola, cambia anche la loro coscienza?Che cos'altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione spirituale sitrasforma insieme con quella materiale? Le idee dominanti di un'epoca furonosempre soltanto le idee della classe dominante.Si parla di idee che rivoluzionano tutta una società; con ciò si esprime soltanto ilfatto che in seno alla vecchia società si sono formati gli elementi di una societànuova, che con la dissoluzione dei vecchi rapporti di esistenza procede di paripasso il dissolvimento delle vecchie idee.Quando il mondo antico stava per tramontare, le vecchie religioni furono vintedalla religione cristiana. Quando nel secolo XVIII le idee cristiane soggiacqueroalle idee dell'illuminismo, la società feudale stava combattendo la sua lotta supremacon la borghesia, allora rivoluzionaria. Le idee di libertà di coscienza e di religionenon furono altro che l'espressione del dominio della libera concorrenza nel campodella coscienza.« Ma — si dirà — non c'é dubbio che le idee religiose, morali, filosofiche,politiche, giuridiche, ecc., si sono modificate nel corso dell'evoluzione storica; lareligione, la morale, la filosofia, la politica, il diritto però si mantennero sempreattraverso tutti questi mutamenti.

36

Ci sono, inoltre, verità eterne, come la libertà, la giustizia, ecc., che sono comuni atutte le situazioni sociali. Il comunismo, invece, abolisce le verità eterne, aboliscela religione, la morale, in luogo di dar loro una forma nuova e con ciò contraddice atutta l'evoluzione storica verificatasi finora. »A che cosa si riduce questa accusa? La storia di tutta la società si é svolta sinoraattraverso antagonismi di classe, che nelle diverse epoche assunsero forme diverse.Ma qualunque forma abbiano assunto tali antagonismi, lo sfruttamento di una partedella società per opera di un'altra é un fatto comune a tutti i secoli passati. Nessunameraviglia, quindi, che la coscienza sociale di tutti i secoli, malgrado tutte levarietà e diversità, si muova in certe forme comuni, in forme di coscienza che sidissolvono completamente soltanto con la completa sparizione dell'antagonismodelle classi.La rivoluzione comunista é la più radicale rottura coi rapporti di proprietàtradizionali; nessuna meraviglia, quindi, se nel corso del suo sviluppo avviene larottura più radicale con le idee tradizionali.Ma lasciamo stare le obiezioni della borghesia contro il comunismo.Abbiamo già visto sopra come il primo passo nella rivoluzione operaia sia l'elevarsidel proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia.Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia, apoco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nellemani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classedominante, e per aumentare, con la massima rapidità possibile, la massa delle forzeproduttive.Naturalmente sulle prime tutto ciò non può accadere, se non per via di interventidispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, vale a direcon misure che appaiono economicamente insufficienti e insostenibili, ma che nelcorso del movimento sorpassano se stesse e spingono in avanti, e sono inevitabilicome mezzi per rivoluzionare l'intero modo di produzione.Com'è naturale, queste misure saranno diverse a seconda dei diversi paesi.Per i paesi più progrediti, però, potranno quasi generalmente essere applicate leseguenti:Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita fondiaria per lespese dello Stato.Imposta fortemente progressiva.Abolizione del diritto di eredità.Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli.Accentramento del credito nelle mini dello Stato per mezzo d'una banca nazionalecon capitale di Stato e con monopolio esclusivo.Accentramento dei mezzi di trasporto nelle mani dello Stato.Aumento delle fabbriche nazionali e degli strumenti di produzione, dissodamento emiglioramento dei terreni secondo un piano comune.Eguale obbligo di lavoro per tutti, istituzione di eserciti industriali, specialmenteper l'agricoltura.Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e di quello dell'industria, misure atte adeliminare gradualmente l'antagonismo tra città e campagna.Educazione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Abolizione del lavoro deifanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Unificazione dell'educazione edella produzione materiale, ecc.Quando, nel corso dell'evoluzione, le differenze di classe saranno sparite e tutta laproduzione sarà concentrata nelle mani degli individui associati, il potere pubblicoperderà il carattere politico. Il potere politico, nel senso proprio della parola, è il -potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra. Se il proletariato,nella lotta contro la borghesia, si costituisce necessariamente in classe, e per mezzodella rivoluzione trasforma se stesso in classe dominante e, come tale, distrugge

37

violentemente i vecchi rapporti di produzione, esso abolisce, insieme con questirapporti di produzione, anche le condizioni d'esistenza dell'antagonismo di classe ele classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe.Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e coi suoi antagonismi diclasse subentra un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno é lacondizione per il libero sviluppo di tutti.

Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, Editori Riuniti, 1974. Estratti pag. 53-90

38

Il controllo del potere sociale e l’individuo ricco di bisogni

(testi da Manoscritti economico-filosofici del 1844, Lineamenti fondamentali dellacritica dell'economia politica, La guerra civile in Francia, Critica del Programma diGotha. Note in margine al programma del Partito operaio tedesco)

Manoscritti economico-filosofici del 1844

Proprietà privata e comunismoBisogno, produzione e divisione del lavoro

Proprietà privata e comunismo

La proprietà privata ci ha resi così ottusi ed unilaterali che un oggetto è consideratonostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando esso esiste per noi comecapitale o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostrocorpo, abitato, ecc., in breve, quando viene da noi usato; sebbene la proprietàprivata concepisca a sua volta tutte queste realizzazioni immediate del possessosoltanto come mezzi di vita, e la vita, a cui servono come mezzi, sia la vita dellaproprietà privata, del lavoro e della capitalizzazione. Al posto di tutti i sensi fisici espirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi, il sensodell'avere. L'essere umano doveva essere ridotto a questa assoluta povertà, affinchépotesse estrarre da sé la sua ricchezza interiore.La soppressione della proprietà privata rappresenta quindi la completaemancipazione di tutti i sensi e di tutti gli attributi umani; ma è una emancipazionesiffatta appunto perché questi sensi e questi attributi sono diventati umani, siasoggettivamente sia oggettivamente. L'occhio è diventato occhio umano nonappena il suo oggetto è diventato un oggetto sociale, umano, che procede dall'uomoper l'uomo. Perciò i sensi sono diventati immediatamente, nella loro prassi, deiteorici. Essi si riferiscono alla cosa in grazia della cosa; ma la cosa stessa implicaun riferimento oggettivo umano a se stessa e all'uomo, e viceversa. Il bisogno o ilgodimento hanno perciò perduto la loro natura egoistica, e la natura ha perduto lasua mera utilità, dal momento che l'utile è diventato l'utile umano. Parimenti i sensie il modo di goderne degli altri uomini sono diventati la mia propriaappropriazione. Oltre questi organi immediati si formano quindi organi sociali,nella forma della società: per esempio, l'attività che io esplico immediatamente insocietà con altri, ecc., è diventata organo di una manifestazione vitale e un modo diappropriarsi la vita umana. S'intende che l'occhio umano gode in modo diversodall'occhio rozzo, inumano, l'orecchio umano in modo diverso dall'orecchio rozzo,ecc. Abbiamo visto che l'uomo non si perde nel suo oggetto soltanto quando questodiventa per lui o un oggetto umano o un uomo oggettivo. Il che è possibile soltantoqualora l'oggetto diventi per lui un oggetto sociale ed egli stesso diventi per sestesso un essere sociale, allo stesso modo che la società diventa per lui un essere inquesto oggetto.Per un verso, quindi, in quanto la realtà oggettiva diventa ovunque per l'uomo nellasocietà come la realtà delle forze essenziali dell'uomo, come la realtà umana, eperciò come la realtà delle sue proprie forze essenziali, tutti gli oggetti diventanoper lui l'oggettivazione di se stesso, diventano gli oggetti che realizzano econfermano la sua individualità, i suoi oggetti, in altre parole egli stesso diventa

39

oggetto. Come gli oggetti divengano per lui i suoi oggetti, dipende dalla naturadell'oggetto e dalla natura della forza essenziale ad essa corrispondente; infatti,proprio la particolarità di questo rapporto costituisce il modo particolare, reale dellaaffermazione. Un oggetto si presenta all'occhio in modo diverso da quel che sipresenti all'orecchio, e l'oggetto dell'occhio è diverso da quello dell'orecchio. Laparticolarità di ogni forza essenziale è appunto la sua essenza particolare, e quindianche il modo particolare della sua oggettivazione, del suo essere vivente,oggettivo e reale. Non solo dunque nel pensiero, [VIII] ma anche con tutti i suoisensi l'uomo si afferma nel mondo oggettivo. Per l'altro verso, dal punto di vistasoggettivo: come soltanto la musica risveglia il senso musicale dell'uomo; come lapiù bella musica non ha per un orecchio non musicale nessun senso, nonrappresenta un oggetto, dal momento che il mio oggetto può essere soltanto laconferma di una mia forza essenziale, e quindi può essere per me soltanto nellamisura in cui la mia forza essenziale in quanto facoltà soggettiva è per sé,estendendosi il senso di un oggetto per me quanto si estende il mio senso (e unoggetto ha un senso soltanto per il senso corrispondente); così i sensi dell'uomo,sociale sono diversi da quelli dell'uomo non sociale. Soltanto attraverso l'interosvolgimento oggettivo della ricchezza dell'essere umano, viene in parte educata, inparte prodotta la ricchezza della sensibilità soggettiva dell'uomo, e parimenti unorecchio per la musica, un occhio per la bellezza della forma, in breve i soli sensicapaci di un godimento umano, quei sensi che si confermano come forze essenzialidell'uomo. Infatti non solo i cinque sensi, ma anche i cosiddetti sensi spirituali, isensi pratici (il volere, l'amore, ecc.), in una parola il senso umano, l'umanità deisensi, si formano soltanto attraverso l'esistenza dell'oggetto loro proprio, attraversola natura umanizzata. L'educazione dei cinque sensi è un'opera di tutta la storia delmondo sino ad oggi. Inoltre il senso, prigioniero dei bisogni pratici primordiali, hasoltanto un senso limitato. Per l'uomo affamato non esiste la forma umana dei cibi,ma soltanto la loro esistenza astratta come cibi; potrebbero altrettanto bene esserpresenti nella loro forma più rozza, e non si può dire in che cosa differisca questomodo di nutrirsi da quello delle bestie. L'uomo in preda alle preoccupazioni e albisogno non ha sensi per il più bello tra gli spettacoli; il trafficante in minerali vedesoltanto il valore commerciale, ma non la bellezza e la natura caratteristica delminerale; non ha alcun senso mineralogico; e quindi occorreva l'oggettivazionedell'essere umano, tanto dal punto di vista teoretico che dal punto di vista pratico,sia per rendere umano il senso dell'uomo, sia per creare un senso umano che fossecorrispondente a tutta la ricchezza dell'essere umano e naturale.Come attraverso il movimento della proprietà privata, della sua ricchezza e dellasua miseria - o più precisamente della sua ricchezza e della sua miseria tantomateriali che spirituali - la società in formazione trova innanzi a sé tutto ilmateriale necessario a questa formazione; così la società già formata producel'uomo in tutta questa ricchezza del suo essere, produce l'uomo ricco eprofondamente sensibile a tutto come sua stabile realtà. …Si vede come al posto della ricchezza e della miseria come le considera l'economiapolitica, subentri l'uomo ricco e la ricchezza di bisogni umani. L'uomo ricco è adun tempo l'uomo che ha bisogno di una totalità di manifestazioni di vita umane,l'uomo in cui la sua propria realizzazione esiste come necessità interna, comebisogno. Facendo l'ipotesi del socialismo, non soltanto la ricchezza, ma anche lapovertà dell'uomo riceve in egual misura un significato umano e quindi sociale. È ilvincolo passivo che fa sentire all'uomo come bisogno la più grande delle ricchezze,l'altro uomo. Il dominio in me dell'essere oggettivo, il prorompere sensibiledell'attività del mio essere, costituisce quella passione, che qui per ciò stessodiventa l'attività del mio essere.Un essere si considera indipendente soltanto quando è padrone di sé, ed è padronedi sé soltanto quando è debitore a se stesso della propria esistenza. Un uomo, che

40

vive della grazia altrui, si considera come un essere dipendente. Ma io vivocompletamente della grazia altrui quando sono debitore verso l'altro non soltantodel sostentamento della mia vita, ma anche quando questi ha oltre a ciò creato lamia vita, è la fonte della mia vita; e la mia vita ha necessariamente un talefondamento fuori di sé, quando non è la mia propria creazione. La creazione èquindi una rappresentazione assai difficile da sradicare dalla coscienza del popolo;questi infatti non riesce a concepire che la natura e l'uomo possano esistere peropera propria, posto che ciò contraddice a tutti i dati evidenti della vita pratica.La teoria della creazione della terra ha ricevuto un fortissimo colpo dallageognosia, cioè dalla scienza che presenta la formazione, il divenire della terracome un processo, come una generazione spontanea. La generatio aequivoca èl'unica confutazione pratica della teoria della creazione.Ormai è certamente facile dire all'individuo singolo quello che già disse Aristotele:tu sei generato da tuo padre e da tua madre, e quindi la congiunzione di due esseriumani, cioè un atto proprio della specie umana ha prodotto in te l'uomo. Tu vedidunque che l'uomo è debitore della sua esistenza anche fisicamente all'uomo. Deviquindi tener presente non un unico lato soltanto, cioè il progresso infinito per cuivieni a chiedere chi ha generato mio padre, chi suo nonno e via di seguito. Tu devianche porre attenzione al movimento circolare, che si può vedere sensibilmente inquel progresso, in base al quale l'uomo nella generazione riproduce se stesso, el'uomo rimane quindi sempre soggetto. Però tu mi potrai rispondere: io ti concedoquesto movimento circolare, ma tu devi concedermi a tua volta il progresso che mispinge sempre più indietro sino a farmi domandare chi ha generato il primo uomo ein generale la natura. Posso limitarmi a controbattere: la tua domanda è essa stessaun prodotto dell'astrazione. Domandati come hai fatto ad arrivare a questadomanda; domandati se la tua domanda non proceda da un punto di vista, a cui nonposso rispondere perché è assurdo. Domandati se quel progresso esista come taleper un pensiero razionale. Quando tu ti poni la domanda intorno alla creazionedella natura e dell'uomo, fai astrazione dall'uomo e dalla natura. Tu li poni comenon esistenti, eppure vuoi che te li provi come esistenti. Ed io ora ti dico: se rinuncialla tua astrazione, devi rinunciare pure alla tua domanda; se vuoi invece rimanerfedele alla tua astrazione, devi essere conseguente, e se pensi [XI] l'uomo e lanatura come non esistenti, allora pensa come non esistente anche te stesso, perchétu stesso sei pure natura e uomo. Non pensare, non interrogarmi, perché nonappena pensi e interroghi, la tua astrazione dall'essere della natura e dell'uomoperde ogni senso. Oppure sei tu un tale egoista che ogni cosa poni nel nulla, ma ciònonostante vuoi essere ?Tu puoi ribattere: Io non voglio porre la natura nel nulla, ecc.; voglio interrogartiintorno all'atto d'origine della natura, come interrogo l'anatomista intorno allaformazione delle ossa.Ma siccome per l'uomo socialista tutta la cosiddetta storia del mondo non è altroche la generazione dell'uomo mediante il lavoro umano, null'altro che il diveniredella natura per l'uomo, egli ha la prova evidente, irresistibile, della sua nascitamediante se stesso, del processo della sua origine. Dal momento che la essenzialitàdell'uomo e della natura è diventata praticamente sensibile e visibile, dal momentoche è diventato praticamente sensibile e visibile l'uomo per l'uomo come esistenzadella natura, e la natura per l'uomo come esistenza dell'uomo, è diventatopraticamente improponibile il problema di un essere estraneo, di un esseresuperiore alla natura e all'uomo, dato che questo problema implica l'ammissionedella inessenzialità della natura e dell'uomo. L'ateismo, in quanto negazione diquesta inessenzialità, non ha più alcun senso; infatti l'ateismo è, si, una negazionedi Dio e pone attraverso questa negazione l'esistenza dell'uomo, ma il socialismo inquanto tale non ha più bisogno di questa mediazione. Esso comincia dallacoscienza teoreticamente e praticamente sensibile dell'uomo e della natura nella

41

loro essenzialità. Esso è l'autocoscienza positiva dell'uomo, non più mediata dallasoppressione della religione, allo stesso modo che la vita reale è la realtà positivadell'uomo, non più mediata dalla soppressione della proprietà privata, dalcomunismo. Il comunismo è, in quanto negazione della negazione, affermazione;perciò è il momento reale, e necessario per il prossimo svolgimento storico,dell'emancipazione e della riconquista dell'uomo. Il comunismo è la strutturanecessaria e il principio propulsore del prossimo futuro; ma il comunismo non ècome tale la meta dello svolgimento storico, la struttura della società umana.

Bisogno, produzione e divisione del lavoro

[XIV] Abbiamo visto quale significato abbia, facendo l'ipotesi del socialismo, laricchezza dei bisogni umani, e quindi tanto un nuovo modo di produzione quantoanche un nuovo oggetto di produzione. Nuova attuazione della forza essenzialedell'uomo e nuovo arricchimento dell'essere umano. Nell'ambito della proprietàprivata, il significato opposto. Ogni uomo s'ingegna di procurare all'altro uomo unnuovo bisogno, per costringerlo ad un nuovo sacrificio, per ridurlo ad una nuovadipendenza e spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di rovinaeconomica. Ognuno cerca di creare al di sopra dell'altro una forza essenzialeestranea per trovarvi la soddisfazione del proprio bisogno egoistico. Con la massadegli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri estranei, ai quali l'uomo èsoggiogato, ed ogni nuovo prodotto è un nuovo potenziamento del reciprocoinganno e delle reciproche spogliazioni. L'uomo diventa tanto più povero comeuomo, ha tanto più bisogno del denaro, per impadronirsi dell'essere ostile, e lapotenza del suo denaro sta giusto in proporzione inversa alla massa dellaproduzione; in altre parole, la sua miseria cresce nella misura in cui aumental’impotenza del denaro. Perciò il bisogno del denaro è il vero bisogno prodottodall'economia politica, il solo bisogno che essa produce. La quantità del denarodiventa sempre più il suo unico attributo di potenza: come il denaro ha ridotto ogniessere alla propria astrazione, così esso si riduce nel suo proprio movimento a meraquantità. La sua vera misura è di essere smisurato e smoderato. Così si presenta lacosa anche dal punto di vista soggettivo: in parte l'estensione dei prodotti e deibisogni si fa schiava - schiava ingegnosa e sempre calcolatrice - di appetitidisumani, raffinati, innaturali e immaginari; la proprietà privata non sa fare delbisogno grossolano un bisogno umano; il suo idealismo è l'immaginazione,l'arbitrio, il capriccio. L'eunuco non adula il suo despota più bassamente e noncerca con mezzi più infami di eccitare la di lui ottusa capacità di godere percarpirgli qualche favore, di quanto l'eunuco dell'industria, il produttore, al fine dicarpire qualche po' di denaro e di cavare gli zecchini dalle tasche del prossimocristianamente amato, non si adatti ai più abietti capricci dei propri simili, nonfaccia la parte di mezzano tra i propri simili e i loro bisogni, non ecciti in loroappetiti morbosi, non spii ogni loro debolezza per esigere poi il prezzo dei suoibuoni uffici. Ogni prodotto è un'esca con cui si vuol attrarre a sé ciò che costituiscel'essenza dell'altro, il suo denaro; ogni bisogno reale o soltanto possibile è unadebolezza che farà cascare la mosca nella pania - sfruttamento universaledell'essere sociale dell'uomo; allo stesso modo che ogni imperfezione dell'uomo èun vincolo che lo unisce col cielo, è il lato in cui il suo cuore è accessibile ai preti.Ogni necessità è un'occasione per presentarsi al proprio prossimo sotto le piùallettanti spoglie e dirgli: caro amico, io ti do quel che ti è necessario, ma tuconosci la conditio sine qua non, tu sai con quale inchiostro devi scriverel'impegno che assumi con me; nel momento stesso in cui ti procuro un godimento,ti scortico. In parte questa estraniazione si rivela nel fatto che il raffinamento deibisogni e dei loro mezzi, da un lato, produce un imbarbarimento animalesco, e una

42

completa, rozza, astratta semplificazione dei bisogni, dall'altro lato; o meglio, altronon fa che riprodurre se stesso in senso inverso. Lo stesso bisogno dell'aria apertacessa di essere un bisogno nell'operaio; l'uomo ritorna ad abitare nelle caverne, lacui aria però è ormai viziata dal mefitico alito pestilenziale della civiltà, e ove egliabita ormai soltanto a titolo precario, rappresentando esse per lui ormai unaestranea potenza che può essergli sottratta ogni giorno e da cui ogni giorno [XV]può esser cacciato se non paga. Perché egli questo sepolcro lo deve pagare. La casaluminosa, che, in Eschilo, Prometeo addita come uno dei grandi doni con cui hatrasformato i selvaggi in uomini, non esiste più per l'operaio. La luce, l'aria, ecc., lapiù elementare pulizia, di cui anche gli animali godono, cessa di essere un bisognoper l'uomo. La sporcizia, questo impantanarsi e putrefarsi dell'uomo, la fogna (insenso letterale) della civiltà, diventa per l'operaio un elemento vitale. Diventa unsuo elemento vitale il completo e innaturale abbandono, la natura putrefatta.Nessuno dei suoi sensi esiste più, non solo nella sua forma umana, ma anche in unaforma disumana, e quindi neppure in una forma animalesca. Le forme più rozze, ipiù rozzi strumenti del lavoro umano vengono riesumati; la macina degli schiaviromani è diventata la forma di produzione, la forma di esistenza di molti operaiinglesi. L'uomo non solo non ha più bisogni umani; ma in lui anche i bisognianimali vengono meno. L'irlandese conosce soltanto più il bisogno di mangiare, omeglio soltanto più il bisogno di mangiar patate, o meglio ancora soltanto più ilbisogno di mangiare le patate della qualità più scadente. Ma l'Inghilterra e laFrancia possiedono già in ogni città industriale la loro piccola Irlanda. Il selvaggio,la bestia hanno ancora se non altro il bisogno della caccia, del moto, ecc., dellasocietà. La semplificazione della macchina, il lavoro vengono utilizzati pertrasformare in operaio l'uomo ancora in via di sviluppo, l'uomo che non è ancoraaffatto formato - il fanciullo -, allo stesso modo che l'operaio è diventato unfanciullo abbandonato all'incuria più totale. La macchina si adatta alla debolezzadell'uomo, per fare dell'uomo debole una macchina.

Come l'accrescimento dei bisogni e dei mezzi produca la mancanza di bisogni e dimezzi, lo prova l'economista (e il capitalista: noi in genere parliamo sempre degliuomini d'affari empirici quando ci rivolgiamo agli economisti, i quali sono lacoscienza e la esistenza scientifica di quelli). E lo prova:1) riducendo il bisogno dell'operaio al più indispensabile e al più compassionevolesostentamento della vita fisica, e la sua attività al movimento meccanico piùastratto, onde viene a dire che l'uomo non ha nessun altro bisogno né di attività nédi godimento; e infatti riconosce anche ad una vita siffatta il carattere di vita umanae di esistenza umana;2) adottando come criterio di misura la vita (o esistenza) la più miserabile che sipossa immaginare, ed anzi come criterio generale perché deve valere per la massadegli uomini; egli fa dell'operaio un essere insensibile e senza bisogni, mentreriduce la sua attività ad una pura astrazione da ogni attività; ogni lusso dell'operaiogli appare quindi riprovevole, ed ogni cosa che va oltre al più astratto di tutti ibisogni - sia esso godimento passivo o manifestazione d'attività - gli appare comeun lusso. L'economia politica, questa scienza della ricchezza, è quindi nello stessotempo la scienza della rinuncia, della privazione, del risparmio, e giunge realmentesino al punto di risparmiare all'uomo persino il bisogno dell'aria pura del motofisico. Questa scienza della mirabile industria è parimenti la scienza dell'ascesi, e ilsuo vero ideale è l'avaro ascetico ma usuraio, e lo schiavo ascetico ma produttivo.Il suo ideale morale è l'operaio che porta alla cassa di risparmio una parte del suosalario; e per questa sua idea prediletta essa ha trovato persino un'arte servile. Tuttociò è stato portato sulla scena in forma sentimentale. L'economia politica è quindi,nonostante il suo aspetto mondano e lussurioso, una scienza realmente morale, lapiù morale di tutte le scienze. La rinuncia a se stessi, la rinuncia alla vita e a tutti i

43

bisogni umani, è il suo dogma principale. Quanto meno mangi, bevi, compri libri,vai a teatro, al ballo e all'osteria, quanto meno pensi, ami, fai teorie, canti, dipingi,verseggi, ecc., tanto più risparmi, tanto più grande diventa il tuo tesoro, che né itarli né la polvere possono consumare, il tuo capitale. Quanto meno tu sei, quantomeno realizzi la tua vita, tanto più hai; quanto più grande è la tua vita alienata,tanto più accumuli del tuo essere estraniato. Tutto [XVI] ciò che l'economista tiporta via di vita e di umanità, te lo restituisce in denaro e ricchezza; e tutto ciò chetu non puoi, può il tuo denaro. Esso può mangiare, bere, andare a teatro e al ballo,se la intende con l'arte, con la cultura, con le curiosità storiche, col potere politico,può viaggiare; può insomma impadronirsi per te di tutto quanto; può tutto quantocomperare: esso è il vero e proprio potere. Ma pur essendo tutto questo, non è ingrado di produrre null'altro che se stesso, né di comprare nulla fuor che se stesso,poiché tutto il resto è ormai suo schiavo; e se io ho il padrone ho pure il servo, enon ho bisogno del suo servo. Così tutte le passioni e tutte le attività devono andarea finire nell'avidità di denaro. L'operaio può avere soltanto quanto basta per volervivere; e può voler vivere soltanto per avere.Veramente sorge a questo punto una controversia sul terreno dell'economiapolitica. Gli uni (Lauderdale, Malthus, ecc.) raccomandano il lusso e imprecanocontro il risparmio; gli altri (Say, Ricardo, ecc.) raccomandano il risparmio eimprecano contro il lusso. Ma quelli dichiarano di volere il lusso per produrre illavoro (cioè il risparmio assoluto); questi affermano di raccomandare il risparmioper produrre la ricchezza, cioè il lusso. I primi hanno l'idea romantica che l'aviditàdi denaro non possa da sola determinare il consumo dei ricchi, e poi contraddiconoalle loro proprie leggi quando spacciano la prodigalità immediatamente come unmezzo per arricchire; e perciò i secondi dimostrano loro con tutta serietà e coimaggiori particolari che con la prodigalità il mio avere diventa più piccolo e nonpiù grande; ma costoro commettono l'ipocrisia di non ammettere che proprio icapricci e i ghiribizzi determinano la produzione; dimenticano i «bisogni raffinati»,dimenticano che se non si consumasse non si produrrebbe, che la produzione peropera della concorrenza deve diventare soltanto più multiforme e più volta aigeneri di lusso; dimenticano che per loro l'uso determina il valore delle cose, e lamoda determina l'uso; desiderano che si produca soltanto ciò che è «utile», madimenticano che la produzione di troppe cose utili produce troppa popolazioneinutile. Sia gli uni che gli altri dimenticano che la prodigalità e il risparmio, il lussoe l'indigenza, la ricchezza e la povertà sono l'identica cosa.E tu devi non solo privarti dei tuoi sensi immediati, come il mangiare, ecc., madevi risparmiarti anche ogni partecipazione ad interessi di carattere generale, lacompassione, la fiducia; tutto quanto devi risparmiarti se vuoi essere un uomoeconomico, se non vuoi andare in rovina per le illusioni.Tutto ciò che è tuo devi renderlo venale, cioè utile. Ma se io chiedo aglieconomisti: «Forse che non ubbidisco alle leggi economiche, se traggo profittoprostituendo e offrendo in vendita il mio corpo alla voluttà altrui (gli operai dellefabbriche in Francia chiamano la prostituzione delle loro mogli e delle loro figliel'ora di lavoro straordinaria, il che è letteralmente vero); oppure non agisco forseeconomicamente vendendo un mio amico ai marocchini (la vendita diretta degliuomini, come il commercio dei coscritti, ecc., si verifica in tutti i paesi civili) ?»allora gli economisti mi rispondono: «Certamente tu non vai contro alle mie leggi;però, sta un po' attento a quel che dicono la signora morale e la signora religione.La mia morale e la mia religione fondate sull'economia politica non hanno nulla daopporti, ma...» Ma a chi mai io debbo più credere ? Alla economia politica o allamorale? La morale dell'economia è il guadagno, il lavoro, il risparmio, la sobrietà;ma l'economia politica mi promette di soddisfare i miei bisogni. L'economia dellamorale è la ricchezza in fatto di buona coscienza, di virtù, ecc.; ma come possoessere virtuoso se non sono, e come posso avere una buona coscienza, se non so

44

nulla? Nella natura stessa dell'estraniazione è fondato il fatto che ogni sfera mipresenti un criterio di misura diverso ed opposto, uno la morale, un altrol'economia politica; e infatti ognuna di queste due sfere rappresenta un mododeterminato di estraniazione umana e [XVII] fissa un ambito particolare di attivitàessenziale-estraniata; ognuna si riferisce in forma estraniata all'estraniazionedell'altra. Così Michel Chevalier rimprovera Ricardo di fare astrazione dallamorale. Ma Ricardo fa parlare all'economia politica la lingua che le è propria, e sequesta non parla in termini di morale, la colpa non è di Ricardo. Chevalier faastrazione dall'economia nei limiti in cui fa il moralista; ma fa necessariamente erealmente astrazione dalla morale nei limiti in cui fa l'economista. La relazione tral'economia politica e la morale, se non è arbitraria, accidentale, e quindi senzafondamento e priva di rigore scientifico, se non è travisata, ma intesa invece nelsuo valore essenziale, può essere bensì soltanto la relazione tra le leggi economichee la morale. Ma se questa relazione non ha luogo, ma anzi ha luogo il contrario, checolpa ne ha Ricardo ? Del resto, anche l'opposizione tra l'economia politica e lamorale è soltanto un'apparenza, e in quanto opposizione, non è di nuovoun'opposizione. L'economia politica si limita ad esprimere alla sua maniera le leggimorali.La mancanza di bisogni in quanto principio dell'economia politica si rivela nelmodo più clamoroso nella sua teoria della popolazione. Ci sono troppi uomini.Persino l'esistenza degli uomini è un puro lusso, e se l'operaio è «morale», faràeconomia in fatto di procreazione. (Mill propone pubblici elogi per coloro che simostrano continenti nei rapporti sessuali, e pubblici biasimi, invece, a coloro chepeccano contro l'infecondità del matrimonio... Non è questa forse una moraledell'ascetismo?) La produzione di uomini appare come una pubblica calamità.Il senso che la produzione ha relativamente ai ricchi, si mostra manifestamente nelsenso che essa ha per i poveri; verso l'alto la sua manifestazione è sempre raffinata,dissimulata, ambigua, pura e semplice apparenza; verso il basso è grossolana,scoperta, leale, vera e propria realtà. Il bisogno rozzo dell'operaio è una fonte diguadagno assai maggiore che il bisogno raffinato del ricco. Le abitazioni nelsottosuolo di Londra rendono ai loro padroni più che i palazzi, cioè rappresentanoper loro una ricchezza maggiore, e quindi per usare il linguaggio dell'economiapolitica, una maggior ricchezza sociale.E così, come l'industria specula sul raffinamento dei bisogni, specula altrettantosulla loro rozzezza: sulla loro rozzezza in quanto è prodotta ad arte, e di cuipertanto il vero godimento consiste nell'autostordimento, che è una soddisfazionedel bisogno soltanto apparente, una forma di civiltà dentro la rozza barbarie delbisogno. Le bettole inglesi sono perciò una rappresentazione simbolica dellaproprietà privata. Il loro lusso mostra il vero rapporto del lusso e della ricchezzadell'industria con l'uomo. E sono quindi anche a ragione i soli divertimentidomenicali del popolo trattati per lo meno con mitezza dalla polizia inglese.

http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1844/2/Manoscritti/proprietacomunismo.htmlhttps://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1844/2/Manoscritti/bisogni.html

Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica (1857-58)

La risoluzione di tutti i prodotti e di tutte le attività in valori di scambio presupponesia la dissoluzione di tutti i rigidi rapporti di dipendenza personali (storici) nellaproduzione, sia la generale dipendenza reciproca dei produttori. Non solo laproduzione di ogni singolo viene a dipendere dalla produzione di tutti gli altri, ma

45

anche la trasformazione del suo prodotto in mezzi di sussistenza personali è venutaa dipendere dal consumo di tutti gli altri. I prezzi sono antichi, e così lo scambio;ma sia la progressiva determinazione degli uni attraverso i costi di produzione, siail predominio dell'altro su tutti i rapporti di produzione sono pienamente sviluppati,e si sviluppano sempre più pienamente, soltanto nella società borghese, nellasocietà della libera concorrenza. Ciò che Adam Smith, alla maniera tipica delXVIII secolo, pone nel periodo preistorico e fa precedere alla storia, è piuttosto ilsuo prodotto.Questa dipendenza reciproca si esprime nella necessità permanente dello scambio enel valore di scambio quale mediatore universale. Gli economisti esprimono questofatto nel modo seguente: ciascuno, perseguendo il suo interesse privato e soltanto ilsuo interesse privato, involontariamente e inconsapevolmente finisce per servirel'interesse privato di tutti, l'interesse generale. Il punto saliente di questaaffermazione non sta nel fatto che perseguendo ognuno il suo interesse privato siraggiunge la totalità degli interessi privati, e cioè l'interesse generale. Da questafrase astratta si potrebbe anzi dedurre che ognuno reciprocamente ostacolal'affermazione dell'interesse dell'altro, sicché invece di un'affermazione generale daquesto bellum omnium contra omnes risulta anzi una generale negazione. Il puntovero e proprio sta piuttosto in questo, che l'interesse privato stesso è già undeterminato interesse sociale e può essere raggiunto soltanto nell'ambito dellecondizioni che la società pone e con i mezzi che essa offre; quindi è legato allariproduzione di queste condizioni e di questi mezzi. Si tratta di interesse dei privati;ma il suo contenuto, come la forma e i mezzi della sua realizzazione, sono dati dacondizioni sociali indipendenti da tutti.La mutua e generale dipendenza degli individui reciprocamente indifferenticostituisce il loro nesso sociale. Questo nesso sociale è espresso nel valore discambio, e solo in esso, per ogni individuo, la propria attività o il proprio prodottodiventano un'attività o un prodotto fine a se stessi; egli deve produrre un prodottogenerico - il valore di scambio - o, considerato questo per sé isolatamente e indivi-dualizzato, del denaro. D'altra parte il potere che ogni individuo esercita sull'attivitàdegli altri o sulle ricchezze sociali, egli lo possiede in quanto proprietario di valoridi scambio, di denaro. Il suo potere sociale, così come il suo nesso con la società,egli lo porta con sé nella tasca. L'attività, quale che sia la sua forma fenomenicaindividuale, e il prodotto dell'attività, quale che sia il suo carattere particolare, è ilvalore di scambio, vale a dire qualcosa di generico in cui ogni individualità,qualità, è negata e cancellata. In realtà questa è una situazione molto diversa daquella in cui l'individuo, o l'individuo naturalmente o storicamente allargatosi afamiglia e a tribù (e poi a comunità), si riproduce su basi direttamente naturali, o incui la sua attività produttiva e la sua partecipazione alla produzione è indirizzata auna determinata forma di lavoro e di prodotto, e il suo rapporto con gli altri èaltrettanto determinato.Il carattere sociale dell'attività, così come la forma sociale del prodotto e lapartecipazione dell'individuo alla produzione, si presentano qui come qualcosa diestraneo e di oggettivo di fronte agli individui; non come loro relazione reciproca,ma come loro subordinazione a rapporti che sussistono indipendentemente da loroe nascono dall'urto degli individui reciprocamente indifferenti. Lo scambiogenerale delle attività e dei prodotti, che è diventato condizione di vita per ognisingolo individuo, il nesso che unisce l'uno all'altro, si presenta a essi stessiestraneo, indipendente, come una cosa. Nel valore di scambio la relazione socialetra le persone si trasforma in rapporto sociale tra cose; la capacità personale, in unacapacità delle cose. Quanto minore è la forza sociale del mezzo di scambio, quantopiù esso è ancora legato alla natura del prodotto immediato del lavoro e ai bisogniimmediati di coloro che scambiano, tanto maggiore deve essere la forza della

46

comunità che lega insieme gli individui, il rapporto patriarcale, la comunità anticail feudalesimo e la corporazione.Ciascun individuo possiede il potere sociale sotto la forma di una cosa. Strappatealla cosa questo potere sociale e dovrete darlo alle persone sulle persone. I rapportidi dipendenza personale (all'inizio su una base del tutto naturale) sono le primeforme sociali, nelle quali la produttività umana si sviluppa soltanto in un ambitoristretto e in punti isolati. L'indipendenza personale fondata sulla dipendenzamateriale è la seconda forma importante in cui giunge a costituirsi un sistema diricambio sociale generale, un sistema di relazioni universali, di bisogni universali edi universali capacità. La libera individualità, fondata sullo sviluppo universaledegli individui e sulla subordinazione della loro produttività collettiva, sociale,quale loro patrimonio sociale, costituisce il terzo stadio. Il secondo crea le condi-zioni del terzo. Sia le condizioni patriarcali che quelle antiche (e anche feudali)crollano perciò con lo sviluppo del commercio, del lusso, del denaro, del valore discambio, nella stessa misura in cui di pari passo con essi s'innalza la societàmoderna.

La creazione di molto tempo disponibile oltre il tempo di lavoro necessario per lasocietà in generale e per ogni membro di essa (ossia di spazio per il pieno sviluppodelle forze produttive dei singoli, e quindi anche della società), questa creazione ditempo di non-lavoro si presenta, al livello del capitale, come di tutti quelliprecedenti, come tempo di non-lavoro, tempo libero per alcuni. Il capitale viaggiunge il fatto che esso moltiplica il tempo di lavoro supplementare della massacon tutti i mezzi della tecnica e della scienza, perché la sua ricchezza è fattadirettamente di appropriazione di tempo di lavoro supplementare; giacché il suoscopo è direttamente il valore, e non il valore d'uso. In tal modo, malgré lui, èstrumento di creazione delle possibilità di tempo sociale disponibile, della ridu-zione del tempo di lavoro per l'intera società a un minimo decrescente, così darendere il tempo di tutti libero per il loro sviluppo personale. Ma la sua tendenza èsempre, per un verso, quella di creare tempo disponibile, per l'altro, di convertirloin pluslavoro. Se la prima cosa gli riesce, ecco intervenire una sovrapproduzione, eallora il lavoro necessario viene interrotto perché il capitale non può valorizzarealcun pluslavoro. Quanto più si sviluppa questa contraddizione, tanto più viene inluce che la crescita delle forze produttive non può più essere vincolataall'appropriazione di pluslavoro altrui, ma che piuttosto la massa operaia stessadeve appropriarsi del suo pluslavoro. Una volta che lo abbia fatto - e con ciò iltempo disponibile cessi di avere una esistenza antitetica - da una parte il tempo dilavoro necessario avrà la sua misura nei bisogni dell'individuo sociale, dall'altra losviluppo della produttività sociale crescerà così rapidamente che, sebbene ora laproduzione sia calcolata in vista della ricchezza di tutti, cresce il tempo disponibiledi tutti. Giacché la ricchezza reale è la produttività sviluppata di tutti gli individui.E allora non e più il tempo di lavoro, ma il tempo disponibile la misura dellaricchezza. Il tempo di lavoro come misura della ricchezza pone la ricchezza stessacome fondata sulla povertà, e il tempo disponibile come tempo che esiste nella e invirtù dell'antitesi al tempo di lavoro supplementare, ovvero tutto il tempo di unindividuo è posto come tempo di lavoro, e l'individuo viene degradato perciò amero operaio, sussunto sotto il lavoro. Le macchine più sviluppate perciòcostringono ora l'operaio a lavorare più a lungo di quanto faccia il selvaggio o diquanto egli stesso facesse con gli strumenti più semplici e più rozzi.L'economia effettiva - il risparmio - consiste in un risparmio di tempo di lavoro(minimo - e riduzione al minimo - di costi di produzione); ma questo risparmio siidentifica con lo sviluppo della produttività. [Non si tratta] quindi affatto dirinuncia al godimento, bensì di sviluppo di capacità, di capacità atte allaproduzione, e perciò tanto delle capacità quanto dei mezzi del godimento. La ca-

47

pacità di godere è una condizione per godere, ossia il suo primo mezzo, e questacapacità è lo sviluppo di un talento individuale, è produttività. Il risparmio ditempo di lavoro equivale all'aumento del tempo libero, ossia del tempo dedicatoallo sviluppo pieno dell'individuo, sviluppo che a sua volta reagisce, come massimaproduttività, sulla produttività del lavoro. Esso può essere considerato, dal puntodi vista del processo di produzione immediato, come produzione di capitale fisso;questo capitale fisso è l'uomo stesso. Che del resto lo stesso tempo di lavoroimmediato non possa rimanere in astratta antitesi al tempo libero - come si presentadal punto di vista dell'economia borghese - si intende da sé. Il lavoro non puòdiventare gioco, come vuole Fourier, al quale rimane il grande merito di avere in-dicato come obiettivo ultimo la soppressione non della distribuzione, ma del mododi produzione stesso nella sua forma superiore. Il tempo libero - che è sia tempo diozio che tempo per attività superiori - ha trasformato naturalmente il suopossessore in un soggetto diverso, ed è in questa veste di soggetto diverso che eglientra poi anche nel processo di produzione immediato. Il quale è, insieme, di-sciplina, se considerato in relazione all'uomo che diviene, ed esercizio, scienzasperimentale, scienza materialmente creativa e oggettivantesi, se considerato inrelazione all'uomo divenuto, nel cui cervello esiste il sapere accumulato dellasocietà. Per entrambi, finché il lavoro richiede una pratica operazione manuale euna libertà di movimento, come nell'agricoltura, è al tempo stesso esercizio.

E. Donaggio, P. Kammerer, Karl Marx. Antologia. Capitalismo, istruzioni per l’uso, Feltrinelli, 2007,pag. 111-113, 243-45

La guerra civile in Francia (1871)45

I cannibali alle porte

All'alba del 18 marzo Parigi fu svegliata da un colpo di tuono: "Vive laCommune!". Che cos'è la Comune, questa sfinge che tanto tormenta lo spirito deiborghesi?"I proletari di Parigi," diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo,"in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che èsuonata l'ora in cui debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani ladirezione dei pubblici affari [...]. Hanno compreso che è loro imperioso dovere eloro diritto assoluto rendersi padroni dei loro destini, impossessandosi del poteregovernativo."Ma la classe operaia non può mettere semplicemente la mano sulla macchina dellostato bella e pronta, e metterla in movimento per i propri fini. Il potere statalecentralizzato, con i suoi organi dappertutto presenti: esercito permanente, polizia,burocrazia, clero e magistratura - organi prodotti secondo il piano di divisione dellavoro sistematica e gerarchica - trae la sua origine dai giorni della monarchiaassoluta, quando servì alla nascente società delle classi medie come arma potentenella sua lotta contro il feudalesimo. Il suo sviluppo però fu intralciato da ognisorta di macerie medioevali, diritti signorili, privilegi locali, monopoli municipali ecorporativi e costituzioni provinciali. La gigantesca scopa della rivoluzione france-se del XVIII secolo spazzò tutti questi resti dei tempi passati, sbarazzando così in

45 L’avvenimento storico a cui Marx fa riferimento è costituito dall’esperienza del governo rivoluzionarioche si instaurò a Parigi in seguito alla sconfitta dell’esercito di Napoleone III ad opera dei prussiani nel1870

48

pari tempo il terreno sociale dagli ultimi ostacoli che si frapponevano allacostituzione su di esso dell'edificio dello stato moderno, elevato sotto il Primoimpero, il quale a sua volta fu il prodotto delle guerre di coalizione della vecchiaEuropa semifeudale contro la Francia moderna.Durante i successivi régimes il governo, posto sotto il controllo parlamentare, cioèsotto il controllo diretto delle classi possidenti, non diventò solamente l'incubatricedi enormi debiti pubblici e di imposte schiaccianti; con la irresistibile forza diattrazione dei posti, dei guadagni e delle protezioni, non solo diventò il pomo delladiscordia tra fazioni rivali e gli avventurieri delle classi dirigenti; ma anche il suocarattere politico cambiò di pari passo con le trasformazioni economiche dellasocietà. A misura che il progresso dell'industria moderna sviluppava, allargava,accentuava l'antagonismo di classe tra il capitale e il lavoro, lo stato assunsesempre più il carattere di potere nazionale del capitale sul lavoro, di forza pubblicaorganizzata per l'asservimento sociale, di uno strumento di dispotismo di classe. …La Comune fu composta dai consiglieri municipali eletti a suffragio universale neidiversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque momento. Lamaggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai, o rappresentantiriconosciuti dalla classe operaia. La Comune doveva essere non un organismoparlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo. Invece dicontinuare a essere l'agente del governo centrale, la polizia fu immediatamentespogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento responsabiledella Comune, revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne fatto per ifunzionari di tutte le altre branche dell'amministrazione. Dai membri della Comunein giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per salari da operai. I diritti ac-quisiti e le indennità di rappresentanza degli alti dignitari dello stato scomparveroinsieme con i dignitari stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietàprivata delle creature del governo centrale. Non solo l'amministrazione municipale,ma tutte le iniziative già prese dallo stato passarono nelle mani della Comune.Sbarazzatasi dell'esercito permanente e della polizia, elementi della forza materialedel vecchio governo, la Comune si preoccupò di spezzare la forza della repressionespirituale, il potere dei preti, sciogliendo ed espropriando tutte le chiese in quantoenti possidenti. I sacerdoti furono restituiti alla quiete della vita privata, per viveredelle elemosine dei fedeli, a imitazione dei loro predecessori, gli apostoli. Tutti gliistituti di istruzione furono aperti gratuitamente al popolo e liberati in pari tempoda ogni ingerenza della chiesa e dello stato. Così non solo l'istruzione fu resaaccessibile a tutti, libera; la scienza stessa fu liberata dalle catene che le avevanoimposto i pregiudizi di classe e la forza del governo. I funzionari giudiziari furonospogliati di quella sedicente indipendenza che non era servita ad altro che amascherare la loro abietta soggezione a tutti i governi che si erano succeduti, aiquali avevano, di volta in volta, giurato fedeltà, per violare in seguito il lorogiuramento. I magistrati e i giudici dovevano essere elettivi, responsabili erevocabili come tutti gli altri pubblici funzionari.La Comune di Parigi doveva naturalmente servire di modello a tutti i grandi centriindustriali della Francia. Una volta stabilite a Parigi e nei centri secondari il regimecomunale, il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto cedere il posto anchenelle province all'autogoverno dei produttori. In un abbozzo sommario diorganizzazione nazionale che la Comune non ebbe il tempo di sviluppare e dettochiaramente che la Comune doveva essere la forma politica anche del più piccoloborgo, e che nei distretti rurali l'esercito permanente doveva essere sostituito da unamilizia nazionale, con un periodo di servizio estremamente breve. Le comuni ruralidi ogni distretto avrebbero dovuto amministrare i loro affari comuni medianteun'assemblea di delegati con sede nel capoluogo, e queste assemblee distrettualiavrebbero dovuto a loro volta mandare dei rappresentarti alla delegazionenazionale a Parigi, ogni delegato essendo revocabile in qualsiasi momento e legato

49

al mandat impératif (istruzioni formali) dei suoi elettori. Le poche ma importantifunzioni che sarebbero ancora rimaste per un governo centrale non sarebbero statesoppresse, come venne affermato falsamente in malafede, ma adempiute da fun-zionari comunali, e quindi strettamente responsabili. L'unità della nazione nondoveva essere spezzata, anzi doveva essere organizzata dalla costituzionecomunale, e doveva diventare una realtà attraverso la distruzione di quel poterestatale che pretendeva essere l'incarnazione di questa unità indipendente e persinosuperiore alla nazione stessa, mentre non era che un'escrescenza parassitaria.La molteplicità delle interpretazioni che si danno della Comune e la molteplicitàdegli interessi che nella Comune hanno trovato la loro espressione mostrano cheessa fu una forma politica fondamentalmente espansiva, mentre tutte le precedentiforme di governo erano state unilateralmente repressive. Il suo vero segreto fuquesto: che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodottodella lotta della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la formapolitica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere l'emancipazioneeconomica del lavoro.Senza quest'ultima condizione, la costituzione della Comune sarebbe stata una cosaimpossibile e un inganno. Il dominio politico dei produttori non può coesistere conla perpetuazione del loro asservimento sociale. La Comune doveva dunque servireda leva per svelare le basi economiche su cui riposa l'esistenza delle classi, e quindidel dominio di classe. Con l'emancipazione del lavoro tutti diventano operai, e illavoro produttivo cessa di essere un attributo di classe.È un fatto strano: nonostante tutto il gran parlare e l'immensa letteratura degliultimi sessant'anni sull'emancipazione del lavoro, non appena gli operai, in unpaese qualunque, prendono decisamente la cosa nelle loro mani, immediatamente sileva tutta la fraseologia apologetica dei portavoce della società presente, con i suoidue poli di capitale e schiavitù del salario (il proprietario fondiario è ora soltanto ilsocio passivo del capitalista), come se la società capitalista fosse ancora nel suostato più puro di verginale innocenza, con i suoi antagonismi non ancora sviluppati,con i suoi inganni non ancora sgonfiati, con le sue meretrici e realtà non ancoramesse a nudo. La Comune, essi esclamano, vuole abolire la proprietà, la base diogni civiltà! Sì, o signori, la Comune voleva abolire quella proprietà di classe chefa del lavoro di molti la ricchezza di pochi. Essa voleva l'espropriazione degliespropriatori. Voleva fare della proprietà individuale una realtà, trasformando imezzi di produzione, la terra e il capitale, che ora sono essenzialmente mezzi diasservimento e di sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di lavoro libero eassociato.Ma questo è comunismo, "impossibile" comunismo! Ebbene, quelli tra i membridella classi dominanti che sono abbastanza intelligenti per comprenderel'impossibilità di perpetuare il sistema presente - e sono molti - sono diventati gliapostoli seccanti e rumorosi della produzione cooperativa. Ma se la produzionecooperativa non deve restare una finzione e un inganno, se essa deve subentrare alsistema capitalista; se delle associazioni cooperative unite devono regolare laproduzione nazionale secondo un piano comune, prendendola così sotto il lorocontrollo e ponendo fine all'anarchia costante e alle convulsioni periodiche chesono la sorte inevitabile della produzione capitalistica; che cosa sarebbe questo, osignori, se non comunismo, "possibile" comunismo?La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle epronte da introdurre par décret du peuple. Sa che per realizzare la sua propriaemancipazione, e con essa quella forma più alta a cui la società odierna tendeirresistibilmente per i suoi stessi fattori economici, dovrà passare per lunghe lotte,per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini Laclasse operaia non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuovasocietà dei quali è gravida la vecchia e cadente società borghese. Pienamente

50

cosciente della sua missione storica e con l'eroica decisione di agire in tal senso, laclasse operaia può permettersi di sorridere delle grossolane invettive dei signoridella penna e dell'inchiostro, servitori dei signori senza qualificativi e dellapedantesca protezione dei benevoli dottrinari borghesi, che diffondono i loroinsipidi luoghi comuni e le loro ricette settarie col tono oracolare dell'infallibilitàscientifica.Quando la Comune di Parigi prese nelle sue mani la direzione della rivoluzione;quando per la prima volta semplici operai osarono infrangere il privilegiogovernativo dei "loro superiori naturali", e, in mezzo a difficoltà senza precedenti,compirono l'opera loro con modestia, con coscienza e con efficacia - e lacompirono per salari il più alto dei quali era appena il quinto di ciò che, secondoun'alta autorità scientifica, è il minimo richiesto per il segretario di un consiglioscolastico in una metropoli -, il vecchio mondo si contorse in convulsioni di rabbiaalla vista della bandiera rossa, simbolo della repubblica del lavoro, sventolantesull'Hotel de ville. …

La grande misura sociale della Comune fu la sua stessa esistenza operante. Lemisure particolari da essa approvate potevano soltanto presagire la tendenza a ungoverno del popolo per opera del popolo. Tali furono l'abolizione del lavoronotturno dei panettieri; la proibizione, pena sanzioni, della pratica degliimprenditori di ridurre i salari imponendo ai loro operai multe coi pretesti piùdiversi, procedimento nel quale l'imprenditore unisce nella sua persona le funzionidi legislatore, giudice ed esecutore, e per di più ruba denaro. Altra misura di questogenere fu quella di consegnare alle associazioni operaie, sotto riserva d'indennizzo,tutte le fabbriche e i laboratori chiusi, tanto se i rispettivi capitalisti s'eranonascosti, quanto se avevano preferito sospendere il lavoro.Le misure finanziarie della Comune, notevoli per la loro sagacia e moderazione,non potevano andare al di là di quanto fosse compatibile con la situazione di unacittà assediata. Considerando le ruberie colossali commesse ai danni della città diParigi, sotto la protezione di Haussmann, dalle grandi compagnie finanziarie e daigrandi appaltatori, la Comune avrebbe avuto titoli, per confiscarne le proprietà,incompatibilmente più validi di quelli che avesse Napoleone per confiscare leproprietà della famiglia d'Orléans. Gli Hohenzollern e gli oligarchi inglesi, chehanno tratto entrambi una buona parte delle loro tenute dal saccheggio delle chiese,furono naturalmente molto scandalizzati dal fatto che la Comune non ricavasse piùdi ottomila franchi dalla secolarizzazione dei beni ecclesiastici.Mentre il governo di Versailles, appena ripreso un po' di coraggio e di forza,ricorreva contro la Comune ai mezzi più violenti; mentre esso sopprimeva la liberaespressione delle opinioni in tutta la Francia, arrivando sino a proibire le riunioni didelegati delle grandi città; mentre assoggettava Versailles e il resto della Francia auno spionaggio che sorpassava di gran lunga quello del Secondo impero; mentrefaceva bruciare dai suoi gendarmi inquisitori tutti i giornali stampati a Parigi ecensurava tutte le lettere da e per Parigi; mentre all'Assemblea nazionale i piùtimidi tentativi di dire una parola in favore di Parigi erano soffocati da urlasconosciute persino alla Chambre introuvable del 1816; mentre Versaillesconduceva dal di fuori una guerra selvaggia e all'interno di Parigi tentava diorganizzare corruzione e complotti, non avrebbe la Comune traditovergognosamente la sua missione se avesse affrettato di osservare tutte leconvenzioni e le apparenze dei liberismo, come in tempi di perfetta pace?In tutte le rivoluzioni si intrufolano, accanto ai loro rappresentanti autentici,individui di altro stampo; alcuni sono superstiti e devoti di rivoluzioni passate, chenon comprendono il movimento presente, ma conservano un'influenza sul popoloper la loro nota onestà e per il loro coraggio, o per la semplice forza dellatradizione; altri non sono che schiamazzatori i quali, a forza di ripetere anno per

51

anno la stessa serie di stereotipate declamazioni contro il governo del giorno, sisono procacciati la fama di rivoluzionari della più bell'acqua. Anche dopo il 18marzo vennero a galla alcuni tipi di questo genere, e in qualche caso riuscirono arappresentare parti di primo piano. Nella misura del loro potere, essi furono diostacolo all'azione reale della classe operaia, esattamente come uomini di tale spe-cie avevano ostacolato lo sviluppo di ogni precedente rivoluzione. Questi elementisono un male inevitabile: col tempo ci si sbarazza di loro; ma alla Comune non fuconcesso tempo.Meravigliosa, in verità, fu la trasformazione operata dalla Comune di Parigi!Sparita ogni traccia della Parigi meretrice del Secondo impero! Parigi non fu più ilritrovo dei grandi proprietari fondiari inglesi, dei latifondisti assenteisti irlandesi,degli ex negrieri e loschi affaristi americani, degli ex proprietari di servi russi. Nonpiù cadaveri alla Morgue, non più rapine e scassi notturni, quasi spariti i furti.Invero, per la prima volta dopo i giorni del febbraio 1848, le vie di Parigi furonosicure e senza nessun servizio di polizia. "Non sentiamo più parlare - diceva unmembro della Comune - di assassini, furti e aggressioni. Si direbbe davvero che lapolizia abbia trascinato con sé a Versailles tutti i suoi amici conservatori". Lecocottes avevano seguito le orme dei loro protettori, gli scomparsi campioni dellafamiglia, della religione e sopratutto della proprietà. Al posto loro ricomparveroalla superficie le vere donne di Parigi, eroiche, nobili e devote come le donnedell'antichità. Parigi lavoratrice, pensatrice, combattente, insanguinata, raggiantenell'entusiasmo della sua iniziativa storica, quasi dimentica, nell'incubazione di unanuova società, dei cannibali che erano alle sue porte!

E. Donaggio, P. Kammerer, Karl Marx. Antologia. Capitalismo, istruzioni per l’uso, Feltrinelli, 2007,pag. 254-262

Critica del Programma di GothaNote in margine al programma del Partito operaio tedesco (1875)

All'interno della società collettivista, fondata sulla proprietà comune dei mezzi diproduzione, i produttori non scambiano i loro prodotti; tanto meno il lavorotrasformato in prodotti appare qui come valore di questi prodotti, come unaproprietà oggettiva da essi posseduta, poiché ora, in contrapposto alla societàcapitalistica, i lavori individuali non esistono più come parti costitutive del lavorocomplessivo attraverso un processo indiretto, ma in modo diretto. L'espressione«reddito del lavoro», che anche oggi è da respingere a causa della sua ambiguità,perde così ogni senso.Quella con cui abbiamo da far qui, è una società comunista, non come si èsviluppata sulla sua propria base, ma viceversa, come emerge dalla societàcapitalistica; che porta quindi ancora sotto ogni rapporto, economico, morale,spirituale, le «macchie» della vecchia società dal cui seno essa è uscita.Perciò il produttore singolo riceve - dopo le detrazioni - esattamente ciò che le dà.Ciò che egli ha dato alla società è la sua quantità individuale di lavoro. Peresempio: la giornata di lavoro sociale consta della somma delle ore di lavoroindividuale; il tempo di lavoro individuale del singolo produttore è la parte dellagiornata di lavoro sociale fornita da lui, la sua partecipazione alla giornata di lavorosociale. Egli riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che egli ha prestatotanto lavoro (dopo la detrazione del suo lavoro per i fondi comuni), e con questoscontrino egli ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanto costa il lavoro

52

corrispondente. La stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in unaforma, la riceve in un'altra.Domina qui evidentemente lo stesso principio che regola lo scambio delle merci inquanto è scambio di cose di valore uguale. Contenuto e forma sono mutati, perché,cambiate le circostanze, nessuno può dare niente all'infuori del suo lavoro, e perchéd'altra parte niente può passare in proprietà del singolo all'infuori dei mezzi diconsumo individuali. Ma per ciò che riguarda la ripartizione di questi ultimi tra isingoli produttori, domina lo stesso principio che nello scambio di equivalenti dimerci: si scambia una quantità di lavoro in una forma contro una uguale quantità inun'altra.L'uguale diritto è qui perciò ancora sempre, secondo il principio, il diritto borghese,benché principio e pratica non si azzuffino più, mentre lo scambio di equivalenti,nello scambio di merci, esiste solo nella media, non per il caso singolo.Nonostante questo progresso, questo ugual diritto reca ancor sempre un limiteborghese. Il diritto dei produttori è proporzionale alle loro prestazioni di lavoro,l'uguaglianza consiste nel fatto che esso viene misurato con una misura uguale allavoro.Ma l'uno è fisicamente o moralmente superiore all'altro, e fornisce quindi nellostesso tempo più lavoro, oppure può lavorare durante un tempo più lungo; e illavoro, per servire come misura, dev'essere determinato secondo la durata ol'intensità, altrimenti cesserebbe di essere misura. Questo diritto uguale è un dirittodisuguale per lavoro disuguale. Esso non riconosce nessuna distinzione di classe,perché ognuno è soltanto operaio come tutti gli altri, ma riconosce tacitamente laineguale attitudine individuale, e quindi capacità di rendimento, come privileginaturali. Esso è perciò, per il suo contenuto, un diritto della disuguaglianza, comeogni diritto. II diritto può consistere soltanto, per sua natura, nell'applicazione diuna uguale misura; ma gli individui disuguali (e non sarebbero individui diversi senon fossero disuguali) sono misurabili con uguale misura solo in quanto vengonosottomessi a un uguale punto di vista, in quanto vengono considerati soltantosecondo un lato determinato: per esempio, nel caso dato, soltanto come operai, e sivede in loro soltanto questo, prescindendo da ogni altra cosa. Inoltre: un operaio èammogliato, l'altro no; uno ha più figli dell'altro, ecc. ecc. Supposti uguali ilrendimento e quindi la partecipazione al fondo di consumo sociale, l'uno ricevedunque più dell'altro, l'uno è più ricco dell'altro e così via. Per evitare tutti questiinconvenienti, il diritto, invece di essere uguale, dovrebbe essere disuguale.Ma questi inconvenienti sono inevitabili nella prima fase della società comunista,quale è uscita, dopo i lunghi travagli del parto, dalla società capitalistica. Il dirittonon può essere mai più elevato della configurazione economica e dello sviluppoculturale, da essa condizionato, della società.In una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa lasubordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi ancheil contrasto fra lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non è divenutosoltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con losviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tuttele sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo alloral'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scriveresulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoibisogni!

http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1875/gotha/cpg-cp.htm