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Jung, Bultmann e la psicoterapia Hèléne Erba, Roma La giustificazione per mezzo della sola Fede è sia il fondamento del Protestantesimo, sia l'idea che di- vide il Protestantesimo dal Cattolicesimo. Inoltre essa diventa il cosiddetto principio materiale della Chiesa protestante, mentre la norma biblica ne è il principio formale. « Questo principio della sola fede non si riferisce soltanto alla vita religioso-morale, ma anche alla vita religioso-intellettuale », scrive Paul Tillich, uno dei rappresentanti più noti del Protestantesimo mo- derno. « Non solo colui che vive ' nel peccato ', ma anche chi vive nel dubbio viene giustificato dalla Fede ». (Quanto lontani siamo qui da Luterò!) « Non c'è nessuna necessità che la situazione del dubbio, perfino del dubbio su Dio, ci separi da Lui. In ogni dubbio profondo si nasconde una fede: la fede nella verità stessa, anche se l'unica verità che possiamo esprimere è la nostra mancanza di verità. È questo, scrive Tillich, che mi ha permesso di rimanere teo- 198

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Jung, Bultmanne la psicoterapiaHèléne Erba, Roma

La giustificazione per mezzo della sola Fede è siail fondamento del Protestantesimo, sia l'idea che di-vide il Protestantesimo dal Cattolicesimo. Inoltreessa diventa il cosiddetto principio materiale dellaChiesa protestante, mentre la norma biblica ne è ilprincipio formale.« Questo principio della sola fede non si riferiscesoltanto alla vita religioso-morale, ma anche allavita religioso-intellettuale », scrive Paul Tillich, unodei rappresentanti più noti del Protestantesimo mo-derno. « Non solo colui che vive ' nel peccato ', maanche chi vive nel dubbio viene giustificato dallaFede ». (Quanto lontani siamo qui da Luterò!) « Nonc'è nessuna necessità che la situazione del dubbio,perfino del dubbio su Dio, ci separi da Lui. In ognidubbio profondo si nasconde una fede: la fede nellaverità stessa, anche se l'unica verità che possiamoesprimere è la nostra mancanza di verità. È questo,scrive Tillich, che mi ha permesso di rimanere teo-

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(1) Paul Tillich, Der Pro-testantismus als Kritik undGestaltung (EvangelischesVerlagswek GmbH, Stutt-gart I. Auflagt, 1962.Schriften zur Theologie I.Gesammelte Werke BandVII).

logo e mi ha dato un profondo senso di liberazione.Non si può trovare Dio attraverso lo sforzo di pen-sare in un determinato modo o attraverso un sacri-ficium intellectus o mediante la sottomissione adun'autorità estranea e una dottrina della Chiesa odella Bibbia. Ma anche nel dubbio si è nella verità.E nei momenti in cui si dispera del senso della vita,allora proprio la serietà del dubbio è di per se stessal'espressione di questo senso. Tale serietà incon-dizionata è la manifestazione della presenza del di-vino nell'esperienza della totale separazione daesso. È proprio questa interpretazione radicale delladottrina della giustificazione per mezzo della solaFede che ha potuto fare di me un Protestante co-sciente » (1).

Per il protestante non esiste una sfera sacra, unaverità sacra che sia in sé verità divina. Ogni prote-stante, laico o pastore, deve decidere da se stessose una dottrina è vera o falsa, se un profeta è unprofeta vero o falso. Neppure la Bibbia può solle-varlo da questa responsabilità, perché anche la Bib-bia è sottoposta all'interpretazione. Il contributo piùimportante che il Protestantesimo ha portato almondo è, secondo Tillich, il principio della protestaprofetica contro ogni potere che si arroghi uncarattere divino, sia che si tratti di una chiesa, diuno Stato, di un partito o di un Fùhrer. (« profetica», nel senso di P. Tillich, significa una critica nonrazionale, ma che emerge dalla Fede, dall'ai di là diquesto mondo).

Da questa negazione del carattere divino di qual-siasi verità o autorità sulla terra, risulta che nonesiste mai una posizione assicurata, un possessocerto della verità. Da ciò è ovvio che il Protestante-simo deve di continuo riaffrontare il contenuto dellasua Fede: Dio, Cristo, Chiesa. « Ecclesia semper re-formanda ». Con l'evoluzione dell'uomo si trasformaanche la sua comprensione del messaggio evan-gelico.

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Il Protestantesimo è aperto allo spirito del tempo ese ne serve per l'interpretazione della Bibbia: teo-logia e filosofia sono necessariamente in un rappor-to reciproco. « Colui che con spirito critico riflettesui concetti che utilizza, — scrive Bultmann —, inqualsiasi campo, della fisica o della teologia, si av-vicina con analisi critica alla filosofia e si serve dellesue opere ».

Il dialogo fra teologia e filosofia si snoda attraversotutto il nostro Cristianesimo. Per comprendere Bult-mann è bene soffermarsi rapidamente su questo ar-gomento.Dice Gerhard Ebeling:« La teologia e la filosofia rappresentano due cor-renti di tradizione, di origine e mentalità del tuttodiverse l'una dall'altra: la Fede cristiana, la cui ori-gine storica risale al mondo ebraico del Vecchio Te-stamento, e il pensiero greco, nel quale si manifestain un modo unico la libertà dello spirito umano spin-to ad indagare razionalmente l'Essere e le sue ori-gini. L'unione di queste due correnti cosi diverse ditradizione ha creato il complesso storico più potentee differenziato, senza mai perdere però il caratteredi una dualità piena di tensioni. Non si tratta di unmiscuglio di due correnti che si potrebbero ulterior-mente dividere. Per quanto la Fede cristiana sia le-gata al Vecchio Testamento, non vuoi essere peròcompresa come una forma della religione israelitico-giudaica. Infatti già all'inizio del Cristianesimo si eravenuti ad un chiarimento decisivo in merito alla Fedecristiana, quando ci si persuase che i pagani eranoammessi alla Fede senza dover prima divenireGiudei.Paolo conserva lo stesso atteggiamento tanto difronte agli Ebrei quanto ai Greci; apertura di mentee dedizione, ma anche prontezza nel contraddire; nel-la certezza che la divisione fra Giudei e non Giudei,Greci e barbari, era risolta nella Fede. (Poiché iGiudei chiedon dei miracoli e i Greci cercansapienza; ma noi predichiamo Cristo croci-

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(2) Gerhard Ebeling, Lu-ther Einfùhrung in seinDenken. J. C. B. Mohr(Paul Siebeck) Tubingen1964.

(3) C. J. Jung, Ricordi,sogni, riflessioni. Il Sag-giatore, Milano t965, pag.105.

fisso, che per i Giudei è scandalo, e per i Gentili paz-zia), (1 Cor. 1, 22). La penetrazione del messaggiocristiano nel mondo greco-ellenistico non è un casoné un avvenimento problematico per la purezza dellaFede cristiana... Il fatto che il Nuovo Testamento nonsia scritto in ebraico, come il Vecchio Testamento,ma in greco, ha un significato profondo. L'incontrodella Fede cristiana con il mondo greco, checostituisce l'essenza vitale del Cristianesimo, si con-figura, infatti, soprattutto come adesione all'esponen-te principale del pensiero ellenico, la filosofia » (2).

Non accennerò, neppure brevemente, alle varie fasidel Protestantesimo dovute all'influenza delle diversecorrenti filosofiche, da Luterò in poi, mentre ritengodi dovermi soffermare su un movimento teologicole cui radici affondano nell'Illuminismo, nei concettidi Kant ed Hegel, nel razionalismo. È la teologialiberale che ha dato una profonda impronta a uo-mini come Jung, Albert Schweitzer, Rudolf Bultmann,Tillich, ecc.

Dalle allusioni fatte nei confronti della propria fa-miglia, particolarmente a proposito del padre, si puòdedurre che Jung è cresciuto in un ambiente d'unProtestantesimo ortodosso, altrimenti non avrebbemai potuto scrivere che si trovava solo con la suaopinione, che Gesù era un uomo (3). Il problema delGesù storico è un frutto dell'Illuminismo, epoca incui Raimarus, nel 1778, scrisse il suo famoso libroche presentava Gesù come un Messia politico ebreo.Nel 1900 era molto in voga la teologia liberale, se-condo la quale Gesù è certo l'apportatore di unarivelazione, ma non ha significato assoluto; egli po-teva essere cioè il rappresentante più puro e insignedi una vita spirituale, l'incarnazione di un ideale chedorme in ogni essere umano e si risveglia attraversol'incontro con Lui, ma non, come nel Protestantesimoortodosso, il Figlio Unico e Redentore.

Ciò che caratterizza la teologia liberale è la predo-minanza dell'interesse storico. Il suo merito non sta

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tanto nell'indagine e nel chiarimento della figurastorica di Gesù, quanto soprattutto nell'allenamentoalla critica, cioè alla libertà e veridicità. Scrive Bult-mann: « Noi che veniamo dalla teologia liberale, nonavremmo potuto divenire o rimanere teologi, se nellateologia liberale non avessimo incontrato la se-rietà della verità radicale; la teologia accademicaortodossa ci dava, invece, l'impressione di svolgersinel compromesso » (4).

Ora, dove conduceva la via della teologia liberalestorico-critica? La speranza che la critica, una voltaliberata dal fardello della dogmatica, ci avrebbe con-dotti alla conoscenza della vera immagine di Gesù,fondamento della Fede, si rivelò rapidamente un'il-lusione. Albert Schweitzer scrive verso la fine delsuo libro: « L'indagine sulla vita di Gesù ha avutouna strana sorte. Partf per scoprire il Gesù storicocredendo di poterlo mettere, tale e quale, come « LaVita e Salvezza » nella nostra epoca. Sciolse i vin-coli che lo legavano da secoli alla rocca della dot-trina ecclesiastica e sì rallegrò quando vide che lasua figura riacquistava vigore e vitalità e che Gesùle veniva incontro come uomo storico. Ma egli nonsi fermò: oltrepassò il nostro tempo e ritornò nelsuo ».

Per A. Schweitzer è stata la delusione per la man-cata Parusia, l'avvento del Regno di Dio, che indusseGesù, il rabbi e profeta ebraico, ad accettare la viadel dolore, della croce, per forzare in questo modola Parusia. Albert Schweitzer s'indirizzò verso l'amo-re del prossimo e fondò Lambarené. Trovò la sua so-luzione sul piano etico.

Il problema del rapporto fra il Cristo kerygmatico,cioè il Cristo come è annunciato dalla Chiesa, e ilGesù storico, determina oggi in gran parte l'indaginescientifica del Nuovo Testamento. Ovviamente esisteuna differenza fra la predicazione di Gesù e il mes-saggio annunciato dalla comunità primitiva. Gesù, ilrabbino e profeta ebraico, predicò l'avvento del Re-

(4) Rudolf Bultmann, Glau-ber) und Verstehen. ErsterBand Fùnfte, unverànderteAuflage 1964. J. C. B.M o h r (Paul Siebeck).Tùbingen. Zweiter BandDritte, unverànderte Au-flage 1961. Dritter Band:Zweite, unveràndtrte Au-flage 1962.

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(5) C. G. Jung, op. cit.,pag. 104.

6) C. G. Jung, La sim-bolica dello spirito. Ei-

gno di Dio. La comunità primitiva predicava Gesùcome il Cristo, la sua morte e la sua resurrezione, lasua venuta alla fine dei tempi. L'Annunciatore di -venne l'Annunciato. Come possiamo comprenderequesto?

Quando Jung scrive di appartenere all'ala sinistradel Protestantesimo, ciò significa precisamente cheegli condivide la concezione liberale, secondo cuiGesù è un uomo, un rabbi ebreo e profeta, senzaessere però soddisfatto della teologia liberale domi-nante nel periodo della sua gioventù, che era quelladi Ritschl (5).

Nella sua conferenza all'Eranos del 1940 sulla psi-cologia della Trinità, Jung allude alla problematicadelle indagini sulla vita di Gesù; e inoltre parladell'influenza esercitata dalla Gnosi e dalle religionidei misteri sul Cristianesimo primitivo, i cui conte-nuti furono proiettati su Gesù, rendendo la sua per-sonalità addirittura irriconoscibile. (Il libro di Bult -mann « Gesù » era uscito nel 1925).

Sappiamo che Jung giunse alla convinzione che suGesù furono proiettati gli attributi dell'eroe comefigura collettiva. « II contenuto di tali immagini sim-boliche è la rappresentazione di un essere superio-re, universale perfetto o completo... Poteva averequest'effetto rivelatore perché e in quanto era unDio eterno — cioè non storico — e poteva agire intal modo soltanto grazie al consensus generalis...Questa rappresentazione corrisponde ad una com-pletezza esistente nell'uomo come immagine dell'in-conscio. E questo archetipo del Sé ha risposto in ognianima al messaggio, cosf come il rabbi concretoGesù è stato rapidamente assorbito dall'archetipoassimilato. In tal modo Cristo realizzò l'idea del Sé.Se avesse conservato la sua figura storica, umana,Gesù sarebbe molto probabilmente, dice Jung, allivello di un Pitagora, Socrate o Apollonio di Tya-na» (6). Quest'ultima frase riflette l'immagine di Gesùcom'è vista dalla teologia liberale.

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L'aspettativa del Messia, del Salvatore era in quel-l'epoca particolarmente viva, e fu attivata dalla per-sonalità storica di Gesù come archetipo universale.In tal modo la figura del Messia o Kyrios venne proiet-tata su Gesù. In altre parole: il linguaggio miticopossiede un'affinità con processi che si svolgono nel-la profondità dell'anima umana; e possiede dunqueun rapporto esistenziale che non va cercato nel pia-no razionale, ma nel piano dell'inconscio collet-tivo.

naudi, Torino 1959, pag.233-234.

Certo, anche la risposta di Jung solleva problemi.In ogni modo, se Jung compiange la perdita deisimboli e riti nel Protestantesimo, mi pare che lofaccia piuttosto per gli altri, in quanto egli non eradestinato alla via della Fede, ma al pensiero comepresa di coscienza.

Vediamo ora come Bultmann, anch'egli figlio di unpastore protestante come Jung, abbia reagito allateologia protestante liberale e come abbia inter-pretato il mito del Cristo.

Il libro di Miegge può dare alcuni dati essenzialisulla tesi di Bultmann: Gesù, figura storica, rabbie profeta ebraico, annuncia l'imminenza dell'avventodel Regno di Dio, e chiede una cosa: un amore in-condizionato a Dio, con una dedizione assoluta. Nonsi può dire se Gesù abbia avuto coscienza di essereil Messia, egli ha comunque avuto la coscienza cheil segno decisivo di tale evento era la sua persona.Gesù è stato crocifisso, e questo è un evento storico.La risurrezione invece non è un fatto storico; faparte del mito. La risurrezione non è altro che lafede nella croce come avvenimento salutare (Heilse-reignis), nella croce come croce di Cristo. Non sipuò credere prima in Cristo e poi nella croce; macredere in Cristo significa credere nella croce comecroce di Cristo. Non è l'evento salutare perché è lacroce di Cristo, ma è la croce di Cristo perché èl'evento salutare.

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(7) " Kerygma und My-thos " Theologische For-schung 1960. HerbertReich Evangelischer Ver-lag GmbH Hamburg-Berg-stedt.(8) Karl Jaspers, Die Fra-ge der Entmythologisie-rung. Rudolf Bultmann, R.Piper & Co. Verlag, Mun-chen 1954.

All'infuori di questo è soltanto la fine tragica di unuomo nobile (7).

Nel dialogo « Karl Jaspers, Rudolf Bultmann: DieFrage der Entmythologisierung »(8) Bultmann poneil problema molto chiaramente: il compito dell'ese-geta è quello di presentare la dottrina dell'Evangelo,la Parola di Dio, al pastore e al curatore delle ani-me, conformandosi alle ricerche scientifiche più re-centi e, contemporaneamente, alle esigenze dell'uo-mo moderno. Solo tale atteggiamento può consen-tire di superare il rischio additato da Luterò, criti-cato da Jung in suo padre, vivo per ogni Protestante,che il messaggio dell'Evangelo venga annunciato co-me Parola di Dio e non come parola dell'uomo. Nondimentichiamo che nel culto protestante non c'èaltro se non la Parola, o almeno tutto è centrato nellaParola. Poveri pastori! In definitiva, si tratta dunque,come dice Bultmann, di rendere visibile, tangibile, ciòche è la Fede cristiana per l'uomo di oggi. Ecco ilproblema.Ora, l'interpretazione di un testo resa in tal modoche questo testo tocchi me, concerna me, è un pro-blema ermeneutico che per Bultmann diventa unproblema centrale. Non esiste per Bultmann un'ese-gesi neutrale, un pensiero distaccato, perché nonstiamo di fronte alla storia come di fronte alla na-tura; facciamo parte della storia. Abbiamo già vistol'importanza che aveva questo atteggiamento perLuterò. Questo atteggiamento, che aveva già unanotevole importanza in Luterò, è la prerogativa es-senziale di Bultmann, che nelle sue opere (citeròsoprattutto « Glauben und Verstehen, Das Pro-blem der Hermeneutik », « Adam, wo bist Du ») mettein rilievo la differenza fra filosofia greca e pensierobiblico, quali fonti di due diverse concezioni dellavita (v. ad es. il suo brillante « Das Urchristentum imRahmen der antiken Religionen », in italiano « IICristianesimo primitivo », Milano, Garzanti 1964).

Nell'ideologia greca, il cosmo viene oggettivato nelpensiero razionale, compreso come unità ordinata,

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sottoposta alla legge; e l'universale atemporale è inquesta filosofia il vero Essere, accessibile alla ra-gione, il Reale, contrapposto alla sfera del diveniree dell'appassire, appartenenti all'attuale ed indivi-duale. Nel cosmo, rappresentato in analogia d'un'ope-ra d'arte, sotto il punto di vista dualistico della for-ma e della materia, l'uomo si considera un anello,inserito organicamente nel nesso oggettivo del mon-do e oggettiva se stesso come fenomeno dellanatura.In una tale ideologia, la storia nel senso del dive-nire, della « Geschichtlichkeit » dell'individuo, nonesiste. Di fatto, Tucidide ricerca nella storia intesacome una successione di fatti oggettivi, compiuti,appartenenti al passato, ciò che è permanente, cer-ca di estrarre l'invariabile dal variabile, l'invariabileessendo per Tucidide la ricerca del potere, l'ambi-zione. Anche se i Greci non ignoravano il divenire, laGenesi, non le davano nessuna importanza.

Anche nel pensiero moderno, la storiografia ha cer-cato, fino a questi ultimi tempi, di vedere fatti sto-rici come fatti naturali, fatti del passato, e ne haricercato la connessione, la legge. La soggettivitàdello storico, un giudizio di valore, dovevano essereevitati. Il libro di Spengler: « II declino dell'Occiden-te » (9), è la perfetta espressione di questo mododi vedere un fatto storico come un fatto naturale.Anche la teologia liberale tende a vedere la realtànelle idee generali: amore, ethos, ecc. Ma lastoriografia oggettiva non vede che un fatto storiconon è soltanto, anzi non è essenzialmente un fattonaturale. In altre parole: l'avvenimento storico non èmai finito e il suo senso ne sarà svelato sol tanto allafine dei tempi. Certo, che Luterò, per esempio, abbiaaffisso le sue novantacinque tesi alla porta dellachiesa di Wuttenberg, è un fatto passato; ma il suosenso non lo è, e determina ancora la nostraesistenza. Non si conoscerà prima della fine dellastoria il significato dell'azione di Luterò, perché leconseguenze si svolgono ancora nel mondo di oggi.L'essere umano stesso è storicità. Il passato non

(9) Oswald Spengler, IIdeclino dell'Occidente.Longanesi, Milano 1970.

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è soltanto un passato morto, ma anche un presenteo meglio un futuro che lo chiama, si indirizza a lui,ha qualcosa da dirgli. Noi siamo responsabili di ciòche potremmo chiamare il futuro del passato. OgniProtestante, per esempio, è responsabile del futurodel passato protestante, che non è chiuso, ma aper-to, e il presente è il momento della decisione, nelladecisione attuale è colto il frutto del passato e scel-to il significato del futuro. Cosi si stabilisce un rap-porto dialettico fra passato e futuro nella decisionedel presente.

Questa interpretazione esistenziale della storia è diorigine biblica, e come il concetto greco della storiaè soltanto un aspetto della filosofia greca, cosiil concetto biblico della storia è soltanto unaspetto, anche se centrale, del pensiero biblico. Perla Bibbia, gli avvenimenti non sono cose finite; iperiodi storici non sono cicli isolati. Avvenimenti eperiodi sono legati da un'intenzione. Un episodio nonè mai compiuto; lo sarà soltanto quando il piano diDio in questo mondo sarà realizzato. Un fatto sto-rico non è mai soltanto un fatto oggettivo, ma portain sé un significato che lo oltrepassa. Il popolo è re-sponsabile del futuro del suo passato che gli porte-rà benedizione o castigo, secondo la sua obbedienzao disobbedienza. Nella storia (Geschichte) Dio siindirizza all'uomo, lo provoca al dialogo e aspetta lasua risposta. Questo è il concetto che domina la sto-riografia biblica: la vera realtà è la storia. Non è nellanatura cosmica che l'uomo si trova inserito — anzile sta piuttosto di fronte — bensì nella storia,nella quale, grazie alle sue decisioni e ai suoidestini, conquista la sua impronta individuale. Lavera vita dell'uomo matura, dunque, nella sferadell'individuale, nell'attualizzarsi degli incontri. Ènella decisione del momento, e non nel volo deisuoi pensieri verso il mondo divino atemporale, cheegli sta di fronte a Dio.È qui, nell'avvenimento concreto storico che si ve-rifica l'incontro con Dio, come con Colui che esige,giudica e giustifica. Per l'uomo biblico l'indagine del-

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la verità è l'indagine del senso dei'incontro attuale,l'indagine di ciò che è richiesto e dato. Ora,torniamo all'interpretazione di un testo biblico. Èchiaro che secondo la comprensione che l'interpreteavrà della vita, di se stesso, di Dio, interrogherà iltesto in modo diverso; il suo rapporto con il testomuterà e il testo risponderà diversamente. Bultmannchiama « Vorverstàndnis », comprensione prelimina-re, questo insieme di presupposti che non è mai pos-sìbile eliminare per avere un cosiddetto atteggia-mento neutro. Esigere ciò sarebbe assurdo. Ma noidobbiamo essere coscienti di questi presupposti.D'altra parte, il testo stesso è stato scritto con unacerta intenzione e da qualcuno che aveva, anche lui,una comprensione sua del rapporto con Dio, del mon-do, ecc..., cioè un « Vorverstàndnis » suo. Ora, piùl'interprete si avvicina al testo con la stessa com-prensione preliminare, più domanderà al testo ciòche esso ha intenzione di dire, e più la compren-sione del testo si avvicinerà a ciò che si può chiamareuna comprensione oggettiva. Nel senso che l'in-terprete si mette il più possibile in condizioni talida lasciar parlare il testo e lasciargli dire ciò che ave-va veramente intenzione di dire. Per esempio, se noici avviciniamo ad un testo biblico con le categoriedel pensiero greco, razionale, oggettivante, nonsiamo nelle condizioni preliminari adatte, percomprendere il testo che vuoi parlare di un Dio cheordina e che non è mai oggetto del pensiero umano.Secondo Bultmann, l'uomo ha un sapere di Dio cheè un « nichtwissendes Wissen », un sapere che nonsa (potremmo dire forse l'archetipo di Dio in noi).

Ora, se, per parlare come Luterò, la rivelazione siindirizza non a pietre e oche, ma all'uomo, questopresuppone una cosa: essere uomo, e questo signi-fica avere una comprensione preliminare corretta,giusta, di ciò che la Bibbia ha da dirci. Certo, Bult-mann richiede il Vorverstàndnis corretto non a qual-siasi persona — si può fare l'esperienza di Dio senzaesso — ma all'esegeta. Per esempio, come si spiega

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che la teologia classica consideri l'evento della sal-vezza un atto giuridico, un sacrificio, e la teologialiberale una esperienza mistica? Come si spiega cheil peccato venga considerato talvolta sul piano dellamagia, e talvolta su quello dell'etica o sul piano re-ligioso? Perché queste interpretazioni si basano sudiverse comprensioni preliminari. Perciò è indispen-sabile sottoporre le categorie con le quali ci avvici-niamo al messaggio biblico ad un'analisi critica, peresaminare fino a che punto questa concettualità siacorretta e adeguata in considerazione di ciò chequesto messaggio ci vuole dire.

A me pare che lo psicoterapeuta si trovi di fronte aproblemi molto simili. La sua comprensione del pa-ziente — il suo testo — non può essere separato dal-la comprensione di se stesso. Perciò facciamo unaanalisi personale: per non proiettare sui pazientii nostri contenuti psichici. D'altra parte, non esisteun vero rapporto analitico fintantoché il paziente èun mero oggetto, fintantoché non riconosciamo ilsuo « Anspruch », i! suo diritto su di noi. In altreparole, anche noi dobbiamo renderci conto delladistinzione fra situazione esistenziale e situazioneesistentiva, cosi essenziale per comprendere Bult-mann. Per divenire psicoterapeuti dobbiamo tuttiprepararci; e sappiamo anche che l'interpretazionedei sogni e in generale la terapia sarà diversa a se-conda del genere della preparazione (Freud, Jung,ecc). Per esprimerci col linguaggio di Bultmann,noi dobbiamo avere un « Vorverstàndnis », una com-prensione preliminare, giusta, adatta o anche cate-gorie adeguate. Questa comprensione preliminare èla situazione esistenziale.

Nel momento dell'incontro con il paziente, Jung ciraccomanda di dimenticare tutto ciò che abbiamoimparato. Noi tutti abbiamo fatto l'esperienza di quan-to sia difficile raccontare all'analista di controllo losvolgersi di una seduta. Possiamo raccontargli i so-gni e le nostre interpretazioni, ma, per quanto im-portante ciò sia, non è l'essenziale. L'essenziale sta

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nella situazione di transfert con tutto l'intreccio deirapporti, cioè nella situazione esistentiva. Certo, ilpaziente è anche oggetto per noi, un oggetto perquanto possibile scientifico, e deve esserlo; cosiquando proviamo a classificarlo in una delle cate-gorie note, quali la nevrosi coatta, ecc. Ma nell'in-contro, nel transfert, il rapporto soggetto-oggetto do-vrebbe cedere il posto ad un altro rapporto, ad unaapertura, cioè all'incontro esistentivo. E quest'in-contro cambia anche l'analista. Sono due modi di-versi di vedere la stessa cosa (che non è affattopiù la stessa): l'una è razionale, greca, l'altra esisten-ziale, biblica.

Queste considerazioni sono secondo il mio pareremolto fertili se rapportate al problema dei miracoloe del «Wunder» (Bultmann usa la parola « Mira-kel », miracolo, per un evento contro natura, peresempio cambiare l'acqua in vino, mentre utilizzala parola « Wunder », per la quale in italiano esistesolo la parola « miracolo », per indicare un'azione diDio percepita solo da me, che per gli altri sarà unanello nella catena della causalità).

L'azione di Dio è celata, come « Wunder », per coluiche non vede Dio in essa. Poiché il Wunder nonè precisamente un'azione che si possa legittimarecome azione di Dio in una qualcosa che può esserpercepita come un evento logico entro il mondo. L'af-fermazione che un avvenimento sia un Wunder nonè in contraddizione con la constatazione che sia unevento di questo mondo. Comprendo bene che cosasignifica «Wunder»: è l'agire di Dio. (Una tale vi-sione abolisce il mondo come natura). L'impossibilitàdi riconoscerlo come manifesta azione di Diosignifica per me anzitutto che Dio è nascosto a me.Parlare del Wunder significa parlare della miaesistenza, cioè dire che nella mia vita Dio è divenutovisibile. Esiste dunque soltanto un « Wunder»: quellodella rivelazione in quanto avvenimento: non comeidea, ma come azione di Dio. La Rivelazionesignifica perciò grazia di Dio per l'empio.

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Rivelazione è rivelazione soltanto in actu e nondiviene mai una cosa rivelata. Perché Dio non puòessere trattenuto nella Fede cosi che il credente pos-sa ritornare sulla sua Fede come su una decisionepresa una volta per tutte. Dio rimane sempre al dilà di ciò che è stato afferrato, o, in altre parole: lamia decisione di Fede è genuina soltanto se attuatadi volta in volta. « Dio è l'ospite che procede sem-pre » (Rilke). In nessun momento presente può es-sere afferrato come Colui che rimane; ma essendocolui che esige sempre di nuovo le mie decisioni, stasempre dinanzi a me, come Colui che viene, e que-sto suo essere sempre nel futuro è il suo esserenell'ai di là.

Ora, la rivelazione, la rivelazione biblica, utilizza illinguaggio umano secondo il suo vero senso, cioèin un aprirsi alla trascendenza. Però non sempre cor-rettamente. L'uomo naturale, con la sua tendenza al-l'oggettivazione, distorce il suo senso. E questogià nel Cristianesimo primitivo. Il mito autentico èorientato verso la trascendenza, come un potere cheesige riconoscimento e obbedienza. Il mito esprimel'idea che l'uomo non è signore del mondo e dellasua vita e che il mondo nel quale egli vive è pienodi problemi e di oscurità. Il mito è molto di più diuna scienza primitiva. Ma il mito della dipendenzaoriginaria dell'uomo da un « Tutt'altro », dalla tra-scendenza, non è mai puro, perché l'uomo non puòsopportare il dominio del trascendente. L'esperienzasempre ripetutasi di colui che vive nell'immediatezzadella trascendenza è l'isolamento. E l'uomo, tantoquello primitivo quanio quello moderno, non è capa-ce di sopportarlo. Perciò anche l'uomo religioso co-nosce la tentazione di oggettivare queste potenzedella trascendenza irrompenti nella nostra vita, diallontanarle per eliminare il loro « Anspruch », illoro diritto sull'uomo. Van der Leeuwe enumera imezzi seguenti per dominare i poteri trascendentali;l'uomo da loro forma, nome, eternità, culto. Diamosoltanto un esempio: presso i Greci l'immagine do-mina la religione, mentre manca in Israele. Il greco

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vede l'immagine e la tiene a distanza, mentre Israeleascolta il suo unico Dio che dispone completamentedel suo popolo.

Attraverso le sue ricerche esegetiche, Bultmann mo-stra come nel mito gnostico e nei misteri che Paoloincontra nella sua attività missionaria, domini, mai-grado la ioro elevatezza spirituale, una comprensio-ne preliminare rispetto a quella della rivelazione delmessaggio evangelico. E osserva come egli cerchi diutilizzare a modo suo i concetti familiari agli Gnosticinella sua predicazione deìl'Evangelo. Questo spiegale contraddizioni concernenti la morte di Gesù comesacrificio e come avvenimento cosmico, il vedere inGesù il Messia e il secondo Adamo, ecc. Masoprattutto la critica viene provocata da unastrana contraddizione che si manifesta in iutto ilNuovo Testamento: da una parte, determinazionecosmica dell'uomo, dall'altra egli è chiamato aprendere decisioni; talvolta il peccato è consideratofato, talvolta colpa, ecc. Cosi il senso dei mito èparzialmente celato da una comprensione prelimi-nare inadeguata, e questo si manifesta già nel Cri-stianesimo primitivo. Dobbiamo rilevare la frase diBultmann in « Kerygma e Mito », che non è statacompresa abbastanza chiaramente: « Nel mito stessoè contenuto il motivo della critica di se stesso, cioèdelle sue rappresentazioni oggettivanti, in quantoil carattere oggettivante delle sue affermazioni ini-bisce e occulta la sua vera intenzione di parlare diun potere trascendente, a cui sono sottomessi mon-do e uomini ».

Certo, Malet, oltrepassa il pensiero di Bultmann,quando interpreta la mitologia come il logos delmito, come la sua razionalizzazione su un pianoprimitivo, quando, per esempio, l'ai di là di Dio vienerappresentato come lontananza spaziale (10). PeròMalet ha visto qualche cosa di giusto allorché sotto-linea che Bultmann non ha mai parlato di demitiz-zazione, ma sempre di demitologizzazione; Bultmannnon vuole affatto eliminare il mito, né razionalizzar-

(tO) Andre Malet, My. -et Logos. La penséeRudolf Bultmann. Ed : :Labor et Fides, Ge'1962.. (Nouvelle sèrie :-logique, n. 14).

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lo, ma vuole invece, reintegrarlo nel suo suo verosenso. In ogni modo non vuole eliminarlo, quandochiama « mitico » il parlare dell'agire di Dio e del suointervento decisivo escatologico nella nostra esi-stenza.

Ora, se il senso del messaggio evangelico viene ce-lato da una comprensione preliminare inadeguata,da categorie non adatte, ci si deve domandare qualisiano le categorie corrette, per reinterpretare ilmito cristiano.

Bultmann dice: « Esso deve essere interpretato se-condo la comprensione dell'esistenza inerente almito stesso, cioè deve essere interpretato esisten-zialmente ». Per la Bibbia l'uomo, come sappiamo, èstoricità. Non ci si deve dunque stupire se Heidegger,per indagare il « fenomeno umano » dal punto divista ontologico, abbia studiato il messaggio rive-lato e la tradizione Cristiana in certe rappresenta-zioni che hanno particolarmente messo in luce lastruttura esistenziale dell'uomo, come Agostino, Lu-terò, Kierkegaard. Heidegger non ha mai fatto mi-stero dell'influenza profonda esercitata su di luidalla Bibbia e anche da Luterò giovane. Ora, datoche Heidegger, sul piano ontologico, è rimasto piùfedele al Nuovo Testamento di molti esegeti e pro-fessori di teologia, Bultmann ha potuto servirsi dellesue analisi delle strutture formali, trovando in luiprecisamente ciò che aveva scoperto attraverso i suoilavori esegetici e teologici nel Nuovo Testamento enella tradizione protestante. « Non significa dipen-denza dalla dottrina filosofica di Heidegger se traia-mo insegnamenti dalla sua analisi dell'esistenza, per-ché in essa viene affrontato lo stesso problema, cheè posto alla teologia, cioè il problema delia storicità,divenuto acuto per la comprensione storica dellaBibbia. Nello sforzo di chiarire il rapporto dell'es-sere umano con la storia e di utilizzare quindi lacomprensione storica per uscire dallo schema abi-tuale soggetto-oggetto, la teologia può imparare daHeidegger. È ovvio che non necessariamente ci si

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deve rivolgere a Heidegger, se si crede di impararlomeglio altrove, va bene. Ciò che conta è che deveessere appreso » (11). (11) Jaspers - Bultmann,

cit, pag. 60.

Bultmann ha delineato una reinterpretazione del mi-to cristiano in « Kerygma e Mito ».

Per chiarire la comprensione cristiana dell'essere nelNuovo Testamento, egli espone anzitutto ciò che si-gnifica l'essere umano senza Fede nel Nuovo Testa-mento, poi l'essere umano nella Fede, ma senza unaFede specifica in Cristo.Si pone a questo punto il problema se oggi la filo-sofia esistenziale non giunga per via profanaalla stessa ideologia elaborata dal Nuovo Testamento,prescindendo, tuttavia, da Cristo, che del NuovoTestamento era il nucleo. L'evento cristico risulte-rebbe, in definitiva, un resto mitologico, la cui eli-minazione sancisce l'avvento della filosofia al postodella teologia pionieristica che avrebbe esaurito ilsuo ruolo.Cosicché, fra l'altro, la teoloqia Dotrebbe essereconsiderata una pioniera della filosofia che, inquanto tale, oggi ha esaurito il suo ruolo. Potrebbesembrare cosf che nell'evento cristico si tratti d'unresto mitoloqico che deve essere eliminato. Questoproblema deve essere affrontato con tutta serietà,se la fede cristiana vuole essere sicura di se stessa.Poichè essa può guadagnare la certezza di se stessasolo se pensa fino in fondo alla nossibilità della sua,impossibilità ed inutilità. La filosofia è persuasa cheè necessario solo dimostrare la « natura », cioè l'esi-stenza autentica, quale fattore ad essa appropriatoper avviarne la realizzazione. In questa autofiduciaconsiste la profonda differenza fra Nuovo Testa-mento e filosofia, poiché il Nuovo Testamento affer-ma che l'uomo non può liberarsi dalla sua effettivavocazione al mondo, se non attraverso un'azionedi Dio. Il suo « messaggio » non è una dottrina re-lativa alla « natura », all'esistenza autentica dell'uo-mo, ma appunto il messaggio di questa azione libe-

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ratrice di Dio, il messaggio dell'evento salvifico com-piuto da Cristo.Ora Bultmann spiega l'evento di Cristo, la croce diCristo, che, quale evento cronistorico innalzato adimensione cosmica, diventa un evento escatologico;cioè per il credente resta sempre presente. Invecela Resurrezione, in contrasto con la crocifissione,non è in nessun caso un evento cronistorico, non èun miracolo di conferma che giovi a chi chiede dipoter credere con certezza in Cristo.

Bultmann ha assolutamente ragione quando affermache la Risurrezione di Cristo significhi molto di più;o, meglio ancora, esprime qualche cosa di assoluta-mente diverso dai ritorno di un morto nella vita diquaggiù. Ciò significherebbe soltanto che la vitaindividuale non cessa con la morte e non sarebbedavvero un evento salvifico. Questa grande disputarelativa alla cronistoricità della Risurrezione di Gesùderiva da un malinteso. Il Risuscitato, in quanto ilTutt'aitro, è una nuova comprensione dell'uomo, chedistrugge l'autosufficienza dell'uomo peccatore, se-parato e nemico di Dio. Il mondo, attraverso la Ri-surrezione, diviene di nuovo creatura di Dio, a cuiè data la vita eterna. Per operare questa trasfigu-razione radicale, ci vuole ben altro che un esseresoprannaturale che sa compiere il miracolo di tor-nare alla vita. Ci vuole l'azione salvifica di Dio; civuole un'autentica Alterità, cioè una nuova compren-sione dell'uomo. Il Risuscitato è tale soltanto inquanto mi resuscita; altrimenti, è un mero prolunga-mento di me come qualsiasi realtà oggettiva. Proprioperché non è risorto oggettivamente, Gesù è risortorealmente, cioè escatologicamente, divenendo il mio« Signore ». Si comprende allora che la Risurrezioneè il senso della croce, la sua realtà profonda. Migliaiasono stati crocefissi. I fatti oggettivi in se stessi nonsono niente; il loro vero essere è il loro senso.

Morte e Risurrezione come evento salvifico di Cristosignificano la mia liberazione dall'autosufficienza, ilmio ritorno cosciente alla mia origine, attraverso

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l'azione di Dio, sotto il mistero della croce, per cuiil dolore acquista il suo senso. La fede, come dedi-zione all'amore di Dio, è allo stesso tempo l'ab-bandono della mia vecchia autocomprensione inquanto giustizia propria, il cui rovescio è semprel'angoscia; nella Fede mi capisco completamentequale figlio della grazia di Dio. Ma l'atto di Fedeva sempre rinnovato, l'uomo è teso fra autosuffi-cienza e Dio, tra legge e rivelazione: l'evento salvi-fico — la croce, la Risurrezione — è un eventoescatologico.

Il dramma della vita archetipica di Cristo ha un ri-ferimento ad un evento psichico vivo e universalmenteesistente. È l'archetipo dell'individuazione, quindidi quel processo di mutamento della psiche, a cuil'uomo deve esporsi quando vuole raggiungere lapiena realizzazione di se stesso. Espressoteologicamente sarebbe: « Le vere parole di Fedesono sempre anche parole relative all'uomo e al suodivenire uomo. Non si può credere al figlio nato daDio, senza credere alla propria vocazione di esserefigli di Dio». (R. Stahlin: « Wer ist dieser » («Chi èquesti?», citato da Uwe Steffen) (12).

Il mito di Cristo contiene il motivo di Giona dellamorte e della risurrezione, ma non come motivo cheritorna ciclicamente, in contrasto con la morte e larisurrezione degli antichi dei della natura: Attis-Ci-bele, Mitra, Adone, ecc, che del resto non possonoprovare una realtà storica. Non possiamo qui inda-gare quale sia il rapporto tra il mito di Cristo e gliantichi misteri. Rimando al libro di Uwe Steffen.

L'affermazione di Jung che la teologia annuncia unadottrina che non si capisce ed esige una Fede chenon si riesce a trovare, senza che la teologia sisforzi di renderla comprensibile, non è certo validaper Bultmann, anche se la sua via è tutta diversa. Sipotrebbe soltanto domandarsi fino a che punto Bult-mann ne abbia facilitato la comprensione! Quasi rin-cresce che egli non si sia servito degli scritti di

(12) Uwe Steffen, Das My-sterium von Tod und Au-ferstehung Formen undWandlungen des Jona -Motivs, Vandenhoek & Ru-precht, Gòttingen 1963.

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(13) Kerygma e Mito, cit.,pag. 46.

Jung, perché la sua affermazione: « Non perché èla croce di Cristo, è l'evento salvifico, ma perché èl'evento salvifico, è la croce di Cristo » (13) trova unsostegno nella scoperta di Jung degli archetipi: unaspiegazione del fatto che la morte e la Risurrezionedi Cristo trovano tanta risonanza nell'uomo, scuoten-dolo profondamente. Come pure quando Jung scri-ve: « Se non esistesse un'affinità tra la figura delSalvatore e certi contenuti del'inconscio, uno spiritoumano non avrebbe mai potuto vedere la luce inCristo e comprenderla con fervore ».

Ma arrivando all'ultimo punto, si capisce che nonpoteva andare d'accordo con Jung. Che io sappia,Jung e Bultmann non si citano mai vicendevolmen-te, benché si avvicinino nelle loro ricerche, per quan-to diverse. Una differenza profonda li separa. Ed èl'ultimo argomento che affrontiamo: l'assolutismo delmessaggio evangelico. Per Bultmann, la rivelazioneè l'evento che si attualizza ora e per me nell'incon-tro con Dio come il mio Dio, attraverso la Parolaannunciata oggi dalla bocca di un uomo, il pastore.Questa rivelazione è legata ad un avvenimento sto-rico di duemila anni fa, cioè la crocefissione di Gesùe la fede pasquale della prima comunità cristiana,che legittima il pastore a parlare cosi. Ora, come diceJaspers, perché questo evento dovrebbe essere l'uni-co valido per la rivelazione di Dio? Non sarebbepossibile che altre rivelazioni siano date all'uomo,per esempio attraverso i Veda per i Rishis, attraver-so i libri di saggezza cinese ecc? Anzi, non po-trebbe la rivelazione essere intesa in un modo moltopiù vasto? Jaspers non allude qui ad una soggettivitàarbitraria, ma ad una fede filosofica.

Per quanto poco piacevole sia il dialogo Jaspers -Bultmann, secondo il mio parere Jaspers qui haragione. Data la posizione teologica di Bultmann,con la sua demitologizzazione, l'obiezione di Jaspersè inevitabile e la tesi di Bultmann in questo puntodifficilmente sostenibile. Evidentemente si tratta quidi una decisione di fede, della quale non si può di-

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scutere. Forse è cosi che Bultmann, in quanto vec-chio luterano, che ha dedicato una lunga vita allaParola di Dio, è talmente legato al mito cristico, anzivi si è identificato, da ritenerlo semplicemente laRivelazione.

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