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JOBS ACT - LICENZIAMENTI Guida ragionata attraverso le novità del D. Lgs. 23/15 Scandicci 7 luglio 2017 Francesco Centofanti

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JOBS ACT - LICENZIAMENTIGuida ragionata attraverso le novità del D. Lgs. 23/15

Scandicci 7 luglio 2017 Francesco Centofanti

FINALITA’ RIFORMA

• Attuare un vasto programma macro-economico di rilancio dell’occupazione,basato su un’incisiva revisione del quadro regolatorio di fonte legale, oltre che suun forte sostegno da parte della finanza pubblica (quest’ultimo attuato grazie alladecontribuzione disposta dai commi 118 ss. della l. 23 dicembre 2014 n. 190 —legge di stabilità per il 2016).

• A tale scopo restituire centralità al rapporto subordinato a tempo indeterminato,visto come fattispecie di riferimento in funzione della creazione, in pianta stabilee consistente, di nuovi posti di lavoro.

• Raggiungere traguardo auspicato tramite la rivisitazione di tale forma di rapportosotto due aspetti cruciali:

la disciplina delle mansioni (profondamente innovata dall’art. 2 del d.lgs.n. 81 del 2015);

il potere datoriale di recesso (oggetto della disciplina che si viene qui adapprofondire);

CONTENUTO GENERALE

In attuazione della delega ex comma 7 lett. c) dell’art. 1 l. n. 183 del 2014 - i cuicriteri e principi direttivi impongono tra l’altro, per le nuove assunzioni,l’introduzione del regime delle c.d. tutele crescenti, con la previsione di unindennizzo economico correlato in modo certo all’anzianità di servizio, con lalimitazione a casi estremi della reintegrazione del lavoratore— Il d.lgs. n. 23 del2015 ridisegna in profondità, attenuandone il rigore, l’impianto sanzionatorio deilicenziamenti invalidi o illegittimi, individuali e collettivi.

La novella non tocca, viceversa, i presupposti giustificativi dei medesimilicenziamenti; e quindi le nozioni di giusta causa e giustificato motivo, stabilitedalle fonti previgenti, né le regole del procedimento disciplinare di cui all’art. 7Stat. lav., né l’assetto delle decadenze dalle impugnative, come rivisitato dall’art. 32della l. n. 183 del 2010, e succ. modif.

Tale rivisitazione dovrebbe essere in grado disuperare, nelle intenzioni dei conditores, i principalielementi di rigidità dell’esistente regolamentazione,visti come remora all’adozione del relativo schemacontrattuale e come un ostacolo alla sua effettivacapacità di porsi, parafrasando la legge delega,come la “forma comune di contratto di lavoro”, “piùconveniente rispetto agli altri tipi”.

MACROEFFETTI

• La tutela offerta al dipendente, pur illegittimamente estromesso dal postodi lavoro, ritorna nella logica propria dei tradizionali canoni civilistici,incentrata sul ristoro patrimoniale, salve limitate e tipizzate eccezioni.

• E’ lo sviluppo ulteriore del percorso intrapreso con l’art. 1, comma 42, l. n.92 del 2012, che, tramite la riforma dell’art. 18 Stat. lav., differenziò comesegue, nell’ambito della tradizionale tutela “forte”, i regimi sanzionatori: il ripristino ex tunc del posto di lavoro, la c.d. reintegrazione, non era piùl’oggetto necessario di una tale tutela; quest’ultima, peraltro, si sdoppiava in una forma “piena” ed in unaforma “attenuata” (a seconda dell’integralità o meno del connesso ristoroeconomico); si affiancavano rimedi puramente indennitari, che non impedivano lavalida estinzione del rapporto di lavoro.

•Su questa scia, che si consolida, il Jobs Actsegna il definitivo passaggio da un regimedi job property (diritto reale sul posto dilavoro) ad un regime di liability rule,connotato dalla mera responsabilità perillegittima rottura del vincolo contrattuale(ICHINO).

AMBITO TEMPORALE DI APPLICAZIONE

• La disciplina delle c.d. tutele crescenti si applica ai rapporti di lavoro (atempo indeterminato) sorti a far tempo dal 7 marzo 2015, data di entratain vigore della riforma. Fa testo la data di stipula del contratto (di regolanon solenne); non conta l’eventuale omissione delle formalità stabilitedalle leggi amministrative

• Logica duplice in ciò:

non introdurre arretramenti di tutela per i lavoratori già stabilmenteinseriti (per forza propria) nel mondo del lavoro;

disegnare un sistema di protezione “aggiornato” per le assunzioniavvenute nel contesto di quel mercato del lavoro che il Jobs Act si proponedi incoraggiare e rendere più dinamico (e quindi, anche, da tale contestofavorite, e che ad esso debbono coerentemente assoggettarsi).

Eccezione: nel regime novellato sono inclusi ilavoratori, già in forza all’impresa alla data del 6marzo 2015, destinatari della tutela obbligatoria dicui all’art. 8 della l. n. 604 del 1966, allorché (e dalmomento in cui) l’impresa stessa, per effetto diassunzioni — a tempo indeterminato — successivealla stessa data, superi il requisito dimensionale chein praeterito avrebbe comportato l’applicazione dellatutela reale.

DIRITTO TRANSITORIO

Subentra la nuova regolamentazione in caso di“conversione” —avvenuta dopo l’entrata in vigoredella riforma — del rapporto a termine, odell’apprendistato, in contratti a tempoindeterminato.

Rileva, a mio giudizio, la conversione in senso proprio, intesa:per il contratto a termine, quale novazione negoziale delrapporto (passaggio dal rapporto a termine a quello a tempoindeterminato, concordato tra datore e prestatore), intervenutaappunto dopo l’entrata in vigore della novella (cui vannoequiparate le ipotesi, residuali, di violazione della disciplina legalesul termine, registratesi dopo la stessa data, sanzionate solo exnunc);per l’apprendistato, quale consolidamento a tempoindeterminato del rapporto, intervenuto appunto dopo l’entrata invigore della novella, a seguito del mancato recesso datoriale dopotale data.

L’invalidazione ex tunc del termine, o lariqualificazione ex tunc dell’apprendistato inrapporto ordinario, non importano l’applicazione deld.lgs. n. 23, se le fattispecie erano geneticamenteanteriori.Questo stesso principio va esteso a fattispecie nonespressamente contemplate (somministrazioneirregolare, appalto fittizio, ex contratto a progettoinvalido).

REQUISITI SOGGETTIVI DI APPLICAZIONE

• Il d.lgs. n. 23 del 2015 si applica solo ai lavoratori che rivestono laqualifica di impiegati, operai o quadri (v, art. 2095 c.c.).

• Sotto il profilo soggettivo ne resta esclusa la dirigenza (anche solo ditipo convenzionale, come individuata da Cass. 19554/16 e 25145/10,purché non si tratti di pseudo-dirigenza, su cui v. già S.U. 7880/07);l’onere della prova, in ordine alla spettanza d’inquadramento diversoda quello formale, è del lavoratore che lo adduca (Cass. 18998/10).

• Controversa la posizione dei pubblici impiegati regolati dal d.lgs. n.165 del 2001. Robusti argomenti per la non inclusione della categorianell’ambito della riforma si traggono da Cass. 11868/16. Contra, indottrina, MIMMO; perplesso MARAZZA; nel senso del testo, expluribus, CARINCI, RICCI, MAINARDI, SPEZIALE, ROMEO.

• Ricompresi i lavoratori nautici (cui pur non siattagliano le categorie legali ex art. 2095 c.c.:MARAZZA).

• Controversa la possibilità di deroghe soggettivealla nuova disciplina, in applicazione analogicadell’art. 12 l. n. 604 del 1966 (se cioè i contrattiindividuali o collettivi possano escluderla rispettoa lavoratori determinati, o mitigarnel’applicazione: per le opposte tesi cfr. PISANI, chelo sclude, e TIRABOSCHI).

AMBITO OGGETTIVO DI APPLICAZIONE

• La novella riguarda il lavoro dipendente, costituito a tempoindeterminato (o giudizialmente accertato come tale).

• Escluso il lavoro autonomo (comprese le collaborazioni co.co.), illavoro a termine, la somministrazione a tempo determinato (e lemissioni presso l’utilizzatore come tali), se le fattispecie negoziali sonogenuine.

• Le collaborazioni etero-organizzate ex art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015, inquanto espressive di autonomia «non genuina» (se così le si intende),sono ricomprese.

• L’apprendistato è ricompreso (salva la facoltà datorialedi recesso alla scadenza dell’addestramento); non cosìil periodo di prova ex art. 2096 c.c. e, in generale, irapporti tuttora assoggettati a libera recedibilità (lavorodomestico, ultrasessantenni in possesso dei requisitipensionistici, lavoro sportivo, lavoro a domicilio), fermaper questi ultimi la tutela universale di cui all’art. 2 deltesto di riforma.

• Sono ricomprese le piccole imprese (per la nozione v.ancora art. 18 Stat. lav.) e le organizzazioni di tendenza.

LA TUTELA REALE «PIENA»

Ordine di reintegrazione nel posto di lavoro (che in iure reinscena rapporto ex tunc): natura mista(dichiarativo-costitutiva + condanna); il datore deve adempiere ripristinandone la funzionalitàmateriale. Non coercibile (salvi danni ulteriori).

Il lavoratore, richiamato in servizio, deve riprenderlo entro trenta giorni dall’invito (a pena dirisoluzione e salvi i casi ex art. 2110 c.c.).

In luogo della reintegrazione, il lavoratore può chiedere indennità sostitutiva secondo tradizione (paria quindici «quote» mensili: v. infra); la richiesta risolve da subito il rapporto (come già aveva chiarito, acomposizione di lungo travaglio, da S.U. 18353/14) indipendentemente dal pagamento dell’indennità.

Indennità risarcitoria, pari a tante «quote» mensili dell’ultima retribuzione annua ex art. 2120 c.c.,quante sono le mensilità che separano il recesso caducato dalla reintegrazione (differenza tra talenozione di retribuzione e quella ultima «globale di fatto»).

Limite minimo delle cinque «quote» (parte irriducibile dell’obbligazione risarcitoria: Cass. 21425/16),nonché detraibilità del solo aliunde perceptum (eccezione in senso lato: Cass. 17368/15; non lointegrano le prestazioni previdenziali).

Risarcibilità di danni ulteriori, solo se provati.

Obbligo di pagare all’Istituto di previdenza i contributi previdenziali ed assistenziali (tanto la quota acarico del datore che quella a carico del lavoratore, per quest’ultima senza facoltà di ripetizione).Assogettamento alle relative sanzioni se il licenziamento era radicalmente nullo (S.U. 19665/14).

FATTISPECIE ASSOGGETTATE (art. 2)

Licenziamenti discriminatori.

Licenziamenti altrimenti nulli.

Licenziamenti orali.

Licenziamenti ingiustificati il cui motivosia consistito nella “disabilità” fisica opsichica del lavoratore.

LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO

Impostazione oggettiva della nozione, fondata sul d.lgs. n. 216 del 2003, e sulladirettiva 2000/78/CE del Consiglio, datata 27 novembre 2000, cui il primo dàattuazione:

è tale (art. 2, comma 1, d.lgs. n. 216; art. 2, comma 2, della direttiva) l’effettopregiudizievole indotto dalla violazione del principio di parità di trattamento dellavoratore, a parità di condizioni, basata su un fattore identificativo-distintivo(azione o appartenenza sindacale o politica, religione, razza, lingua, sesso,handicap, età, orientamento sessuale, convinzioni personali) che la legge vieta diprendere in considerazione;

ed anche lo stesso effetto indotto (discriminazione indiretta) da una misura in séapparentemente neutra, che collochi in una posizione di particolare svantaggio illavoratore cui quel fattore sia oggettivamente riferibile, a meno che ciò non siagiustificato dalla ricorrenza di una finalità legittima e sempre che (in tale ultimaipotesi) i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

• Secondo questa impostazione, è discriminatorio il licenziamento che,indipendentemente dall’intento del suo autore, sia riconducibile, in viadiretta o indiretta, ad uno degli anzidetti fattori di discriminazione,producendo in sé, con la violazione del principio di parità ditrattamento, l’effetto pregiudizievole della perdita del posto di lavoro.

• Disallineamento con la giurisprudenza di legittimità (che tendeancora, maggioritariamente, ad identificarlo nel recesso caratterizzatodalla distorsione della funzione, a causa della presenza del motivoillecito discriminatorio (ma per un revirement cfr. Cass. 6575/16).

• Discriminazione non esclusa quindi dalla concorrenza di un’altrafinalità, pur legittima, quale il motivo economico (non si applica 1345c.c.)

ULTERIORI PROFILI IDENTIFICATIVI.REGIME PROBATORIO

• Speciale profilo probatorio agevolato ex art. 28 comma 4 d.lgs. n.150/2011 (vedi); secondo Cass. 14206/13 non è inversione, maattenuazione, dell’onere.

• Necessaria tipizzazione dei fattori di discriminazione (eventualmentetratti da fonti ulteriori rispetto all’art. 15 Stat. lav.: es. nazionalità, odisabilità, ex art. 28 succitato, o infezione HIV, ex art. 5 comma 5 l n.135 del 1990). Apre in tal senso Cass. 24648/15

• Distinzione tra licenziamento discriminatorio e licenziamentoritorsivo. Necessità per quest’ultimo (ove non si leghi ad un fattore didiscriminazione) che esso rappresenti la ragione unica e determinantedel recesso e nessuna agevolazione probatoria.

LICENZIAMENTI NULLI

•Abbandono della tipizzazione anteatta (inutileperché accompagnata da clausola in biancoresiduale) e previsione della necessariacomminatoria espressa della nullità.

•Problematicità dell’interpretazione della novellain parte qua.

• Ipotesi ricostruttiva: distinzione tra nullitàtestuali e nullità virtuali.

NULLITA’ TESTUALI

• Ricorrono allorché:

Il licenziamento è contrario alle norme imperative (direttamenterichiamate nell’art. 1418, secondo comma, c.c.), che costituisconoapplicazione dei principi generali del diritto civile (in particolare l’illiceitàdella causa ex art. 1343, la frode alla legge ex 1344 c.c., o l’illiceità deimotivi ex 1345 c.c.); si parla allora di nullità testuale generale.

Il licenziamento è contrario (art. 1418, terzo comma, c.c.) a normeimperative che specificamente comminino tale sanzione; si parla allora dinullità testuale speciale. Sono queste le fattispecie del licenziamento acausa di matrimonio e del licenziamento durante la gravidanza ed ilpuerperio.

NULLITA’ GENERALI:CAUSA ILLECITA

• La “causa” del licenziamento riposa nell’estromissione del lavoratoredal posto di lavoro, rispondente ad un interesse datoriale, la cuiattuazione l’ordinamento disciplina (e limita) richiedendo — nelleipotesi “regolari” — che essa risponda al canone della giustificatezza.

• L’inesistenza di quest’ultima, ove richiesta, incide sulla legittimità delnegozio, ma non ne mina radicalmente — se non nella concorrentepresenza di vizi di preminente rilievo, che neghino i fondamentalivalori dell’ordinamento — l’obiettiva funzione (in sostanza il recessosolo ingiustificato non ha di per sé causa illecita: contra CARINCI M.T.).

• Non ha di per sé causa illecita illicenziamento pretestuoso perchétotalmente infondato.

• La dottrina vi colloca essenzialmente lefattispecie “atipiche” di recesso, legate afattori di discriminazione che fuoriesconodal perimetro dell’art. 15 Stat. lav.(nazionalità, disabilità, etc.).

NULLITA’ GENERALI: FRODE ALLA LEGGE

Species del genus negozio indiretto, ilrecesso in frode persegue uno scopoimmediato in sé lecito, che peròrappresenta soltanto il mezzo pergiungere allo scopo ulteriore vietato (arg.ex Cass. 10909/10 e 11372/05).

E’ stato talora prospettato con riferimento ad ipotesi di cessione di rami di aziende asoggetti che, per le loro caratteristiche e in base alle circostanze del caso concreto,lasciavano intravvedere, come probabile e ravvicinata, la cessazione dell’attivitàimprenditoriale (è stata in tal caso ipotizzata la nullità della cessione per frode alladisciplina della legge sui licenziamenti collettivi, conseguenti — ex art. 24 l. n. 223 del1991 — alla chiusura, infine intervenuta, dell’insediamento produttivo). Laprospettazione non ha ottenuto il favore della giurisprudenza (Cass. 6969/13 ha, daultimo, ritenuto che dal sistema di garanzie apprestate dalla citata l. n. 223 del 1991non fosse possibile enucleare un precetto che vietasse, ove anche fossero in attosituazioni che potessero condurre agli esiti da tale legge regolati, di cedere l’azienda(ovvero imponesse di cederla, solo a condizione che non sussistessero elementi tali darendere quegli esiti inevitabili); né un divieto del genere fosse desumibile da altredisposizioni (come quella che regola la cessione, l’art. 2112 c.c.). Non è dunque in frodealla legge né la cessione in sé, né la combinazione negoziale costituita dalla cessione edai successivi licenziamenti.

Ricadrebbe senza meno nell’art. 1344 c.c., alcontrario, il licenziamento irrogato al lavoratore,in concomitanza del trasferimento aziendale,dall’impresa cedente, seguito dalla prontariassunzione ad opera della cessionaria, ovel’operazione avesse lo scopo di eludere le normeimperative (ex art. 2112 c.c. già menzionato)sulla responsabilità solidale e la continuitàgiuridico-economica del rapporto.

NULLITA’ GENERALI: MOTIVO ILLECITO

• E’ così viziato il licenziamento che persegue finalità vietatadall’ordinamento, poiché contraria a norma imperativa o ai principidell’ordine pubblico o del buon costume, ovvero poiché diretta adeludere, mediante il negozio, una norma imperativa (Cass. 16130/09).

• Il motivo illecito vizia il recesso, se è stato unico e determinante aifini della formazione della volontà negoziale (art. 1346 c.c.). La provaincombe sul lavoratore.

• E’ tale il licenziamento ritorsivo (nondiscriminatorio).

• Lo è il recesso datoriale reiterato, se dettato dafinalità elusive di precedente pronuncia giudizialedi reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro(Cass. 15093/09).

• Non lo è, di per sé solo, il licenziamento purpalesemente ingiustificato (Trib. Asti 22 febbraio2016, ilgiuslavorista.it, 2016, 6 aprile). La casisticagiurisprudenziale è molto ampia.

NULLITA’ VIRTUALI

Le nullità virtuali discendonodall’applicazione (residua) delprecetto ex art. 1418 c.c.

Il suo primo comma dichiara nulli gli atti negozialicomunque contrari a norme imperative, la cuiricognizione (in mancanza di espressacomminatoria) è però in tal caso lasciataall’interprete.Questi deve previamente vagliarnel’inderogabilità, e la conseguente effettivaricaduta sanzionatoria.

Ipotesi chiare di nullità virtuale: artt. 4 l. n. 146 del 1990 (i lavoratori che, addetti a servizi pubblici

essenziali, si astengono dal lavoro in violazione delle disposizioni stabilite,sono soggetti a sanzioni disciplinari proporzionate alla gravitàdell’infrazione, “con esclusione delle misure estintive del rapporto o diquelle che comportino mutamenti definitivi dello stesso”);

51, terzo comma, Cost. (l’eletto a funzioni pubbliche ha diritto, tra l’altro,di conservare il suo posto di lavoro);

art. 1, comma 7, della l. n. 68 del 1999 (i datori di lavoro, pubblici e privati,sono tenuti a garantire la conservazione del posto di lavoro a quei soggettiche, non essendo affetti da disabilità al momento dell’assunzione, leabbiano acquisito per infortunio sul lavoro o malattia professionale).

Vi rientra anche il recesso da superamento comporto,erroneamente ritenuto (Cass. 24525/14).

Queste fattispecie sono sottratte all’applicazionedell’art. 2 d.lgs. n. 23 del 2015.

Spetta però la tutela di diritto comune.

LICENZIAMENTO VERBALE

E’ inefficace (art. 2 l. n. 604 del1966).

Ante Jobs Act: fino a legge Fornero, tutela di dirittocomune per le piccole imprese eorganizzazioni di tendenza; reintegrazione«piena» per le altre;post Fornero, seconda soluzionegeneralizzata.

Soluzione mantenuta dal d.lgs. n. 23 del2015.

Questione di maggior rilievo è qui accertare,in presenza di contesa sul punto, se ilrapporto si sia interrotto per recesso(verbale) o per dimissioni (tacite):giurisprudenza prevalente pone sul datoreonere di provare le dimissioni.

LICENZIAMENTO DISABILE

• «Disabilità» qui da intendere, in senso lato, come «inidoneità al lavoro»(soluzione non pacifica).

• Differenza tra siffatta inidoneità (che ha carattere permanente, o quantomeno durata indeterminata o indeterminabile, non implicanecessariamente l’impossibilità totale della prestazione e consente infine larisoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c.,eventualmente previo accertamento di essa con la procedura stabilitadall’art. 5 Stat. lav., indipendentemente dal superamento del periodo dicomporto: Cass. 1404/12) e malattia/infortunio (stati che hanno caratteretemporaneo, implicano la totale impossibilità della prestazione edeterminano, ai sensi dell’art. 2110 c.c., la legittimità del licenziamentoquando hanno causato l’astensione dal lavoro per un tempo superiore alperiodo di comporto).

Ipotesi tipiche ex articoli 4, comma 4,e 10, comma 3, l. n. 68 del 1990, cui ècomunque da aggiungere lafattispecie-madre:

(erroneo apprezzamento dellainidoneità, in toto mancante).

Differenza tra disabilità ed handicap, lororilevanza anche come fattori didiscriminazione, difficoltà di delimitazionetra recessi che vi si ispirino e ragione dellaconseguente riconduzione della fattispecie inseno all’art. 2 d.lgs. n. 23 del 2015 

TUTELA REALE «ATTENUATA» eAMBITO DI APPLICAZIONE

Differenze con la tutela piena:

Entità del risarcimento: non è previsto (come non lo era già nell’art. 18Stat. lav. da ultimo riformulato) il limite minimo delle cinque «quote» diforfait irriducibile, ed è introdotto un limite massimo, per quanto riguardail periodo antecedente la pronuncia di reintegrazione, che è pari a dodici«quote».

Non debenza di sanzioni per omissione contributiva da parte del datore.

Possibilità di detrarre aliunde percipiendum, in caso di mancataaccettazione (da parte del lavoratore) di congrua offerta ai sensi del d. lgs.n. 150 del 2015, art. 21 comma 7, in materia di politiche attive del lavoro[eccezione in senso stretto, onere della prova sempre datoriale].

Si applica ai soli recessi disciplinari ingiustificati,rispetto ai quali “sia direttamente dimostrata ingiudizio” l’insussistenza dell’addebito; intesoquest’ultimo come “fatto materiale” già oggetto dellacontestazione sfociata nel licenziamento, esclusa ognivalutazione sulla “proporzione” tra i due termini dellarelazione.

FATTO MATERIALE INSUSSISTENTE

La nozione coincide – ma si è a cospetto di unodegli snodi interpretativi più «controversi» - conquella di “inadempimento imputabile”, ossia diaccadimento (condotta ed eventualmente evento,con relativo nesso di causalità) che integri unillecito disciplinare e che sia riconducibile allavoratore ed alla sua suitas (capacità naturale,coscienza e volontà).

In quest’ultima, e nel coefficiente psicologiconecessario perché si configuri responsabilitàcontrattuale ex art. 1218 c.c. (esclusa dallaricorrenza della causa non imputabile, ossiatanto dalla forza maggiore che dal fortuito), siesaurisce la componente soggettiva che fa purcorpo con la nozione in esame.

Il grado della colpa, e l’intensità del dolo, pur generalmente rilevanti ai fini del riscontrodella giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, sono a tale nozione invece estranei(tali elementi attengono infatti al giudizio di proporzione di cui all’art. 2106 c.c., che è sìparte dello statuto ontologico della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo, èpositivamente necessario per l’affermazione di giustificatezza del licenziamento ma nonentra in gioco per l’applicazione della tutela reale).Il profilo giuridico rileva nella stretta misura in cui (valga a misurare che) il fatto addebitatocostituisca negazione degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, sia cioè inquadrabilecome inadempimento. Quest’ultimo va escluso anche allorché, per l’insignificanza dellamancanza, non sia seriamente postulabile alcuna trasgressione di natura disciplinare; oallorché il fatto torni lecito per l’operare di una causa di giustificazione ammessa dalla legge(legittima difesa, stato di necessità, etc.).La giurisprudenza di legittimità su l. Fornero (Cass. 23669/14, 20540/15) avalla talericostruzione.

(Segue): esemplificazione

La reintegrazione può essere dunque disposta solo se il lavoratore non siaresponsabile dell’inadempimento contestatogli, ossia solo se,alternativamente:

il fatto storico (condotta, evento e nesso eziologico) oggettod’incolpazione disciplinare sia oggettivamente insussistente (anche solo inuna delle componenti);

esso non sia stato commesso dal lavoratore, cioè non gli appartenga,anche solo in senso psichico (manchino la “capacità naturale” di cui all’art.428 c.c., o la “coscienza e volontà” di cui all’art. 42 primo comma c.p.);

esso non costituisca affatto (nel senso sopra chiarito) un illecitodisciplinare, o quest’ultimo sia “scriminato” a norma di legge.

La reintegrazione è viceversa esclusa, tra l’altro: sia allorché il licenziamento sia irrogato per un fattoriconducibile “tra le condotte punibili con una sanzioneconservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettiviovvero dei codici disciplinari applicabili”, e ciò indifferentementedalla circostanza che le previsioni pattizie riflettano la concezionelegale di giusta causa o giustificato motivo soggettivo (o videroghino in melius, ex art. 12 l. n. 604 del 1966); sia allorché il fatto, pur rientrante tra le condotte astrattamentepunibili con il licenziamento in base alle fonti pattizie, non siaritenuto in concreto dal giudice così grave (ex artt. 2106 e 2119c.c. e 3 l. n. 604 del 1966) da giustificarlo.

INSUSSISTENZA DIRETTAMENTE DIMOSTRATAIN GIUDIZIO DAL LAVORATORE

•La reintegrazione presuppone che il lavoratoredimostri in positivo l’insussistenza dell’addebito.

•L’art. 5 l. n. 604 del 1966 non è però abrogato.L’onere di provare giusta causa e giustificatomotivo (soggettivo) resta datoriale.

Non c’è contraddizione, perché le norme operano supiani distinti: quello della qualificazione di liceità(l’art. 5 l. 604) e quello della tutela (l’art. 3 comma 2d.lgs. n. 23). Se, all’esito del giudizio, la questionedella fondatezza dell’addebito sia rimasta dubbia,l’impugnativa del lavoratore va accolta, ma èsomministrata non la tutela reale ma quellaindennitaria di cui all’art. 3 comma 1: esito checostituisce il naturale corollario dell’art. 2697 c.c.

Il lavoratore, per ottenere la reintegrazione,de dare dimostrazione «diretta»dell’infondatezza materiale dell’addebito.Formula ambigua, di difficile decifrazione.Secondo alcuni, qui si allude al divieto diprova presuntiva (MARAZZA), per altri aldivieto di attingere dalle risultanze di altrigiudizi (PERSIANI).

TUTELA INDENNITARIA: generalità

•E’ la forma ordinaria di tutela.

•Si applica a tutte le fattispecie di recesso diverseda quelle sin qui esaminate (in particolare, ailicenziamenti disciplinari con l’eccezioneindicata, ai licenziamenti economici e comunqueaventi base oggettiva, ai licenziamenti caducatiper ragioni formali).

Consiste nell’erogazione diun’indennità economica, crescente(entro limiti minimi e massimi) conl’anzianità di servizio, previadeclaratoria di definitiva estinzione delrapporto di lavoro alla data dellicenziamento (pur illegittimo).

L’indennità è rigidamente predeterminata, nessuno spazio di valutazionediscrezionale essendo rimesso al giudice; a differenza del regime ex l. n. 92del 2012 (ove essa era graduabile a seconda, oltre che dell’anzianità diservizio, del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attivitàd’impresa, del comportamento e delle condizioni delle parti, della gravitàdella violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro).L’indennità ha carattere forfettario, insensibile come tale ad aliundeperceptum o percipiendum, ed onnicomprensivo, giacché ristora l’interodanno patrimoniale. Non è invece escluso che il lavoratore possa averesubito danni ulteriori, che fuoriescono dal relativo perimetro (allaprofessionalità, all’immagine, esistenziali, biologici, morali), il cui ristoropuò concorrere — ove se ne dia rigorosa allegazione e dimostrazione — conl’attribuzione dell’indennità medesima. Essa non è assoggetta acontribuzione previdenziale.

(Segue): anzianità di servizio

• L’anzianità di servizio decorre dall’assunzione,formalizzata o giudizialmente accertata. L’onere diprovare una decorrenza di inizio rapporto, anteriore aquella risultante dalle comunicazioni e registrazioniobbligatorie, spetta (art. 2967 c.c.) al lavoratore.

• Per le frazioni d’anno, gli importi sono calcolati proparte, e le frazioni uguali o superiori a 15 giornivalgono come un mese intero (restando irrilevanti lefrazioni inferiori).

• Per il lavoratore che passi alle dipendenze dell’impresa subentrantenell’appalto, nelle ipotesi regolate dall’art. 29 comma 3 d.lgs. n. 276 del2003, l’anzianità — ai fini in discorso — include il periodo passato (inrelazione all’appalto medesimo) alle dipendenze dell’impresa cessante.Norma importante perché, in difetto, sarebbe ovviamente valsol’opposto principio.

• Nelle ipotesi ex art. 2112 c.c., come pure nei rapporti preceduti da pattodi prova o contratto di formazione lavoro (sul punto ultimo v. S.U.20074/10), l’anzianità è quella iniziale.

• Così pure in caso di «conversione» giudiziale del rapporto a termine, edanche – a dispetto dell’apparenza – per l’ipotesi di conversione«negoziale», in base all’art. 4 direttiva 1999/CE/70 e alla giurisprudenzaCGUE che ne ha chiarito la portata.

• Si contano, ai fini dell’anzianità, gli stati ex art. 2110 c.c.

(Segue): entità

Si calcola secondo i medesimi criteri previsti perl’indennità accessoria alla reintegrazione, o sostitutivadella medesima, già esaminati; criteri che fannoriferimento — anziché alla «mensilità dell’ultimaretribuzione globale di fatto» – alla «quota mensile»dell’ultima retribuzione annua ex art. 2120 c.c. (v.supra).

• Al lavoratore indebitamente licenziato spetteranno una o duequote (v. subito infra) per ciascun anno di servizio, con tettiminimi e massimi, secondo quanto meglio previsto nel testolegislativo. Per le c.d. piccole imprese operano le riduzioni di cuiall’art. 9, comma 1.

• Esiste una differenziazione a seconda della ragione sottesa alrecesso. Due quote l’anno sono previste se il licenziamento èingiustificato sotto il profilo sostanziale; una quota l’anno inpresenza dei vizi, definiti di natura formale e procedurale,previsti dall’ art. 4 del d.lgs. in esame.

• E’ così possibile distinguere, anche nell’ambito della tutelaindennitaria, tra una protezione «forte» e una protezione«debole».

TUTELA INDENNITARIA «FORTE»

• Si applica dunque:

ai licenziamenti disciplinari esclusi dalle previsioni di cui all’art. 3, comma 2;

ai licenziamenti economici (sui quali v., da ultimo, Cass. 25201/16, 13116/15, 5173/15);

ai licenziamenti ulteriori su base oggettiva (non riconducibili alla sfera volitiva dellavoratore), quali:

l’intervenuta custodia cautelare del dipendente, o la sua carcerazione dietrocondanna definitiva, per fatti estranei al servizio (che legittimano il licenziamentosolo una volta venuto meno l’interesse del datore di lavoro a ricevere le sue ulterioriprestazioni: Cass. 12271/09);

la sottoposizione a misura di sicurezza detentiva: Cass. 19315/16;

la perdita di abilitazioni amministrative prodromiche allo svolgimento dell’attivitàlavorativa (Cass. 25073/13); 7 novembre 2013 n. 25073);

l’oggettivo scarso rendimento (Cass. 18678/14).

Vi ricadrebbero – se non fossero attratti nell’area dellatutela reale «piena» - la sopravvenuta inidoneità,fisica o psichica, del lavoratore a rendere laprestazione, e la malattia (o infortunio) che oltrepassiil comporto.

Ricadono nella tutela in argomento (perché risulteranno, siapure ex post, privi di motivo oggettivo idoneo asorreggerli): i casi in cui — esercitato dal datore il recesso a-causale,sul presupposto che la natura del rapporto lo consentisse(periodo di prova e apprendistato a fine periodo diformazione appaiono le fattispecie più rilevanti) —interviene la riqualificazione giudiziale del rapporto stesso inuno ordinario a tempo indeterminato (per vizi genetici, o,per l’apprendistato, anche solo funzionali);

i casi in cui, nelle medesimefattispecie, il recesso a-causale risultigiudizialmente tardivo (e cada cosìnell’ambito del rapporto ormaistabilizzato, che più non lo tollera);

le ipotesi di recesso (o disdetta) dallecollaborazioni autonome a tempo indeterminato(o a rinnovazione tacita), in giudizio riqualificateex tunc come lavoro dipendente, che a quelpunto risultino non giustificate (o giustificate inmodo non pertinente);

verosimilmente, i recessi diquest’ultimo tipo nell’ambito dellecollaborazioni organizzate dalcommittente, di cui all’art. 2 d.lgs. n. 81del 2015 (se si ritiene che scatti qui lostatuto del lavoro dipendente: cfr. subpar. 4.1).

TUTELA INDENNITARIA «DEBOLE»

Riguarda:

Il licenziamento (oggettivo) privo di motivazione

(ora prevista ab origine, con previsione tuttavia resa così assai blanda)

Il licenziamento disciplinare intimato in violazione delle garanzie della difesa (e delcontraddittorio) di cui all’art. 7 Stat. lav.

Se però sono denunciati vizi «sostanziali, il loro scrutinio avrà la precedenza, per lamaggior tutela riconnessavi dall’ordinamento: in precedenza, valeva il principiodella ragione più liquida.

Sull’art. 7 Stat. lav.

Non rientra nell’ambito dei vizi procedurali ex art. 7:

la mancata pubblicazione del codice disciplinare, ove necessaria (l’opinioneprevalente infatti lo esclude, ed assimila la fattispecie alle ipotesi diingiustificatezza sostanziale, come conseguenza del mancato assolvimento di unonere da cui dipende l’esistenza del potere di licenziare: TREMOLADA, DI PAOLA,BARBIERI);

la totale pretermissione della contestazione disciplinare, che determina la«inesistenza» del procedimento (Cass. 25745/16);

l’ipotesi del licenziamento viziato, una volta completato l’iter disciplinare, daintempestività della sua intimazione; la violazione del requisito di tempestività èinfatti elemento costitutivo del potere di licenziare (Cass. 23669/14); dettorequisito è anche formalmente estraneo alla procedura e risponde alla diversaratio di tutela dell’affidamento del lavoratore (già difesosi, o messo in condizionedi farlo), indotto dalla “tolleranza” datoriale rispetto all’inadempimento.

Costituisce invece vizio «formale»:la mera insufficienza o genericità dell’addebito(Cass. 16896/16);la violazione dell’obbligo datoriale di sentirepreviamente il lavoratore a discolpa (Cass. 25189/16);violazioni che incidono sui termini a difesa,sull’assistenza sindacale, etc.

EQUILIBRIO SISTEMA

Nel quadro sopra delineato esiste il rischio dicondotte datoriali strumentali, tese amascherare il recesso disciplinare e asimulare recessi economici (o oggettivi).

• Perché la protezione del lavoratore non ne risenta, èindispensabile ammetterlo a dedurre (e dimostrare, ma senzalimitazioni probatorie) che, dietro l’accampata ragione “oggettiva”,se ne nasconda una “disciplinare”.

• Resta infatti sottratta al datore la possibilità di qualificarearbitrariamente la ragione giustificatrice del recesso, attribuendovalore oggettivo a quello viceversa fondato su comportamentoriconducibile alla sfera volitiva del lavoratore, lesivo dei suoidoveri contrattuali (e, come tale, ontologicamente disciplinare:Cass. 23735/16).

• Per contro, se l’ambito disciplinare realmente non è coinvolto, nonè in alcun modo possibile — pur a fronte di recessi totalmenteingiustificati (o “pretestuosi”) — dare ingresso alla reintegrazione.

REVOCA DEL LICENZIAMENTO

• La disciplina qui non si discosta da quella introdotta dalla l. Fornero.

• E’ dunque possibile, quale atto unilaterale del datore (non bisognosodi accettazione ex adverso), purché intervenga nei 15 giornidall’impugnativa, anche stragiudiziale.

• Il rapporto viene allora ripristinato con effetto ex tunc, con diritto dellavoratore a percepire le intere retribuzioni del tempo antecedente larevoca e con esclusione di ogni altro effetto sanzionatorio (in passatosi riteneva, per lo più, che fossero comunque dovute le cinquemensilità di risarcimento minimo, e potesse essere chiesta l’indennitàsostitutiva di 5 mensilità).

• Il regime si applica, dal lato oggettivo, a qualunquetipologia di licenziamento. Non riguarda, però, lecategorie escluse dall’applicazione del d.lgs. n. 23 del2015, ossia la dirigenza ed il pubblico impiego (neppuredestinatarie, in parte qua, della previsione di cui alvigente art. 18, decimo comma, Stat. lav., e dunquelasciate sul punto sotto l’egida del diritto comune).

• Scaduti i quindici giorni concessi al datore di lavorodall’art. 5 d.lgs. n. 23, la revoca resta ancora possibile maalle condizioni generali antevigenti (occorre accordolavoratore).

OFFERTA DI CONCILIAZIONE - generalità

• E’ una novità del testo in esame.

• Intimato il licenziamento ed entro i termini d’impugnativa del medesimo(sessanta giorni dalla comunicazione), sia stata o meno l’impugnativa giàproposta, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, a definizione dell’insorta oinsorgenda controversia, un importo pari ad una «quota mensile» dellaretribuzione annua ex art. 2120 c.c., per ciascun anno di servizio, con un minimodi due quote ed un massimo di diciotto (per le c.d. piccole imprese, gli importisono dimezzati, e si applica il tetto massimo di sei).

• L’offerta (che vale come proposta irrevocabile, ex art. 1333 c.c.: VALLE) deveessere reale, e ha ad oggetto la dazione di un “assegno circolare” (che la leggeequipara così al denaro contante, come anche Cass. 30 novembre 2011 n. 25569).

• La sua accettazione da parte del lavoratore — che può intervenire anche dopo ilsessantesimo giorno — perfeziona la transazione, ed importa la definitiva estinzionedel rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnativa (o l’abbandonodel relativo giudizio, se già promosso).

• L’importo corrisposto a seguito della conciliazione non costituisce reddito imponibileai fini irpef e non è assoggettato a contribuzione previdenziale.

• La “vantaggiosità” fiscale riguarda strettamente tale somma e non si estende a quelleulteriori eventualmente pattuite “a chiusura” di qualunque altra “pendenza” connessaal rapporto, come è espressamente disposto (onde anche la necessità, in questo caso,che le diverse “poste” siano chiaramente distinguibili: AMENDOLA).

• Il principio si applica anche alla contribuzione (la cui obbligazione è altrimentiinsensibile alla volontà negoziale, che regoli diversamente l’obbligazione stessa orisolva con un contratto di transazione la controversia relativa al rapporto di lavoro:Cass. 3685/14).

• La conciliazione deve avvenire in sede “protetta”, ai sensi dell’art. 2113, quarto comma,c.c.

(Segue): questioni particolari

• In caso d’inesatta quantificazione della somma dovuta (che è prefissata dalla legge), il beneficiofiscal-contributivo non si estende al surplus (FALSONE); restando le parti tenute verso il fisco(secondo lo schema della responsabilità solidale, ex art. 35 d.P.R. n. 602 del 1973) dell’eventualeimposta non dichiarata e non versata. Né è da ritenere che, sul punto, competano poteri dicontrollo ai soggetti od organismi di cui all’art. 2113 c.c. (contra, RAUSEI).

• Tra le « pendenze altre », escluse dal beneficio, sono ragionevolmente comprese anche leeventuali rivendicazioni di una maggiore anzianità di servizio, pur influenti sull’importo oggetto diconciliazione; ciò non impedisce alle parti di regolare tali aspetti, eventualmente parametrandovil’indennità, ma senza poter godere in parte qua dell’agevolazione (VOZA).

• il meccanismo fiscale (e contributivo) agevolato costituisce un onere per la finanza pubblica (ilcomma 2 dell’art. 6 in commento ne regola espressamente la copertura) e non sembra possibileestenderlo oltre il limite temporale stabilito, che è dunque tassativo (né a rapporti sorti ante 7marzo 2015).

• E’ discusso se la conciliazione in esame possa intervenire anche rispetto ai licenziamenti regolatidall’art. 2 (per la tesi affermativa, preferibile, tra gli altri BUCONI, ROSSI, CESTER; contra, MASSI).

PICCOLE IMPRESE E ORGANIZZAZIONITENDENZA

• Scompare la tutela obbligatoria.

• Le piccole imprese vengono ricondotte sotto la normativacomune, con l’esclusione della tutela reale per le fattispeciedisciplinari e un livellamento verso il basso degli indennizzi.

• La nozione di organizzazione di tendenza perde di rilievo ainostri effetti. Esse sono assoggettate, nei limiti temporali esoggettivi sopra esposti, alle nuove disposizioni (e qui c’èinnalzamento tutela, divenendo possibile la reintegrazione incasi prima non contemplati).

LICENZIAMENTI COLLETTIVI

• Si applica la riforma, nel suo perimetro temporale esoggettivo.

• il licenziamento collettivo intimato in assenza di forma scrittacade sotto l’art. 2 (tutela reale “piena”).

• La violazione delle procedure (art. 4, comma 12, l. n. 223 cit.,e art. 24 che lo richiama) o dei criteri di scelta (art. 5, comma1, stessa legge, e art. 24 che lo richiama) è assoggettata alregime di cui all’art. 3 comma 1 (tutela indennitaria c.d.forte).

PROFILI DI DIRITTO EUROPEO: fonti

Le fonti UE rilevanti sono:

il principio di non discriminazione, che è un principio generale del diritto dell’Unione(suscettibile di applicazione diretta ad opera del giudice nazionale);

l’art. 30 della Carta di Nizza/Strasburgo, a mente del quale « ogni lavoratore ha il dirittoalla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitarioe alle legislazioni e prassi nazionali » (no applicazione diretta)

la direttiva 98/59/CEE del Consiglio datata 20 luglio 1998, riguardante il ravvicinamentodelle legislazioni degli Stati membri relative ai licenziamenti collettivi, versione codificatadelle direttive 75/129/CEE e 92/56/CEE (contestualmente abrogate). La direttiva obbliga idatori di lavoro a consultare i rappresentanti del personale nei casi di licenziamenticollettivi. Essa precisa su quali punti debbano svolgersi tali consultazioni e qualiinformazioni utili debba fornire il datore di lavoro in tali occasioni. Inoltre, la direttivastabilisce la procedura di licenziamento collettivo da seguire regolandone le modalità. Ladirettiva non si occupa dei criteri di scelta e lascia impregiudicata la materia delle tuteleavverso le condotte datoriali violative delle regole suindicate (no applicazione diretta).

(Segue): possibili criticità

• Ove non vi è applicazione diretta, è responsabilità del legislatore internotrasporre in modo conseguente (con i margini di apprezzamento eventualmenterimessi) la normativa UE. In ogni caso spetta a lui presidiarne l’applicazione conun apparato sanzionatorio che risponda ai canoni dell’equivalenza della reazionesanzionatoria (rispetto alle fattispecie di diritto interno che a quella europeasiano paragonabili, per natura ed importanza) e dell’effettività (che a sua volta sideclina in quello della proporzionalità della sanzione e della sue efficaciadeterrente).

• Ciò posto, nella ridotta (o mancata) previsione della reintegrazione nel posto dilavoro non sembra di per sé ravvisabile alcuna violazione del sistema europeodelle fonti. È infatti da escludere che misure ripristinatorie del rapporto di lavorosiano una risposta sanzionatoria obbligata per il legislatore interno (è eloquentela giurisprudenza della Corte di giustizia formatasi in tema di precariatoscolastico, e di rapporti a termine di pubblico impiego in genere).

• In ordine alla conformazione della tutela indennitaria, occorre osservare che — mentre la l. n. 92 del2012 disegna una risposta sanzionatoria mai irrisoria (non si scende sotto i sei mesi di retribuzione) eflessibile (è il giudice che gradua la sanzione, secondo parametri che prendono in considerazione anchela condotta datoriale, più o meno “deviante” dal modello legale) — il Jobs Act prevede minimisanzionatori esigui (si può scendere sino a mezzo mese), e un automatismo nella commisurazione(secondo il sistema delle tutele crescenti) che non consente, tra l’altro, di dare alcun rilievo all’entitàdella violazione ed alle sue conseguenze rispetto alle parti del rapporto.

• Per quel che riguarda il licenziamento collettivo, il Jobs Act, come già la c.d. l. Fornero, delinea unmodello di tutela strettamente corrispondente a quello introdotto per i licenziamenti individualieconomici. Qui si può sollevare un problema di rispetto del canone di equivalenza, che si declina anchenel suo risvolto contrario. Situazioni che, nel diritto interno, per la loro dimensione solo individuale,ricevono una tutela che necessariamente riflette l’ambito ristretto dell’interesse in gioco, sonoindebitamente parificate a situazioni (specificamente rilevanti nell’ambito del diritto dell’Unione) che,per la loro dimensione collettiva e per loro attinenza con le vicende complessive di organizzazionedell’impresa, avrebbero forse meritato una qualificazione, anche agli effetti sanzionatori, più incisiva epenetrante. Inoltre, l’equiparazione depotenzia la gestione consensuale del licenziamento collettivo edil ruolo centrale del sindacato (VIDIRI, L’evoluzione della disciplina dei licenziamenti collettivi nel tempo ela certezza del diritto, ivi, 95), e sotto questo aspetto è in contraddizione latente con lo spirito dellanormativa europea, che all’informazione e consultazione sindacale, e all’auspicabile conclusionedell’accordo, si affida quale momento di sintesi delle contrapposte esigenze del lavoro e dell’impresa.

Se antinomie di tal genere fossero effettivamenteriscontrabili, non sembra praticabile la viadell’interpretazione conforme. La lettera della legge (lì dovepone la predetta equiparazione, ovvero affida laquantificazione del risarcimento ad una pura operazionearitmetica), e soprattutto le finalità dell’interventolegislativo (come ricordate sub par. 1 e 17) non appaionosuperabili mediante tecniche puramente esegetiche.Resterebbe l’intervento della Corte Costituzionale (previoeventuale rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE).

«Tenuta» costituzionale della riforma, traombre…

I più evidenti punti di frizione, alla stregua diparametri costituzionali solo interni, appaiono:

la rigida (e talora “angusta”) conformazionedella tutela indennitaria (come quelli di“svalutazione” del licenziamento collettivo e disua frettolosa equiparazione al modelloindividuale), già evidenziati, a confronto dell’art.3 Cost. (principio di ragionevolezza);

sempre rispetto al licenziamento collettivo, ed al medesimo parametro, l’obiettivitàdisparità di trattamento tra dirigenti (attratti nella disciplina ex l. n. 223 del 1991 aseguito della l. n. 161 del 2014) e lavoratori comuni; posto che ai primi l’indennizzo èliquidato (ex art. 24, comma 1-quinquies, l. n. 223 cit.) secondo standard flessibili e piùelevati di quelli che spettano ai secondi; un’analoga disparità (tra dirigenti e rimanentimaestranze) emerge anche rispetto al licenziamento individuale, ma qui i termini dellacomparazione potrebbero essere valutati come eterogenei (essendo le tutele dei primirimesse alla fonte convenzionale, e quelle dei secondi avendo diretta base legale) e laquestione perdere così di fondamento.

i dubbi incentrati su pretesi eccessi di delega: il d.lgs. n. 23 del 2015 si fonda su quellacontenuta nella lett. c) del comma 7 dell’art. 1 della legge n. 183 del 2014 , che nonconteneva principi e criteri direttivi espliciti, che autorizzassero ad intervenire su profilipur incisi dalla riforma (si pensi ai licenziamenti collettivi, che il legislatore delegato havoluto ricomprendervi, nonostante le obiezioni in tema, anche delle commissioniparlamentari, o all’istituto dell’offerta conciliativa ex art. 6 del testo — o cui collegare, adesempio, la ridefinizione, in senso restrittivo, delle fattispecie di nullità.

(Segue): … e luci

• La Costituzione non impone la piena riparazione — mediante reintegrazione —di una qualunque lesione inferta al diritto al lavoro di cui all’art. 4 della stessaCarta (il dimensionamento della tutela reale implica valutazioni e sceltediscrezionali di politica legislativa, relative a condizioni economico-socialimutevoli nel tempo: Corte Cost. 2/86; scelte differenziali in materia, fondate supresupposti obiettivi e razionalmente ammissibili, non possono dirsi in conflittocon i principi costituzionali di tutela del lavoro di cui agli artt. 4, 35, primo comma,e 41, secondo comma, Cost.: id., 189/75).

• Nel contesto del Jobs Act la tutela reale è conservata per le patologie più gravi delrecesso datoriale, e per le fattispecie “odiose”, che fanno appello ai dirittifondamentali della persona umana; e tanto sembra assicurare, anche in chiavecomparatistica, il livello minimo di tutela costituzionalmente imposto (v. anchesentenza Corte Cost. 46/00, secondo cui l’art. 18 Stat. lav., per quanto espressivodi esigenze ricollegabili ai principi costituzionali in materia di lavoro, non concretal’unico possibile paradigma attuativo dei principi medesimi).

• Disparità tra lavoro pubblico e privato, che derivano dall’inapplicabilità del Jobs Act al primomondo, non appaiono censurabili, stante la disomogeneità delle fattispecie a raffronto.

• Lo scorrere del tempo, e la collocazione in esso dei fatti giuridici, possano legittimare unadiversa modulazione dei rapporti che ne scaturiscono (a proposito di rapporti assoggettatial Jobs Act ratione temporis e di rapporti esclusi): ma meno salda è la conclusione per ilicenziamenti collettivi, che coinvolgano lavoratori al di qua ed al di là del discriminetemporale.

• Infine, latenti incompatibilità con la Carta fondamentale possono essere scongiuratemediante l’adozione di interpretazioni “conformi” di diritto interno, quali l’inclusione, tra lenullità sanzionate dall’art. 2 comma 2 del testo legislativo,delle nullità c.d. testuali di ordinegenerale; l’esclusione dell’abrogazione dell’art. 5 l. n. 604 del 1966, in tema di oneredatoriale della prova della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo; un’equilibratalettura, in seno alla fattispecie di cui all’art. 3 comma 2 del testo stesso, del requisito della“diretta” dimostrazione dell’infondatezza dell’addebito.

Prescrizione

• Il rapporto di lavoro ha perso la stabilità reale, già assicuratadall’art. 18 Stat. Lav.

• Venuta meno quest’ultima reale come principio informatoredel sistema, cardine della disciplina dei licenziamentiindividuali, il regime di prescrizione dei crediti lavoristicitorna agli albori, ossia all’assetto pre-statutario:sospensione del suo corso per tutto il tempo di durata delrapporto, in base alle sentenze Corte Cost. 63/66 e 45/79).

Rito

•Alle impugnative dei licenziamenti Jobs Actsi applica la disciplina processuale comune.

•Rito Fornero resta applicabile rispetto a tuttii rapporti di lavoro instaurate ante d.lgs. n.23 del 2016 e rispetto alle categorie escluse.

Questioni aperte restano: l’operatività della disciplina dellaconnessione (art. 40 c.p.c.) e riunione dicause (art. 274 c.p.c.) tra impugnativeFornero e impugnative «nuovo regime»;La possibilità di mutare il rito se si sia agitoex Fornero in controversie che (come sopra)più non lo contemplano.