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La cucina italiana si è sviluppata attraverso secoli di cambiamenti politici e sociali, con radici che risalgono al IV secolo a.C. La cucina italiana stessa è stata influenzata dalla cucina dell'antica Grecia, dell'antica Roma, bizantina, ebraica e araba e normanna. Importanti mu-tamenti si ebbero con la scoperta del Nuovo Mondo e l'introduzione di nuovi ingredienti come patate, pomodori, peperoni e il mais, ora fondamentali nella cucina ma introdotti in quantità solo nel XVIII secolo. La cucina italiana è conosciuta per la propria diversità a livello regionale, abbondanza nel gusto e nei condimenti, è inoltre ritenuta la più famosa nel mondo, con influenze a livello internazionale, tanto che l'emittente televisiva statunitense CNN la colloca al primo posto tra le cucine più apprezzate a livello globale. La caratteristica principale della cucina italiana è la sua estrema semplicità, con molti piatti composti da 4 fino ad 8 ingredienti. I cuochi Italiani fanno affida-mento sulla qualità degli ingredienti piuttosto che sulla complessità di preparazione. I piatti e le ricette, spesso, sono stati creati dalle nonne più che dagli chef, ed è per questo che molte ricette sono adatte alla cucina casalinga. Molti piatti che una volta erano conosciuti solo nelle regioni di provenienza, si sono diffusi in tutta la penisola. Il formaggio ed il vino costituiscono una parte importante della cucina, con molte variazioni e una tutela legale specifica, la Deno-minazione di origine controllata (DOC). Anche il caffè, specialmente l'espresso, è divenuto importante nella cucina italiana. Accanto al gusto della cucina italiana si aggiungono i pre-libati piatti della tradizione locale. Il Canavese e la Valle d'Aosta sanno offrire anche ai palati più esigenti autentici capolavori culinari, che utilizzando carni e verdure insieme a farine e latticini del luogo, con vini doc, fanno sempre più parte di un antico retaggio che si tramanda di generazione in generazione. Ennio pedrini

editoriale

LA cucinA TiPicA Di cAnAvEsE E vALLE D'AosTAla cucina cnavesana è una cucina ricca ed elaborata; ciononostante, è pro-fondamente radicata nel territorio. Infatti essa nasce da un connubio fra la sua origine contadina e le esigenze raffinate della Corte sabauda, entrambe aperte, oltretutto, alle influenze della cucina francese. Inoltre, la grande on-data di immigrati degli anni sessanta e settanta, provenienti dalle regioni del Mezzogiorno, ha portato a Torino le tradizioni culinarie del Sud, così come il più recente fenomeno migratorio dai Paesi extracomunitari ha, invece, deter-minato l'apertura di numerosi ristoranti etnici. I più diffusi in città sono i risto-ranti cinesi, indiani e mediorientali (soprattutto le gastronomie arabe e turche), ma vi sono locali che propongono la cucina spagnola, messicana, argentina, brasiliana, libanese, etiope e giapponese. Ciononostante, al di fuori delle cit-tà, emergono nelle Langhe come in Canavese, le tradizioni culinarie che sono oggetto anche di ricerca storica e soprattutto dei buongustai. Come per la vici-na bassa Valle d'Aosta, sono innumerevoli le sagre e gli incontri gastronomici proposti non solo ai residenti ma offerti ad ampio raggio ai molti turisti che si avvicinano alla tavola locale con le idee chiare, senza dimanticare i vini che con il Carema e il bianco di Caluso la fanno da padroni sulle tavole imbandite. A seguire alcune delle migliori ricette da provare a casa, o da confrontare con la ricetta della Nonna, per gustare qualcosa dell'antica eccellenza in tavola.la cucina valdostana Paragonata al resto d'Italia, si evidenzia soprattutto per l'assenza del frumento, che ha portato al pane di segale. Un altro elemen-

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to che scarseggia nei piatti tradizionali è l'olio, sostituito da burro ed altri grassi vegetali e animali. Vivendo di prodotti locali e limitando gli scambi con l'esterno al minimo, si può definire la tradizione culinaria della Valle d'Aosta come l'u-nica cucina locale che si distacca dalla tradizione delle al-tre cucine italiane, mostrando grandi affinità con le regioni transalpine limitrofe (la Savoia, l'Alta Savoia e il Vallese).I prodotti locali sono essenzialmente cereali di montagna, prodotti caseari bovini e caprini, carni e derivati di bovini, suini e di camoscio. Oltre ai Prodotti agroalimentari tradizio-nali locali, gli ingredienti principali sono: verdura (rape, porri, cipolla), patate, castagne, mele e pere. Alcuni prodotti hanno superato i confini regionali: formaggio DOP fontina, fondu-ta e polenta concia, oltre alla vasta gamma di vini DOC. Un marchio denominato Saveurs du Val d'Aoste è stato creato per la salvaguardia dei prodotti tradizionali a livello locale.

Gli agnolotti pie-montesi o più sem-plicemente agno-

lotti sono una specialità di pasta ripiena tradizionale del Piemonte. L'origine del nome è incerta: la tradizione popolare identifica in un cuoco monferrino di nome An-

agnolotti e ravioli

È preparato con uno specifico taglio di carne (il girello di

fassone) marinato nel vino bianco secco e aromi (ca-rota, sedano, cipolla, alloro) per almeno mezza giorna-ta, poi bollito in acqua con tutta la marinata. Il piatto è servito freddo avendo tagliato a fettine sottili il girello

vitello tonnato

e avendole disposte nel piatto completamente ricoperte con una salsa a base di tonno sott'olio (salsa tonnata).Oltre alla più diffusa versione fredda, era un tempo molto diffusa, specie in Lombardia, la versione calda, che pre-vedeva il taglio di carne arrostito e servito con la salsa addensata con farina e limone.La salsa è preparata frullando il tuorlo delle uova sode

con capperi, talvolta acciughe sotto sale, olio extravergi-ne d'oliva, vino bianco, qualche goccia di succo di limo-ne, sale e pepe. Il tonno può essere aggiunto e frullato insieme o aggiunto alla fine senza frullarlo per avere un presenza più evidente. Per semplicità di preparazione spesso si utilizza la maionese fatta in casa, con tonno, capperi e aromi. Nel libro La cucina degli stomachi de-boli, più volte edito nel 1800, la ricetta ha tre varianti.

giolino, detto Angelot, la formulazione della ricetta; in seguito la specialità di Angelot sarebbe diventata l'at-tuale agnolotto. Un'altra teoria più moderna fa derivare il nome dal dialetto piemontese 'anulòt' che nient'altro era che un ferro adoperato per tagliare questa pasta a forma di anello, che a detta di alcuni era appunto la for-ma primitiva che assunsero gli agnolotti.Sia gli agnolotti piemontesi che gli agnolotti del plin sono inseriti nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizio-nali italiani, stilato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e quindi tutelati secondo un disci-plinare della Regione Piemonte. Pur potendo essere cu-cinati in diversi modi, sono quattro le ricette tradizionali:

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Il bagnet verd è una tipica salsa pie-montese a base di

prezzemolo e acciughe sotto sale, spesso servita con il bollito, sui tomini, le acciughe oppure su altre pietanze.

bagnetto verde

Il bollito misto è un secondo piatto a base di vari tagli di

carne bolliti diffuso specialmente in Canavese. La carne, servita calda o fredda, è generalmente accompagnata da verdure bollite insieme alla carne, solitamente caro-te, cipolle, sedano e patate, salse o altri contorni come purè di patate e mostarda.

bollito misto

I tagli tradizionalmente più utilizzati del manzo sono: scaramella, coda, muscolo, lingua, testina.Ad essi vengono aggiunti altri tagli bovini tra i quali la spalla, il brut e bon (brutto e buono), il tenerone, il fiocco e il "cappello del prete". Se si è interessati ad utilizzare

con sugo di carne arrosto. con burro, salvia e grana pa-dano o parmigiano reggiano. con ragù di carne alla pie-montese. in brodo di carne.La ricetta classica non prevede la creazione di agnolotti piemontesi di magro: nel raro caso vengano prodotti, sono comunque denominati ravioli; allo stesso modo sono denominati ravioli gli agnolotti piemontesi conte-nenti un ripieno a base di fontina, comuni nel Canavese e nella Valle d'Aosta.

È stato incluso tra i prodotti agroalimentari tradizionali (P.A.T.) piemontesi. Nella preparazione intervengono i seguenti ingredienti: prezzemolo, acciughe sotto sale (previa dissalatura), mollica di pane, aglio, olio di oliva, aceto di vino, tuorlo d'uovo (non necessario), capperi sotto sale (non necessari), sale e pepe (la salatura è condizionata alla quantità di acciughe rispetto agli altri ingredienti: infatti queste, per quanto ben pulite, con-tengono sempre un'elevata quantità di sale).Il nome deriva dal colore conferitogli dall'ingrediente principale, cioè il prezzemolo. È simile al Bagnet ross.Nella cucina di altre regioni italiane si utilizzano salse

analoghe. È una ricetta nata nel XIX alla corte di re Car-lo Alberto per insaporire la carne.Preparazione: La mollica di pane viene imbevuta di aceto, poi strizzata e messa in una ciotola. A parte si trita il prez-zemolo e l'aglio unendo poi le acciughe dissalate, pulite e private della lisca, il tuorlo d'uovo ed eventualmente un po' di peperoncino, anch'esso tritato. Infine si unisce il tutto regolando il sale ed aggiungendo abbondante olio di oliva fino a rendere la salsa piuttosto fluida. Pri-ma di servirla la salsa va fatta riposare per almeno una mezz'ora. In alternativa al tradizionale sminuzzamento degli ingredienti con la mezzaluna può essere utilizzato il frullatore ad immersione, e le acciughe possono es-sere sostituite da pasta di acciughe

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Durante la seconda guerra mondiale, i contadini del Ca-

navese e i torinesi sfollati in quella zona per sfuggire ai bombardamenti iniziarono ad aggiungere le patate bol-lite alla carne per ovviare alla scarsità di materia prima necessaria alla preparazione dei salami.L'insaccato viene preparato con patate bollite alle quali viene mescolata, con il tritacarne, una eguale quantità di carne suina, a sua volta per metà magra e per metà grassa. L'impasto è inoltre salato e viene insaporito con spezie in polvere tra le quali pepe, cannella, noce

salame di patate

moscata e chiodi di garofano nonché con grani di pepe interi. Il tutto viene poi insaccato nel budello di maiale e infine lasciato riposare per un paio di giorni prima del consumo. La produzione avviene nella stagione fredda, in genere tra settembre e aprile.Il salame di patate viene consumato spalmato su crostini di pane, oppure dopo essere stato riscaldato al forno o ancora come ingrediente per la preparazione della frittata. Va conservato in frigorifero e possibilmente consumato entro la settimana.

successivamente il brodo occorre aggiungere la carne nell'acqua fredda, togliere la schiuma che si forma quan-do inizia a bollire e solo successivamente aggiungere gli odori, se invece il brodo non interessa si può aggiungere la carne all'acqua in ebollizione. Spesso oltre alla carne di manzo è presente anche quella di cappone, in alterna-tiva la gallina o il pollo ruspante. Talora viene aggiunto anche del maiale, sotto forma di zampone o cotechino, che devono essere cotti a parte (così come la lingua).La tradizionale ricetta del Gran bollito misto alla pie-montese, detta anche del Bollito storico risorgimentale piemontese perché particolarmente gradita a re Vittorio Emanuele II, comprende sette tagli principali di manzo, cotti insieme nella pentola più grande, sette ammennicoli (ovvero tagli di carne da cuocersi in pentole separate), sette bagnetti o salse, un richiamo (lonza di maiale) e quattro contorni (patate lesse, spinaci al burro, funghi trifolati e cipolle in agrodolce). Al termine è consigliata una tazza di brodo ben caldo.Il bollito viene spesso accompagnato da salse, tra le quali: maionese, senape, cognà, bagnet verd, bagnet ross e salsa verde; spesso sono presenti la mostarda di Cremona o la cognà e una ciotola di brodo bollente. Il piatto è tradizionalmente invernale, ma non è inusua-le reperirlo anche in altri periodi dell'anno. Per accom-pagnare il bollito misto vengono consigliati vini rossi moderatamente acidi e tannici e non troppo invecchiati. Tra i vini piemontesi oltre a quelli a base di Barbera e di Dolcetto molto adatto è il Grignolino. Il "salignön" è una

ricotta dalla con-sistenza cremosa

e grassa e dal sapore piccante e speziato, ottenuta dal siero residuo della lavorazione casearia arricchito con latte o panna. È riconosciuto come Prodotto Agroalimen-tare Tradizionale (P.A.T.) italiano di due diverse regioni: il Piemonte (con il nome di salgnun o salignun) e la Valle d'Aosta (in questo caso la denominazione riconosciuta è salignoùn). La base della preparazione è la ricotta fre-sca, impastato con formaggio finemente sminuzzato (ad esempio toma), sale, pepe e peperoncino (da qui il suo colore rosato). L'impasto viene ulteriormente insaporito con erbe aromatiche di montagna e lasciato riposare per

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La bagna càuda, (letteralmente salsa calda in italiano) è

una tipica specialità gastronomica della cucina piemon-tese, originaria in particolare dell'Astesana, delle Langhe, del Roero, del Monferrato, delle aree meridionali della città metropolitana di Torino e delle province di Cuneo, Alessandria e Asti. Più che un piatto, è un rito conviviale che prevede la condivisione del cibo in forma collettiva da parte dei commensali, che lo attingono tutti insieme da un unico recipiente somministratore (in lingua pie-montese diàn o fojòt).Per tradizione è un piatto tipico del periodo della vendem-mia, quindi da consumare prevalentemente in autunno ed in inverno: una delle leggende sulla sua nascita vuole proprio che venisse preparato per ricompensare i ven-demmiatori del lavoro prestato. La bagna cauda è una preparazione a base di aglio, olio extravergine d'oliva ed acciughe dissalate, il tutto ridotto a salsa mediante una paziente cottura. Volendo si possono aggiungere agli ingredienti anche burro, panna da cucina, latte e noci tritate.

un tempo variabile a seconda di quanto lo si desidera piccante. Viene utilizzato per farcire le tipiche miasse (sottili e croccanti rettangoli di farina di granoturco che vengono cotte su apposite piastre). Si accompagna bene anche con la polenta o le patate bollite.

bagna cauda

La bagna càuda tradizionale viene portata in tavola nel dian, tegame di cottura in terracotta, e mantenuto in temperatura mediante uno scaldino di coccio riempito di braci vive, la "scionfetta". Oggi sono di uso comune appositi contenitori in terra-cotta (fojòt) costituiti da una ciotola a cui è sottoposto un fornellino per mantenere calda la salsa. Si consuma intingendovi vari tipi di verdure di stagione solitamente divise tra crude e cotte (specialmente: car-di, cipolle cotte al forno, peperoni crudi o abbrustoliti, foglie di cavolo crude, cavolfiore, topinambur, barbabie-tole, patate cotte a vapore, ravanelli, rape e tante altre).Un tempo si usavano solo cardi gobbi, tipici di Nizza Monferrato, topinambur e peperoni La bagna càuda può essere accompagnata da un vino rosso corposo quale per sempio Barbera, Nebbiolo, Barbaresco o Dolcetto.

La ricetta è tipica del basso Piemonte, in quanto nei se-coli passati era assai facile procurarsi, in questa zona, l'ingrediente fondamentale, cioè l'acciuga salata, usata tuttora in molte ricette tipiche piemontesi, soprattutto tra gli antipasti (ad esempio le anciove al bagnèt verd o al bagnèt ross). L'antico Piemonte si approvvigionava presso le saline della Provenza e delle foci del Rodano, attraverso una

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Il bônèt è un budi-no di antichissima tradizione, tipico del

Piemonte, a base di uova, zucchero, latte, cacao, liquore (solitamente rum) e amaretti secchi.In lingua piemontese il termine bônèt indica un cappel-lo o berretto tondeggiante, la cui forma ricorda quella dello stampo a tronco di cono basso in cui viene cotto il budino. Di fatto lo stampo di rame in cui si cuocevano

serie di rotte commerciali attraversanti i passi delle Alpi Marittime e note come "vie del sale" (all'epoca Nizza e dintorni erano infatti dominio sabaudo). La leggenda vuole che il commercio delle acciughe salate fosse un modo per commerciare il sale evitando di pagarne gli elevati dazi: mastelli pieni di sale presentavano, al con-trollo dei gabellieri, nella parte superiore, uno strato di acciughe salate. In realtà in tutto il Piemonte l'antico regime della gabella del sale era una tassa obbligatoria e non legata al con-sumo. Non solo, le acciughe sotto sale erano molto più costose, ed il loro prezzo era sostenibile solo in relazione alle modeste quantità di acquisto. L'acciugaio (ancióaire in piemontese) era il commerciante ambulante che con il tipico carro trainato da cavalli o buoi portava le acciu-ghe in barili e botticelle di legno.La bagna càuda venne a lungo rifiutata dalle classi più abbienti le quali la consideravano un cibo rozzo e ina-datto ad una alimentazione raffinata, in particolare per la presenza dell'aglio. Per questo le notizie scritte su questo piatto sono piuttosto rare nei testi gastronomici piemontesi. Una prima descrizione dettagliata della ba-gna càuda nella sua versione attuale si deve a Roberto Sacchetti e risale al 1875.Molti sostengono che la vera ricetta della bagna càuda dovrebbe contemplare l'utilizzo dell'olio di noci e non dell'olio di oliva. Questo perché le coltivazioni di ulivo sono liguri e non piemontesi. In realtà nel Piemonte meridionale fino a buona parte del XVIII secolo esisteva una produzione di olio d'oliva ampiamente documenta-ta (ne resta traccia in alcuni toponimi come il comune di Olivola nell'alessandrino o di San Marzano Oliveto in Astesana) e sufficiente al fabbisogno locale, comunque integrato dal commercio con Nizza e con la Riviera di Ponente della Liguria, aree sottoposte al dominio Sa-baudo e tradizionalmente fornitrici di tali ingredienti fin dai tempi dell'Impero Romano. È pertanto ragionevole assumere come pertinente l'uso dell'olio di oliva nella bagna càuda. Secondo alcuni la ricetta tradizionale prevedeva una variante più "rustica e povera" con strutto come frazione grassa.

il bonet

i budini e i flan, veniva chiamato bônèt ëd cusina cioè cappello da cucina, berretto del cuoco. Il dolce avrebbe quindi preso il nome dallo stampo. Questa è l'interpreta-zione che viene data dal vocabolario Piemontese-Italiano di Vittorio di Sant'Albino del 1859.Preparazione e varianti Il bônèt: viene preparato e cuci-nato con la medesima tecnica che si usa per i dolci della famiglia delle crème caramel, diffusi in tutta Europa. Il bônèt tradizionale piemontese, fatto in casa dalle nonne, non era a base di rum, ma di Fernet, perché, terminato il pasto, il Fernet serviva per sveltire la digestione. Si sbattono insieme a freddo uova, latte, zucchero, ama-retti, rum ed eventualmente cacao. Si pone sul fuoco lo stampo in cui il budino andrà cotto, vi si versa dentro dello zucchero che si farà caramellare coprendo fondo e pareti. Si travasa il composto di latte e uova nello stam-po e si cuoce a bagnomaria sino a che si sia rappreso. Si

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L'origine dei biscot-ti canestrelli - il cui nome deriva dai

canestri in cui veniveno riposti i dolcetti dopo la cot-tura risale, probabilmente, al tardo Medioevo, quando venivano chiamati "nebule" e costituivano una sorta di variante alla produzione delle ostie della liturgia cattolica. Il canestrello è un prodotto tipico delle aree protette del Po e delle colline torinesi. E' classificato come "Prodotto agroalimentare tradizionale (PAT) del Piemonte". è un

Le paste di meliga (in piemontese paste 'd melia) sono un

biscotto frollino tipico del Piemonte e, in particolare, del cuneese. Sono dolci a base di farina di frumento, farina di mais (melia o meliga in dialetto), burro, zucchero, miele, uova, e scorza di limone. Di origine antica, si vuole che siano nati per necessità di fronte ad un cattivo raccolto che aveva fatto salire alle stelle il prezzo del frumento. I fornai cominciarono quindi a mescolare il fior di farina (oggi definito farina OO) con il fumetto di mais, cioè con la farina ricavata dal mais macinata finissima, del tipo non utilizzabile per la polenta ma destinata a confezio-nare dolci. La peculiarità della macinazione molto fine favorisce la realizzazione di un biscotto dal gusto parti-

lascia quindi freddare, dal momento che il dolce si gusta rigorosamente freddo. La ricetta può subire, a seconda delle zone del Piemonte, alcune variazioni; possono, in-fatti, essere aggiunte delle nocciole del tipo tonda gentile delle Langhe, del caffè oppure il cognac al posto del rum

paste di meliga

colarmente definito e di struttura molto friabile.Le paste di meliga sono un dolce semplice e facilmente confezionabile in ambito domestico. È ugualmente facile apportare qualche variante nella confezione del biscotto.I formati più comuni sono tondi o rettangolari, hanno una dimensione di 7-10 cm di diametro e 10-12 di lun-ghezza e un peso di 10-20 grammi. Vengono disposte sulle placche da forno schiacciando la pasta fuori da una siringa da pasticciere con la bocchetta a stella, che lascia sul biscotto caratteristiche striature.La tradizione vuole anche che a fine pasto Cavour finisse sempre con 2 paste di meliga e un goccio di barolo chinato

canestrelli

dolce molto sottile, fragile e che presenta forme irrego-lari dovute alla sua preparazione. Gli ingredienti base del canestrello sono la farina, il burro, le uova e lo zucchero. A seconda delle zone di produzione e delle preferenze, possono inoltre essere aggiunti vaniglia, cacao, nocciola, limone, arancia, caffè, menta, pistacchio, e altri aromi. Questi biscotti tipici presentano differenze fra loro: più spessi e con grigliature rilevate quelli di Vaie e della Valsu-sa, sottili e con grigliatura leggera quelli di Montanaro; simili a monete medievali quelli di Tonengo di Mazzè e Polonghera, croccanti, sottilissimi e impressi con stem-mi di famiglia quelli di Borgofranco d'Ivrea. La tradizio-ne dice che i canestrelli devono cuocere "per il tempo di un Avemaria recitata con devozione". Sulle lastre tra cui viene inserito il dolce da cuocere sono normalmente incise le iniziali della famiglia alla quale apparteneva il curioso strumento, insieme con altri simboli e disegni; durante la cottura tali segni grafici vengono trasferiti in rilievo sulla superficie del canestrello.

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Valle d'Aosta Lard d'Arnad (DOP) è un preparato a base di

carne a denominazione di origine protetta tipico di Arnad, nella bassa Valle d'Aosta. Si ottiene dal lardo di spalla di maiale (l'animale del peso di almeno 160 kg e d'età non inferiore ai 9 mesi), la cui carne deve essere rosata e senza macchie; il peso è variabile dai 3 etti ai 4 kg, la forma è a trancio quadrangolare. Dai tempi più antichi e fino alle più recenti disposizioni di tipo igienico, il lardo veniva conservato e stagionato nei doils, forme di legno di castagno con particolari incastri che non facevano fuoriuscire la salamoia, oggi i recipienti per questo uso

La motsetta, motzet-ta o mocëtta (in ita-liano mocetta) è un

salume di origine antica, parte del tradizionale tagliere delle alpi occidentali e riconosciuto come Prodotto Agro-alimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano. Viene prodotto in tutta la Valle d'Aosta e nel Piemonte settentrionale (Canavese, Valsesia, Val d'Ossola..., a partire da tagli di carne magri, prevalentemente muscolo o coscia. La carne può essere quella bovina, oppure ovina, caprina, suina o di selvaggina, (tra queste ultime particolarmente apprezzata la carne di camoscio). La carne viene insa-porita con aglio, alloro, rosmarino, salvia e altre erbe di montagna, quindi salata e ricoperta del liquido prove-niente dalla carne stessa. Così preparata, viene lasciata riposare in luogo fresco per un tempo variabile: nel caso di preparazione casalinga, la carne viene messa sotto peso a insaporirsi fino a 20 giorni. Nelle macellerie ar-tigianali, spesso in ambiente sottovuoto, la carne viene

il lardo la mocetta

sono di vetro. La preparazione prevede la rifilatura del lardo che, privato della cotenna, è posto nel recipiente di vetro a strati alternati con sale e acqua (precedente-mente fatta bollire con sale ed aromi quali pepe, rosma-rino, alloro, salvia, chiodi di garofano, cannella, ginepro, noce moscata, achillea). Il recipiente viene chiuso, quin-di, con un coperchio su cui è posto un peso; inizia così la stagionatura che si protrae fino ad un anno: per una conservazione prolungata il lardo viene posto, coperto di vino bianco, in vasi a chiusura ermetica. Si consuma affettato sottilmente, viene anche posto su fette di po-lenta abbrustolite e calde, in modo che, sciogliendosi, il salume sprigioni il suo aroma dolce e delicatamente aromatico oppure in una preparazione tipica, il "bocon du diable", su una fetta di pane di segale, abbrustolito in teglia con aglio e spalmata di miele.

massaggiata da macchinari per mantenere una colora-zione omogenea e salvaguardare le note aromatiche. Per entrambe le modalità la carne deve quindi asciugarsi e stagionare appesa in un locale aerato e asciutto. La mot-setta può essere consumata sia "fresca", ossia ancora tenera, oppure a stagionatura avanzata, il che rende la carne uniformemente scura ma anche più dura, che ri-

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Il bodeun o boudin è un salume di ori-gine antica ricono-

sciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano. L'insaccato viene preparato con patate bollite alle quali vengono mescolati cubetti di lardo, barbabie-tole rosse, sangue di maiale (o di bovino), vino, spezie e aromi naturali. La barbabietola rossa, oltre che con-

Il teteun è un salume valdostano ricono-sciuto come Prodot-

to Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano. Il nome, che riprende la voce patois per mammella, è dovuto al fatto che esso è prodotto con mammelle bovine salmi-strate. Il teteun viene preparato a partire da mammelle di razze bovine autoctone valdostane, in particolare la

teteun

il bodeun

chiede un'affettatura molto sottile. Il sapore della mot-setta viene esaltato dai mieli delle zone di produzione e dall'olio di noci.È uno degli ingredienti principali degli involtini di Fénis. L'origine di questo salume è antica e nasce dall'esigenza delle famiglie contadine di conser-vare la carne durante i lunghi mesi invernali.

tribuire al gusto e alla colorazione del prodotto, svolge anche la funzione di conservante naturale. Il tutto viene insaccato in budello suino legato a mano e poi appeso e stagionato per almeno una decina di giorni.I boudins vengono in genere consumati come antipasto. Possono essere mangiati freddi oppure bolliti, magari con l'accom-pagnamento di insalata o verdure cotte, oppure scaldati al forno; in quest'ultimo caso va utilizzato un prodotto ancora piuttosto fresco e poco stagionato. Si prestano ad accompagnare l'insaccato vini rossi non invecchiati e con una buona componente aromatica.

pezzata rossa. Queste vengono preliminarmente incise in diversi punti e pressate per espellere l'eventuale latte ancora presente. Dopo essere state tagliate a fette ven-gono quindi stratificate in appositi contenitori con l'ag-giunta di sale e varie erbe aromatiche (salvia, rosmarino, alloro, ecc.) e altre spezie tra le quali bacche di ginepro. Seguono un paio di settimane di macerazione, la cottura a bagnomaria e la pressatura del prodotto ottenuto in stampi. La tecnica descritta può avere alcune varianti a seconda del produttore: la cottura può ad esempio av-venire a vapore o possono essere aggiunti alcuni addi-tivi quali addensanti, antiossidanti o zuccheri. In fase di cottura si assiste a una forte perdita di peso rispetto a quello della materia prima. Per la distribuzione commer-ciale il teteun viene in genere confezionato in tranci sotto vuoto, il che ne consente la conservazione per circa tre mesi in frigorifero o su scaffali refrigerati. Attualmente per la produzione del salume è piuttosto noto il comune di Gignod, dove essa ha conosciuto un rilancio a partire dagli anni Settanta del novecento, ma il prodotto vanta origini molto antiche. Il teteun viene spesso consumato come antipasto, in genere accompagnato con salse a base di aglio, marmellate di vari frutti come fichi e lam-poni oppure ancora con uva passa o pere sciroppate (preferibili in questo caso i tipici Martin Sec).

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La tartiflette è un piatto tipico dell'Al-ta Savoia compo-

sto da formaggio reblochon, patate, cipolle e pancetta. È preparato anche in Valle d'Aosta e nell'area intorno al

tartiflette

La polenta concia (concia, italianizza-zione del termine

dialettale consa, cioè acconciata, condita) è uno dei più noti piatti tipici valdostani e biellesi. Molto indicata per riempire e scaldare nelle giornate fredde, è conosciuta anche come "polenta grassa". Alla farina di mais viene aggiunto formaggio fuso d'alpeggio. Solitamente la concia ha poca consistenza, cioè è più liquida; non ha una ricetta rigida, ma viene tendenzialmente preparata fondendo, a fine cottura, dei cubetti di fontina e/o toma e/o latte e/o burro.

carbonada La carbonada (in francese, carbo-nade) è un piatto

tipico della Valle d'Aosta diffuso nelle alpi occidentali e nel sud-est della Francia, a base di carne di manzo.La carbonada è un piatto tipico della cucina valdostana dal sapore deciso e viene solitamente servita assieme alla polenta.Originariamente veniva fatta con carne conservata in salamoia (metodo di conservazione molto usato prima delle tecniche attuali di conservazione) risultando così la carne molto saporita, cucinandola con molta cipolla veniva addolcita, la ricetta infatti prevede che le quan-tità di carne e cipolla siano uguali in peso, stufandole a fuoco lento coperte da un buon vino rosso robusto.

polenta concia

Monte Bianco La tartiflette è un piatto inventato negli anni ottanta nelle alpi francesi per promuovere il re-blochon, formaggio tipico savoiardo AOC (Appellation d'origine contrôlée) dal 1958 preparato con latte crudo vaccino. Prima della creazione della tartiflette sulle alpi francesi erano abbastanza comuni sformati con patate tagliate a fette, formaggi locali e lardo (in particolare va citato il piatto chiamato in dialetto locale péla, che viene però cucinato in una pentola sul fuoco anziché al forno).Il piatto viene consumato principalmente d'inverno.

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L'Erbaluce di Caluso è un vino DOCG la cui produzione, consentita

nelle province di Torino, Biella, e Vercelli, si svolge particolar-mente sulle colline intorno a Caluso, centro del Canavese. Le prime notizie del vitigno Erbaluce risalgono al 1606, quando viene menzionato in un suo libro da Giovan Battista Croce, gioielliere presso il duca Carlo Emanuele I. Il nome del vitigno deriva dal colore che assumono gli acini in autunno: i riflessi rosati e caldi si fanno più intensi, ambrati. Questa doc viene

erbaluce Caluso

rosso di CaremaIl vino a denomi-nazione di origine controllata "Carema",

sottoposto a un periodo di invecchiamento non inferiore a quattro anni di cui almeno trenta mesi in contenitori di legno non superiori ai 40 ettolitri e di almeno un anno di affinamento in bottiglia può portare in etichetta la qualificazione "Riserva". Colore rosso rubino volgente al granato. Profumo fine e carat-teristico, ricorda la rosa macerata. Sapore morbido, vellutato,

vini e vitigni

prodotta in diverse tipologie: oltre a vino fermo esistono le versioni Spumante e Passito. L'erbaluce è uno dei pochi vitigni che permette la produzione di tre tipologie di vino differenti:Erbaluce di Caluso DOCG vino fermo di colore giallo paglierino, presenta luminosi riflessi verdolini e una limpidezza brillante quando è in giovane età. Il suo profumo molto fine ricorda quel-lo dei fiori di campo, rimandando all'acacia e al biancospino. Il sapore è fresco e secco. La caratteristica nobile dell'Erbaluce sta nella spiccata capacità di evoluzione nel tempo. Erbaluce di Caluso Spumante DOCG Può essere prodotto esclusivamente con metodo classico. Le caratteristiche del vitigno lo rendono perfetto per la spumantizzazione. Acidità e struttura sono i due elementi fondamentali in uno spuman-te di qualità e l'Erbaluce li possiede entrambi. Il suo profumo è delicato e caratteristico, così come il gusto asciutto e con note fruttate e floreali.Erbaluce di Caluso Passito DOCG I grappoli dell'uva Erbalu-

ce vengono sottoposti a un periodo di appassimento in locali arieggiati, le cosiddette "passitaie", dove rimangono, distesi su graticci o appesi per il peduncolo, per circa 5 mesi (l'ap-passimento dura dalla vendemmia fino a febbraio dell'anno dopo la vendemmia). A marzo inizia la pigiatura. Dal primo giorno di novembre suc-cessivo alla vendemmia, devono passare almeno 3 anni prima della commercializzazione, come previsto dal Disciplinare (4 anni per l'Erbaluce di Caluso Passito Riserva). Nella versione passita esce tutta la poliedricità di questo vitigno ed il suo valore assoluto. È un vino con notevole capacità di invecchia-mento: bottiglie di 30 o 40 anni sanno regalare emozioni uni-che. Il vino ha un colore che va dal giallo all'oro all'ambrato, limpidezza brillante, profumo elegante e vagamente etereo. Il suo gusto dolce, richiama agli aromi di miele, confettura, frutta passita e candita.

di corpo. Si accompagna ad arrosti, selvaggina, carni rosse, formaggi stagionati. E anche considerato un "vino da cami-netto" che, a fine pasto, si abbina bene a frutta secca e dolci e a pasta secca. Curiosità Lo studioso Lorenzo Francesco Gatta nel suo "Saggio intorno alle viti ed ai vini della provincia d'I-vrea e della Valle d'Aosta", pubblicato nel 1833, così descrive

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il vitigno Nebbiolo studiato a Carema: "Vite di molta caccia-ta, di sermenti sottili, nodi piuttosto rari, poco midollo, legno duretto, cirri molti, esili, fragili. Foglie 3 oppure 5 lobate più o meno profondamente incise, dentellate ai lembi; superficie superiore glabra, inferiore tormentosa, verdi chiare, macchiet-tate di rosso, o gialliccie alla vendemmia. Peziolo lungo, sot-tile, tenero. Raspo solitario, poco agglomerato, più o meno lungo, cilindrico, a racemi distinti. Peduncolo verde lungo sottile, tenero. Pedoncoletti verdi. Acino di 10 a 12 millimetri di diametro, sferoidale, nero-rossiccio, pruinoso, di polpa un po' floscia, agro-dolce, fiocine liscio, sottile, duretto. Semi da 1 a 4. Vite precoce, feconda, dilicata; soffre le brine, le nebbie, le piogge, preferisce il colle. Uva anche mangereccia. Vino chiaro, spiritoso, asciutto, durevolissimo. Il vino nebbiolo di Carema ha un sapore, che diresti di lamponi".

nebbiolo di Donnas La viticoltura a Don-nas, ha tradizioni an-tichissime, anche se

è una coltivazione difficile tenuto conto della forte pendenza della montagna. Ma i ripidi declivi sono vinti dai terrazzamen-ti secolari trattenuti da muri alti anche 4 metri. A Donnas, la situazione fondiaria delle aziende viticole è caratterizzata da dimensioni molto limitate e spezzettate. La lavorazione è ma-nuale e distribuita su tutti i mesi dell’anno. D’inverno, mentre il vino matura, si costruiscono e si riparano le pergole, si pota e poi si legano i tralci con i vimini (gore). Successivamente si fanno 5-6 trattamenti per le malattie tradizionali della vite. Se la produzione sembra eccessiva, si provvede ad eliminare alcuni grappoli perché quelli rimasti maturino meglio. Le vendemmie iniziano a settembre col Pinot Grigio, proseguono ad inizio ottobre, per il vino da tavola, e nella seconda metà di ottobre col Nebbiolo-Picotendro e termi-nano a metà novembre con la vendemmia tardiva dei grappoli già leggermente appassiti di Nebbiolo per il Vieilles Vignes. A Donnas, da sempre si coltiva il Nebbiolo , vitigno per grandi rossi da invecchiamento e di cui si hanno notizie a partire dal 1200, coltivato nell’Albese, nelle Langhe, nel Novarese (con la denominazione di Spanna), nella Valtellina (con la denomina-zione Chiavennasca) e nella Bassa Valle d’Aosta e Canavese (con la denominazione Picotendro o Picotener). Accanto al Nebbiolo, si coltivano i vitigni da uve rosse di Freisa

La leggenda narra che già Ponzio Pilato apprezzasse questo

vino di buona vigoria e piacevolmente asciutto, ricavato dalle uve di un vitigno locale: il Vien de Nus. Oggi, per la produ-zione del Vallée d’Aoste Nus Rouge DOC, si rispetta un rigi-do disciplinare che prevede l’utilizzo di Vien de Nus (per un 50%), di Petit Rouge (30%) e di altri vitigni autorizzati (per una percentuale massima del 20%). Ne risulta un vino secco, con calde sensazioni alcoliche ed eleganti note tanniche, ideale se accompagnato con le carni, con la motsetta, con la fontina e

il rouge di Nus

e Neyret, anche questi con caratteristiche diverse dagli omonimi piemontesi, e gli autoctoni Vien de Nus e Fumin. Per i bianchi, sicuramente già nel 1800, si coltivava l’Erbaluce e poi in tempi più recenti, si è introdotto il Pinot Gris. Da segnalare che un tempo era molto più diffuso il Prié blanc, che è utilizzato come uva da tavola perché matura presto, lo si consuma già per il

patrono di Donnas, S. Pietro in Vincoli, il 1° agosto. Le uve di Moscato Bianco, utili alla vinificazione del Vallée d’Aoste Chambave Muscat DOC, raggiungono la giusta maturazione nei vigneti dislocati sulle colline di Chambave, Pontey, Verra-yes, Saint-Denis, Châtillon e Saint-Vincent. Ne scaturisce un vino giallo paglierino brillante, con riflessi dorati, di buon corpo, secco, giustamente alcolico, con retro-gusto finemente amarognolo, che si presta ad essere bevuto fuori pasto, soprattutto come aperitivo, anche se trova buoni abbinamenti con i crostacei e i formaggi di media stagionatura. E’ peraltro anche indicato per la preparazione dello zabaione.

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Il caffè alla valdostana è un modo comuni-tario di bere il caffè,

tipico costume della cucina valdostana. Esistono due modi per bere il caffè alla valdostana con la grolla o con la coppa dell'amicizia. Il legno più utilizzato è quello di noce seguito da quello di acero. Questi tipi di legno conferiscono un sapore par-ticolare al contenuto senza il rischio di spaccarsi per il calore. Ricetta e ingredienti: 4 tazzine di caffè 2 tazzine di grappa valdostana 8 cucchiaini di zucchero scorzette di limone scor-zette d'arancio.Preparazione: versate, nella tipica coppa dell'amicizia, il caffè, che deve essere lungo, aggiungete lo zucchero, le scorze d'a-rancio e di limone. Cospargete l'orlo della coppa con zucche-ro, bagnandolo con la grappa e versandone il resto nel caffè.

Chambave muscatIl Chambave muscat è molto ricercato nella versione flétri,

ricavato cioè dai grappoli migliori del moscato bianco lasciati appassire in particolari ambienti arieggiati e riparati dal sole. Viene vinificato solo quando i pregiati chicchi perdono gran parte dell’acqua, evidenziando la loro ricchezza zuccherina ed aromatica. Il Muscat fletri è un vino da meditazione, dal profumo intenso, con sfumature di miele e confettura, che si adatta a molte occasioni di fine pasto: si sposa molto bene con le tegole dolci e la pasticceria secca

Malvoisie di Nus

caffe alla valdostana

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minosi si ottiene il Nus Malvoisie flétri, un’essenza di grande carattere che completa la sua preparazione con una fermen-tazione lenta e una maturazione in piccole botti di legno. Si ottiene così una vera perla dell’enologia valdostana, un net-tare che profuma di frutta secca e di confettura, ottimo come vino da “chiacchiera” o da sorseggiare accompagnandolo a sfiziosi dolci secchi. Il Nus Malvoisie è un vino importante già nella versione tradizionale (11°-13°), che nella versione flétri raggiunge una gradazione alcolica di 15°-16

con il pane nero. Nus, Verrayes, Fénis, Quart e Saint-Christo-phe sono le terre d’origine di questo vino rosso rubino, dal profumo delicatamente intenso e piacevolmente fruttato con chiusura olfattiva vegetale. È un prodotto che raggiunge una buona gradazione (intorno ai 12°) e che esalta le sue migliori caratteristiche quando viene lasciato decantare qualche ora prima del consumo, per poi essere servito a una temperatura non inferiore ai 18°.Il Vallée d’Aoste Nus Malvoisie DOC è un bianco secco dal gusto gradevole e armonico e dal profumo delicato e persistente, che, grazie alla sua duttilità, si abbina sia con gli antipasti che con i primi piatti o le carni bianche. Le viti di Pinot Gris, nella selezione locale Malvoisie, che danno origi-ne a questo vino giallo dorato con riflessi ramati, si estendono fra i comuni di Nus, Verrayes, Quart, Saint-Christophe e Aosta.

Appiccate il fuoco al liquido, rimestando con un cucchiaio e lasciando bruciare fino a quando lo zucchero sul bordo non sia caramellato. I convitati berranno, una volta spenta la fiam-ma con il coperchio, uno dopo l'altro e in senso antiorario, dai diversi beccucci della coppa (“à la ronde”).

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e.. ... Tombolata in allegria, con premi !!!!!

Vini sfusi: Rosso Barbera doc, Bianco favorita d'alba, moscato d'asti

40 euro intero, bevande incluse 45 euro con grigliata di carne

bimbi 3/10 anni 15 eurofino 14 anni 20 euro

menu bimbi su prenotazione

menu di San Silvestro

via Roma, 131 DONNAS (AO) - Tel. 0125 807170 www.bordetceramiche.it

Vastissima gamma di pavimenti modernirustici in cotto fiorentinogres, porcellanato, klinkermoquettes, sughero e in legno tradizionale o prefinito