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Itinerari della fede

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Omelie per le Domenichedel Tempo Ordinario

Anno A

Giacomo Biffi

Stilli come rugiadail mio dire

Edizioni Studio Domenicano

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«Scorra come pioggia la mia dottrina,stilli come rugiada il mio dire;come pioggia sul verde,come scroscio sull’erba»Deuteronomio 32,2

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SOMMARIO

NOTA DELL’EDITORE 09

PREFAZIONE 011

II Domenica 013

III Domenica 017

IV Domenica 021

IV Domenica 026

V Domenica 031

VI Domenica 036

VII Domenica 041

VIII Domenica 046

IX Domenica 050

X Domenica 054

XI Domenica 058

XII Domenica 062

XIII Domenica 066

XIV Domenica 071

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XV Domenica 076

XVI Domenica 080

XVII Domenica 086

XVIII Domenica 088

XIX Domenica 092

XX Domenica 097

XXI Domenica 101

XXI Domenica 105

XXII Domenica 110

XXIII Domenica 0114

XXIV Domenica 0119

XXV Domenica 0123

XXVI Domenica 0127

XXVII Domenica 0131

XXVIII Domenica 0134

XXIX Domenica 0138

XXX Domenica 0144

XXXI Domenica 0149

XXXII Domenica 0154

XXXIII Domenica 0159

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NOTA DELL’EDITORE

Sono stato sempre affascinato dal modo inconfondi-bile di predicare del cardinale Biffi. Le sue omelie sidistinguono per l’elegante concisione, per il tonocaldo e talvolta pungente, per i termini comprensibilia tutti e mai banali, per l’attenta e sagace fedeltà allaparola rivelataci da Dio e per l’applicazione esisten-ziale che mira sempre a scuoterci dal torpore e a sol-levare il nostro sguardo e il nostro cuore verso GesùCristo, che è Signore e Maestro. Tutti questi aspetti sitrovano concentrati nelle sue omelie. Ciò le rendeparticolarmente preziose e utili. Per il credente volen-teroso di approfondire la sua fede sono come unapalestra di meditazione. E sono come una scuola dipredicazione per il credente che ha questo ufficionella Chiesa, diacono, sacerdote o vescovo che sia.Negli anni scorsi abbiamo avuto la fortuna di pubbli-care la raccolta delle omelie del Tempo di Natale inUn Natale vero?, poi quelle relative alle feste di Mariain La Donna Ideale. Riflessioni sulla Madre di Dio,quindi quelle del Triduo Pasquale in La rivincita delCrocifisso. Riflessioni sull’avvenimento pasquale, poiquelle della Domenica delle Palme in Incontro a Coluiche viene, e infine quelle sulla Pentecoste in Lo Spiritodella verità. Riflessioni sull’evento pentecostale.Adesso il cardinale Biffi ci ha dato benevolmente ac-cesso ai suoi “cassetti” dai quali abbiamo ricavatoquesta raccolta. Raccolta traboccante perché per

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qualche domenica abbiamo anche due omelie:per l’Anno A ciò si verifica sia per la IV che per laXXI Domenica.Il cardinale Biffi così, per quanto sia debilitato daglianni, continua a esercitare il ministero apostolico del-la predicazione e ci rende partecipi di quella visionesapienziale e gustosa che lui stesso ha ricevuto e ac-colto dall’unico Signore e Maestro, il Salvatore Gesù.

GIORGIO CARBONE O. P.

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PREFAZIONE

«Ogni vescovo consapevole di essere, come Paolo, ilmaestro della fede, il titolare della parola salvatrice eliberatrice, deve sentire, come lui, il fremito di quelgrido terribile». Così diceva il cardinal GiovanniColombo nell’omelia della mia ordinazione episcopa-le, citando l’espressione dell’apostolo Paolo: Guai ame se non predicassi il Vangelo! (1 Cor 9,16). È unammonimento che non ho più dimenticato. Si è an-dato piuttosto facendo più intenso e pungente, a ma-no a mano che alla mia riflessione si chiariva comedato primario per la comprensione di questo ordinedi provvidenza la sorprendente misericordia di Dio,il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivinoalla conoscenza della verità (1 Tm 2,4). Proclamare larealtà di questo amore trascendente è stato il senso elo scopo della mia esistenza e quindi anche della miapredicazione.In questo volume raccolgo le omelie che ho propostonel corso del tempo ordinario dell’Anno liturgico.Sono il segno non appariscente, ma di grande rilievoapostolico del mio ministero.L’obiettivo costante è quello di annunciare un mes-saggio di gioia, perché evangelizzare significa prima-riamente annunciare la gioia di Gesù Cristo. Questoè un nucleo irrinunciabile: un Vangelo che si comuni-chi nella tristezza o porti alla tristezza è un perfettocontrosenso.

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È una gioia che essenzialmente nasce dalla comunio-ne con una «salvezza avvenuta»: imbattermi nel Van-gelo significa che la mia salvezza c’è già, ed è già miase solo accetto di arrendermi ad essa.È una gioia che ricava la sua sostanziale consistenza daun avvenimento, dalla concretezza di una persona: lapersona di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, crocifisso,risorto, oggi vivo, unico Salvatore e Signore. Questo èil fatto che dobbiamo annunciare.

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II Domenica

Isaia 49,3.5-6; Salmo 39; 1 Corinzi 1,1-3; Giovanni 1,29-34

Nel tempo natalizio e nel suo momento culminante,che è dato dall’Epifania, abbiamo meditato sul gran-de avvenimento del Figlio di Dio che è venuto tra noie si è manifestato, cioè ha portato nelle nostre tene-bre la luce della verità e della salvezza. È un regaloche abbiamo ricevuto, un regalo che non è mai valu-tato abbastanza. Perciò la Chiesa ci guida in questedomeniche dell’Anno liturgico alla comprensionesempre più profonda e completa del Signore Gesù,che è il grande dono del Padre: la sua conoscenzanon si esaurisce mai. Arriverà a compimento soloquando noi potremo contemplare l’Unigenito delPadre, centro e senso dell’universo, a faccia a faccianella visione aperta del Regno di Dio.Crescendo nella intelligenza del Signore, che è nato aBetlemme, noi riusciamo a chiarirci meglio anche chisiamo noi, quale sia il nostro destino, come dobbia-mo vivere e comportarci nella vicenda di ogni giorno,perché è lui la misura nostra, dei nostri atti, dei nostriideali. Per questo domenica dopo domenica noi, percosì dire, “leggeremo” Gesù, questo libro vivo, nonscritto, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienzae della scienza (Col 2,3), riflettendo su ciò che i primitestimoni hanno detto di lui, su ciò che lui ha detto disé, su ciò che lui ha fatto per noi, su ciò che egli è peril mondo.

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Oggi ascoltiamo la testimonianza e la presentazionedel suo primo annunciatore, che è Giovanni ilBattista. Giovanni, vedendo venire Gesù (Gv 1,29), loaddita agli astanti con alcune parole, che restano fon-damentali per capire il segreto di Cristo, sulle quali èdoveroso perciò fermare la nostra attenzione.

Il leone e l’agnello

Ecco l’Agnello, dice. Volendo indicarlo come il Mes-sia lungamente invocato, sceglie una immagineche era già stata usata dalle profezie di Isaia, che ave-vano detto: Era come un agnello condotto al macello(Is 53,7).L’umanità, che riconosce di essere nei guai, anelaspesso a un uomo forte, che sappia aiutarla a vincerele sue debolezze e le sue contraddizioni; desideraqualcuno che con fermezza metta ordine nel grovi-glio inestricabile di egoismi, di incomprensioni, dirisentimenti; crede insomma, e si illude, di aver biso-gno di un “leone” che incuta rispetto e timore.La risposta di Dio è sorprendente: a chi aspettava unuomo forte ha mandato un bambino indifeso, circon-dato di debolezza; a chi voleva un “leone” ha manda-to un “agnello”. Ha mandato cioè qualcuno che cisalvasse non con la veemenza dei mezzi esteriori, macon la luce della verità e la dolcezza della misericor-dia, non infliggendo agli altri violenza ma subendolain sé, non sobillando il popolo e provocandone lacollera cieca ma sottomettendosi lui agli insulti dellemasse che non ragionano, non uccidendo ma lascian-dosi uccidere per la giustizia.

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Ecco l’Agnello, dice Giovanni. Vale a dire: ecco coluiche ci riscatterà da un destino di perdizione edi morte, offrendosi egli stesso alla condanna e allauccisione.Come si vede, abbiamo appena finito di celebrare ilsuo Natale e già intravediamo la sua tragica fine, giàci si profila la croce.

Smarrire il senso del peccato

Questo “Agnello” – proclama ancora il battezzatore– è colui che toglie il peccato del mondo.È espresso qui lo scopo primo della venuta tra noidel Figlio di Dio. Dimenticarlo significa privarsi dellaverità del Natale. Smarrire il senso del peccato (comedella più grave disgrazia che possa capitare all’uomo)significa non capire più perché abbiamo fatto cosìtanta festa il 25 dicembre.Chi ritiene di non aver niente da rimproverarsi, chipensa che il concetto di colpa sia un residuo di ini-bizioni arcaiche ormai superate, chi non si convinceche il male del mondo non si elimina tanto conte-stando le strutture e colpevolizzando la società,quanto convertendo i cuori (e soprattutto aprendoil proprio cuore alla purificazione ottenutaci colsangue di Cristo), dimostra di non aver bisogno diquesto “Agnello che toglie il peccato del mondo”:non può aspettarsi niente da Gesù, e a lui Gesù nonha niente da dire e da dare.A troppi, anche tra quelli che si qualificano cristiani,sfugge questo ragionamento semplicissimo: perdere ilsenso del peccato vuol dire perdere il senso del Libe-

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ratore dal peccato, cioè di Cristo; e perdere il senso diCristo vuol dire perdere il senso stesso dell’esistenza ela ragione della sola vera speranza.Nessuna conquista sociale, nessun progresso scienti-fico, nessuna apparente emancipazione potrà maicompensare gli uomini di questa perdita e varrà arenderli meno miserabili di quello che sono, se si al-lontanano dall’“Agnello di Dio” e dalla sua salvezza.

Lo Spirito di Cristo ci rende forti

Ho visto lo Spirito scendere… su di lui (Gv 1,32).È preziosa questa attestazione di Giovanni: il Messiaviene a noi come colui che è ricolmo dello SpiritoSanto, cioè della calda e luminosa vita di Dio, cheGesù fa traboccare fino a noi.Agli uomini – che sono tutti presi dalla materia, dallatecnica, dalla carnalità – Gesù porta lo Spirito; ed è loSpirito di Dio colui che resta nella Chiesa e in ciascu-no di noi come energia risanatrice di ogni debolezza,come luce per i giorni bui, come principio di corag-gio e di rianimazione dopo ogni abbattimento. Invirtù di questo dono noi – se stiamo fedelmente conCristo – siamo sempre i più forti nella lotta che dob-biamo sostenere, anche quando sembriamo emargi-nati e sconfitti, perché nessuno può spegnere lo Spiri-to di Dio. Siamo i più felici perché conosciamo il si-gnificato ultimo dell’esistenza e ci sappiamo oggettodi un disegno d’amore. Siamo i più sereni perché,comunque vadano le cose, siamo certi che nessunopuò derubarci della immensa ricchezza che Gesù, fa-cendosi povero, è venuto a portarci.

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III Domenica

Isaia 9,1-4; Salmo 26; 1 Corinzi 1,10-13.17;Matteo 4,12-23

Una grande luce squarcia l’oscurità dell’esistenza

Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grandeluce, abbiamo ascoltato dalle profezie di Isaia.Questo popolo siamo noi che, lasciati a noi stessi, inbalia dei nostri pensieri e delle nostre bravure, nonsapremo mai infrangere l’oscurità che avvolge la no-stra vita, il nostro destino, la concreta possibilità diavere una speranza che non sia presto smentita.Siamo noi il popolo che dimora in una terra dove siproietta su tutto l’ombra invincibile delle morte edove la prepotenza degli egoismi sembra regnare sututti i rapporti umani. Siamo noi il popolo che peròha visto una grande luce: la luce del Figlio di Dio, cheè venuto a ridare significato alla nostra esistenza, arivelarci il destino di felicità che ci è stato preparato,a ridonarci la consolazione di poter sempre sperareoltre ogni delusione e ogni pena. Siamo noi il popoloche è stato raggiunto dalla salvezza di Cristo crocifis-so e risorto, che ci ha riaperto le porte della vitasenza tramonto. Siamo noi il popolo che ha ricevuto,nell’annunzio evangelico, la legge nuova e rinnova-trice dell’amore.A questo pensiero il nostro cuore si gonfia di gioia edi gratitudine per questa grande misericordia di cuisiamo stati fatti oggetto. Ma al tempo stesso vogliamo

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cercare di attuare sempre più compiutamente nellanostra condotta le condizioni necessarie per entrarefruttuosamente in questo splendido gioco del Dioche ci salva.

Il pentimento come atteggiamento permanente

La condizione prima e più necessaria, ci ricorda oggila parola di Gesù, è la “conversione”: Convertiteviperché il Regno dei cieli è vicino (Mt 4,17).Convertirsi significa staccarsi da ciò che nel nostrocomportamento e nella nostra personalità non è con-forme alla volontà del Signore, per aderire pienamen-te alla proposta di Cristo; anzi, per aderire a Cristostesso, come al solo punto di riferimento dell’esisten-za, all’unico modello di uomo che vale sempre e pertutti, a colui che si identifica personalmente con laverità, con la giustizia, con ogni autentico e intramon-tabile valore.Convertitevi: da questa parola prende l’avvio l’inse-gnamento pubblico di Gesù, perché proprio da que-sta esperienza deve partire ogni serio impegno reli-gioso. Nella via del Vangelo se non si comincia di qui,non si comincia affatto. Ogni discorso cristiano chenon inizia da questa doverosa autocontestazione èsenza fondamento e alla fine si dimostra ingannevole.Ma attenzione: il pentimento, nei riguardi di ciò chedi sbagliato in qualche misura troviamo sempre neinostri atti, non contrassegna solo gli inizi: è un atteg-giamento che resta essenziale sempre, in tutti i mo-menti della vita cristiana. Non per niente la Chiesa daun’esortazione al pentimento fa iniziare ogni celebra-

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zione eucaristica, e non si stanca di proporre il sacra-mento della penitenza (cioè del pentimento) a tutticoloro che vogliono essere discepoli di Gesù non soloa parole.Il pentimento è una risoluzione dello spirito intrinse-camente difficile, perché si tratta di rinnegare qualco-sa che ci appartiene, anzi qualcosa di noi stessi: lenostre azioni e le nostre inclinazioni cattive. Ma nel-l’epoca attuale è diventato ancora più difficile, perchéla cultura dominante ci sollecita continuamente arivendicare i nostri diritti e i nostri meriti, non a pen-tirci del male compiuto o desiderato. Anzi alcuni ten-tano di trasformare i più disordinati desideri in aspi-razioni lecite cui lo Stato dovrebbe dare un riconosci-mento pubblico.Il pentimento e il rinnegamento di sé non ci condu-cono a una pura e infeconda disperazione, che è unsentimento abbastanza frequente tra gli uomini, mache non è affatto salvifico. Ci conducono piuttosto aconsegnarci integralmente al nostro Maestro e Salva-tore, Gesù.La prospettiva di mutare le proprie abitudini ingiusteè così sgradevole all’uomo da riuscire impossibile sepresa per se stessa. Diventa impresa fattibile e persi-no facile, se percepita entro l’adesione esistenziale aGesù Cristo quale unico principio di salvezza. Senzal’esperienza di un amore personale per lui, la stradadel ravvedimento è sempre necessaria ma è impercor-ribile. Se invece ci si innamora del Figlio amato dalPadre, allora si fa naturale staccarsi da ciò che è dif-forme dal suo esempio e dalla sua volontà.

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Senza dubbio la conversione vera include un certoindolenzimento dell’anima; è un sentirsi gettati a terra,che ci toglie il desiderio di impartire lezioni agli altri edi discutere, e ci fa preferire il silenzio. Ma senza farciperdere la grande serenità di chi non dimentica mai diessere guidato, sorretto, continuamente rianimato,anche su questa strada penosa dell’autocontestazione,dalla fedeltà di un Salvatore che ci ama e non ciabbandona. È perciò un cammino tormentato e fati-coso, ma non è mai senza gioia; è la gioia propria dichi sa di avere finalmente trovato la sua giusta strada.

Il ministero apostolico, prezioso aiuto per raggiungereil Regno

La pagina evangelica odierna ci dice che Gesù, peraiutare tutti a raggiungere, col pentimento, il Regnodi Dio, istituisce nella Chiesa il ministero apostolico:chiama cioè degli uomini che, per la sua ispirazione econ la sua grazia, si sottraggono alle condizioni nor-mali di lavoro e di famiglia (Lasciate le reti… lasciatala barca e il padre) per porsi in modo particolarmenteimpegnativo alla sua sequela, e così diventano perspecifica missione pescatori di uomini; cioè sono chia-mati a spendere tutte le loro forze e il loro tempo acercare di portare i fratelli sulla via della conversionee dell’incontro trasformante con Cristo.Oggi tra le nostre preghiere salga anche la supplicaperché questi pescatori di uomini non manchino mainel popolo cristiano, e siano anzi sempre numerosie generosi, al servizio della venuta tra noi del Regnodi Dio.

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