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Istituto trentino di cultura Centro per le Scienze Religiose Scienze religiose. Nuova serie 8

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Istituto trentino di culturaCentro per le Scienze Religiose

Scienze religiose. Nuova serie

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Collana «Scienze religiose. Nuova serie»

1. V. Brugiatelli, Il problema filosofico del linguaggio in Antonio

Rosmini2. G. CanoBBio (ed), La fede di Gesù3. a. autiero - a. genovese (edd), Antonio Rosmini e l’idea della li-

bertà4. A. aguti, La questione dell’ermeneutica in Karl Barth5. E. Mazza (ed), L’idea di sacrificio. Un approccio di teologia litur-

gica6. K. riChter, Spazio sacro e immagini di Chiesa. L’importanza dello

spazio liturgico per una comunità viva, a cura di I. rogger

7. S. Carletto, Salvezza ed Ecumene. Il recente dibattito sulla dottrina della giustificazione per fede in Germania (1997-1999)

8. L. galvagni, Percorsi di etica clinica

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Percorsi di etica clinica

LOGO DEHONIANE

LUCIA GALVAGNI

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GALVAGNI, Lucia Percorsi di etica clinica / Lucia Galvagni. - Bologna : EDB, 2003. - 183 p. ; 21 cm. - (Scienze religiose. Nuova serie ; 8) ISBN 88-10-40384-3 1. Clinica medica - Aspetti morali 2. Operatori sanitari - Rapporti con i malati - Aspetti morali 3. Bioetica

174.2

Composizione e impaginazione a cura dell’Ufficio Editoria ITC

Scheda a cura della Biblioteca ITC

Centro per le Scienze Religiose in Trento

Sede: Via S. Croce, 77 – 38100 Trento tel. 0461-210232 / fax 0461-980436 / e-mail [email protected]

Consiglio Scientifico

Pierangelo Sequeri (Presidente), Massimo Giuliani, Justo Lacunza, Franco Volpi

Direttore

Antonio Autiero

Comitato Direttivo

Membri d’onore: Antonio Acerbi, Karl-Heinz Neufeld, Iginio Rogger, Patrick ValdriniMembri effettivi: Giacomo Canobbio, Maria Rosa Cortesi, Giuseppina Gasparini De Sandre, Karl Golser, Gerhard Larcher, Karl-Wilhelm Merks, Cettina Militello, Elmar Salmann, Clemens Thoma, Christian Troll, Lorenzo Zani

© 2003 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna EDB (marchio depositato)

ISBN 88-10-40384-3

Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 2003

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A Mariano e Giovanna

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Prefazione

Sempre più di frequente si incontrano oggi situazioni e realtà caratterizzate da spiccate componenti etiche. In ambiti tra loro molto diversi, quali la medicina e la scienza, gli affari, l’ambiente, il settore comunicativo e quello politico, e ancora quello agricolo e alimentare, la «domanda di etica» aumenta e diviene segno di un rinnovato interesse, potenzialmente di un vero e proprio ritorno all’etica. A livello nazionale ed internazionale sono stati costituiti, in questi anni, gruppi di studio, comitati e commissioni, con il compito di analizzare e affrontare le questioni etiche più delicate e urgenti che nello scenario attuale emergono: alla base di diritti e doveri, infatti, ci sono dei valori, che una comunità riconosce come propri e decide di tutelare e promuovere, come elementi fondamentali del proprio costituirsi, nell’interesse delle persone che vi appartengono e che alla sua vita partecipano.

Sul sottile crinale che separa e distingue salute e malattia tali dimensioni etiche diventano tratti esistenziali che segnano e possono mutare un percorso di vita: le decisioni sulla vita e sulla morte ci portano a confrontarci con alcune delle più essenziali esperienze dell’essere uomini e donne, dell’essere persone concrete, che vivono provando affetti ed emozioni, che abitano e si rapportano in spazi e tempi di un preciso contesto, che sono immerse in relazioni costitutive e significative.

Tradizionalmente l’etica si è collocata in uno spazio intermedio tra sapere teorico e sapere pratico, dal momento che coniuga e deve conciliare un’istanza conoscitiva astratta con un’altra di tipo pratico-operativo. Le sfide del nostro tempo, che mettono a disposizione dell’uomo conoscenze nuove e possibilità applicative in passato inimmaginabili, ci invitano a pensare, a riflettere prima di agire e riportano così ai contenuti e alle metodologie tipiche dell’etica: accanto alle nuove competenze e abilità tecnologiche e scientifiche va esercitata la capacità etica di valutare il loro impatto, di esercitare un giudizio, di prendere decisioni e agire, infine, di conseguenza. Si avverte perciò, sempre più, l’esigenza di discernere, al di là di

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quel che si può fare, quel che si vuole fare, per capire «dove» si vuole o si può arrivare.

Venuta meno la pretesa di fondare un’«etica universale», che entro un contesto di pluralismo culturale ed etico risulta arduo ottenere, si cercano dei presupposti etici comuni, minimi sì, in un certo senso, ma insieme forti, nella loro portata. Il rischio di «pro-durre» molte etiche frammentate e frammentarie, eccessivamente specialistiche, le quali si conferiscano, ciascuna per sé, uno statuto interno e delle norme rispetto a cui i «non addetti ai lavori» deb-bono solo prendere atto, è alto e porterebbe in realtà ad abdicare al senso proprio dell’etica.

Per evitare di chiudersi su di un’etica specialistica e partico-laristica, è necessario allora tornare alla riflessione filosofica, per interrogarsi sulle finalità dell’agire e sulle modalità con cui agire e per non perdere di vista l’orizzonte più vasto del significato del-l’esperienza morale, che parla delle molteplici e diverse ragioni che motivano il nostro agire.

La ricerca effettuata si propone come una presentazione ed un’analisi dell’etica clinica, una nuova branca della bioetica, che si va sviluppando oggi in maniera consistente. L’etica clinica riguarda appunto la dimensione clinica della medicina, ossia quella che si esercita al letto del paziente e che fa riferimento al rapporto tra chi cura – sia esso medico, infermiere o operatore sanitario – e chi riceve questa cura, nel momento della malattia.

La finalità del presente lavoro è non tanto legittimare una disciplina, quanto piuttosto rilevare ragioni, validità e limiti di una pratica, la cui diffusione denota un bisogno via via crescente.

Il percorso che si è seguito è quello di una ricostruzione storica e di un’analisi critica dei diversi modelli di etica clinica presenti oggi nel panorama internazionale, per evidenziare i presupposti etico-filosofici cui ciascuno di essi fa riferimento e per ricavare alcune linee di lettura sui nodi antropologici che qui vengono interessati e investiti. Tali modelli hanno anche la fisionomia di metodi e di percorsi pedagogico-formativi, volti a fornire, alle persone diretta-mente coinvolte nel contesto e nella relazione di cura, gli strumenti per riconoscere e affrontare le situazioni difficili che si presentano quotidianamente nella pratica assistenziale ed integrarle nella loro esperienza professionale e umana.

La relazione di cura evidenzia importanti dinamiche del vivere umano. Ma la cura ha modi diversi di manifestarsi e non ha l’ultima

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parola in medicina. Essa si deve aprire a dimensioni ulteriori. Per questa ragione il percorso che qui seguirà non è completo: alcuni fronti restano aperti. Un primo settore che andrebbe meglio ana-lizzato è quello del passaggio dalla bioetica al biodiritto e dello scambio che tra essi si crea; un secondo versante meritevole di approfondimento è il dinamico rapporto tra dimensione etica e dimensione psicologica; un terzo ambito è quello sociologico, che resta qui del tutto marginale.

L’etica clinica è stata e viene spesso criticata, innanzitutto per la difficoltà di stabilire in essa un equilibrio tra teoria e prassi, ossia tra fondazione e applicazione. A volte la fondazione teorica appare lacunosa o insufficiente: ma l’etica clinica fa proprio l’intento di affrontare le difficoltà delle situazioni concrete e insieme di evi-denziare la bellezza e la ricchezza dell’esperienza. Essa compie tale operazione dotandosi di un metodo, che rappresenta lo stru-mento attraverso cui si accosta e si analizza la realtà. Il rigore, che l’adozione di un metodo vuole garantire, permette innanzi-tutto di ascoltare le voci di chi in tali situazioni è coinvolto e di far emergere e lasciar «parlare» le dinamiche di tipo etico di una situazione particolare e quindi, in un secondo momento, di tentare anche un’interpretazione e una lettura critica di esse.

Il limite teorico della disciplina, che persiste, va riconosciuto come limite caratteristico dell’etica: nel caso dell’etica clinica gli strumenti e le argomentazioni che la teoria elabora sono messi alla prova dall’incontro con l’esperienza e quest’ultima aiuta a definirli e a valutarli meglio.

Andare alle situazioni e alle esperienze significa inoltre cercare di arrivare alle persone che in questi percorsi sono direttamente implicate, per affrontare e accompagnare la situazione di malattia che stanno vivendo.

Questo lavoro è il risultato di un percorso reso possibile anche dall’incontro e dal confronto con molte persone che, direttamente o indirettamente, da prospettive ed esperienze diverse, lungo gli anni, mi hanno insegnato e mi hanno fatto riflettere su che cosa la malattia e la cura possono significare.

Desidero qui ringraziare Andrea Brighenti, Paolo Cattorini, Laura Palazzani e Valeria Ferrari Schiefer, per l’attenta e paziente lettura del manoscritto e per i preziosi suggerimenti che mi hanno dato.

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Un grazie particolare al professor Antonio Autiero, direttore dell’ITC-isr, che ha sostenuto questo progetto e a tutti i colleghi dell’Istituto Trentino di Cultura, con i quali ho avuto l’opportunità di lavorare e collaborare.

A Loreta Rocchetti e a tutti i colleghi e amici del Séminaire International d’Éthique Clinique, con i quali in questi anni ho dialogato, un grazie speciale.

Trento, maggio 2003

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Capitolo primo

Tra medicina ed etica

«La medicina non è una scienza assimilabile alle altre scienze e a queste omogenea. Non lo è prima di tutto perché il suo oggetto è un soggetto, l’uomo; e non lo è in secondo luogo perché si esercita non in un mondo neutrale (fisico, chimico), ma in un mondo di valori.

Essa si esercita in un mondo dove salute e malattia, nascita e morte, invecchiamento e sopravvivenza richiedono al medico risorse non soltanto scientifiche, tecniche, ma anche antropologiche, umane.»

(G. CosmaCini - C. RuGaRli, Introduzione alla medi-cina, 2000)

1. La medicina oggi: qualche considerazione

La moderna medicina occidentale si è venuta caratterizzando nel suo sviluppo come medicina scientifica, dato che in essa sono state adottate e utilizzate teorie e metodologie tipiche delle scienze naturali:1 le tappe principali della sua evoluzione in quanto sapere sono state lo sviluppo della dimensione clinica e l’ampliamento della dimensione sperimentale.2 D’altra parte essa ha mantenuto la

1 Cfr. B. Fantini, La constitution du savoir médical moderne et le caractère spé-cifique des maladies, in «Cahiers médico-sociaux», 39 (1995), pp. 15-23. L’autore afferma che «la medicina moderna è caratterizzata dall’emergere della medicina scientifica, cioè una medicina fondata su di una solida struttura teorica e su metodi di ricerca improntati a quelli delle scienze della natura, in particolare le pratiche di laboratorio e l’uso di una stretta causalità».

2 Con medicina sperimentale si intende la medicina caratterizzata dall’applicazione dei metodi delle scienze naturali (matematica, fisica, chimica, biologia). Essa, che è andata ad affiancare la medicina tradizionale, basata sull’osservazione clinica, si è sviluppata e accresciuta a partire dalla fine del Settecento in particolare grazie alla fisiologia condotta in laboratorio e alla microbiologia. Ha ricevuto inoltre un essenziale contributo dagli sviluppi della rivoluzione molecolare e della genetica.

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propria struttura di disciplina pratica, di arte, marcata da un’evi-dente attenzione antropologica, volta alla cura e all’assistenza della persona nella sua malattia.

Negli ultimi cinquant’anni questa medicina ha mutato in maniera profonda e significativa la propria fisionomia, sia a livello teorico sia a livello pratico.

I cambiamenti che si sono avuti sono riconducibili a ragioni differenti. I progressi della ricerca e le nuove scoperte in ambito biologico, biochimico e genetico,3 la disponibilità di capacità dia-gnostiche sempre più perfezionate, rese possibili dall’avanzamento delle conoscenze e dall’introduzione di una tecnologia mirata, e le possibilità di nuove terapie efficaci e di nuovi strumenti di cura hanno condotto la medicina a potenziare le proprie capacità; allo stesso tempo le evoluzioni del contesto storico-sociale, l’attenzione alla salute quale bene individuale e collettivo e quindi quale diritto e, ancora, l’inevitabile confronto con un parametro e una dimensione economica, dovuto al bisogno di utilizzare in maniera equilibrata le risorse disponibili, hanno evidenziato la necessità di ridefinirne le modalità di intervento e di azione.

La mutata situazione ha portato a interrogarsi e riflettere sulle finalità riconosciute alla medicina per capire che cosa significhi e comporti concretizzarle oggi in maniera pertinente. Gli scopi che tradizionalmente la medicina ha riconosciuto come propri restano infatti pur sempre validi, ma essi devono essere considerati alla luce delle condizioni che l’odierna situazione storica e sociale prospetta.

Rispetto al passato si presentano alcune novità significative: in ciascuna di esse si evidenziano aspetti di notevole rilevanza etica.

Innanzitutto, la disponibilità e l’introduzione di innovazioni scientifiche e tecnologiche permettono una medicina di altissimo livello e specializzazione, con notevoli capacità diagnostiche e tera-peutiche. Se da una parte questo ha reso possibili interventi un tempo impensabili, anche rispetto a fasi molto acute e gravi della malattia, o addirittura nelle sue fasi di latenza, come succede nel caso della

3 Si parla oggi di «biomedicina» proprio per indicare l’evoluzione e l’ampliamento della medicina, che in maniera sempre più significativa risente dell’apporto della ricerca, in particolare di quella biologica: si pensi al contributo che deriva alla medicina dalla ricerca biologica di laboratorio, dalla biochimica e dalla biologia molecolare per lo studio dei farmaci, chimici o biologici, o ancora si considerino le scoperte e le applicazioni della genetica e la diffusione delle biotecnologie.

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cosiddetta «medicina predittiva»,4 d’altra parte diventa necessario decidere se e come intervenire in situazioni estreme, quali potrebbero essere gli stati terminali, gli stati vegetativi persistenti, le patologie che si presentano nei reparti di cure intensive come stati cronici irrisolvibili o molto complessi o ancora quelle situazioni di predi-sposizione o probabilità a manifestare una malattia,5 individuabili grazie alle sofisticate indagini genetiche oggi disponibili. Rispetto a tali casi diventa molto difficile la determinazione dei confini fra salute e malattia, vita e morte, o la definizione di dignità e qualità di vita, e non è quindi scontato il processo di decisione su che cosa sia meglio o su che cosa si debba fare.

In questi stessi anni da un punto di vista storico-sociale si sono diffuse sensibilità, cultura e consapevolezza crescente sui diritti fondamentali dell’essere umano, anche a seguito della promulga-zione – a partire dalla fine della seconda guerra mondiale – dei codici internazionali e delle dichiarazioni universali dei diritti dell’uomo. Nel novero dei diritti ha ricevuto ampio spazio e notevole attenzione la salute: essa è stata riconosciuta come un bene fondamentale e inalienabile della persona, che pertanto va garantito a tutti e a cia-scuno.6 Questa nuova concezione della salute, abbinata alla messa in discussione sociale del principio d’autorità e delle figure che tradizionalmente lo incarnavano, ha contribuito almeno in parte all’affermazione e alla diffusione del principio di autodetermina-zione della persona rispetto alle scelte attinenti alla sua salute e alla sua malattia e ha influito così anche sul mutamento di fisionomia del rapporto di cura, che si è emancipato dal tradizionale modello paternalistico, ritenuto di tipo autoritario.

4 Per le capacità di predizione che la caratterizzano, ad esempio attraverso le indagini e i test genetici, si profila un nuovo modello di medicina per il prossimo futuro, la medicina predittiva, appunto: essa si trova a rapportarsi con persone che, in maniera paradossale, possono essere definite come «malati di rischio», dal momento che potranno contrarre e manifestare la malattia, ma di fatto al momento non sono malati.

5 Si delinea qui il problema del cosiddetto therapeutic gap della medicina, ossia della distanza che si presenta oggi sempre più di frequente tra le capacità diagnostiche di una particolare malattia, che sono di altissimo livello e precisione, e le concrete possibilità terapeutiche, che restano invece spesso limitate.

6 La salute è stata sancita nei termini di un vero e proprio diritto: il «diritto alla salute» è da intendersi nei termini sia di un diritto ad uno stato di benessere individuale sia di un diritto alla «tutela» della salute. Cfr. in merito a. santosuosso, Dalla salute pubblica all’autodeterminazione: il percorso del diritto alla salute, in m. BaRni - a. santosuosso (edd), Medicina e diritto. Prospettive e responsabilità della professione medica oggi, Milano 1995, pp. 75-100.

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Nelle nostre società occidentali la salute, intesa soprattutto come benessere globale della persona, è divenuta progressivamente un vero e proprio valore sociale, tanto che talora la nostra epoca viene definita come «nuova epoca della salute».

Definire cosa sia la salute resta però un’operazione molto complessa. Da sempre alla definizione di che cos’è salute e che cos’è malattia contribuiscono da una parte la medicina, che forni-sce parametri e criteri in merito e che delinea possibili modalità di affrontarle, dall’altra la società, che sancisce in maniera ufficiale e accoglie sì le conoscenze e i suggerimenti della medicina, ma nel fare questo opera, in maniera più o meno cosciente, anche in base ad una propria prospettiva e visione di normalità, di diversità e di spazio pubblico.7 Questo evidenzia come medicina e società, medicina e politica siano strettamente connesse: i valori che esse affermano e riconoscono hanno quindi anche una valenza fonda-mentale di etica pubblica e di etica politica.

La salute, in favore della quale opera la medicina, mantiene una dimensione «soggettiva» imprescindibile, accanto al profilo «oggettivo» che si è considerato sopra in parte: essa infatti è sempre percepita da un soggetto, che la vive come esperienza personale, in particolare attraverso il confronto con la sua assenza, nella malattia, come sofferenza, disagio, difficoltà o danno. In questa condizione la medicina è chiamata a intervenire e il curante a operare. Que-st’ultimo vive quindi una dimensione etica di primaria importanza, nel costante rapporto e nell’incontro con il singolo paziente, che lo chiama in causa direttamente su di un livello personale, prima ancora che su quello professionale. Il momento di incontro e relazione interpersonale fa quindi appello alla persona e alla responsabilità innanzitutto morale e umana del curante, prima ancora che a quella giuridica e deontologica. È anche questa dimensione di attenzione e finalizzazione all’uomo malato a rappresentare la componente antropologica della medicina.

Un ulteriore cambiamento della medicina che riveste notevole importanza etica è rappresentato dall’introduzione delle valuta-zioni e delle logiche economiche nell’organizzazione sanitaria.

7 Nello spazio pubblico la malattia ha trovato, nel corso della storia, diversi spazi e modi di collocazione e circoscrizione: l’ospedale ne rappresenta ad esempio uno. Tali diverse modalità sono anche indicative di come la società si rappresenti la realtà della malattia e del disagio e del fatto che la integri o meno nella propria struttura, quindi appunto nel proprio spazio e nel proprio tempo.

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Oggi è infatti indispensabile organizzare le attività tenendo conto di parametri di tipo economico: a fronte di un complessivo ed esponenziale aumento della spesa sanitaria, bisogna effettuare un forte controllo dei costi, valutare le risorse disponibili, decidere in base a quali parametri allocarle e distribuirle, cercare di garantire la massima efficacia degli interventi e la più alta efficienza del sistema. L’espressione oggi in voga di «produzione di salute» è un indice dell’applicazione della mentalità economica nel settore sanitario. Ma la salute non è una merce, equiparabile a una qualsiasi altra. Pertanto la programmazione e la valutazione delle attività non si possono effettuare esclusivamente applicando nel complesso mondo della sanità8 le logiche economiche di tipo aziendale: una seria valutazione di efficacia ed efficienza non può limitarsi infatti a considerare costi e benefici economici, ma deve rispondere a questo parametro in una logica di promozione globale del bene della salute. Inoltre il fatto che le medesime difficoltà finanziarie si ripropongano in sistemi sanitari molto diversi evidenzia la neces-sità di un ripensamento degli obiettivi e dei valori della medicina, al di là e prima ancora di una ridefinizione della sua dimensione organizzativa e finanziaria.9

Ecco che, sotteso sia alla questione economica in sanità sia al progressivo affermarsi del diritto alla salute, si delinea il pro-blema della giustizia, dimensione tradizionalmente riconosciuta come propria dell’etica: la giustizia può essere promossa in tale ambito coniugandola a sua volta, in maniera più precisa, attraverso il concetto di equità.10 Il progetto dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) sulla salute è stato riformulato di recente strutturandolo proprio attorno alla rivalutazione della nozione di equità,11 rilevando che essa è impossibile da perseguire finchè ci si concentra esclusivamente sui settori di punta della ricerca:

8 La parola sanità «viene sempre più riferita alle condizioni di salute di una col-lettività, ma soprattutto agli orientamenti, agli strumenti e alle istituzioni poste in atto per tutelarle e migliorarle, e quindi alla salute pubblica» (cfr. G. CosmaCini - G. Gaudenzi - R. satolli, Dizionario di storia della salute, Torino 1996, p. 534): per questo si parla oggi spesso di «mondo della sanità».

9 Si veda quanto afferma in merito d. Callahan, La medicina impossibile, Milano 2000.

10 L’equità rappresenta una delle modalità di espressione del principio di giustizia ed è intesa come giusta distribuzione nella società di beni fondamentali: in sanità si fa riferimento in particolare alle risorse investite per il bene della salute.

11 È l’equità il principio implicitamente contenuto nella formula della «salute per tutti entro l’anno 2000» («Primary Health Care», ossia, propriamente, «assistenza sanitaria

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«Paradossalmente, molti degli ostacoli all’equità nascono dai successi della medicina, non dai suoi fallimenti … La medicina scientifica del XX secolo, focalizzata sulla ricerca di mezzi medici e tecnologici per la riduzione di mortalità e morbidità,12 ha relegato in una posizione marginale gli aspetti della salute pubblica e dell’assistenza primaria. Nessuno di questi due ambiti possiede sufficiente attrattiva per attirare risorse finanziarie per la ricerca o premi Nobel, e nessuno promette grandi ritorni per l’industria del profitto nell’assistenza sanitaria».13

Proprio nell’ottica di non precludere l’equità, la medicina si trova oggi a dover ripensare la propria articolazione sia come ricerca sia come pratica clinica, soprattutto per quanto attiene la cosiddetta assistenza primaria,14 ossia quelle cure di base che garantiscono e forniscono l’assistenza sanitaria essenziale.

Ancora, la presenza della medicina nelle più diverse fasi della vita porta oggi a considerare come problemi medici situazioni che hanno una rilevante componente di tipo sociale. Pensiamo in merito alle politiche pubbliche per quelle situazioni legate al progressivo e crescente invecchiamento della popolazione: esse hanno la fisionomia di politiche socio-sanitarie proprio perché nell’affrontare queste realtà si deve intervenire sia sull’ambito di stretta competenza sanitaria, sia da un punto di vista sociale. Il termine medicalizzazione, entrato in uso a partire dalla letteratura sociologica degli anni Sessanta-Settanta,15 voleva indicare appunto l’estensione eccessiva o indebita della medicina all’interno della nostra società. L’ampliamento del campo d’azione e d’intervento della medicina richiede però di capire che cosa è propriamente un problema medico, che cosa quindi possa e debba essere affron-tato in maniera pertinente da essa e che cosa debba invece essere ricondotto ad altri ambiti, anche per evitare che questioni sociali,

primaria») adottata dall’OMS nel 1978 ad Alma Ata come espressione del progetto della sanità mondiale per i decenni successivi.

12 Con «morbidità» in statistica ed epidemiologia medica si indica l’incidenza delle malattie.

13 d. Callahan, L’equità e gli obiettivi della medicina, in «Quaderni di sanità pubblica», 21 (1998), pp. 27-29.

14 A partire dall’individuazione degli scopi della medicina si profilano alcune que-stioni significative: innanzitutto quali priorità ci si debba dare nella biomedicina odierna, in secondo luogo quali implicazioni comportino questi scopi rispetto all’organizzazione dei sistemi di assistenza sanitaria, ed infine quale formazione dare ai medici per permettere loro di realizzare al meglio queste finalità.

15 Cfr. in particolare I. illiCh, Nemesi medica: l’espropriazione della salute, Milano 1977.