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Progetto PON: “Il colore dell’acqua” Pagina 1 di 37 finanziato con il Fondo Sociale Europeo. Avviso Prot.n. AOODGAI/4462 del 31/03/2011 Autorizzazione Piani Integrati - Annualità 2011/2012 Prot. n: AOODGAI-10673 del 27/09/2011 Codice Nazionale C-1-FSE-2011-366; F-2-FSE-2011-22; G-1-FSE-2011-93 ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE "ANTONINO PANELLA" 89128 REGGIO CALABRIA P.O.N. ”Competenze per lo sviluppo”. Piano Integrato di Istituto – annualità 2011/2012. Progetto F-2-FSE-2011-22: “IL COLORE DELL’ACQUA” aspetti ambientali, chimici, sociali di un bene essenziale PARTE II L’ACQUA: DALLA CAPTAZIONE ALLA REIMMISSIONE PRELIEVO, TRASPORTO, POTABILIZZAZIONE, DISTRIBUZIONE, DEPURAZIONE REFLUI

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finanziato con il Fondo Sociale Europeo. Avviso Prot.n. AOODGAI/4462 del 31/03/2011

Autorizzazione Piani Integrati - Annualità 2011/2012 Prot. n: AOODGAI-10673 del 27/09/2011

Codice Nazionale C-1-FSE-2011-366; F-2-FSE-2011-22; G-1-FSE-2011-93

ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE "ANTONINO PANELLA"

89128 REGGIO CALABRIA

P.O.N. ”Competenze per lo sviluppo”. Piano Integrato di Istituto – annualità 2011/2012. Progetto F-2-FSE-2011-22:

“IL COLORE DELL’ACQUA” aspetti ambientali, chimici, sociali di un bene essenziale

PARTE II

L’ACQUA: DALLA CAPTAZIONE ALLA

REIMMISSIONE

PRELIEVO, TRASPORTO, POTABILIZZAZIONE,

DISTRIBUZIONE, DEPURAZIONE REFLUI

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Servizio idrico integrato

L'acqua nelle nostre case.

Il servizio idrico integrato (lingua inglese: Integrated urban water management) è un servizio regolato normativamente in tutto il mondo e legato alla gestione amministrativa dell'acqua. Le norme italiane recepiscono questo concetto a partire dagli anni novanta del Novecento.

Prima della creazione di reti di acquedotti pubblici l'acqua potabile veniva raccolta a mano da pozzi o da fontane e portata nella case (Stampa di inizio secolo XIX raffigurante donne che raccolgono l'acqua alla fontana di Guadagnolo, nel Lazio)

Di servizio idrico integrato si parla per la prima volta in Italia nella cosiddetta Legge Galli (l. num.36 del 5 gennaio 1994), recante Disposizioni in materia di risorse idriche, in cui viene descritto all'articolo 4 come "costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue"; tale servizio va gestito all'interno di Ambiti Territoriali Ottimali. Nel 2006, il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante Norme in materia ambientale abroga la Legge Galli e ridefinisce il servizio pubblico integrato come "costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie".[1] Il gestore di tale servizio deve quindi curare la gestione, nel proprio territorio di competenza, di:

� Acquedotto: captazione, adduzione e distribuzione delle risorse idriche per � utenze domestiche � utenze pubbliche (ospedali, caserme, scuole, stazioni ...), � utenze commerciali (negozi, alberghi, ristoranti, uffici...) � utenze agricole � utenze industriali (quando queste non utilizzino impianti dedicati)

� Fognatura: raccolta e convogliamento delle acque reflue nella pubblica fognatura. � Depurazione: trattamento mediante impianti di depurazione delle acque reflue scaricate nella

pubblica fognatura.[2]

La recente normativa dei servizi pubblici locali, Decreto Ronchi, stabilisce l’affidamento dei servizi attraverso:

� gare pubbliche � società miste con socio privato operativo con partecipazione non inferiore al 40%,

individuato mediante procedura ad evidenza pubblica � in via eccezionale, su parere dell’AGCM, affidamenti in house

La fase transitoria prevede la cessazione delle gestioni in essere:

� al 31 dicembre 2011, affidamenti in house ed a società miste senza selezione con procedura ad evidenza pubblica del socio privato con attribuzione dei compiti operativi

� al 31 dicembre 2010, affidamenti senza gara e in house prive del controllo analogo

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Tuttavia nei medesimi termini, le attuali gestioni in house e le società miste non conformi possono adeguarsi alle nuove regole cedendo, con adeguata procedura ad evidenza pubblica, almeno i 40% ad un operatore industriale. Per effetto del Decreto Ronchi, gli enti locali sono tenuti a vendere con procedura ad evidenza pubblica a un socio privato, con attribuzione dei compiti operativi, una quota di capitale delle società con affidamenti in house, pena la cessazione dell’affidamento.

Acquedotto Un acquedotto è un'opera, più o meno complessa, costruita per trasportare acqua da un posto ad un altro per soddisfare vari scopi: uso potabile, uso irriguo, uso industriale. La parola deriva dai due termini della latinoaqua ("acqua") e ducere ("condurre"). Costruttivamente può essere realizzato in vari modi: con canali artificiali, con tubazioni o con soluzioni miste. Nel caso di canali il funzionamento può essere solo apelo libero, nel caso di tubazioni anche in pressione. Per gli acquedotti potabili, si preferisce il funzionamento in pressione, perché da maggiore garanzia di igienicità, anche se in Puglia è stato realizzato all'inizio del 1900 il Canale Principale dell'Acquedotto Potabile del Sele - Calore, tuttora in esercizio, che funziona a pelo libero. Molti acquedotti attraversano il paesaggio con dei ponti o somiglianti a dei piccoli fiumi. Acquedotti abbastanza larghi possono essere utilizzati da imbarcazioni. Sono tipi particolari di ponti, che anziché far superare ostacoli a strade e ferrovie, trasportano acqua. Ma, mentre con i ponti stradali si possono raggiungere punti più elevati rispetto al percorso di base, la cosa è ovviamente impossibile per l'acquedotto.

Storia

Anche se di abitudine si associa l'acquedotto all'Antica Roma, in realtà la loro invenzione risale ad alcuni secoli prima, quando, nel Medio Oriente, antichi popoli come i babilonesi e gli egiziani costruirono dei sofisticati impianti di irrigazione. Gli acquedotti di stile romano furono usati sin dal VII secolo a.C., quando gli Assiri costruirono una struttura di calcare alta 10 m e lunga 300 per trasportare l'acqua attraverso una valle fino alla capitale Ninive per una lunghezza totale di 80 km. I Romani costruirono numerosi acquedotti per portare acqua ai centri abitati e alle industrie. La stessa città di Roma ebbe la più grande concentrazione di condotte idriche con 11 acquedotti costruiti nell'arco di cinque secoli, con una lunghezza complessiva di circa 350 km. Solo 47 km di questi erano costruiti in superficie, la maggior parte erano sotterranei (l'acquedotto Eifel in Germania ne è un esempio classico). Il più lungo degli acquedotti romano viene considerato quello costruito nel II secolo a.C. per approvvigionare Cartagineattraverso una condotta da 141 km. Gli acquedotti romani erano delle costruzioni molto sofisticate il cui standard qualitativo e tecnologico non ebbe uguali per oltre 1000 anni dopo la caduta dell'Impero Romano. Essi erano costruiti con tolleranze minime: ad esempio la parte di acquedotto a Ponte del Gard in Provenza ha un gradiente di soli 34 cm per km (1:3000) scendendo di soli 17 m nella sua intera lunghezza di 50 km. La propulsione è interamente garantita dalla gravità, trasportando un grande quantitativo d'acqua in modo molto efficiente (il citato Ponte del Gard ne veicolava 20.000 m³ al giorno). A volte, quando si incontrano depressioni maggiori di 50 m lungo il percorso, vengono utilizzati i sifoni inversi, condotte a gravità utilizzate per superare il dislivello, in uso anche ai giorni nostri, quando gli ingegneri idraulici utilizzano questa metodologia per gli impianti idrici e fognari. Molte delle esperienze accumulate dagli antichi romani vennero perse durante il Medioevo e in Europa la costruzione di acquedotti conobbe una interruzione fino al XIX secolo, fatta eccezione

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per il soloRegno di Sicilia dove, dalla conquista islamica, si ampliò la rete idrica per le coltivazioni e per i giardini privati. Nei primi anni del regno venne realizzato il complesso architettonico della Zisa a Palermo, una sorta di monumentale fontana, che fungeva anche da palazzo di rappresentanza, alimentata da un acquedotto interrato e che con una serie di cascatelle faceva proseguire il medesimo all'esterno, dove giungeva in un ricco giardino. Molte tecniche idrauliche importate dai musulmani rimasero ancora in uso fino agli anni sessanta del XX secolo, la cui terminologia è di derivazione islamica[1], specie per la coltivazione degli agrumi. Un'altra interessante eccezione è costituita dal cosiddetto Ponte delle Torria Spoleto, un altissimo ponte-acquedotto in muratura (82 m) di cui si è ipotizzata la realizzazione nelXIII secolo. Per il resto dell'Europa l'approvvigionamento di acqua venne garantito principalmente tramite lo scavo di pozzi, ma questo metodo creava gravi problemi di salute pubblica quando le falde acquifere risultavano contaminate. Rare le eccezioni precedenti al XIX secolo, quindi, tra cui l'acquedotto New River, aperto nel 1613 in Gran Bretagna per rifornire di acqua potabile fresca la città di Londra coprendo una distanza di 62 km, e in Sicilia l'acquedotto benedettino che approvvigionava il convento di San Nicola a Catania percorrendo oltre 6 km e l'acquedotto Biscari, voluto dal Principe Ignazio Paternò Castello per la realizzazione della risaia più estesa del Regno. Delle due strutture siciliane la prima venne concessa nel 1649 a titolo gratuito al senato civico, in sostituzione dell'approvvigionamento cittadino dal fiume Amenano, del lago di Nicito e delle cisterne e pozzi privati, in cambio della manutenzione della stessa. L'acquedotto alimentava almeno una decina di mulini gestiti dai frati benedettini e concessi in enfiteusi, prima di giungere al maestoso convento. La struttura voluta nel XVIII secolo dal Principe Biscari, invece, non superava i due km di estensione e durò soltanto finché non fu in vita lo stesso principe. Per entrambe le strutture, realizzate in conci di pietra lavica, mattoni e ghiara, si fece largo uso di ponti di ispirazione romana e nel caso dell'acquedotto Biscari erano stati realizzati due livelli di archi. Lo sviluppo di canali fornì un ulteriore spunto alla costruzione di acquedotti. Tuttavia, la costruzione di acquedotti su vasta scala non riprese fino al XIX secolo per la nuova necessità di alimentare città in rapida crescita e industrie assetate d'acqua. Lo sviluppo di nuovi materiali (come il calcestruzzo e la ghisa) e di nuove tecnologie (come il motore a vapore) consentirono significativi miglioramenti. Per esempio, la ghisa permise la costruzione di sifoni invertiti più grandi e resistenti a maggiori pressioni, mentre pompe a vapore ed elettriche permisero un considerevole aumento della quantità e velocità del flusso d'acqua. L'Inghilterra primeggiava nel mondo per la costruzione di acquedotti, con gli esempi notevoli costruiti per trasportare l'acqua a Birmingham, Liverpool e Manchester. In Italia, fra 1823 e 1851, a più riprese, venne costruito a Luccaun acquedotto di foggia simile a quelli dell'antica Roma. Il suo architetto, Lorenzo Nottolini, progettò l'opera lunga circa 3,25 km per portare l'acqua del Monte Pisano nella città toscana ponendo alle sue estremità due tempietti che servivano all'approvvigionamento e alla gestione della struttura. Gli acquedotti in assoluto più grandi sono stati costruiti negli Stati Uniti per approvvigionare le più grandi città. Quello di Catskill porta l'acqua a New York coprendo una distanza di 190 km, ma è superato in grandezza da quelli dell'ovest dello stato, il più importante dei quali è l'Acquedotto del Colorado, cioè quello che collega il Colorado all'area urbana di Los Angeles situata 400 km più a ovest. Anche se indubbiamente gli acquedotti sono delle grandi opere di ingegneria, la notevole quantità d'acqua che trasportano possono creare delle grosse problematiche ambientali a causa dell'impoverimento dei corsi d'acqua.

Utilizzi

Storicamente, innumerevoli società agricole hanno costruito acquedotti per irrigare le coltivazioni. Archimede inventò la vite di Archimede per sollevare l'acqua usata nell'irrigazione delle terre coltivabili.

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Un altro uso molto diffuso degli acquedotti è l'approvvigionamento di grandi città con acqua potabile. Alcuni famosi acquedotti romani riforniscono ancora oggi la città di Roma. In California, USA, tre grandi acquedotti trasportano acqua per centinaia di miglia fino all'area di Los Angeles. Due provengono dall'area di Owens River e il terzo da Colorado River. In tempi più recenti, gli acquedotti sono stati utilizzati per scopi di navigazione commerciale consentendo alle chiatte fluviali di superare i dislivelli. Durante la Rivoluzione Industriale del XVIII secolo, molti acquedotti furono costruiti come parte del generale boom nella costruzione di canali artificiali. Nei moderni progetti di ingegneria civile, dettagliati studi e analisi del flusso in canale aperto sono comunemente richiesti a supporto di sistemi di controllo delle inondazioni, sistemi di irrigazione, e grandi sistemi di fornitura idrica quando un acquedotto anziché una condotta è la soluzione preferita. L'acquedotto è un modo semplice per trasportare acqua da altre parti del territorio.

Parti di un moderno acquedotto potabile. L’acquedotto a uso potabile è un'opera civile costituita da più parti funzionali che assolvono funzioni differenti:

Opere di presa e di trattamento delle acque

La prima di queste strutture è l'opera di presa, in corrispondenza della quale avviene la captazione dell'acqua dal ciclo naturale. Tali opere differiscono tra loro a seconda che le acque captate siano di superficie (fiumi, laghi, eccetera) o sotterranee (sorgenti, pozzi, ecc.). Subito a valle delle opere di presa generalmente vengono realizzati tutti gli impianti di trattamento delle acque necessari per renderle idonee al consumo umano (normalmente:impianto di potabilizzazione nel caso di captazione di acque superficiali e impianti di semplice disinfezione (clorazione) per le acque sotterranee).

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Opere di adduzione

Le acque potabili vengono trasportate dalle condotte adduttrici (opere di adduzione) che funzionano sia in pressione che a pelo libero (come il Canale Principale dell'Acquedotto del Sele-Calore gestito dall'Acquedotto Pugliese). Lungo il tracciato di una condotta adduttrice in pressione vengono realizzate varie opere d'arte necessarie per l'esercizio e la manutenzione delle stesse. Le principali sono:

� gli scarichi: ubicati nei punti più depressi del profilo idraulico. Nell'omonimo pozzetto, realizzato incalcestruzzo armato, viene realizzata una derivazione chiusa da una saracinesca che una volta aperta permette lo svuotamento della condotta adduttrice. L'acqua dello scarico viene convogliata, tramite un'apposita condotta, in fossi o collettori vicini. Nel caso in cui la configurazione del terreno dovesse richiedere condotte di scarico molto lunghe perché si possa trovare un idoneo recapito finale, si preferiscono ai suddetti scarichi, denominati scarichi liberi, quelli definiti scarichi a pompa , che per come sono realizzati, permettono lo scarico a gravità della maggior parte del sifone da vuotare, direttamente sul terreno nelle vicinanze dell'opera, ma ne lascia una certa parte all'interno della condotta, che viene eliminata a mezzo di una pompa.

� gli sfiati[2]: ubicati nei punti di massima quota del profilo idraulico. Possono essere:

� liberi: in questo caso sono costituiti da una tubazione, terminante con un tratto ricurvo dettopastorale, collegata direttamente con la adduttrice e di altezza superiore alla linea dei carichi idrostatici (si utilizzano in condotte con basse pressioni interne)

� automatici : costituiti da una apparecchiatura idraulica, denominata sfiato (air relief

valve), dotata di sfere, che a seconda della pressione in condotta, si abbassano, permettendo la fuoriuscita dell'aria o si alzano chiudendo la condotta. Tali sfiati sono montati, all'interno di pozzetti in calcestruzzo armato, in derivazione alla condotta principale e sono preceduti da una saracinesca che permette il loro smontaggio senza interruzione del flusso.

Gli sfiati possono svolgere una o tutte e tre le seguenti funzioni:

� funzione di degasaggio: quando hanno la funzione di eliminare l'aria che si forma all'interno della condotta durante il suo esercizio che trascinata dall'acqua, si va raccogliendo nei punti alti del tracciato. Tali bolle d'aria, se non eliminate, formerebbero delle sacche che possono assumere dimensioni tali da ridurre significativamente il flusso idrico sino ad interromperlo;

� funzione volumetrica di svuotamento: durante le fasi di svuotamento permettono l'entrata di un volume d'aria tale da compensare il volume di liquido che fuoriesce dagli scarichi, evitando così pericolose depressioni interne. I problemi di depressione si possono verificare non solo durante normale gestione di una condotta (svuotamento e riempimento per la manutenzione della condotta) ma anche per situazioni eccezionali quali:

� rottura della condotta con notevole fuoriuscita d'acqua rispetto al valore di portata a regime;

� operazioni di scarico incontrollate ed accidentali della condotta; � funzione volumetrica di riempimento: durante la fase di riempimento di una condotta

permettono la fuoriuscita dell'aria esistente all'interno delle tubazioni vuote evitando così il pericolo della formazione di sacche d'aria.

opere di interruzione o di disconnessione idraulica: sono costituite da serbatoi (anche pensili) di capacità limitata, che vengono costruite tutte le volte che è necessario annullare la piezometrica in un punto dell'adduttrice, sia per non sottoporre uno o più tratti di condotta a pressioni eccessive non compatibili con le caratteristiche delle tubazioni utilizzate, sia per permettere la derivazione di una o più condotte dall'adduttrice, in questo caso si parla

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di partitori. In alcuni casi si utilizzano anche per permettere l'esecuzione di misure idrauliche di controllo. Le derivazioni da adduttrici possono anche esser effettuate in carico senza la necessità di realizzare partitori.

� opere di accumulo: sono serbatoi di grande capacità, realizzati lungo il tracciato di condotte adduttrici molto estese, al fine di garantire una riserva idrica, per un dato periodo di tempo, nei tratti a valle dell'opera nel caso di interruzioni del flusso nel tronco di monte.

� tratte pensili: vengono realizzati per l'attraversamento aereo di fiumi, torrenti, zona in frana, ecc. Possono essere realizzati con: � pontitubo: in cui si sfrutta l'autoportanza del tubo. Nel caso di tubi in acciaio la

singola campata non può superare i 40 ÷ 50 m; � ponti veri e propri: la condotta viene portata da ponti opportunamente realizzati.

� sottopassi: vengono realizzati per sottopassare strade, autostrade, ferrovie, piccoli corsi d'acqua ecc. Attualmente per la posa della condotta, il sostituzione dello scavo in trincea, vengono utilizzate tecnologie no dig che preservano l'integrità della sovrastruttura.

Le opere di adduzione alimentano i serbatoi urbani a servizio dei di uno o più abitati che, in base alla posizione rispetto alla rete di distribuzione, possono essere di due tipi:

� di testa; � di estremità.

I serbatoi urbani svolgono diverse funzioni quali:

� disconnessione idraulica tra adduzione (a portata costante nelle 24 ore) e distribuzione (a portata variabile nelle 24 ore);

� compenso nelle 24 ore, riserva idrica e anticendio; � regolazione della piezometrica.

Opere di distribuzione

A valle del serbatoio urbano, generalmente viene realizzata una condotta di avvicinamento, denominata suburbana, che collega l'opera di accumulo alla rete di distribuzione idrica urbana. La rete di distribuzione idrica urbana è costituita dall’insieme delle condotte, delle apparecchiature e dei manufatti necessari ad alimentare le utenze private, le collettività, i vari servizi pubblici, le aziende artigiane e la piccola industria inserita nel contesto urbano. . Il punto (o i punti) in cui la suburbana si innesta nella rete di distribuzione viene denominato origine della distribuzione urbana o ODU. La suburbana normalmente non ha erogazioni lungo il tracciato. La rete di distribuzione moderna viene generalmente realizzata esclusivamente a maglie chiuse

(quella a rete ramificata non è più utilizzata) perché garantisce i seguenti vantaggi:

� di natura gestionale: maggiore elasticità ed efficienza di funzionamento poiché non è necessario interrompere il flusso nel caso di fuori servizio di un singolo tronco;

� di natura igienica: maggiore garanzia di mantenimento della potabilità dell'acqua distribuita poiché con il sistema reticolare l'acqua è sempre in movimento e non si determinano pericoli di acqua morta come nelle ramificazioni aperte.

� di natura funzionale: il percorso possibile da un nodo della rete a qualsiasi altro non è unico.

Esistono anche reti miste costituite da un insieme di maglie chiuse e ramificazioni aperte. Tuttavia negli ultimi anni si sta largamente diffondendo la tecnica della distrettualizzazione della

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reti, ossia si procede alla suddivizione della intera rete in porzioni minori al fine di migliorare la gestione e favorire il contenimento delle perdite idriche. In una rete di distribuzioni a maglie chiuse si distinguono: � una o più maglie principali, costituite da condotte di diametro maggiore;

� uno o più ordini di maglie secondarie di minor diametro; � condotte minori per l’allacciamento alle utenze.

Secondo quanto prescritto dal dall’Allegato 8 del DPCM 4/3/96, una rete di distribuzione idrica adeguatamente dimensionata deve assicurare:

� """the king of the vanzan"""" nelle ore di punta del servizio ed al minimo livello idrico nel serbatoio, almeno 10 m di carico sulla copertura degli edifici;

� nelle ore di minimo consumo (ore notturne) ed al massimo livello nel serbatoio, un carico sulle tubazioni della rete ovunque inferiore a 70 m;

� il contenimento delle oscillazioni della linea piezometrica in rete durante l’esercizio entro un limite di 20÷30 m per evitare di sollecitare eccessivamente i giunti delle tubazioni.

Poiché attualmente la maggior parte delle utenze è dotata di sistema di autoclavee,tali valori di pressione possono risultare eccessivi; in tal senso la carta del Sistema Idrico Integrato adottata dall'Acquedotto Pugliese prevede che il carico idraulico minimo deve essere non inferiore a 0,5

atmosfere misurate immediatamente a valle del rubinetto d’arresto posto immediatamente dopo il

misuratore

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Indicatore di portata

alcuni allievi

partecipanti al corso

Confezione membrane

di ricambio

Vista parziale di un impianto ad

osmosi inversa

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Fognature

Cenni storici

Nessuna civiltà antica raggiunse l'abilità dei romani nel sistema fognario. Con la cloaca massima, di cui si possono vedere alcuni tratti e lo sbocco presso i resti del Ponte Rotto ci hanno tramandato uno dei più importanti esempio di ingegneria idraulico - sanitaria. Con la caduta dell'impero, non vennero più costruite nuove fogne e spesso quelle esistenti furono abbandonate. Solo molto più tardi, nel XVII secolo, si sentì nuovamente l'esigenza di costruire fognature a seguito della forte urbanizzazione di città come Parigi e, dal XIX secolo, Londra.

Utenze

Le fonti di produzione dei reflui, in un agglomerato urbano, sono soprattutto le case e i luoghi di riunione abituali come la scuola, il posto di lavoro, la caserma, l'ospedale, ecc. Non vanno inoltre dimenticate le altre fonti di produzione, esse pure presenti nel tessuto cittadino, quali piccoli opifici, botteghe artigiane, officine meccaniche, garage, lavanderie, caseifici, studi fotografici, laboratori chimici e di analisi, macelli, ecc., che contribuiscono con scarichi di particolare natura, a volte ad elevatissimo tasso inquinante. Inoltre 'è anche il contributo, dei mercati all'aperto, e delle fiere periodiche, dei luna park e di quante altre attività l'uomo ha concepito nel suo lungo cammino dalle origini ai nostri giorni. Per la normativa vigente in materia non è ammesso lo smaltimento dei rifiuti, anche se triturati, in fognatura, ad eccezione di quelli organici che provengono dagli scarti dell'alimentazione trattati con apparecchi dissipatori di rifiuti alimentari che ne riducano la massa in particelle sottili, previo accertamento dell'esistenza di un idoneo sistema di depurazione. La normativa vigente in materia prevede che gli agglomerati urbani con un numero di abitanti equivalenti superiore a 2.000 devono essere provvisti di reti fognarie (fognatura dinamica[2]) per lo smaltimento delle acque reflue urbane.

Acque nere

Per quanto sopra, tutte le acque originate dalle suddette utenze vengono definite acque nere. In una definizione più generale, le acque nere sono quelle acque riconosciute nocive per la salute pubblica o moleste per il pubblico.

Acque bianche

Di contro tutte le acque non riconosciute nocive per la salute pubblica o moleste per il pubblico vengono chiamate acque bianche. Tra queste ci sono:

• le acque meteoriche di dilavamento provenienti da tutte le aree aperte impermeabilizzate quali, strade, parcheggi, tetti, cortili, ecc.

• le acque utilizzate per il lavaggi delle strade • le acque di raffreddamento provenienti da attività industriali

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Tipologie

Tutti i rifiuti liquidi comunque prodotti vanno collettati alla fognatura dinamica. Essa è costituita dalle opere di raccolta ed immissione delle acque di rifiuto nei collettori stradali, dalla rete composta da questi ultimi, dagli eventuali manufatti di controllo idraulico, dai sollevamenti e dai manufatti di scarico. A seconda del refluo di provenienza le fognature si distinguono in:

• fognature urbane: • fognature industriali.

I sistemi fognari urbani si distinguono ulteriormente in:

• sistema unitario o fognatura mista: raccolgono sia le acque di rifiuto urbane (acque di tempo asciutto) che le acque meteoriche;

• sistema separato: utilizza due reti separate chiamate: • fognatura nera: adibita alla raccolta ed al convogliamento delle acque reflue urbane

unitamente alle eventuali acque di prima pioggia:[3] • fogna bianca (o più correttamente fogna pluviale): adibita alla raccolta ed al

convogliamento delle sole acque meteoriche di dilavamento e di lavaggio delle strade, e dotata o meno di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia. Nelle fogne bianche di nuova costruzione può essere richiesto dall'autorità competente che le acque di prima pioggia debbano essere sottoposte, prima del loro smaltimento, ad una trattamento di grigliatura e dissabiatura. In casi particolari quali acque di dilavamento di piazzali, strade, parcheggi, ecc., può essere richiesto anche un trattamento di disoleazione.

Si possono trovare abitati serviti in parte con un sistema misto ed in parte con un sistema separato (es. Bari). Con l'entrata in vigore del Decreto Presidente del Consiglio dei ministri del 4 marzo 1996 nelle zone di nuova urbanizzazione e nei rifacimenti di quelle preesistenti si deve di norma, salvo ragioni economiche ed ambientali contrarie, prevedere il sistema separato. In tali zone si può prevedere il solo invio delle acque di prima pioggia nella rete nera solo se tale immissione è compatibile con il sistema di depurazione adottato.

Gerarchia

Le canalizzazioni, in funzione del ruolo che svolgono nella rete fognaria sono distinte secondo la seguente terminologia:

• fogne: canalizzazioni elementari che raccolgono le acque provenienti dai fognoli di allacciamento delle utenze e/o dalle caditoie pluviali, convogliandole ai collettori.[4]. È buona norma adottare per le fogne nere diametri non inferiori al DN 200 mm;

• collettori: canalizzazioni costituenti l'ossatura principale della rete che raccolgono le acque provenienti dalle fogne più importanti e quelle ad essi direttamente addotte da fognoli e/o caditoie. I collettori a loro volta confluiscono in un emissario;

• emissario: canale esterno all'abitato, che, partendo dal termine della rete (dal punto in cui non ci sono più afflussi), trasporta le acque raccolte all'impianto di depurazione. Spesso con il termine emissario si indicano i canali effluenti dagli impianti.

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L'aspetto idraulico

Ovviamente, una rete fognaria, a seconda che sia di tipo misto o separato, richiede un diverso approccio progettuale. Infatti mentre nel primo caso occorre tenere conto sia dei reflui addotti alla rete dalle varie utenze, civili e non che siano, sia delle precipitazioni che possono verificarsi nella regione considerata, nel caso di fognature separate questi due aspetti vanno considerati separatamente. Più precisamente il progettista è chiamato a fornire una stima della portata che la fognatura è chiamata a smaltire. I parametri che più interessano per un corretto dimensionamento sono il valore medio e quello massimo di tale portata. In genere la condotta fognaria va dimensionata sulla base della portata media in base alla quale vengono disegnate le sezioni nel rispetto dei parametri di velocità ammissibili durante il funzionamento "a regime", ma deve essere in grado di smaltire senza problemi anche quella massima senza tracimare dai pozzetti intercalati lungo il percorso. In questo caso si ammette che possano essere superate, per brevi periodi, le velocità consigliate, ammissibili per quel tronco fognario. È per questo motivo che soprattutto nei centri abitati di dimensioni medio-grandi o in aree interessate da frequenti allagamenti o da eventi meteorici di dimensioni eccezionali si sceglie in via preferenziale la soluzione a reti separate. In tal modo si evita di sovradimensionare inutilmente la rete ordinaria durante il funzionamento per gli usi "civili" e si crea una rete dedicata per sopperire agli inconvenienti legati ad eventi meteorici gravosi per le città.

Fogna nera

Per il calcolo della fogna nera si fa riferimento alla portata nera media e di punta. Il calcolo delle portate dipende da i seguenti parametri:

• Popolazione (P): previsione della popolazione da servire durante la vita della fognatura (40 - 50 anni). Si calcola con formula, tipo quella dell'interesse composto o della curva logistica limitata o di Pearl, sulla scorta dei dati rinvenienti dai censimenti.

• dotazione idrica (d): espressa il l*ab/g, rappresenta normalmente la quantità di acqua individuale che deve essere garantita mediamente durante l'anno. Tale valore è di regola indicato dal Piano Regolatore generale degli Acquedotti (PRGA) o atti similari[5]. ;

• coefficiente di massimo consumo (m): rappresenta il rapporto tra la portata di punta Qp nel giorno di massimo consumo annuo e la portata media annua Q. Per tale coefficiente di norma si assume un valore pari a 2,25[6] anche se tale valore varia al variare della dimensione dell'abitato, cresce al decrescere della estensione del centro urbano;

• coefficiente di riduzione (c): coefficiente che tiene conto dell' effettiva aliquota di acqua potabile distribuita che dopo l'utilizzo viene scaricata nella fognatura. Infatti la portata di scarico domestica è connessa, ma non coincidente, con quella distribuita dalla rete di distribuzione idrica urbana. Le differenze possono essere determinate da cause quali: a) utilizzazioni idriche che non comportano scarichi in fognatura nera (innaffiamento dei giardini, lavaggio delle strade, ecc.); b) perdite nella rete di distribuzione e per sfioro nei serbatoi. Pertanto non tutta l'acqua che viene immessa nella rete di distribuzione giunge agli utenti e poi da questi viene convogliata nella fogna nera. Nella pratica progettuale per tale coefficiente di regola si assume un valore variabile tra 0,7 e 0,8.

Nel caso di massicce immissioni all'interno del sistema fognante indipendenti dalla rete di distribuzione idrica, quali i fenomeni di infiltrazioni a seguito dell'alto livello della falda freatica si dovrà tenere in conto anche di queste ulteriori aliquote della portata.

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La velocità relativa alla portata media non dovrà di norma essere inferiore a 50 cm/s per scongiuare la sedimentazione della materia fecale. Quando ciò non potesse realizzarsi dovranno essere interposti in rete adeguati sistemi di lavaggio. La velocità relativa alle portate di punta non dovrà essere superiore a 4 m/s.

Fogna bianca

Per il dimensionamento della fogna bianca si fa riferimento alla massima portata pluviale che viene calcolata sulla base dello studio idrologico delle durate degli eventi meteorici, dell'estensione delle aree dei bacini scolanti e dei coefficienti di assorbimento dei terreni. Tra i metodi più utilizzati per il calcolo della portata pluviale ci sono:

• il metodo del volume d'invaso; • il metodo cinematico - lineare o del tempo di corrivazione

La velocità massima eccezionale non dovrà superare di norma 5 m/s.

Fogna mista

Per la fogna a sistema misto, il dimensionamento dovrà essere fatto sia per condizioni di tempo asciutto (portate nere) che per quelle di tempo di pioggia (portate nere + portate pluviali), rimanendo valide indicazioni sopra riportate.

L'aspetto igienico

Lo smaltimento dei reflui in una città come in un qualunque altro agglomerato di abitazioni è un problema della massima importanza. Le deiezioni contengono sempre miliardi di germi molti dei quali possono essere causa di gravi malattie, pertanto devono essere allontanate dai centri abitati nel più breve tempo possibile. Nelle fattorie isolate, nei villaggi e in tutte le località in cui manca un impianto pubblico di fognatura, si usano le cosiddette "fosse biologiche". Nelle comunità più grandi, le deiezioni vengono allontanate per mezzo di apposite condotte che sfociano in mare, nei laghi e nei corsi d'acqua. In altre comunità, le deiezioni vengono trattate secondo precisi piani di smaltimento. La fossa biologica, usata per la sistemazione privata delle deiezioni, è fatta di mattoni, o calcestruzzo o metallo, ed ha la capacità di almeno due quintali. Le deiezioni entrano nella fossa e vengono invase da particolari batteri che vivono nelle sostanze di rifiuto solide e che distruggono i batteri dannosi pullulanti nelle sostanze liquide. I liquidi, poi, escono dalla fossa attraverso un sistema di "tubature collegate" sistemate subito sotto la superficie del suolo. Infine, questi liquidi vengono assorbiti dal terreno. Questo scolo di liquidi nel terreno non è pericoloso a meno che non avvenga in comunità troppo popolate, dove troppo liquido potrebbe penetrare nel terreno, sino a saturarlo. La sistemazione delle deiezioni in una città costituisce un problema molto più complesso. Dalle tubature delle case private, degli edifici pubblici e degli stabilimenti, le deiezioni vengono raccolte in grandi condotti, dove, in seguito a speciale trattamento con calce, o con una miscela di calce ed alluminio, oppure ancora con calce e solfato ferroso, si decompongono. Per prevenire l'accumularsi dei gas velenosi od esplosivi, che si formano dalle deiezioni in decomposizione, le tubature devono essere sufficientemente ventilate. È per questo che, a distanza di una decina di metri l'uno dall'altro, vengono collocati, nelle condutture, dei serbatoi, o camere,

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chiusi con una grata di ferro, dalla quale l'aria possa passare. Vengono anche predisposti dei "sifoni" per evitare che questi gas tornino nelle case. In queste trappole, si raccoglie, appunto, l'acqua che impedisce ai gas di tornare indietro. Le città che dispongono di un proprio impianto per la eliminazione delle immondizie e delle deiezioni usano vari sistemi. Comunemente, vi è un serbatoio di separazione usato per separare le sostanze metalliche, ed altre sostanze inorganiche. Successivi serbatoi, a volte riscaldati, raccolgono le immondizie permettendo nel contempo all'aria di penetrarvi lentamente. L'aria tiene le immondizie in continuo movimento (e a questo scopo si possono usare anche dispositivi meccanici) e procura l'ossigeno per i batteri e altri organismi che si nutrono di immondizie. Con questo sistema, si ottiene la distruzione dei batteri dannosi e un certo grado di liquefazione delle materie solide. I liquidi vengono, a volte, spruzzati in aria, dove i batteri rimasti vengono distrutti dall'azione dell'ossidazione e dei raggi ultravioletti del sole. Dopo questo processo, possono venire immessi in corsi d'acqua, ma per maggior sicurezza vi si aggiungono sostanze germicide. I materiali solidi vengono estratti dal serbatoio di decomposizione, detto anche serbatoio digerente, essiccati e venduti come fertilizzanti

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Depurazione

La depurazione è il sistema tecnologico che si realizza e si attiva per eliminare dai sistemi liquidi e gassosi sostanze estranee o inquinanti. Si svolge un processo composto da una serie di

azioni programmate di carattere fisico, chimico e biologico. Gli impianti di depurazione più comuni si possono dividere in due grandi classi, a seconda di ciò che si deve depurare: aria o acqua. Riguardo alla depurazione dell'aria, si ricorda il sistema dei filtri a maniche. La depurazione dell'acqua occupa uno spettro molto ampio:

• trattamento degli scarichi urbani; • trattamento degli scarichi industriali (ad esempio attraverso la tecnologia

dell'elettroflottazione). Alcuni dei risultati ottenibili sono: abbattimento dell'ammoniaca, dell'azoto, dello zolfo, dei metalli in soluzione ed eliminazione dei fosfati. Nella depurazione degli scarichi urbani si procede linearmente a stadi successivi, nei quali avvengono specifiche azioni e reazioni: separazione meccanica dei grossolani, sedimentazione, digestione batterica, ossidazione (fisiche, meccaniche e microbiologiche), filtraggi, disinfezioni finali (ipoclorito di sodio, acido peracetico, ozono, raggi ultravioletti). Tutti i processi coinvolti nel ciclo depurativo non sono altro che gli stessi che avvengono normalmente in natura, ma massimizzati in velocità e resa all'interno dell'impianto di depurazione. Esistono ovviamente anche depurazioni del suolo o sottosuolo o, più in generale, di ogni altro sistema inquinato; in ogni caso l'aria e l'acqua, riguardando la loro caratteristica di necessità alla vita sulla terra, rimangono preponderanti come classi degli impianti di depurazione.

Trattamento delle acque reflue Si definisce trattamento delle acque reflue (o depurazione delle acque reflue) il processo di rimozione dei contaminanti da un'acqua reflua di origine urbana o industriale, ovvero di un effluente che è stato contaminato da inquinanti organici e/o inorganici. Il trattamento di depurazione dei liquami consiste in una successione di più fasi (o processi) durante i quali, dall'acqua reflua vengono rimosse le sostanze indesiderate, concentrandole sotto forma di fanghi, dando luogo ad un effluente finale di qualità tale da essere idoneo allo sversamento in un corpo recettore (terreno, lago, fiume o mare mediante condotta sottomarina)[1], senza che questo ne possa subire danni (ad esempio dal punto di vista dell'ecosistema ad esso afferente). Il ciclo depurativo è costituito da una combinazione di più processi di natura chimica, fisica e biologica. I fanghi provenienti dal ciclo di depurazione sono spesso contaminati con sostanze tossiche e pertanto devono subire anch'essi una serie di trattamenti necessari a renderli idonei allo smaltimento ad esempio in discariche speciali o al riutilizzo in agricoltura o in un impianto di compostaggio.

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Tipologia di reflui

Negli impianti di depurazione tradizionali, a servizio di uno o più centri urbani (impianti consortili) sono di norma trattate:

• le acque reflue urbane o scarichi civili: comprendono le acque di rifiuto domestiche e, se la fogna è di tipo unitario, anche le acque cosiddette di ruscellamento. Le acque di origine domestica sono quelle provenienti dalle attività domestiche e dalla deiezione umana, queste ultime ricche di urea, grassi, proteine, cellulosa ecc. Le acque di ruscellamento cono quelle provenienti dal lavaggio delle strade e le acque pluviali. Contengono, in concentrazione diversa, le stesse sostanze presenti nei reflui domestici ma inoltre possono presentare una serie di microinquinanti quali gli idrocarburi, i pesticidi, i detergenti i detriti di gomma ecc.

• alcune tipologie di acque di rifiuto industriale: gli scarichi industriali hanno una composizione variabile in base alla loro origine. Negli impianti di depurazioni tradizionali possono essere trattati solo quei reflui industriali che possono ritenersi assimilabili dal punto di vista qualitativo a quelle domestiche. Tali scarichi possono essere eventualmente sottoposti a pretrattamenti in ambito aziendale, prima del loro scarico in fogna, per rimuovere le sostanze incompatibili con un processo di depurazione biologica. Infatti alcuni scarichi industriali possono contenere sostanze tossiche o suscettibili di turbare l'evoluzione biologica e pertanto tali da compromettere il trattamento biologico che è alla base del sistema depurativo tradizionale. Gli altri scarichi industriali possono avere una natura tale da essere insensibili ai trattamenti biologici pertanto devono essere trattati in maniera diversa direttamente nel luogo di produzione.

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Classificazione dei solidi da rimuovere

Le acque provenienti da scarichi urbani contengono un elevato quantitativo di solidi di natura organica ed inorganica che devono essere rimossi mediante il trattamento di depurazione. Tra le sostanze di natura organica fanno parte anche i microrganismi. Le sostanze da eliminare si possono dividere in sedimentabili e non sedimentabili. Le prime sostanze sono solide e più pesanti dell'acqua e perciò vanno facilmente a fondo quando la velocità del deflusso si annulla o scende al di sotto di un certo limite. Le sostanze non sedimentabili in parte galleggiano e in parte restano nel liquido: disciolte o allo stato colloidale; lo stato colloidale si può considerare uno stato intermedio tra quello di soluzione e quello di sospensione propriamente detto. In uno scarico di media forza, i solidi totali (espressi in mg/l) si possono così classificare:

• solidi sospesi:30%; di cui: o solidi sedimentabili: 75% di cui:

� solidi organici: 75% � solidi inorganici:25%

o solidi non sedimentabili: 25%di cui: � solidi organici: 75% � solidi inorganici:25%

• solidi filtrabili: 70% o colloidali: 10% di cui

� solidi organici: 80% � solidi inorganici:20%

o disicolti 90% di cui: � solidi organici: 35% � solidi inorganici:65%.

Impianti di depurazione

Gli impianti di depurazione sono costituiti da una serie di manufatti in genere in calcestruzzo armato, ognuno con specifiche funzioni, nei quali viene attuata la depurazione degli scarichi di origine civile e industriale. Solitamente in un impianto di trattamento delle acque reflue si distinguono due linee specifiche:

• la linea acque; • la linea fanghi.

Nella linea acque vengono trattati i liquami grezzi provenienti dalle fognature e di regola comprende tre stadi, chiamati:

• trattamento primario: un processo di tipo fisico utilizzato per la rimozione di parte delle sostanze organiche sedimentabili contenute nel liquame comprende la grigliatura, la sabbiatura, la sgrassatura, la sedimentazione primaria;

• trattamento secondario: un processo di tipo biologico utilizzato per la rimozione delle sostanze organiche sedimentabili e non sedimentabili contenute nel liquame. Comprende l'aerazione e la sedimentazione secondaria:

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• trattamento terziario: realizzato sull'effluente in uscita dalla sedimentazione secondaria, permette di ottenere un ulteriore affinamento del grado di depurazione. Comprende trattamenti speciali per abbattere il contenuto di quelle sostanze che non vengono eliminate durante i trattamenti primari e secondari.

Nella linea fanghi vengono trattati i fanghi prodotti durante le fasi di sedimentazione previste nella linea acque. Lo scopo di tale linea è quello di eliminare l'elevata quantità di acqua contenuta nei fanghi e di ridurne il volume, nonché di stabilizzare (rendere imputrescibile) il materiale organico e di distruggere gli organismi patogeni presenti, in modo tale da rendere lo smaltimento finale meno costoso e meno dannoso per l'ambiente. L'effluente finale trattato viene convogliato in una condotta detta emissario, con recapito finale le acque superficiali (corsi d'acqua, mare, ecc.), incisioni o lo strato superficiale del terreno (es. trincee drenanti). L'effluente finale può anche essere usato per l'irrigazione o nell'industria.

Riferimenti normativi

Attualmente la legislazione degli scarichi urbani in Italia, industriali o agricoli è disciplinata dal cd Testo Unico Ambientale Decreto Legislativo n° 152 del 03/04/2006 agli artt. 100-108 "Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi". Altre fonti normative sono:

• Decreto Legislativo del Governo n° 152 del 11/05/1999: Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (Abrogato dal D. Lgs. 152/96).[2]

• Legge Galli del 5 gennaio 1994, n.36: Disposizioni in materia di risorse idriche (Abrogata dal D. Lgs. 152/99).[3]

• Deliberazione 4 febbraio 1977 del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque

dall'inquinamento - Criteri, metodologie e norme tecniche generali di cui all'art. 2, lettere

b), d) ed e), della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante norme per la tutela delle acque

dall'inquinamento: Criteri generali per il rilevamento delle caratteristiche qualitative e quantitative dei corpi idrici e per la formazione del catasto degli scarichi.[4] (Art. 62 comma 7 D.lgs n° 152/99: ”Per quanto non espressamente disciplinato dal presente decreto, continuano ad applicarsi le norme tecniche di cui alla delibera del Comitato interministeriale per la tutela delle acque del 4 febbraio 1977 e successive modifiche ed integrazioni, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n° 48 del 21 febbraio 1977”. Con l'abrogazione del D.Lgs. 152/99 permane la validità della Delibera del Comitato Interministeriale in quanto disciplinante tutto ciò che non era contenuto nel Decreto abrogato).

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Potabilizzazione dell'acqua

La potabilizzazione dell'acqua (o purificazione dell'acqua) consiste nella rimozione delle sostanze contaminanti dall'acqua grezza per ottenere un'acqua che sia pura abbastanza per il normale consumo domestico[1] (o per l'utilizzo da parte di stabilimenti a scopo alimentare) ma anche per usi industriali. Con il graduale esaurirsi delle sorgenti con acqua naturalmente potabile (sorgenti di acque profonde), si sta sempre più ricorrendo all'acqua di origine superficiale (fiumi, laghi naturali e artificiali). Queste fonti di approvvigionamento però, a causa di più o meno gravi inconvenienti igienici, non possono essere utilizzati tal quali per scopi potabili e pertanto l'acqua di origine superficiale deve essere sottoposta a cicli di trattamenti di potabilizzazione necessari migliorarne la qualità. Sovente questo accade anche per le acque profonde con un alto contenuto di sostanze organiche ed un elevato numero di colibacilli. L'impianto di potabilizzazione viene realizzato a monte delle condotte di adduzione idrica facendo passare le acque grezze attraverso svariate tipologie impiantistiche di rimozione del materiale organico ed inorganico.I metodi di rimozione utilizzati possono essere di natura fisica, chimico-fisica e biologica in funzione del tipo di sostanze da eliminare dall'acqua grezza in ingresso all'impianto. Le sostanze che devono essere rimosse durante il trattamento di potabilizzazione possono essere di origine naturale e antropica; la prima tipologia comprende ad esempio:

• ferro e manganese presenti nell'acqua di origine profonda; • idrogeno solforato presente nelle acque di falda o in aree vulcaniche; • i solfati presenti nelle acque profonde ed in zone ad attività termale.

La seconda tipologia comprende ad esempio:

• metalli pesanti, come antimonio, arsenico, piombo, in concentrazioni rilevabili originati dagli scarichi industriali;

• microinquinanti organici[2] come idrocarburi, pesticidi e solventi; • ammoniaca, nitriti, nitrati, ecc.

Inoltre le acque grezze contengono anche forma di vita microbiologica come: • plancton; • benthos; • miceti; • protozoi; • batteri banali e patogeni; • virus.

La sequenza dei processi di potabilizzazione da adottare, deve essere progettata per garantire all'acqua trattata:

• idonee caratteristiche organolettiche: sapore, odore, colore, torbidità; • idonee caratteristiche fisiche: come temperatura, conducibilità elettrica e pH; • idonee caratteristiche chimico-biologiche: come la durezza, la salinità, i microinquinanti, il

carico organico, la vita microbiologica (es. rimozione dei patogeni tramite disinfezione).

Tuttavia il fatto che l'acqua sia per natura un solvente rende alquanto problematica l'efficace eliminazione di moltissime sostanze indesiderate.

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Tipi di solidi

Le acque grezze contengono diverse tipologie di sostanze di natura organica ed inorganica, qui di seguito classificati, che devono essere rimosse durante il trattamento di potabilizzazione:

• solidi grossolani distinguibili in: o solidi grossolani sedimentabili (ghiaia, sabbia grossa, terriccio); o solidi grossolani non sedimentabili (foglie, piccola fauna, alghe);

• solidi sospesi costituiti da particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 1 µm: anch'essi si distinguono in:

o solidi sospesi sedimentabili ( argilla, sabbia fine); o solidi sospesi non sedimentabili (microflora e microfauna, plancton).

• solidi filtrabili costituite da: o sostanze colloidali costituite da particelle di dimensioni tali (10−7 - 10−5 cm) da non

poter essere separati dall'acqua con alcun trattamento meccanico; o sostanze disciolte o solute omogeneamente disperse allo stato molecolare o ionico

nell'acqua.

Le sostanze colloidali e le sostanze sospese non sedimentabili sono la causa prima della torbidità dell'acqua

Classificazione dei trattamenti

I trattamenti di potabilizzazione vengono classificati nel seguente modo:

• trattamenti fisici semplici: sono articolati in un'unica fase, eliminano i solidi sospesi sedimentabili e quelli grossolani non sedimentabili (grigliatura e sedimentazione) e quelli non sedimentabili (stacciatura e filtrazione).

• trattamenti fisici e chimici normali e spinti: sono articolati in più fasi ed eliminano i solidi sospesi non sedimentabili (chiariflocculazione) e correggono le caratteristiche chimiche delle acque grezze eliminando quelle sostanze disciolte che risultano incompatibili con l’uso a cui l’acqua è destinata (addolcimento, stabilizzazione, deferrizzazione, demanganizzazione, desilicazione, fluorazione e defluorazione, aerazione).

• trattamenti di affinazione: anch'essi articolati in più fasi, migliorano le caratteristiche organolettiche dell'acqua (adsorbimento su carboni attivi) e abbassano il contenuto di solidi disciolti (demineralizzazione)

• disinfezione ha lo scopo di eliminare la presenza di microrganismi (clorazione, cloroammoniazione, ozonizzazione, attinizzazione).

Trattamenti fisici semplici

Questa tipologia di interventi sono previsti, quando necessario, a monte dei processi di trattamento di potabilizzazione veri e propri, e che permettono la rimozione di materiali e sostanze che per loro natura e dimensione rischiano di danneggiare le attrezzature e di compromettere l'efficienza dei successivi stadi di trattamento.

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Grigliatura

Le acque grezze contengono sedimenti che possono creare diversi problemi durante il ciclo di potabilizzazione:

• otturando o danneggiando le pompe; • ostruendo canali e tubazioni; • influenzando negativamente l'efficienza dei successivi processi di trattamento.

La grigliatura ha l'obiettivo di trattenere i solidi grossolani non sedimentabili (rami, foglie, stracci, plastica, ecc.) e solidi grossolani sedimentabili (ghiaia, ecc.). Tra questi materiali grossolani è compresa l'eventuale fauna del corpo idrico (pesci). La grigliatura viene adottata in tutti gli schemi di trattamento delle acque superficiali e in questo caso è posta a monte degli altri trattamenti. Nel caso di acque della categoria A1, può costituire l'unico trattamento fisico oltre alla disinfezione. La griglia è costituita da una serie di barre metalliche poste ad una distanza tale da creare ostacolo ai corpi grossolani trasportati dalla corrente. La griglia viene installata internamente al canale di arrivo all'impianto, inclinata con una pendenza di regola pari a 1:3. Il canale in corrispondenza della griglia si allarga in modo tale che la velocità dell'acqua a valle della griglia, tenuto conto dell'ingombro delle sbarre, si mantenga prossima a quella che si ha nel tratto a monte. La velocità dell'acqua cha attraversa la griglia deve essere sufficiente a impedire la sedimentazione dei solidi a monte della stessa ma non troppo elevata per non incrementare le perdite di carico. A seconda dell'interasse tra le barre, le griglie si suddividono in:

• grossolane - interasse di 5÷10 cm; • medie - interasse di 2,5÷5 cm; • sottili - interasse di 1÷2,5 cm.

In base al sistema di pulizia vengono classificate invece in: • manuali: utilizzate principalmente per griglie grosse (poste in testa ai canali di by pass) e per

piccoli impianti dove la quantità di solidi grigliabili è da ritenersi trascurabile e/o quando le operazioni di pulizia non risultano troppo onerose;

• meccaniche: in tutti gli altri casi.

Stacciatura e microstacciatura

Nel caso in cui sia necessario effettuare una rimozione spinta dei solidi grossolani non sedimentabili e dei solidi sospesi non sedimentabili si prevede accanto alla grigliatura anche una stacciatura (o setacciatura) o una microstacciatura. Questo tipo di intervento è di regola alternativo alla sedimentazione primaria ed inoltre viene utilizzato anche per la rimozione di alghe e plancton. Lo staccio è costituito cilindro rotante (tamburo o noria) in acciaio inox ad asse orizzontale, chiuso alle sue estremità e parzialmente immerso in una vasca, su cui è montata una rete metallica anch'essa in materiale inossidabile. L'acqua filtra attraverso la rete all'interno del cilindro e viene inviata verso i successivi trattamenti, mentre il materiale viene trattenuto sulla sua superficie.

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Nella rotazione, una porzione del tamburo emerge permettendo così di liberare la rete dai materiali trattenuti mediante spruzzi d'acqua. L'acqua di lavaggio viene raccolta in una canaletta e inviata alla linea fanghi. Gli stacci e i microstacci sono costruttivamente simili, differenziandosi solo per le dimensioni dei fori delle reti filtranti. Le aperture di passaggio possono essere anche di pochi millimetri per cui il trattamento risulta più efficiente della grigliatura fine. Oltre alla possibilità di trattenere materiali particolarmente piccoli, la stacciatura presenta il vantaggio, rispetto alla grigliatura, di trattenere tutto il materiale che abbia almeno una dimensione di misura superiore al passo della rete[3]

L'inconveniente principale della stacciatura è però la facilità con cui avvengono gli intasamenti e la necessità di frequenti operazioni di manutenzione e di pulizia. La stacciatura può essere applicata solamente nel caso di acqua con una bassa concentrazione di solidi sospesi.

Sedimentazione primaria

La sedimentazione primaria sfrutta la forza di gravità per eliminare dall'acqua i solidi sedimentabili prevalentemente di natura inorganica (sabbie, terriccio, limo, ecc.) - "dissabbiamento" -. Viene adottata come pretrattamento fisico limitatamente alle acque con un'elevata torbidità (> 1.000 mg/l) e/o con silice in sospensione. In questi casi viene inserita a monte della chiariflocculazione al fine di alleggerirne il carico in arrivo. La funzionalità di un dissabbiamento è legata alla capacità di consentire la sedimentazione dei materiali inerti di diametro superiore a certi valori, che la pratica indica in 0,2-0,5 mm. Questi materiali infatti possono creare problemi ai successivi trattamenti poiché possono intasare tubazioni e canali, e abradere le apparecchiature elettromeccaniche (pompe). Con il dissabbiamento si raggiunge l'obiettivo di eliminare il 65-70% dei solidi sospesi e di migliorare la qualità dell'acqua da inviare ai trattamenti successivi.

Modalità di sedimentazione Per ipotesi:

• il materiale da sedimentare è di tipo granuloso, cioè sedimenta senza interferire con le altre particelle;

• il moto del fluido è laminare;

in queste condizioni la velocità di sedimentazione delle particelle è regolata in prima approssimazione dalla legge di Stokes. Tale legge è valida rigorosamente per particelle di forma sferica immerse in un liquido in quiete e a temperatura costante il cui moto verso il basso non è influenzato né dalla presenza di altre particelle né dalle pareti del contenitore.

Tipologia dei decantatori La sedimentazione viene realizzata all'interno di apposite vasche, denominate decantatori, entro le quali l'acqua si muove con un flusso il più laminare possibile per un tempo sufficiente a consentire la sedimentazione delle particelle più pesanti. Tali vasche devono consentire:

• la separazione delle particelle di diametro superiore a 0,2-0,5 mm; • la raccolta sul fondo delle particelle e la loro concentrazione e rimozione sotto forma di

fango.

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I decantatori possono essere a flusso orizzontale o verticale:

• i decantatori a flusso orizzontale o dissabbiatori a canale, sono costituiti da una o più vasche in parallelo a sezione rettangolare molto allungata. Queste vasche vengono percorse in senso orizzontale dall'acqua ed hanno delle dimensioni tali da far assumere al fluido una velocità tale da consentire, nel tempo di attraversamento, la sedimentazione sul fondo della maggior parte delle particelle sedimentabili;

• i decantatori a flusso verticale o a flusso ascensionale sono di norma a sezione circolare. In queste vasche l'ingresso dell'acqua grezza può essere centrale dall'alto; in questo caso l'acqua, per poter fuoriuscire dalla vasca stessa è costretta a percorre una traiettoria tortuosa; infatti prima deve spostarsi verticalmente verso il basso per poter passare sotto un deflettore concentrico, detto camino, successivamente, superato l'ostacolo camino, deve risalire e superare uno stramazzo posto lungo il perimetro della vasca. Il liquido stramazzato viene raccolto da una canaletta e trasportato al trattamento successivo. Lungo questo percorso, tutte le particelle di tipo granuloso che hanno una velocità di sedimentazione superiore alla velocità ascensionale della corrente vengono trattenute nella vasca. In pratica la sedimentazione dipende dalla superficie della vasca e non dal suo volume. Infatti a parità di portata del flusso ascensionale (Qa), maggiore è la superficie (S) della vasca, minore è la velocità del flusso ascensionale (Va=Qa/S), maggiore è la percentuale di particelle che sedimenta.

Il materiale sedimentato viene convogliato verso una tramoggia ricavata sul fondo della vasca, mediante raccoglitori meccanici che spazzano il fondo stesso, e da qui pompati alla linea trattamento fanghi. Le dimensioni delle vasche dipendono dal tempo di detenzione il quale è funzione delle caratteristiche dei solidi sedimentabili presenti nelle acque grezze e del tipo di decantatore prescelto. Il tempo di detenzione può variare da 4 - 8 ore.

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Filtrazione

La filtrazione è un trattamento impiegato per eliminare dalle acque i solidi sospesi non sedimentabili. Il trattamento di filtrazione consiste nel passaggio dell'acqua grezza attraverso uno mezzo filtrante (letto/strato filtrante o telo filtrante). Nel caso di strato filtrante il materiale filtrante può essere costituito da sabbia quarzosa, antracite o carbone attivo. Durante la filtrazione i solidi filtrati iniziano progressivamente ad intasare lo strato filtrante determinando un aumento delle perdite di carico, per vincere le quali viene aumentata la pressione di alimentazione. Superato il valore massimo di detta pressione si deve procedere all'interruzione del flusso e alla pulizia del mezzo filtrante. Lo strato filtrante poggia su un fondo drenante, che ha la funzione di: • evitare il passaggio, con l'acqua, del materiale costituente il filtro drenante; • ripartire uniformemente il flusso durante la filtrazione; • ripartire l'acqua durante il controlavaggio.

Il moto dell'acqua attraverso lo strato filtrante è regolato dalla legge di Darcy. Il filtro può funzionare: • a portata costante e carico variabile; • a carico costante e portata variabile; • a carico e portata variabili.

La filtrazione viene adottata sia come unico trattamento o in serie con altri processi come ad esempio nella chiariflocculazione. In quest'ultimo caso, poiché l’efficienza della sedimentazione postchiarifloculazione non è mai del 100%, l'effluente chiarificato contiene ancora una certa quantità di solidi che deve essere eliminato mediante filtrazione. Il funzionamento dei filtri si articola in due fasi:

• la filtrazione; • la pulizia.

Nella potabilizzazione i filtri si suddividono in: • filtri di superficie: la filtrazione avviene mediante teli filtranti che impediscono il passaggio dai

materiali di dimensioni superiori ai fori del telo(es.tessuto non tessuto; in questo caso le particelle sono trattenute sulla superficie del mezzo filtrante formando uno strato di materiale che trattiene le successive particelle. Forme speciale di filtrazione superficiale sono i processi a membrana suddivisi in base alla grandezza dei pori in: microfiltrazione, ultrafiltrazione, nanofiltrazione e iperfiltrazione o osmosi inversa. La filtrazione con membrane può essere usata ad esempio come alternativa alla chiariflocculazione o ai processi di adsorbimento;

• filtri di volume: la filtrazione avviene mediante una matrice porosa tridimensionale detta letto filtrante costituito da materiali discreti di piccole dimensioni (es. sabbia); in questo caso le particelle sono trattenute all'interno del mezzo filtrante. L'efficacia di un materiale filtrante dipende da alcune proprietà delle particelle come dimensione, forma e chimica superficiale.

I filtri di volume di suddividono ancora in: • filtri lenti; • filtri rapidi.

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Filtri lenti

I filtri lenti sono il primo sistema di filtrazione usato nella potabilizzazione, attualmente però sono poco usati. La filtrazione lenta può essere utilizzata nel caso di torbidità < 10 ppm. I filtri sono formati da vasche cilindriche in calcestruzzo armato sul fondo delle quali appositi ripiani, muniti di un’adeguata serie di fori, sostengono la massa filtrante. Il letto filtrante è costituito da sabbia fine/finissima o altro materiale minuto. Il letto filtrante è sostenuto da uno sottostante strato di materiale, anch'esso filtrante, formato da uno strato di ghiaia grossolana e da sovrastanti strati di ghiaia via via più fine (materasso drenante). Nei filtri lenti l'azione filtrante è esercitata dalla pellicola biologica che si sviluppa sulla superficie del filtro in 10-15 giorni (tempo di maturazione del filtro). Il film filtrante è molto sensibile ai disturbi meccanici e ai contaminati organici. Durante il periodo di maturazione della pellicola l'acqua filtrata non è da ritenersi potabile. L’afflusso dell’acqua nel filtro avviene dall'alto mentre il deflusso avviene dal basso; la velocità di filtrazione è dell'ordine di 0,12÷0,40 m/ora. Sono essenzialmente del tipo a gravità (filtri aperti). Quando lo strato filtrante inizia ad ostruirsi bisogna procedere alla sua pulizia, che avviene ogni 4÷6 settimane. La pulizia è manuale e consiste nella rimozione del primo strato di sabbia, nel lavaggio della sabbia in vasche separate e nella ricostruzione del letto filtrante.

Filtri rapidi

I filtri rapidi sono i più utilizzati, specie in associazione a con altri trattamenti come la chiarificazione (acque superficiali) e la deferrizzazione e demanganizzazione (acque profonde), e possono trattare una portata in ingresso 40 volte superiore a quella dei filtri lenti. Spesso vengono utilizzati quanto la torbidità risulta > 10 ppm. I filtri rapidi sono identici a quelli lenti; varia soltanto la grossezza del materiale costituente il letto filtrante e il materasso filtrante, in modo da rendere più rapida la velocità di filtrazione , pari a 5–10 m/ora. In questo caso la filtrazione è di tipo meccanico. Per i filtri rapidi di regola si utilizzano letti filtranti monostrato (single media) costituiti da sabbia fine quarzosa (spessore 50–80 cm) supportata da un materasso filtrante, o strato drenante, costituito da materiale più grossolano (ad esempio ghiaia) dello spessore 20÷30 cm. Si possono realizzare anche filtri costituiti da due strati filtranti di materiali con diverso peso specifico (dual media). Di regola in questo caso lo strato superiore è costituito da antracite, più leggero, e quello inferiore è in sabbia quarzosa. Lo strato di antracite, essendo formato da particelle più grossolane della sabbia, preserva dalla rapida occlusione i primi strati di sabbia. Dopo un certo tempo, le particelle trattenute iniziano ad intasare il letto drenante diminuendone la permeabilità, e determinando, a portata di afflusso costante, un aumento del livello idrico nelle vasche filtranti. Superato il livello limite, lo strato drenate deve essere sottoposto a lavaggio in controcorrente per ripristinarne l'efficienza. Durante il controlavaggio, acqua e aria vengono pompate dal basso verso l'alto, attraverso le condotte dell'acqua chiarificata.

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L'intensità del flusso di controlavaggio deve tale da far espandere il materiale filtrante in modo che vengano rimosse le impurità trattenute durante la fase di filtrazione ma deve permettere la dispersione del materiale filtrante. Durante il controlavaggio il filtro ha un'espansione pari a circa 10-20% dell'altezza del letto, pertanto, il fase di progettazione, bisogna tenere in conto questo fenomeno per evitare la perdita di materiale filtrante durante la sua pulizia. Dopo il controlavaggio, grazie al diverso peso specifico, i materiali filtranti si risistemano naturalmente riformando i due strati originari. Di regola i filtri devono essere lavati ogni 36÷48 ore. Possono essere sia del tipo a gravità che a pressione; nei grossi impianti sono in genere aperti con funzionamento a gravità mentre per piccole utenze si possono utilizzare i filtri a pressione. Vista la rapidità con cui le singole unità filtranti si saturano, e pertanto necessitano di lavaggio, in un impianto di potabilizzazione, per garantire la continuità del filtraggio, si prevedono sempre più filtri con funzionamento in parallelo.

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Trattamenti fisici e chimici normali e spinti

Chiariflocculazione

La chiariflocculazione è un trattamento chimico-fisico che viene adottato per eliminare i solidi sospesi non sedimentabili di natura colloidale non eliminabili con i trattamenti fisici semplici. Con questo trattamento si rimuovono anche i solidi sedimentabili finissimi non eliminabili, per motivi economici, con un trattamento fisico semplice a causa della loro velocità di sedimentazione estremamente bassa che comporterebbe decantatori di notevoli dimensioni. Con questo trattamento si può rimuovere anche la silice colloidale presente nell'acqua di origine superficiale. Con la chiariflocculazione si possono eliminare tutte quelle particelle che causano la torbidità dell'acqua e possono influenzare negativamente le efficienze dei successivi trattamenti. Infatti la presenza di sostanze in sospensione, ad esempio, può vanificare l'effetto della disinfezione finale poiché tali particelle possono proteggere i microrganismi contro l'azione dei disinfettanti. Nel trattamento di chiariflocculazione si sfruttano le proprietà di alcune sostanze, dette coagulanti, che in determinate condizioni operative, formano in acqua dei composti insolubili dotati di carica elettrica di segno opposto (carica positiva) rispetto a quella dei colloidi costituenti la torbidità da eliminare (carica negativa). Pertanto, tali composti, sono capaci di neutralizzare le cariche di repulsione elettrostatica presenti sulla superficie dei colloidi, causa della loro disagregazione, provocandone così l'aggregazione in microfiocchi. Se le acque trattate vengono opportunamente agitate, i microfiocchi si aggregano ulteriormente tra di loro formando fiocchi con buone proprietà di sedimentazione che vengono trascinati verso il basso dagli idrossidi insolubili formatisi dalla reazione dei sali metallici, di cui sono costituiti i coagulanti inorganici, con gli ioni OH- presenti nell'acqua. Inoltre i fiocchi, avendo una forma irregolare, nel loro moto verso il basso intrappolano particelle non coagulate creando un ulteriore effetto chiarificante. I microfiocchi che non riescono a sedimentare vengono eliminati con la filtrazione.

Fasi

La chiarificazione si compone di quattro fasi:

• coagulazione; • flocculazione; • sedimentazione; • filtrazione rapida.

Le prime tre fasi possono essere effettuate in bacini separati o in unica vasca; in quest'ultimo caso si parla di bacino unico[4]. Commercialmente esistono vari tipi di bacini unici i cui nomi cambiano a seconda del produttore e del processo, come ad esempio:

• accelator: processo a ricircolo di fango; • pulsator: processo a letto di fango; • cyclofloc: processo a fiocco appesantito da sabbia fine;

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• actiflo: processo a fiocco appesantito da sabbia fine.

Coagulanti

I vari coagulanti agiscono secondo un proprio particolare e complesso meccanismo chimico-fisico non sempre ancora a pieno conosciuto ed interpretato. I più utilizzati sono i coagulanti inorganici. Tali reattivi appartengono a tre gruppi principali:

• derivati dell'alluminio; • derivati del ferro; • la calce.

Addolcimento

Come è noto, si definisce durezza di un’acqua il suo contenuto di ioni metallici bivalenti, essenzialmente Ca2+ e Mg2+. La durezza non crea problemi per l'uso potabile ma essendo all'origine della formazione di incrostazioni, può danneggiare tubazioni, lavatrici, caldaie, ecc. e può creare problemi per particolari applicazioni industriali; pertanto in alcuni casi è necessario rimuoverla. Il trattamento di rimozione della durezza si chiama addolcimento. L’eliminazione o la riduzione della durezza dell’acqua è indispensabile quando la durezza totale eccede i 50 gradi francesi. I possibili trattamenti di addolcimento possono essere suddivisi in due grandi categorie.

• metodi per scambio ionico: si basa sulla sostituzione di cationi di calcio e magnesio con i cationi sodio che formano sali molto più solubili, anche a temperature elevate (vedere di seguito).

Per ottenere questo, l'acqua viene fatta passare attraverso serbatoi cilindrici verticali detti addolcitori contenenti colonne di resine a scambio ionico. queste sono costituite da minuscole sferette di resine scambiatrici preventivamente caricate con cloruro di sodio (sale); durante il passaggio le sferette rilasciano il sodio, adsorbendo il calcio e il magnesio. I vantaggi di questa operazione, in quanto il sodio non tende a precipitare sulle tubazioni, sono i seguenti: un funzionamento più efficiente degli elettrodomestici e minori guasti alle condutture idriche, con risparmi di energia elettrica, di sapone e di detersivi. Tuttavia gli addolcitori non depurano l'acqua, e la forte quantità di sodio dell'acqua addolcita ne sconsiglia fortemente l'uso alimentare. Recenti studi dimostrano che l'apporto di calcio e di magnesio contenuti naturalmente nell'acqua sono indispensabili per la salute umana. Il magnesio è responsabile di processi metabolici essenziali, mentre il calcio è efficace nella prevenzione dell'osteoporosi. L'innalzamento dei valori di sodio, inoltre, può causare problemi di ipertensione o provocare malattie cardiovascolari [5][6]. Uno studio del British Regional Heart Study analizzò 253 città tra il 1969 e il 1973 ed indicò un valore di durezza ideale dell'acqua per uso alimentare pari a 17 gradi francesi.[7] Per questi motivi oggi si tende a realizzare impianti domestici o industriali nei quali l'acqua in arrivo viene inviata ad un addolcitore per tutti gli usi tecnologici e igienici, mentre per uso alimentare l'acqua dell'acquedotto non viene trattata oppure viene ulteriormente trattata da un apparecchio ad osmosi inversa. Se la provenienza dell'acqua non è igienicamente sicura - ad esempio, se l'acqua proviene da un pozzo - è necessario procedere preventivamente alla clorazione (vedere di seguito).

• metodi per precipitazione tra i quali il metodo calce-soda.

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Metodo calce-soda

Il metodo per precipitazione più semplice e comunemente eseguito è il processo alla calce - soda. In pratica vengono utilizzati calce spenta (Ca(OH)2) e soda Solvay (Na2CO3) in qualità di reagenti. La calce ha essenzialmente il compito di eliminare la durezza temporanea. L'idrossido di calcio provoca reazioni del tipo:

Ca(HCO3)2 + Ca(OH)2 → 2CaCO3 + 2H2O Mg(HCO3)2 + Ca(OH)2 → CaCO3 + Mg(OH)2 + H2O + CO2

diminuendo in pratica la durezza temporanea dell'acqua precipitando il calcio e il magnesio come idrossidi insolubili. La calce spenta inoltre trasforma la durezza permanente dovuta al magnesio in durezza calcica tramite la reazione:

MgSO4 + Ca(OH)2 → Mg(OH)2 + CaSO4

Infine la soda, che ha essenzialmente il compito di eliminare la durezza permanente, trasforma in carbonati insolubili i sali di calcio secondo la seguenti reazioni:

CaSO4 + Na2CO3 → CaCO3 + Na2SO4

Il carbonato di calcio precipita essendo poco solubile, mentre il solfato di sodio resta in soluzione, non potendo essere eliminata in questo processo ma comunque non da durezza. A contatto con il solfato di magnesio, invece, la soda determina la reazione:

MgSO4 + Na2CO3 → MgCO3 + Na2SO4

Come già accennato in precedenza il solfato di sodio resta e in soluzione, mentre il carbonato di magnesio può essere eliminato con la calce secondo la reazione descritta precedentemente, a proposito della durezza temporanea. I composti insolubili vengono poi eliminati tramite sedimentazione e poi filtrazione. La calce inoltre reagisce l'eventuale anidride carbonica libera sciolta nell'acqua dando origine a carbonato di calcio insolubile. questo processo è efficace anche per l'abbattimento del ferro e del manganese presenti nelle acque profonde. Se è richiesto il solo abbattimento della durezza temporanea si può fare ricorso alla sola calce.

Controllo dell'odore e del sapore

Le sostanze responsabili delle alterazioni dell'odore e del sapore sono normalmente le sostanze organiche volatili insature, gas disciolti (ad esempio idrogeno solforato) e microrganismi (ad esempio alghe, microviventi). Poiché l'odore e il sapore dell'acqua sono strettamente interconnessi, si utilizzano gli stessi trattamenti. I trattamenti adottabili sono:

• aerazione: elimina i gas disciolti; • chiariflocculazione: elimina le sostanze e i microrganismi in sospensione;

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• disinfezione: elimina le alghe e gli altri microviventi; • adsorbimento su carbone attivo: elimina le sostanze in soluzione anche in micro

concentrazione.

I primi 3 trattamenti sono stati già descritti nei punti precedenti.

Adsorbimento su carbone attivo

Il trattamento su carbone attivo permette di eliminare dall'acqua sostanze microinquinanti organiche ed inorganiche (es. metalli pesanti, insetticidi, pesticidi, clorammine, trialometani, ecc.) che possono dare origine ad alterazione dell'odore e del sapore. Il carbone attivo possiede al suo interno una miriade di canalini, pori e tasche dove le sostanze gassose o disciolte presenti in una soluzione formano legami fisici con la superficie del carbone e pertanto vi aderiscono. Questa proprietà si chiama adsorbimento;il potere adsorbente di un solido è definito dall'isoterma di Freundlich. Le caratteristiche dei materiali adsorbenti sono:

• elevata superficie specifica -800-1200 m2/g; • piccole dimensioni del grano (pochi millimetri).

Per conferire questa proprietà al carbone (sia di origine vegetale che minerale), questo viene sottoposto ad un trattamento di attivazione che consistente in un riscaldamento in presenza di adatti reagenti e tendente a farne aumentare la superficie specifica. L'adsorbimento su carbone attivo può avvenire:

• sul letto filtrante fisso: si usa carbone attivo granulare o GAC; in questo caso il carbone attivo può essere riattivato una volta esaurito e pertanto riutilizzato.

Per eliminare le sostanze che intasano il filtro, come per i filtri rapidi, si procede al controlavaggio, ma se si vuole eliminare le sostanze adsorbite che determinano l'esaurimento del carbone attivo, si deve procedere alla rigenerazione del materiale. La rigenerazione del carbone attivo granulare avviene o per via chimica mediante opportuni solventi o per via termica inviando il materiale in forni ad alta temperatura dove viene rigenerato per combustione in atmosfera di vapore acqueo. Quest'ultima rigenerazione è la più usata e la meno costosa ma comporta una perdita di carbone variabile tra 5%-10%. I filtri su carbone attivo sono del tutto simili ai filtri rapidi per caratteristiche, dimensioni e parametri dimensionali. In alcuni casi due filtri sono disposti in serie: il primo in up-flow e il secondo in down-flow;

• in sospensione: si usa carbone attivo in polvere o PAC; in questo caso il carbone attivo viene introdotto nell'acqua ad esempio durante la chiariflocculazione funzionando anche da coadiuvante di coagulazione. Il PAC viene perso insieme ai fanghi di supero.

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Disinfezione

Il trattamento di disinfezione ha lo scopo di distruggere completamente i microrganismi patogeni o di microrganismi indicatori della potenziale presenza di microrganismi patogeni. Questo trattamento è sempre presente nella potabilizzazione delle acque superficiali o trattate in apparecchiature all'aperto mentre per le acque profonde può essere presente se necessario. Di regola il trattamento di disinfezione è posto a valle di tutto il ciclo di potabilizzazione. Spesso, nel caso di acque superficiali, si può prevedere: • una disinfezione iniziale (normalmente subito a valle dei trattamenti fisici semplici ) con

l'obiettivo ad esempio di: o evitare la proliferazione di alghe e microrganismi dannosi per i successivi trattamenti. Si

utilizza di norma l'ozono e il ClO2 mentre non sono adatti l'ipoclorito e il cloro gassoso poiché formano prodotti pericolosi (trialometani o THM);

o ossidare i composti inorganici (es. ferro, manganese, ammoniaca). • una disinfezione finale (subito a valle dell'ultimo trattamento, es. post clorazione) al fine di

abbattere i microrganismi residui e inoltre deve conferire persistenza cioè garantire la potabilità dell'acqua fino al rubinetto della singola utenza. Si usa l'ozonizzazione o l'irraggiamento con raggi ultravioletti seguiti da acido ipocloroso per la persistenza con dosaggi proporzionali al percorso che deve seguire l'acqua fino alle utenze. si può anche utilizzare solo biossido di cloro o acido ipocloroso.

I trattamenti usualmente impiegati sono: • trattamenti chimici:

o la clorazione; o la cloro-ammoniazione, o l'ozonizzazione;

• trattamenti fisici: l'irraggiamento con raggi ultravioletti (UVC) o attinizzazione;

o processi oligodinamici.

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Tale trattamento viene usato sempre anche negli impianti di depurazione anche se non scopi diversi, infatti nel trattamento delle acque reflue la disinfezione serve a ridurre la carica batterica entro i limiti richiesti dalla normativa vigente per il mantenimento degli standard qualitativi del corpo ricettore (mare, fiumi, laghi, suolo).

Clorazione

È il trattamento di disinfezione più diffuso ed è l'unico che garantisce l'igienicità dell'acqua per tutto il suo percorso fino all'utenza.

Azione disinfettante

L'azione battericida è svolta dal cloro e dai suoi derivati (ipocloriti e biossido di cloro). Tale azione si estrinseca come azione ossidante e tossica sul protoplasma della cellula e soprattutto come azione inibitrice dei processi enzimatici; l'azione ossidante è importante per la distruzione dei virus mentre l'azione tossica ed inibitrice determina il blocco del metabolismo dei batteri. Per contro il cloro è inadatto all'inattivazione di spore batteriche e protozoi (es. cryptosporidium

parvum); per questi tipi di microrganismi risultano più efficaci, l'ozonizzazione, l'attinizzazione e la filtrazione su membrana. Affinché l'azione della clorazione risulti efficace è importante che la torbidità dell'acqua sia bassa per evitare che i microrganismi non si aggreghino alle particelle sottraendosi così all'azione del disinfettante. L'agente disinfettante è l'acido ipocloroso che si ottiene sciogliendo clorogas o gli ipocloriti - ma non il biossido di cloro la cui azione battericida è diversa - in acqua secondo le seguenti relazioni:

Cl2 + H2O → H+ + Cl- + HClO NaClO + H2O → H+ + OH- + HClO

La dissociazione dell'acido ipocloroso in ione clorito o ipocloritione (ClO-), avviene secondo la seguente reazione:

HClO → H+ + ClO-

e di conseguenza l'azione disinfettante del clorogas o degli ipocloriti, è fortemente influenzato dal pH. Infatti poiché l'azione disinfettante legata alla forma indissociata dell'acido ipocloroso, essendo lo ione clorito privo di effetti disinfettanti, questa sarà più efficace nelle acque con pH più basso. Con un pH < 5 si ha un grado di dissociazione di HClO praticamente nullo mentre passando a pH = 8 il grado di dissociazione è pari a circa il 70-80%. La reattività del biossido di cloro è invece indipendente dal pH.

Azione ossidante Il clorogas e gli ipocloriti, come già accennato in precedenza, sono adatti all'ossidazione di sostanze inorganiche ridotte come: ferro, manganese, solfato, solfito, nitrito, ecc. La velocità di ossidazione del manganese è però lenta. Inoltre il cloro ossida il bromuro e lo ioduro generando come sottoprodotti i bromati e gli iodati, reagiscono con l'ammonio formando clorammine, le quali hanno un potere disinfettante anche se inferiore a quello del cloro. Il cloro è però inadatto all'ossidazione dei composti organici poiché danno origine a dei sottoprodotti clorati che possono essere più pericolosi delle sostanze da cui derivano (es. trialometani).

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La presenza di fenoli può creare sottoprodotti (clorofenoli) che alterano il sapore e l'odore dell'acqua Il biossido di cloro invece oltre al ferro ossida efficacemente anche il manganese trasformandoli in ossidi insolubili facilmente eliminabili mediante filtrazione. Inoltre questa sostanza non ossida il bromuro non creando bromati o altri prodotti bromorganici e non reagisce con l'ammonio - non si formano clorammine. Infine ossida efficacemente i fenoli e tutti quei composti che alterano il sapore e l'odore e decolora efficacemente gli acidi umici e fulvici. Non forma trialometani.

Dosaggio

Per clororichiesta si intende la quantità necessaria di cloro per una completa potabilizzazione dell'acqua. Il cloro viene aggiunto all'acqua fino a che la domanda di cloro presentata dalle sostanze organiche disciolte sia soddisfatta, tutta l'ammoniaca presente sia stata ossidata e rimanga in soluzione un residuo di cloro libero. Si raggiunge il punto di viraggio o punto di rottura (break point) quando il tenore di cloro libero presente nell'acqua aumenta proporzionalmente alla dose di cloro introdotta (diagramma di clorazione: cloro aggiunto-cloro residuo). La presenza nell'acqua di cloro libero è importante per rendere l'acqua batteriologicamente pura fino al rubinetto delle utenze, prevenendo inquinamenti accidentali lungo il percorso dell'acqua. Può capitare però che dosaggi sbagliati in eccesso facciano acquisire all'acqua sapore e odore sgradevoli dovuti al cloro o ai clorofenoli e inoltre può danneggiare l'apparato digerente. I cloratori sono pompe dosatrici di cloro, solitamente sotto forma di ipoclorito di sodio. Questi erogano quantità dosate di cloro per corrispettivi volumi di acqua in transito.

Cloro Gassoso

Il cloro gassoso è molto aggressivo e corrosivo e pertanto devono essere prese tutte le precauzione necessarie per evitare eventuali fughe. Può essere aggiunto:

• tal quale: è più economico ma è poco efficiente per la scarsa dissoluzione del clorogas; • il soluzione: acqua di cloro ottenuta dalla dissoluzione di cloro in acqua.

Il cloro gassoso può formare trialometani (THM) e acidi aloacetici (HAAs). Il cloro gassoso è poco adatto per i piccoli acquedotti a causa della sua difficile manipolazione.

Ipocloriti

L'utilizzo di ipocloriti è più costoso del clorogas e risulta più competitivo di questo nel caso di disinfezione saltuaria e per piccoli impianti. Gli ipocloriti più utilizzati sono quello di sodio, di calcio e di potassio. L'ipoclorito di sodio utilizzata a scopo potabile deve essere conforme alla norma UNI EN 901. Come il cloro gassoso può formare trialometani (THM) e acidi aloacetici.

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Biossido di cloro

Il biossido di cloro essendo fortemente instabile e di difficile formazione viene prodotto in apposti reattori, al momento dell'utilizzo partendo da clorito di sodio e acido cloridrico secondo la seguente reazione:

• 5NaClO2 + 4HCl → 5NaCl + 4ClO2 + 2H2O

Nuove tecnologie prevedono anche la generazione di biossido di cloro partendo da clorato di sodio e acido solforico in presenza di acqua ossigenata secondo la seguente reazione: 2NaClO3 + H2SO4 + H2O2 → 2ClO2 + O2+ Na2SO4 + 2H2O Il biossido di cloro rispetto al cloro a i seguenti vantaggi:

• ha un potere ossidante maggiore del cloro; • ha il vantaggio di non formare trialometani e acidi aloacetici; • agisce efficacemente contro batteri, virus e spore che il cloro non riesce ad eliminare; • l'effetto sporicidico e virulicido del biossido di cloro è molto elevato rispetto ad una

concentrazione uguale di cloro;

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• è più efficace del clorogas per l'inattivazione del cryptosporidium parvum che con il clorogas riesce a controllare solo a alti dosaggi;

• non ha una reazione con l’ammonio o con suoi leganti, mentre il cloro reagisce con l’ammonio e crea ammidi di cloro che hanno un effetto negativo per la disinfezione dell’acqua potabile;

• non ha inoltre l’odore tipico del cloro; • la sua reattività non dipende dal pH dell'acqua.

Tuttavia anche il biossido di cloro presenta dei problemi infatti è più costoso e l'NaClO2 non reagito potrebbe formare cloriti o clorati, che sono potenti agenti mutageni.

Ozonizzazione

L'ozonizzazione è una tecnica di disinfezione delle acque che impiega ozono (O3). L'azione ossidante del ozono avviene in due modi: direttamente tramite O3 (selettiva) e attraverso il radicale OH di formazione secondaria (non selettiva).

vantaggi e svantaggi

L’ozono rispetto al cloro:

• ha una maggiore efficacia nei confronti di batteri e virus e in concentrazione elevati anche nei confronti dei protozoi;

• non determina l'insorgere di cattivi odori e sapori; • garantisce una minore formazione di composti secondari di reazione con sostanze organiche

residue nell'acqua, potenzialmente pericolosi per la salute umana (vedere sottoprodotti della disinfezione) e che generano cattivi odori (es. composti fenolati).

Inoltre porta all'ossidazione, e alla conseguente rimozione, delle sostanze inorganiche presenti nell'acqua, come il ferro, il manganese,(vedere deferrizzazione e demanganizzazione) il cianuro, il solfuro, l'arsenico. Provvede alla distruzione di diversi microinquinanti organici - come pesticidi, fenoli e detergenti - in maniera più efficace del cloro; infatti risulta più attivo nella demolizione di molecole complesse. Ha però l'inconveniente di avere un costo elevato e avendo un decadimento rapido, non consente una copertura igienica dell'acqua fino all'utenza e pertanto non può essere l'unico trattamento di disinfezione. Infine in presenza di acque contenenti bromuri da origine da bromati che rientrano tra i sottoprodotti della disinfezione (vedere sottoprodotti della disinfezione).

Impiego

Questo gas essendo instabile e non potendo essere stoccato e trasportato deve essere prodotto nel luogo di trattamento mediante ozonizzatore. Nei generatori di ozono, l'aria prelevata dall'esterno, viene sottoposta inizialmente ad una deumificazione spinta. Successivamente, all'interno del generatore, il flusso viene investito da scariche elettriche ad alto voltaggio che fanno arricchire l'aria di ozono, infatti l’energia fornita consente ad una parte delle molecole d’ossigeno di essere scisse in due molecole omologhe dette radicali che sono particolarmente elettronegative, secondo la reazione:

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• O2+en → 2O*

ciascun radicale andrà ad unirsi ad una molecola di ossigeno per dare ozono, una molecola trivalente molto aggressiva e instabile:

• O*+O2 → O3

L'ozono è una molecola instabile e la sua azione disinfettante risulta dall'ossigeno nascente, altamente ossidante, che si libera nella seguente reazione di dissociazione:

• O3 → O2 +O

L'ozono ha una bassa solubilità nell'acqua ed essendo questo gas tossico e corrosivo, deve essere immesso nella corrente dal basso verso l'alto per aumentarne la miscelazione. L'immissione nella corrente avviene per insufflaggio, attraverso una rete di piastre in ceramica porosa poste sul fondo della camera di contatto. Il contatto acqua-aria ozonata, e pertanto la soluzione dell'ozono, avviene sulla superficie delle numerose bollicine che risalgono in superficie. La parte di aria ozonata in eccesso viene recuperata nella parte superiore della camera di contatto e rimessa in circolo. L'ozzonizzazione può essere effettuata anche all'acqua grezza in ingresso all'impianto. In questo modo si previene la formazione e lo sviluppo di popolazioni batteriche ed algali, e si riesce a mantenere tutte le sezioni dell'impianto di potabilizzazione in condizioni di massima pulizia.

Attinizzazione

L'attinizzazione sfrutta l'azione battericida dei raggi ultravioletti emanati da lampade a vapori di mercurio a bassa pressione. L'uso di raggi UV consente distruggere le molecole indispensabili per i processi metabolici del DNA batterico. I raggi UV hanno un potere biocida elevatissimo nei confronti di batteri, spore, virus, funghi, nematodi. L'efficacia massima la si ha mediante l'uso di lunghezza d'onda (λ) intorno ai 250 nanometri corrispondente agli UV C e con una densità di flusso radiativo di almeno 6000 µW/cm2 (microWatt per centimetro quadrato). Poiché le lampade usate normalmente perdono efficacia nel corso del tempo si usano lampade con densità di flusso radiativo molto superiore. Questo trattamento è efficace a condizione che l'acqua sia sufficientemente limpida (SST< 30 mg/l), e perciò i raggi luminosi possano permearla completamente, poiché l'energia radiante viene intercettata dalle particelle sospese.

Tecnica

Il trattamento consiste nell’esporre l’acqua perfettamente limpida per 1-3 secondi ai raggi UV-C, e poiché la penetrazione dei raggi è limitata l'acqua deve scorrere in lama < 10 cm. L'esposizione delle acque ai raggi ultravioletti può avvenire sostanzialmente in due modi. Nel primo caso l'acqua scorre all'interno di un reattore tubolare, sigillato e in pressione, in cui è posta la lampada; nel secondo caso l'acqua scorre su una superficie riflettente e al di sopra di questa è posta la lampada.

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Vantaggi e svantaggi

L'utilizzo dei raggi ultravioletti ha il vantaggio di non dover aggiungere sostanze chimiche, causa della delle proprietà organolettiche dell'acqua, ma nel contempo ha lo svantaggio dei costi elevati, della necessità di acqua relativamente limpida e del non garantire la persistenza e pertanto non può essere l'unico trattamento di disinfezione. Infine risulta adatto per trattare piccole portate.

Sottoprodotti della disinfezione

La disinfezione può determinare la produzione di sottoprodotti, detti DBPs - dall'inglese Disinfection By-Products, che risultano dei contaminati dell'acqua potabile che possono conferire a questa odori e sapori sgradevoli ma possono anche avere effetti nocivi per la salute (prodotti cancerogeni). Infatti i disinfettanti formano, con alcune sostanze organiche e/o inorganiche presenti nell'acqua, composti di tipo:

• organo-alogenati - es. i trialometani (THM) • inorganici - es. i cloriti • non alogenati - es. il benzene.

I fattori che influenzano la formazione dei DPBs sono la tipologia, la dose del disinfettante e il residuo di disinfezione. Come si è visto in precedenza il cloro gassoso e gli ipocloriti formano acido ipocloroso il quale può dare origine a DBP come:

• organo-alogenati tra i quali i principali sono: o i trialometani (THMs) o gli acidi aloacetici (HAAs)

• inorganici: o clorati (specialmente con ipocloriti)

• non alogenati: o aldeidi o benzene.

Il biossido di cloro forma principalmente composti inorganici come i cloriti e i clorati, mentre le clorammine possono dare origine ad esempio a alogenotrili, clorammine organiche, come composti organo-alogenati, mentre come composti inorganici possono formare nitriti, nitrati, clorati e idrazina, mentre tra i composti non alogenati figurano aldeidi e chetoni. L'ozono può dare origine tra l'altro a bromoformio, acetone come composti del primo gruppo, clorati, iodati e bromati come composti inorganici e aldeidi e chetoni come composti dell'ultimo gruppo.