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Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma

Scuola Forense V.E. Orlando

Lezione del 30.4.2014Avv. Luigi Panella

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PRINCIPI COSTITUZIONALIRILEVANTI IN AMBITO PENALE

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Art. 25, comma 1, Cost.Garanzia del giudice naturale

precostituito per legge

1. “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”.La disposizione riconosce al cittadino il “diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in relazione ad un fatto già verificatosi”(C.Cost. 88/1962).Essa garantisce, quindi, che sulla causa si pronuncerà un giudice della cui imparzialità non si possa dubitare proprio per il modo in cui è stato designato ab origine (C. Cost. 117/1973; 502/1991).

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• Garantisce anche il singolo magistrato mettendolo al riparo, anche in periodi di forte contrapposizione politica all’interno della magistratura, da tentativi di sottrazione della “sua” causa.

• Rafforzamento dell’indipendenza interna del giudice;• Attuazione del modello costituzionale di una

magistratura quale potere diffuso e non gerarchicamente ordinato.

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Art. 25, commi 2 e 3, Cost.Principio di legalità

2. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

3. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.

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Enunciazione del tradizionale principio di legalità della pena: “Nullum crimen nulla

poena, sine previa lege poenali”.

Il principio di legalità ha una genesi non strettamente penalistica ma politica.

La sua matrice risale al pensiero illuministico e si giustifica con l’esigenza di vincolare l’esercizio di ogni potere dello Stato alla legge, al fine di arginare e prevenire gli arbitri dello Stato assoluto.

In ossequio al l principio della separazione dei poteri si ritiene che il giudice debba essere vincolato esclusivamente alla legge (“bouche de la loi”).

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Riguardo al termine legge è possibile individuare diversi piani di lettura della norma:Il piano delle fonti;Il piano dell’interpretazione;Il piano della tecnica di costruzione delle fattispecie penali;Il piano temporale dell’entrata in vigore della legge prima del fatto commesso.

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Corollari del principio di legalità:1.La Riserva di legge

art. 25 Cost. e 1 c.p., 199 c.p..

Tale principio esprime il divieto categorico di punire un determinato fatto in assenza di una legge preesistente che lo configuri quale reato: Il monopolio in materia penale spetta al potere legislativo poiché :• è l’unico in grado di salvaguardare la libertà personale dei singoli, di tutelare i diritti delle minoranze e delle forze politiche d’opposizione;• Evita forme di arbitrio del potere esecutivo e giudiziario.

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Cosa deve intendersi per legge?

• Legge regionale Soluzione negativa: l’art. 117, co.2, lett. l) Cost. afferma che lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di ordinamento penale.Ne consegue che la legge regionale non può:1. emanare una norma penale incriminatrice;2. non può abrogare una norma penale statale;3. non può dichiarare l’estinzione di un reato previsto da una norma statale;4. non può depenalizzare il reato previsto dalla legge statale.

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Normativa comunitaria• Non può considerarsi fonte del diritto penale poiché tale

potestà non è prevista dai Trattati istitutivi dell’Unione Europea.

• L’art. 229 TCE sancisce che i regolamenti possono prevedere sanzioni applicabili dalla Corte di Giustizia ma si tratta di sanzioni amministrative non penali.

• Se tale potestà venisse attribuita agli organi comunitari anche mediante ratifica con legge e relativo ordine di esecuzione, onde sul piano formale non vi sarebbe la violazione dell’art. 25 Cost., sarebbe comunque incompatibile con l’ordinamento costituzionale dato che la norma penale non verrebbe emanata da un consesso rappresentativo eletto dai cittadini atteso il deficit di democraticità del Consiglio e della Commissione, organo politico il primo e burocratico il secondo, nominato dai Governi degli Stati membri.

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•Non si pone un problema di violazione delle norma comunitarie, in quanto, gli interessi tutelati dell’ordinamento europeo possono garantirsi con autonoma legge penale dello Stato, in piena ottemperanza degli obblighi comunitari, nell’ambito di un processo di armonizzazione ed assimilazione.Es. art. 316 bis e 640 bis.

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Possibile conflittualità tra i due ordinamenti.Posto che la norma comunitaria non può avere natura incriminatrice, potrebbe creare delle zone di liceità nella stessa materia disciplinata dalle norme penali.Atteso il principio di primauté del diritto comunitario la norma nazionale con esso confliggente sarà oggetto di disapplicazione ad opera del singolo giudice:se la norma comunitaria è preesistente: assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato (art.1 c.p.)se è successiva: assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato;se vi è stata condanna ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali (art.2, comma 2, c.p.).

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Per Legge deve intendersi anche quella in senso sostanziale?

Legge in senso formale è quella approvata dal Parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica ai sensi degli artt. 70 e ss. Cost.

Legge in senso sostanziale comprende gli atti normativi provenienti dall’esecutivo e che, tuttavia, si pongono sullo stesso piano nella gerarchia delle fonti:

Decreti legislativi Decreti legge art. 76 Cost. art. 77 Cost.

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DECRETI LEGISLATIVIcompatibilità con l’art. 25, comma 2, Cost.

L’esigenza garantistica sottesa al principio della riserva di legge non può dirsi frustrata in virtù:

• dell’obbligo di ottemperare i principi contenuti nella legge delega;

• per la limitata durata di questa;• per il fatto che il Parlamento non viene in questo

modo a spogliarsi della sua potestà normativa, potendo non solo derogare esplicitamente la delega, ma anche legiferare direttamente in merito.

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Decreti legge

Anche in tal caso l’esigenza garantistica non viene meno in quanto il decreto deve essere convertito in legge nel termine di 60 giorni altrimenti decade ex tunc.

Il D.L. rappresenta un utile strumento di salvaguardia di fronte al dilagare della criminalità.

Il controllo della Corte Costituzionale garantisce l’effettiva sussistenza dei presupposti dell’urgenza e non ammette la reiterazione dei decreti legge non convertiti alla scadenza del termine di conversione.

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Art. 78 Cost. “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono

al Governo i poteri necessari”

Si ritiene che tra i poteri necessari possa ricondursi anche quello di emanare norme

penali, con esclusione dei bandi militari come fonte di diritto penale.

Incompatibilità costituzionale degli artt. 214-219 t.u.l.p.s r.d. del 1931 n. 773 che consentono

al Ministro dell’Interno ed al Prefetto di dichiarare lo stato di guerra in ipotesi di

disordini, emanando ordinanze anche in deroga alle leggi vigenti, la cui inosservanza viene

penalmente sanzionata.

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Natura della riserva di legge• ASSOLUTA non ammette alcuna ingerenza del

potere esecutivo nell’individuazione del precetto penale

• RELATIVA anche le fonti secondarie possono intervenire sul precetto penale

• TENDENZIALMENTE ASSOLUTA (tesi prevalente)

Principio della sufficiente determinatezza del precetto penale.

la norma secondaria può contribuire a delineare il precetto penale solo se la legge dello Stato indichi con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, i limiti dei provvedimenti dell’Autorità in trasgressione dei quali deve seguire la pena.

(Corte Costituzionale 26/2006)

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2. Il divieto di analogia delle norme penali

• La ratio di garanzia sottesa al principio di legalità implica che i consociati debbano conoscere a priori le fattispecie penalmente rilevanti come individuate dal legislatore, conseguentemente, non è ammessa l’applicazione analogica da parte del giudice.

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L’analogia è un principio fondamentale per gli altri rami dell’ordinamento giuridico, come stabilito dall’art.12 disp. prel. c.c., essa è invece vietata nel diritto penale.Si consideri: • art. 25, co. 2, Cost.:• art. 1 c.p. secondo il quale “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”, ove l’avverbio “espressamente” rinforza tale divieto;• art. 199 c.p. con riferimento alle misure di sicurezza;• art. 14 disp. prel. c.c. secondo cui “le leggi penali e quelle che fanno eccezioni a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”.

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Secondo parte della dottrina il divieto investe tutto il diritto penale e non ammette alcuna distinzione.

Per altra impostazione dominante deve distinguersi tra analogia in malam partem che si risolve contra reum, e quella in bonam partem, favorevole per il soggetto. Nella prima ipotesi avrebbe un effetto estensivo della punibilità e sarebbe dunque vietata.

Nella seconda ipotesi determinerebbe la non punibilità, ad esempio, attraverso l’allargamento, oltre alle fattispecie codificate, delle cause di giustificazione e sarebbe consentita (Mantovani, Diritto penale, Cedam, 2102, p. 73).

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3.1 Il principio di tassatività

Affinché sia garantita ai consociati la possibilità effettiva di conoscere i precetti penali e conseguentemente di orientare le proprie scelte, il legislatore è obbligato a delineare le fattispecie criminose in modo chiaro, riconoscibile e sufficientemente determinato.

Il principio di tassatività, pertanto, attiene alla tecnica di costruzione delle fattispecie penali ed opera all’interno delle stesse.

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In tale operazione, il legislatore, ha a disposizione solo parole o se si preferisce semi di linguaggio, il cui logico accostamento formula la proposizione normativa. Tali elementi semantici possono essere: rigidi se presentino un indiscusso significato e un’univoca comprensione (es. i numeri art.416 c.p.)vaghi qualora non presentino un significato comprensibile. elastici quelli che pur essendo intuitivamente comprensibili nel loro significato, presentano zone d’ombra, di confine (es. il tempo di notte, centro abitato) oppure quelli normativi sociali o culturali, che possono non presentare un comune significato per in consociati o mutare nel tempo e con i costumi (es. comune sentimento del pudore). 22

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3.2 Il principio di sufficiente determinatezza

Impone al legislatore di costruire fattispecie i cui elementi costitutivi trovino effettivo riscontro nella realtà. Al riguardo, con la sentenza n. 96 del 1981 la Corte Cost. ha dichiarato l’incostituzionalità del delitto di plagio di cui all’art. 603 c.p. “chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione”, in quanto la fattispecie seppur formulata in modo dettagliato non trovava un riscontro nella realtà, tale da poter essere processualmente provata.

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4. Il principio di irretroattività

La ratio di garanzia sottesa al principio di legalità esige che l’agente debba previamente conoscere i fatti costituenti reato in modo da poter improntare il proprio comportamento.Pertanto, la punibilità del reo è condizionata ad una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

Il termine “punito” previsto dalla disposizione costituzionale viene inteso nel senso non solamente di una nuova punizione rispetto ad un fatto in precedenza lecito, ma anche di un peggioramento della sua situazione giuridica rispetto alla precedente norma incriminatrice.

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Art. 13 Cost.

1. La libertà personale è inviolabile.

2. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

3. In casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore , si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.

4. E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

5. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva. 25

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La libertà personale, diritto inviolabile, rientra tra i valori supremi come indefettibile nucleo essenziale dell’individuo, non diversamente dal contiguo e strettamente connesso diritto alla vita e all’integrità fisica, con il quale concorre a costituire la matrice prima di ogni altro diritto costituzionalmente protetto. (cfr. C. Cost.238/1996).L’art. 13 è norma immediatamente precettiva (C. Cost. n.2/1956) configura in capo al singolo un diritto soggettivo perfetto e valevole erga omnes, tanto nei confronti dei pubblici poteri che dei privati e non può essere limitato se non alle condizioni stabilite dalla stessa Costituzione (cfr. C. Cost. 122/1970).

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Le garanzie: La riserva di leggeL’art. 13 Cost. prevede, innanzitutto, una riserva di legge assoluta che ammette solo l’intervento dei soli regolamenti di stretta esecuzione ed impegna il legislatore a rispettare il principio di tassatività in ordine all’individuazione dei casi e modi di restrizione della libertà personale (C. Cost. 188/1996; 512/2002).In definitiva, deve escludersi un’interposizione di discrezionalità amministrativa tra norma di legge ed atto applicativo. In dottrina, si dubita della legittimità costituzionale degli artt. 131 e 378 c.p.p. che attribuiscono a giudice e P.M. “poteri coercitivi” non tipizzati, in violazione della tassatività imposta dalla riserva di legge ex art. 13 Cost..

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La riserva di giurisdizione e l’atto motivato

L’art. 13 Cost. prevede una riserva assoluta di giurisdizione.

La legge può prevedere che il P.M. organo non giurisdizionale ma pur sempre Autorità Giudiziaria non solo proponga l’adozione ma anche disponga direttamente misure restrittive della libertà personale, purché con carattere di provvisorietà e nell’ambito di un procedimento che entro breve termini conduca necessariamente all’adozione del provvedimento definitivo da parte di un giudice con il rispetto delle garanzie di difesa (C. Cost. 419/1994)

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Le misure cautelari personali coercitive

La disciplina del c.p.p. del 1988 si ispira ai principi di gradualità, adeguatezza e proporzionalità delle

misure cautelari, attribuendo la competenza al giudice a pronunciarsi sull’applicazione, modifica e sulla revoca di ogni provvedimento di tale natura.

Le misure cautelari personali possono essere applicate esclusivamente nell’ambito di figure

tassativamente definite in ossequio al principio di legalità ex art. 13, co. 2, Cost..

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Art. 24 Cost

1. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

2. La difesa è diritto inviolabile in ogni grado e stato del procedimento.

3. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

4. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

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Il diritto alla tutela giurisdizionale

Va annoverato “tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre per qualsiasi controversia un giudice ed un giudizio”. (cfr. C.Cost. 18/1982).

Inoltre, rientra tra “i diritti inviolabili dell’uomo, che la Costituzione garantisce all’art. 2 Cost.”

(cfr. C. Cost. 98/1965).

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“Secondo il principio di assolutezza, inviolabilità e universalità del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 e 113 Cost.), non vi è posizione giuridica tutelata di diritto sostanziale senza che vi sia un

giudice davanti al quale essa possa farsi valere”.

(C. Cost.212/1997; 26/1999)

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La prima norma desumibile dalla disposizione dell’art. 24 Cost., riconosce a chiunque voglia far valere un proprio diritto o interesse sostanziale la possibilità concreta, attuale ed effettiva di accedere al giudice, ossia di proporre la domanda iniziale nei confronti del convenuto, dinanzi ad un organo giurisdizionale ritenuto competente

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Il diritto di difesa e i suoi corollari

•L’effettività della difesa tecnica;

•L’irrinunciabilità della difesa tecnica;

•La garanzia del contraddittorio;

•Il diritto alla prova o il diritto di difendersi provando;

•L’autodifesa;

•Il diritto a non autoincriminarsi (diritto al silenzio);

•Il diritto di difendersi negoziando;

•Il diritto di difendersi impugnando.

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L’assistenza giudiziaria ai non abbienti

La norma del comma 3 dell’articolo 24 Cost. va letta come un’estrinsecazione dell’art. 3, comma 2, Cost. Essa infatti si preoccupa di garantire l’uguaglianza sostanziale sul piano della protezione giudiziaria dei diritti

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La riparazione degli errori giudiziari

L’art 24, comma 4, Cost. riconosce un vero e proprio diritto alla riparazione pecuniaria per le conseguenze pregiudizievoli per l’ingiusta condanna contenuta in una sentenza penale irrevocabile. Secondo la stessa corte esso enuncia: “un principio di altissimo valore etico e sociale che rappresenta uno svolgimento coerente del più generale principio di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo” (Corte Cost. 1/1969).

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Tale norma “in attuazione del principio di solidarietà stabilisce che il rischio di errore connesso all’esercizio di tale funzione deve per quanto possibile essere accollato non al singolo colpito dal provvedimento viziato, ma all’intera collettività”. (Scaparone, il IV comma dell’art 24 in Comm. Branca, 127)

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Art 27 Cost.

1. La responsabilità penale è personale.

2. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

3. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

4. Non è ammessa la pena di morte.

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Divieto di responsabilità per fatto altrui

• “Responsabilità” è un termine di relazione tra un fatto penalmente rilevante che viene imputato ad un soggetto e le sue conseguenze sanzionatorie.

• Per responsabilità personale deve innanzitutto intendersi responsabilità per fatto proprio e conseguente divieto di responsabilità collettiva e di quella per fatto altrui.

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La responsabilità personale per fatto proprio colpevole: il divieto di responsabilità

oggettiva.

• Un fatto di reato di cui taluno possa ritenersi responsabile, non basta sia stato commesso dall’agente sulla base del mero nesso di causalità materiale intercorrente tra la sua condotta e l’evento (art. 40 c. p.) ma deve anche essere avvinto dal nesso psicologico (art. 43 c. p.).

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• Conseguentemente, tale principio così interpretato, porterebbe all’incostituzionalità di tutte le ipotesi di responsabilità oggettiva presenti nel codice Rocco, a partire dalla norma di parte generale che la prevede: l’art. 42, co. 3, c.p. allorché afferma che la legge determina i casi in cui l’evento è posto altrimenti (ossia prescindendo dal dolo e dalla colpa, di cui al precedente) a carico dell’ agente, come conseguenza della sua azione ed omissione.

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Sentenza C. Cost. 364/1988

• La Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 5 c.p. in forza del quale “Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale”, “nella parte in cui non esclude dall’ inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile”.

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• In relazione alla norma di legge sottoposta allo scrutinio di costituzionalità, la Corte rileva che il comma 1 dell’art. 27 Cost. interpretato in relazione al comma 3 dello stesso articolo ed agli artt. 2, 3, co. 1 e 2, 73, co. 3 e 25 co. 2 Cost. non soltanto richiede la colpevolezza dell’agente rispetto agli elementi più significativi della fattispecie tipica (e, cioè, una relazione psichica tra il soggetto e il fatto), ma anche l’effettività possibilità di conoscere la legge penale: possibilità che rappresenta ulteriore necessario presupposto della rimproverabilità dell’agente e, dunque, della responsabilità penale. Ne consegue che l’art. 5 c.p. disconoscendo ogni collegamento tra l’obbligo penalmente sanzionato e la sua riconoscibilità ed equiparando all’ignoranza non colpevole, e , pertanto, inevitabile, viola lo spirito dell’intera Costituzione ed i suoi essenziali principi ispiratori, che pongono la persona umana al vertice della scala dei valori.

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Sentenza C. Cost. 1085/1988

• La Corte dichiara costituzionalmente illegittimo l’art. 626 c.p., co.1, n. 1 c.p. nella parte in cui non estende la disciplina del furto d’uso ivi prevista alla mancata restituzione, ove dovuta a caso fortuito o forza maggiore della cosa sottratta.

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La presunzione di non colpevolezza

Quaestio iuris valore da attribuire alla formulazione negativa del principio.

1. tesi. Secondo alcuni autori si sarebbe inteso attribuire rilevanza alla formulazione negativa dell’art. 27, co. 2, Cost. poiché nell’espressione adottata dal costituente si riflette una sorta di compromesso che sarebbe arbitrario ignorare in quanto la formulazione negativa avrebbe il pregio di evitare la contraddizione logica sussistente tra la carcerazione preventiva e la presunzione di innocenza.

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Secondo tale opzione, insomma, l’art. 27, co. 2, ponendo l’accento sulla qualificazione di non colpevolezza, garantirebbe un qualche spazio alla previsione di istituti limitativi della libertà personale dell’imputato primo tra tutti quello contemplato dall’art. 13, co. 5 Cost., vale a dire la carcerazione preventiva.

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• Tale tesi è stata ampiamente criticata da altra dottrina in quanto la contraddizione logica che si vorrebbe sussistente tra presunzione d’innocenza e custodia preventiva non diviene meno evidente solo perché si parla di non colpevolezza, ma il problema reale di coordinamento tra gli artt. 13 e 27 non può dirsi risolto mediante un escamotage che ha tutto l’aspetto di un mero espediente verbale.

• Le locuzioni non colpevole e innocente risultano infatti perfettamente equivalenti sul piano logico.

• La dottrina più recente tende a ritenere che la disposizione in esame ponga una vera e propria presunzione di innocenza.

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• Tale regola rappresenta non solo e non tanto uno dei mezzi escogitati per rafforzare la posizione del privato di fronte alla giurisdizione, quanto una vera e propria clausola di salvaguardia della giurisdizione.

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La presunzione di innocenza come regola di trattamento

• Nel nostro ordinamento, la presunzione di non colpevolezza viene concepita anzitutto come divieto di anticipare, nei confronti dell’imputato, un trattamento sanzionatorio.

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Corollari

• 1. Sul piano processuale, dal principio deriva l’effetto sospensivo delle impugnazioni penali ordinarie contro le sentenze di condanna;

• 2. Divieto di attribuire alle misure cautelari, adottate nel corso del processo, finalità proprie della sanzione penale: sebbene la presunzione di innocenza non impedisca alla radice l’adozione di misure restrittive della libertà personale. (C. Cost. 15/1982);

• 3. La detenzione preventiva, non può avere la funzione di anticipare la pena da infliggersi solo dopo l’accertamento della colpevolezza (C. Cost. 64/1970)

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• Dubbi di compatibilità costituzionale con il principio in esame sono stati avanzati con riferimento all’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza che pare difficilmente giustificabile, soprattutto a fronte della variegata gamma di misure cautelari previste dal nuovo codice. In tal senso in diverse sentenze la Corte ha sostenuto che “si può convenire che la intera disciplina potrebbe meritare una attenta revisione”(C. Cost. 324/1998; 228/1999; 367/2004)

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• La presunzione di innocenza opera come criterio fondamentale di orientamento culturale e come limite giuridico in relazione alla cronaca giudiziaria: essa vieta “qualsiasi forma di sentenza giornalistica di colpevolezza” e la stessa “divulgazione a mezzo della stampa di notizie frammentarie, ancora incerte perché non controllate, e per lo più lesive dell’onore” (Corte Cost. 18/1966; 457/1987

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• Nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, si è valorizzato anche il divieto per il giudice e per altre pubbliche autorità di compiere affermazioni dalle quali emerga una valutazione di colpevolezza senza che vi sia stato un preventivo accertamento della stessa (C. Edu 2006, Pandy c. Belgio; C. Edu 2005, Capeau c. Belgio; C. Edu Lavents c. Lettonia; C.Edu 1983 Minelli c. Svizzera).

• La Corte europea ha, inoltre, esplicitato il divieto di alimentare dubbi sull’innocenza dopo l’assoluzione definitiva dell’imputato. (C. Edu 2007, Vassilios Stavropoulos c. Grecia; C. Edu 1993 Sekanina c. Austria).

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La presunzione di innocenza come regola di giudizio

• Da tale regola si desume che l’onere della prova grava sull’accusatore e che il dubbio giova quindi all’imputato.

• In attuazione di tale principio è stata codificata la regola dell’ in dubio pro reo di cui agli artt. 529, c. 2; 530, c.2 e 3, 531 c. 2 c.p.p..

• Tale regola è stata ulteriormente specificata dal legislatore con l’introduzione nell’art. 533, co. 1 c.p.p. , come novellato dall’art. 5, l. 20 febbraio 2006 n. 46, della formula anglosassone dell’oltre ogni ragionevole dubbio. (cfr. Iacoviello, C. pen. 2006, 3876, secondo il quale il criterio in parola si salda con il canone di innocenza, nel senso che prescrive di valutare le prove come se l’imputato fosse innocente e cioè dubitando di esse e cercando di falsificarle)

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Onus probandi e cause di giustificazione

530, c. 3, c.p.p. in caso di dubbio circa la sussistenza di una causa di giustificazione il codice impone l’assoluzione dell’imputato;

Alcuna regola è prevista nell’ipotesi in cui non si raggiunga la prova sulla sussistenza di una causa di giustificazione.

Posizioni contrastanti:

• 1. tesi. La pubblica accusa dovrebbe fornire la prova positiva della sussistenza degli elementi costitutivi e la prova dell’insussistenza delle cause di giustificazione e di non punibilità (Illuminati, la presunzione, p. 134).

• 2. tesi. In senso contrario Cordero Procedura penale, 2006, p.1002.

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• Dal principio in oggetto la consulta ha ricavato anche il diritto dell’imputato ad ottenere il proscioglimento nel merito. (cfr. Corte Cost. 151/1967; 175/1961; 69/1972; 5/1975; 224/1983; 200/1986).

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Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.

• La disposizione è da intendere come volta ad escludere non solo l’utilizzo di pene corporali ma anche di quelle pene che pur orientate nel senso della rieducazione del reo consistono in tecniche di manipolazione della personalità del condannato ovvero “produttivi di una sofferenza di carattere non fisico ma psicologico - morale consistente nell’umiliazione patita dal soggetto toccato nel valore della sua più profonda dignità umana.

• Per tale via sono banditi tutti quei trattamentio suscettivi di essere strumentalizzati in termini di prevenzione speciale negativa come la lobotomia, la castrazione, la somministrazione forzata di farmaci, la neurochirurgia, l’elettronarcosi, ovvero le tecniche di condizionamento psicologico).

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La polifunzionalità della pena:

• Funzione rieducativa del condannato;

• Funzione afflittivo - retributiva e preventiva generale della pena nella fase della previsione legislativa e nella commisurazione giudiziale;

• Prevenzione speciale e satisfattoria o di reintegrazione dell’ordine giuridico violato come linea di tendenza nella fase esecutiva.

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La Funzione rieducativa

• Il secondo principio della norma in questione impone categoricamente le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.

• Tale assunto impedisce che la pena possa avere una durata indeterminata e protratta nel tempo finché la rieducazione non venga raggiunta, in netta violazione alla ratio di garanzia che regge le disposizioni costituzionali attinenti al giudizio penale e dall’altro impedisce un’imposizione coattiva dell’attività di rieducazione che, proprio nell’ottica della umanità delle pene, deve essere si proposta ma non forzatamente attuata.

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• Inoltre, proprio perché la pena deve tendere alla rieducazione del condannato si pongono in antitesi con tale principio quelle situazioni in cui il soggetto non potendo avvertire il senso del reato commesso o della pena inflitta, non comprende la necessità dell’opera di rieducazione da tale riflessione così evincendosi lo stretto legame con il principio di personalità della responsabilità penale.

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Problema della compatibilità della pena dell’ergastolo con la funzione rieducativa della

pena

Una pena che istituzionalmente termina solo con la vita del reo come può tendere alla rieducazione del condannato?

La Corte Cost. con la sentenza 264/1974 ha respinto la relativa questione di costituzionalità poiché ha specificato che la pena dell’ergastolo non contrasta con il principio di cui all’art. 27, c. 3, Cost., posto che dissuasione, prevenzione, difesa sociale sono a fondamento delle pene, non meno della sperata emenda. Pertanto, non avendo la Costituzione prescritto la pena dell’ergastolo come avrebbe potuto fare essa è rimessa alla discrezionalità politica del legislatore ordinario che potrà ricorrervi qualora appaia indispensabile strumento di intimidazione per individui insensibili a comminatorie meno gravi, o mezzo per isolare criminali che abbiano dimostrato particolare pericolosità ed efferatezza. In ogni caso conclude la Corte, la prevista estensione della liberazione condizionale agli ergastolani (art. 176 c.p., come modificato dall’art.2 l.1634/1962), consente l’effettivo reinserimento del condannato all’ergastolo nel consorzio civile, quando abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento all’autorità giurisdizionale competente a concederla.

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Art. 117 CostituzioneCEDU, ALTRE FONTI SOVRANAZIONALI PATTIZIE

(Art. 117 Cost.).Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU).

Come è noto, la CEDU ed il relativo Protocollo addizionale sono stati ratificati ed eseguiti nel nostro ordinamento dalla Legge

4 agosto 1955 n. 848.Con riferimento al rango delle norme CEDU introdotte ad

opera della legge sopra citata, la Corte Costituzionale, già nel 1993 aveva precisato che: “Le norme internazionali appena ricordate sono state introdotte nell'ordinamento italiano con la forza di

legge propria degli atti contenenti i relativi ordini di esecuzione (v. sentt. nn. 188 del 1980, 153 del 1987 e 323 del 1989)

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e sono tuttora vigenti, non potendo, certo, esser considerate abrogate dalle successive disposizioni del codice di procedura penale, non tanto perché queste ultime sono vincolate alla direttiva contenuta nell'art. 2 della legge delega del 16 febbraio 1987, n. 81 ("il codice di procedura penale deve [...] adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale"), quanto, piuttosto, perché si tratta di norme derivanti da una fonte riconducibile a una competenza atipica e, come tali, insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 10 del 19 gennaio 1993).

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Successivamente, in modo ancora più chiaro, la Corte Costituzionale, a partire dalle sentenze n. 347 e 348 del 2007 e nella recente sentenza n. 113 del 2011, ha statuito che “la Giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che le norme CEDU, nel significato loro attribuito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, integrino quali norme interposte il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli <<obblighi internazionali>> ( sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; n. 317 e n. 311 del 2009; n. 39 del 2008; n. 80 del 2011). Prospettiva nella quale ove si profili un eventuale contrasto fra una norma interna e una norma della Cedu, il giudice comune deve verificare innanzitutto la praticabilità di un’interpretazione della prima in senso conforme alla Convenzione avvalendosi di ogni strumento ermeneutico a sua disposizione;

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e ove tale verifica dia esito negativo - non potendo a ciò rimediare tramite la semplice non applicazione della norma

interna contrastante - egli deve denunciare la rilevata incompatibilità, proponendo questione di legittimità

costituzionale in riferimento all’indicato parametro” (cfr., da ultimo, Corte Costituzionale n. 113/2011, che ha dichiarato

l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede la revisione del processo nel caso in cui vi sia stata

una violazione delle norme CEDU, al fine di rimuovere il giudicato ed adeguare la decisione alla CEDU).

La giurisprudenza di legittimità afferma ormai pacificamente la possibilità di proporre ricorso per Cassazione per violazione di legge ai sensi dell’art. 606, lett. b) e c) c.p.p. con riferimento alle violazioni del principio del “processo equo” previsto dalla CEDU (Cass. Sezione II Pen., sentenza n. 32840 del 9.5.2012).

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Come sostenuto dalla Corte Costituzionale nelle sentenze sopra citate, infatti, in capo al Giudice nazionale grava il compito di fornire un’interpretazione convenzionalmente orientata delle norme di legge nazionali rilevanti nel caso a lui sottoposto.Ne consegue che anche nell’applicazione e interpretazione della legge penale il Giudice non può non tener conto dei principi dettati dalla CEDU come interpretati dalla Corte Europea in materia di giusto processo di cui all’art. 6 della Convenzione.Solo nel caso in cui il Giudice non ritenesse possibile offrire un’interpretazione della norma interna conforme ai principi convenzionali dovrebbe sollevare dinnanzi al Giudice delle leggi la questione di legittimità costituzionale della norma per violazione dell’art. 117 Cost. e del parametro interposto di costituzionalità rappresentato dalle norme convenzionali.