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SR Scienze e Ricerche N. 46, MARZO 2017 ISSN 2283-5873 46.

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SRScienze e RicercheN. 46, MARZO 2017

ISSN 2283-5873

46.

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GLI ANNALI 2016

RIVISTA MENSILE · ISSN 2283-5873

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46. Sommario

FRANCESCO BENOZZOL’australopiteco e l’origine del linguaggio pag. 5

EMILIANO VENTURAMario Luzi. Storia della critica pag. 14

ANDREA GENTILEIl silenzio della libertà pag. 20

LEONARDO CAFFOI due dogmi dell’antropocentrismo pag. 25

DAVIDE DI PALMA, UMBERTO CONTEDiversity Management as a tool for intercultural education pag. 33

ANTONIO ASCIONE, VITTORIA MOLISSO, PIETRO MONTESANOInclusion and physical activity for individuals with SpecialEducational Needs pag. 37

GIUSEPPE MADONNA, UMBERTO CONTESocial integration projects in F.I.G.C. Youth Department pag. 43

MARÍA VICTORIA ÁLVAREZ BUJÁNÚltimas modificaciones normativas en materia de pruebas de ADNe inscripción de identificadores genéticos en la base de datospolicial en España pag. 47

n. 46 (marzo 2017)

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ISSN 2283-5873 Scienze e RicercheRivista mensilen. 46, marzo 2017

Direzione editorialeLaura Castellucci, Maria Catricalà, Vincenzo Crosio, Pierangelo Cru-citti, Renata De Lorenzo, Roberto Fieschi, Antonio Lucio Giannone, Carlo Manna, Michele Mossa, Francesco Orzi, Paola Radici Colace, Davide Schiffer, Domenico Tafuri, Franco Taggi, Immacolata Tempe-sta, Brunello Tirozzi, Bartolomeo Valentino, Gabriele Virzì Mariotti, Nicola Zambrano

Editorial BoardGiovanni Arduini, Angelo Ariemma, Vincenzo Artale, Franco Bagnoli, Marta Bertolaso, Anna Rosa Candura, Domenico Carbone, Orazio Car-penzano, Paolo Carusi, Laura Castellucci, Ornella Castiglione, Maria Catricalà, Luciano Celi, Monica Colitti, Carla Comellini, Paolo Corvo, Giovanni Crespi, Vincenzo Crosio, Pierangelo Crucitti, Maria D’Am-brosio, Renata De Lorenzo, Elena Dellapiana, Mirko Di Bernardo, Ire-ne Dini, Roberto Fieschi, Ugo Frasca, Isabella Gagliardi, Massimiliano Giacalone, Lia Giancristofaro, Antonio Lucio Giannone, Francesca Giofrè, Giada Giorgi, Agostino Giorgio, Anna Granà, Domenico Ien-na, Maurizio Iori, Agostina Latino, Antonio Maria Leozappa, Caterina Lombardo, Maurizio Lozzi, Paola Magnaghi-Delfino, Pasqualino Ma-ietta Latessa, Anna Manna, Carlo Manna, Emilio Matricciani, Fabrizio Mattei, Alessandra Mazzeo, Filomena Mazzeo, Stefania Giulia Maz-zone, Leone Montagnini, Michele Mossa, Vito Napolitano, Maurizio Oddo, Gaetano Oliva, Francesco Orzi, Linda Pagli, Claudio Palumbo, Alessandra Pelagalli, Silvia Peppoloni, Laura Pinarelli, Valentina Pos-senti, Paola Radici Colace, Francesco Rende, Adriano Ribolini, Elisa-betta Rovida, Stefano Salmeri, Mariarosa Santiloni, Carmela Saturnino, Davide Schiffer, Antonio Scornajenghi, Raimondo Secci, Matteo Sega-freddo, Domenico Tafuri, Franco Taggi, Immacolata Tempesta, Brunel-lo Tirozzi, Anna Toscano, Maria Grazia Turco, Pietro Ursino, Bartolo-meo Valentino, Gabriella Vanotti, Silvano Vergura, Vincenzo Villani, Gabriele Virzì Mariotti, Nicola Zambrano, Aldo Zechini D’Aulerio

Scienze e RicercheSede legale: Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 RomaRegistrazione presso il Tribunale di Roma n. 19/2015 del 2/2/2015Direttore responsabile: Giancarlo DosiGestione editoriale: Agra Editrice SrlTipografia: Andersen Spa

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N. 46, MARZO 2017

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SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017 | LINGUISTICA

tomicamente moderno già, quantomeno, nei Neanderthal. 2

Come sottolineato da Kathleen R. Gibson,

it must be noted straightaway that ‘language’ is not a monolithic enti-

ty, but rather a complex bundle of traits that must have evolved over

a significant time frame, some features doubtless appearing in species

that preceded our own. Moreover, language crucially draws on aspects

of cognition that are long established in the primate lineage, such as

memory: the language faculty as a whole comprises more than just the

uniquely linguistic features. 3

Nel 2016 ho pubblicato gli esiti di alcune mie ricerche sull’esistenza plausibile del linguaggio già con l’Australopi-teco, almeno 3 milioni di anni fa, 4 i quali sono stati succes-sivamente accettati, confermati e argomentati su base arche-ologica e paleontologica da Marcel Otte, uno dei massimi esperti viventi di Paleolitico eurasiatico: ne è nato un libro a quattro mani, uscito di recente, dal titolo Speaking Austalopi-thecus. A New Theory on the Origins of Human Language, 5

di cui mi interessa in questa sede riassumere i punti principa-li, corredandoli di qualche nuovo dato di conferma.

2 D. Dediu - S.C. Levinson, On The Antiquity of Language: The Reinterpretation of Neandertal Linguistic Capacities and its Consequences, “Frontiers in Psychology” 4 (2013); L. Progovac, What Kind of Grammar did Early Humans (and Neanderthals) Command? A Linguistic Reconstruction, in S. Robert - C. Cuskley - L. McCrohon - L. Barceló-Coblijn - O. Fehér - T. Verhoef (eds.), Proceedings of the 11th International Conference on the Evolution of Language, New Orleans: Evolang, 2016, 279-86; Id., A Gradualist Scenario for Language Evolution: Precise Linguistic Reconstruction of Early Human (and Neandertal) Grammars, “Frontiers in Psychology” 7 (2016).3 K.R. Gibson, Technology, Language and Cognitive Capacity, in F. Facchini (ed.), Colloquium VIII: Lithic Industries, Language and Social Behaviour in the First Human Forms. The Colloquia of the XIII International Congress of Prehistoric and Protohistoric Sciences, Forlì (Italy) 8-14 September 1996, Forlì, Abacus, 2006, 117-23 (118).4 F. Benozzo, Origins of Human Language: Deductive Evidence for Speaking Australopithecus, “Philology” 2 (2016), 7-24.5 Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2017.

L’Australopiteco e l’origine del linguaggio FRANCESCO BENOZZODipartimento di Lingue, Letterature e Culture Moderne, Università di Bologna

Partendo dal recente libro Speaking Australopithecus (2017), scritto dall’autore insieme all’archeologo Marcel Otte, questo articolo fornisce altri argomenti per poter so-stenere una maggiore antichità dell’origine del linguaggio rispetto a quanto generalmente affermato dalla ricerca lin-guistica, indicando quattro prove deduttive per affermare che la capacità linguistica era già presente con l’Australo-piteco, prima di emergere come tratto peculiare di Homo. Le conclusioni dell’articolo ribadiscono che Homo nacque già loquens (2 milioni e mezzo di anni fa), che le lingue apparvero con lo stesso Homo e che il linguaggio esisteva da molto tempo prima, con l’Australopiteco (3 milioni di anni fa).

Secondo l’opinione corrente, il linguaggio umano, da intendersi come l’esempio più rappresentativo di adattamento behavioristico del pianeta, si è evoluto in un’unica specie, in un unico modo, e con differenze strutturali

insormontabili rispetto a ogni altro sistema di comunicazione a noi noto. Le centinaia di studi pubblicate nell’ultimo de-cennio vorrebbero in effetti dimostrare l’esistenza di una di-cotomia funzionale e neurologica tra il sistema comunicativo dei primati e il nostro linguaggio. Se tuttavia si leggono con attenzione alcuni esiti delle ricerche più recenti, ci si imbatte in una folta schiera di paleontologi secondo i quali va rigetta-to lo scenario saltazionista nel quale primeggia il mito di una “modern human revolution”, a vantaggio di una visione che considera come più plausibile un processo graduale di co-evo-luzione culturale e genetica, 1 che può far pensare all’esisten-za di una forma di linguaggio simile a quella dell’uomo ana-

1 S. McBrearty - A.S. Brooks, The Revolution that Wasn’t: A New Interpretation of The Origins of Modern Human Behavior, “Journal of Human Evolution” 39 (2000), 453-563; A.R. Templeton, Population Biology and Population Genetics of Pleistocene Hominins, in I. Tattersall (ed.), Handbook of Paleoanthropology, Berlin - Heidelberg - New York, Springer, 2015, 2331-70.

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modello di differenziazione progressiva nella distanza, la diversità genetica delle popolazioni. Poiché questo impove-rimento dei fonemi non può essere spiegato come l’esito di spostamenti demografici minori o di altri fattori locali, si può concludere che esso sia una prova dell’origine delle lingue moderne in Africa, circa 500.000 anni fa, prima di “Out of Africa II”. 9

2. E PRIMA DI HOMO?

Vent’anni fa, il compianto paleoatrolpologo Phillip V. To-bias sostenne che la presenza di qualche forma di linguaggio nei primi ominidi andava vista come ipotesi necessaria per spiegare l’origine del linguaggio modernamente inteso. Dan-do per scontato che Homo habilis parlava, la vera domanda che ci si doveva porre era se una qualche capacità linguistica fosse opzionalmente presente nell’Australopiteco, prima di emergere e affermarsi come tratto distintivo di Homo:

Did brains capable of articulated language first appear before or after

the split? If they arose after the split, then it is a special uniquely de-

rived trait, an anthropomorphic trait, of the genus Homo. We have on

the other hand to countenance the possibility that this faculty might

have appeared before rather than after the bifurcation. If it arose in

an advanced Australopithecus africanus before the split, it is likely

that the propensity to speak would have been handed on to both or all

lineages derived from the split. Several lines of evidence suggest that

the rudiments of speech centres and of speaking were present already

before the last common ancestral hominid population spawned Homo

and the robust australopythecines (Broca’s bulge in Australopithecus

africanus; tool-making perhaps by a derived. Australopithecus africa-

nus and a hint of an inferior parietal lobule in one endocast, SK 1585,

of Australopithecus robusts). Both sets of shoots would then have

inherited the propensity for spoken language. The function would

probably have been facultative in Australopithecus robusts and. Au-

stralopithecus boisei, but obligate in Homo. 10

9 Q.D. Atkinson, Phonemic Diversity Supports a Serial Founder Effect Model of Language Expansion from Africa, “Science” 332 (2011), 346-9.10 Ph.V. Tobias, The Evolution of the Brain, Language and Cognition, in Facchini (1996), 87-94 (91).

1 . LE IPOTESI DELLA LINGUISTICA

L’ipotesi maggioritaria in campo linguistico è quella secondo la quale la capacità di sviluppare il linguaggio si è sviluppata in una fase relativamente recente, nella pie-na evoluzione di Homo sapiens, tra i 50.000 e gli 80.000 anni fa. 6 Negli ultimi mesi, Noam Chomsky ha ribadito che “there is substantial evidence that the human language ca-pacity is a species-specific biological property, essentially unique to humans, invariant among human groups, and dis-sociated from other cognitive systems” e che tale “proprieta biologica” “emerged with Homo sapiens or not long after, and has not evolved since human groups dispersed”. 7

Questo quadro cronologico (anche nella nuova veste pro-posta da Ike-uchi nel 2016, con una retrodatazione parziale a 150.000 anni fa) 8 appare tuttavia troppo ristretto, e in defini-tiva assai poco verosimile se si considerano le ultime acqui-sizioni e implicazioni cronologiche relative all’evoluzione umana. Maggiormente in dialogo con lo scenario ricostruito dalla paleontologia contemporanea sembra essere la teoria formulata da Quentin Atkinson, che, dopo aver studiato i fo-nemi presenti in 504 lingue del pianeta, ha sottolineato come il numero più alto di essi si riscontri nelle lingue dell’Africa sub-sahariana, e decresca progressivamente nelle lingue ge-ograficamente distanti da quel territorio, secondo una perfet-ta corrispondenza con le mappe che illustrano, sullo stesso

6 I. Tattersall, Human Evolution and Cognition, “Theory in Biosciences” 129 (2010), 193-201; N. Chomsky, Some Simple Evo Devo Theses: How True Might they be for Language?, in R. Larson - V. Deprez - H. Yamakido (eds.), The Evolution of Human Language: Biolinguistic Perspectives, Cambridge, MA, Cambridge University Press, 2010, 45-62; Id., The Science of Language: Interviews with James McGilvray, ivi, 2010; Berwick, R.C. - Friederici, A.D. - Chomsky, N. - Bolhui, J.J., Evolution, Brain, and the Nature of Language, “Trends in Cognitive Science” 17 (2013), 89-98.7 N. Chomsky, The Language Capacity: Architecture and Evolution, “Psychonomic Bulletin & Review” (2016), 1-4 (1); cfr. anche R.C. Berwick - N. Chomsky, Why Only Us. Language and Evolution, Cambridge, MA, MIT Press, 2016.8 M. Ike-uchi, Proposing the Hypothesis of an Earlier Emergence of the Human Language Faculty, in K. Fujita - C. Boeckx (eds.), Advanced in Biolinguistics. The Human Language Faculty and its Biological Basis, London - New York, Routledge 2016, 189-97.

Distribuzione geografica dei tre tipi di industria litica presitorica e dei tre principali tipi di struttura linguistica

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2) bifacciale = lessema flessivo: il bifacciale è il risultato di un’azione condotta sull’intera superficie del ciottolo, e da un punto di vista linguistico corrisponde a una più profonda e strutturale manipolazione del lessema isolante, con l’ag-giunta di suffissi (morfema grammaticale). Mentre il lessema isolante può avere solo un significato grammaticale o un si-gnificato semantico, il lessema flessivo incorpora una doppia funzione, sia semantica che grammaticale;

3) schegge/lame = lessema agglutinante: la più complessa tecnologia alla base della preparazione di attrezzi leptolitici può spiegare l’emergere dei lessemi agglutinanti: “prepared cores no longer have the shape of the final tool (as chop-pers and bifacials), but serve as an intermediate matrix from which several, parallel tools (thin flakes or blades) can be obtained, one after another. In much the same way, the ag-glutinative lexeme is formed by the juxtaposition of several affixes to the original lexeme, each of which has its particular grammatical function”. 14

In termini chomskyani, lo studio di Alinei prova in defi-nitiva che Homo habilis e Homo erectus parlavano già lin-gue monosillabiche, e che alcuni di questi gruppi, in Africa e nell’estremo Oriente, non hanno mai cambiato la struttura superficiale delle proprie lingue, pur sviluppando una strut-

14 Ibidem, 110

Ci sono almeno quattro argomenti linguistici che possono essere individuati per fornire una risposta affermativa alla domanda di Tobias.

3. PRIMO ARGOMENTO: LA CORRELAZIONE LITICA-

GEOLINGUISTICA PREISTORICA

In un denso articolo del 1996, Mario Alinei ha mostrato come la distribuzione areale dei tre principali tipi di struttu-ra litica preistorica (chopper, bifacciali, schegge/lame) cor-risponde all’area dei tre tipi di struttura linguistica (lingue isolanti, flessive e agglutinanti). Nel dettaglio:

1) L’area dei chopper (Asia sud-orientale) corrisponde a quella sudorientale delle lingue isolanti;

2) l’area delle schegge (Asia centrale e Euopa orientale) corrisponde a quella delle lingue agglutinanti (Uralico, Al-taico, Paleosiberiano);

3) l’area dei bifacciali (Africa del Nord e Asia sud-occi-dentale) corrisponde a quella delle lingue flessive (Afroasia-tico – cioè Camito-semitico –, area indoeuropea indo-ariana e lingue cartveliche). 11

Alinei mostra anche come i tre tipi di innovazioni litiche corrispondono ai tre principali tipi lessicali. Da un punto di vista cognitivo-evoluzionistico, questa osservazione si inse-risce nella visione di Gibson secondo cui “the level of cogni-tive complexity applied to making tools may provide insights to the levels of cognitive capacity available for linguistic and other functions”. 12 Nel dettaglio, la produzione di choppers può essere vista come l’antecedente cognitive della prima produzione di lessemi, secondo le seguenti equazioni:

1) ciottolo troncato = lessema isolante: allo stesso modo in cui un ciottolo è scalfito da una parte ai fini di ottenere una funzione di manufatto, il continuo e ininterrotto fluire delle vocali è interrotto e reso discontinuo per ottenere una nuova funzione lessicale. Come Alinei precisa, “the main difference between the animal call and the human lexeme is precisely in the voluntary interruption of the vocal emission, and in the attribution of a fixed value to the resulting frag-ment, which therefore becomes reproducible”. 13

11 M. Alinei, The Correlation between Lithic and Linguistic Development: A Geolinguist’s View, ivi, 107-16.12 Gibson, Technology, Language and Cognitive Capacity, 11913 Alinei, The Correlation between Lithic and Linguistic Development, 109.

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eu, etc. I parlanti hanno in re-altà continuato a pronunciare un’unica parola per esprimere la coscienza di se stessi come individui: niente si è evoluto, niente si è trasformato in qual-cosa di diverso. Tutti questi pronomi (e il loro paralleli: greco ἐγὼ, tedesco ich, inglese I, nederlandese ik, scandinavo jag, sloveno, russo e polacco ja, etc.) rappresentano ancora la stessa parola usata al tem-po della sua lessicalizzazione, vale a dire nella preistoria. 16

Per citare un altro esempio, quando consideriamo parole come piemontese scìuo ‘carcas-sa’, emiliano cìv ‘larva’, calabrese cibə ‘cavalletta’ o irpino cevo ‘animale morto’, non possiamo affermare che queste parole derivano dal latino cibus ‘cibo’, ma dobbiamo sempli-cemente constatare che nel periodo in cui esse furono usate per la prima volta (nella preistoria della loro lessicalizazio-ne), le carcasse, le larve e i piccoli insetti erano nominate in quanto ‘cibo’: essenzialmente, queste parole non sono mai cambiate. 17

O ancora, i verbi impigar, pigàr, impizèr, impièr, appiccià, mpezà, pià, documentati oggi in diversi dialetti italiani col significato di ‘appiccare, accendere (un fuoco)’, solo come esito di un miraggio evolutivo possono essere visti come de-rivazioni / sviluppi / evoluzioni del latino picare, *piceare, impiculare ‘produrre pece, impiastrare di pece un oggetto’, e che questi verbi latini, connessi alla parola latina per ‘pece’ (pix, picem, picula), sono a loro volta derivati dalla parola latina per ‘pino’ (pinus). Ciò che dobbiamo invece osserva-re, qui, tenendo conto del fatto che una delle più importanti innovazioni del Mesolitico europeo fu proprio la produzione di pece dagli alberi, è l’esistenza di un’unica parola/verbo che semplicemente e progressivamente si è adattata alle di-verse conquiste tecniche preistoriche. Questa correlazione tra parole usate oggi nei dialetti italiani documentati nella stessa area in cui è attestato archeologicamente il processo di creazione della pece nel complesso culturale noto come Sau-veterriano (10.000-7.800 anni fa) – a sua volta palesemente connesso con le industrie del Paleolitico Superiore e del pri-mo Epipaleolitico – ci mostra in primo luogo l’esistenza di una stabilità millenaria delle lingue. 18

16 Cfr. M. Alinei - F. Benozzo, Dalla linguistica romanza alla linguistica neolitalide, in F. Benozzo et al. (eds.), Cultura, livelli di cultura e ambienti nel Medioevo Occidentale, Atti del Convegno della Società Italiana di Filologia Romanza, Bologna, 5-8 ottobre 2009, Roma, Aracne, 2012, 165-203.17 Cfr. M. Alinei - F. Benozzo, DESLI. Dizionario etimologico-semantico della lingua italiana, Bologna, Pendragon, 2015, 32-3.18 F. Benozzo, The Mesolithic Distillation of Pitch and its Ethnolinguistic Reflections, in G. Belluscio - A. Mendicino (eds.), Studi in onore di Eric Pratt Hamp per il suo 90° compleanno, Rende, Università della Calabria, 2010, 29-42; Id., Occ. empe(i)ar, it. appicciare, it. sett. (im)pi(z)èr, it.

tura grammaticale profonda nel corso del Paleolitico.

Ebbene, se si assume una stabilità linguistica di scala così vasta, si è obbligati a po-stulare uno scenario ancora più profondo, proiettando l’emer-gere del linguaggio a qualche fase precedente. La corrispon-denza litica-geolinguistica può essere cioè considerata in se stessa una prova che il lin-guaggio deve essere esistito, opzionalmente, in qualche Au-stralopiteco, prima di diventa-re parte dell’eredità evoluzio-nistica con Homo. Si ha qui, se non sbaglio, la possibilità di conciliare l’innatismo di Chomsky con una nuova idea di evoluzione linguistica: il linguaggio, infatti, sarebbe sì in-nato negli umani, ma proprio come effetto di un processo evoluzionistico che era già attivo precedentemente. In altre parole, l’affermazione che la facoltà linguistica umana è in-nata implica che le sue origini vanno poste precedentemente l’emergere di Homo.

4 . SECONDO ARGOMENTO: LA MILLENARIA

STABILITÀ DELLE LINGUE

Tornando all’innatismo chomskyano, diventa in questi termini possibile riconsiderare in termini diversi la sua op-posizione a uno degli assunti della linguistica tradizionale, che cioè le lingue si siano evolute da proto-lingue. Que-sto suo punto di vista si combina perfettamente con l’idea espressa dal Paradigma della Continuità Paleolitica (PCP), 15

che, in opposizione all’idea tradizionale che vede nelle lin-gue degli “organismi” che nascono, crescono e muoiono, concepisce l’esistenza delle lingue e dei dialetti odierni al-meno dal Paleolitico, spiegandone la cosiddetta “evoluzio-ne” (per esempio l’evoluzione del latino nelle lingue “neola-tine”) come un fenomeno sociale che riflette i cambiamenti sociali accaduti nelle società stratificate (il latino sembra es-sersi evoluto nell’italiano, nel francese, etc., ma in realtà esso è scomparso con la scomparsa delle élites che lo parlavano, lasciando emergere le altre lingue già parlate in epoca arcai-ca e collateralmente ad esso). Solo come esito di un’illusione ottica possiamo affermare che il latino ego si è sviluppato / si è trasformato / si è evoluto / è diventato italiano io, francese je, spagnolo yo, occitan e catalano jo, portoghese e romeno

15 Cfr. <www.continuitas.org>, sito ufficiale del workgroup che lavora intorno al PCP; tra le pubblicazioni, cfr. M. Alinei, Origini delle lingue d’Europa, 2 voll., Bologna, il Mulino,, 1996-2000; M. Otte, The Diffusion of Modern Languages in Prehistoric Eurasia, in R. Blench - M. Spriggs (eds.), Archaeology and Language, vol. 1, Theoretical and Methodological Orientations), London, Routledge, 1997, 74-81; M. Alinei - F. Benozzo, The Paleolithic Continuity Paradigm for the Origins of Indo-European Languages. An Introduction in Progress, in costante aggiornamento su <www.continutas.org>.

AbstractStarting from the recent book Speaking Australopi-thecus (2017), written by the author together with the archaeologist Marcel Otte, this article argues brings new evidence to the idea of a much greater antiquity of human language than has normally been assumed in recent research, indicating four deductive argu-ments to provide evidence to the hypothesis that a capacity for language was already present in some Australopithecus, before emerging with Homo as one of his unique traits. The provisional conclusion of this article are that Homo was born loquens (2.5 million years ago), languages appeared with Homo himself, and language existed much earlier on (3 million years ago).

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linguaggio dei primati. Uno studio pubblicato in maggio su Scientific Report ha dimostrato che, a differenza di quanto si afferma comunemente, i procedimenti comunicativi degli animali più vicini a noi – i bonobo e gli scimpanzé – asso-migliano alle “cooperative turn-taking sequences” della con-versazione umana. Si tratta del primo studio di comparazione sistematica delle interazioni comunicative osservabili in cop-pie di cuccioli-madri allo stato brado, che applica i parametri della “conversation analysis” e della “joint-travel-initiation”. In sostanza, questa ricerca “provides substantial evidence that the two primary model species for the origins of human behaviour […] use sequentially organized, cooperative so-cial interactions to engage in a joint enterprise: leaving to-gether to another location”. 23 Le interazioni comunicative tra i soggetti studiati “show the hallmarks of human social action during conversation and suggest that cooperative communication arose as a way of coordinating collaborative activities more efficiently”. 24 La conclusione va nella stessa direzione indicata due anni prima da Stephen C. Levinson e Judith Holler, secondo i quali,

despite the tight integration of the different modalities into modern

human communication, the whole ensemble should be seen as a sy-

stem of systems that has accumulated over the two and a half million

years that humans have been a cognitively advanced, tool-using spe-

cies. […] The accumulations can be thought of as strata, and peeling

away the strata successively can give us some insights into the proba-

ble evolution of the whole complex system. 25

Sempre nel 2016 Nature Communication ha pubblicato quella che mi pare si debba considerare la più rivoluziona-ria scoperta fino ad ora fatta nel campo del linguaggio non umano: Toshitaka N. Suzuki, David Wheatcroft e Michael Griesser illustrano infatti per la prima volta l’esistenza di una sintassi composizionale nel linguaggio di una specie animale, il Parus minor giapponese, dimostrando che questi uccelli utilizzano più di dieci note diverse, isolatamente o in combinazione con altre, secondo un preciso modello di sintassi composizionale. Si tratta chiaramente di una svolta per gli studi sulla natura e l’origine del linguaggio, dal mo-mento che mette in crisi la ben radicata opinione secondo cui la sintassi composizionale è proprio il tratto che rende unico e strutturalmente diverso il linguaggio umano rispetto agli altri sistemi comunicativi, affermando, al contrario, che l’uso della sintassi può essersi evoluto indipendentemente negli animali come uno degli elementi basici del processo di

23 M. Fröhlich P. Kuchenbuch - G. Müller - B. Fruth - T. Furuichi - R.M. Wittig - S. Pika, Unpeeling the Layers of Language: Bonobos and Chimpanzees Engage in Cooperative Turn-taking Sequences, “Scientific Reports” 6 (2016).24 M. Fröhlich P. Kuchenbuch - G. Müller - B. Fruth - T. Furuichi - R.M. Wittig - S. Pika, Communication Styles in Bonobos and Chimpanzees: Same but Different?, “PeerJ Preprints” 4 (2016).25 S.C. Levinson - J. Holler, The Origin of Human Multi-modal Communication, “Philosophical Transactions of the Royal Society of London” / Series B: Biological Sciences 369 (2014).

Uno dei grandi abbagli della linguistica storica, nella sua vi-sione evoluzionistica delle lingue, è proprio l’idea che le lingue cambiano, e che il mutamento è una delle leggi che governa la loro esistenza. Secondo questa visione, ogni lingua e ogni sua variante (sia di tipo geografico che sociale) rappresenta un organismo sottomesso a leggi di cambiamento e derivata da una comune lingua madre. La vera caratteristica osservabile in ogni lingua, quando osservata in modo etnofilologico, 19

è invece quella del conservativismo, della stabilità, dell’iner-zia. Come nota ancora Mario Alinei,

by restricting itself to the study of change solely on the basis of written

old and modern languages, and by completely ignoring the sociolin-

guistic aspect of structural change, historical linguistics has deprived

itself of the main instrument for the understanding of the phenomenon

of change, and, consequently, for the reconstruction of the historical

process of linguistic evolution. 20

I numerosi studi pubblicati nello scorso decennio nell’ot-tica del PCP, che è un paradigma oggi seguito anche da emi-nenti studiosi che erano al principio scettici rispetto alle sue premesse e conclusioni, 21 dimostrano proprio questa stabilità millenaria di lunghissima durata delle lingue viventi. La leg-ge del linguaggio e delle lingue è la conservazione, e il muta-mento è l’eccezione: i mutamenti linguistici non sono causati da presunte leggi biologiche interne, ma da fattori esterni, extralingistici, di tipo etnico o sociale (contatto linguistico, ibridazione, etc.), manifestatisi in concomitanza con i mag-giori eventi ecologici, socio-economici e culturali che hanno plasmato la storia dell’uomo.

5. TERZO ARGOMENTO: L’ESISTENZA DI UNA

SINTASSI COMPOSIZIONALE NEL LINGUAGGIO

DEGLI ANIMALI

Come ha sottolineato di recente Caren ten Cate, gli studi che possediamo sono ancora insufficienti per arrivare a una conclusione certa relativamente a una presunta e strutturale incapacità grammaticale dei sistemi di comunicazione non umani: “the gap between human linguistic rulelearning abili-ties and those of nonhuman animals may be smaller and less clear than is currently assumed” (ten Cate, 2016). 22

Il 2016 è stato un anno di grandi scoperte nel campo del

merid. (ap)picci(c)à, ‘accendere (un fuoco)’: un verbo risalente al Mesolitico Sauveterriano (8.000-5.800 a.C.), “Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano” 34 (2010), 25-36.19 Cfr. F. Benozzo, Etnofilologia. Un’introduzione, Napoli, Liguori, 2010; Id., Breviario di etnofilologia, Lecce - Brescia, Pensa/Multimedia, 2012.20 M. Alinei, Conservation and Change in Language, “Quaderni di Semantica” 26 (2005), 7-28 (27).21 Come sottolineato da X. Ballester, Recensione di F. Villar et al. Lenguas, genes y culturas en la prehistoria de Europa y Asia suroccidental [Salamanca, Unversidad de Salamanca, 2011], “Estudios Clásicos” 140 (2011), 135-7.22 C. ten Cate, C., Assessing the Uniqueness of Language: Animal Grammatical Abilities Take Center Stage, “Psychonomic Bulletin & Review” (2016), 1-6.

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vicine ai modi in cui si originano le nostre parole.Se consideriamo i modi in cui i bambini categorizzano la

realtà attraverso le parole, osserviamo che essi sono quasi identici, e a volte esattamente identici, a quelli illustrati da Petitto per gli scimpanzé. Se diamo a un bambino la possi-bilità di pronunciare una sola parola per riferirsi a un ogget-to dislocato in un contesto – come accade nel citato espe-rimento sui primati –, questi userà tale parola per riferirsi a un’azione, a un luogo, a un evento, o a un altro oggetto vicino a quello al quale gli si chiede di riferirsi. Inoltre, farà riferimento a queste diverse cose simultaneamente, e – come gli scimpanzé – “without apparent recognition of the rele-vant differences or the advantages of being able to distin-guish among them”. Ciò che produrrà la disambiguazione tra i diversi referenti nominati tramite la stessa parola sarà l’uso sociale della parola stessa, la sua diffusione, il suo successo cognitivo tra più individui appartenenti a una comunità. La più evidente caratteristica dell’uso delle parole da parte dei bambini è la generalizzazione, non l’identificazione. 31

Si considerino, a questo proposito, le seguenti osservazio-ni di uno sei massimi specialisti di linguaggio infantile:

children’s name generalizations are so strongly linked to non-strate-

gic forces on attention that other potentially useful guides to attention

have no effect. […] They did not associate the object name with pro-

perties relevant to the object’s function, even when that information

was noticed”; “In all the experiments, children generalized the novel

name to objects that were different from the exemplar; and in all ex-

periments they did so consistently by picking out either the global or

local properties as relevant”. 32

Un’altra caratteristica della comunicazione infantile è – come per gli scimpanzé studiati da Petitto – l’apparente casualità della scelta di un nome e l’apparente non-senso con cui lo si estende ad altri referenti già famigliari. La ge-neralizzazione dei nomi degli oggetti – il loro utilizzo per nominare altri oggetti – non è determinata, come si potrebbe pensare, dalla forma dei referenti stessi: diversi esperimenti dimostrano che i nomi che vengono utilizzati dai bambini per riferirsi a cose diverse non utilizzano un procedimento di tipo associativo ma piuttosto governato da strategie di tipo metonimico contraddistinte da un maggior grado di arbitra-rietà (ad esempio, un calzascarpe può essere nominato come scarpa [come gli scimpanzé utilizzano l’immagine della mela per riferirsi al coltello che la taglia]) e da azioni com-piute dai bambini stessi sugli oggetti (ad esempio l’azione di gettare una scarpa può essere nominata come scarpa [come gli scimpanzé utilizzano l’immagine della mela per riferirsi

31 E. L. Axelsson - L K. Perry - E.J. Scott - J.S. Horst, Near or Far: The Effect of Spatial Distance and Vocabulary Knowledge on Word Learning, “Acta Psychologica” 163 (2015), 81-7.32 L.B. Smith et al., Naming in Young Children: A Dumb Attentional Mechanism?, “Cognition” 60 (1996), 143-71 (167); corsivi miei; cfr. anche R.M. Golinkoff - C.B. Mervis - K. Hirsh-Pasek, , Early Object Labels: The Case for a Developmental Lexical Principles Framework, “Journal of Child Language” 21 (1994), 125-55.

informazione-trasmissione. 26

Dopo questo studio è difficile affermare con sicurezza che “Human brain and language are characterized by a syntactic complexity, connected with a capacity for auditory recogni-tion memory, which, unlike humans, contemporary monkeys and ancestral primates wouldn’t be endowed with”. 27 Allo stesso modo, si deve considerare superata la visione secondo cui “while the lexical/semantic language system (vocabu-lary) probably appeared during human evolution long before the contemporary man (Homo sapiens sapiens), the gram-matical language historically represents a recent acquisition and is correlated with the development of complex cognition (metacognitive executive functions)”. 28

Lo studio sul Parus minor ci obbliga a prendere in con-siderazione uno scenario diverso, e ad ammettere che certe caratteristiche neurobiologiche possono essere esistite nel linguaggio dei primati già prima della comparsa di Homo, divenendo in seguito sostrati evoluzionistici per l’apprendi-mento di tipo proto-sintattico negli umani.

6. QUARTO ARGOMENTO: IL PROCESSO DI

LESSICALIZZAZIONE NEL LINGUAGGIO UMANO

Uno degli esempi più frequentemente citati per illustrare la dicotomia tra le capacità linguistiche dei primati e il linguag-gio umano è quello offerto da Laura-Ann Petitto a proposito dei diversi modi e in cui (e degli scopi ai fini dei quali) gli scimpanzé utilizzano, negli esperimenti, l’immagine raffigu-rante una mela:

the action of eating apples, the location where apples are kept, events

and locations of objects other than apples that happened to be stored

with an apple (the knife used to cut it), and so on and so forth – all

simultaneously, and without apparent recognition of the relevant dif-

ferences or the advantages of being able to distinguish among them. 29

La conclusione che trae è che gli scimpanzé “do not real-ly have ‘names for things’ at all. They have only a hodge-podge of loose associations”. Commentando questo studio, Robert Berwick, Angela Friederici, Johan Bolhuis e Noam Chomsky hanno perentoriamente sentenziato che “this is radically different from humans”. 30 Al contrario, e in modo altrettanto perentorio, si può affermare che le strategie appa-rentemente casuali messe in atto dagli scimpanzé sono molto

26 T.N. Suzuki - D. Wheatcroft - M. Griesser, Experimental Evidence for Compositional Syntax in Bird Calls, “Nature Communications” 7 (2016)27 E. Luuk, The Evolution of Syntax: Signs, Concatenation and Embedding, “Cognitive Systems Research” 27 (2014), 1-10; cfr. anche W. Wildgen, The Cultural Individuation of Human Language Capacity and the Morphogenesis of Basic Argument-Schemata, in A. Sarti - F. Montanari - F. Galofaro (eds.), Morphogenesis and Individuation Berlin - Heidelberg - New York, Springer, 2015, 93-110.28 A. Ardila, A Proposed Neurological Interpretation of Language Evolution, “Behavioural Neurology” (2015), 1-14 (2).29 L.-A. Petitto, How The Brain Begets Language, in J. McGilvray (ed.), The Cambridge Companion to Chomsky, Cambridge, MA, Cambridge University Press, 2005, 84-101 (93).30 Berwick et al., Evolution, Brain, and the Nature of Language, 93.

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silmaläsit dalla perifrasi ‘qualcosa per gli occhi’, l’italiano occhiali e il turco gözlük dalle rispettive parole per ‘occhio’, lo spagnolo gafas dalla parola per ‘stanghette’ (che sostengo-no le lenti), il francese lunettes dall’associazione della forma delle lenti con quella di ‘piccole lune’. 35

Addirittura la ‘mela’ menzionata nell’esperimento di Pe-titto è stata lessicalizzata in diversi modi: tedesco Apfel, ne-derlandese appel, svedese äpple, gotico apel, russo jabloko, lituano óbuolas, gallese afal e inglese apple indicano che all’origine i parlanti nominavano la sua dolcezza (la radice indoeuropea *āb-ol- / *āb-el- indica ‘dolcezza’), mentre l’i-taliano mela il romeno măr (cfr. anche latino malum e greco mêlon) si riferiscono alla sua ‘piccolezza’ (la radice indoeu-ropea (s)mēlo-, all’origine anche di inglese small), e il fran-cese pomme, il catalano poma e l’albanese pemë (cfr. latino pōmum) descrivono in origine ogni tipo di frutto con semi. Ancora, l’espressione apples! significa ‘OK!’ nello slang britannico, e la stessa parola apple è comunemente usata per riferirsi alle pupille degli occhi (apple of the eye) o agli zigo-mi (spagnolo pómulos, portoghese maçã do rosto e francese pommettes). 36

Quando osserviamo che uno scimpanzé utilizza indifferen-temente l’imagine della mela per riferirsi alle diverse cose e azioni elencate da Petitto (“the action of eating apples”, “the location where apples are kept”, o “events and locations of objects other than apples that happened to be stored with an apple”) stiamo pertanto osservando da vicino la stessa at-titudine riconoscibile nei processi di lessicalizzazione tipici anche del linguaggio umano

7. PERCHÉ PROPRIO L’AUSTRALOPITECO?

Nel presente paragrafo mi limito a riassumere le argomen-tazioni paleontologiche che Marcel Otte ha esposto diffusa-mente nel libro Speaking Austraopithecus citato all’inizio di questo articolo.

Lo sviluppo del bipedalismo costrinse lo scheletro a stare maggiormente eretto al fine di mantenere l’equilibrio durante il movimento. Numerose conseguenze meccaniche ne deri-varono, tra cui la liberazione delle mani, l’arrotondamento del cranio e l’appiattimento del viso. Questa nuova postura generò un più ampio campo visivo, che consentì, tra le altre cose, di prevedere delle situazioni future o che stanno per accadere. Il ritiro della base del cranio e il suo conseguen-te sviluppo in senso verticale consentì alle le corde vocali di allungarsi. Tutte queste tendenze influenzarono il grandi primati a partire da 10 milioni di anni fa, fino ad accentuarsi negli ominidi e a trovare il punto di svolta finale e definitivo con l’Australopiteco tra i 4 e i 3 milioni di anni fa.

35 Alinei - Benozzo, Dizionario etimologico-semantico della lingua italiana, 15-17.36 A. Pamies et al., “Fruits are Results”: On the Interaction between Universal Archi-Metaphors, Ethno-Specific Culturemes and Phraseology, “Journal of Social Sciences” 11 (2015), 227-47.

all’azione di mangiarla]); inoltre, tutti questi nomi possono essere utilizzati simultaneamente (come gli scimpanzé utiliz-zano l’immagine della mela per riferirsi simultaneamente a diversi referenti). 33

Laura-Ann Petitto durante l’esperimento citato

È questo il modo in cui le nostre parole si sono formate e si formano di continuo. Solo in seguito qualche tipo di socia-lizzazione un segno inizialmente utilizzato come scelta indi-viduale e generalizzata può incominciare a esistere come una parola riconoscibile: un principio che non è in contraddizio-ne con quella che Saussure chiama l’arbitrarietà del segno, ma che piuttosto ne costituisce un corollario: “because a sign is arbitrary, it requires adequate publicity to exist”. 34

Le parole mantengono d’altronde traccia di queste gene-ralizzazioni osservabili anche nel linguaggio infantile (e ac-costabili alle strategie di categorizzazione degli scimpanzé): ad esempio, per riferirsi a un oggetto, la descrizione di un’a-zione, il riferimento al luogo dove l’oggetto si trova, o a una parte dell’oggetto stesso per descriverlo nella sua interezza, o ad altri oggetti diversi da quello che si nomina. In ingle-se, un building non è in origine un ‘palazzo’, ma l’azione che serve a costruirlo; l’italiano pettine nasce dal nome del-la pecora (pecus) che viene pettinata; il nome del ‘cervo’ in diverse lingue europee (latino cervus, gallese carw, bretone karo, islandese hjörtur, tedesco Hirsch) è in origine il nome delle corna (la radice indoeuropea *ker ‘corna, cornuto’); un esempio perfetto della diversità di motivazioni utilizzate per lessicalizzare un oggetto (che si riferiscono ora a una sua parte, ora alla sua forma, ora al materiale di cui è fatto, ora al suo utilizzo, etc) è rappresentato dalle parole per ‘occhiali’: l’inglese glasses dal ‘vetro’ (glass) di cui sono fatte le lenti, il tedesco Brille e il nederlandese bril dal ‘berillo’, il cristal-lo con cui sono preparate, l’ungherese szemüveg e il finnico

33 M. Imai et al., Children’s Theories of Word Meaning: The Role of Shape Similarity in Early Acquisition, “Cognitive Development” 9 (1994), 45-76.34 M. Alinei, The Role of Motivation (Iconymy) in Naming: Six Responses to a List of Questions, in G. Sanga - G. Ortalli (eds.), Nature Knowledge. Ethnoscience, Cognition and Utility, New York, Oxford Berghahn Books, 2003, 108-18 (116).

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da utilizzare nelle diverse attività primarie. Questo grado di elaborazione non solo richiese una capacità linguistica, ma non avrebbe nemmeno potuto esistere senza di essa. Soltanto grazie al linguaggio si poterono attuare i “sacrifici”, di cui si hanno diverse tracce archeologiche, resi necessari dopo il passaggio dal regime alimentare vegetariano dei grandi pri-mati a quello carnivoro degli ominidi fuori dalle foreste, e cioè come conseguenza del fatto che gli ominidi dovettero incominciare a uccidere gli esseri che avevano sempre con-diviso con loro i diversi ambienti. 37

8 . CONCLUSIONI

Due affermati paleontologi hanno scritto di recente:

The relationship between modern anatomy, cognition, culture and lan-

guage is a complex one, and cannot be captured by a single saltatio-

nary event, let alone by a single ‘gene’ acquired at a specific moment

in our evolutionary history, leaving unambiguous traces in the fossil

or archaeological record. This myth of a ‘modern human revolution’

is now totally rejected by paleoanthropologists and archaeologists,

but it is disturbing to see it persisting – explicitly or implicitly – in

discussion of language and cultural evolution. 38

Anche Seyfarth & Cheney insistono su questo punto, af-fermando che

despite their differences, human language and the vocal communica-

tion of nonhuman primates share many features. […] During evolution

the ancestors of all modern primates faced similar social problems and

responded with similar systems of communication and cognition […].

When language later evolved from this common foundation, many of

its distinctive features were already present”. 39

Secondo Dieter G. Hillert, “Australopithecus was already able to use […] referential vocalizations (possibly in combi-nation with facial expressions and gestures) to display basic emotions and perceptions”; 40 alle quali affermazioni si pos-sono aggiungere le seguenti:

A fresh look at brain size, hand morphology and earliest technology

37 Per i dati sopra riassunti, oltre che a Speaking Australopithecus, rinvio ai seguenti lavori di Marcel Otte: Le Paléolithique inférieur et moyen en Europe, Paris, Armand Collin, 1996; Le Paléolithique supérieur en Europe, ivi, 1999; Les origines de la Pensée. Archéologie de la Conscience, Liège, Margada, 2001; Les habitats préhistoriques. Des australopithèques aux premiers agriculteurs, Paris, Comité des Travaux Historiques et Sientifiques, 2002; Origines du langage: sources matérielles, “Diogène” 214 (2006), 59-70; The Lower and Middle Palaeolithic in the Middle East and Neighbouring Regions. Liège, ERAUL 2011.38 D. Dediu - S.C. Levinson, The Time Frame of the Emergence of Modern Language and its Implications, in Ch. Knight - J. Lewis (eds.), The Social Origins of Language, Oxford: Oxford University Press, 2014, 184-95 (186; corsivi miei).39 R.M. Seyfarth - D.L. Cheney, Precursors to Language: Social Cognition and Pragmatic Inference in Primates, “Psychonomic Bulletin & Review” (2016), 1-6.40 D.G. Hillert, On the Evolving Biology of Language, “Frontiers in Psychology” 6 (2015).

Conseguenze strutturali del bipedalismo

Abbandonando la protezione della foresta, i primati bipedi si trovarono in balia dei predatori animali. Solo delle prote-zioni create artificialmente avrebbero potuto salvarli, special-mente di notte, cioè nel momento della massima vulnerabili-tà. Si trattò di un momento cruciale della nostra evoluzione: il bipedalismo permise l’accesso agli spazi aperti e le nuove condizioni di vita imposero la creazione di luoghi d’incontro e condivisione. Uno di questi luoghi, datato a ca. 3 milioni di anni fa, è stato scoperto a Olduvai: rocce assemblate in un cerchio. All’interno di questi rifugi furono evidentemente necessari degli scambi relazionali e organizzativi di livello diverso da quello dei grandi animali da branco: relazioni per le quali diventa obbligatorio postulare l’esistenza di un lin-guaggio condiviso.

Nelle azioni coordinate per scheggiare e dar forma ai ma-teriali litici è possibile leggere, cognitivamente, la disposi-zione e l’articolazione di concetti, la traccia di un modo di pensare già elaborato almeno tre milioni di anni fa. I ma-nufatti vennero gradualmente utilizzati per diverse attività, quali la macellazione di animali e la conseguente distribuzio-ne della loro carne, o la costruzione di merci e altri utensili

Manufatti dell’Australopiteco

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come organismi che nascono, si evolvono e muoiono in base a leggi interne.

Una (triplice) conclusione provvisoria è intanto abbozza-bile: (1) Homo nacque già loquens (2 milioni e mezzo di anni fa);(2) le lingue apparvero con lo stesso Homo;(3) il linguaggio esisteva da molto tempo prima, con l’Au-stralopiteco.

suggests that a number of key Homo attributes may already be present

in generalized species of Australopithecus, and that adaptive distin-

ctions in Homo are simply amplifications or extensions of ancient ho-

minin trends […] The expanded brain size, human-like wrist and hand

anatomy, dietary eclecticism and potential tool-making capabilities of

‘generalized’ australopiths root the Homo lineage in ancient hominin

adaptive trends, suggesting that the ‘transition’ from Australopithecus

to Homo may not have been that much of a transition at all”. 41

Elementi più concreti per inferire l’esistenza di un lin-guaggio articolato nei primi umani del Plio-Pleistocene e per rispondere affermativamente alla domanda posta 20 anni fa da Tobias, possono venire dalle argomentazioni esposte precedentemente, che combinano l’innatismo chomskyano, le conclusioni del PCP e il rifiuto di una visione delle lingue

41 W.H. Kimbel - B. Villmoare, From Australopithecus to Homo: The Transition that Wasn’t, “Philosophical Transactions of the Royal Society” 371 (2016), 44.

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FILOLOGIA E LETTERATURA ITALIANA | SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017

Nel tempo sarà un lettore attento e critico sagace2 capace di spiegare alcuni aspetti della poesia non colti dallo stesso autore.

«Questo miraggio di beatitudine prossima che fa guardare al Nostro,

senza nessuna asprezza, anzi con amore profondo, la vita terrena con

le sue gioie e le sue pene, e che gliela fa celebrare con voce così uma-

namente elegiaca [...] Un’elegia, naturalmente, di modernissimi modi,

appartenendo il Luzi, almeno come poeta, a quella generazione let-

teraria che, sulla fruttuosa orma impressa dalla rivolta ungarettiana,

tenta per diverse vie la riconquista alla nostra lirica della primitiva

lucidità d’espressione»3.

Anche l’amico Carlo Bo4 è tra i primi recensori e critici delle iniziali raccolte di Luzi:

«Così Mario Luzi fuori di qualunque soccorso di retorica è il più di-

sposto all’avvento della propria parola: noi sappiamo che in lui fi-

nalmente la memoria drammatizzata del poeta è stata abolita per il

cielo intatto in cui decade e resiste. Una poesia a tal punto fedele alla

propria origine naturale non predica dei risultati e delle convenzioni

laterali, è immediata nelle sue coincidenze»5.

Alessandro Parronchi nel recensire Un brindisi nel 1946 si sofferma su alcune ascendenze della poesia europea:

«La poesia di Rimbaud e quella di Valery, sotto questo segno dello

stile, anziché contrapporsi e differenziarsi in un’antitesi storicamente

essenziale, potevano scoprirsi in tal modo egualmente necessarie e il

loro operare conclusivamente, nella sintesi molto naturalmente com-

stampa sul primo ermetismo fiorentino, a cura di Carlo Pirozzi, Società editrice Fiorentina, Firenze, 2004.2 Cfr. Giorgio Caproni, La scatola nera, Garzanti, Milano, 2000.3 Giorgio Caproni, Poesia di un uomo di fede, in «Il popolo Siciliano», 29 novembre 1935.4 Cfr. Carlo Bo, Avvento notturno in «Letteratura», ottobre, 1940.5 Carlo Bo, Avvento notturno, in «Letteratura», ottobre-dicembre, 1940, ora in Una vita per la Cultura –Mario Luzi, Ente Fiuggi, I Premi Fiuggi, 1983, p. 183.

Mario Luzi. Storia della critica EMILIANO VENTURADottorando in Filosofia alla Pontificia Università Lateranense, Responsabile scientifico della Fondazione Mario Luzi

Michel Foucault scrive nel 1970 la celebre frase: “Un jour peut-ětre le siècle sera deleuzien - un giorno, forse, il secolo sarà deleuziano”, riferendosi all’amico filosofo Gilles Deleuze. Dal canto nostro, in questo inizio secolo e millennio, si potrebbe dire: “un giorno, forse, il secolo sarà luziano” e non solo per l’ovvia affinità tra i due nomi. Nel 2014 c’è stato il centenario della nascita del poeta, nato pro-prio nel 1914; il Meridiano Mondadori che uscì nel 1998, e poi in nuove edizioni fino al 2010, non presenta una Storia della critica tra gli apparati; lo studio che segue è volto a colmare questa lacuna e, per sua natura, non può dirsi finito. Gli studi su Mario Luzi continuano a crescere, tesi di laurea continuano ad essere assegnate, Dottorati sulla sua poesia si assegnano regolarmente, non solo in Italia ma anche in Svizzera e in Spagna.

Si è affermato spesso che Mario Luzi, al contra-rio di altri poeti, non ha avuto un grande critico come voce ausiliare o preferenziale, del tipo Contini - Montale o Mengaldo - Sereni.

La breve storia della critica luziana che si presenta vuole tentare di sfatare questo mito, i critici ci sono stati, quel che è mancato è stato il rapporto preferenziale poeta-critico. La complessità, l’evoluzione e la disparità dei temi e delle forme adottate dal poeta fiorentino hanno avuto bisogno di diverse professionalità per essere colte nella loro completezza; si potrebbe dire che a Luzi un critico, e finan-che un grande critico, non possa bastare.

Nel 1935 Luzi pubblica La barca, nel ’40 Avvento nottur-no, in questo periodo sono gli amici poeti e scrittori ad essere i primi recensori e critici del poeta novissimo; siamo nella fase aurorale della critica luziana.

Il primo a recensire e a dare il via inconsapevolmente alla critica luziana è stato Giorgio Caproni, con la sua recensione a La barca1.

1 Giorgio Caproni, Poesia di un uomo di fede, in Il popolo di Sicilia, 29 novembre 1935, ora in «La poesia – si sa – si affida al tempo». Rassegna

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Luzi11, La vicissitudine sospe-sa (rielaborazione di una felice tesi di laurea) che comprende un’analisi delle raccolte poeti-che da La barca a Nel magma, oggi il testo è stato ripubblicato (Fondazione Mario Luzi Edito-re).

Con questa monografia di Alfredo Luzi si può datare e attestare la nascita della ‘critica luziana’.

«L’amore infatti è l’elemento accentra-

tore del Quaderno […] A prima vista

sembra di essere tornati ai temi inizia-

li de La barca […] Il poeta sconfessa

l’immobilità particolare del’ Avvento

[…] Ancora una volta cade la teoria del

Luzi diviso in due periodi ben distinti.

Il canto della vita ne La barca, le pure immagini analogiche dell’Av-

vento, l’angoscioso dramma di Un brindisi non erano altro che ten-

tativi successivi di acquistare consapevolezza del proprio io, talvolta

sentendosi creatura fra le creature, talaltra dando piena fiducia alla

creatività individuale ed infine ponendosi come osservatore partecipe

di una catastrofe, per delineare le conseguenze del proprio spirito»12.

Come si evince dal brano estratto siamo in una fase in cui la critica vede già due periodi separati nella poesia di Luzi, mentre lo studio di Alfredo Luzi punta sull’evoluzione e sull’integrazione dei vari passaggi.

Visionando le voci bibliografiche degli anni ’60, si rin-tracciano essenzialmente i nomi di Oreste Macrì, Carlo Bo, Giorgio Caproni, Piero Bigongiari, Carlo Betocchi, Leone Traverso, Alessandro Parronchi, Vittorio Sereni, Franco Fortini; è una fase ‘aurorale’ della critica che viene adem-piuta da critici poeti.

Sono emblematiche le parole di Carlo Betocchi, recensen-do La barca, afferma: «Si è scritto, del libro di poesia di Ma-rio Luzi […] troppo poco e troppo meno del merito; se ne è parlato tra noi, invece, subito e con ammirazione vivace»13. Giancarlo Vigorelli afferma nel ‘36: «L’aiuto è di tutti, ma il ricalco di nessuno: più che modelli gli si trovano compagni – coetanei, dicevamo, e qualcuno dei poeti de L’Orto»14, a conferma della ristretta cerchia di attenzione critica che per anni ha circondato il poeta.

Ancor più lapidario è Alfredo Luzi quando conferma a chi scrive che negli anni del lavoro di ricerca per La vicissitudi-

11 Alfredo Luzi, La vicissitudine sospesa, Vallecchi, Firenze, 1968 e L’enigma e lo scriba nella poesia dell’ultimo Luzi. Il nodo ermeneutico di ‘Su fondamenti invisibili’, estratto degli Annali della facoltà di lettere e filosofia, Università di Macerata, XX, 198712 Cfr., A. Luzi, La vicissitudine sospesa, Vallecchi, Firenze, 1968.13 Carlo Betocchi, Lettura de «La barca», Il Frontespizio, giugno, 1936.14 Giancarlo Vigorelli, La barca, canti, in «Convivium», marzo-aprile, 1936.

piuta dal giovane poeta italiano»6.

In questa prima fase critica è interessante come Caproni, Bo e Parronchi abbiano mes-so l’accento su aspetti naturali dell’origine del suo ‘evento’ della parola poetica.

Anche Oreste Macrì7 dedica tra gli anni ’50 e ’60 due studi critici sul poeta amico. Di par-ticolare importanza si ricorda Le origini di Luzi nella rivista «Palatina» del 1961, proprio per essere un primo lavoro ad accogliere un insieme di testi poetici. Sempre a Oreste Ma-crì si deve la sistemazione in generazioni dei poeti tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento (La teoria letteraria delle generazioni), Luzi in-sieme a Bertolucci, Caproni e Sereni è inserito nella ‘terza generazione’; alla ‘prima’ appartengono Saba, Campana e Ungaretti, alla ‘seconda’ Montale e Betocchi.

Pier Paolo Pasolini8 in Passione e ideologia, recensendo Onore del vero, farà della poesia di Luzi quasi una questione meteorologica, con il suo far risaltare i cieli grigi la pioggia e il vento. Il poeta di Casarsa non è privo di contraddizione, parla anche di distanza ideologica ma definisce la raccolta luziana uno dei testi migliori degli ultimi anni.

Gianfranco Contini9 nella sua Letteratura dell’Italia Uni-ta 1861-1968 non riesce a superare e a comprendere piena-mente la forza di una poesia che nasce ermetica ma che poi approda ad altri lidi, l’io lirico si muta e si immedesima in cose e uomini, si immerge nella mutazione dell’essere e del divenire. Il grande critico rimane alla fase ermetica anche se segnala il cambiamento avvenuto con Onore del vero, ma non coglie l’importanza di un testo come Nel magma, che considera ‘una prosa pausata di nobile estrazione saggistica’.

Giacomo Debenedetti10 nel’62 pubblica Lo stile di Con-stant, è l’occasione per tracciare un breve ma significativo profilo del poeta.

In questa fase, anni ’60, non esiste ancora un testo di cri-tica che possa dirsi una monografia complessiva, lo scritto di Oreste Macrì sulla rivista “Palatina” è quello che più si avvicina a uno studio esaustivo.

Alla fine degli anni ’60 è importante lo studio di Alfredo

6 Alessandro Parronchi, Un brindisi, in «Letteratura», maggio, 1946.7 Oreste Macrì, Prime pagine di un saggio su Luzi, in Caratteri e figure della poesia contemporanea, Vallecchi, Firenze, 1956, e Le origini di Luzi, in «Palatina» 1961, poi in Realtà del simbolo, Vallecchi, Firenze, 1968.8 Pier Paolo Pasolini, Passione e ideologia, Garzanti, Milano, 1960, nuo-va ed. 2009.9 Gianfranco Contini, Mario Luzi in Letteratura dell’Italia Unita, San-soni, Firenze, 1968.10 Giacomo Debenedetti, Saggi, I meridiani, Mondadori, Milano, 1999.

Abstract

Michel Foucault wrote in 1970 the famous phrase: “Un jour peut-être siècle the evening deleuzien - one day, perhaps, the century will be Deleuzian,” refer-ring friend philosopher Gilles Deleuze. For us, in this beginning of the century, and millennium, we can say: “One day, perhaps, the century will be Luziano” and not just for the obvious affinity between the two names. In 2014 there was the centenary of the poet, in fact he was born in 1914; The great edition, Me-ridian Mondadori, which came out in 1998, and then in the last edition in 2010, does not have a history of criticism between devices; the study that follows is intended to fill this gap and, by its nature, it can not be said to be finished. Studies of Mario Luzi con-tinue to grow, dissertations continue to be assigned, PhD on his poetry is assigned regularly, not only in Italy but also in Switzerland and in Spain.

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ni19, Mario Specchio20 e Stefano Verdino21. Il fuoco e la metamorfosi di Giancarlo Quiriconi volge

all’interpretazione della poesia e del pensiero di Luzi in rela-zione a Teilhard de Chardin:

«Le più avanzate ipotesi teologiche, da Boros a Chardin – nel tenta-

tivo di rompere il circolo vizioso della dannazione certa e dell’im-

possibile acquisto – postulano una direzione diversa alle cose nella

loro tensione verso il divino. L’eden era in origine: la progressione

della storia sarebbe dunque un viaggio à rebours nel tempo alla ricerca

del paradiso perduto. Questa concezione, così carica di conseguenze,

agisce ancora oggi nel mondo contemporaneo si viene sostituendo

un’ipotesi opposta per cui l’eden sarebbe ravvisabile solo alla fine del

viaggio del mondo come frutto di una evoluzione continua, di una pro-

gressione che va verso l’alto e non discende verso il basso a ritroso.

La creazione allora non è un fatto acquisito una volta per tutte, ma un

processo in fieri che coinvolge senza distinzione tutti gli aspetti e le

forme dell’uomo e delle cose; essa si afferma portando in sé non più

come una condanna ma come elementi attivi di tutto il processo, bene

e male, innocenza e colpa, carnalità e spiritualità, tutte le antinomie

possibili che si manifestano nel mondo le quali interagiscono, positi-

vamente, verso l’epifania finale del Kerigma»22.

È un punto cruciale della poesia luziana, a mio avviso è in questa visione di creazione costante, di possibilità dell’e-vento che vanno letti gli ultimi testi di Luzi dal Viaggio di Simone Martini a Sotto specie umana, con la sua progressiva salita versi ‘i cancelli dell’assoluto’.

Stefano Verdino è un punto di riferimento grazie alla cura del Meridiano Mondadori (1998-2010), i suoi studi sono strumenti importanti per appassionati e ricercatori, ha curato anche le ultime raccolte poetiche fino alla raccolta postuma Lasciami non trattenermi.

La monografia di Lisa Rizzoli e Giorgio Morelli23 del 1992 (Mario Luzi. La poesia, il teatro, la prosa, la saggisti-ca, le traduzioni, Ugo Mursia) è tra le più accurate e signifi-cative. È anche l’unico studio monografico ad essere scritto a quattro mani; genericamente il lavoro in gruppo non è molto usato nelle scienze umanistiche in cui si predilige l’indivi-dualità, mentre la ricerca scientifica, in particolar modo quel-la la medica, ne fa un maggior uso. La curatela dei Meridiani Mondadori normalmente prevede due o tre studiosi operare nelle varie sezioni, si veda il Meridiano di Giorgio Caproni,

19 Giancarlo Quiriconi, Per un capitolo sulla poesia di Luzi, in «Critica letteraria», 9, 1975.Dalla parte della vita, in «Prospettive nel mondo», III, 1978, Il fuoco e la metamorfosi. La scommessa totale di Mario Luzi, Cappelli, Bologna, 1980.20 Mario Specchio, La difficile speranza di Mario Luzi, in «Studi Urbi-nati/B3»,1984, Mario Luzi, Nardi, Firenze, 1993.21 Stefano Verdino, Note per Mario Luzi, “nuova corrente”, 140 luglio-dicembre 2007, Premessa Mario Luzi Due poesie inedite, Bibliografia 2006, La poesia di Mario Luzi. Studi e materiali (1981-2005), Esedra, Padova, 2006.22 Giancarlo Quiriconi, Il fuoco e la metamorfosi, Cappelli, Bologna, 1980, pp. 258-280.23 Rizzoli L.- Morelli G., Mario Luzi. La poesia, il teatro, la parola, la saggistica, le traduzioni, Ugo Mursia, Milano, 1992.

ne sospesa (anni ’60) nessuno, o quasi, si occupava di Mario Luzi.

Oltre alla già citata monografia di A. Luzi, la fine degli anni ’60 fa registrare altri due studi monografici: Il metro di Luzi di S. Salvi, Leonardi, Bologna, 1967 e Luzi di G. Zagar-rio, La Nuova Italia, 1968.

Il lavoro di Zagarrio presenta aspetti interessanti; l’ana-lisi dell’evolversi dell’uso del lessema ‘vento’, assente ne La barca ma presente da Avvento in poi; per l’attenzione ai personaggi vagabondi della poesia luziana e, soprattutto, il tentativo di una sintesi trentennale:

«Si è accennato in questo senso al ‘campo’ cinematografico di un

Fellini, o a quella teatrale di un Brecht; ma si può pensare forse con

maggiore approssimazione alla pittura di Rosai, a quei suoi omini così

immersi, come i vagabondi di Luzi, nella loro sofferenza individuale

e universale insieme, ma dentro un misurato equilibrio di paesaggio,

che è appunto la sintesi felice dei due opposti: dell’universale e del

particolare (e specialmente il particolare toscano-umbro) in quelle mi-

sure egualmente urgenti e complementari che fanno poesia. È in que-

sto senso che la poesia di Luzi coglie in Onore del vero il momento

più colmo del suo iter trentennale»15.

In prossimità degli anni ’70 sia A. Luzi che Giuseppe Za-garrio impostano un primo discorso unitario ed evolutivo sulla poesia di Mario Luzi.

Stessa impostazione di insieme si riscontra nell’analisi di Claudio Scarpati16 in Mario Luzi, (1970), l’autore ravvisa in questa fase del fare poetico luziano, un cruciale spartiacque che si traduce in una sorta di definitiva emancipazione dagli stilemi tardo ermetici, gli stessi che avevano contraddistinto Quaderno gotico, e che ancora pesavano su certi aspetti delle Primizie.

«Ma per la sua riluttanza a concepire la condizione umana al di fuori

di una prospettiva fissista, per il suo rifiuto del concetto laico di libe-

razione e, più velatamente, del concetto cristiano di redenzione, il suo

itinerario potrebbe anche essere descritto dallo schema Kierkegaardia-

no del passaggio dalla fase estetica alla fase etica e a quella religiosa

che troverebbe riscontro nel pellegrinaggio nelle terre edeniche di Av-

vento notturno, al dibattito morale di Primizie del deserto, alla scoper-

ta caritativa di Onore del vero. Ma questo tracciato non è lineare»17.

Pier Vincenzo Mengaldo18 nella sua antologia Poeti italia-ni del Novecento (1978) rimane legato al giudizio di Contini parlando di pagina decorativa e immobilità fachiresca, seb-bene ciò possa essere vero rimane molto altro di non detto e non evidenziato.

Negli ultimi decenni (’70 e ’80) la forza di una poesia che si muove tra lirismo e quotidiano, tra la fissità e il movimen-to, tra dilemmi metafisici del male e del bene, è stata oggetto di attenta analisi da voci come quella di Giancarlo Quirico-

15 Giuseppe Zagarrio, Luzi, La Nuova Italia, Firenze, 1968, p. 102-120.16 Claudio Scarpati, Mario Luzi, Mursia, Milano, 1970.17 Ivi., p. 155.18 Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti Italiani del Novecento, Mondadori, Milano, 1978.

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vallini27, La vita nasce alla vita. Saggio sulla poesia di Ma-rio Luzi.

Emerico Giachery28, critico e amico di Luzi, dedica uno scritto sul ruolo della luce nella sua poesia, Mario Luzi can-tore della luce (2003).

Filosofi come Massimo Cacciari29 e Marco Guzzi30 sono esegeti attenti e puntuali degli aspetti più metafisici della sua poesia.

In questa tornata di anni, tra il novanta e il duemila, si regi-strano diverse pubblicazioni di colloqui e lunghe interviste, interlocutori privilegiati sono Stefano Verdino, Mario Spec-chio, Renzo Cassigoli31, Doriano Fasoli32 e Ugo De Vita33.

L’antologia luziana curata da Valerio Nardoni34, La ferita dell’essere. Un itinerario antologico ( Passigli, Firenze-An-tella, 2004), pregevole per un taglio nuovo dato al ‘commen-to’, è stata ripubblicata dal quotidiano La repubblica con grande fortuna e diffusione.

Negli ultimi dieci anni (2005/2015), dalla morte del poeta

in avanti, si registra una vivacità nella critica più recente, accademica e non, nuovi studi e nuovi autori si interessano agli aspetti e all’evoluzione di una poesia sempre più com-plessa: Paolo Rigo35, Irene Baccarini36, Elisa Tonani, Noemi Corcione, Laura Toppan37, Elisa Donzelli, Laura Piazza38, Rosario Vitale39, Marco Menicacci40 sono tra le voci pun-tuali e dettagliate sulla poesia luziana.

La funzione degli spazi bianchi nella metrica, la topica e i debiti danteschi con le metafore animali e naturali, le prose sulla critica cinematografica, i legami epistolari e accademi-

27 Giorgio Cavallini, La vita nasce alla vita. Saggio sulla poesia di Ma-rio Luzi, Studium, Roma, 2000.28 Emerico Giachery, Mario Luzi cantore della luce, Cittadella ed.2003, cfr. anche La vita e lo sguardo, Fermenti, 2011, in cui in una prosa di ricordi Giachery si sofferma sul ruolo della luce in Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini.29 Massimo Cacciari, Simplicitas e Caritas nella poesia di Mario Luzi, in Mario Luzi, Autoritratto, Garzanti, Milano, 2007. 30 Marco Guzzi, La profezia dei poeti, Moretti & Vitali, Bergamo, 2002.31 Mario Luzi, Le nuove paure, conversazione con Renzo Cassigoli, Pas-sigli, Firenze-Antella, 2003. 32 Luzi M. - Fasoli D., Spazio stelle voce, Edizioni Associate, Roma, 2004.33 Ugo De Vita, Semina, Conversazione con Mario Luzi, Nuova Cultura, Roma, 1996, Lezioni di teatro, Nuova Cultura, Roma, 1997, “Orfeo, mito della poesia” conversazione con Mario Luzi in L’origine del canto. Ipotesi sull’orfismo nella poesia italiana del Novecento, prefazione di E. Giache-ry, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 1996.34 Mario Luzi, La ferita dell’essere. Un itinerario antologico, a cura di V. Nardoni, Passigli, Firenze-Antella, 2004.35 Paolo Rigo, Squillò luce sulla metafora in Mario Luzi, A. Sacco Edi-tore, Roma, 2012.36 Irene Baccarini, Mario Luzi. Il «sistema» della natura, Studium, Roma, 2015.37 Laura Toppan, «Le chinois». Luzi critico e traduttore di Mallarmè, Metauro, Pesaro, 2006.38 Laura Piazza, Il gesto, la parola, il rito. Il teatro di Mario Luzi, Il nuovo Melangolo, 2012. 39 Rosario Vitale, Mario Luzi. Il tessuto dei legami poetici, Società Edi-trice Fiorentina, Firenze, 2015.40 Marco Menicacci, Mario Luzi e la poesia tedesca, Novalis, Hölderlin, Rilke, Le Lettere, Firenze, 2015.

di Pier Paolo Pasolini, Maria Luisa Spaziani. Come si evince già dalla complessità del titolo, Mario Luzi. La poesia, il te-atro, la prosa, la saggistica, le traduzioni, gli aspetti toccati aspirano a una totalità esegetica; gli apparati come il profilo biografico e la bibliografia sono tra i più dettagliati, i più esaustivi insieme, e molto prima, all’edizione del Meridiano Mondadori curato da Stefano Verdino.

L’analisi degli autori procede dal soggettivismo degli splendidi inizi alla conquista del reale esistenziale delle raccolte centrali, fino all’immersione nel magma in cui gli uomini inventano la storia, Luzi non ha mai sospeso la sua vocazione sapienziale.

Merito di Lisa Rizzoli è stata la scoperta di una fonte di centrale importanza nell’allora ultima fase luziana (anni ’80 e ’90): l’influsso del mistico indiano Sri Aurobindo, che viene ad intrecciarsi con l’opposto occidentale, il filosofo e teologo gesuita Teilhard de Chardin nella ricerca di una me-tastorica centralità dell’Essere.

Dalla noosfera di Teilhard alla persona universale di Au-robindo gli ultimi raccordi luziani più che mai si spingono verso la conquista della coscienza che è la Verità. La Rizzoli mette bene in risalto il ruolo centrale che ha in Luzi l’idea della creazione ancora in atto, la possibilità dell’eventuale e del perfettibile.

Il testo è una vera e propria ‘biografia poetica’, il senso cronologico e l’attenzione all’opera luziana ne fanno un testo corale imperdibile; i critici di riferimento sono Bo e Bigon-giari, Ramat, Scarpati, Zagarrio e Quiriconi.

Che sia riconosciuto o meno, a più di venti anni di pubbli-cazione, il testo rimane un punto di riferimento imprescin-dibile per i ricercatori, per la vastità dei temi toccati, acume critico e cura degli apparati (quest’ultimi curati da Giorgio C. Morelli).

Una piccola antologia luziana, Poesie. Mario Luzi, viene

curata dal critico Mario Santagostini24 per le edizioni Tea nel 1997. Il testo comprende un importante saggio introduttivo in cui Luzi viene definito il poeta ‘meno egocentrico’, una felice intuizione per l’attenzione del poeta all’alterità.

Marco Marchi25 è un critico collaudato, attento e molto presente, del poeta toscano con numerosi saggi e studi, di cui l’edizione Invito alla lettura di Mario Luzi, Mursia, 1998. A lui si deve una nuova edizione, con introduzione, della prosa luziana Biografia a Ebe (EdiLazio 2010).

Marco Zulberti26 nel 1999 cura e raccoglie i primi articoli e saggi di Luzi in un testo, Prima semina, al curatore si devo-no l’importante saggio introduttivo e la precisa bibliografia di testi luziani, anche i più dispersi e datati come articoli e prefazioni.

Nel 2000 si segnala l’edizione di Studium di Giorgio Ca-

24 Mario Luzi, Poesie, TEA, Milano, 1997.25 Marco Marchi, Invito alla lettura di Mario Luzi, Ugo Mursia Ed.1998, Luzi, in Pietre di paragone, Vallecchi, Firenze, 1991.26 Mario Luzi, Prima semina, Articoli, saggi e studi, a cura di Marco Zulberti, Mursia, Milano, 1999.

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citati nel titolo del saggio, ma anche di filosofi come Heideg-ger e Nietzsche.

Mario Luzi Il tessuto dei legami poetici, è il testo di Rosa-rio Vitale (2015); è uno studio monografico dove si presenta l’opera poetica luziana come un vero e proprio macro-testo, un corpus unico, qui i vari legami intertestuali e extratestua-li, i richiami e le relazioni tra Luzi e altri poeti, sono resi con rigore ma anche con un gusto per la composizione. I nume-rosi capitoli e paragrafi rendono bene l’idea dell’ampiezza dell’analisi compiuta; come ricorda l’autore di solito la cri-tica si concentra su una raccolta o su un gruppo di raccolte vicine per tema.

Un po’come il pregevole lavoro monografico di Paolo Rigo che si concentra nelle ultime raccolte poetiche definite da Luzi stesso Frasi nella luce nascente. Al contrario, Co-simo Cucinotta46, nel suo Mario Luzi Le stagioni del giusto (2010), si concentra sulla prima fase poetica da La barca a Onore del vero.

Rosario Vitale segue un filo analitico seguendo la conti-nuità del lemma ‘vita’, vera e propria parola-chiave luziana lungo tutto l’arco della stagione poetica che dura circa sette decenni.

Questo è un punto nodale della storia della critica luzia-na, non a caso prende il via dalla morte del poeta, momento in cui, per necessità, il macro-testo luziano è concluso; aver cominciato un’analisi totale del grande libro luziano (magna opera) può consentire di superare ogni desueta etichettatura di scuola e di appartenenza.

Si segnala inoltre un accresciuto interesse anche negli stu-denti universitari che sempre più numerosi

hanno sostenuto e sostengono sessioni di Laurea e difese di Dottorato sul poeta toscano; a tal riguardo è significativo il premio che la Fondazione Carlo Bo, con l’Università di Urbino e il comune di Montemaggiore al Metauro, assegna alla migliore tesi di laurea su Mario Luzi.

La casa editrice Aracne ha da poco pubblicato una mo-nografia dal titolo Viaje terrestre y celeste de Mario Luzi Análisis de la espiritulidad luziana, di Encarna Esteban Ber-nabé (Giugno 2016). L’autrice del testo, Encarna Esteban Bernabé47, è professoressa di lingua italiana presso il diparti-mento di Filologia della facoltà di lettere dell’Universidad de Murcia, Spagna. Dalla nota personale del libro si apprende che la tesi di dottorato riguardava proprio La espiritualidad de Mario Luzi en su obra poética. Nel lavoro della docente spagnola sono evidenti una differenza e una distanza dalla storiografia italiana che tende a separare gli ambiti all’inter-no dell’opera di un poeta. Ad esempio in Luzi la poesia e la drammaturgia, sono state per anni oggetto di studio separa-to. La cosa non si ripete in questo studio, parlando dell’in-

46 Cosimo Cucinotta, Mario Luzi. Le stagioni del giusto (1935- 1960), Le lettere, Firenze, 2010.47 Rimando all’intervista e all’articolo uscito ad agosto 2016 su «Riv-ista di Studi Italiani», cfr. Emiliano Ventura, INTERVISTA A ENCARNA ESTEBAN BERNABÉ SULLA MONOGRAFIA IN SPAGNOLO SU MA-RIO LUZI, RDI, Anno XXXIV, n. 2.

ci tra Luzi e Carlo Bo sono solo alcuni degli aspetti oggetto di queste analisi.

Per il teatro, oltre all’imperdibile studio di Giancarlo Quiriconi compreso nell’edizione garzantina Tutto il teatro (1992) e lo scritto di Katia Migliori su Hystrio, si segnalano i testi di Maria Modesti41 (Finzioni e verità nel teatro di Luzi); Paola Cosentino42 che parte da uno studio rinascimentale del teatro con particolare attenzione al dramma religioso. Lau-ra Piazza che nel fondamentale Il gesto la parola il rito, ha focalizzato l’attenzione sui legami tra il regista Orazio Co-sta e il poeta, mettendo in risalto alcuni aspetti tecnici e non solo poetici del teatro luziano. Chi scrive ha sottolineato la dignità e la valenza dei drammi luziani nonostante una mi-nore attenzione della critica, ha curato l’inedito Seminario sul teatro. Incontro con il poeta43 (Fondazione Mario Luzi Editore).

Rosanna Pozzi44 ha messo in rilievo il legame tra la poetessa Cristina Campo e il personaggio di Ipazia, la tensione verso il misticismo e all’idea di destino; Uberto Motta45 ha messo in risalto i legami tra Ipazia e Clizia, tra Montale e Luzi.

Nel suo volume dedicato a Mario Luzi, Il lungo viaggio nel Novecento. Storia politica e poesia, Marsilio, 2014, Giorgio Tabanelli parte dal racconto in prima persona di Luzi per ripercorre il viaggio umano e poetico attraverso le vicissi-tudini del Novecento. La poesia di Luzi nasce dal confronto serrato e stringente con gli accadimenti della cronaca. La sua teologia poetica si misura con la storia e con la politica dagli anni del fascismo al crollo della prima Repubblica, fino alla nomina a senatore a vita. Per il suo impianto storiografico il volume è tra i più citati e studiati dai recenti lavori di dotto-randi o laureandi.

Di particolare interesse le monografie di Marco Menicacci (2014) e di Rosario Vitale (2015). Mario Luzi e la poesia tedesca. Novalis, Hölerlin, Rilke di Marco Menicacci è un testo di cui si sentiva la mancanza, l’influenza dei pensatori francesi in Luzi è attestata e analizzata da tempo, certificata da esegesi puntuali e ricche. Non così per il pensiero tedesco, la poca familiarità di Luzi con questa lingua non ha impedito di approfondire e cogliere l’influenza di autori come i poeti

41 Maria Modesti, Finzioni e verità nel teatro di Mario Luzi, Edizioni dell’Orso, 2005 42 Il poeta e il pittore: brevi riflessioni sul Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, in Note per Mario Luzi, a cura di S. Verdino, «Nuova corrente», anno 54 (2007), n. 140, pp. 297-312, Sul Libro di Ipazia. Dalla scrittura alla rappresentazione, in «Istmi. Tracce di vita letteraria», 34 (2014), pp. 159-78, Melpomene è perduta. Il teatro autobiografico di Ma-rio Luzi, in Mario Luzi. Un viaggio terrestre e celeste, con un appendice di scritti dispersi, a cura di P. Baioni e D. Savio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2014. 43 Emiliano Ventura, Mario Luzi La poesia in teatro, Scienze e Lettere, Roma, 2010 e Mario Luzi. Il poeta e la filosofia, in Rivista di Studi Italiani, a cura di Ignazio Apolloni, Anno XXXII, giugno, 2014.44 Pozzi R., La città e la donna nel Libro di Ipazia di Mario Luzi in Nove poeti per Mario Luzi, Aracne, Ariccia (Roma), 2014.45 Motta U., Condizione del primo Luzi, in «Sacra Doctrina», 52, 2007, Id., Ipazia, Clizia e la bufera: Luzi fra Montale e Teilhard de Chardin, in Studi di Letteratura italiana in onore di Francesco Mattesini, Vita e Pensiero, Milano, 2000.

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SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017 | FILOLOGIA E LETTERATURA ITALIANA

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ne dei generi come la lirica, il teatro, la saggistica, e anche la narrativa, hanno imposto una molteplicità di discorsi e di professionalità.

Tornando alla citazione iniziale, “Un jour peut-ětre le siècle sera deleuzien - un giorno, forse, il secolo sarà de-leuziano”, sembra che questo inizio di secolo abbia tutte le premesse per essere ‘un secolo luziano’ o, giocando ancor più con la somiglianza Deleuze-Luzi, un secolo di Luzi.

fluenza di sant’Agostino l’autrice passa a parlare anche del testo drammatico Opus Florentinum, il dialogo intorno a Santa Maria del Fiore. Si sofferma a lungo sull’importanza della carità (caritas), cita giustamente il ruolo della madre Margherita come fonte originaria di questa adesione alla ca-ritas cristiana. Ugualmente collega questo principio cristia-no all’opera del pontefice Benedetto XVI e al testo teatrale Corale della città di Palermo per Santa Rosalia. Il testo è importante sia per il contenuto, veramente unitario come ap-proccio metodologico, sia per essere scritto il lingua spagno-la e pubblicato da un editore italiano.

Interessante il sito internet del poeta Andrea Temporel-li, www.andreatemporelli.it, (storico redattore della rivista Atelier), con una grafica piacevole ricca di storici ritratti del poeta toscano, si presentano una serie di saggi centrati sulle ultime raccolti di Luzi.

Possiamo suddividere la storia della critica su Luzi in quattro fasi.

1) La prima che possiamo datare dal 1935 al ’60, è segnata dall’attenzione dei poeti e poeti-critici amici, come afferma Carlo Betocchi “se ne è parlato tra di noi”.

2) La seconda dal ’60 al ’70, gli anni in cui grazie alle mo-nografie di Alfredo Luzi, Giuseppe Zagarrio e Claudio Scar-pati, il fare poetico di Luzi viene inserito in un iter, un per-corso evolutivo che lo libera dalla definizione di ermetico.

3) La Terza dal ‘70 al’ 98 anno di uscita del Meridiano Mondadori curato da Verdino, sono gli anni in cui la poesia è al centro della critica con importanti monografie, A. Luzi, Scarpati, Zagarrio, Morelli-Rizzoli, M. Marchi, sono anche gli anni delle candidature al Nobel. Il teatro, che in questi anni accoglie poco meno di una decina di titoli, rimane an-cora ai margini della critica (Modesti, Migliori e Quiriconi); parafrasando Debenedetti a “Luzi non è sufficiente racco-mandarsi come poeta per farsi ascoltare come drammatur-go”.

4) L’ultima fase è quella attuale che coinvolge i primi 15 anni del nuovo secolo. La morte del poeta (2005) ha messo un punto anche sulla sua opera che può essere fruita e stu-diata nel suo insieme concluso. Una nuova leva di studiosi si dedica ad aspetti finora inesplorati dell’opera magna, il tea-tro e il legame con Orazio Costa (L. Piazza), l’influenza del pensiero tedesco (M. Menicacci), gli aspetti più metafisici (M. Cacciari, S. Givone, M. Guzzi), la simbologia della luce (E. Giachery, P. Rigo).

Come specificato all’inizio non si trova nella critica luzia-na una relazione unica e preferenziale, autore-critico, che sia prevalsa su altre, come quella raccontata da Luzi stesso per il poeta degli Ossi: «Eugenio Montale ha visto innalzarsi sul corpo della propria poesia ad opera di Gianfranco Contini e di Rosanna Bettarini, il meglio del meglio cioè in fatto di filologia»48.

La vastità e la complessità della poesia, la diversificazio-

48 Mario Luzi, Discorso naturale, Garzanti, Milano, 2001.

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che, pur nei limiti derivanti dalla sua caratteristica di essere finito, gli consente di autoprogettarsi e autorealizzarsi in base alle scelte che compie. La novità di ognuno4 ci dice che cia-scuno di noi, fedele alla propria natura, è libero di scegliere e, dunque, si deve anche assumere la responsabilità morale e politica delle proprie scelte5. La novità di ognuno ci guida alla scoperta di questa verità insieme antica e rivoluzionaria, intimamente legata ad una delle questioni filosofiche capi-tali e attualissima, quella del libero arbitrio, oggi messo in discussione dal «riduzionismo»6 radicale di molti scienziati. E’ proprio grazie alle nostre decisioni – attraverso ciascu-na delle nostre decisioni, piccole e grandi – che definiamo la «nostra unicità»7 irripetibile nella sua autenticità. Siamo noi stessi, in ogni istante irripetibile della nostra vita, in ogni momento in cui facciamo delle scelte e diamo un senso alla nostra esistenza nel fluire del tempo.

La manifestazione dinamica e libera della singolarità della persona è l’originalità, la qualità che permette di considera-re qualcuno «origine» di qualcosa. Essere originale signifi-ca essere creativo: originalità e creatività sono strettamente legate tra loro. Se si considera che la creatività si manifesta nella soluzione nuova di un problema pratico o espressivo, si deduce che solo grazie alla sua capacità creativa e libertà creativa8 l’uomo è in grado di progredire, perfezionarsi, dare forma in modo autentico alla sua personalità. La creatività emerge come capacità di esprimere ciò che si è (l’essere se

4 Cfr. E. WIECHERT, Jedermann. Geschichte eines Namenlosen, tradu-zione, introduzione e note di A. Gentile, Ognuno. Storia di un senza nome, Fondazione Ignazio Silone, Frosinone 1997. «La vita − osserva Wiechert − ricomincia per la prima volta ad ogni singolo battito del cuore. Ad ogni istante spegne ciò che prima riempiva tutta la coscienza. La vita è un pre-sente che ha un senso profondo e autentico come soglia dell’avvenire» (Ivi, p. 25).5 Cfr. R. DE MONTICELLI, La novità di ognuno. Persona e libertà, Garzanti, Milano 2009.6 Ibidem.7 Ibidem. 8 Cfr. O. TODISCO, La libertà creativa, Edizioni Messaggero, Padova 2010.

Il silenzio della libertà ANDREA GENTILEUniversità degli Studi Guglielmo Marconi

Ognuno di noi è un’individualità irripetibi-le. Ognuno è un universo. «L’anima uma-na è un individuo nel regno degli spiriti, che sente secondo la sua costituzione sin-golare, è una particolarità viva che si ma-

nifesta dall’intero fondo oscuro della nostra interiorità, nella cui imperscrutabile profondità dormono forze ignote come re mai nati»1. «Noi non conosciamo nemmeno noi stessi e solo ad istanti, come in sogno, cogliamo qualche tratto della nostra vita profonda»2.

«Ognuno solleva una grande o una piccola onda»3. La no-stra esistenza, nella sua concretezza, irripetibilità e singola-rità, è sempre un’esistenza particolare, singola, irripetibile e inconfondibile. L’esistenza è «inoggettivabile» nella sua au-tenticità, non è un dato di fatto, ma è una questione persona-le. Da ciò scaturisce che anche l’uomo non è un dato di fatto: egli può essere. La sua scelta libera sta nel riconoscimento e nell’accettazione di quell’unica possibilità che è la «situa-zione» particolare in cui si trova. L’uomo non può essere e non può divenire se non quello che è nella sua autenticità, nel suo «essere se stesso» e nell’esprimere la sua libertà creativa.

1. LA NATURA DELL’UOMO E LA LIBERTÀ CREATIVA

La libertà indica l’«essere» libero: è la facoltà dell’uomo di agire e di pensare in piena autonomia, è la condizione di chi può agire secondo le proprie scelte. La libertà è una qua-lità fondamentale e specifica dell’uomo, che lo costituisce come persona e che consiste nel non essere assoggettato a un ordine chiuso e precostituito, ma nell’avere una natura aperta

1 J. G. HERDER, Über Thomas Abbts Schriften, 1768, p. 258, in J. G. HERDER, Sämtliche Werke, a cura di Bernard Suphan, XXXIII volumi, Weidmann, Berlino 1877-1913, rist. Georg Olms Verlag, Hildesheim 1967-1968, rist. Georg Olms Verlag, Hildesheim 1994-1995. 2 Ivi, p. 259. 3 J. G. HERDER, Briefe zur Beförderung der Humanität, 1793-1797, p. 43, in J. G. HERDER, Sämtliche Werke, cit., 1995.

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tra i margini di due realtà, di due spazi differenti. E’ il luogo dove la norma, la regola che il confine stabilisce non vale più; è la terra selvaggia, autentica e originaria dove ognuno, nella sua solitudine, può ritrovare se stesso: è il luogo, la terra, l’orizzonte da dove poter ricominciare a sperare, dove cercare una soluzione per ridare un senso alla propria vita. Vale la pena affrontare i disagi e i pericoli del transito e le incognite sulle mete che si raggiungeranno per attraversare la terra di nessuno. La terra di nessuno è una soglia per tenta-re di risolvere, per oltrepassare lo stato di crisi provocato dal confine, uno spazio e un orizzonte dove provare a liberare le potenzialità creative connaturate nella nostra soggettività e dove poter ritornare alla vita autentica: ritornare ad essere se stessi. Nell’essere sulla soglia la nostra soggettività entra nel territorio delle «situazioni-limite» e sperimenta il valore profondo e irripetibile del «punto-limite», che si caratteriz-za nella sua istantaneità, immediatezza, puntualità e simul-taneità: qui l’uomo riesce ad avvertire, sentire, intuire e a riscoprire alcuni valori profondi e alcuni aspetti della realtà che prima erano sconosciuti, che prima erano costantemente nell’ombra. Il paradosso è che solo passando attraverso una «situazione-limite» e sperimentando l’autenticità irripetibile del «punto-limite», l’uomo può ritrovare l’autenticità della vita, solo passando attraverso un «punto-limite» e una «si-tuazione-limite» l’uomo può ritrovare se stesso, riscoprire se stesso ed essere se stesso.

2. L’IO, L’OMBRA E LA LOTTA INTERIORE

Nel corso del fluire del tempo, ci sono momenti in cui la nostra vita s’interrompe bruscamente lasciandoci del tutto disorientati. E’ come se ci fossimo smarriti. La mappa della nostra esistenza da un giorno all’altro presenta un rilievo al-terato, perdiamo l’orientamento e con esso anche la meta. La vita subisce una battuta d’arresto, assume una nuova forma, i cui contorni ci sfuggono. La fiducia ci abbandona e la perdita della fiducia in noi stessi inaridisce la nostra speranza. Tutto ciò da cui ci aspettavamo sicurezza, i punti di riferimento, le ragioni per andare avanti, tutto sem-bra svanire. Tutto sembra avvolto nell’ombra.

In questo orizzonte, la lotta interiore ci impone di fare del-le scelte. Scelte difficili. Non può esserci crescita senza resi-stenza. La lotta fa parte della vita. Si può anche dire che ne sia parte ineludibile: la lotta si ripresenta sempre, per metter-ci a durissima prova, in ogni stadio della nostra esistenza. La luce e le tenebre, la linea-limite e la linea d’ombra si scon-trano nella nostra interiorità e noi siamo presi nel mezzo. Nel corso del fluire del tempo della nostra esistenza, le realtà e gli eventi contro cui lottiamo ci mettono alla prova e affinano le nostre capacità. E’ la nostra resistenza e la nostra forza di vo-lontà a farci maturare. La scelta cruciale che la lotta interiore ci impone non è tra accettarla o meno: la scelta è tra crollare o andare sino in fondo. La lotta è una lezione estremamente dura, ma un orizzonte necessario e inevitabile per varcare la soglia. Il suo contrassegno fondamentale è la scelta. Ed è un fattore importante, poiché significa indipendenza di giudi-

stessi), mediante l’agire ed il pensare, dove l’«essere se stes-si» viene intesa come una dimensione profonda e autentica della nostra soggettività.

Ognuno di noi è un universo in cui «dormono forze ignote come re mai nati»9. Nella nostra soggettività risiedono enor-mi potenzialità che nel corso dell’intero arco della nostra vita e della nostra esistenza spesso rimangono nell’ombra: in uno stato oscuro, implicito, latente.

Ognuno ha una sua ombra. L’ombra indica tutto ciò che non riusciamo ad accettare di noi stessi, tutto ciò che non ci piace o che rifiutiamo di vedere. Mentre tendiamo a carat-terizzare il nostro lato «oscuro» con qualche forza impreve-dibile, l’ombra è più accuratamente descritta come il deposito di tutto il materiale personale non «riconosciuto», compresi i talenti non sviluppati.

Ognuno di noi è seguito da un’ombra. Questo mondo, che sta sotto e dietro la maschera della persona e dell’agire umano, possiamo chiamarlo, con un’espressione che ricorda Dostoevskij, «sotterranei dell’anima». E’ la notte della co-scienza, ma anche fertile limo terrestre, sottosuolo da cui si risorge. Dunque, l’ombra non è un qualcosa di negativo. E’ piuttosto qualcosa di primitivo, autentico, originario, infan-tile, che renderebbe l’esistenza umana più autentica, se non urtasse contro l’apparenza, il formalismo e l’ipocrisia della società in cui viviamo.

Il fluire inesorabile del tempo nella nostra vita e nella nostra esistenza ci porta a vivere dei «conflitti interiori» e spesso ci porta a sperimentare delle «situazioni-limite» e a fare «espe-rienza del limite». Queste «situazioni-limite» ci possono por-tare fino «al limite», fino a sperimentare un «punto-limite» che, nella sua natura, è qualitativamente e inevitabilmente diverso in ogni individualità. Ognuno ha il suo «punto-li-mite», poiché ogni persona è una individualità irripetibile, profondamente diversa sia sotto il profilo emotivo-affettivo-motivazionale, sia nell’orizzonte cognitivo-razionale e me-tacognitivo. Nello sperimentare il proprio «punto-limite», la nostra soggettività è «al limite» ed entra in quella zona di confine, che si configura come un limen, come una soglia. Il «limine» può essere identificato come una «soglia» o come un lungo corridoio o un tunnel che rappresenta il necessario passaggio della nostra soggettività verso un nuovo orizzonte: il «limine» è una fase o uno stato soggettivo di passaggio, di transizione, di trasformazione che si configura e si caratteriz-za nella sua dinamicità.

Nel momento in cui la nostra soggettività arriva al suo «punto-limite», nella sua istantaneità, immediatezza e simul-taneità, il nostro essere si configura come un «essere sulla soglia»: nella sua natura più autentica, originaria e irripeti-bile, nel suo «punto-limite», la soglia è la «terra di nessu-no». E’ proprio qui, sulla soglia, transitando nella «terra di nessuno», che si giocano dei momenti profondi, inevitabili, autentici e, forse, determinanti e irripetibili per la nostra esi-stenza. La «terra di nessuno» è ciò che sta tra le due sponde,

9 J. G. HERDER, Über Thomas Abbts Schriften, 1768, p. 258, in J. G. HERDER, Sämtliche Werke, cit., 1995.

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Di fronte alla soglia, l’immediatezza ci porterebbe a qual-che forma di fuga; ancora il non riconoscimento del valore del limite, quale témenos che ci delimita lo spazio entro cui si struttura una vita pienamente umana, ci porta ad una no-stalgica ricerca di un luogo che già abitiamo, ma che non sappiamo ritrovare. Così, la ragione puramente positivistica è destinata allo scacco, alla crisi. Ma anche la posizione di chi rinuncia, senza anelare, di chi accetta, senza desiderare; di chi fa delle mura, del témenos la propria roccaforte: è una posizione non autentica, anche se forse potrebbe apparire come la difesa più astuta. In verità è una furbizia che si paga a caro prezzo: qui si rinuncia alla vita, là alla pienezza del vivere. La coscienza d’essere viene data in un dono solo a chi ha provato la disperazione. Quella disperazione, che è accet-tazione lacerante, e che porta alla rinuncia, intesa qui come sacrificio. Disperazione che nasce da un inesauribile conflitto interiore o da una opposizione inconciliabile. Il témenos è il limite che si definisce come una soglia nella nostra vita e nella nostra esistenza: all’uomo è richiesto di oltrepassare questa soglia, all’uomo si chiede di scegliere, di avere il co-raggio di scegliere e dare un senso profondo e autentico al proprio tempo interiore.

3 . LA DIGNITÀ DELLA PERSONA E I PRINCIPI

DELL’ETICA

La persona è quel valore sul quale Rosmini fa ruotare le sue considerazioni sul rapporto tra filosofia morale e filoso-fia politica. Il riconoscimento della persona11 come valore o bene, è inserito in un più ampio riconoscimento che l’uomo ha dei diversi livelli metafisici dell’essere. In altri termini, contro il relativismo e «soggettivismo morale», Rosmini sostiene un «oggettivismo morale» in cui il «dover-essere» trova il suo criterio nell’«essere».

In questo orizzonte, il diritto si basa sulla morale e presup-pone una persona, un autore delle proprie azioni. Affinché un essere si possa dire autore delle sue azioni, è necessario che ognuno, nella sua individualità irripetibile, possa scegliere li-beramente di dare un senso alla propria esistenza. Il concetto di persona è il fulcro della concezione etica, filosofica, peda-gogica e politica di Rosmini, poiché è sulla persona che egli si basa per criticare sia l’individualismo, il soggettivismo, il relativismo e l’utilitarismo degli empiristi e degli illuministi, sia quell’«universalismo idealistico» di tipo hegeliano che, «per affermare l’eticità della storia, fonda tutto nel pensiero e cade nel nichilismo»12.

Nell’Introduzione alla filosofia, nel paragrafo: Nichilismo dei filosofi che, come Hegel, fanno tutto consistere nel pen-siero, Rosmini scrive: «Ecco l’origine del nichilismo hege-liano. Il nulla, onde Hegel fa uscire tutte le cose dell’univer-so, e nel quale le fa poscia rientrare, non è altro, preso alla sua origine, se non quello che non è divenuto ancora oggetto

11 Cfr. A. MILANO, A. PAVAN (a cura di), Persona e personalismi, Edizioni Dehoniane, Napoli 1987. 12 A. ROSMINI, Introduzione alla filosofia, Laterza, Bari 1925, p. 135.

zio, autonomia, libertà, responsabilità, capacità di mantenere una visione ampia anche nel pieno di una crisi, significa la consapevolezza che non siamo incatenati al nostro passato. Possiamo di nuovo sognare. Possiamo andare avanti senza doverci appoggiare agli altri, senza inaridire. Possiamo fare appello a risorse interiori che ancora non avevano visto la luce. Significa che per quanto immane sia la lotta, dobbiamo uscire dal nostro isolamento e riprendere a vivere, ritornare alla vita autentica: ritornare ad essere se stessi.

«Le lacrime si vedono, ma non si odono; le lacrime scor-rono, non risuonano. Eppure hanno la loro voce, come ave-va la sua voce il sangue di Abele. Poiché anche le lacrime sono il sangue del cuore. Persisti, persevera, tollera, sopporta l’indugio: così porterai la tua croce. […] I tuoi passi sono i tuoi sentimenti. Il tuo cammino è la tua volontà»10. E’ nella lotta interiore, nelle situazioni-limite, che si scopre il valo-re profondo della volontà, come forza interiore connaturata nella personalità umana. Il modo più semplice e quello in cui più frequentemente scopriamo la nostra volontà è attra-verso la lotta e l’azione determinata. Quando facciamo uno sforzo fisico o mentale, quando lottiamo attivamente contro un ostacolo o combattiamo delle forze opposte, sentiamo un potere specifico sorgere in noi: questa forza interiore ci dà l’esperienza della volontà. La volontà costituisce il centro più intimo, più profondo, più reale dell’uomo, quello stesso centro che lo fa essere veramente uomo, cioè che lo fa «esse-re se stesso»: autocosciente, libero e responsabile. La volontà è un centro vitale di energia interiore nella continua ricerca del nostro io e della nostra personalità. Senza la volontà non si potrà mai arrivare a conoscere se stessi, a scoprire se stessi e ad essere se stessi.

Per quante cicatrici possa lasciarci la lotta interiore, noi sappiamo anche, nel profondo di noi stessi, che essa infonde vita ad un’intera altra parte di noi. La nostra sensibilità rag-giunge livelli più elevati, portandoci ad una maggiore pienez-za, ad un equilibrio interiore. E’ proprio attraverso la nostra reazione che la speranza emerge, s’insedia nel nostro cuore e ci conduce oltre e ci porta a superare la soglia. Proprio nel reagire con determinazione ad ogni elemento della lotta che nutriamo la speranza. È l’atto di resistere alla disperazione che annienta la disperazione. La spiritualità della lotta sulla soglia è una spiritualità che trasforma il cambiamento in vita autentica, l’isolamento e la solitudine in indipendenza e la tenebra in speranza, che fa compiere alla paura quel passo in più verso il coraggio, che rivendica l’impotenza come ab-bandono, che sa estrarre dai nostri limiti, dalle imperfezioni e dalla vulnerabilità la libertà propria dell’accettazione di sé, che fa fronte allo sfinimento e ci insegna il valore profondo e autentico del resistere, che tocca le cicatrici e ne conosce il potere per determinare la nostra trasformazione interiore. In questo orizzonte, ritroviamo nuove forze e una rinnovata percezione di noi stessi, nuova compassione e ancora il sen-so di uno scopo nella vita. E’ la soglia ad essere l’orizzonte della speranza.

10 S. AGOSTINO, En. in ps., 85, 6.

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è confermata dalla dottrina rosminiana di una conoscenza diretta che precede la conoscenza riflessa e che fa brillare davanti all’intelletto la legge naturale insita in noi: legge che è partecipazione umana della legge divina»14.

Come può l’uomo passare da uno stato morale spontaneo senza coscienza all’agire con coscienza? Perché questo ac-cada, occorrono tre elementi: a) una legge positiva; b) una tentazione dall’esterno; c) un linguaggio.

Secondo Rosmini, la legge positiva agevola il confronto tra l’azione e il senso morale innato nell’uomo, e risveglia questo «senso morale» dopo il peccato originale. La tenta-zione impegna il libero arbitrio ad agire. Il linguaggio tradu-ce la «legge naturale» in «idee razionali», le quali risultano fondamentali per formulare il giudizio. La legge, inoltre, può essere razionale o positiva. La legge razionale ha la ragione della moralità in se stessa, la legge positiva nella volontà di chi è preposto ad emanarla, come un legislatore o un pro-mulgatore. Se la volontà è quella di Dio, la legge positiva è sia dichiaratrice che sanzionatrice della legge razionale, perché la volontà di Dio è infallibile. Se la volontà è quella umana, essa deve attingere la sua forza morale dalla legge razionale per quanto concerne i fini, conservando pure un elemento arbitrario nell’indicazione dei mezzi da scegliere per raggiungere il fine, quando questi mezzi non siano già determinati dalla legge razionale, in quanto la volontà umana è fallibile. Le formule morali si riassumono nel riconoscere l’essere per quello che è nel suo «essere originario». L’essere da riconoscere, come si evince dalla Teosofia, pur essendo uno e originario, ha tre relazioni supreme interne. Per cui «riconoscere l’essere» significa riconoscerlo come «idea-le» (verità), «reale» (realtà), «morale» (volontà). Il formarsi della coscienza umana attraverso il dinamismo delle leggi morali, nel corso della storia, rivela come la legge morale, pur restando sempre unica, si modifichi nel modo di trovare e di fissare l’obbligazione morale, mano a mano che sorgono questioni nuove alle quali bisogna applicare la legge nel cor-so del fluire del tempo.

Secondo Rosmini, «la retta coscienza è il primo mezzo della virtù»15, per cui l’uomo con retta coscienza diviene egli stesso «luce nel mondo», perché «la luce che è nell’uomo è la legge di verità e la grazia; la luce che è nell’uomo è la retta coscienza; […] l’uomo diviene luce, quando partecipa della luce della legge di verità mediante la retta coscienza a quella luce conformata»16. Ma come è possibile per l’uomo purificarsi dalla «falsa coscienza»17? Rosmini indica sette massime che assumono il carattere di consigli utili all’uomo che intende dare un senso profondo e autentico alla propria esistenza nel corso del fluire del tempo:

- Desiderare il «bene», il «vero», il «giusto», cioè avere una «retta intenzione morale».

14 U. MURATORE, Introduzione storico critica, in A. ROSMINI, Trat-tato della coscienza morale, a cura di U. Muratore e S. Tadini, Città Nuo-va, Roma 2012, p. 13. 15 A. ROSMINI, Trattato della coscienza morale, cit., p. 78.16 Ibidem. 17 Ivi, p. 145.

del pensiero, e che però è nulla al pensiero dell’uomo, e ritor-na nel suo primitivo nulla, quando il pensiero cessa dall’atto consapevole»13.

Sullo sfondo della critica all’idealismo hegeliano, Rosmini elabora una concezione spiritualista della dignità della perso-na in cui l’uomo emerge come portatore di un autentico valo-re etico-religioso. La persona ha un profondo valore morale e da questo valore discende, da parte degli uomini, il dovere morale di rispettare gli altri in quanto persone. In tal modo, dal dovere deriva il diritto e si capovolge quella «dottrina fu-nestissima di egoismo umano», secondo la quale «si voleva-no derivare i doveri dai diritti, anziché i diritti dai doveri». In breve: la «persona dell’uomo è il diritto umano sussistente». In nome della persona, Rosmini difende la libertà religiosa: «l’impiegare la forza esterna per costringere gli altri ad una credenza religiosa, sebbene vera, è un assurdo logico, è una manifesta lesione di diritto».

Profondo conoscitore dell’animo umano, Rosmini ammet-te che l’uomo possa giudicare in un modo, ma volontaria-mente scegliere il male e agire in altro modo in base alla «libertà di coscienza». La contraddittorietà del nostro com-portamento è data dalla differenza tra la «coscienza mora-le» e la «scelta pratica». In altri termini, secondo Rosmini, è possibile che ci sia una «divergenza» tra ciò che giudichiamo moralmente corretto (ed è affermato dalla coscienza) e ciò che talvolta facciamo, sotto l’influsso della volontà e delle circostanze. L’uomo retto è colui che sa superare questa con-traddizione: è colui che «giudica secondo coscienza alla luce dell’idea dell’essere» e orienta la propria volontà a partire da tale giudizio. Il giudizio della coscienza morale deve essere considerato diversamente e al di sopra del giudizio pratico, un giudizio che non porta all’azione, che non la influenza e non è operativo, ma si limita a rivelare all’uomo, di volta in volta, la qualità morale di quell’atto e la sua conformità alla verità.

Sullo sfondo di questa distinzione tra «giudizio pratico» e «giudizio speculativo», emerge un aspetto fondamentale dell’originalità della filosofia di Rosmini rispetto ai teologi moralisti del suo tempo. «Il solco che egli apre d’ora in poi si viene a fare sempre più marcato; infatti, è dalla definizio-ne della coscienza che Rosmini fa derivare una conseguenza molto importante, anch’essa nuova perché in genere poco notata: il principio della moralità, che consiste nel ricono-scimento dell’essere quale esso è, viene prima del principio della coscienza, che è un giudizio sulla correttezza etica di quel riconoscimento. Ci può essere nell’uomo una vita mo-rale non accompagnata dalla coscienza della sua moralità, una zona morale dell’esistenza che continua ad operare pri-ma che si formi la coscienza etica. In questi casi si agisce con una specie di senso o istinto morale, che precede la con-sapevolezza di una legge approvante o vietante l’azione e pertanto è incapace di darci un giudizio riflesso sull’azione. L’esistenza di questa sfera di moralità, che non raggiunge ancora i livelli della conoscenza riflessa e della coscienza,

13 Ibidem.

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ni26, dove Del Noce indica nella filosofia di Rosmini «la più rigorosa forma di ontologismo, separato dal razionalismo»27 e, allo stesso tempo, «la più rigorosa critica dell’ontologi-smo, nel senso di una posizione esposta al rovesciamento in razionalismo e in immanentismo»28.

Nell’orizzonte del primato dell’etica come «filosofia pri-ma» e nell’orizzonte di un uso etico e politico della libertà e della giustizia, si delinea il significato più profondo e autenti-co del rapporto tra filosofia, etica, virtù e giustizia, così come ci viene indicato da Antonio Rosmini: «la disposizione più necessaria alla filosofia consiste in questo, che l’uomo prati-chi la virtù; come nell’ordine di una scienza e di una sapienza più elevata sta scritto: se desideri la sapienza, conserva la giustizia, e Iddio te la darà»29. «Il riconoscimento dell’essere che conosciamo è il principio della giustizia»30.

26 A. DEL NOCE, A proposito di una nuova edizione della «Teosofia» di Rosmini, in A. DEL NOCE, Da Cartesio a Rosmini. Scritti vari, anche inediti, di filosofia e storia della filosofia, cit. p. 537-552.27 Ivi, p. 541.28 Ibidem. 29 A. ROSMINI, Introduzione alla filosofia, cit., p. 179. 30 A. ROSMINI, Principi della scienza morale, in Opere edite e inedite dell’abate Antonio Rosmini-Serbati Roveretano, cit., p. 97.

- Avere «il timore di perdere il bene morale»18, in quanto nessuno è certo di trovarsi in grazia di Dio.

- Essere sempre proiettati nella «ricerca libera e continua della verità»19 e rendersi conto che nella stessa ignoranza si può annidare il peccato.

- Evitare «ogni forma di pregiudizio».- Amare e ricercare la sola verità nella sua «purezza» e

nella sua «autenticità».- Avere la cura costante di «purificarsi dai peccati» attra-

verso un continuo «esame di coscienza»20.- Procedere con un’orazione incessante, affinché Dio in-

tervenga per aiutarci nel nostro «tempo interiore» a vedere e purificare i «peccati occulti»21.

4 . «SE DESIDERI LA SAPIENZA, CONSERVA LA

GIUSTIZIA»

Come ha rilevato Augusto Del Noce, il Trattato della co-scienza morale e i Principi della scienza morale di Rosmini assumono un ruolo profondamente attuale e particolarmen-te significativo, sia sotto il profilo etico, sia in un orizzonte filosofico. Secondo Del Noce, «la filosofia rosminiana è il punto di arrivo di una delle due grandi linee della filosofia moderna; e può essere oggi, forse, l’unico punto di partenza per una ricostruzione metafisica della filosofia»22. Rosmini supera «definitivamente la connessione tra ontologismo e razionalismo, in cui deve venire ravvisata storicamente la motivazione della crisi della filosofia di Cartesio e che aveva segnato il prodromo dell’Illuminismo»23. Proprio su questo motivo si delinearono le critiche dei neotomisti e di Rosmini; in tal senso, l’opera rosminiana è da considerarsi come «la più rigorosa critica dell’ontologismo che sia stata compiuta nella tradizione agostiniana»24.

Secondo Del Noce, la ricomposizione di esistenzialismo religioso, filosofia morale e ontologismo, cioè la ripresa dell’autentico agostinismo, si deve essenzialmente all’opera di Rosmini25, poiché la sua filosofia ha avuto la funzione di liberare la prospettiva agostiniana dal contesto razionalistico in cui era inserita. Significativo, in tal senso, è lo scritto A proposito di una nuova edizione della «Teosofia» di Rosmi-

18 Ivi, p. 159.19 Ibidem.20 Ibidem.21 Ivi, 205. 22 A. DEL NOCE, Da Cartesio a Rosmini. Scritti vari, anche inediti, di filosofia e storia della filosofia, a cura di F. Mercadante e B. Casadei, Giuffrè Editore, Milano 1992, p. 537. 23 Ivi, p. 544. 24 Ivi, p. 487. 25 Sulla modernità e attualità del pensiero di Rosmini e sull’analisi del rapporto tra esistenzialismo religioso, filosofia morale e ontologismo, cfr. P. P. OTTONELLO, L’attualità di Rosmini e altri saggi, Studio Editoriale di Cultura, Genova 1978; G. CANTILLO, Persona e società tra etica e teodicea sociale. Saggio su Rosmini, Luciano Editore, Napoli 1999; M. KRIENKE, Antonio Rosmini. Ein Philosoph zwischen Tradition und Mo-derne, Karl Alber, Freiburg-München 2008 e D. ANTISERI, Ragioni per tornare a Rosmini, in AA.VV., Perché tornare a Rosmini, «Libertas», gi-ugno 2011, pp. 4-7.

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I due dogmi dell’antropocentrismo LEONARDO CAFFOUniversità degli Studi di Torino

cosa si possa immaginare dell’essere un pipistrello al massi-mo sapremmo cosa proveremmo noi ad esserlo, e mai cosa prova a essere un pipistrello in quanto pipistrello. L’antro-pocentrismo, come atmosfera, diventa qualcosa da cui dav-vero diventa impossibile uscire che è legato ai nostri limiti cognitivi: le forme di vita, come argomentato da Wittgen-stein, sono incommensurabili. In questo senso l’antropocen-trismo è appunto cognitivo2: la nostra vita mentale consente di immaginarsi come se fossimo altri animali (è dunque un meccanismo finzionale3), ma non comprendere cose si prova a esserlo davvero. La prima cosa da fare, dunque, è tentare di comprendere cosa si intenda per antropocentrismo senza partire direttamente dal limite identificato da Nagel ma ra-gionando, piuttosto, in positivo.

L’antropocentrismo si articola su tre assi4: metafisico, scientifico ed etico. Si considerino le tre immagini che se-guono:

2 Tutto ciò che c’è fuori da Homo Sapiens viene comunque riportato o confrontato al nostro paradigma: F. de Waal, Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali?, Raffaello Cortina, Milano 2016.3 G. Currie, “Imagination and make-believe”, in In B. N. Gaut, D. Lopes (a cura di), The Routledge Companion to Aesthetics, Routledge, Londra 2001.4 Cfr. L. Caffo, Del destino umano: Nietzsche e i quattro errori dell’u-manità, Piano B, Prato 2016.

In questo articolo argomento in favore dell’esistenza di due dogmi che vorrei chiamare “I due dogmi dell’antropocen-trismo”. Il primo dogma è che sia impossibile concepire una strategia di uscita dall’antropocentrismo, il secondo è che l’idea stessa di una via di uscita sia antropocentrica (una sorta di antropocentrismo di secondo ordine). La mia tesi è che l’antropocentrismo sia un sistema metafisico e che la via di uscita sia necessaria per concepire in modo puro la metafisica. Basandomi sulla letteratura prodotta dalla Object-oriented ontology’s (OOO) vorrei proporre una soluzione contro questi due dogmi argomentando per una metafisica via di mezzo tra l’ecologia (da un punto di vista ontologico) e l’etologia filosofica.

I DUE DOGMI

Esistono due dogmi, due false verità social-mente e filosoficamente accettate, che ri-guardano l’antropocentrismo. L’antropo-centrismo è quel sistema metafisico secondo cui una particolare specie, Homo Sapiens,

abbia un qualche tipo di relazione privilegiata con gli oggetti del mondo. I suoi due dogmi sono: (a) che sia impossibile uscirne; (b) che lo stesso tentativo di uscirne sia esso stesso antropocentrismo (un antropocentrismo più forte, parados-salmente). Il mio scopo, nelle pagine che seguono, è innanzi-tutto esplorare i due dogmi nelle loro ragioni essenziali: una volta compresi gli argomenti mostrerò la loro inconsistenza verso una strategia concreta di uscita dall’antropocentrismo.

IMPOSSIBILE USCIRNE

Nel suo storico articolo “What Is it Like to Be a Bat?” del 1974 Thomas Nagel dà un argomento importante1: qualsiasi

1 T. Nagel, “What Is It Like to Be a Bat?”, in The Philosophical Review, Vol. 83, No. 4. (Oct., 1974), pp. 435-450.

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non fossi colui che sta pensando, dunque sono chiuso in me stesso. In realtà l’antropocentrismo più che un meccanismo cognitivo è una descrizione dell’umano o, più precisamente, una metafisica: centrato, moralmente isolato e sconnesso dal resto del vivente. Ovviamente esistono almeno due tipi di an-tropocentrismo, diciamo una sua versione “debole” secondo cui Homo Sapiens sia ovviamente portato a vedere le cose del mondo dalla sua specifica immagine specie-specifica, e una “forte” che deriva da questa ovvietà l’idea che il proprio modo di vedere le cose sia anche il miglior se non, talvolta, addirittura l’unico. Che l’antropocentrismo sia soprattutto un sistema che vizia dalle fondamenta le possibilità della ricerca in metafisica è la tesi di base della cosiddetta Object-oriented ontology (OOO): scuola di pensiero che rifiuta che l’esisten-za umana abbia un qualche privilegio rispetto all’esisten-za degli oggetti non umani5. L’idea è che la maggior parte delle tassonomie ontologiche, quelli che vengono chiamate in gergo tecnico “gli inventari del mondo”6, siano in realtà inventari del mondo di Homo Sapiens e dunque il risultato non sarebbe mai un’ontologia in quanto tale ma una nostra ontologia. Se il primo dogma dell’antropocentrismo fosse vero, e dunque uscire dall’antropocentrismo forte impossibi-le, ne deriverebbe anche una impossibilità della metafisica in quanto tale: tutto si risolverebbe in ermeneutica anche quan-do la chiamiamo ontologia7.

Il tentativo di uscita dal primo dogma da parte della Object-oriented ontology risiede nella inaugurazione di una ontologia degli oggetti stessi senza alcuna valorizzazione di azioni concrete che ci leghino a essi piuttosto che a reti di si-gnificazione per palesarne l’esistenza entro il nostro dominio linguistico. Secondo Graham Harman uno dei primi tentativi in tal senso in metafisica è quello dello Zuhandenheit di Hei-degger: il ritiro degli oggetti da azioni pratiche e teoriche8 in modo tale che la realtà oggettiva delle cose non possa mai essere esaurita da una praticità d’uso o da una compressione categoriale di una qualche indagine teorica (gli oggetti si riti-rano, secondo Harman, non solo dalla interazione umana ma anche dalle relazioni con gli altri oggetti9). Si tratta di con-cepire una forma di metafisica che trascenda dal fatto, quasi banale, che siamo noi stessi a pensarla come metafisica: cosa sono gli oggetti in quanto oggetti?

Se Harman cerca la soluzione in Heidegger, tuttavia, l’u-scita dall’antropocentrismo è sempre parziale e il dogma re-sta perché si continua a ragionare in modo controfattuale:

5 G. Harman, Tool-Being: Heidegger and the Metaphysics of Objects, Open Court Publishing Company, Chicago 2002, p. 16.6 P. Valore, L’inventario del mondo: guida allo studio della ontologia, Utet, Torino 2008.7 L. Caffo, “Il postumano e la ciabatta: ermeneutica e antropocentrismo”, in Rivista di Estetica, n.s. 60 (2016), pp. 36 - 42.8 G. Harman, Tool-Being: Heidegger and the Metaphysics of Objects, Op. cit., pp. 1-2.9 Ovviamente l’utilizzo del termine “oggetto” si riferisce al suo senso tecnico in letteratura: possono anche essere forme di vita (oggetti naturali) piuttosto che congetture matematiche o multe per divieto si sosta.

La contrapposizione tra specismo e antispecismo è l’etica, quella tra scienza e religioni positive è l’asse scientifico, e quella tra sistema tolemaico e copernicano è la metafisica. L’antropocentrismo è specismo, perché Homo Sapiens è unico e privilegiato ente morale, è tolemaico perché Homo Sapiens è al centro o al vertice della metafisica, e infine è anti-darwinista perché considera Homo Sapiens come un processo di derivazione top-down e non, come nell’evolu-zionismo, come processo bottom-up. In questo senso l’antro-pocentrismo è un sistema a tre posti, dove solo le tre stazioni contemporaneamente agiscono creando un sistema comune: la narrazione che ne emerge è quella di una forma di vita che più che impossibilitata a uscire dalla propria atmosfera co-gnitiva (come in Nagel) è forse, piuttosto, intrappolata in una false immagine di sé. È utile in tal senso riportare alla mente l’aforisma 115 della Gaia Scienza di Friedrich Nietzsche:

L’uomo è stato educato dai suoi errori: in primo luogo si vide sem-

pre solo incompiutamente, in secondo luogo si attribui qualità imma-

ginarie, in terzo luogo si senti in una falsa condizione gerarchica in

rapporto all’animale e alla natura, in quarto luogo escogito sempre

sempre nuove tavole di valori considerandole per qualche tempo eter-

ne e incondizionate, di modo che ora questo, ora quello degli umani

istinti e stati, venne a prendere il primo posto e in conseguenza di tale

apprezzamento fu nobilitato. Se si esclude dal computo l’effetto di

questi quattro errori, si escluderà anche l’umanesimo, l’umanità, e la

“dignità dell’uomo”.

I tre assi dell’antropocentrismo sono la traduzione nel linguaggio contemporaneo dei quattro errori identificati da Nietzsche da cui cui, tuttavia, una via di uscita sembra pos-sibile. Il primo dogma dell’antropocentrismo è tutto costru-ito sulla sua struttura cognitiva: non posso pensare come se

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questo stesso oggetto gli uccelli13. Ora, a differenza degli esseri umani, gli uccelli hanno una capacità percettiva tetra-cromatica: i quattro tipi di coni di cui sono dotati fanno veder loro rosso, verde, blu e ultravioletto contemporaneamente (alcuni rapaci hanno una visione più dettagliata degli esseri umani, una grande aquila vede con una precisione risolutiva superiore circa 2,5 volte la nostra). Nelle proprietà volte a classificare all’interno della nostra metafisica il fiore, per po-sizionarlo in un qualche scaffale dell’essere, metteremo delle proprietà che non esisterebbero nella metafisica del rapace. Eppure in questa diversità risiede l’argomento di uscita dal primo dogma dell’antropocentrismo14: affinché possano esi-stere diversi modi di vedere X ci deve essere un modo che li prescinde, in cui X comunque sta, e che consente poi alle sue qualità secondarie di manifestarsi in modo diverso sulla base dei meccanismi interpretativi, cognitivi o percettivi che si concentrano su di esso. Ogni oggetto dell’antropocentri-

13 Si potrebbe obiettare che seguendo filosofie come quelle di Adorno questa non sia una vera uscita dall’antropocentrismo ma la vittoria estre-ma dell’antropocentrismo stesso. Questo se si pensa che cio che si sa del modo di vedere dei rapaci è il risultato del sapere/potere reificante delle scienze della natura. Pur non concordando con questa visione della scienza vorrei ringraziare uno dei referee anonimi perché suggerisce che si potreb-be trovare una simile strada di uscita approfondendo il concetto husserlia-no di appercezione che pure, in questo contesto, mi pare meno adatto di quello di un ricorso alla letteratura scientifica aggiornata sul tema. 14 Anticipato già qui: L. Caffo, “The Anthropocentrism of Anti-realism”, in Philosophical Readings, Vol.VI: 2014, N. 2, pp. 65 – 74.

come vedrei le cose io se non le vedessi ma sapessi comun-que che esistono? Sembra una forma meno animalista del paradosso di Nagel ma la sostanza non cambia: quale che sia il mio potere immaginativo, o la mia comprensione dell’on-tologia oggettuale di Heidegger, resta sempre un filtro tra me e gli oggetti. La strategia di uscita dall’antropocentrismo, per salvaguardare la possibilità della metafisica, sta invece nell’ecologia filosoficamente intesa: il passaggio, momenta-neo e strumentale dagli oggetti come campo di indagine pri-mario, alle relazioni tra gli oggetti - il tra delle cose10. Questa forma di ecologia, che nella sua fase iniziale inaugura con Jakob Johann von Uexküll11 e che non a caso influenza anche Heidegger, concentra il suo potenziale sulla relazione tra un oggetto X e il modo con cui questo viene visto da un’altra forma di vita di cui possiamo studiare con buona precisione la ricostruzione dello spazio visivo.

Consideriamo l’immagine qui sopra12.La parte sinistra mostra il nostro modo di percepire un

particolare oggetto, in questo caso concentriamoci sul fiore, mentre la parte destra mostra il modo in cui percepiscono

10 Nel senso in cui argomenta G. Clément, L’alternativa ambiente, Quodlibet, Macerata 2016.11 J. J. von Uexküll, Ambienti animali e ambienti umani, Quodlibet, Ma-cerata 2010.12 Fonte “Nautilus”: http://nautil.us/issue/11/light/how-animals-see-the-world

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tralascero, volutamente, il fatto che questo, se è vero per l’antropocentrismo, allora lo è anche per fenomeni di di-scriminazione morale come il sessismo o il razzismo: le conseguenze etiche del se-condo dogma, prese alla let-tera, potrebbero infatti essere devastanti. Concentriamoci invece sull’aspetto più genu-inamente speculativo della faccenda.

Se il secondo dogma ha un senso lo ha nel momento in

cui mostra che per dire di poter abbandonare una teoria T, perché infondata, abbiamo paradossalmente bisogno degli strumenti stessi di T. Dunque la risoluzione del problema, se è possibile, passa dall’uso di una strumentazione diversa da quella di T per contrastarla. L’Esercizio di T su T è una stra-tegia forte, che effettivamente alimenta il secondo dogma, mentre per aggirare il problema è necessaria una strategia di-ciamo debole20 che avvicini all’esterno del cerchio senza uti-lizzare il proprio che ha permesso la chiusura al suo interno.

Cominciamo col dire che l’antropocentrismo è sempre un meccanismo di relazione tra il dentro (mondo interno21) e il fuori (mondo “supposto” come esterno) e uscirne non significherebbe altro che una relazione di consapevolezza del “filtro HS” sulla realtà dei fenomeni che si manifesta-no. Formulando la sua teoria della “Onticology”22 il filosofo Levi Bryant ha sostenuto che la rivoluzione copernicana di matrice kantiana, considerata come una sorta di manifesto dell’antropocentrismo, abbia ridotto tutta la ricerca filosofica alla ricerca della relazione tra questo dentro e questo fuori: che sia stata la fenomenologia in filosofia continentale, piut-tosto che la svolta cognitiva in filosofia analitica, gli oggetti in quanto tali della metafisica sono passati in secondo piano rispetto al modo in cui noi ci relazioniamo a essi. Una cosa che ci accade non accade mai e basta, non riusciamo che a concentrarsi sui modi attraverso cui questa cosa è accaduta a noi mentre per un cane le cose, semplicemente, avvengono. In parte tutto cio ha a che fare con la temporalità complessa di Homo Sapiens, dall’altra parte con il fatalismo tipico di certa fenomenologia: le cose si manifestano, direbbe Hus-serl, in quanto a noi manifeste. L’uscita dall’antropocentri-

20 I prolegomeni a questa tesi risiedono nell’antispecismo debole. Per completezza d’analisi si veda L. Caffo, “Antispecismo debole”, in M. An-dreozzi, S. Catiglione, A. Massaro (a cura di) Emotività animali: ricerche e discipline a confronto, Led: edizioni universitarie, Milano 2010, pp. 77 – 88.21 Quel complesso sistema di relazioni, proprietà e qualità che compon-gono la vita mentale: R. Stalnaker, Our Knowledge of the Internal World, Oxford University Press, Oxford 200822 L. Bryant, The Democracy of Objects, University of Michigan Li-brary, Lansing 2011.

smo esiste al di fuori dell’an-tropocentrismo spogliato delle sue proprietà contin-genti umano-centrate.

Se il primo dogma dell’an-tropocentrismo è che sia im-possibile uscirne perché non posso che immaginare cosa significherebbe uscirne al-lora, attraverso la compara-zione percettiva, è superato: la realtà anticipa l’ermeneu-tica15 e la rende possibile. Questa è anche la ragione per cui l’animalità è una forma privilegiata di alterità quando si discute di metafisica16: con-sente l’uscita dell’antropocentrismo attraverso uno spazio terzo di confronto delle assunzioni che pensiamo governare la nostra realtà (è, tecnicamente, una specie di condizione di controllo dei nostri esperimenti mentali). Per governare l’uscita l’azione sui tre assi geometrici che abbiamo osser-vato, in relazione al cerchio, deve avvenire simultaneamen-te inserendo, tra le opzioni della nostra sperimentazione, la possibilità che tutta la metafisica occidentale sia stata viziata dal primo dogma come, del resto, argomenta magistralmente Jacques Derrida quando nel 2001 viene insignito del Premio Adorno17. Se è alla metafisica che siamo interessati, e non alla nostra metafisica, è necessario andare all’essenza degli oggetti al di là di come questi si inseriscano nel nostro uni-verso percettivo, linguistico e addirittura concettuale.

UN’USCITA ANTROPOCENTRICA

Il secondo dogma, conseguente al primo, è che il tentativo di uscire dall’antropocentrismo sia esso stesso antropocen-trismo18: si genera cosi un paradosso volto a consacrare il dogma come certezza. Il dogma ha un suo primo e intuitivo fondamento: se il tentativo di uscire dall’antropocentrismo è volto a riportare Homo Sapiens a una dimensione narrativa non umano-centrica perché mai dovrebbe operare in tal sen-so, dato che sarebbe l’unica forma di vita animale a farlo? Il gatto è per caso interessato a uscire dal gatto-centrismo? An-cora una volta, dunque, assisteremmo a una sorta di antropo-centrismo di ritorno19 per cui con la scusa di abbandonarne gli assunti dobbiamo in realtà compierne un esercizio duplice e assoluto. Essendo interessato a una prospettiva metafisica

15 Come argomenta M. Ferraris, “A New Realist Approach to Herme-neutics”, in Phainomena: Selected Essays in Contemporary Italian Phi-losophy, XXI, 82-83, 2012: 67-8316 F. Cimatti, Filosofia dell’animalità, Laterza, Roma-Bari 2013.17 J. P. Deranty, “Adorno’s Other Son: Derrida and the Future of Critical Theory”, in Social Semiotics, Vol. 16, N. 3 2006, pp. 422-433.18 K. McShane, “Anthropocentrism vs. Nonanthropocentrism: Why Should We Care?”, in Environmental Values, 16 (2007), pp. 169–185.19 E. Katz, “A Pragmatic Reconsideration of Anthropocentrism”, in En-vironmental Ethics, 1999 Winter; 21(4), pp. 377-390.

AbstractIn this paper I argue against two dogmas that I would like to call: “The Two Dogmas of Anthropocentrism”. The first dogma is that is impossibile to conceive an exit strategy to anthropocentrism, the second one is the idea that if we can try to conceive an exit strategy then, this strategy, is anthropocentric also (a sort of second order anthropocentrism). My thesis is that anthropocentrism is a metaphysical system and that the exit strategy is ne-cessary to conceive a real or pure metaphysics. Based on Object-oriented ontology’s (OOO) literature I propose a solution against the two dogmas and I argue in favor of a different kind of metaphysics between ecology (from ontological point of view) and philosophical etology.

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stico, con il gatto-centrismo. Perché noi usciamo dal loro cerchio e “loro” no? Prima di tutto perché il nostro cerchio è un sistema-mondo e non semplicemente un filtro sul reale: il secondo caso, se non in relazione alle imposture metafisi-che che possono derivarne, è quasi naturale29. Considerare la realtà come umano-orientata, in senso debole, non ha niente di patologico ed è una conseguenza di quelle che la psicolo-gia della visione chiama “affordance”: gli oggetti del mondo vengono verso di noi e stimolano intuizioni sul loro corretto utilizzo - da questo fenomeno percettivo, effettivamente, può seguire l’inferenza fallace che quegli stessi oggetti siano li dove sono soltanto per noi. Altro discorso è invece l’antropo-centrismo che stiamo considerando, quello che abbiamo defi-nito “forte”, che del filtro sul reale fa un’istituzione piuttosto che un limite; l’uscita attraverso il corpo consente un’uscita dal cerchio in orizzontale piuttosto che in verticale:

La prima figura mostra l’uscita su cui si edifica il dogma che stiamo prendendo in considerazione, mentre la seconda un’uscita diversa che è la rappresentazione geometrica del “divenire animale” teorizzato proprio da Gilles Deleuze. Non un antropocentrismo che si fortifica addirittura uscendo consapevolmente dal suo privilegio quanto, piuttosto, una ri-cerca delle proprietà che rendono tutta la vita animale intrin-secamente legata. È in questa cornice che propongo di inqua-drare il progetto metafisico più recente della Object-oriented

29 Il correlato morale di questa distinzione, tra specismo naturale e in-naturale, rende più chiara la faccenda: cfr. L. Caffo, Il maiale non fa la rivoluzione: manifesto per un antispecismo debole, Sonda, Casale Mon-ferrato (AL) 2013.

smo che abbiamo analizzato contrastando il primo dogma depotenzia il peso della nostra relazione con l’oggetto X considerando altre relazioni diverse con quello stesso ogget-to e caratterizzandolo dunque, come parte dell’arredo della realtà, un pezzo di resistenza23 all’antropocentrismo. Partire dalla resistenza delle cose significa partire dagli oggetti (pas-sività) e non dai soggetti (attività) dunque, paradossalmente, significa situarsi nel “prima” delle condizioni di possibilità stesse dell’antropocentrismo.

Partire dagli oggetti è anche cio che fanno gli animali (e di alcuni non è peregrino dire che hanno una loro metafisica24), ed è dove il secondo dogma comincia a tremare: quando si scaricano le relazioni con gli oggetti sul corpo e non più sul-la vita mentale25. Se è la relazione tra il corpo e gli oggetti che iniziamo a considerare il secondo dogma dell’antropo-centrismo cade perché costruito sul presunto esercizio di ra-gione, ovvero di logica, per tentare l’uscita dal cortocircuito dell’antropocentrismo. Se sia possibile una metafisica corpo-rale è tema ricorrente nella filosofia contemporanea almeno da Deleuze26: ma cosa significa?

Il nostro modo di classificare gli oggetti in ontologia è tutto orientato da aspetti concettuali (elenco di proprietà) o visi-vi: eppure, al di fuori dell’antropocentrismo esistono altre caratteristiche che riguardano il corpo (gli odori27, i suoni) che complicano di molto le ordinarie tassonomie filosofiche. Uscire dall’antropocentrismo in modo non antropocentrico significa farlo dalla porta di servizio: depotenziare le qua-lità specie-specifiche e concentrarsi su quelle che possiamo definire “trasversali”. In questa direzione la critica all’antro-pocentrismo si basa sull’osservazione delle qualità comuni a tutta la vita animale e non sul nostro proprio specifico; se l’antropocentrismo filosofico, pensiamo almeno ad alcune stazioni concettuali come quelle di Aristotele, Cartesio o Heidegger, è costruito isolando presunte proprietà univoche di Homo Sapiens (via mentale, linguaggio, mortalità consa-pevole), la sua critica non puo effettivamente avvenire se-guendo il paradosso del secondo dogma ovvero stendendo una sorta di “velo di ignoranza” sulla nostra appartenenza di specie esercitando proprio una delle caratteristiche che hanno edificato l’antropocentrismo. L’uscita, dunque, guida-ta da quella che è stata definita una “filosofia del corpo”28 che ci consente di tornare a quel paragone, per nulla sarca-

23 M. Ferraris, “Essere è resistere”, in M. Ferraris, M. De Caro, (a cura di), Bentornata realtà: il nuovo realismo in discussione, Einaudi, Torino 2014, pp. 139 - 166.24 Si pensi alle scimmie: R. Corbey, The Metaphysics of Apes: Negoti-ating the Animal-Human Boundary, Cambridge University Press, Cam-bridge 2005. 25 F. Cimatti, “Divenire cosa, divenire corpo”, in Atque: materiali tra filosofia e psicoterapia, 18 n.s., 2016, pp. 107-132 .26 Una bussola in tal senso: G. Deleuze, Che cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza, ombre corte, Verona 2007. 27 F. Cimatti, A. Flumini, M. Vittuari, A. M. Borghi, “Odors, words and objects”, in RIFL (2016) N. 1, pp. 78-91.28 R. Acampora, Corporal Compassion, Animal Ethics and Philosophy of Body, Pittsburgh University Press, Pittsburg 2006.

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logica assistiamo a un capovolgimento di questa procedura stratificata perché non ci sono né centri, né vertici. Il secondo dogma cade quando si comprende che non c’è niente di an-tropocentrico nel “sentirsi parte di” ma soltanto nel “sentirsi superiore a”.

LA METAFISICA DOPO I DOGMI

Se i due dogmi sono correttamente confutati le impli-cazioni per la metafisica, e per un suo ripensamento, sono molteplici. Innanzitutto emerge che molto di ciò che classi-fichiamo è classificato male, o comunque senza tenere conto del filtro. Sempre Morton, sulla scia di Harman, ha sostenuto che uno di questi tipici errori riguarda il nostro rapporto con l’ontologia degli oggetti naturali: l’idea semplice, anche se disarmante per tutta la retorica del “naturalismo filosofico” che da Thoreau a oggi ha influenzato centinaia di filosofi, è che una qualsiasi critica ecologica debba essere ripulita dalla biforcazione “natura/civiltà” o, più precisamente, dall’idea che la natura sia qualcosa che esista al di fuori delle mura della società contemporanea. Non si tratta di superare la so-lita dicotomia “natura/cultura”, perché altrimenti sarebbero bastati Adorno, Horkheimer, e la Scuola di Francoforte in generale, ma proprio di sovvertire la tassonomia dell’onto-logia contemporanea: anche quelli che chiamiamo “oggetti naturali” sono, in realtà, “oggetti sociali”. Ancora: una multa per divieto di sosta e il lago di Walden nel Massachusetts non sono poi cosi diversi nella loro struttura metafisica per-ché entrambi oggetti costruiti dalle nostre credenze, inten-zioni o documenti (ovviamente dipende dalla diversa onto-logia sociale che adottiamo). Questo è proprio uno di quei tipici casi su cui agisce il filtro che porta a considerare come naturali o indipendenti da noi anche entità che in realtà sono ben porzionzate dal nostro modo di stare al mondo. Se la me-tafisica è lo studio delle qualità delle cose del mondo allora, all’interno dell’antropocentrismo, la metafisica è totalmente viziata: un’illusione, inverificabile, di sapere come e dove stanno le cose della realtà.

Riconsideriamo un’altra immagine volta a correlare gli oggetti con diversi soggetti, ma questa volta non pensiamo a un’immagine visiva ma temporale. Come percepiscono il tempo le altre forme di vita? Alcuni animali possono perce-pire un movimento per noi veloce come molto più lento per-ché esiste, in relazione alla percezione temporale, una grande differenza tra grandi e piccole specie. Gli animali più piccoli di noi vedono il mondo in slow-motion e se la metafisica del tempo andasse oltre l’orizzonte degli animali vertebrati, per esempio le mosche, scopriremmo che gli insetti possono percepire la la luce fino a quattro volte più velocemente di quanto possiamo noi32. In questo caso l’oggetto X è il tempo e le relazioni, nei suoi confronti, sono molteplici quante sono

32 K. Healy, L. McNally, G. D., Ruxton, N, Cooper, A. L. Jackson, “Metabolic rate and body size are linked with perception of temporal in-formation”, in Animal Behaviour, 86(4: 2013), pp. 685-696.

ontology, ovvero la cosiddetta “ecologia decadente”30 teo-rizzata da Timothy Morton secondo cui l’ecologia, intesa in senso ontologico, sia un sistema da sostituire alla metafisica classica. Morton, in una sorta di spinozismo recente, propone il concetto di “maglia” secondo cui tutte le forme di vita sono sempre già implicate nella ecologia, che non è mai qualcosa di cui ci si possa occupare oppure no rendendola parados-salmente un’attività antropocentrica, quanto piuttosto la con-dizione di possibilità del riconoscimento di una differenza «coesistenziale» per affrontare lo studio dell’ambiente e la classificazione dei suoi oggetti. Cosa significa prendere il po-sto della metafisica? Morton ha difeso in tal senso la nozione di “iper-oggetto”31: un’entità descrittiva che si propone di sostituire quella di oggetti, su cui l’ontologia contemporanea lavora almeno dalla pubblicazione del celebre articolo “On What There Is” di Quine in poi, e che descrive le entità come liquide, viscose, decentrate, graduali e intersoggettive. Per andare direttamente al punto: ogni ente è definibile solo in relazione (pur non essendo la relazione stessa) e l’ecologia, come disciplina che si occupa del “tra” delle cose, è molto più utile della metafisica che si occupa del “proprio” delle cose. Viene dunque a svilupparsi una sorta di “altra ecolo-gia”, non più come pratica semi-paternalista o quantomeno interna al vocabolario della filosofia morale, ma come nar-razione del mondo che evidenzia appunto le caratteristiche di questa «maglia»: l’insieme di tutte le forme di vita, ma anche l’insieme di tutte le forme di vita che sono morte e hanno concimato e modificato la Terra, la sua struttura e la sua storia. Tutto è vita, anche cio che non sembrerebbe es-serlo: il ferro è un sottoprodotto del metabolismo batterico e cosi anche l’ossigeno. Le montagne possono essere fatte di conchiglie e batteri fossili e la cosa decisiva è che la maglia non ha nessun elemento più importane o essenziale degli al-tri. L’ecologia non è altro che tutto cio che possiamo pensare, ma anche tutto cio che non possiamo pensare: il futuro è col-laborazione e non ha nulla a che fare con la posizione umana che anche quando pensa di prendersi cura del pianeta sta in realtà facendo esercizio di antropocentrismo. L’ecologia esi-ste al di qua e al di là dell’umano: è cio che ci ospita e cio che abbandoneremo, una sorta di “matrice”, e si tratta dunque di colmare una dicotomia piuttosto che di risolverla.

In questo senso l’uscita è dunque visibile come un immen-so allargarsi del cerchio o, più radicalmente, come una sua eliminazione definitiva: se proprio si è affezionati alla pa-rola, e l’ecologia richiama nel nostro dizionario ancora più l’etica che l’ontologia, si tratta di intraprendere una sorta di “metafisica della periferia”. Tutta la metafisica occidentale è in fondo un’organizzazione verticistica, pensiamo almeno alle Categorie di Aristotele, volta a evidenziare le caratteri-stiche speciali di Homo Sapiens mentre con l’ecologia onto-

30 Mi sembra la migliore traduzione di “dark ecology”: cfr. T. Morton, Dark Ecology: For a Logic of Future Coexistence, Columbia University Press, New York 2016.31 Id., Hyperobjects: Philosophy and Ecology after the End of the World, University Of Minnesota Press, 2013.

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di forza i cui punti limite sono dati dall’antropocentrismo. Un disaccordo con ciò che troviamo fuori dall’antropocen-trismo, ovvero alla periferia una volta che abbiamo fissato il centro sul nostro asse, provoca un riordinamento all’inter-no del campo; si devono riassegnare certi valori di verità ad alcune nostre proposizioni. Una nuova valutazione di certe proposizioni implica una nuova valutazione di altre a causa delle loro reciproche connessioni: la rottura dei due dogmi dell’antropocentrismo mette in discussione l’intero sistema-mondo della filosofia. Ogni proposizione avente significato deve essere traducibile in una proposizione (vera o falsa che sia) su esperienze non antropocentriche: o in senso compara-tivo, per dire che una cosa vale all’interno del nostro domi-nio ma non all’esterno (di fatto relativizzandola), oppure per mostrare che anche fuori dal nostro dominio una determinata entità può essere presa in considerazione. In questo senso emerge anche l’idea che l’antropocentrismo sia una specie di principio del contesto di ordine superiore, perché al suo interno poi ne operano degli altri, con la prerogativa di essere opaco (blind): chi lo utilizza non sa di utilizzarlo falsando, de facto, i risultati di una ricerca (detto di passaggio: questa ricerca puo essere la vita stessa).

In conclusione: se i due dogmi sono falsi, è falsa (o quan-tomeno falsificabile) anche la maggior parte della metafisi-ca contemporanea. L’antecedente del condizionale sembra vero, e forse ha senso cominciare a provare e orientarsi nel mondo guardandolo dal punto di vista del mondo38 stesso, e non più dal nostro.

38 «Animality is plenty of animals, but not only animals» - su cosa possa significare assumere il punto di vista di un non vivente si veda F. Cimatti, “Ten theses on Animality”, in Lo Sguardo, N. 18, 2015 (II), pp. 41-59.

le forme di vita33.Spesso per spiegare l’ontologia

del tempo consideriamo più i pa-radossi generati dalla fisica o dalla logica34 che l’incredibile variazio-ne delle percezioni temporali che esistono tra i viventi. Esattamente come per il fiore anche il secondo è un oggetto polimorfo: la sua for-ma cambia sulla base dell’appa-rato percettivo che lo approccia. Se come suggerisce Levi Bryant, dunque, usciamo dalla relazio-ne per concentrarci sull’oggetto cosa resta? Come classifichiamo oggetti che cambiano, spesso in modo anche radicale, sulla base dell’obiettivo che li inquadra?

La metafisica interna al sistema narrativo dell’antropocentrismo, una volta palesata, è come un’aggiunta di un quantificatore ai nostri enunciati ontologici - il quantificatore “Per Homo Sapiens” da aggiungere, per esempio, all’enunciato “tutte le mele alpine sono rosse”. L’uscita è l’eliminazione di questo quantificatore e una ricerca della struttura delle cose e dun-que degli oggetti in quanto oggetti che forse, dunque, non sarebbero altro che “cose” perché “oggetto” è sempre un ente relato. Lungi da portare a una qualche forma di relativismo questo approccio conduce all’ontologia reale al di là di quel-la descrittiva; una buona metafora da richiamare è quella tra mappa e territorio35 - la mappa (ontologia descrittiva) non è il territorio (ontologia reale) però perfezionarne la toponoma-stica consente di avvicinarsi al vero. Una mappa del mondo antropocentrica è come un planisfero in cui manchino alcuni continenti o forse, addirittura, come una rappresentazione del nostro pianeta come piatto. I due dogmi dell’antropocen-trismo sono infondati; le conseguenze di un tale abbandono, fra l’altro, sono un offuscarsi della distinzione fra metafisica ed ecologia36; per un altro verso, invece, un accostarsi all’e-tologia filosofica37. Tutte le nostre conoscenze, credenze e convinzioni, dalle più futili questioni e alle leggi più profon-de dell’universo, sono un edificio fatto dall’uomo che tocca cio che lo trascende solo lungo i suoi margini. O, per mutare immagine, la scienza nella sua globalità è come un campo

33 Fonte immagine Quora: https://www.quora.com/Perception-Do-dif-ferent-animals-including-humans-perceive-time-differently34 G. Torrengo, “The Grounding Problem and Presentist Explanations”, in Synthese 190: 2013, pp. 2047–206335 L. Caffo, “Ontologia”, in La vita di ogni giorno: cinque lezioni di filosofia per imparare a stare al mondo, Einaudi, Torino 2016, pp. 61 -80.36 Dove invece per la falsificazione dei due “dogmi dell’empirismo” si offuscava la distinzione tra metafisica e scienze naturali. W.O. Quine, “Two Dogmas of Empiricism”, in The Philosophical Review, 60 (1951), pp. 20 - 43. 37 B. Buchanan, J. Bussolini, M. Chrulew, “Philosophical Ethology”, in Angelaki; Journal of the theoretical humanities, Vol. 19:2014, pp. 1-3.

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ROBERTO SCANDONE, LISETTA GIACOMELLICatastrofi naturali: Previsione e Prevenzione

ROBERTO SCANDONE, LISETTA GIACOMELLITerremoti e Catastrofi sismiche in Italia

GIOVANNI MENDUNILe catastrofi idrogeologiche in Italia

FRANCESCO M. GUADAGNO E PAOLA REVELLINOLe Frane: tra difficoltà interpretative e modifiche dell’ambiente

antropizzato e del climaRAFFAELLO CIONI, ROBERTO SANTACROCE

La pericolosità vulcanicaVINCENZO ARTALE E ALESSANDRO DELL’AQUILA

Evoluzione del clima della regione mediterranea

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To this purpose, a diversity management model able to promote inclusion and the perspective of interculturalism used in businesses is expected to be adopted also at school. This model is called Diversity Management.

INTERCULTURAL EDUCATION

In the period of formation of national European states, the tendency to conceal the cultural and linguistic differences occurred especially in the setting up and programming of education and training activities (Ambrosini, 2001). A strict monolingualism was introduced and the educational pro-grams aimed at affirming a common cultural heritage and at building up a strong national consciousness. With the emergence of more democratic political-institutional forms the need for expression and defense of one’s own cultural and linguistic identity by the historical minorities and the immigrant communities strengthened. Cultural, linguistic and ethnic diversities were gradually regarded as a value and for their preservation involved some measures such as, for example, the establishment of monocultural schools for members of individual communities, the creation of specif-ic courses and special programs, the formation of separate classes etc. (Lodge & Lynch, 2004). These actions gave start to a process of effective recognition of the importance of cul-tural, linguistic and ethnic diversities, but there was the risk of creating a multicultural ghettoization, that is, a process that would have led to the coexistence of separate groups among which communications would have been very diffi-cult or even impossible (Sirna Terranova, 1997). The mere acknowledgment of the presence of two or more cultures in a given area, and the study of the related common features and diversities, risk to consider cultures in a rigid and static way and lead to a stratification and hierarchy of groups (Portera, 2006). Unresolved problems in the field of multi-ethnicity and multiculturalism and the processes of European integra-tion, migration and globalization, in the Eighties of the last

Diversity Management as a tool for intercultural education DAVIDE DI PALMA, UMBERTO CONTEDepartment of Sport Sciences and Wellness, Parthenope University, Naples, Italy

The aim of this paper is to propose an innovative manage-ment model of diversity, called Diversity Management, as a useful tool to implement intercultural education also at school. The pedagogical approach of the intercultural ed-ucation based on the dialogue and the strong interaction between different individuals is to pursue the enhancement of diversity to generate a collective social benefit. In this regard, it is assumed that through Diversity Management, which is a methodological approach able to provide a se-ries of benefits in a business, we will be able to support this educational model by considering, in this way, diversity as a valuable resource for sustainable development over time.

INTRODUCTION

The increasing presence of cultural , social, economic, physical, ethnic (and so on) di-versities, in any kind of relationship, makes it increasingly important to focus on aspects of interculturalism, diversity management

and transfer in all those systems that have educational duties, in particular school.

The latter, in fact, is at the same time the first (in chrono-logical order) and the most important environment where individuals have the opportunity and the need to form rela-tionships with anyone different from themselves for various reasons (Lodge & Lynch, 2004 ). Consequently, it seems ap-propriate that the school system should adopt an intercultural educational approach able to consider cultural diversity as an opportunity for individual and collective enrichment, which stimulates personal and educational development.

However, the adoption of this pedagogical approach pro-vides for important adaptation measures in different spheres of the education system (the teaching methods, the compo-sition of the classes, up to strategic management decisions) that need to be managed and organized in an optimal way so that the intercultural didactics can provide all its benefits.

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Without seeking to give a clear and exhaustive defi-nition of Diversity Man-agement, it is possible to affirm that this method of human resources manage-ment develops from the awareness of the different circumstances in everyone, and tries to implement a widespread cultural change and to design the manage-ment tools that make it pos-sible to accept diversities compatible with the orga-nization (Arredondo, 1996;

Bombelli, 2003; Castellucci et al, 2009).This definition aims to highlight two fundamental aspects

for the implementation of Diversity Management policies and strategies: people with their own values, cultures and behaviors on the one hand, and the organization on the oth-er hand, understood as a social environment in which these persons operate, who may accept or not the various forms of diversity.

In the light of these considerations, it can be argued that the concept of Diversity Management is the result of several reflections between individual psychology, social psycholo-gy and organization.

From the individual point of view, everyone has some form of intolerance towards other people’s values and behaviors, which may result from their own stories and experiences, but also from the assimilation of the behavior of the social group to which he refers, and the Diversity Management ap-proach aims to minimize these intolerances for the benefit of social inclusion (Serio, 2014).

In addition, the organization understood as a particular social sub-group has the opportunity to relatively distance itself from the dominant culture by producing a multicultural environment characterized by a set of different values (Silva, Lorenzo & Chavez, 2015).

Working on two seemingly opposite levels, the concept of equality and the awareness of the difference, Diversity Management makes the same opportunities accessible to any employee, but in different ways. More specifically, every-one has his own rhythms, skills and qualities, and it is up to human resources to enhance them through an effective man-agement, so that the outcome is the same for everyone, both in terms of acknowledgement and performance (Ponzellini & Riva , 2014).

The starting point is that a “multicultural” business or a social context have much more wealth in terms of human potential, compared to those “monocultural” ones. It is about leveraging on each other’s diversities, especially those cul-tural, to increase the chances of success of the entire orga-nization.

Through this management approach the cultural differ-

century, gave start to a deep reflection on the limits, con-tradictions and problems of the Western multicultural and multiethnic democra-cies (Sciolla 2002). Assum-ing that diversity and mi-gration are an inescapable reality of today’s society the proposal of intercultur-al education is developed in the field of pedagogy, which is based on the belief that cultural and linguistic diversity is an opportunity for individual and collec-tive enrichment and personal growth (Maritain, 2001; Miron, et al, 2010). So this is a brand new educational project born from the concrete questions and needs of a multicultural and complex society, and develops through the experimentation and critical reflection on the educational experiences (Banks & Banks, 2009; Giusti, 2012). This innovative pedagogical approach, defined by Portera (2006) as a real Copernican revolution, is based on dialogue, discussion and interaction. Identity and culture are no longer conceived as something static and unchanging, but are seen as dynamic and continu-ously evolving. The introduction of the intercultural perspec-tive in the educational process is a very complex and ambi-tious project that aims to establish new didactic and learning approaches, in order to support the consolidation of identity and the ability to see the other as a resource. This is the re-search and creation of new educational processes, methods, contents and contexts through which students can acquire the skills to deal with different points of view and experi-ences (Banks & Banks, 2009; Giusti, 2012, Portera, 2006). The realization of educational programs in an intercultural perspective must be carried out by all those who are part of the world of school: teachers, students and parents (Grange Sergi, Nuzzacci, 2007; Resman 2003; Zolletto 2007).

Obviously, the implementation of a pedagogical approach that involves all the stakeholders of the school environment, and which requires the construction of a series of relation-ships and synergies at structural level, requires an appropri-ate management both in terms of efficiency and effective-ness. In this regard, the adoption of diversity management as a means to achieve this change of course towards intercultur-al education is expected.

AN INNOVATIVE MANAGEMENT MODEL FOR

DIVERSITY

Diversity Management has its origins in the early Nine-ties in America but, considering the current socio-economic environment, is a winning strategy for the inclusion and ap-preciation of diversity both at the business level and in social contexts.

SintesiL’obiettivo del paper è quello di proporre l’innovativo modello gestionale della diversità, definito Diversity Management, quale strumento utile all’implementazione dell’educazione interculturale anche nel contesto scolasti-co. L’approccio pedagogico dell’educazione interculturale basandosi sul dialogo e la forte interazione tra i vari indivi-dui mira a perseguire la valorizzazione della diversità per generare un beneficio sociale collettivo. A tal proposito si ipotizza cha attraverso il Diversity Management, che è un approccio metodologico in grado di apportare una serie di vantaggi a livello aziendale, si riesca a favorire questo modello educativo considerando, così, la diversità quale risorsa preziosa per uno sviluppo sostenibile nel tempo.

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characterized by a teachers staff able to innovatively edu-cate and prepare future skilled human resources with good adaptation abilities. Simply put, a growing cultural diversity within businesses should lead to higher levels of innovation and creativity.

Problem-solving process improvement thanks to a widen-ing of the viewpoints and a comprehensive critical analysis. Diversity Management is competitive with the strengthening of the decision-making and problem-solving process, be-cause the combination of different genders and personalities seems to have freed the groups from common problem-solu-tion methods (Hoffman & Maier, 1961; Castellucci et al, 2009)) . This encourages the search for new didactic solu-tions suitable to the multiculturalism of the school system, favoring the fundamental change of the cultural diversity concept from “critical issue” to “resource”.

Achievement of greater organizational flexibility. This benefit concerns the propensity to react better to the multi-ple needs and evolving environments. (Cox & Blake, 1991). This aspect surely facilitates an intercultural didactics ap-proach that, among its main targets, has that to appreciate the dynamism of cultural situations which seem to be in constant evolution and that, thanks to a management approach of Di-versity Management, could be seized and enhanced.

The adoption of the Diversity Management model in the school environment allows developing a range of benefits and competitive advantages, such as those just analyzed, which foster the implementation and development of inter-cultural didactics and the consequent benefits for the entire education system.

CONCLUSION

In the current school context, characterized by multiple social, cultural and physical diversities, it seems appropriate (and probably necessary) to propose an innovative intercul-tural educational approach.

This approach has shown that not only the acceptance of diversity is promoted, but rather that a different culture is considered a valuable resource for the purposes of a didactic and personal growth.

However, the possibility of using and implementing an intercultural education model cannot be separated from the need for active involvement by all the stakeholders of the education system; this, of course, requires in turn a manage-ment of these highly performing human resources both in terms of efficiency and effectiveness.

This research has identified the Diversity Management model as the management tool that can coordinate, organize and lead strategically school resources in order to develop intercultural education at school level.

Diversity Management, in fact, is able to produce certain competitive advantages in the school environment, like in a business, which provide the suitable conditions for the im-plementation of a change of the educational dynamics to-wards an intercultural dimension, with a consequent benefit

ences in the company are enhanced for the consolidation of an environment that encourages not only creativity, but also an individual’ sense of belonging, motivation, initiative and responsibility. Diversity Management is a strategy of opti-mization and adaptation to the resource. Taking into account the different needs, the minuses can become pluses by con-tributing importantly to the success of the social or business organization (Gilbert, Stead & Ivancevich, 1999; Lauring, 2013).

All the above greatly supports the hypothesis of the re-search that proposes the adoption of the Diversity Manage-ment principles to promote intercultural education in the school context.

INTERCULTURAL EDUCATION THROUGH DIVERSITY

MANAGEMENT

Several sources in the literature have asserted that the pol-icies of inclusion, including Diversity Management, have a positive impact on various aspects of business, among which there is the improvement of the overall organization and the skills and performance in areas such as communication, per-sonnel management, identification of objectives and plan-ning (Buemi, Conte & Guazzo, 2016; Serio, 2014).

Specifically, this management approach can generate a number of benefits at business level, which could be instru-mental also to promote intercultural education in the school context (Buemi, Conte & Guazzo, 2016; Castellucci et al, 2009; Laurinig, 2013).

In fact, if school district implemented Diversity Manage-ment strategies and policies, it would have the opportunity to develop an intercultural education process characterized by a series of benefits, including:

Resource acquisition. Attracting and retaining qualitative-ly good human resources is an important competitive factor for a business and school. To develop an intercultural ap-proach, in fact, it needs to have a highly qualified staff with a high degree of open-mindedness able to accept diversity and educate students to its enhancement.

Marketing development. In this case it is to be understood as the ability to respond effectively to the cultural preferenc-es of the external environment. Considering the effects of culture on the behavior of civil society, Diversity Manage-ment provides for the training of human resources able to understand the behavioral effects of the individuals’ cultural diversity (Ponzellini & Riva, 2014). This promotes an educa-tion aimed at grasping cultural heterogeneity in any context.

Development of a greater creativity. Creativity flourishes with diversity and to successfully adapt to its external en-vironment, such as that of school, and it must amalgamate all the varieties in the field in which it operates. Kanter’s researches (1983) show that the most advanced businesses deliberately set up different development teams in order to create an exchange of ideas, recognizing that a plurality of viewpoints is needed to deal with any situation and, like school, there would be an intercultural educational strategy

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ket reaction to enterprise applications: a multicultural per-spective. Journal of Accounting & Organizational Chan-ge, 11(2), 269-294.

Sirna Terranova, Concetta (1997). Pedagogia intercultu-rale: Concetti, problemi, proposte. Milano: Guerrini.

for both the system of public instruction and, in perspective, at social level for the whole community.

REFERENCES

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mogeneous audience. Probably, the aspects that have helped change this approach can be connected both to the social changes and developments, and to an ever greater attention to the world of diversity, differentiation and diversification, where attention is paid mainly to every individual’s potenti-alities and skills.

In this sense, we must say that there has been a strong conceptual growth that has substantially changed the overall perspective, and that has finally led to analyze and consider, in an in-depth and appropriate way, the context in which the educational projects must be included.

For example, in the Sixties of the last century, when there was some kind of “diversity” in schools, there was the con-cept of exclusion. Only later, after several intermediate steps, in the Nineties, we have moved from school inclusion and integration to the concept of inclusion, in the post Nineties.

In the light of this, it was considered appropriate to intro-duce services able to protect different learning and educa-tional needs by developing the Special Educational Needs, involving all the possible learning and understanding diffi-culties that undermine and invalidate the subject’s path of growth, education and inclusion.

LEGISLATIVE SOURCES AND INCLUSIVE PURPOSE IN

THE SEN

At school, students with Special Educational Needs are those who show difficulties in learning and social participa-tion, which require targeted, individualized and ad hoc edu-cational intervention aimed at their inclusion.

In brief, Special Educational Needs (Ianes, 2005) refer to all those individuals who have difficulties and need individ-ualized interventions that are not necessarily supported by a medical and/or psychological diagnosis, but that refer to difficult situations, such as cultural and socio-cultural diffi-culties or problematic evolutionary development.

So in the school context there is the need to respond ap-

Special Educational Needs include all the possible learning and understanding difficulties that undermine and invali-date the subject’s path of growth, education and inclusion. At school, pupils with Special Educational Needs show diffi-culties in learning and social participation and this requires a targeted educational intervention aimed mainly at their inclusion. As part of the educational projects, inclusion aims to meet everyone’s needs, setting up learning envi-ronments allowing everyone to participate in class life and acquire skills in a more active, independent and valid way. In Special Educational Needs there are different dimensions that overlap and intersect one another: that of parents, teachers, child and group class. All these aspects contribute equally to the achievement of support and inclusion, where every element of a whole is part of the other, and it can be implemented through the development of appropriate motor pathways.

INTRODUCTION

The term education, although having an ex-tended meaning, is often considered comple-mentary to the concepts of teaching and/or instruction, representing the transfer of so-cial and cultural values and knowledge and

becoming an integral part of the educational process. The ed-ucational process generally consists of a project employed and finalized by the competent bodies in their objectives, and implemented through appropriate didactic tools.

Every didactic/educational project must aim to transfer knowledge and understanding, and more specifically, should aim at the development of the individual’s quality and ex-pertise level. It must first consider the contents to be trans-ferred, the ways to do it and, last but not least, consider its addressees.

For the past, it was considered important to focus mainly on the didactic contents at the expense of a not always ho-

Inclusion and physical activity for individuals with Special Educational Needs ANTONIO ASCIONE, VITTORIA MOLISSO, PIETRO MONTESANODepartment of Sport Sciences and Wellness, Parthenope University, Naples, Italy

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ed in our country some years ago, a path in which Italy, first with the guide-lines issued on April 8, 2009, and then with Law n° 170/2010 and the follow-ing guidelines of July 12, 2011, regulated aspects of the school inclusion of dis-abled students and students with Specific Learning Dis-orders (such as dyslexia , dysgraphia, dyscalculia and dysorthographia).

Therefore, through these latest interventions, the Ministry has provided the organizational guidelines aimed at the school inclu-sion of students who are not recognized as suffering from disabilities nor SLD, but that have learning dif-ficulties resulting from personal, family or social

disadvantage. The directive has expanded the categories of students to whom the principle of personalized didactics en-shrined in Law 53/2003 should be addressed: <<The area of school disadvantage is much bigger than that referred ex-plicitly to the presence of deficits. In every class there are students who submit requests for special attention for a va-riety of reasons: social and cultural disadvantage, specific learning disorders and/or specific developmental disabil-ities, difficulties arising from the lack of knowledge of the Italian culture and language because of different cultural groups of belonging>>. So every student, continuously or for certain periods, may have special educational needs re-sulting not only from physical, biological and physiological reasons, but also because of psychological and social rea-sons, something that requires schools to provide adequate and personalized answers. The directive extends the benefits of Law n° 170/2010, thus the compensatory and dispensato-ry measures, also to these types of subject (paragraphs 1.3 and 1.4 of the directive identify students with attention and hyperactivity disorder deficits, and students with borderline cognitive functioning). Unlike students with disabilities or SLD, these categories do not require a medical certification.

So it will be up to schools, through decisions adopted by the class councils, to determine which subjects require spe-cific intervention in the light of clinical documentation pro-vided by families, or on the basis of psycho-pedagogical and educational considerations.

The Class Council and all the members of the teaching staff of a school deliberate an individualized and customized path (Law n. 53/2003) for every student with SEN (M.C n. 8 of March 6, 2013), also in the absence of a certification,

propriately to any difficulty in the evolutionary path, de-veloping a project that can support any problem. The complexity and heterogene-ity of these difficulties are described by Ianes : <<In the classes there are many children with difficulties in learning and developing skills, there are students with autism spectrum dis-orders: from those suffering from autism involving men-tal retardation to those with the Asperger syndrome>>.

Among the developmen-tal difficulties there are also students with various emo-tional difficulties: shyness, anger, anxiety, inhibition, depression, personality disorders, psychosis, at-tachment disorders or oth-er psychiatric conditions. Currently, very popular are the behavioral and relationship problems, aggressive behavior, self harm, bullying, eating disorders, behavioral disorders, opposition and anti-social behavior (Ianes, 2005).

Here’s how, through Ianes’ detailed description, we can understand more concretely how extensive and complex the world of Special Educational Needs is, which provide for every situation and circumstance in which the emerging problematic issue becomes the cause and obstacle in getting appropriate answers to their developmental and educational needs.

This definition, which is broader in some ways, derives from an extensive analysis of the changes and their social needs occurred in recent years. In fact, the change is a phys-iological stage of a complex society in which ideas, theories, habits, opinions, and the same organizational standards are susceptible (almost continuously) to changes, revisions and reformulations.

The current legislation allows for a greater degree of equi-ty on the formal and operational level, because it considers also uncertified disorders worthy of attention, and allow for a greater protection of the socially weaker school commu-nity members. The Ministerial Directive of December 27, 2012, entitled “Intervention tools for students with special educational needs and territorial organization for school in-clusion” and the subsequent circular n° 8 of March 6, 2013, establishing the operational details for its implementation, are the main interventions with which our legal system has adapted to the guidelines given by the European Community on the subject of school inclusion.

Such interventions, in fact, complete a path already start-

SintesiI Bisogni Educativi Speciali comprendono tutte le possibili difficoltà di acquisizione e conoscenza che vanno a com-promettere ed invalidare il percorso di crescita, di educa-zione e di inclusione di ogni soggetto. In ambito scolastico gli alunni con Bisogni Educativi Speciali evidenziano una difficoltà nell’apprendimento e nella partecipazione sociale rispetto al quale è richiesto un intervento didattico mirato, che abbia come obiettivo principale l’inclusione. Nell’ambito dei progetti educativi l’inclusione ha lo scopo di rispettare le necessità e le esigenze di tutti, organizzan-do gli ambienti di apprendimento in modo da permettere a ciascuno di partecipare alla vita di classe e di acquisire le competenze in modo più attivo, autonomo e valido possi-bile. Nei Bisogni Educativi Speciali convergono diverse dimensioni che si sovrappongono e si intersecano l’una nell’altra: la dimensione dei genitori, degli insegnanti, del bambino e del suo gruppo classe. Tutti questi aspetti contribuiscono in modo paritario al raggiungimento di sostegno ed inclusione, dove ogni elemento di un insieme fa parte dell’altro e può essere implementato attraverso lo sviluppo di adeguati percorsi motori.

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to enjoy educational tools adapted to his needs without any constraints in having to adapt to another one and, in this re-spect, the principle of inclusion is an essential component.

MULTIDIMENSIONAL ASPECTS

The concept of inclusion (Banks, Frawley, Mc Coy, 2015) finds its maximum expression at school (Lindqvist, Nilholm, 2011) which represents a place of passage where the child can have his need for protection/care and autonomy satisfied, and can discover his potentialities and abilities: he can find in school a place where to explore and learn about himself and the world. School, together with families, represent a fun-damental context for a child’s cognitive and emotional de-velopment by constituting the main area for socializing and testing his first individual autonomy.

We can say that, in this place for growth that is so con-siderable and important, different dimensions that overlap and intersect one another converge in the special education needs: that of teachers, parents, child and his peer group. All these dimensions contribute equally to achieve support and inclusion, where every element of a set is part of the other.

In order to make a comprehensive analysis of the Special Needs and achieve inclusion, it needs to observe a child in his relationship with his peers, teachers and parents, so to have a global (especially circular) vision of the problem.

<<Attention is centered mainly on the meanings that peo-ple attach to the situation, and on the chance to develop to-gether new meanings that lead to change. The goal is to cre-ate a collaborative process between all the systems involved (school, family, services), and the path to follow is the one marked by a “new idea” developed by everyone and where, therefore, everybody recognizes himself>> (Ciucci, Scamp-erle, Todini, 2014).

Glancing toward a wider and comprehensive perspective, it is immediately clear how, in fact, inclusion is the result of participation, support and contribution of numerous var-iables that are characterized and defined in different rela-tional ways. Therefore, it seems necessary to offer an alter-native and evolutionary vision that could aspire to inclusion by making an intervention that involves the collaboration of the school and family system(Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002).

The child at school will begin to deal with other adults; teachers and parents will be, for several years, among his main reference figures.

More specifically, with their attitudes, teachers can con-tribute to declining and excluding behavioral proliferations towards the diverse, or develop an area of education to di-versities designed to promote and disseminate the culture of inclusion and acquisition of educational methodologies and tools to be used in the teaching practice of the respect of equal opportunities and interest in diversities.

The type of relationship that will be established between the child and the teacher is crucial as it will also influence school performance. By taking up the concept of “self-ful-

giving rise to a personalized didactic plan (PDP). The direc-tive assigns the PDP the double function of in-itinere work-ing tool for teachers and documentation for families about planned intervention strategies. The PDP can be individual or referred to students of a whole class, and must be signed by the school director (or a specifically delegated teacher), teachers and family.

At this point it needs to understand and analyze the con-cept of inclusion that, in the context of special educational needs, represents the focal point to establish optimal routes for every child who shows special needs. Inclusion invokes the concept of belonging that is equivalent to a state of in-terpersonal fairness and equality, and in doing so, it is intu-itively extended to all individuals and ignores any kind of difference or diversity between individuals themselves. This means that it does not exclude, but conversely expects and tends to build up a context within which there are diversities that, inevitably, are present in every social sample taken into consideration.

If we refer to the mathematical set theory, the inclusion of a set in another one means that the set A is a proper subset of B if an X element of the set A also belongs to the set B, even if the sets A and B are different. So school inclusion is crucial not only because it allows all children to deal with their own educational process, but also because it allows pre-serving their own characteristics by developing a solid rela-tionship network in diversity.

A project of inclusion has basically the aim to ensure the individual’s complete integration by making it necessary to use a variety of tools to achieve it, in addition to requiring (in its planning) knowledge and a thorough analysis of the basic individual and cultural conditions with which he must deal. In other words, inclusion is aimed at reducing disharmonies and differences between the included individuals, caused the presence of diversity, thus making the environment itself suitable.

The concept of inclusion starts from a reference model in which the society is seen as a human-scale community and school inclusion should be considered as a commitment to respect the needs and demands of all, organizing the learning environments and their related activities so as to allow every person to participate in the classroom life and acquire skills in a more active , independent, and useful way.

The perspective is broadened thanks to inclusion by mov-ing away from the model adopted before that of school inte-gration, where the latter is the result of a series of processes that serve to make an individual a member of a community. However, this mechanism provides similarly for the individ-ual’s ability to adapt to society, so the risk (at least theoret-ically) is that the process is not complete and that the inte-gration is only partial, inadequate or quite strenuous for him. On the other hand, joining a certain context does not mean inevitably adhering fully and completely to it, if this appears as too distant from everyone’s peculiarities.

These considerations fully justify (in the educational field) the need to employ appropriate means that allow every child

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of obvious discomfort, which inevitably will affect or hinder the process of inclusion (Striano, 2014), could be hardened. Parental support is crucial as it represents the connection point, the glue between the child’s world and that of school/teachers, helping and cooperating in the path towards accept-ance and belonging.

PHYSICAL ACTIVITY

The subjects with SEN follow the same Sports and Physi-cal education disciplinary program of their class. The struc-turing of a physical activity path consistent with the ministe-rial guidelines and Directives for the Inclusion must include afternoon sessions exceeding the usual two hours of physical education per week for the subject with SEN to bridge the motor gaps associated with those determining the discomfort at school. The educational and inclusive meaning of Motor Science is critical because < <corporeality and motor skills are basic conditions for a physical, cognitive, affective, so-cial and ethical development and growth. It also plays a significant role in the health education processes, since it allows to develop and maintain a physical and mental struc-ture that represents the natural defense for health in a broad-er perspective of well-being development >> (Pento, 2014).

The mixed paths (Carraro, Bertollo, 2005) and the circuits representing a programmatic performing modality aimed at making students exercise on different dimensions and abili-ties. Learners can practice in a funny way as the activity they are proposed has characteristics of variability of dynamism, comparison with others (individual/team and score/penali-ty-based time dexterity courses), participation in the course design and realization without necessarily being assessed.

Running a course always requires the ability to orient oneself in space and time, and to memorize the sequence of actions required. The arrangement of tools can facilitate or complicate the orientation and memorization processes. A straight line course or another one placed along the perimeter of the area of a playing field does not create problems even to individuals with more difficulties, a serpentine courses that uses a larger space is already much more complex to manage, another cross- designed one with a central turning point, like a Harre’s dexterity course , can create difficulties to many adults.

To design a mixed course (Gibala et al., 2006) needs to follow specific steps like the definition of the objectives to be achieved (to realize a course does not only mean to arrange the tools in the gym and wait in line for one’s own turn to start), the arrangement and the sequence of tools in the space, the positioning of the students at the start line, the provision of adequate assistance where necessary.

It is possible to design courses involving the ride as the main movement action, others that involve rolling and crawling, others involving climbing and staying balanced, and even others, maybe performed outdoors, that may pro-vide for the use of the bicycle, skateboard, kick scooter or roller skates. Additionally, it is possible to define motor

filling prophecy”, teachers who believe in the abilities of a student can facilitate the effective educational success of the latter, since there will be a positive circuit for which the teacher stimulates the student, strengthens him positively and, in turn, the student will perceive himself as competent and skilled. “Punctuating the sequence of events” (Watzlaw-ick, Jackson, Beavin, 1971) alternatively allows the child to re-interpret his abilities and skills according to new per-spectives. The perception of a competence raises the child’s desire to participate and be active in the class group, thus supporting sharing and solidarity and feeling part of (and then included in) a group. Vice versa, if the teacher doesn’t believe in the abilities of a student, he may be influenced by some negative bias, so the student’s desire of participation and presence will not be stimulated and strengthened.

The child at school, in addition to his teachers, will be con-fronted also with the peer group. The group class becomes a membership system in which the child develops his relation-ship skills. In the class group the child has his needs for ac-ceptance, competence, involvement and confidence satisfied, and develops the ability to negotiate and distinguish different roles. The class group is an important social lab where there are issues related to the performance of the task and others related to the relationship, so it can create complex dynamics ranging from cooperation to competition, from involvement to exclusion. In the framework of inclusion, the class group is of fundamental importance at both relational and educa-tional level; in fact, it represents an essential resource in de-fining relationships supporting fellowship and cooperation for students with special educational needs.

By orienting the interest towards the group class and its way of establishing relationships, we could detect how the perception of the school experience by the child with special educational needs affect positively or negatively the inclu-sion process. The child experiences difficulties in everyday life that, inevitably, are experienced as situations of failure and frustration; so it is understandable that he makes an as-sessment of his abilities through his group class, which can represent the mirror image of himself and his skills. The growth of the individual occurs through ties of belonging that allow for mobility and evolution. The ties of belong-ing, in fact, provide a network of relationships essential to the identification process. In this way it is possible to recog-nize oneself through the group by strengthening self-esteem and autonomy. The bonds that are formed in the group class provide support, protection and learning environment in the subject’s growth process.

For a proper child’s inclusion at school it is essential to take into account the meanings that the family attaches to school, the parents’ relationship with school and teachers, and the specific role of the teachers themselves. Between school and family there should be a relationship based on cooperation and mutual engagement in the respect for the boundaries of roles, tasks and skills according to every child’s needs. In some cases, however, the interactive school-family pattern on the dysfunctional mode that can put the child in a position

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date different territories, in the general considerations, that cannot be limited to their boundaries, but that can converge in a multiplicity of points of observation and explanation by interconnecting continuously, creating a strong network of cooperation and collaboration.

In this regard, it is important to provide inclusion paths that take advantage of the education and training value of physical and sports activity. Paths that can be developed by using different methods, but that must pursue the goal of en-suring the students’ well-being and facilitating learning and relationships.

REFERENCES

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Carraro A., Bertollo M. (2005), Le scienze motorie e spor-tive nella scuola primaria, Cluep : Padova

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Watzlavick P., Jackson D.D., Beavin J. (1967), Pragmat-ica della comunicazione umana, (Trad. it. 1971) Astrolabio: Roma

courses aimed at the creation of a basket (for basketball), shots on goal (for football or handball), jumps and smashes (for volleyball).

Similarly to the circuits, also the courses are effective as the activity is carried out on different exercises stations. The stations are pre-defined places with specific tools where to stop for a while to perform certain motor actions. The num-ber of stations of a circuit can vary according to the work objectives, the number of students, the gym equipment, the possibility of providing assistance in the case of movements that involve a degree of risk like some gestures of artistic gymnastics. Generally there are from six to ten stations in the school circuits. A particular example of circuit is the circuit training (Tjønna et al., 2009) that is primarily used to train endurance or strength skills.

The circuit, like the mix course, is a valid educational methodology to optimize the organization of classes, and in-crease time of motor commitment for students. Moreover, the circuits are particularly suited to develop personal auton-omy and the self-control ability, because the student, after the teacher’s input, becomes responsible for some aspects of the motor situation realization, such as the rhythm, start and end moment, recovery period, number of repetitions, inten-sity.

The main difference between a circuit and a mixed course lies in the performance modality, while, in the course, start and arrival are defined accurately and students are encour-aged to move on tools without pause; in the circuit, the class is divided into small groups and each group starts from a dif-ferent station, performing the next exercise at the teacher’s signal, or after a set time.

CONCLUSION

The school context appears as one of the key elements in the inclusion of children with Special Educational Needs (Janes, Cramerotti, 2015). In this sense, Bateson (1972) as-serted that the context is a social place, a place of learning where a certain behavior acquires meaning : <<Learning the contexts of life is a matter that has to be discussed, not internally , but as a matter of the external relationship (...) the context is the matrix of meanings and it will need to pay attention to the influence exerted by all the groups of which the person with difficulties is part (school, family, work), by the reactions of the social medium to the deficit behavior of which the individual has become the protagonist, but also to the development process of his way to relate to others, or better, to his learning context>>.

School as a social and learning context is defined by its constituent elements (parents, teachers, peers); these ele-ments are, in fact, a fundamental aspect supporting inclusion as they are rich in meanings and strongly influence the child’s needs, by determining his social and educational path.

In the complex world of the Special Educational Needs it is not possible to refer to a single viewpoint by analyzing the issue from a unique perspective, it is necessary to accommo-

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ELISABETTA STRICKLAND Essere donna e fare scienza in Italia: un’impresa difficile DAVIDE BARBA E MARIANGELA

D’AMBROSIO Donne e ricerca: “fare” genere nell’ambito scientifico ALESSANDRA MAZZEO Tertium non datur DANIELA

GRIGNOLI Donne in ricerca ROSA MARIA FANELLI, ANGELA DI NOCERA La presenza delle donne nel settore europeo della ricerca scientifica e tecnologica STEFANO OSSICINI Marie Curie, Hertha Ayrton e le altre. Donne e scienziate VINCENZO VILLANI Marie-Sophie Germain: matematica e fisica romantica dell’800 ANNA TOSCANO Il gabbiano ha preso il volo. Valentina V. Tereshkova - Samantha Cristoforetti. Una conquista lunga cinquantuno anni GABRIELLA

BERNARDI Pino e le sue astronome PATRIZIA TORRICELLI Donne, e le parole per parlarne AGOSTINA LATINO Genesi e analisi della Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica PAOLA

MAGNANO, ANNA PAOLILLO, GIUSEPPE SANTISI Autostima e autoefficacia, identità di genere e soddisfazione lavorativa. Implicazioni per la scelta di carriera DOMENICO CARBONE Cos’è la politica? Opinioni a confronto tra le donne elette nei comuni italiani LUCIA PIETRONI Rosa vs Blu. I Gender Studies e la cultura del design GIULIANA GUAZZARONI La realtà aumentata nell’arte: una scelta di genere è mettersi in gioco e performare CHIARA D’AURIA La donna cinese nel Nuovo Millennio SILVIA CAMILOTTI Saperi e sapori d’altrove: le scrittrici (si) raccontano LAURA MOSCHINI Con occhi di donna: Margaret Fuller e la Repubblica Romana (1847-49), Un’analisi di genere nel giornalismo del XIX secolo

www.scienze-ricerche.it - [email protected]

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the white paper examines the Community acquis by estab-lishing the Commission’s views regarding three aspects of European sport: social role, economic dimension and gov-ernance.

The Commission has drafted the white paper ensuring broad consultation with institutions and stakeholders, and this was largely possible thanks to the active and construc-tive role of the European Parliament, starting from its resolu-tion of June 13, 1997, on the role of the European Union in the field of sport, and ending with more specific resolutions such as those on women and sport (2003), on sport and de-velopment and on doping in sport (2005), and on the fight racism in football (2006).

Among the 4 chapters that make up the white paper on Sport, the interest of this article falls on the role of sport in society; the paper refers to sport both as a sphere of human activity affecting particularly the citizens of the European Union, and as something with enormous potential to bring to-gether and reach out to all, regardless of age or social origin. Almost the 60 % of European citizens participate in sporting activities on a regular basis, autonomously or by taking part in one of the 700 000 sports clubs which, in turn, are part of a whole series of associations and federations. The majority of sporting activities takes place in amateur structures. Pro-fessional sport is of growing importance and contributes also to the social role of sport. The fight against discriminations based on nationality plays an important role according to the EU, recalling in this respect the well-established Community case Law (Coakley, 2001).

FOOTBALL AND INTEGRATION

Football has considerable numbers: about 250 million people play it at different levels, approximately 1.5 billion follow it with continuity and valuable economic interests revolve around it in hundreds of billions of Euros (Allison, 1998).

Social integration projects in F.I.G.C. Youth Department GIUSEPPE MADONNA, UMBERTO CONTEDepartment of Sport Sciences and Wellness, Parthenope University, Naples, Italy

Within the projects put in place to promote integration and fight against racism, the FIGC (Italian National Football Federation) has invested and continues to invest energies and resources, with a particular spring after Tavecchio’s election as president. An ad hoc Committee for integration and fight against racism was set up, coordinated by the former Olympic long jump champion Fiona May. More-over, thanks to the support of the Juvenile and Scholastic Sector, three projects were developed to raise awareness among young people at various levels of schools and foot-ball schools, in addition to minors applying for asylum in the Protection System for Asylum Applicants and Refugees centers: the Projects “Razzisti? Una brutta razza”, “Tutti i colori del calcio” and “Rete”.

INTRODUCTION

The white paper on Sport, presented in July 11, 2007, the result of consultations and proposals involving all sports experts (from Olympic committees to sports federations, the Community institutions and the Member

States, including an online consultation launched in February 2007), is the first comprehensive initiative on sport by the European Commission.

The objective of this document is to provide strategic guidelines on the role of sport in the European Union, im-proving its visibility in the definition of the European poli-cies, and to increase public awareness on the needs and spe-cificities of the sport sector (European Commission, 2007). Furthermore, the initiative is intended to create the maximum legal clarity between the interested parties; so the Commis-sion, in accordance with the principle of subsidiarity, the au-tonomy of sports organizations and the current Community legal framework, develops the concept of specificity of sport within the limits of the current competences of the EU.

As the first comprehensive community initiative on sport,

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Refugees centers: the Projects “Razzisti? Una brutta razza”, “Tutti i colori del calcio” and “ Rete” (www.figc.it).

The project “Razzisti? Una brutta razza” was presented for the first time in February 2015 in Florence, during a ceremo-ny in the presence of the city authorities. Strongly backed by the Federal President Carlo Tavecchio and devised by the Commission for integration and fight against racism chaired by Fiona May, it included a series of performances by An-tonello Piroso in which the issue of racism was addressed with a modern language, and which saw the participation of young players of the youth teams. The format included the involvement of guests from the world of culture, sports and entertainment, and had the aim to spread culture among youths, sportsmen and fans of today and tomorrow.

The project was divided into 3 complementary phases: Parliamone in campo – in the weeks before the event the

coaches of the youth teams involved proposed some occa-sions for an in-depth analysis on racism during the training sessions;

Presentiamoci al territorio – the project was explained in a press conference together with representatives of local in-stitutions;

Solo per i ragazzi – with the young people involved in a real show.

The project would involve tens of thousands of young guys by addressing important issues such as integration, ac-ceptance of diversity and the plague of racism that affects the whole of society, including football. In its first edition, the project “Razzisti? Una brutta razza” was carried out in Florence, Turin, Catanzaro and Bari.

In the following season the project format changed slight-ly; the goal was always to use football as a vehicle to stimu-late a “reflection” among young people on topics of current and future civil and social importance related to integration, acceptance, racism and knowledge of different cultures; to enter the competition, young people were invited to make a video that would raise awareness on racism in football, spread healthy competition values among the youths, ath-letes and fans, and that promotes respect, acceptance and integration of the other and of diversity against any form of discrimination (Tacon, 2007).

Today, to participate in it, it needs to make a video on racism. This video is uploaded to a web platform and voted first through social channels, and subsequently by the FIGC Commission for integration and fight against racism. The authors of the best videos win technical material of the na-tional football team.

The project “Tutti i colori del calcio” is aimed at young people in secondary schools of first and second level, their families and the educational figures involved in the educa-tion of youths.

The aim of the project is to use football as a vehicle to stim-ulate a “reflection” among young people on topics of current and future civil and social importance related to integration, acceptance, racism and knowledge of different cultures.

“Tutti i Colori del Calcio” is a competition developed by

It is inevitable that, like the real society, the world revolv-ing around football can be plagued by racial and integration issues. The UEFA, the Union of European football associa-tions, cares very strongly about this issue and has drawn up an official document, the “Resolution n° 9: European foot-ball united against racism”. The political position declared in this document, and the corresponding anti-racism proposals, show that there is a deep awareness of the issue by this body.

The resolution in eleven points clarifies, among other things, that the main objective of the UEFA is “the promo-tion of soccer sport in a spirit of peace (...) without any form of discrimination “.

To abolish all forms of discrimination means to make a double operation: on the one hand, it means condemning the manifestations of intolerance, and on the other hand facili-tating the integration processes between the parties. Sport in this sense has a strong educational power that acts on both points: not only its spirit does not provide any kind of intol-erance, but on the contrary it stimulates natural processes of integration that are meant to make an individual a member of the society (Elling & de Knop, 2001).

Immigration is an extremely topical phenomenon that is probably not destined to disappear quickly, given the causes that produce it. The phenomenon originates and is fed by the political and economic conditions of the countries of extremely critical and precarious origins, sometimes to the limits of the survival, so migration is the only hope for these people to find refuge and better living conditions (Garland, 2001; Giusti, 2011).

In parallel, in the countries where there are particularly intense migratory flows, new social realities with their prob-lems will unavoidably arise.

In all cases, apart from the concrete acceptance issues, tak-ing action to overcome the barriers of “diversity”, be them religious, racial or cultural, means acting in articulated and complex contexts for which it needs to use appropriate and specific methodologies and interpretation keys, and in this sense soccer is particularly suited to act in contexts where new social realities arise and often have the critical problem of the integration processes and where conventional organi-zational and subsistence approaches are not sufficient.

THE FIGC PROJECTS FOR INTEGRATION

Within the projects put in place to promote integration and fight against racism, the FIGC (Federazione Italiana Gioco Calcio - Italian National Football Federation) has invested and continues to invest energy and resources, with a particu-lar spring after Tavecchio’s election as president. An ad hoc Committee for integration and fight against racism was set up, coordinated by the former Olympic long jump champion Fiona May. Moreover, thanks to the support of the Juvenile and Scholastic Sector, three projects were developed to raise awareness among young people at various levels of schools and football schools, in addition to minors applying for asy-lum in the Protection System for Asylum Applicants and

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www.figc.it

the FIGC Commission for integration and fight against rac-ism, with the aim to:

• Raise awareness among young people on racism in foot-ball

• Spread positive values of competition among the youths, sportsmen and fans of today and tomorrow

• Promote respect, acceptance and integration of the other and of diversity

• Fight against all forms of discrimination The format of the competition consists of an “Educational”

part, carried out in single institutions, and a “final event”. “Tutti i Colori del Calcio” wants to inspire schools in cre-

ating a video that should reflect and make people think on racism and all forms of discrimination inside and outside the stadiums. Every class is then required to make a movie that addresses the issue in terms of its many cultural, historical and social implications, documenting the events within the community, telling about their thoughts and experiences di-rectly related to their daily sports and non-sports reality to promote the values of the project.

Every class uploads its video on the online platform and all the users can vote the elaborate they prefer, helping generate the final ranking.

Thanks to the consent of the online users and to the judg-ment of the MIUR– FIGC commission, it is possible to eval-uate the elaborates by identifying those most deserving ones (Tailmoun, Valeri, & Tesfaye, 2014).

The project “Rete”, now in its second edition, sees football as a place for comparison, generation of ideas and attention to social issues.

It was developed during the meeting between the Juvenile and Scholastic Sector in 8 regions (Basilicata, Emilia Ro-magna, Lazio, Molise, Piedmont, Puglia, Sicily and Umbria) and 24 SPRAR (Protection System for Asylum Seekers and Refugees) centers, and aims to contribute to the process of integration and acceptance of young migrants, employing the aggregative strength that football knows how to exercise. Thanks to the intervention of technicians of the Juvenile and Scholastic Sector, it was possible to unite 280 young guys of 24 SPRAR centers throughout the country.

The project “Rete” saw in 2015 the participation of 237 un-accompanied minors of SPRAR centers, of which 116 were boys participating in the final phase. The initiative had joined 24 shelters, of which 16 reached the finals from 8 regions of Italy, for a total of 10 teams and 35 matches. A reduction in anxiety and depression in people at risk, the overall in-crease of happiness, clear improvements from a behavioral and emotional point of view: these are some of the feedbacks provided by the project “Rete”, also highlighted by a study of the Catholic University of Rome.

The project has been an excellent tool to convey positive values of football such as interaction and inclusion, having a great success which earned a special mention by the CONI (Italian National Olympic Committee) for programs about social policies (Hamil & Chadwick, 2010; McGuire, 2008).

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Da qualsiasi parte si prendano le mosse, insieme alla fraternità si sollevano sempre diversi conflitti con la responsabi-lità, con la città degli uomini, con la giustizia. Proprio la fraternità con i suoi conflitti dà vita alla struttura di compren-sione per poterla pensare, che si colloca tanto a livello pratico, di vissuto comune e di esperienze collettive, quanto a livello fondamentale dove agisce un orizzonte anche mitico. Dentro la fraternità vivono i miti. Dentro i miti vive la fraternità. Il rapporto tra miti e fraternità è sempre sul punto d’implosione. Da un lato perché le esperienze concrete di fraternità sono inclini, al di là del loro colore, a mitizzare se stesse e a presentarsi quale splendido e indiscutibile modello di convivenza umana. Dall’altro lato perché il meccanismo del mitizzare tende a produrre un’immagine di fraternità bloccata che assomiglia al riflesso di se stessi nello specchio. Dove sta il problema? Le fraternità della storia sono spesso intrise di rivalità, di violenza, di esclusione, di preferenza, di fratricidio, non sono mai del tutto ciò cui aspirano e ciò che dicono di essere... (dall’introduzione)

FRANCO RIVA, Fraternità o morte - FRANCO RIVA, La domanda di Caino. Miti e fraternità - PAOLO SCO-LARI, Nietzsche e i tramonti della fraternità - DIANA GIANOLA, Fraternità, disincanto e libertà. Max Weber - FEDERICA STIZZA, Il fratello, il prossimo e la giustizia. Emmanuel Lévinas - FRANCESCA MARTINELLI, Una fraternità postmoderna

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de la muestra dubitada (la hallada en el lugar de los hechos o en el cuerpo de la víctima) y los perfiles genéticos obtenidos a partir de la muestra indubitada (la obtenida directamente del sospechoso/imputado/ahora investigado, por regla gene-ral, a través de la realización de una intervención corporal leve). No obstante, el contraste de perfiles genéticos también puede efectuarse entre aquellos almacenados en la base de datos con motivo de un proceso penal anterior (que tendrán –en principio– carácter indubitado) y los adquiridos a partir de la muestra dubitada. Si se produce una coincidencia entre ambos, dicho resultado podrá ser utilizado como prueba de cargo en el juicio, salvo que el sujeto investigado cuestione en la fase de instrucción la toma de muestras realizada en la causa anterior, el resultado incriminatorio o la validez y licitud de los datos almacenados1.

Aunque, en efecto, en lo que atañe a la realización de prue-bas de ADN en el marco de las investigaciones criminales existen numerosas cuestiones de sumo interés2, en el presente trabajo concentraremos nuestra atención fundamentalmente

1 Cfr. SSTS 827/2011, de 25 de octubre; 709/2013, de 10 de octubre; 948/2013, de 10 de diciembre y, dado que también se encuentra en rel-ación con esta cuestión, el Acuerdo del Pleno No Jurisdiccional de la Sala Segunda del Tribunal Supremo de 24 de septiembre de 2014 sobre toma biológica de muestras para la práctica de la prueba de ADN. Asimismo, se pueden realizar contrastes entre los perfiles genéticos que consten almacenados en la base de datos policial, pero respecto de los que se desconozca la identidad de la persona a la que corresponden, y los per-files extraídos de las muestras dubitadas, halladas en el lugar de los hechos y/o en el cuerpo de la víctima, a efectos de comprobar si existe una coin-cidencia entre ambos que pueda coadyuvar al progreso de la investigación penal. 2 Verbigracia, la controversia que se suscita con la práctica de este tipo de diligencias respecto al derecho a la intimidad genética y a la autodeter-minación informativa, la polémica que subyace en relación a la posibilidad de llevar a cabo análisis de ADN masivos o de crear bases de datos a nivel de grupos de personas o a nivel general poblacional o, inclusive, aspectos ligados a la eficacia y valoración probatoria de la prueba de ADN, etc.

Últimas modificaciones normativas en materia de pruebas de ADN e inscripción de identificadores genéticos en la base de datos policial en España MARÍA VICTORIA ÁLVAREZ BUJÁNInvestigadora Predoctoral de Derecho Procesal1, Universidad de Vigo (España)

1 Beneficiaria de las “Axudas de apoio á etapa predoutoral do Plan Galego de Investigación, Innovación e Crecemento 2011-2015 (Plan I2C) para o ano 2014”. Ayuda otorgada por resolución de la Consellería de Educación, Cultura e Ordenación Universitaria de la Xunta de Galicia, de 14 de abril de 2015.

1. CONSIDERACIONES PRELIMINARES

En los últimos años las pruebas de ADN con su doble vir-tualidad, como diligencias de investigación y prueba, se han convertido en un instrumento fundamental en el campo de la investigación delictiva, en concreto, para determinar la au-toría de los hechos punibles, particularmente, cuando éstos entrañan especial gravedad por atentar contra ciertos bienes jurídicos que merecen especial protección, como son la vida, la integridad de las personas, la libertad, la indemnidad y li-bertad sexual o la salud.

Una prueba de ADN consiste, grosso modo, en la realiza-ción en laboratorio –debidamente acreditado– de un análisis de comparación entre los perfiles genéticos extraídos a partir

El principal objetivo de este trabajo radica en llevar a cabo, desde una perspectiva crítica, un análisis del marco norma-tivo existente en España en relación a la práctica de pruebas de ADN en el ámbito de la investigación y el proceso penal, así como en lo que concierne a la inscripción de identifi-cadores genéticos en la base de datos policial, poniendo el acento en las últimas novedades legislativas habidas sobre la materia y haciendo especial referencia a la cuestión re-lativa a la posibilidad de aplicar el recurso a la coacción física en caso de que la persona detenida / condenada por un hecho delictivo rehúse facilitar sus muestras biológicas a fin de permitir la realización de la prueba genética con fines de investigación criminal. Todo ello, se efectuará con la intención de detectar algunos de los defectos o lagunas más palpables de los que adolece la regulación sobre esta mate-ria en el ordenamiento jurídico español y que entendemos deberían ser modificados de lege ferenda.

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tima instancia no resultaba muy garantista con el derecho de defensa ni con el derecho a la presunción de inocencia, máxime, si atendemos al carácter neutro y ambivalente de las pruebas de ADN7. Esta situación de vacío legal también dio lugar a la utilización de determinados subterfugios legales, amparados bajo el Acuerdo del Pleno no Jurisdiccional de la Sala 2ª del Tribunal Supremo, de 31 de enero de 2006, y destinados a conseguir –a toda costa– una muestra indubi-tada de ADN perteneciente al presunto autor de los hechos punibles, tales como la recogida de muestras abandonadas (excreciones, escupitajos, colillas de tabaco, etc.), o inclusi-ve ciertas tácticas que rozan el recurso al engaño por parte de la policía, opciones éstas que no parecen muy adecuadas en un Estado de Derecho, en el seno del cual se presupone que deben primar las garantías procesales.

Por otro lado, ha de referirse que con la aprobación de la Ley Orgánica 10/2007, de 8 de octubre, reguladora de la base de datos policial sobre identificadores obtenidos a partir del ADN, se vino a otorgar carta de naturaleza a la coerción jurídica, dando al tiempo y por fin cumplimiento a las direc-trices que se venían marcando desde hacía ya varios años por la Unión Europea8. De esta forma, una vez “encontrada y recogida la muestra dubitada y guardando debidamente

ro. Asimismo, representa el más claro exponente a favor de esta solución, HUERTAS MARTÍN, I., El sujeto pasivo del proceso penal como objeto de la prueba, Bosch, Barcelona, 1999, pp. 410 y ss. No obstante, senten-cias como SSTS 151/2010, de 22 de febrero y 169/2015, de 13 de marzo, han matizado este criterio. Así, en esta última se declara que “La negativa de Gerónimo a someterse a las pruebas de ADN no es un indicio más a sumar a los verdaderos indicios, pero sí puede ser valorada por el órgano decisorio como un elemento que avala la lógica de la inferencia sobre la que se apoya la conclusión de que el recurrente es autor de los delitos imputados. Está fuera de dudas que la declaración de responsabilidad del acusado está respaldada por otros muchos indicios que son expuestos y sistematizados con ejemplar pulcritud por los Jueces de instancia”.También se planteó la posibilidad de imputar un delito de desobediencia al sujeto que se negase a someterse a tal medida. Cfr. por ejemplo, STS 803/2003, de 4 de junio. Pero esta solución fue descartada por la mayoría de la doctrina por su ineficacia y falta de garantías procesales, además de porque podría suponer una ventaja para que el delincuente consiguiese la impunidad. Vid., entre otros muchos, ABEL LLUCH, X., «Cuerpo del delito e identificación formal del delincuente. Especial consideración de la toma de muestras» en ABEL LLUCH, X. y RICHARD GONZÁLEZ, M. (Dir.), Estudios sobre prueba penal. Actos de investigación y medios de prueba: inspección ocular, declaraciones de inculpados y testigos, in-tervenciones corporales y prueba pericial”, v. II, La Ley, Madrid, 2011, pp. 139-140 y GÓMEZ AMIGO, L., Las intervenciones corporales como diligencias de investigación penal, Aranzadi, Navarra, 2003, p. 45.7 Sobre la correcta apreciación de la prueba de ADN, su eficacia y valo-ración, vid., entre otros, IGLESIAS CANLE, I.C., Investigación penal so-bre el cuerpo humano y prueba científica, Colex, Madrid, 2003, pp. 149-159 y ROMEO CASABONA, C. M. / ROMEO MALANDA, S., «Los identificadores en el Sistema de Justicia Penal» en Monografía Asociada a Revista Aranzadi de Derecho y Proceso Penal, núm. 23, Aranzadi, Na-varra, 2010, pp. 37-44.8 Cfr. aquí, fundamentalmente, el Convenio de Prüm, que ha influido directamente en la elaboración y aprobación de la Ley Orgánica 10/2007 y en la Decisión-Marco 2008/615/JAI del Consejo, de 23 de junio de 2008, sobre la profundización de la cooperación transfronteriza, en particular en materia de lucha contra el terrorismo y la delincuencia transfronteriza y, ésta a su vez, en la Decisión 2008/616/JAI del Consejo, de 23 de junio de 2008, que establece las disposiciones normativas comunes necesarias para la ejecución administrativa y desarrollo técnico de las formas de coopera-ción establecidas en la Decisión 2008/615/JAI.

en analizar –desde un prisma crítico– la regulación existente en el ordenamiento jurídico español sobre la materia objeto de estudio, poniendo el acento en las últimas reformas lega-les habidas y resaltando parte de las lagunas y problemas que se suscitan en torno a este panorama normativo. Asimismo, traeremos a colación, a modo de comparativa, determinados aspectos de la regulación existente en Portugal, algunos de los cuales podrían resultar interesantes al objeto de ser incor-porados de lege ferenda a la normativa española.

2. MARCO NORMATIVO Y PRINCIPALES POSTURAS

DOCTRINALES Y JURISPRUDENCIALES EXISTENTES

En el ordenamiento jurídico español la regulación de las pruebas de ADN se recoge principalmente en los artículos 326, 363, 520. 6 c), 778.3 y en la Disposición Adicional Ter-cera de la Ley de Enjuiciamiento Criminal, así como en el nuevo artículo 129 bis del Código Penal y en la Ley Orgáni-ca 10/2007, de 8 de octubre, reguladora de la base de datos policial sobre identificadores obtenidos a partir del ADN. No obstante, esta regulación resulta incompleta e insuficiente, dado que contiene diversas lagunas que, a la postre, vienen a generar numerosos y notables problemas jurídico-procesales en la práctica3.

En la realización de este tipo de diligencias (de interven-ción corporal con fines de identificación genética e inves-tigación criminal), el consentimiento del sujeto pasivo ac-túa como fuente de legitimación para justificar la injerencia estatal en la esfera de los derechos fundamentales de éste, los cuales no son absolutos, sino que pueden ser limitados en aras de proteger otros bienes jurídicos o valores supre-mos del ordenamiento, siempre que concurran los requisitos y presupuestos que derivan del principio de legalidad y del principio de proporcionalidad4.

La principal controversia se producía aquí en los casos de ausencia de consentimiento por parte del sujeto pasivo, puesto que, hasta ahora, no se contemplaba la posibilidad de recurrir a la coacción física cuando el sospechoso o imputado (ahora investigado) se negaba a someterse a la realización de una medida de intervención corporal leve con fines de identificación genética5. Esto provocó que en la práctica la jurisprudencia tomase como solución mayoritaria, ante dicha actitud renuente, la atribución de un indicio incriminatorio en contra del sujeto investigado en cuestión6, lo que en úl-

3 Entre otros defectos palmarios que alberga la referida regulación, cabe reseñar que no se determinan los diferentes sujetos pasivos que pueden ser objeto de esta clase de medidas y bajo qué condiciones –pensemos aquí en terceros sujetos distintos al sospechoso, imputado (ahora investigado), como testigos, y en particular, en la víctima–, tampoco se especifican las clases de medidas de intervención corporal leve que se pueden realizar al objeto de obtener una muestra indubitada de ADN ni se regula de forma detallada la cadena de custodia, con los problemas que todo ello supone a diario en la praxis judicial.4 Acerca del principio de proporcionalidad y sus exigencias, vid. GON-ZÁLEZ-CUÉLLAR SERRANO, N., Proporcionalidad y Derechos funda-mentales en el proceso penal, Colex, Madrid, 1990, pp. 305-310.5 Vid., entre otras muchas, STS 685/2010, de 7 de julio.6 Cfr. en este sentido, entre otras muchas, SSTS 107/2003, de 4 de febre-

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sospechoso, detenido o imputado, así como del lugar del de-lito. La toma de muestras que requieran inspecciones, reco-nocimientos o intervenciones corporales, sin consentimiento del afectado, requerirá en todo caso autorización judicial mediante auto motivado, de acuerdo con lo establecido en la Ley de Enjuiciamiento Criminal”12.

Con certeza y en términos generales, ésta norma debe ser valorada de forma positiva, especialmente, porque sus pre-visiones se adecúan a las exigencias de la jurisprudencia del Tribunal Europeo de Derechos Humanos13. No obstante, existen ciertas cuestiones cuya regulación es, a nuestro jui-cio, susceptible de ser mejorada y completada.

En primer lugar ha de ponerse el acento sobre el hecho de que esta ley toma como sujetos pasivos, tanto al sospechoso, como al detenido o al imputado –ahora investigado/encausa-do, en función de la fase procesal en la que nos situemos–14, pues con ello se permite que se almacenen datos de una per-sona sobre la que recaigan meras sospechas y no indicios fundados de criminalidad, lo que no parece una medida muy equilibrada ni proporcionada15.

A modo de comparativa, podemos acudir a la regulación de la base de datos de perfiles de ADN portuguesa –Lei n.º 5/2008, de 12 de fevereiro–, donde no está permitido reco-ger muestras del sospechoso, sino que el sujeto pasivo debe poseer en todo caso la condición de arguido, esto es, el tér-mino equivalente en España al de imputado (investigado). Tal medida resulta notablemente garantista con el derecho de defensa y el derecho a la presunción de inocencia, aun-que en opinión de varios autores, con la misma se dificulta el avance de las investigaciones policiales, aspecto que no puede dejarse al margen16. En este sentido, creemos que lo ideal sería que en relación al sospechoso, siempre que sobre él recaigan indicios racionales de criminalidad suficientes, y también al investigado, se pudiesen obtener muestras bioló-

12 Aunque con esta previsión tampoco se daba solución a los supuestos en los que el sospechoso o el imputado (ahora investigado) se negaba a facilitar una muestra biológica indubitada, dado que en la misma tampoco se preveía expresamente la posibilidad de recurrir a la vis física.13 Cfr. el caso Marper contra Reino Unido, STEDH de 4 de diciembre de 2008, y las consideraciones ofrecidas al respecto en SANZ HERMIDA, A. M. «Deber de destruir las muestras de ADN y las huellas digitales tras la finalización de un proceso mediante sentencia absolutoria o archivo defin-itivo del mismo», Revista General de Derecho Procesal (Sección Derecho angloamericano), 18, 2009, pp. 1-14.Para un estudio pormenorizado de la citada Ley Orgánica 10/2007, vid. IGLESIAS CANLE, I. C., «Análisis crítico de la Ley Orgánica 10/2007, de 8 de octubre, reguladora de la base de datos policial sobre identifica-dores obtenidos a partir de ADN», Revista General de Derecho Procesal, núm. 20, 2010, pp. 1-9.14 Y también al condenado, con arreglo a lo dispuesto en el art. 129 bis del Código Penal.15 Vid. CARUSO FONTÁN, V., «Base de datos policiales sobre identi-ficadores obtenidos a partir del ADN y derecho a la intimidad genética», Foro, Nueva época, vol. 15, núm. 1, 2012, pp. 160-161.16 Cfr. en relación con esta cuestión, MONIZ, H. en VV.AA. (COS-TA, S. / MACHADO, H. org.), A ciência na luta contra o crime. Poten-cialidades e límites, Húmus, Vila Nova de Famalicão, 2012, pp. 32-33 y MORGADO, M. J., «Perigos e certezas. Lei 5/2008 de 12 de fevereiro», en VV.AA. A Base de Dados de Perfis de DNA em Portugal, CNECV, Coimbra, 2012, pp. 155 y 156.

la «cadena de custodia», se procederá a su análisis y com-paración con la información que obra en la base de datos policial, española o extranjera si los Convenios vigentes lo permiten, y podrá así descubrirse la «titularidad» de esos restos orgánicos, desconocida cuando fueron recogidos por los expertos en el lugar de los hechos, o de la propia víctima, si fuere el caso”9.

En definitiva, la Ley Orgánica 10/2007 supuso un impor-tante avance en la materia. Además, con la misma se vinieron a integrar todos los ficheros de esta naturaleza de titularidad de las Fuerzas y Cuerpos de Seguridad del Estado10.

Entre los preceptos que revisten mayor importancia den-tro de esta norma destaca el artículo 3, donde se prevé que: “1. Se inscribirán en la base de datos policial de identifica-dores obtenidos a partir del ADN los siguientes datos: a) Los datos identificativos extraídos a partir del ADN de muestras o fluidos que, en el marco de una investigación criminal, hu-bieran sido hallados u obtenidos a partir del análisis de las muestras biológicas del sospechoso, detenido o imputado, cuando se trate de delitos graves y, en todo caso, los que afecten a la vida, la libertad, la indemnidad o la libertad se-xual, la integridad de las personas, el patrimonio siempre que fuesen realizados con fuerza en las cosas, o violencia o inti-midación en las personas, así como en los casos de la delin-cuencia organizada, debiendo entenderse incluida, en todo caso, en el término delincuencia organizada la recogida en el artículo 282 bis, apartado 4 de la Ley de Enjuiciamiento Criminal en relación con los delitos enumerados.

b) Los patrones identificativos obtenidos en los procedi-mientos de identificación de restos cadavéricos o de averi-guación de personas desaparecidas.

La inscripción en la base de datos policial de los identi-ficadores obtenidos a partir del ADN a que se refiere este apartado, no precisará el consentimiento del afectado, el cual será informado por escrito de todos los derechos que le asisten respecto a la inclusión en dicha base, quedando constancia de ello en el procedimiento.

2. Igualmente, podrán inscribirse los datos identificativos obtenidos a partir del ADN cuando el afectado hubiera pres-tado expresamente su consentimiento”11.

Asimismo, resulta clave la Disposición Adicional Terce-ra que establece que: “Para la investigación de los delitos enumerados en la letra a) del apartado 1 del artículo 3, la policía judicial procederá a la toma de muestras y fluidos del

9 DE HOYOS SANCHO, M., «Profundización en la cooperación trans-fronteriza en la Unión Europea: Obtención, registro e intercambio de per-files de ADN de sospechosos» en ARANGÜENA FANEGO, C. (Dir.), Espacio Europeo de Libertad, Seguridad y Justicia: Últimos avances en cooperación judicial penal, Lex Nova, Valladolid, 2010, p. 173.10 Vid. respecto de esta cuestión, la Disposición Adicional Primera de la citada norma.11 En relación con el último inciso de este artículo DE HOYOS SAN-CHO, M., «Profundización en la cooperación transfronteriza…», op. cit., p. 172, comenta que “no sólo se obtendrán e incorporarán a las bases de datos los perfiles identificativos de sospechosos, detenidos o imputados (….) sino que también se podrán incorporar aquellos pertenecientes a su-jetos «no sospechosos» que accedan voluntariamente a prestar muestras celulares y a tal obtención de perfiles de ADN para su archivo”.

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las personas que hayan prestado su muestra de forma volun-taria si no son imputados”20.

Otra de las cuestiones problemáticas es la relativa al régi-men de conservación y destrucción de las muestras biológi-cas regulado en el art. 5.1 de la L.O. 10/2007, que preceptúa que “las muestras o vestigios tomados respecto de los que deban realizarse análisis biológicos, se remitirán a los la-boratorios debidamente acreditados. Corresponderá a la autoridad judicial pronunciarse sobre la ulterior conserva-ción de dichas muestras o vestigios”. En efecto, este precep-to posee un contenido manifiestamente escaso, dado que, si bien, señala que será el juez quien se ocupe de tal tarea, no precisa ni delimita “con base en qué criterios ordenará su conservación o destrucción, ni fija tampoco un límite tempo-ral máximo”21. Existe, pues, una laguna legal en este sentido. Ciertamente, el período de conservación y posterior destruc-ción de las muestras biológicas debería haber sido regulado, al menos, en términos semejantes a los utilizados en lo que concierne al régimen de cancelación de los datos obtenidos a partir de identificadores de ADN, y ello, a fin de preservar el derecho a la intimidad –genética– del sujeto al que perte-necen dichas muestras.

A nuestro juicio, el régimen de destrucción de las muestras que se dispone en la regulación portuguesa podría ser un mo-delo a seguir y a incorporar en nuestro ordenamiento jurídi-co. El mismo se encuentra regulado en el art. 34 de la citada Lei n.º 5/2008, de 12 de fevereiro y varía en función del tipo de muestra22. En síntesis, las muestras de personas volunta-rias y condenadas se eliminan una vez que se ha obtenido el perfil de ADN. Para la destrucción de las restantes muestras –excepto las obtenidas del arguido– este precepto se remite a los plazos señalados en el art. 26.1 de la misma ley (relativo a la cancelación de perfiles de ADN y datos personales)23. En lo atinente a las muestras del arguido se establece que únicamente pueden ser utilizadas como medio probatorio en el respectivo proceso, puesto que, como ya hemos seña-lado anteriormente, no está permitida la inscripción de los identificadores obtenidos a partir de las mismas y, para saber cuándo deben destruirse dichas muestras hemos de acudir al art. 25.2 de la Lei de Régime Jurídico das Perícias Mé-dico-Legais e Forenses (Lei n.º 45/2004, de 19 de Agosto), que determina que las muestras deben conservarse durante dos años, período tras el cual habrán de ser destruidas por el servicio médico-legal, salvo que el tribunal hubiese comuni-cado decisión en contra24.

20 SOLETO MUÑOZ, H., La identificación del imputado: rueda, fotos, ADN… De los métodos basados en la percepción a la prueba científica, Tirant lo Blanch, Valencia, 2009, p. 161. 21 DE HOYOS SANCHO, M., «Profundización en la cooperación trans-fronteriza…», op. cit., p. 178.22 El contenido de este precepto se completa con el art. 13 de la Delib-eração n.º 3191/2008, de 3 de dezembro que, principalmente, obliga a la destrucción del material biológico existente en el soporte inicial y de todos sus derivados y refiere la necesidad de documentar la destrucción de la muestra en el formulario habilitado a tal fin en el anexo IV de dicha norma.23 Régimen que es acorde con el derecho a la intimidad genética y con el derecho a la autodeterminación informativa. 24 Cfr. sobre este particular, MONIZ, H., «Parâmetros adjetivos, cons-

gicas y realizar los pertinentes análisis genéticos, pero que no estuviese permitida la inscripción de los datos relativos a sus identificadores genéticos hasta que estos sujetos no hayan adquirido el estatus de encausado. De este modo se garantizaría el derecho a la intimidad genética y a la auto-determinación informativa de los sujetos a los que todavía no se les haya atribuido judicial y formalmente la comisión de un hecho punible, teniendo en cuenta además que su falta de implicación con los hechos objeto de investigación puede ser acreditada antes de que esto ocurra y, por consiguiente, puede no llegar a abrirse la fase de juicio oral contra ellos17.

En segundo lugar, resulta igualmente problemático el art. 9.1 de la Ley Orgánica 10/2007 que establece que los plazos para proceder a la cancelación de datos inscritos se corres-ponden, principalmente, con el período que necesariamente debe transcurrir para que se produzca la prescripción del de-lito o la cancelación de los antecedentes penales, esta última –salvo resolución judicial en contrario– cuando se emita una sentencia condenatoria firme o absolutoria por la concurren-cia de causas eximentes por falta de imputabilidad o culpa-bilidad. Ahora bien, si se dicta auto de sobreseimiento libre o sentencia absolutoria por causas distintas de las anterior-mente citadas, la inscripción habrá de cancelarse una vez que dichas resoluciones sean firmes18.

Pues bien, el inconveniente principal de este precepto, al margen de que podría estar desarrollado de una forma mucho más detallada y específica atendiendo al tipo de perfil gené-tico en particular, como ocurre en el caso portugués (ex art. 26 de la citada Lei n.º 5/2008, de 12 de fevereiro), estriba en que, como con acertado criterio pone de relieve SOLETO MUÑOZ, “el sospechoso que no ha sido imputado puede te-ner que soportar un plazo de cancelación mucho mayor del imputado absuelto19, y lo mismo puede ocurrir respecto de

17 Sin embargo, la regulación existente en Portugal sobre esta materia tampoco permite la inscripción de los perfiles del arguido, es decir, estos sujetos pueden ser objeto de una medida de toma de muestras biológicas indubitadas a fin de que se realice la oportuna prueba de ADN, cuyo resul-tado podrá obviamente ser utilizado como prueba en el proceso penal en curso, pero los perfiles/identificadores genéticos que se extraigan a partir del análisis no podrán ser inscritos ni, por tanto, empleados en el marco de futuras investigaciones. Sólo se pueden inscribir los perfiles genéticos una vez que los sujetos son condenados, lo que a la postre supone un obstáculo a la operatividad y eficiencia de la base de datos portuguesa. Vid. los arts. 8.1, 15, 18 y 34.2 de la Lei n.º 5/2008, de 12 de fevereiro.18 Según el art. 9.2, en el caso de datos pertenecientes a personas falleci-das, éstos se cancelarán de oficio una vez el encargado de la base de datos tenga conocimiento del fallecimiento del sujeto inscrito. A continuación, este apartado dispone que “en los supuestos contemplados en el art. 3.1 b), los datos inscritos no se cancelarán mientras sean necesarios para la finalización de los correspondientes procedimientos”. Por su parte, el art. 9.1 también prevé que “en los supuestos en que en la base de datos existiesen diversas inscripciones de una misma persona, correspondientes a diversos delitos, los datos y patrones identificativos se mantendrán hasta que finalice el plazo de cancelación más amplio” y el art. 9.4 establece que “los identificadores obtenidos a partir del ADN respecto de los que se de-sconozca la identidad de la persona a la que corresponden, permanecerán inscritos en tanto se mantenga dicho anonimato. Una vez identificados, se aplicará lo dispuesto en este artículo a efectos de su cancelación”.19 Pensemos aquí particularmente en los casos en los que se dictan sen-tencias absolutorias por la concurrencia de causas eximentes por falta de imputabilidad o culpabilidad.

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Si el afectado se opusiera a la recogida de las muestras, podrá imponerse su ejecución forzosa mediante el recurso a las medidas coactivas mínimas indispensables para su eje-cución, que deberán ser en todo caso proporcionadas a las circunstancias del caso y respetuosas con su dignidad”.

De la mano de dicha previsión se ha dado cumplimien-to a las exigencias previstas, en lo tocante a la inclusión de perfiles de condenados en la base de datos de ADN, en el artículo 37 del Convenio del Consejo de Europa para la pro-tección de los niños contra la explotación y el abuso sexual, hecho en Lanzarote el 25 de octubre de 2007, ratificado por España el 22 de julio de 2010, así como en la jurisprudencia del Tribunal Europeo de Derechos Humanos, tal y como se declara en la propia Exposición de Motivos de la citada Ley Orgánica 1/2015.

Sin duda, la trascendencia de este precepto radica en que con el mismo se vino a contemplar, por primera vez, de for-ma explícita en nuestro ordenamiento jurídico la posibilidad de recurrir a medidas de coacción física para la toma de muestras biológicas indubitadas, obtención de perfiles ge-néticos e inscripción de los mismos en las bases de datos y, ello, en relación a un sujeto pasivo en particular, esto es, el condenado por delitos graves y siempre que exista un peli-gro relevante de reincidencia. Tal medida resulta de notable utilidad en el marco de la investigación por cuanto así se pueden salvar las situaciones en las que en el proceso pe-nal y, más en particular, durante el transcurso de la fase de instrucción, no se hubiesen realizado las oportunas pruebas de ADN, de suerte que si se cumplen las condiciones estipu-ladas en el referido art. 129 bis, se podrán practicar dichas pruebas al sujeto que ya haya sido condenado e inscribir los identificadores de ADN obtenidos a partir de las mismas en la base de datos policial, con la finalidad primordial de que éstos puedan utilizarse en la investigación futura de otros de-litos.

Allende, en este precepto se ha añadido una interesante garantía, toda vez que la realización de los análisis genéti-cos se limita a “los identificadores que revelan únicamente la identidad de la persona y de su sexo”, que forman parte de lo que se denomina como ADN no codificante25. Esta exigen-cia se recogía ya en el art. 4 de la L.O. 10/2007, pero sola-mente en relación a la inscripción de dichos identificadores en la base de datos. En nuestra opinión, la garantía debe ser doble y referirse tanto al análisis como a la inscripción, por lo que sería recomendable que se contemplase así expresa-mente tanto en uno como en otro precepto.

25 En efecto, sólo puede reputarse proporcional y, por consiguiente, líci-to y constitucional analizar esta clase de ADN, ya que, en principio –aun-que existen matices–, a partir del mismo únicamente se pueden extraer los datos estrictamente necesarios para identificar a una persona, mas no es posible adquirir otra clase de información de naturaleza más íntima, relati-va a la salud del sujeto presente y futura, información ésta que sí se obtiene a partir del ADN codificante. Acerca de las diferencias entre ADN codifi-cante y ADN no codificante, vid. entre otros autores, CARUSO FONTÁN, V., «Base de datos policiales…», op. cit., pp. 144 y 148-149 y MORA SÁNCHEZ, J.M., Aspectos sustantivos y procesales de la tecnología del ADN, Comares, Granada, 2001, pp. 18-21.

3. ÚLTIMAS REFORMAS NORMATIVAS: EL RECURSO

A LA COACCIÓN FÍSICA

La regulación de las intervenciones corporales y, más en concreto, de las pruebas de ADN es una de las materias que en el ámbito del procedimiento penal ha generado mayor crí-tica por parte de la Doctrina y ha dado lugar, ante la ausencia de soluciones legales expresas, a una abundante jurispruden-cia. La situación se ha mantenido inmutable durante un largo período de tiempo. No obstante, recientemente, en medio de la vorágine de reformas legales en la que nos hemos visto inmiscuidos durante este año, se han introducido singulares cambios normativos, particularmente, en lo que concierne a la práctica de las medidas de obtención de muestras biológi-cas indubitadas. En este contexto debemos, pues, abordar el estudio del nuevo art. 129 bis del Código Penal, así como de la nueva redacción del art. 520.6 c) de la LECrim.

El nuevo art. 129 bis del Código Penal Con la Ley Orgánica 1/2015, de 30 de marzo, por la que

se modifica la Ley Orgánica 10/1995, de 23 de noviembre, del Código Penal, que entró en vigor el 1 de julio de 2015, se incorporó a este cuerpo legal, dentro de los preceptos dedica-dos a regular las consecuencias accesorias, un nuevo artícu-lo, el 129 bis, el cual dispone que:

“Si se trata de condenados por la comisión de un delito grave contra la vida, la integridad de las personas, la liber-tad, la libertad o indemnidad sexual, de terrorismo, o cual-quier otro delito grave que conlleve un riesgo grave para la vida, la salud o la integridad física de las personas, cuando de las circunstancias del hecho, antecedentes, valoración de su personalidad, o de otra información disponible pueda valorarse que existe un peligro relevante de reiteración de-lictiva, el juez o tribunal podrá acordar la toma de muestras biológicas de su persona y la realización de análisis para la obtención de identificadores de ADN e inscripción de los mismos en la base de datos policial. Únicamente podrán lle-varse a cabo los análisis necesarios para obtener los iden-tificadores que proporcionen, exclusivamente, información genética reveladora de la identidad de la persona y de su sexo.

titucionais e de direito comparado na estrutura das soluções legais previs-tas na Lei n.º 5/2008, de 12 de fevereiro» en VV.AA. (MACHADO, H. / MONIZ, H. org.), Base de Dados Genéticos Forenses. Tecnologias de controlo e ordem social, Coimbra Editora, Coimbra, 2014, p. 57. En lo que concierne a la regulación portuguesa también existen otros aspectos que podrían ser trasladados a nuestra regulación. Por ejemplo, en el artículo 2 de la Lei n.º 5/2008 se prevé una relación de conceptos que, a nuestro pare-cer, resulta de una importante utilidad. Se explican con claridad conceptos como amostra problema (muestra dubitada), amostra referencia (mues-tra indubitada), marcador genético, perfil de ADN o datos personales. Además, en el artículo 11 de la misma norma se preceptúa que, “excepto en los casos de manifiesta imposibilidad debe reservarse una parte bastante y suficiente de muestra para la realización del contra-análisis”. Por otro lado, el sistema de ficheros portugués y de cruce de datos es encomiable desde el punto de vista de los derechos a la intimidad –genética– y a la au-todeterminación informativa de los sujetos pasivos y se establece en el art. 15 de la Lei n.º 5/2008. Cfr. acerca de esta cuestión, CORTE REAL, F., «A base de dados forense portuguesa (Lei n.º 5/2008)» en VV. AA., A Base de Dados de perfis de DNA em Portugal, CNECV, Coimbra, 2012, p. 65.

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Por otro lado, este precepto se refiere estrictamente a la realización de frotis bucal sin tener en cuenta la posibili-dad de efectuar –en función de las singularidades del caso en concreto– otro tipo de medidas de intervención corporal leve, como una extracción capilar o sanguínea. Finalmente, utiliza –al igual que el art. 129 bis del Código Penal– la ex-presión de “medidas coactivas mínimas indispensables” que, quizás, resulta un tanto vaga y genérica.

4. REFLEXIONES FINALES

A modo de reflexión final, podemos referir que la regu-lación existente en España sobre la materia relativa a las pruebas de ADN –aun habiéndose insertado el art. 129 bis del Código Penal y teniendo en cuenta la nueva redacción del art. 520. 6 c) de la LECrim, que representan sin duda un destacable avance– continúa siendo insuficiente. Lo que en verdad se precisa es una regulación completa, acabada y sistematizada de las pruebas de ADN y de las intervenciones corporales, en el marco de un nuevo texto de reforma íntegra del proceso penal, cuya aprobación parece por el momento más que dificultosa, habida cuenta de los múltiples intereses que se encuentran enfrentados.

Por otro lado y en lo que concierne a la base de datos poli-cial de ADN, si bien su regulación es, como ya hemos indica-do, en líneas generales, acorde con las exigencias del Tribu-nal Europeo de Derechos Humanos, podría ser mejorada en determinados aspectos, particularmente en lo que se refiere al hecho de que se contemplen los sospechosos como sujetos pasivos de la inscripción, a los períodos de cancelación de datos inscritos y al sistema de conservación y destrucción de muestras biológicas, aspectos en relación a los cuales –espe-cialmente en lo que atañe a los dos últimos– podría tomarse como referente o modelo la regulación portuguesa.

Finalmente, como última conclusión, resta advertir que la temática de las pruebas de ADN todavía dará mucho más juego a la hora de estudiar y dilucidar sus entresijos, pues los avances científicos no cesarán de provocar problemas en la esfera jurídica, especialmente en lo que respecta al derecho a la intimidad genética y al derecho a la autodeterminación informativa.

5. REFERENCIAS BIBLIOGRÁFICAS

ABEL LLUCH, X., «Cuerpo del delito e identificación formal del delincuente. Especial consideración de la toma de

indicios racionales suficientes de criminalidad (una de las exigencias di-manantes del principio de proporcionalidad), pero que hayan sido deteni-dos por la policía como medida cautelar provisionalísima. Vid. acerca de este particular aspecto, RICHARD GONZÁLEZ, M., “Requisitos para la toma de muestras de ADN del detenido e impugnación de las que constan en la base de datos policial de ADN según el Acuerdo del Tribunal Supre-mo de 24 de septiembre de 2014 en esta materia”, en Diario La Ley, 8445, Sección Tribuna, 19 de Diciembre de 2014, pp. 5-6. Es preciso reseñar que las consideraciones ofrecidas por este autor no están directamente rel-acionadas con el contenido del art. 520. 6 c) de la LECrim, pero podrían hacerse extensibles al mismo.

La Ley Orgánica 13/2015, de 5 de octubre, de modifica-ción de la Ley de Enjuiciamiento Criminal para el fortale-cimiento de las garantías procesales y la regulación de las medidas de investigación tecnológica

Por su parte, con la Ley Orgánica 13/2015, de 5 de octubre, de modificación de la Ley de Enjuiciamiento Criminal para el fortalecimiento de las garantías procesales y la regulación de las medidas de investigación tecnológica, se dotó de nue-va redacción al art. 520 de la LECrim. En este contexto resul-ta de particular interés el apartado 6 c) de dicho precepto, en cuyo párrafo primero se dispone que la asistencia del aboga-do consistirá en “informar al detenido de las consecuencias de la prestación o denegación de consentimiento a la prác-tica de diligencias que se le soliciten”. De dicha previsión se infiere –siguiendo la línea jurisprudencial mayoritaria26– que para que el detenido preste su consentimiento a fin de so-meterse a una medida de obtención de muestras biológicas indubitadas resulta preceptiva la asistencia letrada.

Asimismo, su párrafo segundo se decanta de nuevo por el uso de la coacción física en el ámbito de la investigación penal al preconizar que “si el detenido se opusiera a la reco-gida de las muestras mediante frotis bucal, conforme a las previsiones de la Ley Orgánica 10/2007, de 8 de octubre, reguladora de la base de datos policial sobre identificadores obtenidos a partir del ADN, el juez de instrucción, a instan-cia de la Policía Judicial o del Ministerio Fiscal, podrá im-poner la ejecución forzosa de tal diligencia mediante el re-curso a las medidas coactivas mínimas indispensables, que deberán ser proporcionadas a las circunstancias del caso y respetuosas con su dignidad”. Empero, a nuestro juicio, esta medida debería haberse dispuesto en relación al imputado –ahora investigado–, en la línea propuesta por el Anteproyec-to para un nuevo proceso penal de 2011 –ya frustrado– y por el Borrador de Código Procesal Penal de 2013 –cuyo futuro todavía es incierto–, y no estrictamente respecto del deteni-do, a fin de evitar eventuales problemas en la praxis, pues debemos preguntarnos aquí ¿qué ocurre si el sujeto inves-tigado no se encuentra detenido? ¿Será menester proceder a su detención? Quizá el legislador esté pensando que en la mayoría de las investigaciones de los delitos en relación a los cuales se efectúan pruebas de ADN lo más habitual es que se practique la detención del investigado, pero quizá también con esta previsión se podría correr el riesgo de que se llegase a producir un uso abusivo de este tipo de medida cautelar personal27.

26 Cfr., entre otras, SSTS 685/2010, de 7 de julio y 827/2011, de 25 de octubre y 600/2013, de 10 de julio y también el Acuerdo del Pleno No Jurisdiccional de la Sala Segunda del Tribunal Supremo de 24 de septi-embre de 2014. No obstante, en nuestra opinión, la asistencia letrada debe ser preceptiva con independencia de si el sujeto afectado por la medida se encuentra o no detenido.27 Para proceder a una detención deben concurrir inexcusablemente de-terminados presupuestos, relativos fundamentalmente a la presencia de fumus boni iuris y periculum in mora. Vid. sobre esta cuestión, ASENCIO MELLADO, J. M., Derecho Procesal Penal¸ Tirant lo Blanch, Valencia, 2015, pp. 212-213. Con el comentado art. 520. 6 c), párrafo segundo, tam-bién se podría llegar a una malinterpretación, en el sentido de realizar la prueba de ADN a sujetos en relación a los cuales no hayan recaído todavía

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SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017 | DIRITTO

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SRScienze e Ricerche

8.

SRScienze e RicercheBIMENSILE - N. 20 (1° GENNAIO 2016)

ISSN 2283-5873

PERCORSI DELLO SGUARDO

Rapporti tra dimensioni visive

e altre discipline

a cura diOrnella Castiglione

ORNELLA CASTIGLIONE - IntroduzioneSAMUELE BRIATORE - Spettacolo e Sonoro per immagini. La spettacolarità nella Phonurgia Nova di A. Kircher. Dall’ottica all’acustica, dallo sguardo al suonoROBERTO DE ROMANIS - L’invenzione della fotografia: un’utopia alchemica in epoca illuministaKATIA PARONITTI - Lo sguardo sull’altro. Cinema italiano e antropologia dell’immigrazioneVINCENZO TAURIELLO - La logica delle immagini ipermediali: Ender’s Game e il cinema mainstream hollywoodiano. Il pianale (flatbed) come forma simbolicaISMAELA GOSS - I puzzle film: la visione tra cognizione e affettivitàRAFFAELE MARZO - Oltre il visibile: la Costituzione italiana e i suoi riflessiLUCA BENVENGA - La sottocultura “cool” d’oltremanica: immagini e stereotipi del Modernismo in Gran BretagnaFEDERICO O. OPPEDISANO - Il design audiovisivo tra narrazione filmica e convergenze semantichenei nuovi mediaENRICO CICALÒ - Percezione Visiva - Rappresentazione Grafica. A/RCLAUDIA CAMICIA - Dall’Orbis Pictus al silent book: l’illustrazione nel libro per ragazzi. Cenni storici e considerazioni psico-pedagogicheVINCENZA ROSIELLO - Il volto e l’anima delle macchine nella letteratura ingleseGIULIANA SCOTTO - Lo spazio dissolto nella luce: La Lama di Massimiliano Fuksas a Roma

www.scienze-ricerche.it - [email protected]

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Comitato scientifico

N. 46 (MARZO 2017)

Maria Grazia Bridelli (Università degli Studi di Parma)Giacomo Mauro D’Ariano (Università degli Studi di Pavia)Alessandra De Lorenzi (Università Ca’ Foscari Venezia)Carlo del Papa (Università degli Studi di Udine)Andrea Ferrara (Scuola Normale Superiore)Roberto Fieschi (Università degli Studi di Parma)Andrea Frova (Sapienza Università di Roma)Alessandro Gabrielli (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Maurizio Iori (Sapienza Università di Roma)Gaetano Lanzalone (Università degli Studi di Enna Kore)Luca Malagoli (Istituto A. Volta di Sassuolo)Lino Miramonti (Università degli Studi di Milano)Annamaria Muoio (Università degli Studi di Messina)Alessandro Pascolini (Università degli Studi di Padova)Luigi Pilo (Università degli Studi dell’Aquila)Nicola Umberto Piovella (Università degli Studi di Milano)Franco Taggi (Istituto Superiore di Sanità)

Area 03. Scienze chimiche

Vincenzo Barone (Scuola Normale Superiore)Ignazio Blanco (Università degli Studi di Catania)Vincenzo Brandolini (Università degli Studi di Ferrara)Irene Dini (Università degli Studi di Napoli Federico II)Francesca Caterina Izzo (Università Ca’ Foscari Venezia)Marcello Locatelli (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Salvatore Lorusso (Alma Mater Studiorum Università di Bo-

logna)Placido Mineo (Università degli Studi di Catania)Neri Niccolai (Università degli Studi di Siena)Stefano Protti (Università degli Studi di Pavia)Andrea Pucci (Università di Pisa)Carmela Saturnino (Università degli Studi della Basilicata)Pietro Tagliatesta (Università degli Studi di Roma Tor Ver-

AMBITO A - SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE,

CHIMICHE E DELLA TERRA

Area 01. Scienze matematiche e informatiche

Elena Agliari (Sapienza Università di Roma)Stefano Bistarelli (Università degli Studi di Perugia)Andrea Bonfiglioli (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Lorenzo Carlucci (Sapienza Università di Roma)Umberto Cerruti (Università degli Studi di Torino)Luca Di Persio (Università degli Studi di Verona)Alberto Facchini (Università degli Studi di Padova)Luca Granieri (Università degli Studi di Napoli Federico II)Paola Magnaghi-Delfino (Politecnico di Milano)Paolo Maria Mariano (Università degli Studi di Firenze)Vito Napolitano (Università degli Studi della Campania Lu-

igi Vanvitelli)Linda Pagli (Università di Pisa)Mario Pavone (Università degli Studi di Catania)Giorgio Riccardi (Università degli Studi della Campania Lu-

igi Vanvitelli)Gloria Rinaldi (Università degli Studi di Modena e Reggio

Emilia)Brunello Tirozzi (Sapienza Università di Roma)Pietro Ursino (Università degli Studi dell’Insubria)Guido Zaccarelli (Università degli Studi di Modena e Reggio

Emilia)

Area 02. Scienze fisiche

Fabrizio Arciprete (Università degli Studi di Roma Tor Ver-gata)

Franco Bagnoli (Università degli Studi di Firenze)Adriano Barra (Sapienza Università di Roma)Alessio Bosio (Università degli Studi di Parma)

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IL COMITATO SCIENTIFICO | SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017

Nicola Zambrano (Università degli Studi di Napoli Federico II)

Area 06. Scienze mediche

Amedeo Amedei (Università degli Studi di Firenze)Adriano Angelucci (Università degli Studi dell’Aquila)Nicola Avenia (Università degli Studi di Perugia)Cesario Bellantuono (Università Politecnica delle Marche)Antonio Brunetti (Università degli Studi Magna Græcia di

Catanzaro)Marco Cambiaghi (Università degli Studi di Torino)Marco Carotenuto (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)Angelo Cazzadori (Università degli Studi di Verona)Maria Esposito (Università degli Studi della Campania Luigi

Vanvitelli)Paolo Francesco Fabene (Università degli Studi di Verona)Davide Festi (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)Lucio Achille Gaspari (Università degli Studi di Roma Tor

Vergata)Maurizio Giuliani (Università degli Studi dell’Aquila)Roberta Granese (Università degli Studi di Messina)Paolo Gritti (Università degli Studi della Campania Luigi

Vanvitelli)Ciro Isidoro (Università degli Studi del Piemonte Orientale

Amedeo Avogadro)Antonio Simone Laganà (Università degli Studi di Messina)Angelo Lavano (Università degli Studi Magna Græcia di Ca-

tanzaro)Filomena Mazzeo (Università degli Studi di Napoli Parthe-

nope)Massimo Miniati (Università degli Studi di Firenze)Letteria Minutoli (Università degli Studi di Messina)Luigi Muratori (Alma Mater Studiorum Università di Bolo-

gna)Francesco Orzi (Sapienza Università di Roma)Letizia Polito (Alma Mater Studiorum Università di Bolo-

gna)Edoardo Raposio (Università degli Studi di Parma)Giuseppina Rizzo (Università degli Studi di Messina)Elisabetta Rovida (Università degli Studi di Firenze)Davide Schiffer (Università degli Studi di Torino)Tullio Scrimali (Università degli Studi di Catania)Leandra Silvestro (Università degli Studi di Torino)Bartolomeo Valentino (Università degli Studi della Campa-

nia Luigi Vanvitelli)Marco Zaffanello (Università degli Studi di Verona)

Area 07. Scienze agrarie e veterinarie

Sergio Angeli (Libera Università di Bolzano)Monica Colitti (Università degli Studi di Udine)Francesco Contò (Università degli Studi di Foggia)Edo D’Agaro (Università degli Studi di Udine)Tullia Gallina Toschi (Alma Mater Studiorum Università di

gata)Vincenzo Villani (Università degli Studi della Basilicata)

Area 04. Scienze della Terra

Vincenzo Artale (Enea)Giovanni Bruno (Politecnico di Bari)Claudio Cassardo (Università degli Studi di Torino)Michele Lustrino (Sapienza Università di Roma)Enrico Miccadei (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Silvia Peppoloni (istituto Nazionale di Geofisica e Vulcano-

logia)Laura Pinarelli (Consiglio Nazionale delle Ricerche)Adriano Ribolini (Università di Pisa)Giovanni Santarato (Università degli Studi di Ferrara)Michele Saroli (Università degli Studi di Cassino e del Lazio

Meridionale)

AMBITO B - SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE

Area 05. Scienze biologiche

Silvia Arossa (Università Politecnica delle Marche)Giuseppe Barbiero (Università della Valle d’Aosta)Mario Bortolozzi (Università degli Studi di Padova)Maurizio Francesco Brivio (Università degli Studi dell’In-

subria)Stefania Bulotta (Università degli Studi Magna Græcia di

Catanzaro)Antonella Carsana (Università degli Studi di Napoli Fede-

rico II)Bruno Cicolani (Università degli Studi dell’Aquila)Renata Cozzi (Università degli Studi Roma Tre)Pierangelo Crucitti (Società Romana di Scienze Naturali)Roberta Di Pietro (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Guglielmina Froldi (Università degli Studi di Padova)Erminio Giavini (Università degli Studi di Milano)Gianni Guidetti (Università degli Studi di Pavia)Caterina La Porta (Università degli Studi di Milano)Fabrizio Loreni (Università degli Studi di Roma Tor Ver-

gata)Stefania Marzocco (Università degli Studi di Salerno)Fabrizio Mattei (Istituto Superiore di Sanità)Elisabetta Meacci (Università degli Studi di Firenze)Salvatore Nesci (Alma Mater Studiorum Università di Bo-

logna)Mario Pestarino (Università degli Studi di Genova)Giovanni Fulvio Russo (Università degli Studi di Napoli Par-

thenope)Roberto Sandulli (Università degli Studi di Napoli Parthe-

nope)Valeria Specchia (Università del Salento)Renata Viscuso (Università degli Studi di Catania)

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SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017 | IL COMITATO SCIENTIFICO

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Bernardino Romano (Università degli Studi dell’Aquila)Cesare Renzo Romeo (Politecnico di Torino)Giovanni Santi (Università di Pisa)Vincenzo Sapienza (Università degli Studi di Catania)Michelangelo Savino (Università degli Studi di Padova)Massimiliano Savorra (Università degli Studi del Molise)Maria Grazia Turco (Sapienza Università di Roma)Antonella Violano (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)

Area 09. Ingegneria industriale e dell’informazione

Sergio Baragetti (Università degli Studi di Bergamo)Salvatore Brischetto (Politecnico di Torino)Eugenio Brusa (Politecnico di Torino)Federico Cheli (Politecnico di Milano)Gianpiero Colangelo (Università del Salento)Giorgio De Pasquale (Politecnico di Torino)Sergio Della Valle (Università degli Studi di Napoli Federico

II)Alberto Gallifuoco (Università degli Studi dell’Aquila)Giancarlo Genta (Politecnico di Torino)Alessio Giorgetti (Scuola Superiore Sant’Anna di Studi Uni-

versitari e di Perfezionamento)Giada Giorgi (Università degli Studi di Padova)Agostino Giorgio (Politecnico di Bari)Massimo Guarnieri (Università degli Studi di Padova)Giuliana Guazzaroni (Università Politecnica delle Marche)Francesco Iacoviello (Università degli Studi di Cassino e del

Lazio Meridionale)Luigi Landini (Università di Pisa)Francesco Lattarulo (Politecnico di Bari)Basilio Lenzo (Sheffield Hallam University - UK)Vinicio Magi (Università degli Studi della Basilicata)Carlo MannaSalvo Marcuccio (Università di Pisa)Raffaele Marotta (Università degli Studi di Napoli Federico

II)Emilio Matricciani (Politecnico di Milano)Luciano Mescia (Politecnico di Bari)Dino Musmarra (Università degli Studi della Campania Lu-

igi Vanvitelli)Anna Gina Perri (Politecnico di Bari)Carlo Eugenio Rottenbacher (Università degli Studi di Pa-

via)Carlo Santulli (Università degli Studi di Camerino)Gaetano Valenza (Università di Pisa)Silvano Vergura (Politecnico di Bari)Gabriele Virzì Mariotti (Università degli Studi di Palermo)Antonio Zuorro (Sapienza Università di Roma)

Bologna)Alessandra Mazzeo (Università degli Studi del Molise)Gianfranco Militerno (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Giuseppe Morello (Università degli Studi di Palermo)Alessandra Pelagalli (Università degli Studi di Napoli Fe-

derico II)Patrizia Serratore (Alma Mater Studiorum Università di Bo-

logna)Dominga Soglia (Università degli Studi di Torino)Francesco Sottile (Università degli Studi di Palermo)Antonio Stasi (Università degli Studi di Foggia)Francesco Vizzarri (Università degli Studi del Molise)Aldo Zechini D’Aulerio (Alma Mater Studiorum Università

di Bologna)

AMBITO C - SCIENZE DELL’INGEGNERIA E

DELL’ARCHITETTURA

Area 08. Ingegneria civile e Architettura

Filippo Angelucci (Università degli Studi G. D’Annunzio Chieti Pescara)

Michele Betti (Università degli Studi di Firenze)Alberto Bologna (Politecnico di Torino Università degli Stu-

di di Genova)Francesco Saverio Capaldo (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Alessandra Carlini (Università degli Studi Roma Tre)Orazio Carpenzano (Sapienza Università di Roma)Arnaldo Cecchini (Università degli Studi di Sassari)Carlo Coppola (Università degli Studi della Campania Luigi

Vanvitelli)Alessandra Cucurnia (Università degli Studi di Firenze)Sebastiano D’Urso (Università degli Studi di Catania)Elena Dellapiana (Politecnico di Torino)Caterina Cristina Fiorentino (Università degli Studi della

Campania Luigi Vanvitelli)Antonio Formisano (Università degli Studi di Napoli Fede-

rico II)Giada Gasparini (Alma Mater Studiorum Università di Bo-

logna)Francesca Giglio (Università Mediterranea di Reggio Cala-

bria)Francesca Giofrè (Sapienza Università di Roma)Anna Granà (Università degli Studi di Palermo)Angela Giovanna Leuzzi (Università degli Studi di Came-

rino)Angelo Luongo (Università degli Studi dell’Aquila)Michele Mossa (Politecnico di Bari)Maurizio Oddo (Università degli Studi di Enna Kore)Ivana Passamani (Università degli Studi di Brescia)Giovanni Perillo (Università degli Studi di Napoli Parthe-

nope)Lucia Pietroni (Università degli Studi di Camerino)

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IL COMITATO SCIENTIFICO | SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017

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Sonia Saporiti (Università degli Studi del Molise)Raimondo Secci (Alma Mater Studiorum Università di Bo-

logna)Matteo Segafreddo (Università Ca’ Foscari Venezia)Giuseppe Solaro (Università degli Studi di Foggia)Silvia Stucchi (Università Cattolica del Sacro Cuore, Mila-

no)Alessandro Teatini (Università degli Studi di Sassari)Immacolata Tempesta (Università del Salento)Paolo Torresan (Università Ca’ Foscari Venezia)Patrizia Torricelli (Università degli Studi di Messina)Maria Grazia Tosto (Conservatorio di Musica Statale Fausto

Torrefranca)Guido Vannini (Università degli Studi di Firenze)Gabriella Vanotti (Università degli Studi del Piemonte

Orientale Amedeo Avogadro)Maria Teresa Zanola (Università Cattolica del Sacro Cuore)

Area 11. Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Mario Alai (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)Giovanni Arduini (Università degli Studi di Cassino e del

Lazio Meridionale)Barbara Barcaccia (Sapienza Università di Roma e Associa-

zione di Psicologia Cognitiva-Scuola di Psicoterapia Co-gnitiva srl APC-SPC)

Marta Bertolaso (Università Campus Bio-Medico di Roma)Sergio BonettiLeonardo Caffo (Università degli Studi di Torino)Andrea Candela (Università degli Studi dell’Insubria)Anna Rosa Candura (Università degli Studi di Pavia)Paolo Carusi (Università degli Studi Roma Tre)Luciano Celi (Università degli Studi di Trento - CNR)Rosa Cera (Università degli Studi di Foggia)Margherita Ciervo (Università degli Studi di Foggia)Stefano Colloca (Università degli Studi di Pavia)Rosa Conte (Università di Macerata)Vincenzo CrosioGiuseppe Curcio (Università degli Studi dell’Aquila)Francesca Cuzzocrea (Università degli Studi di Messina)Marco D’Addario (Università degli Studi di Milano Bicocca)Maria D’Ambrosio (Università degli Studi Suor Orsola Be-

nincasa)Chiara d’Auria (Università degli Studi di Salerno)Fabrizio Dal Passo (Sapienza Università di Roma)Paola Dal Toso (Università degli Studi di Verona)Daria De Donno (Università del Salento)Renata De Lorenzo (Università degli Studi di Napoli Fede-

rico II)Barbara De Serio (Università degli Studi di Foggia)Mirko Di Bernardo (Università degli Studi di Roma Tor Ver-

gata)Isabella Gagliardi (Università degli Studi di Firenze)Uberta Ganucci Cancellieri (Università per Stranieri Dante

Alighieri di Reggio Calabria)

AMBITO D - SCIENZE DELL’UOMO, FILOSOFICHE,

STORICHE, LETTERARIE E DELLA FORMAZIONE

Area 10. Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche

Enrico Acquaro (Alma Mater Studiorum Università di Bo-logna)

Emanuela Andreoni Fontecedro (Università degli Studi Roma Tre)

Donella Antelmi (IULM - Libera Università di Lingue e Co-municazione)

Angelo Ariemma (Sapienza Università di Roma)Carlo Beltrame (Università Ca’ Foscari Venezia)Antonella Benucci (Università per Stranieri di Siena)Alessandra Calanchi (Università degli Studi di Urbino Carlo

Bo)Gian Paolo Caprettini (Università degli Studi di Torino)Giovanna Carloni (Università degli Studi di Urbino Carlo

Bo)Ornella Castiglione (Università degli Studi di Milano Bicoc-

ca)Maria Catricalà (Università degli Studi Roma Tre)Fulvia Ciliberto (Università degli Studi del Molise)Carla Comellini (Alma Mater Studiorum Università di Bo-

logna)Massimiliano David (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Cosimo De Giovanni (Università degli Studi di Cagliari)Roberto De Romanis (Università degli Studi di Perugia)Pierangela Diadori (Università per Stranieri di Siena)Emanuele Ferrari (Università degli Studi di Milano Bicocca)Francesca Ghedini (Università degli Studi di Padova)Antonio Lucio Giannone (Università del Salento)Mirko Grimaldi (Università del Salento)Maria Teresa Guaitoli (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Rosa Lombardi (Università degli Studi Roma Tre)Anna Manna (Sapienza Università di Roma)Paola Martinuzzi (Università Ca’ Foscari Venezia)Maria Grazia MeriggiTrinis Antonietta Messina Fajardo (Università degli Studi di

Enna Kore)Anna Lucia Natale (Sapienza Università di Roma)Paolo Nitti (Università degli Studi di Torino)Gianni Nuti (Università della Valle d’Aosta)Gaetano Oliva (Università Cattolica del Sacro Cuore)Alessio Persic (Università Cattolica del Sacro Cuore)Marco Perugini (Università degli Studi Guglielmo Marconi)Paola Radici Colace (Università degli Studi di Messina)Vincenza RosielloDomenico Russo (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Mariagrazia Russo (Università degli Studi della Tuscia)Mariarosa Santiloni (Fondazione Ippolito e Stanislao Nievo)Matteo Santipolo (Università degli Studi di Padova)

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SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017 | IL COMITATO SCIENTIFICO

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Gabriella Valera (Università degli Studi di Trieste)Angelo Ventrone (Università di Macerata)Renato Vignati (Università di Macerata)

AMBITO E - SCIENZE GIURIDICHE, ECONOMICHE E

SOCIALI

Area 12. Scienze giuridiche

Gaetano Armao (Università degli Studi di Palermo)Elena Bellisario (Università degli Studi Roma Tre)Angela Busacca (Università Mediterranea di Reggio Cala-

bria)Catalisano Giovanni (Università degli Studi di Palermo)Antonietta Chiantia (Università degli Studi di Messina)Daniele Coduti (Università degli Studi di Foggia)Angela Cossiri (Università di Macerata)Maria Raquel de Almeida Graça Silva Guimarães (Universi-

dade do Porto - Portugal)Giovanni Di Cosimo (Università di Macerata)Lorenzo Gagliardi (Università degli Studi di Milano)Giancarlo Guarino (Università degli Studi di Napoli Fede-

rico II)Rolandino Guidotti (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Inés Celia Iglesias Canle (Universidad de Vigo - España)Agostina Latino (Università degli Studi di Camerino)Antonio Maria Leozappa (Università degli Studi Niccolò

Cusano)Massimiliano Mancini (Sapienza Università di Roma)Simone Mezzacapo (Università degli Studi di Perugia)Silvia Nicodemo (Alma Mater Studiorum Università di Bo-

logna)Marco Gaetano Pulvirenti (Università degli Studi di Catania)Biancamaria Raganelli (Università degli Studi di Roma Tor

Vergata)Carlo Rasia (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)Francesco Rende (Università degli Studi di Messina)Gennaro Rotondo (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)Gianpaolo Maria Ruotolo (Università degli Studi di di Fog-

gia - King’s College London)Fabrizia Santini (Università degli Studi del Piemonte Orien-

tale Amedeo Avogadro)Lorenzo Scillitani (Università degli Studi del Molise)Domenico Siclari (Università per Stranieri Dante Alighieri

di Reggio Calabria)Giuseppe Spoto (Università degli Studi Roma Tre)Nicola Triggiani (Università degli Studi di Bari Aldo Moro)Anna Lucia Valvo (Università degli Studi di Enna Kore)Maria Rosaria Viviano (Università degli Studi della Campa-

nia Luigi Vanvitelli)

Maria Amata Garito (UTIU - Università Telematica Interna-zionale Uninettuno)

Lia Giancristofaro (Università degli Studi G. D’Annunzio Chieti Pescara)

Enrico Giora (Università Vita-Salute San Raffaele)Antonio Godino (Università del Salento)Massimiliano Gollin (Università degli Studi di Torino)Paola Gremigni (Alma Mater Studiorum Università di Bo-

logna)Domenico Ienna (Sapienza Università di Roma)Alessandra Cecilia Jacomuzzi (Università Ca’ Foscari Ve-

nezia)Caterina Lombardo (Sapienza Università di Roma)Paola Magnano (Università degli Studi di Enna Kore)Pasqualino Maietta Latessa (Alma Mater Studiorum Univer-

sità di Bologna)Gianna Marrone (Università degli Studi Roma Tre)Stefano Maso (Università Ca’ Foscari Venezia)Stefania Giulia Mazzone (Università degli Studi di Catania)Paolo Molinari (Università Cattolica del Sacro Cuore)Leone Montagnini (Biblioteche di Roma)Federica Monteleone (Università degli Studi di Bari Aldo

Moro)Giovanni Moretti (Università degli Studi Roma Tre)Laura Moschini (Università degli Studi Roma Tre)Giuseppe Motta (Sapienza Università di Roma)Antonella Nuzzaci (Università degli Studi dell’Aquila)Susanna Pallini (Università degli Studi Roma Tre)Claudio Palumbo (Università degli Studi di Parma)Rossano Pazzagli (Università degli Studi del Molise)Luciana Petracca (Università del Salento)Irene Petruccelli (Università degli Studi di Enna Kore)Olimpia Pino (Università degli Studi di Parma)Emanuele Poli (Università degli Studi di Pavia)Francesco Randazzo (Università degli Studi di Perugia)Luca Refrigeri (Università degli Studi del Molise)Orsola Rignani (Università degli Studi di Firenze)Franco Riva (Università Cattolica del Sacro Cuore)Milena Sabato (Università del Salento)Leonardo Sacco (Sapienza Università di Roma)Stefano Salmeri (Università degli Studi di Enna Kore)Flavia Santoianni (Università degli Studi di Napoli Federico

II)Marco Santoro (Università degli Studi Suor Orsola Benin-

casa)Paolo Scarpi (Università degli Studi di Padova)Antonio Scornajenghi (Università degli Studi Roma Tre)Vincenzo Paolo Senese (Università degli Studi della Campa-

nia Luigi Vanvitelli)Fabrizio Manuel Sirignano (Università degli Studi Suor Or-

sola Benincasa)Stefano Soriani (Università Ca’ Foscari Venezia)Domenico Tafuri (Università degli Studi di Napoli Parthe-

nope)Anna Toscano (Campus Numérique Arménien - UCLy,

Lyon)

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Elena Getana Faraci (Università degli Studi di Catania)Ugo Frasca, (Università degli Studi di Napoli Federico II)Sara Gentile (Università degli Studi di Catania)Michele Lanna (Università degli Studi della Campania Luigi

Vanvitelli)Andrea Lombardinilo (Università degli Studi G. D’Annun-

zio Chieti Pescara)Maurizio LozziVincenzo Memoli (Università degli Studi di Catania)Andrea Millefiorini (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)Fortunato Musella (Università degli Studi di Napoli Federico

II)Cristiana Ottaviano (Università degli Studi di Bergamo)Paola Panarese (Sapienza Università di Roma)Gianluca Pastori (Università Cattolica del Sacro Cuore)Pasquale Peluso (Università degli Studi Guglielmo Marconi)Mario Pesce (Università degli Studi Roma Tre)Valentina Possenti (Centro Nazionale di Epidemiologia,

Sorveglianza e Promozione della Salute dell’Istituto Su-periore di Sanità)

Irene Ranaldi (Sapienza Università di Roma)Andrea Spreafico (Università degli Studi Roma Tre)Luca Toschi (Università degli Studi di Firenze)Roberto Veraldi (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Fabio Zucca (Università degli Studi dell’Insubria)

Area 13. Scienze economiche e statistiche

Rossella Agliardi (Alma Mater Studiorum Università di Bo-logna)

Vincenzo Asero (Università degli Studi di Catania)Antonio Attalienti (Università degli Studi di Bari Aldo Moro)Giuliana Birindelli (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Domenico Bodega (Università Cattolica del Sacro Cuore)Sabrina Bonomi (Università degli Studi eCampus)Antonio Botti (Università degli Studi di Salerno)Luigi Bottone (Università Carlo Cattaneo - LIUC)Rossella Canestrino (Università degli Studi di Napoli Par-

thenope)Antonio Capaldo (Università Cattolica del Sacro Cuore)Antonella Cappiello (Università di Pisa)Laura Castellucci (Università degli Studi di Roma Tor Ver-

gata)Fausto Cavallaro (Università degli Studi del Molise)Luciano Consolati (Università degli Studi Guglielmo Mar-

coni)Gaetano Cuomo (Università degli Studi di Napoli Federico

II)Mariantonietta Fiore (Università degli Studi di Foggia)Massimo Franco (Università degli Studi di Napoli Federico

II)Riccardo Gallo (Sapienza Università di Roma)Massimiliano Giacalone (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Pierpaolo Giannoccolo (Alma Mater Studiorum Università

di Bologna)Pierpaolo Magliocca (Università degli Studi di Foggia)Giuseppe Marotta (Università degli Studi di Modena e Reg-

gio Emilia)Monica Palma (Università del Salento)Elisa Pintus (Università della Valle d’Aosta)Maria Cristina Quirici (Università di Pisa)Alessia Sammarra (Università degli Studi dell’Aquila)Barbara Scozzi (Politecnico di Bari)Claudio Socci (Università di Macerata)Michela Soverchia (Università di Macerata)Riccardo Stacchezzini (Università degli Studi di Verona)Caterina Tricase (Università degli Studi di Foggia)Erica Varese (Università degli Studi di Torino)

Area 14. Scienze politiche e sociali

Luca Benvenga (Università del Salento)Giovanni Borriello (Università degli Studi Roma Tre)Domenico Carbone (Università degli Studi del Piemonte

Orientale Amedeo Avogadro)Luigi Colaianni (Università degli Studi di Padova)Ivo Colozzi (Alma Mater Studiorum Università di Bologna)Paolo Corvo (Università degli Studi di Scienze Gastronomi-

che)Giuliana Costa (Politecnico di Milano)