ISSN 2039-6503 L’Osservatorio sul diritto di famiglia · I diritti del malato, il giudice e la...

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ISSN 2039-6503 Anno X - n. 1/2/3 - gennaio-dicembre 2017 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% C1/LU/851 L’emendamento Cnf alla riforma del processo di famiglia I trasferimenti immobiliari della crisi coniugale La legge 112 del 2016 c.d. “legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio fascicolo 1/2/3 • gennaio-dicembre 2017 L’Osservatorio sul diritto di famiglia Diritto e processo

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L’emendamento Cnf alla riforma del processo di famiglia

I trasferimenti immobiliari della crisi coniugale

La legge 112 del 2016 c.d. “legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”

Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

fascicolo 1/2/3 • gennaio-dicembre 2017

L’Osservatorio suldiritto di famiglia

Diritto e processo

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fascicolo 1/2/3 • gennaio-dicembre 2017

L’Osservatorio sul diritto di famiglia

L’Osservatorio sul diritto di famigliaPeriodico dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia

Anno I, n. 1/2/3 - gennaio-dicembre 2017Autorizzazione del tribunale di Pisa n. 372/2017 del 22 marzo 2017

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% C1/LU/851

Amministrazione e redazioneOsservatorio nazionale sul diritto di famiglia

Via San Martino, 51 - 56125 PisaTel 050/26205

[email protected]

Direttore responsabileProf. Avv. Claudio Cecchella

Comitato editorialeGiulia Albiero, Elena Babucci, Grazia Castauro, Valeria Cianciolo, Emanuela Comand, Francesco Campione, Cesare Fossati, Michela Labriola, Luigi Liberti, Silvia Manildo, Beatrice Maranò, Valeria Mazzotta, Andrea Mengali, Rita Prinzi, Roberta Ruggeri, Giancarlo Savi, Gianluca Vecchio, Francesca Zadnik.

Comitato scientifico dei revisoriProf. Avv. Bruno Barel (Università di Padova); Dr. Geremia Casaburi (Tribunale di Napoli); Prof. Avv. Romolo Donzelli (Università di Macerata); Avv. Gianfranco Dosi (Presidente onorario ONDiF); Prof. Avv. Giovanna Falzone (Università di Cagliari); Prof. Avv. Michele Lupoi (Università di Bologna); Prof. Avv. Mauro Paladini (Università di Brescia); Prof. Avv. Salvatore Patti (Università di Roma La Sapienza); Prof. Ilaria Queirolo (Università di Genova); Dott. Rita Russo (Corte di appello di Catania); Dr. Francesco Sartorio (Tribunale di Treviso); Prof. Stefania Stefanelli (Università di Perugia); Prof. Andrea Sassi (Università di Perugia); Dr. Paolo Sceusa (Presidente tribunale per i minorenni di Trento); Prof. Avv. Giovanni Maria Uda (Università di Sassari).

Gli articoli e le note a sentenza, prima della pubblicazione sono sottoposti in forma anonima all’approvazione di due revisori del Comitato scientifico, scelti di volta in volta dalla direzione in base alle specifiche competenze, Qualora vi sia dissenso, la Direzione nominerà un terzo revisore. Se la pubblicazione è condizionata dai revisori a modifiche o integrazioni, la direzione curerà prima della pubblicazione l’avvenuta integrazione o modifica suggerita.

Note a sentenza e articoli, muniti di indice sommario con indicazione dei paragrafi e note in calce per i necessari riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, devono essere trasmessi a [email protected] oppure [email protected] in formato word e non pdf, con la sentenza epurata dei riferimenti sensibili e anch’essa in formato word, massimata e preparata secondo le indicazioni editoriali.

ImpaginazioneDavid Nieri

StampaTipografia Monteserra S.n.c. - Vicopisano (PI) - Febbraio 2018

Il numero unico annuale riproduce foto di alcune delle opere più significative del pittore Andy Warhol (Pittsburg, 6 agosto 1928 - New York 22 febbraio 1987), figura predominante del movimento della Pop art ed uno dei più influenti artisti del XX secolo.

Diritto e processo

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Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia

Presidente

Prof. Avv. Claudio Cecchella

Comitato esecutivo

Prof. Avv. Claudio Cecchella, Pres.; Avv. Giulia Albiero (Messina); Avv. Francesca Bruno (Cosenza); Avv. Grazia Castauro (Brescia); Avv. Emanuela Comand (Udine); Avv. Angela Crovetti (Sassari); Avv. Franca Ferrara (Cagliari); Avv. Michela Labriola (Bari); Avv. Silvia Manildo (Treviso); Avv. Rita Prinzi (Cuneo); Avv. Giancarlo Savi (Macerata)

Consiglio della Scuola nazionale dell’Osservatorio

Prof. Avv. Claudio Cecchella, Pres.; Avv. Germana Bertoli (Torino); Avv. Giuseppina Cennamo (Campobasso); Avv. Maria Teresa de Scianni (Salerno); Avv. Michela Fugaro (Brescia); Avv. Lucia Maffei (Matera); Avv. Valeria Mazzotta (Bologna); Avv. Clara Mecacci (Grosseto); Avv. Francesca Salvia (Palermo); Avv. Rosa Savincelli (Crotone)

Elenco Responsabili RegionaliAbruzzo

D’Angelo Maria Grazia, via C. Battisti 2, 64011 Alba Adriatica (Teramo) - [email protected]

BasilicataMaffei Lucia Elsa, via Ferruccio Parri 15, 75100 Matera - [email protected]

CalabriaMarincolo Michele, Piazza De Gasperi 11, 87067 ROSSANO (CS) - [email protected]

CampaniaD’Ambrogio Fernanda, Largo Daniel Bovet 1, 81100 CASERTA - [email protected]

CampaniaTerracciano Scognamiglio Ivana, Piazza Nicola Amore 14, 80138 Napoli - [email protected]

Emilia RomagnaMazzotta Valeria, via della Zecca 1, 40121 BOLOGNA - [email protected]

Friuli Venezia GiuliaComand Emanuela, via Rialto 6, 33100 Udine - [email protected]

LazioDi Cretico Anna, via Tommaso Costa 16, 04023 Formia - [email protected]

LiguriaFossati Cesare, Corso Buenos Aires 8/24, 16129 Genova - [email protected]

LombardiaCottali Simona, via Gerolamo Romanino 1, 25122 Brescia - [email protected]

MarcheCerboni Bajardi Annunziata, viale della Vittoria 176, 61121 Pesaro - [email protected]

MoliseCennamo Giuseppina, via Matteotti 7, 86100 Campobasso - [email protected]

PiemonteOmero Serenella, viale Cagna 29/1, 12078 Ormea (CN) - [email protected]

PugliaRomanelli Claudia, via P. Amedeo 36, 70121 Bari - [email protected]

SardegnaPittorra Annalisa, Corso Garibaldi 6B, 08100 Nuoro - [email protected]

SiciliaChimento Angela, via Pola 11, Catania - [email protected]

ToscanaGenovesi Cinzia, Scali D’Azeglio 14, 57126 Livorno - [email protected]

Trentino Alto AdigeZadra Raffaella, via Duca d’Aosta 51 39100 Bolzano - [email protected]

VenetoZadra Raffaella, via Duca d’Aosta 51 39100 Bolzano - [email protected]

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EDITORIALE

5 ONDiF Associazione specialistica e forense maggior-mente rappresentativa, il ruolo istituzionale e formativo di un’Associazione specialistica

Claudio Cecchella

DOTTRInA

7 Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile

Emendamento approvato dal C.n.f.

12 L’emendamento Cnf alla riforma del processo di famiglia Claudio Cecchella

15 Profili ordinamentali della riforma del giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni, dopo l’emendamento Cnf

Roberta Ruggeri

18 I trasferimenti immobiliari nella crisi coniugale Valeria Cianciolo

33 Brevi note sull’assegnazione e revoca della casa coniugale Grazia Castauro

36 La coordinazione genitoriale: conoscerne le origini per importare uno strumento maturo con una storia, basi scientifiche e regole di garanzia

Claudia Piccinelli

39 I vizi del consenso nell’adozione di maggiorenne Francesca Alessi

DOSSIER

41 La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017: “norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”

41 Norme in materia di consenso informato e di disposi-zione anticipate di trattamento

Lettura critica del disegno di legge n. 3599 approvato dalla Camera dei Deputati il 20 aprile 2017

Emanuela Comand

48 Legge 22 giugno 2016, n. 112

51 Legge 22 dicembre 2017, n. 219

54 La cura della persona al confine tra la vita e la morte: la legge sul biotestamento, le cure palliative

Michela Labriola

57 Note sulla legge n. 112 del 2016 “Sul dopo di noi” Valeria Mazzotta

63 Scelte di fine vita: il lessico e le regole Panorama internazionale e le prospettive italiane Luigi Gaudino

69 Dignità del vivere e del morire I diritti del malato, il giudice e la legge. Il caso Englaro Gabriella Luccioli

74 Il testamento biologico Antonella Trapanese

79 Conclusioni Matilde Giammarco

80 Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

90 La rilevanza del “tenore di vita” dei con-sorti nel ricono-scimento del contributo al mantenimento in regime di separazione personale e dell’assegno post-coniugale

Giancarlo Savi

107 La giurisprudenza di merito sull’assegno di divorzio, due opinioni a confronto

122 L’assegno di divorzio nelle recenti pronunce di merito Michela Labriola

125 Il nuovo che sa tanto di vecchio Gabriella Luccioli

128 Contro l’ostinazione della prima sezione può essere utile ricordare il secondo e il terzo comma dell’art. 376 c.p.c.

Gianfranco Dosi

130 Ipotesi di emendamento alla proposta di legge Ferranti n. 4605 della Camera dei deputati, a seguito dell’Audi-zione del 12 novembre 2017

Claudio Cecchella

SOmmAriO

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133 La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’av-vocatura familiarista

133 Il ruolo dell’avvocato nelle procedure di negoziazione assistita. Le nuove norme deontologiche

Andrea Mengali

138 La negoziazione dei diritti del minore Claudio Cecchella

152 Negoziazione assistita e trascrizione nei registri immo-biliari: chi autentica la firma?

Michela Labriola

LE uLTIMISSIME DALLA GIuRISPRuDEnzA

155 Persone, minori e famiglia Rassegna di giurisprudenza del giudice di legittimità A cura di Cesare Fossati e Francesca Zadnik

186 Successioni Valeria Cianciolo

189 Giurisprudenza Cedu Valeria Mazzotta

LA GIuRISPRuDEnzA AnnOTATA

196 Il ricorso straordinario per cassazione dei provvedimen-ti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale

Francesca Ferrandi

199 Nota alla sentenza n. 23633/16 della S.C. sul ricorso straordinario ex art. 111 Cost.

Grazia Castauro

206 Maso chiuso. Per la Consulta è illegittima la preferenza dei maschi nei confronti delle femmine

Valeria Cianciolo

212 Note sull’addebito: quando il diavolo tenta di mettere lo zampino… anche nelle aule di giustizia

Lucia Maffei

216 Lettura orientata dell’art. 316 bis c.c., nota a due decreti del 2015 e 2016 del Tribunale di Taranto

Maria Beatrice Maranò

RECEnSIOnI

218 Non la picchiare così, sola contro la mafia di Francesco Minervini

Michela Labriola

220 “L’Orco in Canonica”: un viaggio dentro se stessi Lettura del romanzo verità scritto dal prof. Paolo Cen-

don Maria Beatrice Maranò

223 Barbara Poliseno, Profili di tutela del minore nel pro-cesso civile

Claudio Cecchella

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5L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-dicembre 2017

eDitOriALe

1. Negli anni 2016 e 2017, l’Osservatorio è stato impegna-to a valorizzare il suo ruolo istituzionale, attraverso l’assidua partecipazione, anche in sede di audizione parlamentare e ministeriale, ai lavori di riforma del processo delle relazio-ni familiari e dei minori, che ha trovato nella Commissione famiglia del Consiglio nazionale forense, presieduta dall’Avv. Maria Masi, la cassa di risonanza di istanze e idee proveniente non solo dall’Avvocatura familiarista, ma anche dalle Associa-zioni dei magistrati ordinari e minorili.

La prospettiva, intensamente perseguita da ONDiF, di una unità dell’Avvocatura specializzata, in sintonia con le associa-zioni dei magistrati, è stata solo parzialmente raggiunta, ma le iniziative dell’Osservatorio, anche nella prossima imminente legislatura, proseguiranno ancora con il costante obiettivo di un confronto continuo, in vista di una progettualità condivisa dagli Avvocati (tutti) e dai Magistrati.

Sono stati tuttavia già raggiunti obiettivi importanti: l’elabo-razione di un emendamento (c.d. emendamento C.n.f.), che sarà oggetto di esame in questo numero della Rivista, fatto proprio dalla relatrice al disegno di legge delega, la senatrice Filippin. L’emendamento offre una elaborazione che non po-trà essere trascurata nelle iniziative del nuovo Parlamento, a seguito delle elezioni politiche del 2018. È inoltre importante segno di affermazione del ruolo centrale dell’Avvocatura in sede di riforma del sistema, che spezza il monopolio delle Associazioni dei Magistrati.

L’emendamento ha poi trovato il consenso dell’A.n.m., delle più importanti associazioni familiariste dell’Avvocatura (fir-matarie, oltre a ONDiF, Cammino, Ami; Aiaf, che ha parteci-pato attivamente ai lavori, ha preferito distinguersi per alcuni aspetti che non modificano l’impianto generale della riforma; su posizioni contrarie, da ultimo, l’Unione camere minorili in sintonia con Aimmf).

La struttura ordinamentale del nuovo organo specializzato mutuata dal giudice di sorveglianza con la sua articolazione circondariale e distrettuale è accettata da tutti, come anche la codificazione di alcune garanzie difensive fondamentali nel rito mutuato dal processo di separazione e divorzio, la di-scussione verte invece sull’annosa questione della presenza del giudice laico nella camera di consiglio, nell’ambito civili-stico, essendo condivisa invece nell’ambito penale.

2. L’ulteriore impegno istituzionale è stato la partecipazione a tut-te le iniziative del Cnf e recentemente di Ocf, l’Organismo nato dal Congresso di Rimini, con l’avvertenza, che ha costituito for-

male delibera dell’Esecutivo di ONDiF che l’Ocf non può essere la duplicazione del Cnf, con il rischio di creare le divisioni del recente passato in seno all’Avvocatura, ma semplicemente l’orga-no del Congresso destinato ad assumere le opportune iniziative per l’attuazione delle delibere approvate, in questa prospettiva soltanto ONDiF intende proseguire la sua collaborazione.

3. Il 23 giugno 2017, una data storica per l’Osservatorio: le do-mande per l’inserimento dell’Associazione nell’elenco delle Asso-ciazioni specialistiche maggiormente rappresentative e nell’elen-co della Associazioni forensi maggiormente rappresentative sono state approvate dal plenum del Consiglio nazionale forense. È un grande successo di tutti gli iscritti, dei dirigenti locali e naziona-li dell’Associazione, degli iscritti alla EFl (European family law), presieduta dal Prof. Salvatore Patti, che hanno aderito all’Osser-vatorio. Premio dell’intenso lavoro degli ultimi mesi che inse-risce ONDiF in una posizione di assoluto rilievo sul piano isti-tuzionale, e non solo, come associazione specialistica e forense.

4. Accogliendo l’invito del Cnf di avviare, in sintonia con le delibere e i regolamenti approvati, una Scuola di Alta for-mazione specialistica in diritto di famiglia, nonostante le turbolenze giudiziarie sul regolamento ministeriale (dopo la sentenza del Consiglio di Stato del dicembre 2017 l’impianto generale della specializzazione è stato confermato, salvo la in-dividuazione delle specializzazioni e delle modalità di accer-tamento dello specialista per esercizio continuativo), ONDiF ha perfezionato un accordo con la Scuola Superiore dell’Av-vocatura, delegata dallo stesso Cnf, e l’università di Romatre, costituendo il Comitato scientifico e il Comitato di gestione della Scuola ed elaborando in sintonia con i Partners un pro-gramma biennale, diffuso presso soci e avvocati interessati.

La Scuola ha avuto un importante riconoscimento, consen-tendo la partecipazione di circa 200 colleghi, sia presso la sede romana e sia con modalità streaming presso le sedi di Cuneo, Brescia, Bolzano, Udine, Reggio E., Bologna, Pisa, Bari, Messina.

In questo modo ONDiF riafferma la sua vocazione origina-ria, che è comunque l’impegno nella formazione specialistica, mettendo, in adesione al massimo organo forense e all’Uni-versità, in opera i presupposti di formazione dei colleghi che beneficeranno presumibilmente del regime transitorio nell’ac-quisizione del titolo di specialista.

Il Corso di alta specializzazione è stata poi l’occasione per un confronto sui grandi temi del diritto di famiglia di avvoca-ti, magistrati e docenti universitari.

ONDiF ASSOciAziONe SPeciALiSticA e FOreNSe mAggiOrmeNte rAPPreSeNtAtivA, iL ruOLO iStituziONALe e FOrmAtivO Di uN’ASSOciAziONe SPeciALiSticACLAuDIO CECChELLAPresidente di ONDiF

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6 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-dicembre 2017

eDitOriALe

5. Sempre sul piano della formazione, sulla scia delle nume-rose iniziative delle Sezioni, che sono il vanto della Associa-zione, è stato progettata un’iniziativa formativa nuova pro-iettata sull’Europa. Il Forum annuale si è infatti scisso in tre moduli dedicati alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla famiglia, il primo tenutosi a Roma all’hotel Mariott, il secondo il 13 e 14 aprile a Roma al teatro Golden, a due fer-mate di metropolitana da Termini, sul tema della violenza e della crisi nella giurisprudenza Cedu, e il terzo modulo, in novembre 2018, in luogo da stabilirsi sul tema del processo innanzi alla Corte. L’intento dell’evento formativo è quello di preparare gli avvocati alla dimensione europea del diritto, in particolare a rappresentare i propri clienti davanti alla Corte, ai fini della tutela dei diritti fondamentali dei minori e delle persone fragili.

ONDiF ha partecipato ad un bando per il finanziamento dell’evento, ottenendo il Contributo della Cassa Previdenza, che ha riconosciuto l’alto valore formativo dell’iniziativa.6. Si sta aprendo proprio in questi giorni una nuova stagio-ne, in cui le associazioni specialistiche saranno al centro delle iniziative e dei dibattiti dell’Avvocatura, quella di una inter-locuzione non solo periodica o occasionale con il Cnf, spe-rimentata in questi due anni, ma istituzionalizzata mediante la creazione di un Comitato delle Associazioni specialistiche, fondato su un atto costitutivo, in cui l’impulso progettuale e formativo delle associazioni specialistiche entra in un interlo-cuzione continua con il Consiglio Nazionale forense.

L’atto costitutivo è stato siglato a Roma il 15/12.ONDiF non mancherà a contribuire come protagonista al

nuovo organismo dell’avvocatura.

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7L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-dicembre 2017

DOttriNA

Premessa

Il sistema attuale di una giustizia per le persone, le relazioni familiari e i minorenni, con una distribuzione delle compe-tenze civili tra Tribunale per i Minorenni e Tribunale Ordi-nario descrive una grave difficoltà di coordinamento di pro-cedimenti, riti e provvedimenti che incidono sui diritti delle Persone e della Famiglia.

Nella presente proposta, sul piano ordinamentale, il model-lo tribunale per i minorenni-tribunale ordinario viene supera-to, con una unificazione delle competenze in un unico ufficio, che coniughi le esigenze di vicinanza della Giustizia al citta-dino sul piano territoriale, con la specializzazione del giudice ed infine con la dovuta attenzione alle risorse esistenti (anche sul piano della spesa pubblica).

All’uopo sarà necessario oltre che opportuno rimodulare la priorità degli investimenti economici del settore Giustizia.

L’efficacia di una Riforma importante, soprattutto per il settore Minori e Famiglia, non può prescindere da un serio investimento in termini di risorse, per l’edilizia giudiziaria, per l’ampliamento della pianta organica dei magistrati e degli operatori amministrativi.

L’unificazione delle competenze e l’unitarietà dell’organo giudicante può essere raggiunta, in una prospettiva genera-le che coinvolga la giurisdizione civile, nonché quella penale minorile (per la spiccata interdipendenza e le potenziali in-terrelazioni fra i due ambiti), con un modello che si ispiri al sistema del giudice di sorveglianza penale.

Queste premesse hanno indotto il CNF a sollecitare un con-fronto con le Associazioni Specialistiche al fine di elaborare una proposta comune, nell’esclusivo interesse dei soggetti vulnerabili e della tutela piena ed efficace dei loro diritti.

La proposta di emendamento di seguito trascritta è frutto, pertanto, del prezioso e qualificato contributo delle Asso-ciazioni Specialistiche AMI; CAMMINO; OSSERVATORIO NAZIONALE SUL DIRITTO DI FAMIGLIA; UNIONE NA-ZIONALE CAMERE MINORILI, le quali, collaborando con la Commissione Famiglia del Consiglio nazionale Forense, han-no ritenuto di poter condividere il contenuto del documento integralmente (con la sola eccezione delle Camere Minorili che, pur condividendo l’impianto Generale della proposta, rinviano al proprio documento per alcuni distinguo).

Ha collaborato e aderisce alla proposta anche la Camera Ci-vile.

emendamento (Roma, 2 febbraio 2017)1

All’art. 1, comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente:

1) “Istituire l’ufficio del giudice per la persona, le relazioni fami-liari e i minorenni, assicurando che l’attività sia esercitata in am-bienti e locali separati, adeguati ai minori di età e alle esigenze che derivano dalla natura dei procedimenti attribuiti alle sezioni;2) sopprimere il tribunale per i minorenni e l’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale per i minori, operando le conseguenti necessarie abrogazioni e modifiche delle disposizioni vigenti;3) prevedere che l’ufficio del giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni di cui al numero 1) giudichi

3.1) quanto al primo grado:3.1.1) nell’articolazione distrettuale in composizione colle-giale, integrata da un componente esterno laico, da reclutare presso laureati in pedagogia, psicologia o sociologia, dotato di comprovata esperienza almeno decennale, solo nelle materie in appresso indicate al numero 7)3.1.2) nell’articolazione circondariale in composizione mo-nocratica;

3.2) quanto ai procedimenti in sede di appello contro i prov-vedimenti emessi dal tribunale di cui ai numeri 3.1.1), 3.1.2), dettare una disciplina che preveda l’istituzione, presso le corti di appello e le sezioni distaccate di corte di appello, di sezioni specializzate per la trattazione dei procedimenti in appello, con integrazione di componenti laici, per le materie di competenza della sezione distrettuale di cui al n. 7;

4) prevedere la costituzione di un ufficio del pubblico ministero pres-so l’ufficio del giudice per la persona, le relazioni familiari e i mino-renni di cui al numero 3.1.2), a cui sono attribuite le competenze di cui al numero 8), da esercitarsi dal medesimo ufficio anche in sede circondariale davanti al tribunale in composizione monocratica;5) attribuire in via esclusiva alla competenza dell’articolazione circondariale in di cui al numero 3.1.2) in primo grado:

5.1) i procedimenti attualmente attribuiti al tribunale civile or-dinario in materia di stato e capacità della persona e di rapporti di famiglia, quali:

5.1.1) i procedimenti sulla crisi della coppia, quali separa-zione, divorzio, scioglimento dell’unione civile, affidamento e mantenimento dei figli dei genitori non coniugati, e risoluzio-ne del contratto di convivenza;

1 Scheda Ufficio Studi n. 12/2017.

Senato della repubblicacommissione ii giustiziaAS. 2284DeLegA AL gOverNO recANte DiSPOSiziONiPer L’eFFicieNzA DeL PrOceSSO civiLeemendamento approvato dal c.n.f.

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DOttriNA

5.1.2) le azioni sulla validità del matrimonio, dell’unione ci-vile e dei contratti di convivenza,5.1.3) i procedimenti sulla responsabilità genitoriale (in par-ticolare i procedimenti ex art. 316 c.c., 332, e 333 c.c., sal-vo i procedimenti più gravi di decadenza devoluti al giudice nell’articolazione distrettuale)5.1.4) i procedimenti a tutela delle relazioni del minorenne con gli ascendenti ed altri familiari,5.1.5) gli affidamenti consensuali,5.1.6) l’esecuzione e la modifica di accordi a latere degli ac-cordi di separazione e divorzio,5.1.7) le azioni con contenuto patrimoniale e risarcitorio af-ferenti alla crisi genitoriale, coniugale e familiare,5.1.8) i procedimenti monitori afferenti agli aspetti economici relativi alla crisi genitoriale e coniugale, nonché quelli previsti dalla legge 76/2016 e relative opposizioni,5.1.9) i procedimenti relativi al mantenimento dei figli mag-giorenni,5.1.10) la sottrazione internazionale di minori,5.1.11) le azioni di status personale e le azioni autorizzative (in particolare e a titolo esemplificativo art. 84 c.c., art. 250, IV e u.c. e art. 251 c.c.)5.1.12) i procedimenti di cui all’articolo 31 del decreto legi-slativo 25 luglio 1998, n. 286 recante Testo unico sull’immi-grazione,5.1.13) gli ordini di protezione contro gli abusi familiari con l’assunzione anche di provvedimenti di urgenza a tutela del minore, ai sensi dell’articolo 336 del codice civile, con la pre-visione della rimessione all’articolazione distrettuale collegia-le per l’assunzione di eventuali provvedimenti di decadenza dalla responsabilità genitoriale;5.1.14) i procedimenti di adozione dei maggiorenni;5.1.15) i procedimenti di protezione dei minori stranieri non accompagnati e richiedenti protezione;5.1.16) i procedimenti di cui all’art. 31 T.U. sulla migrazione;

5.2) i procedimenti attualmente attribuiti al tribunale per i mi-norenni, e in particolare quelli di cui all’articolo 38 delle dispo-sizioni di attuazione del codice civile e dall’articolo 32 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modifica-zioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, quali i procedimenti sulla responsabilità genitoriale, fatta eccezione per i più gravi procedimenti di cui all’articolo 330 del codice civile, devoluti all’articolazione distrettuale dell’ufficio del giudice per la perso-na, le relazioni familiari e i minorenni di cui al numero 3.1.1) della presente lettera;5.3) i procedimenti attualmente di competenza del giudice tu-telare;5.4) ogni altro procedimento non espressamente devoluto alla competenza della sezione specializzata distrettuale, nonché i provvedimenti di esecuzione e di attuazione dei provvedimenti relativi ai cd. diritti relazionali;

6) attribuire alla competenza dell’articolazione distrettuale, di cui al numero 3.1.1) della presente lettera, i procedimenti di decaden-za dalla responsabilità genitoriale, di cui all’articolo 330 del codice civile, i reclami sui provvedimenti del giudice monocratico di cui al numero 3.1.2) ovvero del giudice collegiale in diversa composizio-ne di cui ai numeri 3.1.1);7) attribuire alla competenza delle sezioni specializzate distrettua-li in composizione collegiale integrata da un esperto laico, i proce-dimenti penali a carico di imputati minorenni, ai sensi dell’articolo

9 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835 e del DPR 22 settembre 1988, n. 448, procedimenti di adottabilità e di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184; i procedimenti di adozione dei mi-norenni; i procedimenti amministrativi previsti dall’articolo 25 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con mo-dificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835 ed i procedimenti relativi a minorenni sottoposti a programmi di protezione;8) prevedere che, quando l’articolazione monocratica del giudice, all’esito dell’istruttoria, ritenga che, per le caratteristiche della fat-tispecie, sussistano i presupposti per l’adozione di un provvedimen-to di decadenza dalla responsabilità genitoriale, rimetta la causa all’articolazione distrettuale collegiale. Il collegio, previa fissazione di un’udienza collegiale, ove ritenga la causa matura per la deci-sione, decida con sentenza e, se necessario, rimetta la causa al giu-dice monocratico dell’articolazione circondariale per la decisione;9) attribuire alla competenza dell’ufficio del pubblico ministero presso l’ufficio del giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni, le competenze in materia di esercizio dell’azione penale minorile, di esercizio dell’azione civile nei procedimenti di competenza dell’ufficio distrettuale, il ruolo di parte nei procedi-menti civili minorili e l’intervento ai sensi dell’art. 70 c.p.c. nonché le competenze di cui alla l. 162/2014;10) disciplinare il rito dei procedimenti attribuiti all’ufficio del giu-dice unico per la persona, le relazioni familiari e i minorenni di cui al numero 1), secondo criteri di tendenziale uniformità, speditezza e semplificazione, con attuazione piena del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti, compresa la persona di età minore, va-lorizzando i poteri conciliativi del giudice, e in particolare secondo i seguenti criteri:

10.1) disciplinare il procedimento in base ad un modello bifasi-co, che preveda una fase sommaria, per provvedere in via anti-cipatoria ovvero per l’assunzione di provvedimenti da adottare in via di urgenza, ed una fase di merito, secondo le regole di un rito interamente disciplinato dalla legge ma adattabile alla fattispecie concreta;10.2) introduzione del procedimento con ricorso, che assicuri il contraddittorio delle parti prima dell’udienza della fase som-maria; svolgimento di un’udienza di comparizione delle parti entro il termine di 40 giorni dal deposito del ricorso; notifica del ricorso da effettuarsi 30 giorni prima dell’udienza; termine a difesa di 10 giorni prima dell’udienza;10.3) proposizione delle domande e allegazione dei fatti e dei documenti negli atti introduttivi;10.4) previsione della facoltà per le parti di richiedere la pro-nuncia della sentenza parziale di separazione, di divorzio, o scioglimento dell’unione civile sin dalla prima udienza, all’esito dell’adozione dei provvedimenti provvisori;10.5) svolgimento della prima udienza di comparizione delle parti davanti al giudice monocratico circondariale o al collegio distrettuale, il quale:

10.5.1) ascolta le parti, assistite dai loro difensori;10.5.2) ascolta il minore, se necessario, ai sensi dell’articolo 336-bis del codice civile e dell’articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile, in apposita udienza succes-siva, assicurando la videoregistrazione dell’ascolto, con facol-tà del giudice di farsi assistere da un ausiliario e diritto del difensore del minore di partecipare all’ascolto;10.5.3) nomina un curatore speciale, se del caso avvocato, in caso di conflitto di interessi tra il minore ed i suoi rappre-

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sentanti legali ai fini dell’integrazione del contraddittorio e nomina d’ufficio un difensore tecnico ove il curatore non si costituisca o non vi provveda;10.5.4) tenta la conciliazione tra le parti, laddove richiesto;10.5.5) adotta i provvedimenti urgenti o comunque provviso-ri, sinteticamente motivati;10.5.6) dispone per il prosieguo e fissa un termine alle parti per l’articolazione di nuove domande, la allegazione di fatti nuovi e la deduzione di prove ed un termine per la replica, termini decadenziali in materia di diritti disponibili;

10.6) quanto ai provvedimenti provvisori ed urgenti, preveden-do in particolare:

10.6.1) l’applicazione ai provvedimenti anticipatori ed ur-genti, in quanto compatibili, delle disposizioni del procedi-mento cautelare uniforme;10.6.2) la reclamabilità dei provvedimenti provvisori, ai sensi dell’articolo 669-terdecies del codice di procedura civile, da-vanti alle sezioni specializzate del tribunale in composizione collegiale, in diversa composizione qualora siano reclamati provvedimenti collegiali, ovvero in composizione di cui non faccia parte il giudice monocratico, qualora sia reclamato un provvedimento di giudice monocratico;10.6.3) l’ultrattività dei provvedimenti provvisori;10.6.4) la modificabilità e revocabilità, nel giudizio di merito, dei provvedimenti provvisori in caso di modifiche sopravve-nute della situazione di fatto o in diritto, o comunque se non più rispondenti all’interesse del minore o del soggetto vulne-rabile, con provvedimenti reclamabili davanti alle sezioni specializzate in composizione collegiale;10.6.5) prevedere la facoltà per il pubblico ministero di adot-tare, prima dell’apertura del procedimento, su segnalazione dei servizi alla persona o delle forze dell’ordine, provvedi-menti urgenti di allontanamento del minore o del soggetto vulnerabile, in caso di grave pericolo alla sua incolumità, con obbligo di trasmettere immediatamente il provvedimen-to al giudice nell’articolazione monocratica circondariale ai fini della conforma, della modifica o della revoca, sentite le parti le parti interessate, convocate entro e non oltre tre gior-ni dall’adozione del provvedimento; prevedere che il giudice nomini difensori d’ufficio alle parti; reclamabilità del prov-vedimento del giudice monocratico; abrogazione dell’articolo 403 del codice civile;

10.7) quanto alla fase istruttoria, fermi restando i poteri officio-si del giudice a tutela dei soggetti vulnerabili, riconoscimento del pieno diritto alla prova delle parti secondo i seguenti principi:

10.7.1) concentrazione dell’istruzione probatoria, sempre aperta al contraddittorio delle parti e dei loro consulenti;10.7.2) obbligo del giudice di motivare sulle istanze istrutto-rie delle parti nei termini previsti dal codice di rito;10.7.3) disciplina dell’apporto dei servizi alla persona, isti-tuiti o promossi dalla pubblica amministrazione, centrale o periferica, e in particolare dagli enti locali, dalle aziende sa-nitarie locali nonché da soggetti privati con esse convenziona-ti, con salvaguardia dei diritti di difesa e del contraddittorio, sia in fase di indagine psico-socio-ambientale, che in fase di sostegno al nucleo familiare ed alle persone, nonché in fase di esecuzione dei provvedimenti, nell’ipotesi in cui siano ad esso demandati;10.7.4) riordino della disciplina delle garanzie patrimoniali di cui all’articolo 3, comma 2 della legge 10 dicembre 2012,

n. 219, con adozione di un unico modello di cui all’articolo 8 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, con eliminazione del limite del 50%, previsti ai commi 6 e 7;10.7.5) riordino della disciplina dei poteri di indagine del giu-dice, alla luce delle disposizioni di cui all’art. 19, co. 2 con riferimento agli artt. 155 quinquies e sexies c.p.c. e co. 5 della legge 10 novembre 2014, n. 162 di conversione del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132;10.7.6) riordino della disciplina, integrazione, e normativa attuativa della disciplina del Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno (commi 414, 415, 416 legge di stabilità 2016) con ampliamento a tutela dei figli minoren-ni e disciplina del diritto dei coniugi e/o genitori all’accesso all’archivio dei dati finanziari dell’altro coniuge e/o genitore;

10.8) potere del giudice circondariale monocratico di rimettere la questione, all’esito dell’istruttoria, alla sezione specializzata distrettuale collegiale, qualora dalle caratteristiche della fatti-specie sussistano i presupposti per l’adozione di provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale ai sensi dell’artico-lo 330 del codice civile; il collegio, previa fissazione di un’udien-za collegiale, ove ritenga la causa matura per la decisione, de-cide con sentenza e, se necessario, rimette la causa al giudice monocratico per la prosecuzione;10.9) quanto alla fase decisoria, prevedere che il giudice inviti le parti a concludere, fissando termini per la presentazione di memorie conclusionali e per la relativa replica;10.10) prevedere che le decisioni siano rese con sentenza;10.11) quanto al procedimento per l’esecuzione dei provvedi-menti, una disciplina che individui la competenza e determini le sanzioni eventualmente applicabili in caso di inosservanza, prevedendo in particolare:

10.11.1) la competenza del giudice che ha emanato il provvedi-mento per l’esecuzione dei provvedimenti sulle relazioni perso-nali provvisori ed urgenti o comunque interinali ovvero del giu-dice di primo grado per i provvedimenti di carattere definitivo;10.11.2) la disciplina dell’affidamento dei minorenni a terzi, compreso l’affidamento ai servizi sociali;10.11.3) una norma generale sull’attuazione delle misure esecutive, provvisorie e definitive, che assicuri una regola-mentazione del processo esecutivo discrezionale, le cui forme siano stabilite dal giudice competente con provvedimenti re-clamabili al collegio;10.11.4) adeguate misure di esecuzione indiretta e coercitiva, quali quelle già previste dagli articoli 709-ter e 614-bis del codice di procedura civile, con precisazione non tassativa ma esemplificativa delle fattispecie che possono dare luogo a san-zioni, determinate in un minimo ed un massimo, applicate dal giudice;10.11.5) l’eliminazione dei limiti di pignorabilità dei credi-ti alimentari, di cui all’articolo 545 del codice di procedura civile, in ragione della natura di credito etico dei crediti di mantenimento e la trattazione prioritaria di tali procedimen-ti nell’ambito delle procedure esecutive e di opposizione;

10.12) quanto alla fase di impugnazione, prevedere la disciplina delle impugnazioni, secondo i seguenti criteri:10.12.1) disciplina speciale del procedimento di appello avverso i provvedimenti conclusivi dei procedimenti giurisdizionali, che segua lo stesso rito, derogando alle previsioni di cui agli articoli 342, 345 e 348-bis del codice di procedura civile, ad eccezione dei diritti disponibili, ed applicando i termini ordinari;

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10.12.2) disciplina ordinaria del procedimento per il ricorso in cassazione, e applicazione dei termini ordinari;10.12.3) diverso termine di impugnazione pari a trenta gior-ni, decorrenti dalla data di notifica del provvedimento, da effettuarsi a cura degli uffici giudiziari, nelle ipotesi di impu-gnazione di provvedimenti resi nei procedimenti di adottabi-lità e di sottrazione internazionale di minori;

10.13) prevedere che in ambito penale le sezioni specializzate esercitino la giurisdizione secondo le disposizioni sul proces-so penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, previa-mente adeguate alle disposizioni di cui alla presente legge, nella composizione prevista ai sensi del numero 3.1.1;

11) prevedere che i magistrati assegnati all’ufficio del giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni nonché all’ufficio del pubblico ministero presso il giudice per la persona, le relazioni fa-miliari e i minorenni, esercitino le relative funzioni in via esclusiva;12) prevedere che i magistrati dell’ufficio del giudice per la per-sona, le relazioni familiari e i minorenni, i magistrati dell’ufficio del pubblico ministero presso il giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni siano tenuti a partecipare annualmente a specifiche attività di formazione, organizzate dalla Scuola superio-re della magistratura e aventi come obiettivo l’acquisizione di co-noscenze giuridiche ed extragiuridiche necessarie e propedeutiche al migliore esercizio delle funzioni di giudice della famiglia e dei minori; prevedere anche per i componenti laici, con la funzione di integrare i collegi di cui al numero 3.1.3), l’obbligo formativo an-nuale per l’ingresso e la permanenza nella funzione, con specifici approfondimenti sul tema del giusto processo;13) prevedere la rideterminazione delle dotazioni organiche dell’ufficio del giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni di cui al numero 1), nonché degli uffici del pubblico ministero, adeguandole alle nuove competenze, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, attraverso la riorganizzazione e la razionalizzazione di tali risorse, assicurando l’esercizio in via esclusiva delle funzioni attribuite senza determinare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;14) prevedere che i magistrati addetti ai tribunali per i minorenni e agli uffici del pubblico ministero presso i predetti tribunali siano di diritto assegnati, rispettivamente, all’ufficio del giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni nel distretto della corte di appello a cui sono attribuite le funzioni inseguito alla soppres-sione ai sensi del numero 2), salvo il diritto, ove già maturato alla data di entrata in vigore delle norme di attuazione, di proporre domanda di trasferimento ad altro ufficio o di assegnazione ad altro incarico;15) prevedere che i presidenti dei tribunali per i minorenni e i procuratori della Repubblica presso i predetti tribunali siano as-segnati, rispettivamente, all’ufficio del giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni e alla procura presso tale ufficio del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distacca-ta della corte di appello a cui sono attribuite le funzioni in seguito alla soppressione ai sensi del numero 2), con le funzioni di presi-dente dell’ufficio del giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni e di procuratore presso il giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni;16) prevedere e disciplinare, anche con la previsione dell’adozione di decreti ministeriali, l’assegnazione del personale amministrati-vo al giudice e alla procura della Repubblica presso il giudice del

luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello cui sono trasferite le funzioni degli uffici sop-pressi, e stabilire la disciplina per l’assegnazione delle attrezzature dei tribunali per i minorenni soppressi;17) prevedere l’assegnazione dei nuclei di polizia giudiziaria, at-tualmente operanti presso le procure della Repubblica dei tribunali per i minorenni, alle procure della Repubblica presso l’ufficio del giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni;18) prevedere l’emanazione delle necessarie norme transitorie, di attuazione e di esecuzione, nonché di coordinamento con le leggi in materia di tutela morale, fisica ed economica dei minorenni, e di tutte le altre norme integrative che il nuovo ordinamento renderà necessarie”.

motivazione

Il presente emendamento mira a superare l’attuale sistema di una giustizia per le persone, le relazioni familiari e i mino-renni, nel quale le competenze civili risultano distribuite tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario, con gravi dif-ficoltà di coordinamento di procedimenti e di provvedimenti che incidono sui diritti personali delle famiglie e della perso-na di età minore in caso di connessione.

La proposta, sul piano ordinamentale, supera il modello tra-dizionale “tribunale per i minorenni-tribunale ordinario”, e procede alla unificazione delle competenze in un unico ufficio, che coniuga le esigenze di prossimità, nel senso di vicinanza della giustizia al cittadino sul piano territoriale, con la specia-lizzazione del giudice, con la dovuta attenzione alle risorse esistenti (anche sul piano della spesa pubblica).

L’unificazione delle competenze e l’unitarietà dell’organo giudicante può essere raggiunta, in una prospettiva genera-le che coinvolga la giurisdizione civile, nonché quella penale minorile (per la spiccata interdipendenza e le potenziali in-terrelazioni fra i due ambiti), con un modello che si ispiri al sistema del giudice di sorveglianza penale.

Viene dunque prevista una articolazione del tribunale per la persona, le relazioni familiari ed i minorenni sia a livello circondariale, affidando ad un giudice monocratico la com-petenza generale in materia civile, sia a livello distrettuale, affidando le funzioni ad un collegio di tre giudici togati per i procedimenti di decadenza dalla responsabilità genitoriale ovvero il reclamo dei provvedimenti adottati, eventualmente integrato da un componente laico in possesso di comprovata esperienza in talune ipotesi specifiche, quali il processo pena-le minorile ovvero i procedimenti di adozione, di adottabilità, i procedimenti amministrativi a tutela di minorenni ex art. 25 r.d. 1404/1934.

La soluzione presenta benefici evidenti, affidando la mag-gior parte delle competenze all’articolazione periferica, garan-tendo l’attuazione del principio di prossimità ed un miglior rapporto territoriale della parte con il giudice, affidando la competenza speciale civile, per i profili ritenuti più delicati, all’articolazione distrettuale, che giudica in sede collegiale, al cui interno è stata conservata, seppur minoritaria, nelle ma-terie più delicate e nel penale minorile, una componente lai-ca, garantendo in tal modo una maggiore specializzazione in queste materie.

Allo stesso tempo occorre sottolineare che il recupero della monocraticità territoriale e la composizione del collegio da parte degli stessi giudici monocratici a livello distrettuale, as-

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sicura l’unicità della giurisdizione nel settore, con tempi più celeri ed evidenti risparmi in termini di risorse della spesa pubblica.

Viene delineato un processo per la persona, le relazioni fa-miliari e i minorenni, con un modello unico, ma flessibile, disciplinato in ogni fase, ed adattabile alle diverse fattispecie normative nonché al caso concreto, che garantisca in pieno i

principi del contraddittorio e dei diritti di difesa; sono state colmate le lacune macroscopiche in tema di esecuzione dei provvedimenti riguardanti i cd. diritti relazionali della per-sona di età minore; viene abrogato l’incostituzionale art. 403 c.c. e sostituito con un procedimento in cui le garanzie del contraddittorio – seppure differito – e i diritti di difesa ven-gono assicurati.

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1. Le origini dell’emendamento

A seguito dell’intenso lavoro svolto da tutte le Associazioni specialistiche della materia, presso la Commissione famiglia del Consiglio nazionale forense, dopo un confronto anche con Anm e Aimmf, è stato presentato al Senato dalla Senatrice Rosanna Filippin il c.d. emendamento Cnf alla riforma delle competenze e del rito nelle controversie sulle relazioni fami-liari e sui minori. Al termine dei lavori, oltre al Cnf che ha de-liberato con il suo plenum, sottoscrittori dell’emendamento sono stati ONDiF, Cammino e AMI.

2. Profili ordinamentali

Il modello a cui ha attinto e sul quale si conduce da tempo anche la discussione presso magistrati ordinari e minorili è quello della Magistratura di sorveglianza, in sede di esecu-zione penale, con abrogazione delle norme sul tribunale per i minorenni. È abbandonato pertanto il modello del tribunale, sezione lavoro.

Dunque un giudice specializzato unico, con una duplice ar-ticolazione territoriale, costituita da un giudice monocratico circondariale – munito di competenza generale sulla materia – e da un giudice collegiale con sede distrettuale, integrato con i giudici circondariali riuniti in collegio e munito della sola competenza civile in materia di adozione e di decadenza genitoriale, nel solo primo caso con la partecipazione di un membro (sui tre componenti del collegio) laico.

All’organo collegiale, pure con la partecipazione di un mem-bro laico, è affidata la giurisdizione penale, conservandosi l’ufficio della Procura minorile presso l’articolazione distret-tuale come circondariale, a cui affidare, oltre all’azione pena-le, le azioni civili alle quali ha legittimazione.

In tal modo si superano le duplicazioni del passato, quanto alle competenze civili, la tematica intrisa di dubbi e incer-tezze applicative della vis attractiva, ex art. 38 disp. att. e si concede solo nella materia delle adozioni la presenza di un giudice laico, dovendo per tutte le altre controversie, ivi comprese quella sulla decadenza, l’esperto conservarsi nel ruolo dell’ausiliario in sede di consulenza tecnica, come tale sottoposto al contraddittorio dei consulenti di parte, degli avvocati e del p.m.

Si favorisce anche il principio, in una materia così pervasa di diritti personali, spesso nella titolarità di soggetti vulnerabili, della vicinanza territoriale del giudice (il giudice monocratico circondariale).

Ovviamente si costituisce una sezione specializzata della Corte di appello, per gli appelli avverso le sentenze del giudi-ce unico delle persone, delle relazioni familiari e dei minori.

Viene riservato al giudice unico un livello di specializzazio-ne alla pari del giudice del lavoro (seppure con un modello ordinamentale diverso), con assegnazione esclusiva all’organo di giudici specializzati, che hanno seguito un iter formativo specifico e una formazione continua e che vengono riservati al ruolo senza limiti di tempo.

È prevista l’assegnazione dei magistrati attualmente addetti ai tribunali per i minorenni e agli uffici del pubblico ministero presso i predetti tribunali, all’ufficio del giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni, così come il personale am-ministrativo addetto a detti uffici e i nuclei di polizia giudiziaria presso i Tribunali per i minorenni e le Procure della Repubblica.

Infine è prevista la conservazione ai magistrati che presiedo-no i Tribunali per i minorenni e le Procure della Repubblica le funzioni di presidente del nuovo organo.

La soluzione ordina mentale ha poi il pregio ad una dovu-ta attenzione alle risorse esistenti anche sul piano della spe-sa pubblica attraverso la previsione della monocraticità del giudice, anche se nei principi direttivi si stabilisce la rideter-minazione delle dotazioni organiche dell’ufficio nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili alla legislazione vigente.

3. La competenza

Il giudice unico ha una competenza generalizzata, nella sua articolazione circondariale. Ha competenza in particolare sul-le azioni sullo status, sulle azioni sulla crisi delle relazioni fa-miliari (matrimonio, unioni, convivenze) ivi compresi gli or-dini di protezione, sulle azioni sulla validità del vincolo, sulle azioni che riguardano i diritti del minore, sia personali (deca-denze e altre misure sulla responsabilità) che patrimoniali (il contributo di mantenimento), sulle azioni degli ascendenti e dei figli maggiorenni, sulle azioni di contenuto patrimoniale e risarcitorio aventi titolo nel vincolo, sui procedimenti re-golati dalla legge sull’immigrazione a tutela dei minori, sulla sottrazione internazionale del minore, sui provvedimenti di adozione dei figli maggiorenni, sui procedimenti concernenti gli accordi (separazione consensuale, divorzio congiunto), ivi comprese le azioni di modifica anche degli accordi a latere, sulle azioni di esecuzione e attuazione e su ogni altra azione che abbia nelle relazioni familiari il proprio titolo, in una sorta di regola di competenza generalizzata di chiusura.

L’emeNDAmeNtO cNF ALLA riFOrmA DeL PrOceSSO Di FAmigLiACLAuDIO CECChELLAPresidente ONDiF

Sommario: 1. Le origini dell’emendamento. - 2. Profili ordinamentali. - 3. La competenza. - 4. Il rito. La fase sommaria. - 4. Segue. La fase di merito. - 5. Le impugnazioni. - 6. La fase attuativa. - 7. Conclusioni.

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Alla articolazione distrettuale, in composizione togata di cui sono parte i magistrati territoriali, i procedimenti di adozione del minore (con l’integrazione di un esperto nel collegio so-lamente in questo caso) e i procedimenti di decadenza, nella misura più grave (per la funzionalità dei due procedimenti, quello di adozione e quello di decadenza). Ovviamente è affi-data all’articolazione distrettuale anche la giurisdizione pena-le che ha come imputato un minore.

Pure i gravami sulle misure anticipatorie e cautelari sono affidate alla articolazione collegiale.

Il collegamento tra le due articolazioni avviene, come nel caso dell’azione sul falso incidentale, con rimessione della questione sulla decadenza alla articolazione collegiale, la qua-le, se non assume la misura, rimette al giudice monocratico circondariale.

4. il rito. La fase sommaria

Il rito è essenzialmente ispirato, per la buona prova sul pia-no applicativo e delle garanzie, al processo per separazione e divorzio attuale.

Quindi il processo viene ripartito in una duplice fase, una prima fase sommaria necessaria che conduce alle misure inte-rinali e urgenti e una fase di merito.

Un rito scritto, ma adattabile alle peculiarità della fattispe-cie, ispirato a speditezza, semplificazione e soprattutto uni-formità.

L’introduzione avviene con ricorso contenente almeno la do-manda di separazione ed di divorzio – essendo le altre ulte-riori domande ed allegazioni corrispondenti deducibili nella memoria integrativa successiva alla fase sommaria – che con-duce all’udienza di comparizione delle parti innanzi al giudi-ce, il quale ascolta le parti assistite dai difensori, il minore, se necessario, tenta la conciliazione tra le parti e adotta i prov-vedimenti urgenti e provvisori, fissando alle parti il termine decadenziale per le domande, allegazioni in fatto, eccezioni riservate alla parte e prove, da esaurirsi in memorie integrati-ve, decadenza a valere solo per i diritti disponibili (con esclu-sione evidentemente dei diritti del minore).

È di estrema importanza la previsione della nomina di un curatore speciale, in caso di conflitto di interessi con i genitori e, qualora il curatore non provveda alla nomina di un difenso-re tecnico, la nomina di un difensore d’ufficio.

Ai provvedimenti provvisori si applica (finalmente e una volta per tutte) le disposizione del processo cautelare unifor-me, con il richiamo alla disciplina piena del reclamo (innanzi all’articolazione collegiale) anche per i provvedimenti di revo-ca e modifica del giudice istruttore, l’ultra attività delle misure e la loro revocabilità e modificabilità solo in caso di sopravve-nienze o qualora non più rispondenti agli interessi del minore o del soggetto vulnerabile.

Sul richiamo espresso alla disciplina del processo cautelare uniforme, è opportuno ricordare altresì la (finalmente) abro-gazione dell’art. 403 c.c., prevedendosi una misura del p.m. in apertura del procedimento, in caso di assoluta urgenza e grave pericolo per il minore, con obbligo di immediata tra-smissione al giudice monocratico circondariale, ai fini della conferma, modifica o revoca della misura, a seguito di con-traddittorio delle parti, convocate entro e non oltre tre giorni dall’adozione del provvedimento, con nomina del difensore d’ufficio alle parti.

Già nella fase sommaria, il giudice potrà pronunciare, su ri-chiesta di una delle parti, la sentenza parziale di separazione, di divorzio e scioglimento dell’unione civile, contestualmente ai provvedimenti provvisori ed urgenti.

4. Segue. La fase di merito

La fase di merito si apre a seguito delle memorie integrative, le quali – in relazione ai diritti disponibili intercorrenti tra i coniugi – vengono fatti coincidere con termini decadenziali in ordine alla formulazione della domanda, delle allegazioni e delle prove. Il regime è quello della tutela giurisdizionale dei diritti indisponibili, quando oggetto della cognizione sono al-tresì i diritti del minore, sia personali che economici, ben po-tendo in tal caso il giudice, stimolato o meno dal p.m. o dalle parti, pronunciare una tutela giurisdizionale d’ufficio, con tutte le conseguenti facoltà di ricerca del fatto e della prova.

È sancito solennemente un diritto alla prova delle parti, con obbligo del giudice di motivare sulle istanze istruttorie delle stesse.

In relazione ai poteri ufficiosi a tutela dei soggetti vulnera-bili, è costantemente richiamata all’applicazione del principio del contraddittorio delle parti e dei loro consulenti, anche sull’apporto dei servizi alla persona istituiti o promossi dalla pubblica amministrazione.

Il giudizio si conclude con sentenza, previo esaurimento di un ulteriore contraddittorio delle parti con note conclusive all’esito dell’attività istruttoria.

5. Le impugnazioni

Concludendosi il procedimento con una sentenza, anche in fase di appello, ne risulta la generale ricorribilità innanzi alla Corte di Cassazione.

Quanto all’appello, il principio direttivo stabilisce la sua specialità in deroga agli artt. 342, 345 e 348 bis, fermo restan-do l’applicazione del regime ordinario per i giudizi innanzi alla Corte di Cassazione.

6. La fase attuativa

È disciplinata sistematicamente e razionalmente la fase attua-tiva delle misure ordinarie e anticipatorie, sia attraverso un ri-ordino della disciplina delle garanzie patrimoniali, con richia-mo unitario all’art. 8 della legge n. 898/1970 e della disciplina dei poteri di indagine patrimoniale e reddituale del giudice, individuandosi il giudice dell’esecuzione nel giudice del me-rito, con forme discrezionali stabilite dal giudice in un ade-guato sistema di misure di esecuzione indiretta e coercitiva, eliminazione dei limiti di pignorabilità dei crediti alimentari.

7. conclusioni

La soluzione ipotizzata costituisce finalmente la introduzio-ne nel sistema del giudice unico della persona, delle relazio-ni familiari e dei minori, risolvendo tutte le problematiche applicative della differenziazione delle competenze, al quale viene affidato un giudice specializzato in via esclusiva, con composizione essenzialmente togata, salvo il procedimento di adozione e quello penale, per le loro peculiarità, riconosciute, quanto a quest’ultimo, dalla stessa Avvocatura specializzata in diritto penale minorile.

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Ma certamente il maggior pregio è la riscrittura del processo, in linea con la riserva di legge ex art. 111 Cost., ha aperto i diritti difensivi anche del minore, al diritto al contraddittorio pieno e al diritto alla prova, con la massima previsione possibile dei mezzi di gravame anche in relazione alle misure anticipatorie.

Certamente il volgere della legislatura non consentirà l’im-mediata entrata in vigore, ma certamente costituisce delle base, in larghissima parte condivise, per il futuro legislatore e questa sarà la battaglia costante di ONDiF.

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1. L’emendamento del consiglio nazionale forense1

L’emendamento (1.38) proposto dalle associazioni speciali-stiche, in particolare ONDiF e CamMiNo, di concerto con la commissione famiglia del Consiglio nazionale forense, sul disegno di legge in materia di riforma del processo civile in relazione alla giudice per le persone, le relazioni familiari e i minorenni (art. 1, co. 1, lett. b), attualmente all’esame della commissione Giustizia del Senato (n. 2284), prevede:

– l’istituzione de “l’ufficio per la persona, le relazioni fami-liari e i minorenni”, che giudica in composizione- collegiale nell’articolazione distrettuale non integrata

(decadenza, reclami)- collegiale nell’articolazione distrettuale integrata da

un esperto laico (procedimenti penali minorili, adot-tabilità, adozione, art. 25 r.d.l. 1404/34, procedimen-ti relativi ai minorenni sottoposti a misure di prote-zione)

- monocratica in quella circondariale– la soppressione del Tribunale per i minorenni e dell’uf-

ficio del pubblico ministero presso il Tribunale per i minori;

– la costituzione di un ufficio del pubblico ministero pres-so l’ufficio del giudice della persona, delle relazioni fami-gliari e dei minori, cui sono attribuiti:- le competenze in materia di esercizio dell’azione pe-

nale minorile- le competenze in materia di esercizio dell’azione civi-

le nei procedimenti di competenza dell’ufficio distret-tuale

- il ruolo di parte nei procedimenti civili minorili- l’intervento ai sensi dell’art. 70 c.p.c.- le competenze ex lege 162/2014 (nullaosta/autorizza-

zione nei procedimenti di negoziazione assistita per divorzio, separazione, modifiche)

- e che esercita le competenze devolutegli “anche in sede circondariale” davanti al “tribunale in composizione mo-nocratica”;

– l’istituzione, preso le sedi di corte d’appello (e le sezioni distaccate di corte d’appello) di sezioni specializzate per la trattazione dei procedimenti in appello.

* Intervento al Convegno: “Chi ha paura del giudice unico della famiglia? Rifor-me possibili tra urgenza delle tutele, prossimità del giudice e cultura del contradditto-rio”, Vicenza 15 giugno 2015.

2. il problema dell’autonomia degli uffici istituendi e la specializzazione. La lacuna dell’emendamento

L’auspicata riforma vede nella specializzazione dei magistrati assegnandi agli uffici di nuova istituzione la sua chiave di volta.

È parimenti necessario garantire all’ufficio del pubblico mini-stero costituendo presso il giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni la necessaria autonomia, sottraendolo al potere gerarchico del Procuratore presso il Tribunale (che po-trebbe, altrimenti, disporre con piena discrezionalità dei magi-strati assegnati a quell’ufficio, disperdendone la professionalità).

Nonostante sia evidente che l’emendamento 1.38 consideri essenziale che all’ufficio del giudice per la persona, e all’uffi-cio del pubblico ministero presso quello costituendo, siano assegnati magistrati dotati di specifica esperienza, formazione e professionalità, esso non sembra tuttavia prevedere mec-canismi sufficientemente cogenti in tal senso, né contempla espressamente le modifiche all’ordinamento giudiziario che, come vedremo infra, sembrano invece a tal fine necessarie.

In sede di emendamento 1.38 viene infatti semplicemente previsto che i magistrati assegnati all’ufficio del giudice per la persona e del pubblico ministero presso il giudice per la per-sona esercitino le relative funzioni in via esclusiva (n. 11); che debbano partecipare a specifiche attività di formazione, aven-ti come obiettivo l’acquisizione (il che implica l’assegnabilità all’ufficio di magistrati che tali conoscenze non hanno; meglio sarebbe indicare come obiettivo formativo il ‘perfezionamen-to’) di conoscenze giuridiche ed extragiuridiche necessarie e propedeutiche al migliore esercizio delle funzioni di giudice della famiglia (n. 12); che i magistrati (e i magistrati con fun-zioni direttive) addetti ai tribunali per i minorenni e agli uffici del pubblico ministero presso i predetti tribunali siano di di-ritto assegnati all’ufficio del giudice della persona nel distretto di corte d’appello, salvo però il loro diritto (ove già maturato alla data di entrata in vigore delle norme di attuazione) di proporre sin da subito domanda di trasferimento (n. 14).

Nulla è detto circa i requisiti di accesso a e di uscita da que-sti nuovi uffici, salva la assegnazione ad essi, in primissima battuta, dei magistrati già in forze presso il Tribunale per i minorenni e presso l’ufficio del pubblico ministero presso il Tribunale per i minorenni, che restano però liberi di chiedere immediatamente il trasferimento ad altre funzioni o sedi.

Se non vengono declinate, sin dal momento della legge de-lega, prescrizioni atte a salvaguardare il preciso intento sotteso all’emendamento, vale a dire che all’esercizio esclusivo delle

PrOFiLi OrDiNAmeNtALi DeLLA riFOrmA DeL giuDice Per LA PerSONA, Le reLAziONi FAmiLiAri e i miNOreNNi, DOPO L’emeNDAmeNtO cNF*

ROBERTA RuGGERIAvvocato in Vicenza e Rappresentante della Sezione di Vicenza di ONDiF

Sommario: 1. L’emendamento del Consiglio nazionale forense. - 2. Il problema dell’autonomia degli uffici istituendi e la specializzazione. - 3. L’esperienza del giudice del lavoro. - 4. L’autonomia dell’ufficio del pubblico ministero.

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funzioni di giudice unico per la persona, le relazioni familiari e i minorenni siano assegnati magistrati già specializzati (come richiedono, anzi impongono, la delicatezza delle questioni de-volute alla sua competenza e il consistentissimo carico di lavo-ro in cui esse si traducono), c’è il rischio che la riforma manchi nel segno e resti solo un’operazione di geografia giudiziaria.

La previsione che a capo di detto ufficio sia un presiden-te di sezione non basta infatti a scongiurare l’evenienza che, sia in ingresso che in uscita, anche per ragioni organizzativo-emergenziali cui siamo ormai purtroppo abituati, il Presiden-te del Tribunale possa adibire ad altre funzioni il magistrato che esercita già da anni le funzioni di giudice per la persona, ovvero destinare a quell’ufficio magistrati di prima nomina o comunque non provvisti di titoli che ne assicurino l’esperien-za e la specializzazione in quel settore.

Non solo sembrano mancare garanzie perché all’ufficio del Giudice per la persona non vengano assegnati giudici che non hanno esperienza nel settore; ma non ci sono nemmeno sbar-ramenti alla facoltà di adibire ad altre funzioni anche magi-strati già assegnati al Tribunale per i minorenni.

3. L’esperienza del giudice del lavoro

Per evitare queste evenienze e permettere la progressiva e sempre più raffinata specializzazione dei magistrati assegnati al Giudice per la famiglia, una soluzione percorribile potreb-be esser quella di ispirarsi alla normativa che presiede al re-clutamento dei giudici del lavoro, esempio davvero riuscito di magistratura specializzata e, in quanto tale, davvero capace di fare la differenza rispetto al passato.

La legge istitutiva del Giudice (allora Pretore) del lavoro (l. n. 533/1973) ha voluto porre efficaci presidi per giungere alla specializzazione dei magistrati assegnati a quell’ufficio.

L’art. 21, co. 3 di tale corpus normativo recita così: “Nella co-pertura di organico presso le preture (nel nostro caso potrebbe essere: nella copertura di organico presso l’ufficio del giudice per la perso-na, le relazioni familiari e i minorenni) dovrà essere data preceden-za ai magistrati che, per essere stati già addetti esclusivamente alla trattazione delle controversie di lavoro (nel nostro caso: controver-sie devolute dalla presente legge alla competenza di quell’ufficio) per almeno due anni o per altro motivo, abbiano una particolare competenza in materia; in tal caso il magistrato trasferito non potrà essere incaricato della trattazione di controversie o di affari di diver-sa natura, se non dopo che siano trascorsi cinque anni dalla presa in possesso dell’ufficio, salvo che non ricorrano particolari motivi da indicare espressamente nel provvedimento di assegnazione”. Il suc-cessivo co. 5 aggiunge: “per la copertura di posti di organico presso le preture e i tribunali costituiti in più sezioni, sia la richiesta che la assegnazione di posti dovranno essere fatte con espresso riferimento alle esigenze di assegnazione dei magistrati alle sezioni incarica-te della trattazione delle controversie previste dalla presente legge (nel nostro caso: devolute dalla presente legge alla competenza di quell’ufficio); e dovrà, altresì, essere data la preferenza ai magi-strati che, per essere stati già addetti esclusivamente alla trattazione delle controversie sopra ricordate per almeno due anni e per avere partecipato ai corsi… o per altra causa, abbiano una particolare competenza in materia. Anche in tal caso il magistrato trasferito non potrà essere incaricato della trattazione di controversie o affari di diversa natura, se non dopo che siano trascorsi cinque anni dalla presa di possesso dell’ufficio, salvo che non ricorrano particolari mo-tivi da indicare espressamente nel provvedimento di assegnazione”.

Per dare evidenza della costituzione del nuovo ufficio, au-tonomo e connotato da particolare specializzazione, e per-mettere che anche la normativa regolamentare che presiede all’assegnazione dei magistrati ne recepisse i principi, è stata inoltre modificata la legge sull’Ordinamento Giudiziario (l. 12/1941). Specificamente è stato modificato l’art. 46 che così recita: “Il tribunale ordinario può essere costituito in più sezioni. Nei tribunali ordinari costituiti in sezioni sono biennalmente de-signate le sezioni alle quali sono devoluti, promiscuamente o se-paratamente, gli affari civili, gli affari penali e i giudizi in grado di appello, nonché, separatamente, le controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie” (nel nostro caso potrebbe aggiungersi al medesimo periodo: “e, sempre separa-tamente, le controversie devolute alla competenza del giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni”; analoga separa-tezza dovrebbe essere prevista per le sezioni di appello di quel medesimo ufficio – cfr. art. 63 della l. 12/1941 in punto ma-gistratura del lavoro, cui, a sottolineare la specializzazione del giudice, è dedicata addirittura una sezione, benché composta del solo citato articolo).

Le norme dettate per la magistratura del lavoro, di rango primario (e ispirate al principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.) prevalgo-no sulle determinazioni del Presidente del Tribunale: così che non potrà assegnarsi il magistrato che ha concorso per il po-sto di giudice del lavoro ad altre mansioni, né – fatta salva l’ipotesi in cui non ci siano candidati in possesso dei previsti requisiti – reclutarsi genericamente magistrati per adibirli a quelle funzioni, posto che la pubblicazione dei posti, banditi a livello nazionale, deve essere fatta con espresso riferimento alle esigenze di assegnazione dei magistrati alle sezioni incari-cate della trattazione delle controversie di lavoro, valutandosi le attitudini specifiche del richiedente ad esercitare l’attività giurisdizionale in quel settore (cfr. circolare CSM n. 13378 del 24 luglio 2014, su cui anche infra). Così, quando in un Tribunale è vacante un posto di giudice del lavoro, non si bandisce un concorso interno: il posto è messo a bando a livello nazionale, e chi già eserciti le funzioni di giudice del la-voro è chiaramente avvantaggiato, in quanto riceve punteggio consistente in ragione appunto dell’esercizio attuale (“attitudi-ni specifiche”) di quelle funzioni. Analogamente, in uscita, chi esercita le funzioni di giudice del lavoro non può partecipare ai concorsi interni del suo stesso Tribunale ma deve aspettare un bando di portata nazionale (quale che sia il posto bandito) per “uscire” dalla sua funzione o dal suo posto.

Altra caratteristica producente delle sezioni lavoro (che do-vrebbe accompagnare anche la progressione di carriera dei magistrati assegnati all’ufficio del giudice per la persona o alla procura – cfr. infra – presso quel giudice): i magistrati ad esse assegnati non sono soggetti alla c.d. decennalità, proprio in ossequio al patrimonio di specializzazione e professionali-tà che essi rappresentano e che non ha senso vada perduto (sul punto, cfr. Regolamento CSM in materia di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio alla luce della modifica introdotta dal Decreto Legislativo 160 del 30 gennaio 2006 come modificato dalla legge 30 luglio 2007, n. 111. - Deli-bera del 13 marzo 2008 e succ. mod. all’11 febbraio 2015). L’esenzione dal limite della decennalità riguarda, attualmente, anche i giudici minorili: cfr. ancora il citato regolamento, art. 1. Parimenti dovrebbe essere prevista per i magistrati asse-

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gnandi agli uffici del giudice per la persona e del pubblico ministero presso il giudice per la persona, attesa la necessa-ria specializzazione che dovrebbe assisterli e il patrimonio di professionalità che andrebbe altrimenti disperso.

Per garantire la specializzazione dei magistrati assegnandi al Giudice per la persona si dovrebbe quindi, in sede di legge delega, prevedere da un lato modifiche all’Ordinamento giudi-ziario analoghe a quelle conseguite all’istituzione del Giudice del lavoro (art. 46: “nei tribunali ordinari costituiti in sezioni… sono biennalmente designate le sezioni alle quali sono devolu-ti gli affari civili… nonché, separatamente, le controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie e, sempre separatamente, quelle riservate alla competenza del Giudi-ce per la persona”), dall’altro esplicitare chiaramente in sede di legge delega le modalità con cui siano individuati i magistrati a quell’ufficio assegnandi anche in prima battuta (in analogia a quanto previsto dall’art. 21, commi 3 e 5 l. 533/1973).

Anche per l’ufficio del Giudice per la persona il CSM sarebbe quindi tenuto ad adottare, per regolare assegnazioni e trasferi-menti all’ufficio, quelle stesse disposizioni che oggi presiedono al conferimento delle funzioni di giudice del lavoro su base na-zionale: in analogia con la più recente circolare del CSM, do-vrebbero essere specificamente predeterminati i criteri in base ai quali vengono valutate le c.d. “attitudini specifiche” per le suddette funzioni (cfr. art. 36, dettato per la assegnazione delle funzioni di giudice del lavoro, della più recente circolare del CSM sul punto, la n. 13778 del 24 luglio 2014):

– l’esercizio attuale di attività giurisdizionale nel settore in via esclusiva o prevalente,

– in via gradata l’esercizio pregresso per almeno cinque anni,– la partecipazione ai corsi di formazione in materia.Sarebbe bene invece evitare il richiamo, tra i suddetti criteri,

a quello inerente le “specifiche doti di capacità che rivelano nel magistrato una particolare idoneità ad esercitare le funzioni ri-chieste”, che, pur attualmente previsto per i giudici del lavoro nella predetta circolare, rischia di allargare eccessivamente le maglie della discrezionalità nella scelta dei candidati all’asse-gnazione dei posti messi a concorso.

4. L’autonomia dell’ufficio del pubblico ministero

Come detto in esordio, appare cruciale affrontare anche il nodo della necessaria autonomia dell’ufficio del pubblico mi-nistero costituendo presso l’ufficio del giudice della persona. Se non viene prevista l’istituzione di una Procura presso il Giudice per la persona (non un semplice ufficio del pubblico ministero), si rischia non solo (come è per i magistrati giudi-canti) la dispersione della professionalità dei magistrati requi-renti ad esso assegnati, ma anche la soggezione dell’ufficio alle disposizioni della Procura presso il Tribunale (distrettuale o circondariale) ove ha sede il Giudice per la persona.

In questo senso è chiaro il disposto dell’art. 1 del d.lgs. 106/2006 in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pub-blico ministero: Il Procuratore della Repubblica è il preposto all’ufficio del pubblico ministero e determina: i criteri di as-segnazione dell’ufficio; i criteri di assegnazione dei procedi-menti ai procuratori aggiunti e ai magistrati del suo ufficio; le tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione siano di natura automatica. Non appare superfluo ricordare che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale rimane sempre titolare di ogni azione penale e può sempre, come ne

ha delegato la trattazione ai sostituti procuratori, avocarla a sé (potrebbe quindi “appropriarsi” di una azione penale ad esempio in materia minorile, in contrasto con la pure enun-ciata necessità di specializzazione del magistrato).

Ciò avrebbe ricadute importanti in punto assegnazione dei magistrati (che sarebbe nella disponibilità piena, in entrata e uscita, del superiore gerarchico, vale a dire del Procuratore del-la Repubblica presso il Tribunale); in punto dotazione degli uf-fici (anche qui l’organizzazione spetterebbe alla Procura e non all’ufficio del pubblico ministero presso il Giudice della fami-glia); in punto rapporti con i servizi e con il nucleo di polizia giudiziaria già a servizio della procura presso il Tribunale per i minorenni (potrebbe mancare un punto di riferimento stabile).

Oggi la Procura presso il Tribunale dei minorenni è una Pro-cura a sé, diretta da un Procuratore preposto a quel particola-re ufficio. Lo dispone espressamente la legge sull‘ordinamento giudiziario, che lo individua specificamente all’art. 70.

Sarebbe assolutamente necessario prevedere espressamente, già in sede di delega, che, analogamente a quanto avviene oggi per quello costituito presso il Tribunale per i minorenni, anche l’ufficio del pubblico ministero costituendo presso il Giudice per la persona sia istituito in un ufficio diretto da un Procuratore preposto solo ad esso.

Si potrebbe quindi dare specifica indicazione a che venga modificato (preferibilmente in sede di legge delega, onde evi-tare successivamente questioni costituzionali in punto ecces-so della medesima) l’art. 70 dell’ordinamento giudiziario, pre-vedendo l’istituzione (in luogo di quella oggi esistente presso il tribunale per i minorenni) di una Procura presso il Giudice della persona, anche solo in sede distrettuale, che operi con criteri analoghi a quella dei magistrati di sorveglianza (vale a dire mediante distaccamento) nelle sedi circondariali; ma che garantisca la necessaria autonomia dell’ufficio del pub-blico ministero presso il Giudice per la persona, evitando le altrimenti possibili ingerenze, su quell’ufficio, del Procuratore presso il Tribunale.

Ciò avrebbe positive ricadute anche in punto reclutamen-to dei magistrati, atteso che a quella disposizione si ricollega specificamente, anche in questo caso, la predeterminazione dei criteri da valutare per farsi luogo all’assegnazione delle funzioni ai magistrati (esercizio attuale, pregresso e le specifi-che doti di capacità che rivelano particolare idoneità).

Va notato che magistrati del lavoro (art. 36), giudici e so-stituti procuratori della repubblica presso il tribunale per i minorenni (art. 38) e magistrati di sorveglianza (art. 37) sono le uniche categorie per le quali la circolare CSM già citata pre-vede la valutazione delle attitudini c.d. specifiche, che si risol-vono nel positivo apprezzamento e quindi nell’attribuzione di un punteggio rilevante per l’esercizio attuale o pregresso di quelle funzioni.

Ben venga il Giudice per la persona, le relazioni familiari e i minorenni; ma vi siano assegnati magistrati formati, specializza-ti ed esperti della materia, solo così potendo la riforma in paro-la avere successo e dare a noi avvocati familiaristi interlocutori validi e attenti, capaci quindi non solo di tutelare i soggetti più deboli, vale a dire i minori, ma anche di preservare per quanto possibile la tenuta delle relazioni familiari, vera base della civile convivenza sociale, al di là delle crisi che le investano.

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1. introduzione

L’argomento coniuga due aspetti di un problema di particolare complessità e rilevanza, ossia l’autonomia coniugale e la crisi della famiglia e certamente, l’autonomia coniugale rievoca il di-battito sul potere di autoregolamentazione dei rapporti di una convivenza fondata su una comunione di vita che il legislatore qualifica come comunione spirituale e materiale tra i coniugi.

Prima dell’avvento della Costituzione repubblicana, nel pe-riodo che va dal codice civile del 1865 a quello del 1942, la famiglia era fondata sull’indissolubilità del matrimonio, rigida-mente organizzata sotto la patria potestà e la potestà maritale. Tale potestà era, appunto, riconosciuta all’uomo, in quanto padre e marito, sotto l’ala protettiva del quale venivano ricon-dotte le individualità che componevano la famiglia, che per questa via venivano totalmente spersonalizzate. La famiglia ri-fletteva l’organizzazione statuale e la relativa visione autoritaria dello Stato, il cui governo era attribuito esclusivamente al capo famiglia, sulla scia dell’affermazione dell’ideologia fascista.

Questa impostazione non trovava alcuna contraddizione nel riconoscimento dell’autonomia privata nel diritto di famiglia: infatti, gli stessi fautori di tale riconoscimento precisavano che la famiglia, così come qualsiasi altro organismo, per la sua particolare struttura, non vive senza un capo: e questo capo era l’uomo, a cui era attribuito un potere paragonabile all’esercizio di una sovranità1.

Nell’ormai lontano anno 1949 l’insigne giurista Arturo Car-lo Jemolo, in apertura del Seminario Giuridico dell’Università di Catania, affermava che “quando pronunciamo il nome “fami-glia”, non è al campo del diritto che ricorre anzitutto il pensiero”. Se questa affermazione può dirsi ancora oggi fondata, ve ne è certamente un’altra, pronunciata dall’illustre Autore nella stessa occasione, che sgomenta per l’attualità del contenuto. “Ora que-sto dato che la parola ci desti piuttosto immagini che concetti, c’inviti piuttosto a ricordare od a sognare, che non a costruire principi, parli più al cuore che non alla ragione, si spiega certo con ciò, che il lato

1 Sul punto si rinvia per tutti a P. Perlingieri, I diritti del singolo quale apparte-nente al gruppo familiare, in Rapporti personali nella famiglia, Edizioni Scientifiche Italiane, 1982, 428; P. Perlingieri, Famiglia e diritti fondamentali della persona, in Legal. e giust., 1986, 484 ss. e ora in P. Perlingieri, La persona e i suoi diritti, Edizioni Scientifiche Italiane, 2005, 367 ss.; P. rescigno, Persona e Comunità, Il Mulino, 1966, 3 ss.; M. Bin, Rapporti patrimoniali tra coniugi e principio di ugua-glianza, Giappichelli, 1971; Furgiuele, Libertà e famiglia, Giuffrè, 140 ss.; AlAgnA, Famiglia e rapporti tra coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Giuffrè, 1983, 150 ss.; Bonilini, Il Matrimonio - La nozione, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, I, Famiglia e matrimonio, Utet, 1997, 63 ss.

affettivo è quello che più conta nella vita; e forse anche con un dato proprio alle generazioni come la nostra, senza salde radici, senza sicurezza, che avvertono di posare su un suolo traballante e proprio per questo distolgono volentieri lo sguardo da costruzioni giuridiche, politiche, economiche, che tutte hanno fragili basi”2.

I rapporti familiari oggi trovano il fondamento della propria rilevanza giuridica nell’art. 2 Cost., a proposito delle forma-zioni sociali in cui si svolge la personalità dell’uomo, e non soltanto nell’art. 29 Cost., che considera in modo specifico le relazioni familiari fortemente legittimate dal matrimonio e la dimensione pubblicistica del diritto di famiglia, attuata un tempo dal legislatore con la struttura gerarchica data ai rap-porti coniugali e con la rilevanza attribuita al valore dell’unità familiare, è ora del tutto venuta meno.

Quella attuale può, senza tema di smentita, essere conside-rata come epoca della famiglia “proteiforme”, tradizionale e fondata sul matrimonio, monogenitoriale, di fatto, omogeni-toriale, in crisi od in fase di destrutturazione.

Dalla Relazione ISTAT pubblicata nel novembre 2015 si evidenzia che nel 2014 sono stati celebrati in Italia 189.765 matrimoni, circa 4.300 in meno rispetto all’anno precedente.

In media ci si separa dopo 16 anni di matrimonio, ma i ma-trimoni più recenti durano sempre meno. Le unioni interrotte da una separazione dopo 10 anni di matrimonio sono quasi raddoppiate, passando dal 4,5% dei matrimoni celebrati nel 1985 all’11% per le nozze del 2005. L’età media alla separa-zione è di 47 anni per i mariti e 44 per le mogli.

La propensione al primo matrimonio per le età più giovani è in calo anche per effetto del rinvio delle prime nozze ad età più mature. Attualmente gli sposi al primo matrimonio hanno in media 34 anni e le spose 31 (entrambi un anno in più rispetto al 2008).

Nel 1995 solo in Valle d’Aosta si registravano più di 300 separazioni per 1.000 matrimoni, mentre nel 2014 si collo-cano al di sopra di questa soglia quasi tutte le regioni del Centro-nord (con l’eccezione di Veneto, Trentino-Alto Adige e Marche). Gli incrementi più consistenti, però, si osservano nel Mezzogiorno, dove i valori sono più che raddoppiati (ad esempio, si è passati da 70,1 a 254,0 separazioni per 1.000 matrimoni in Campania e da 95,3 a 309,4 in Sardegna).

La tipologia di procedimento prevalentemente scelta dai co-niugi è quella consensuale: nel 2014 si sono chiuse con questa

2 A. cArlo Jemolo, La famiglia e il diritto, in Annali del Seminario Giuridico, III, Napoli, 1949, 38 ss.

i trASFerimeNti immObiLiAri NeLLA criSi cONiugALeVALERIA CIAnCIOLOAvvocato del Foro di Bologna

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Gli accordi dei coniugi in sede di separazione: contenuto e limiti. In particolare, i c.d. accordi omologati e gli accor-di a latere (o non omologati): il problema della loro validità. - 3. Il trasferimento immobiliare come contenuto eventuale degli accordi di separa-zione coniugale: inquadramento dogmatico e disciplina applicabile. - 4. I trasferimenti immobiliari tra coniugi in sede di separazione consensuale (o divorzio congiunto). - 5. Il trattamento fiscale degli accordi di separazione. - 6. Le prassi di alcuni Tribunali sui trasferimenti immobiliari nella crisi coniugale. - 7. Aspetti Redazionali. - 8. Gli accordi di separazione e divorzio dinanzi all’Ufficiale di stato civile dopo la sentenza del Consiglio di Stato n. 4478/2016. - 9. Negoziazione assistita e separazione: cessione di immobile senza notaio.

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modalità l’84,2% delle separazioni e il 75,9% dei divorzi. Ma la litigiosità tra le coppie che decidono di porre fine alla loro unione matrimoniale si differenzia abbastanza sul territorio. Se al Centro e al Nord poco più di 1 separazione su 10 si chiude con rito giudiziale (13% circa), questa proporzione sale a 1 su 5 per le separazioni nelle Isole (il 21,4%) e addirittura a quasi 1 su 3 per i divorzi in tutto il Mezzogiorno (31,9%). Nel 2014 68.089 separazioni (76,2% del totale) e 34.241 divorzi (65,4% del totale) hanno riguardato coppie con figli. I figli coinvolti sono stati 119.763 nelle separazioni e 55.220 nei divorzi.

Sostanzialmente nulla, invece, è accaduto sul versante del-la disciplina dei rapporti patrimoniali, interessati soltanto da provvedimenti relativi agli obblighi di solidarietà economica nell’ambito della coppia coniugata, durante il matrimonio e soprattutto nella crisi. Su questo versante, semmai, è la prassi ad aver dato indicazioni perentorie3.

La dimensione privatistica che ora caratterizza il diritto di famiglia ha trovato importanti riflessi non solo sul piano degli accordi economici, ma anche sul terreno della gestione giu-diziale dei conflitti consentendo ai coniugi di evitare le vie della giurisdizione affidando, quasi interamente, a strumenti negoziali la separazione personale e lo scioglimento del loro matrimonio, istituti questi finora rientranti nell’esclusivo ambito della c.d. giurisdizione costitutiva necessaria. Infatti, separazione e divorzio potevano trovare ingresso solo con la verifica giudiziale dei loro presupposti.

Al fine, solo esemplificativo, d’indicare i campi d’inciden-za dell’autonomia privata nell’area degli interessi familiari, sembra opportuno articolare un catalogo dalla casistica che a mano a mano si è formata sul tema relativo:

1. agli accordi tra i coniugi in ordine all’adempimento degli obblighi di contribuzione, ai sensi dell’art. 143 c.c.4;

2. all’accordo dei coniugi di vivere separati5;3. agli accordi conclusi tra i coniugi al momento della sepa-

razione e del divorzio, aventi ad oggetto la determinazio-ne e l’adempimento delle pretese patrimoniali6;

4. agli accordi inerenti al mantenimento e all’educazione dei figli ovvero a quelli volti a predeterminare le moda-lità di esercizio della potestà nel caso in cui il genitore affidatario ricostituisca una nuova famiglia7.

3 Il regime base del sistema patrimoniale è quello della comunione legale, ma la legge stessa postula il regime alternativo della separazione dei beni: e questo dato ci fa capire che è il sistema stesso a mettere al centro la discrezionale volontà negoziale dei coniugi di scegliere o l’uno o l’altro regime patrimoniale. La tipicità non consente ai coniugi di “creare” nuovi modelli: ma la discrezionalità della scelta fra i vari tipi previsti dal sistema (o il regime della separazione dei beni, o quello aggiuntivo della comunione convenzionale, o quello della costituzione di un fondo patrimoniale integrativo di uno dei su indicati sistemi scelti), discre-zionalità che implica anche la modifica convenzionale della comunione legale (cfr. art. 210 c.c.), comporta una attenuazione della rigidità del sistema.

4 Su cui v. G. De novA, Disciplina inderogabile dei rapporti patrimoniali e au-tonomia negoziale, in Studi in onore di P. Rescigno, vol. II, Diritto privato, Milano, 1998, 259 ss.

5 Cfr. Cass., 17 giugno 1992, n. 7470, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 808 ss., annotata da D. sinesio, Separazione di fatto e accordi tra coniugi.

6 Si vedano con opposte soluzioni, M. comPorti, Autonomia privata e con-venzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del matrimonio, in Foro it., 1995, V, c. 105 ss., e G. gABrielli, Indisponibilità preventiva degli effetti patrimoniali del divorzio: in difesa dell’orientamento adottato dalla giurisprudenza, in Rivista di diritto civile, 1996, I, 695 ss. (e un compiuto quadro degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in G. oBerto, I contratti della crisi coniugale, t. I, Ammissibilità e fattispecie, e t. II, Contenuti e disciplina, Milano, 1999).

7 Su quest’aspetto caratteristico della ricomposizione familiare, S. mAzzoni, Le famiglie ricomposte: dall’arrivo dei nuovi partners alla costellazione familiare ri-composta, in Dir. fam., 1999, II, 369 ss.

2. gli accordi dei coniugi in sede di separazione: contenuto e limiti. in particolare, i c.d. accordi omologati e gli accordi a latere (o non omologati): il problema della loro validità

Il terreno sul quale è facile verificare il ruolo determinante dell’autonomia privata di ciascuna componente il nucleo familiare, e ancor di più, di ciascun coniuge, è quello delle pattuizioni concluse in sede di crisi familiari, con carattere di mediazione personale e patrimoniale sulla crisi medesima, oppure quello degli accordi stipulati in vista di una futura eventuale separazione personale, o dello scioglimento degli effetti civili del matrimonio. Pattuizioni ed accordi ricostru-iti in termini di “contratti della crisi coniugale” da parte della dottrina che ha percorso un approfondito itinerario esplora-tivo in questa materia. Interessanti al riguardo le vicende che hanno coinvolto il diritto di assegnazione convenzionale della casa familiare e sul relativo regime di opponibilità alla luce della lettura interpretativa della nota Corte Costituzionale 27 luglio 1989 n. 454.

Gli accordi dei coniugi in sede di separazione e divorzio hanno assunto un diverso e rinnovato valore a seguito, dap-prima della legge sul divorzio n. 898 del 1970 (specie dopo le modifiche apportate dalla l. n. 74/1987) e in seguito della legge di riforma del diritto di famiglia.

Il nuovo concetto di famiglia nucleare c.d. privatizzata, an-corata ai principi di parità e solidarietà tra coniugi (artt. 2, 3, 29 Cost.), ha valorizzato la volontà dei coniugi che sovente si esprime mediante l’accordo, sia nella fase fisiologica del rap-porto, che si concreta nella scelta dell’indirizzo di vita familia-re (art. 144 c.c.) e dell’amministrazione straordinaria dei beni della comunione (art. 180 c.c.); sia nella fase patologica di cri-si coniugale, dove si manifesta con la domanda di separazione consensuale e di divorzio congiunto, tipiche espressioni della possibilità per i coniugi di regolamentare la crisi coniugale tanto in sede di separazione che di divorzio. In particolare, nell’ambito degli accordi di separazione grande importanza è attribuita alla separazione consensuale, riformata dalla legge n. 151/1975, in quanto rappresenta la massima espressione del concetto di negoziabilità-autonomia dei rapporti coniu-gali, in ossequio al menzionato obiettivo di riconoscere alla famiglia una vocazione “privatistica”, enucleabile anche dal dato letterale dell’art. 158, co. 1, c.c. e dell’art. 711, comma 4, c.p.c., nonché, dell’art. 158, co. 2, c.c.

Posto il principio dell’autonomia dei coniugi è indispensabi-le enucleare i limiti invalicabili che il legislatore ha previsto in tale ambito. Si tratta, così come disciplinato dall’art. 160 c.c.:

– dell’indisponibilità degli status familiari e dell’inderoga-bilità dei diritti a questi connessi (solo il giudice, in sede di omologazione, è legittimato da un lato a riconoscere lo status di separato e, dall’altro, a pronunciare la senten-za di divorzio, costitutiva dello scioglimento del vincolo negoziale);

– della salvaguardia dell’interesse della prole, unico sostan-ziale limite, ex art. 711 c.p.c., entro il quale è consentito un penetrante sindacato del giudice, in sede di omologa-zione della separazione consensuale, rispetto alle scelte effettuate dai coniugi.

Prima di addentrarci nella materia relativa ai trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio è opportuno sot-

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tolineare la differenza strutturale tra il procedimento di sepa-razione consensuale ed il procedimento di divorzio congiunto.

Il primo si chiude con un accordo di tipo processuale, sog-getto alla condicio iuris di efficacia del provvedimento di omo-loga del Tribunale, il secondo con una sentenza. È pure vero che il ricorso congiunto introduttivo di entrambi i procedi-menti e sottoscritto dai coniugi, integra di per sé un contratto con forma scritta astrattamente idoneo a produrre immediati effetti traslativi tra le parti ai sensi dell’art. 1350 n. 1 c.c., pur non essendo titolo per la trascrizione, visto che, come stabili-sce l’art. 2657 c.c., la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.

Il problema dei trasferimenti immobiliari nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio assume, quindi, un’importanza pratica particolare ove si ritenga che:

– in sede di separazione il trasferimento immobiliare pro-grammato e confluito nell’accordo processuale assuma, con il verbale di udienza, la forma di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata, suscetti-bile di trascrizione;

– in sede di divorzio la sentenza che recepisce il program-mato trasferimento immobiliare sia suscettibile di tra-scrizione.

Quanto al primo profilo, si ricorda che il verbale di udienza, sottoscritto dal cancelliere, è un atto pubblico idoneo ai fini della trascrizione nei pubblici registri immobiliari, necessaria ai sensi degli artt. 2643 e ss. del codice civile. È questa una conclusione, condivisa dalla giurisprudenza di legittimità8, ma che tuttavia, non convince in base ad una interpretazio-ne sistematica e non meramente letterale dell’art. 2657 c.c., in virtù della quale l’atto pubblico richiamato dall’art. 2657 c.c. è lo stesso atto pubblico di cui al successivo art. 2699 c.c. ossia il documento redatto da notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò specificamente autorizzato (c.d. atto pubblico negoziale), ma non quello ricevuto dal Cancelliere, il quale non ha la potestà rogante, posto che svolge compiti di natura completamente diversa da quelli dei Pubblici Ufficiali roganti.

Quanto al secondo problema, si sottolinea che la domanda di divorzio congiunto non ricade nella elencazione tassativa di domande giudiziali suscettibili di trascrizione ex artt. 2652 e 2653 c.c.

Il contenuto specifico degli accordi di separazione è composto:– di un contenuto essenziale, c.d. convenzioni di diritto di fa-

miglia, relative prevalentemente alla cessazione del dove-re di convivenza e alla regolamentazione degli altri obbli-ghi previsti dall’art. 143 c.c. (mantenimento del coniuge, sussistendone i presupposti; affidamento, educazione e mantenimento della prole; per alcuni, anche l’assegna-

8 In senso contrario Trib. Verbania 6 luglio 2002 n. 161, Gli atti giudiziari re-lativi alle cause di (separazione e) divorzio, tanto giudiziali che consensuali, non possono in alcun modo contenere disposizioni traslative di diritti reali né d’uffi-cio, né su istanza di una delle parti ovvero concorde di entrambi i coniugi, non rientrando i trasferimenti immobiliari tra i possibili contenuti dei provvedimenti giudiziari conclusivi dei giudizi nelle materie de quibus, in Notariato, 2003, 272 ss., con nota di Giunchi, che si fonda sulle seguenti argomentazioni: 1) i modi di costituzione dei diritti reali sono tipici e tassativi e non vi rientra la sentenza di divorzio, essendo attribuito al giudice della separazione o del divorzio solo il potere di costituire un diritto di godimento sulla casa familiare; 2) il verbale di causa è un atto pubblico processuale e non sostanziale e non può, quindi, essere ricondotto nel novero di quelli richiamati dagli artt. 2699 e 2657 c.c., idonei a costituire titolo per la trascrizione.

zione della casa familiare), che si discostano dai principi tipici dei rapporti contrattuali, in quanto l’autonomia dei coniugi è in certa misura limitata in virtù del superiore interesse della famiglia e della prole;

– di un contenuto eventuale, attinente ad intese che esulano dagli elementi essenziali della separazione consensuale, in quanto sono semplicemente occasionate dalla crisi coniugale, e se hanno un contenuto prettamente patri-moniale, rientrano nei contratti atipici (c.d. contratti di se-parazione o della crisi) a cui si applica la relativa disciplina (art. 1322 c.c., in primis).

Tali accordi eventuali, occasionati dalla separazione, possono essere anteriori, coevi o successivi all’omologazione, nonché pos-sono essere omologati dal tribunale o rimanere a latere. L’omo-logazione degli accordi di separazione da parte del giudice è sostanzialmente dovuta quando si tratta di intese finalizzate a regolare aspetti integrativi ed accessori della separazione con-sensuale, poiché il principio ispiratore consiste nel rispetto dell’autonomia negoziale, naturalmente entro i limiti di inde-rogabilità dell’art. 160 c.c., che limita il controllo giudiziale ad un mero controllo di legittimità (sub specie di non illiceità), ovviamente salvo per il prevalente interesse della prole.

La diversa ipotesi degli accordi a latere, non cristallizzati nel verbale sottoposto all’omologazione del tribunale, ha destato problemi esegetici circa la loro validità o meno, anche in virtù del contenuto, spesso eterogeneo, di tali intese non omologate.

Gli accordi non omologati possono infatti, tendere a:– modificare le intese omologate relative ad una separazio-

ne consensuale ovvero i provvedimenti emessi dal giudi-ce, all’interno di una separazione giudiziale, ovvero,

– possono essere diretti a delineare le condizioni di una separazione legale

oppure– possono essere finalizzati ad integrare le condizioni di

una separazione legale consensuale.Un ulteriore discrimine fra le diverse tipologie di accordi

c.d. a latere, può essere rinvenuto nel momento della loro re-dazione rispetto al provvedimento giudiziale di omologazione della separazione. Esemplificando, si può trattare di:

– intese precedenti in cui le parti stabiliscono le linee di principio su cui verterà la futura separazione, risolvendo anticipatamente alcune delle questioni che naturalmente emergeranno in sede di separazione, come quelle relative alle proprietà comuni, ai necessari trasferimenti immobi-liari, ecc.;

– coeve, in genere relative all’ammontare dell’assegno di mantenimento, o finalizzate a risolvere questioni di na-tura fiscale che i coniugi ritengono opportuno non pub-blicizzare;

– successive, principalmente incentrate su accordi di detta-glio non contenuti nel verbale di omologazione, ovvero relative a problemi emersi solo in fase di esecuzione de-gli accordi di separazione. Riguardo alla validità di tali intese, è necessario ripercorrere brevemente le diverse soluzioni offerte negli anni dalla giurisprudenza che è passata dal non riconoscere validità a tali accordi, all’af-fermazione della loro piena efficacia, enucleando, però, le necessarie differenziazioni.

L’iter giurisprudenziale in materia è in linea con l’evoluzione del concetto stesso di famiglia e, di conseguenza, del rapporto

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coniugale che la fonda che si è distaccato dalla forte propen-sione pubblicistica per valorizzare la prospettiva privatistica insita nella sua stessa essenza.

Nella prima fase (anni ’80) si assiste all’emersione della tesi restrittiva, di matrice pubblicistica, tendente a negare validità tanto agli accordi antecedenti non trasfusi nel verbale di omo-logazione della separazione consensuale quanto agli accordi successivi allo stesso e modificativi delle condizioni in esso fissate, in quanto l’efficacia giuridica di tali intese doveva ne-cessariamente presupporre la loro cristallizzazione nel prov-vedimento di omologazione del Tribunale9.

La fase successiva, al contrario, è caratterizzata dall’ab-bandono della concezione pubblicistica che viene sostituita da quella c.d. privatistica10. In particolare, i patti successivi all’omologazione, trovando fondamento nell’art. 1322 c.c., devono essere ritenuti validi ed efficaci “in quanto meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”, indipendentemente dal procedimento di omologazione disciplinato dagli artt. 710 e 711 c.p.c., salvo gli invalicabili limiti contenuti nell’art. 160 c.c.; le pattuizioni antecedenti o coeve alla separazione consensuale omologata, e non trasfuse nel relativo verbale, al contrario, sono validi ed efficaci solo se non “non interferi-scono” con quanto stabilito nell’accordo omologato, sempre previa verifica di rispondenza all’interesse tutelato, nel rispet-to dei principi espressi nell’art. 158 c.c.11.

3. il trasferimento immobiliare come contenuto eventuale degli accordi di separazione coniugale: inquadramento dogmatico e disciplina applicabile

I trasferimenti dei beni che i coniugi pongono in essere in sede di separazione personale, laddove rappresentino lo stru-mento per definire un nuovo assetto economico-patrimoniale della famiglia, costituiscono fattispecie negoziali che rinven-gono la loro causa nella stessa separazione; tali atti, dotati per-tanto di un profilo causale autonomo, non vanno confusi con quei trasferimenti che, seppur concomitanti alla separazione personale, non traggono da essa il loro profilo funzionale, ri-manendo al contrario, fattispecie negoziali caratterizzate da causa tipica (compravendita, permuta, donazione, ecc.).

Posta la natura negoziale dell’accordo di separazione con-sensuale omologata, gli interpreti tendono a qualificarlo come un negozio giuridico bilaterale a carattere non contrattuale, nel cui nucleo primario o necessario non si rinviene il carat-tere della “patrimonialità”, diversamente rispetto al contenuto eventuale in cui il dato patrimoniale riveste una grande im-portanza pratica. In particolare, i coniugi possono optare per il trasferimento di beni immobili in adempimento all’obbligo di mantenimento e in luogo della prestazione periodica12 ov-vero con particolare riguardo ai riflessi fiscali13; ovvero costi-

9 Cass. Civ., 5 gennaio1984, n. 14, per gli accordi antecedenti; Cass. Civ., 13 febbraio 1985, n. 1208 per quelli successivi, per i quali si afferma che “gli accordi con cui i coniugi modifichino, anche se migliorandole, le condizioni relative al mantenimento del nucleo familiare, includente i figli minori, sono inefficaci se non vengono omologati dal tribunale”.

10 Si evince chiaramente dalle due significative sentenze Cass. civ., Sez. I, 24-02-1993, n. 2270 e Cass. civ., Sez. I, 22-01-1994, n. 657.

11 In seguito, la Corte ha ribadito in modo uniforme tali principi: cfr. Cass., n. 7029/97; n. 5829/1998; da ultimo n. 8516/2006; n. 9174/08; n. 2997/09.

12 In tal senso, Cass., 11 novembre 1992, n. 12110, Cass., 15 maggio 1997, n. 4306 e Cass., 17 giugno 2004, n. 11342.

13 Cass., 20 maggio 2005, n. 11458; Cass., 22 maggio 2002, n. 7493.

tuire diritti reali minori, tra cui, il diritto di abitazione14. Se non sorgono dubbi sulla validità ed efficacia dei suddetti ac-cordi patrimoniali facenti parte del contenuto c.d. eventuale dell’accordo di separazione, i maggiori problemi sono emersi nel tentativo di delineare la natura giuridica di tali fattispecie traslative.

La tesi dell’atipicità della causa e, dunque, del contratto, prevalente in giurisprudenza fino al 2004, valorizza la natura negoziale, con forte caratterizzazione di atipicità di dette clau-sole a contenuto patrimoniale, qualificandole come espres-sioni di autonomia contrattuale delle parti interessate15, che producono veri e propri contratti atipici, perfettamente leciti in quanto diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c.16.

Le peculiari finalità di tali intese patrimoniali non possono essere ricondotte né all’interno del paradigma delle conven-zioni matrimoniali (essendo a contenuto patrimoniale), né di quello della donazione (essendo evidente l’animus solvendi e non donandi), ma sono di volta in volta piegate alle esigenze dei coniugi al fine di comporre al meglio i reciproci interessi che emergono nella gestione della crisi del rapporto coniu-gale17.

La tesi della tipicità della causa, invece, trae fondamento dalla pretesa unitarietà della causa, come elemento unifican-te delle diverse fattispecie negoziali inerenti gli accordi di separazione volti a “definire gli aspetti patrimoniali della crisi coniugale”18. In altre parole, la finalità di sistemazione dei rapporti patrimoniali, restando ontologicamente distinta dai principi insiti negli atti di liberalità a carattere donativo, non-ché dai negozi traslativi di diritti reali, è caratterizzata da una sua “tipicità” propria che, di volta in volta, può arricchirsi di elementi di obiettiva onerosità, ovvero di gratuità, in base alla specifica finalità avuta di mira dai coniugi.

4. i trasferimenti immobiliari tra coniugi in sede di separazione consensuale (o divorzio congiunto)

Ricca e variopinta la casistica delle intese raggiungibili dai co-niugi in crisi legate ai trasferimenti immobiliari.

14 Cfr., in tal senso, già la remota Cass., 12 giugno 1963, n. 1594.15 Cass. Civ. 2 dicembre 1991, n. 12897.16 Cass., 17 giugno 2004, n. 11342; Cass., 11 novembre 1992, n. 12110;

Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500; Cass., 27 ottobre 1972, n. 3299; con riguar-do a clausola inserita in un accordo per la separazione di fatto, Cass., 17 giugno 1992, n. 7470.

17 In tal senso, la sentenza Cass. civ., sez. II, 17 giugno 2004, n. 11342, ha previsto la possibilità che, in sede di separazione consensuale, il coniuge tenuto a provvedere al mantenimento del figlio minore, possa impegnarsi a trasferire in favore della prole la piena proprietà di un bene immobile, al fine di adempiere all’obbligo di mantenimento nei confronti di quest’ultimo, precisando, inoltre, come tale pattuizione non sia assoggettabile né alla risoluzione per inadempi-mento, a norma dell’art. 1453 cod. civ., né all’eccezione d’inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., non essendo ravvisabile, in un siffatto accordo so-lutorio sul mantenimento della prole, quel rapporto di sinallagmaticità tra pre-stazioni che è fondamento dell’una e dell’altra, posto che il mantenimento della prole costituisce obbligo ineludibile di ciascun genitore, imposto dal legislatore e non derivante, con vincolo di corrispettività, dall’accordo di separazione tra i coniugi, che può al più contribuire a regolamentare le concrete modalità di adempimento dell’inderogabile obbligo al mantenimento della prole.

18 In tal senso sembra esprimersi la Suprema Corte, nella sentenza n. 5473, del 14 marzo 2006, che qualifica i negozi traslativi di diritti durante la crisi coniugale come negozi tipici rispondenti “ad un più specifico e più proprio ori-ginario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale” (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto)”.

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Il consolidato orientamento della giurisprudenza, di legit-timità e di merito19, ha affermato che i coniugi possano in-cludere nell’accordo di separazione o di divorzio, pattuizioni relative a rapporti patrimoniali che non hanno più interesse a mantenere invariati e che esulano dal suo contenuto tipico (status, assegnazione casa familiare, affidamento dei figli e re-gime di permanenza presso ognuno dei genitori, contributo al loro mantenimento, assegno di mantenimento o divorzile per il coniuge economicamente più debole) attesa l’autonomia negoziale degli stessi coniugi che consente loro di dare un di-verso assetto alle rispettive consistenze patrimoniali a seguito del mutato status purché non in contrasto con l’esigenza di protezione dei minori o comunque, dei soggetti più deboli20.

In tale contesto, non sembra più potersi ragionevolmente negare – quale che sia la forma che i negozi concretamente vengano ad assumere – che detti negozi siano da intender-si quali “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio”, che, come tali, possono usufruire della esenzione di cui all’art. 19, l. n. 74 del 1987 nel testo conseguente alla pronuncia n. 154 del 1999 della Corte costituzionale, salvo l’Ammini-strazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi21.

Pertanto, la giurisprudenza non considera invalidi per illi-ceità della causa, non solo quei trasferimenti di immobili, o di beni mobili o somme di denaro, con funzione di mante-nimento del destinatario, ma altresì, quelli costituenti rico-noscimenti o risarcimenti di situazioni pregresse, anche di portata divisoria, tanto più che a seguito dell’entrata in vigore della legge sul divorzio breve, lo scioglimento della comu-nione legale dei beni, retroagisce al momento della compa-rizione dei coniugi dinanzi al Presidente nel procedimento di separazione che li autorizzi a vivere separati, atteso che i suddetti trasferimenti sono funzionali “alla complessiva si-stemazione solutorio compensativa di tutta la serie dei possibili rapporti aventi significati patrimoniali maturati nel corso della convivenza matrimoniale”22.

19 Singolare l’ordinanza emessa dalla prima sezione civile del Tribunale di Palermo in data 29 dicembre 2016. Il fatto. Due coniugi, genitori di un figlio minorenne, in sede di divorzio congiunto pattuivano che il diritto di godimento della casa familiare attribuito alla moglie sarebbe venuto meno qualora questa avesse instaurato una convivenza more uxorio.

I giudici, ritenendo tale pattuizione non rispondente all’interesse del figlio, collocato presso la madre, hanno disposto la rimessione della causa sul ruolo e la comparizione personale delle parti al fine di verificare la loro disponibilità a rimodulare le condizioni della domanda congiunta sul punto.

20 Allo stato, la maggior parte dei Tribunali non consente i trasferimenti ad efficacia reale, ma solo quelli attuati in forma di impegno a trasferire.

21 Cass. 17 febbraio 2016, n. 3110 “detti negozi siano da intendersi quali ‘atti relativi al procedimento di separazione o divorzio’, che, come tali possono usufruire dell’esenzione di cui alla l. n. 74 del 1987, art. 19”.

22 Cass. 3 febbraio 2014, n. 2263: “Le convenzioni concluse dai coniugi in sede di separazione personale, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro relative a beni mobili o immobili, pur acquistando efficacia giuridi-ca solo in seguito al provvedimento di omologazione, trovano la loro fonte nell’accordo delle parti. Pertanto, essendo riconducibile alla volontà del cedente, la cessione in-fraquinquennale dell’abitazione, pur La clausola di trasferimento di un immobile tra i coniugi, contenuta nei verbali di separazione o recepita dalla sentenza di divorzio congiunto o, ancora, sulla base di conclusioni uniformi – come è accaduto nel caso di specie – è valida tra le parti e nei confronti dei terzi, essendo soddisfatta l’esigenza della forma scritta”, in Il caso.it, 2014; Famiglia e Diritto, 2015, 4, 357 nota di FilAuro; Foro It., 2015, 2, 1, 567. Cass. 3 febbraio 2014, n. 2263: “se effettuata in esecuzione degli accordi di separazione, comporta la decadenza dai benefici ‘prima casa’, se non è seguita dall’acquisto di altra abitazione entro un anno dall’alienazione dell’immobile. Il trasferimento di un immobile in favore del coniuge per effetto de-gli accordi intervenuti in sede di separazione consensuale è comunque riconducibile alla volontà del cedente, e non al provvedimento giudiziale di omologazione, sicché,

La giurisprudenza di legittimità si è espressa in favore della tesi che nega la natura di atti di liberalità a questi trasferimenti sia perché, in astratto, la mancanza di corrispettivo non co-stituisce necessariamente indice di liberalità, sia perché, in concreto, è stato espressamente affermato, o che la loro causa è costituita dall’assetto dato dai coniugi ai mutati rapporti fa-miliari con conseguente esclusione della riconducibilità alla causa tipica della donazione23 o che trattasi di negozio atipico con propri presupposti e proprie finalità24.

Naturalmente potrebbero verificarsi ipotesi in cui la sepa-razione costituisce solo lo strumento fittizio per operare tra-sferimenti mobiliari o immobiliari aggirando il pagamento delle imposte ovvero l’intenzione sia esclusivamente quella di mettere in salvo, i beni nella titolarità di un coniuge, da aggressioni dei creditori usufruendo delle agevolazioni fiscali.

Sul punto, la Cassazione ha affermato che la separazione ancorché omologata non ne preclude l’impugnabilità trami-te azione revocatoria, sia ordinaria che fallimentare, qualora si voglia evitare pregiudizio ai creditori del coniuge dispo-nente25.

Soggetti alla stessa disciplina dei trasferimenti immobiliari tra coniugi, ci sono gli atti che hanno quali destinatari degli effetti i figli.

Il trasferimento in favore del figlio non è un negozio tra il genitore ed il figlio ma è pur sempre un negozio tra il marito e la moglie nel quale si utilizza lo schema del contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.) per cui non deve esserci accettazione da parte del figlio (un genitore si obbliga nei confronti dell’al-tro a cedere il bene al figlio).

Finora la giurisprudenza ha esaminato la sola ipotesi di tra-sferimento del bene immobile al figlio a scopo di manteni-mento, ma proprio in ragione della funzione compositiva del mutato assetto familiare che informa i trasferimenti contenuti negli accordi di separazione o di divorzio non si può apriori-sticamente escludere la legittimità di un trasferimento in fa-vore di un figlio autonomo economicamente, la cui funzione potrebbe essere dettata ad esempio dall’esigenza di sottrarre il bene al patrimonio del cedente per finalità prettamente suc-cessorie al fine di evitare che subentrino nuovi eredi concor-renti al futuro asse ereditario26.

qualora, intervenga nei cinque anni successivi al suo acquisto, senza che il cedente stesso, abbia comprato, entro l’anno ulteriore, altro appartamento da adibire a propria abitazione principale, le agevolazioni fiscali ‘prima casa’ di cui egli abbia beneficiato per l’acquisto di quell’immobile vanno revocate, con conseguente legittimo recupero delle ordinarie imposte di registro, ipotecarie e catastali da parte dell’Amministrazione finanziaria”, in Corriere Trib., 2014, 16, 1258 nota di iAnniello. Cass. 20 agosto 2014, n. 18066: “La clausola di trasferimento di immobile tra coniugi ovvero da uno dei genitori al figlio minore recepita dalla sentenza di divorzio, anche sulla base di conclusioni uniformi, è valida tra le parti e nei confronti dei terzi. Essa può essere oggetto di annullamento per vizio di volontà in un autonomo giudizio di cognizione e non può costituire motivo di impugnazione della sentenza di divorzio. La sentenza resa a seguito di conclusioni comuni in un divorzio contenzioso può prevedere che il coniuge trasferisca al figlio la proprietà di un immobile intestato a un terzo. La clausola di trasferimento di un immobile tra i coniugi, contenuta nei verbali di separazione o recepita dalla sentenza di divorzio congiunto o, ancora, sulla base di conclusioni uniformi – come è accaduto nel caso di specie – è valida tra le parti e nei confronti dei terzi, essendo soddisfatta l’esigenza della forma scritta”, in Il caso.it, 2014; Famiglia e Diritto, 2015, 4, 357 nota di FilAuro; Foro It., 2015, 2, 1, 567.

23 Cass. Civ. 3 febbraio 2014, n. 2263, cit.24 Cass. Civ. 12 aprile 2006, n. 8516; Cass. Civ. 22 novembre 2007, n.

24321.25 Cass. Civ. 12 aprile 2006 n. 8516, cit.; nel merito, Tribunale di Roma 23

novembre 2011, n. 22875.26 Cass. Civ. 23 settembre 2013, n. 21736.

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5. il trattamento fiscale degli accordi di separazione

Gli accordi posti in essere dai coniugi in occasione della crisi matrimoniale sono assoggettati ad un particolare regime fisca-le finalizzato ad agevolarne la tutela giurisdizionale e compor-re le situazioni di contrasto anche nell’interesse della prole.

L’intento perseguito dal legislatore, infatti, è quello di evi-tare che l’imposizione fiscale possa gravare pesantemente sui coniugi rendendo ancora più difficile il superamento della si-tuazione di crisi familiare in cui si trovano.

La disciplina che regola il trattamento fiscale dei trasferi-menti immobiliari contenuti nei provvedimenti di sciogli-mento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di separazione personale si presenta problematica perché, sia la legislazione fiscale che l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, sono rimaste insensibili alle evoluzioni sostanziali che hanno caratterizzato i procedimenti destinati a risolvere la crisi matrimoniale.

Nel ripercorrere le varie tappe dell’evoluzione, la prima di-sposizione da considerare è l’art. 8, lett. e) della tariffa, par-te prima, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, che prevedeva l’imposizione fiscale in misura fissa per gli atti dell’autorità giudiziaria ordinaria o speciale in materia di controversia ci-vile che definivano, anche parzialmente, il giudizio, compre-si i decreti ingiuntivi e i provvedimenti di aggiudicazione e di assegnazione non portanti condanna né accertamento di diritti a contenuto patrimoniale. Data l’incerta formulazione letterale della norma si poneva il dubbio circa la possibilità di estenderla anche alle sentenza di divorzio o separazione personale contenenti attribuzioni patrimoniali, considerato l’atteggiamento restrittivo dell’Amministrazione finanziaria che assoggettava tale tipologia di atti alla normale imposta di registro. In un primo momento è intervenuto il legislatore con un’interpretazione autentica contenuta nell’unico articolo della l. 10 maggio 1976, n. 260, a norma del quale le senten-ze di divorzio o separazione personale vengono assoggettate all’imposizione fiscale in misura fissa, anche qualora dovesse-ro contenere condanne al pagamento di somme di denaro o attribuzioni patrimoniali.

Il criterio dell’imposizione fiscale in misura fissa ha trovato conferma nell’art. 8, lett. f), tariffa allegata, parte I, di cui al testo unico dell’imposta di registro (t.u. 26 aprile 1986, n. 131) che ha previsto tale regime per gli atti aventi ad oggetto lo scioglimento, la cessazione degli effetti civili del matrimo-nio o la separazione personale, anche se recanti condanne al pagamento di assegni o attribuzioni di beni patrimoniali, già facenti parte di comunione fra i coniugi27.

Il sistema impositivo così come delineato è stato applicato fino all’entrata in vigore dell’art. 19 della l. n. 74 del 1987 che ha introdotto, limitatamente al procedimento di divor-zio, l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da qualsiasi altra forma di tassazione relativa ai provvedimenti di scio-glimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili,

27 V. PAPPA monteForte, Ancora sui trasferimenti immobiliari nelle intese post crisi coniugale, in Notariato, 2012, 446 ss., il quale con riferimento ad una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli (3 novembre 2011, n. 903) evidenzia come nelle intese post coniugali, anche il trasferimento di un immobile acquistato dai coniugi in comunione ordinaria beneficia dell’esenzione da imposta. Si richiede un unico presupposto da parte del legislatore cioè ce il tra-sferimento trovi origine e causa nell’accordo raggiunto in sede di separazione o di-vorzio, il cui intento elusivo deve essere provato dall’Amministrazione finanziaria.

nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della l. 1 dicembre 1970, n. 898.

L’attuale orientamento dell’Amministrazione finanziaria, sollecitata dalle numerose sentenze di legittimità intervenute sull’argomento, è favorevole all’applicazione del trattamento fiscale agevolato di cui all’art. 19 della l. n. 74 del 1987 il quale, come noto, prevede che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matri-monio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio… sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”, an-che ai trasferimenti in favore dei figli.

Un passo avanti per l’uniformità di applicazione dell’esen-zione si è avuto con la sentenza n. 202 del 200328, con la qua-le la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, lett. b), della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nella parte in cui essa non esentava dall’impo-sta i provvedimenti emessi in applicazione dell’art. 148 c.c. nell’ambito dei rapporti tra genitori e figli29. Tuttavia, come dimostrano i diversi interventi sia della giurisprudenza che dell’Amministrazione finanziaria successivi alla citata pro-nuncia, le incertezze in materia non sono state definitivamen-te eliminate.

Ne è testimonianza anche l’intervento dell’A.E. con la circo-lare n. 27/E del 21 giugno 2012 che qui di seguito si riporta:

2. Accordi di separazione e divorzio2.1. Disposizioni patrimoniali in favore dei figli effettuate in adempimento di accordi di separazione e divorzioD: Si chiede di conoscere se per gli atti di trasferimento in favore dei fi-gli effettuati nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio possa trovare applicazione il regime di esenzione previsto dall’art. 19 della l. n. 74 del 1987. Tale disposizione prevede l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro ed ogni altra tassa, tra l’altro, per “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimo-nio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”. Il quesito proposto riguarda, in particolare, il trattamento da riservare all’atto con il qua-le, nell’ambito di un accordo di separazione consensuale, un genitore, in qualità di proprietario della casa coniugale, dispone il trasferimento della nuda proprietà dell’immobile in favore dei figli.

R: L’art. 19 della l. 6 marzo 1987, n. 74 dispone che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di sciogli-mento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matri-monio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della l. 1 dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”. Come precisato dalla Corte costituzionale con sentenza 11 giugno 2003, n. 202, l’esigenza di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, che giustifica il bene-ficio fiscale con riferimento agli atti del giudizio divorzile, è altresì presente nel giudizio di separazione, in quanto finalizzato ad agevo-lare e promuovere, in breve tempo, una soluzione idonea a garan-tire l’adempimento delle obbligazioni che gravano sul coniuge non

28 Corte cost., 11 giugno 2003, n. 202, in Rivista di giurisprudenza tributaria, 9/2003, 805, con note di riferimento di B. iAnniello e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA; in Fam. Dir., 2003, 421 con il commento di A. sAlvAti.

29 L’art. 148 c.c. disciplina il concorso agli oneri di mantenimento dei fi-gli gravanti sui genitori e nella fattispecie si trattava della registrazione di una sentenza del Tribunale che aveva condannato il padre a versare un assegno di mantenimento alla madre per il figlio naturale riconosciuto, sicché con questa decisione il quadro dell’esenzione si è reso uniforme per tutti i giudizi di separa-zione, di divorzio e di determinazione degli obblighi economici relativi ai figli, ancorché nati al di fuori del matrimonio.

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affidatario della prole. Dal punto di vista oggettivo, le agevolazioni di cui al citato art. 19 si riferiscono a tutti gli atti, documenti e prov-vedimenti che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare i rapporti giuridici ed economici “relativi” al procedimento di sciogli-mento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stes-so. L’esenzione recata dal citato art. 19 della l. n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile ad accordi di natura patrimoniale non soltanto direttamente riferibili ai coniugi (quali gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge – cfr. Cass., 17 febbra-io 2001, n. 2347) ma anche ad accordi aventi ad oggetto disposizio-ni negoziali in favore dei figli. Al riguardo, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 11458 del 2005, ha precisato che “la norma speciale contenuta nell’art. 19 l. 6 marzo 1987, n. 74 […] dev’essere inter-pretata nel senso che l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa” di “tutti gli atti, documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessa-zione degli effetti del matrimonio” si estende “a tutti gli atti, i docu-menti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi”, in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici (Corte costituzionale, 25 febbraio 1999, n. 41), anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli (in questo senso già si era pronunciata la Corte costituziona-le con sentenza 15 aprile 1992, n. 176, ma ancor più chiaramente e decisamente il principio è enunciato dalla sentenza della Corte costituzionale, 11 giugno 2003, n. 202)”. La richiamata interpreta-zione giurisprudenziale si fonda sulla considerazione che gli accordi a favore dei figli, stipulati dai coniugi nella gestione della crisi ma-trimoniale, oltre a garantire la tutela obbligatoria nei confronti della prole, costituiscono, talvolta, l’unica soluzione per dirimere contro-versie di carattere patrimoniale. Pertanto, l’esenzione fiscale prevista dall’art. 19 della l. n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile anche alle disposizioni patrimoniali in favore dei figli disposte in accordi di separazione e di divorzio a condizione che il testo dell’accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda esplicitamente che l’accordo patrimoniale a beneficio dei fi-gli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.

2.2. Trasferimento, nell’ambito degli accordi di separazione o divorzio, dell’immobile acquistato fruendo delle agevolazioni “prima casa” ante-riormente al decorso del quinquennio

D: Si chiede di conoscere se si verifica la decadenza dall’agevolazione “prima casa”, fruita in sede di acquisto dell’immobile, nel caso di trasferi-mento della casa coniugale, effettuato in adempimento di accordi di sepa-razione e divorzio, da parte di uno o di entrambi i coniugi. In particolare, viene chiesto di conoscere se si verifica la decadenza dall’agevolazione nel caso in cui, nell’ambito dell’accordo omologato dal tribunale, venga previsto che: a) uno dei coniugi trasferisca all’altro, prima del decorso del termine di cinque anni dall’acquisto, la propria quota del 50% della casa coniugale, acquistata con i benefici “prima casa”; b) in alternativa che entrambi i coniugi vendano a terzi la propria casa coniugale, prima del decorso di cinque anni dall’acquisto, con rinuncia da parte di uno dei coniugi a favore dell’altro all’incasso del ricavato della vendita.

R: La nota II-bis) all’art. 1 tariffa, parte prima, allegata al TUR dispo-ne, al 4o comma, la decadenza dalle agevolazioni prima casa qua-lora si proceda al “trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici… prima… del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto”. Al verificarsi della decadenza, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero della “differenza fra l’imposta calcolata in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata”, nonché all’irro-gazione della sanzione amministrativa pari al 30% e degli interessi di mora. In caso di vendita dell’immobile nel quinquennio, la decaden-za dall’agevolazione può essere evitata, in base a quanto previsto dal-

la citata nota II-bis), 4o comma, dell’art. 1, della tariffa, parte prima, allegata al TUR, qualora, entro un anno dall’alienazione, si proceda all’acquisto di un nuovo immobile da adibire ad abitazione prin-cipale. In linea generale, pertanto, qualora si trasferisca l’immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa” e non si proceda all’ac-quisto entro l’anno di un nuovo immobile, da destinare ad abitazio-ne principale, si verifica la decadenza dall’agevolazione fruita. Con riferimento al quesito proposto, appare utile rilevare, tuttavia, che l’atto di trasferimento della quota del 50% della casa coniugale, da parte di uno dei due coniugi all’altro, è effettuato in adempimento di un accordo di separazione o divorzio. In relazione a tale trasferimen-to trova, quindi, applicazione il regime di esenzione previsto dall’art. 19 della l. 6 marzo 1987, n. 74, secondo cui sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa “Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matri-monio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”.La giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 7493 del 22 maggio 2002 che richiama la sentenza n. 2347 del 2001) è ferma nello statuire che le agevolazioni in questione “operano con riferimento a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice, i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasfe-rimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge”. Come affermato dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 202 dell’11 giugno 2003), il regime di esenzione di-sposto dall’art. 19 risponde all’esigenza “di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale che motiva e giustifica il beneficio fiscale con riguardo agli atti del giudizio divorzile” e “di separazione, anche in considerazione dell’esigenza di agevolare e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio sul coniuge non affidatario della prole”. Di fatto, a parere della Corte, con la richiamata dispo-sizione, il legislatore ha inteso escludere da imposizione gli atti del giudizio divorzile (o di separazione), al fine di favorire una rapida definizione dei rapporti patrimoniali tra le parti. In considerazione di tale principio, si ritiene, pertanto, che tale regime di favore pos-sa trovare applicazione anche al fine di escludere il verificarsi della decadenza dalle agevolazioni “prima casa” fruite in sede di acquisto, qualora in adempimento di un obbligo assunto in sede di separazio-ne o divorzio, uno dei coniugi ceda la propria quota dell’immobile all’altro, prima del decorso del termine quinquennale. Il trasferimen-to al coniuge concretizza, infatti, un atto relativo “al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”. Si precisa che la decadenza dall’agevolazione è esclusa a prescindere dalla circostanza che il coniuge cedente provveda o meno all’acquisto di un nuovo immobile. Tale interpretazione tro-va conferma in diverse sentenze delle Commissioni Tributarie. Si ricorda, in particolare la sentenza del 2 febbraio 2011, n. 8, con la quale la Commissione Tributaria Centrale di Vicenza - sez. V ha ritenuto non applicabile il regime di decadenza previsto dalla cita-ta nota II-bis, 4o comma, nel caso di trasferimento dell’immobile all’altro coniuge “al fine di dare esecuzione agli accordi presi in sede di separazione consensuale tra i coniugi”. La commissione chiarisce che tale cessione “costituisce atto emanato in stretta esecuzione del decreto giudiziale di omologazione della separazione tra i coniugi, e le caratteristiche assolutamente peculiari del negozio de quo, che non ubbidisce a un animus donandi ma alla volontà di definire i rapporti patrimoniali in seguito alla risoluzione del rapporto matri-moniale, sotto l’egida del Tribunale, giustifica la non riconducibilità della fattispecie nell’alveo della disposizione di cui al citato n. 4”.A parere della scrivente, la decadenza dall’agevolazione “prima casa” può essere esclusa anche nel diverso caso in cui l’accordo omologa-to dal tribunale preveda che entrambi i coniugi alienino a terzi la proprietà dell’immobile, con rinuncia da parte di uno dei coniugi a favore dell’altro, all’incasso del ricavato della vendita; in tal caso, tuttavia, la decadenza può essere esclusa solo nel caso in cui il co-niuge – al quale viene assegnato l’intero corrispettivo derivante dalla

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vendita – riacquisti, entro un anno dall’alienazione, un altro immo-bile da adibire ad abitazione principale. Infatti, ancorché in relazione all’atto di trasferimento dell’immobile a terzi non trovi applicazione il regime di esenzione previsto dall’art. 19 della l. 6 marzo 1987, n. 74, (in quanto il contratto di compravendita non trova la propria causa nel procedimento di separazione e divorzio), occorre comunque con-siderare che, nel caso in esame, il coniuge tenuto a riversare le somme percepite dalla vendita all’altro coniuge non realizza, di fatto, alcun arricchimento dalla vendita dell’immobile. Il ricavato della vendita è, infatti, percepito interamente dall’altro coniuge in capo al quale re-sta fermo, conseguentemente, l’onere di procedere all’acquisto di un altro immobile, da adibire ad abitazione principale. Si rileva, inoltre, che il coniuge cedente, sia nel caso in cui trasferisca la propria quota dell’immobile all’altro coniuge sia nel caso in esame in cui ceda a terzi l’immobile e riversi il ricavato della vendita all’altro coniuge, si priva del bene posseduto a favore dell’altro e, pertanto, non appare coeren-te un diverso trattamento fiscale delle due operazioni. Tale soggetto non è, quindi, tenuto ad acquistare un nuovo immobile per evitare la decadenza. Come chiarito, sull’altro coniuge che percepisce l’intero corrispettivo della vendita incombe l’obbligo di riacquistare, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad abitazione principale, secondo le regole ordinarie. Solo in tale ipotesi, non si verifica la decadenza dal regime agevolativo “prima casa” fruito in relazione all’acquisto della casa coniugale.

3. Cessione di area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta alla quale risulta connesso un diritto di cubatura3.1. Cessione di area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta, in re-lazione alla quale sarà concesso da un Comune un diritto di cubatura su area ubicata in altri comprensori urbaniD: Si chiedono chiarimenti in ordine al trattamento fiscale applicabile ad un atto pubblico avente ad oggetto il trasferimento tra società di capitali di un’area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta, che l’acquiren-te trasferirà successivamente al Comune a fronte del ri conoscimento, da parte del comune stesso, di un diritto di cubatura di valore corrispondente all’area ceduta, collocato su un’area ubicata in altro comprensorio urbano.

R: L’art. 36, 2o comma, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, dispone che, ai fini dell’applicazione, tra l’altro, dell’iva, dell’imposta di registro e delle imposte sui redditi “un’area è da considerare fabbricabile se utilizza-bile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”. L’art. 2, 3o comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nell’elencare le operazioni non considerate cessioni di beni ai fini dell’applicazione dell’iva (per mancanza del presupposto oggettivo), individua, alla lett. c), “le cessioni che hanno per oggetto terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria a norma delle vigenti disposizioni”. Sulla base del combinato disposto delle norme citate, l’imponibilità ai fini iva è collegata alla destinazione edificatoria che il terreno possiede al momento della cessione. Ai fini della determinazione del trattamen-to fiscale applicabile all’atto di trasferimento in esame, occorre tener conto del fatto che l’atto di cessione tra le due società non ha ad og-getto esclusivamente l’area gravata da vincolo di inedificabilità ma, altresì, l’aspettativa connessa alla futura compensazione edificatoria, in virtù della quale la società proprietaria, a fronte della successiva cessione dell’area non edificabile – in favore del comune – riceverà da quest’ultimo una cubatura di valore corrispondente, collocata su un’area ubicata in altri comprensori urbani. Pertanto, nell’ipotesi in cui il contratto di compravendita consenta di distinguere la parte di corrispettivo ascrivibile alla cessione del terreno non suscettibile di utilizzazione edificatoria dalla parte riconducibile alla cessione della futura cubatura nella nuova localizzazione, si ritiene applicabile il seguente trattamento tributario. La parte di corrispettivo ascrivibile alla cessione di terreni non edificabile va assoggettata ad imposta di registro nella misura proporzionale dell’8%, come previsto dall’art. 1, 1o comma, della tariffa, parte prima, allegata al TUR, mentre il re-

siduo importo del corrispettivo, riconducibile alla cessione dei diritti edificatori nella nuova localizzazione, rientra, in base all’art. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, nel campo di applicazione dell’iva e sconta, pertanto, l’imposta con applicazione dell’aliquota ordinaria del 21%. Laddove le parti, invece, non operino alcuna distinzione nell’ambito del corrispettivo dovuto, l’intera operazione deve essere assoggettata ad imposta di registro nella misura ordinaria dell’8%, come previsto dal citato art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al TUR.Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i prin-cipi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osser-vati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti. (Omissis)

Di recente, la Suprema Corte è intervenuta nuovamente sull’ar-gomento confermando il regime di esenzione fiscale anche con riferimento ai trasferimenti immobiliari in favore della prole con funzione solutoria dei doveri di mantenimento a carico dei genitori30.

I giudici di legittimità hanno evidenziato che anche qualora il trasferimento avvenga in favore della prole risulta confer-mata la ratio che giustifica il trattamento tributario agevolato. Ed invero, il trasferimento trae motivo unicamente nella sepa-razione, anzi costituisce una vera e propria condizione della separazione. Di frequente accade che il trasferimento effettua-to in favore della prole si riveli come lo strumento migliore per superare i forti contrasti tra i coniugi.

In questi casi l’attribuzione patrimoniale può essere docu-mentata dallo stesso giudice nel verbale di omologa della se-parazione, laddove, invece, ciò non si ritiene possibile per tutti quegli atti di disposizioni che non sono giustificati dalla crisi coniugale, ma sono solo ad essa occasionalmente connessi.

L’esenzione dall’imposizione fiscale, dunque, riguarda solo ed esclusivamente le attribuzioni patrimoniali funzionalmen-te connesse alla risoluzione della crisi della famiglia perché finalizzate all’adempimento di doveri che costituiscono con-seguenza della separazione31.

Ci riferiamo non solo ai trasferimenti immobiliari realizzati nell’ambito del procedimento giudiziario, ma anche a quelli contenuti in atti notarili, purché funzionalmente collegati al procedimento di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Nonostante le incertezze originate dalla poco chiara for-mulazione letterale della norma di cui all’art. 19 della l. n.

30 Cassazione, Sez. VI-T, Ord. 8 marzo 2013 (16 gennaio 2013), n. 5924 - Pres. Cicala - Rel. Iacobellis: “Nell’ipotesi di trasferimento di immobili, in adem-pimento di obbligazioni assunte in sede di separazione personale dei coniugi, l’art. 19 della legge n. 74/1987, alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 154/1999 e n. 176/1992, deve essere interpretato nel senso che l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa, di tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio si estende a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedi-mento di separazione personale dei coniugi, in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli”.

31 Cass., Sez. trib., 17 febbraio 2001, n. 2347, in Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 11/2001, 1345, con nota di A. Figone, La Suprema Corte conferma l’esenzione da INVIM per i trasferimenti immobiliari in sede di divorzio, mentre con la sentenza 3 dicembre 2001, n. 15231, in Il fisco, 2002, 1525, commentata criticamente da G. mArini, Esenzione fiscale e separazione personale dei coniugi, la Corte di cassazione aveva escluso l’esenzione trattandosi di bene acquistato in regime di separazione dei beni ed essendo prevista a verbale la formula per cui la moglie ‘cedeva e vendeva a marito il 20% della proprietà contro il corrispet-tivo di 400 milioni’ e va sottolineato come tutt’ora alcuni Uffici tendano a non riconoscere l’esenzione quando siano utilizzate per il trasferimento immobiliare parole quali ‘vendita’ o ‘prezzo’ e non sia indicata l’indispensabilità della cessione per la definizione dei rapporti patrimoniali inerenti alla separazione.

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74 del 1987, negli ultimi anni l’indirizzo prevalente sia della giurisprudenza che dell’Amministrazione finanziaria ha inte-so favorire il trattamento fiscale dei trasferimenti immobiliari.

Tuttavia, il recente intervento del legislatore in materia di tassazione degli atti di trasferimento di beni immobili, conte-nuto nell’art. 10, 4° comma, del d.lgs. n. 23 del 2011 che di fatto ha “soppresso” tutte le esenzioni ed agevolazioni fiscali, ha fatto sorgere dei dubbi sulla permanenza attuale del regi-me fiscale agevolato per le attribuzioni patrimoniali funzio-nalmente connesse alla risoluzione della crisi della famiglia.

Va osservato che gli interventi della Corte costituzionale, nonostante la loro rilevanza, non hanno del tutto risolto le problematiche in materia.

Infatti, pur avendo sostenuto l’applicazione estensiva del trattamento di favore anche agli atti compiuti dai coniugi in sede di separazione personale, permaneva ancora un ulteriore nodo da districare, cioè l’interpretazione dell’inciso dell’art. 19 tutti gli atti, documenti ed i provvedimenti relativi al procedimen-to…, ed in particolare chiarire il significato del termine “tasse”.

La formulazione letterale della norma non è certo di aiuto, le difficoltà già presenti in materia sono state ulteriormente alimentate dalle rigide interpretazioni dell’Amministrazione finanziaria che è intervenuta più volte con dei provvedimen-ti di carattere restrittivo tesi a limitare l’esenzione fiscale alle sole imposte indicate nella disposizione di legge.

La questione muoveva dall’interpretazione del termine “tas-sa”, occorreva cioè stabilire se nella formulazione della norma il termine fosse stato inteso dal legislatore in senso tecnico, cioè tale da comprendere solo quei tributi che rientrano tec-nicamente nel concetto di tassa, o invece in senso atecnico, cioè comprensivo di qualsiasi forma di imposizione fiscale.

Dal punto di vista letterale la disposizione andrebbe inter-pretata nel senso di concedere l’esenzione esclusivamente ai tributi espressamente indicati.

Tuttavia, si deve preferire un’interpretazione estensiva basa-ta sulla ratio posta a fondamento della pronuncia che è quella di assicurare un trattamento fiscale privilegiato ai coniugi nel-la fase di separazione o di divorzio.

Infatti, dalla lettura delle pronunce emerge in modo inequi-vocabile che l’intento dei giudici è stato quello di assicurare ai coniugi l’esenzione in relazione alla totalità dei tributi.

Non avrebbe alcuna giustificazione logica né fondamento giuridico prevedere l’esenzione solo per alcune imposte e non per altre.

Sull’argomento è intervenuta anche l’A.E., che nel delimita-re l’ambito di applicazione del trattamento fiscale di favore, ha chiarito che l’esenzione opera solo per gli accordi forma-lizzati nel provvedimento di separazione e ad esso connessi.

Un’interpretazione di questo tipo però non trova supporto in alcuna disposizione di legge.

Invero, come già ampiamente esposto, la ratio posta a fon-damento delle decisioni che hanno ammesso l’applicazione estensiva del regime tributario di favore, è quella di non ag-gravare i procedimenti de quibus, ragion per cui esso deve es-sere necessariamente esteso a tutti gli atti di trasferimento, ancorché non inseriti nei verbali di separazione o anche nelle sentenze, a patto che siano connessi alla separazione o al di-vorzio, anche se compiuti in un momento successivo.

Nella pratica è frequente che tali trasferimenti vengano con-cretamente realizzati a mezzo di rogiti notarili successivi alla

conclusione del procedimento giudiziale, in adempimento di un obbligo assunto nell’ambito dell’accordo, dato che in tale sede non è possibile o quantomeno agevole effettuare le visu-re catastali e tutti i controlli in materia. Attività questa che di regola viene affidata ad un notaio in un momento successivo al perfezionamento dell’accordo.

Dette attribuzioni sono comunque riconducibili alla previ-sione di cui all’art. 8, lett. f) e perciò appare privo di giustifica-zione sottoporle ad un diverso trattamento fiscale solo perché stipulate per atto di notaio o per scrittura privata autenticata.

Non è, infatti, necessario che l’atto promani dall’Autorità giudiziaria, ma è sufficiente che sia collegato con il procedi-mento di separazione.

In caso contrario, vi sarebbe una evidente disparità di tratta-mento a seconda della modalità con la quale i coniugi provve-dano alla sistemazione dei loro rapporti patrimoniali.

Anche nei procedimenti per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, in realtà, nulla esclude che i coniu-gi vogliano ratificare tramite il provvedimento del Tribunale accordi tra essi intervenuti. Ma perché il ricorso congiunto sia ammissibile occorre che vi sia un qualche collegamento fun-zionale con il thema decidendum proprio del procedimento.

Pertanto, per evitare in radice declaratorie di inammissibilità, il trasferimento immobiliare concordato dovrà essere collegato ad una modifica dei provvedimenti già resi, ad esempio in ri-ferimento ad una revoca dell’assegnazione della casa coniugale o a quanto statuito con riguardo all’assegno di mantenimento a carico di un coniuge a favore dell’altro coniuge o dei figli32.

6. Le prassi di alcuni tribunali sui trasferimenti immobiliari nella crisi coniugale

Il Tribunale di Lodi ha escluso la ricevibilità di condizioni di separazione o di divorzio contenenti trasferimenti immobilia-ri motivando con l’“evidente impossibilità” di delegare al Giu-dice, che, “avendo gli stessi obblighi del Notaio dovrebbe espletare le incombenze”, relative all’allineamento oggettivo e soggettivo “pena la nullità del trasferimento”33.

Il Tribunale di Siracusa ha accollato ai legali l’onere di pro-durre in giudizio la “planimetria catastale dell’immobile og-getto del trasferimento” corredata dalla dichiarazione di con-formità oggettiva (di cui ha predisposto un fac-simile) “fir-mata da entrambe le parti le cui firme devono essere autenticate”.

Il Tribunale di Verona richiede l’indicazione, a verbale, degli elementi prescritti per la conformità oggettiva (identificazione catastale, riferimento alle planimetrie depositate in catasto e dichiarazione resa in atto dagli intestatari della conformità allo stato di fatto dei dati catastali, sostituibile con la dichiarazione di un tecnico). Viene, inoltre, precisato che il verbale di sepa-razione personale, di divorzio o di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio, “è atto pubblico anche agli effetti dell’art. 2657 c.c.”, in quanto atto ricevuto dal cancelliere e da lui sottoscritto. Tra l’altro, si afferma espressamente l’idoneità del verbale di udienza, reso nei “giudizi di divorzio anche a domanda congiunta, di separazione e nei provvedimenti di modifica […] in co-

32 A titolo esemplificativo, cfr. sentenza del Tribunale civile e penale di Man-tova, 9 febbraio 2012, pubblicata in Il caso.it.

33 Comunicazione prot. n. 904/2010 del 18.6.2010 a firma congiunta del Presidente del Tribunale di Lodi e del Presidente della Sezione Famiglia dello stesso Tribunale, diretta al Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.

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pia autentica sottoscritto dalle parti” a essere trascritto “senza dover attendere le decisioni (sentenza o decreto) della vertenza”. Anche in questo caso nulla viene detto a proposito della conformità sog-gettiva. Infine, si richiede di inserire a verbale l’esonero del can-celliere dall’esecuzione della trascrizione (che altrimenti, si dice, il medesimo dovrebbe curare ex art. 14 d.P.R. 26.10.73 n. 635).

L’Ordine degli Avvocati di Trieste, con propria circolare, per i trasferimenti immobiliari realizzati in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto, richiede che le parti – pena il rigetto della domanda – rendano, in atto, la dichia-razione di conformità oggettiva (sostituibile con l’allegazione della dichiarazione sostitutiva di un tecnico abilitato). La cir-colare dispone anche in merito alla conformità soggettiva ob-bligando le parti ad allegare al ricorso un estratto tavolare (in considerazione del differente regime pubblicitario ivi vigente) e un certificato catastale dell’immobile da trasferire, entrambi recenti, affinché il Giudice “possa procedere a […] verifica di conformità”34. In proposito, basti osservare che qui si indivi-dua nel Giudice (e non nel cancelliere) il destinatario delle dichiarazioni delle parti e si ritiene che al medesimo competa anche la verifica della conformità soggettiva.

Il Tribunale di Ferrara ha precisato che “non potendo […] esimersi dall’omologare separazioni contenenti la cessione di im-mobili […] non verranno omologate separazioni prive […] di una dichiarazione notarile per […] la coerenza soggettiva e di una cer-tificazione di un tecnico per […] la coerenza oggettiva del bene”. Opportunamente il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati loca-le ha sottolineato l’eccessiva rigorosità di tale prassi laddove richiede obbligatoriamente l’attestazione di un tecnico abili-tato per la dichiarazione di conformità oggettiva (quando la norma richiede la dichiarazione delle parti che “può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tec-nico abilitato”) ed attribuisce alla dichiarazione di conformità soggettiva valore determinante ai fini dell’omologa nonostan-te, come abbiamo visto, la predetta dichiarazione (auspicabile ma non doverosa secondo la legge) e il correlativo obbligo di verifica non siano previsti dalla legge a pena di nullità, ma incidano esclusivamente sul profilo della responsabilità del notaio, che ometta di eseguire tale controllo.

Il provvedimento del Tribunale di Catania del 21 ottobre 2015, segue la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ormai uniformemente, ha dichiarato la validità e la legittimità degli accordi tra coniugi, relativi alla divisione del patrimo-nio immobiliare tra di loro; ha inoltre qualificato l’azione per l’effettiva realizzazione dell’accordo, ove non rispettato, come domanda di esecuzione in forma specifica.

Il caso. Il marito conveniva in giudizio la moglie (ormai ex), chiedendo che il Tribunale di Catania desse attuazione alla con-venzione intervenuta tra le parti in causa (in sede di verbale di omologazione della separazione consensuale), con la quale, concordemente tra le parti stesse, si era proceduto allo sciogli-mento della comunione sui beni in comproprietà tra i coniugi.

Gli immobili erano passati nel possesso dei rispettivi asse-gnatari, ma a dire dell’attore, la moglie – pur essendo tra-scorso abbondantemente il termine di un anno previsto per l’esecuzione dell’accordo, da attuarsi mediante atto pubblico

34 Circ. 27.5.2011, n. 13/2011, emessa dal Presidente del Consiglio dell’Or-dine degli Avvocati di Trieste.

di divisione – non aveva provveduto ad adempiere agli accor-di, anzi aveva frapposto degli ostacoli alla loro esecuzione.

Parte convenuta si costituiva in giudizio, dichiarando di non opporsi all’eventuale vendita, chiedendo l’assegnazione di al-cuni beni e un conguaglio a carico del marito, da versarsi in suo favore, poiché i beni assegnati a quest’ultimo sarebbero stati di valore più alto di quelli a lei assegnati.

Il marito si opponeva e veniva quindi nominato CTU che, valutati gli immobili, depositava progetto di divisione.

Detto progetto veniva, però, nuovamente contestato dal ma-rito, e, in seguito, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni.

La convenzione tra coniugi per la divisione del patrimonio im-mobiliare ha autonoma validità ed efficacia, trattandosi di libera pattuizione tra di loro. Secondo il Tribunale di Catania, non costituisce ostacolo all’accoglimento dell’azione, ex art. 2932 c.c., il fatto che l’accordo tra i coniugi non abbia natura di contratto preliminare.

Secondo la pronuncia in esame, sulla scorta della giurispru-denza della Cassazione, la convenzione tra i coniugi non co-stituisce un contratto di donazione, ma un diverso contratto atipico, con propri presupposti e finalità, del tutto valido; inoltre, sembra corretto proporre un’estensione della senten-za costituiva anche alla fattispecie in esame, anche in funzione sostitutoria degli effetti che sarebbero dovuti scaturire dall’at-to traslativo della proprietà, alla cui effettuazione i coniugi si erano obbligati in sede di definizione della separazione.

Nel caso che stiamo esaminando, le parti avevano già di-sposto dettagliatamente per quanto riguarda la divisione del loro patrimonio comune, limitandosi a posticipare la stipula dell’atto di divisione nel termine di sessanta giorni a seguire l’emissione del decreto di omologazione della separazione.

In questo modo, secondo il Tribunale di Catania, avevano stipulato una convenzione degna di autonoma validità ed efficacia, trattandosi di pattuizioni convenute dai coniugi e trasfuse nell’accordo omologato.

Pertanto, secondo la sentenza in commento, non essendo sorte contestazioni tra le parti in merito ai beni caduti in co-munione, in mancanza di fatti o elementi nuovi che possano far ritenere risolta o invalida la predetta convenzione, è possi-bile disporre l’attribuzione del compendio immobiliare comu-ne alle parti secondo le modalità dalle stesse pattuite, in acco-glimento della domanda attrice, che può essere qualificata – come detto – come domanda di esecuzione in forma specifica.

Di conseguenza, il Tribunale, in accoglimento della doman-da di esecuzione in forma specifica della pattuizione tra le parti, relativa all’accordo di divisione tra i coniugi del patri-monio immobiliare, peraltro trasfuso nel decreto di omolo-gazione, ha dichiarato lo scioglimento della comunione tra i coniugi, assegnando i beni come previsto nell’accordo stesso, e condannando la parte che ne aveva ostacolato il perfeziona-mento al pagamento delle spese legali.

7. Aspetti redazionali

1) In primo luogo, occorre indicare i soggetti fra i quali av-viene il trasferimento immobiliare indicando nome, cognome codice fiscale, luogo e data di nascita.

Quanto all’indicazione del cognome ai fini della trascrizione nei registri immobiliari, si ritiene necessaria l’indicazione del cognome originario della donna coniugata.

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Nel caso in cui il trasferimento venga effettuata favore dei figli è opportuno, ai fini della fruizione dei benefici fiscali pre-visti dall’art. 19 della legge n. 74 del 1987 che il testo dell’ac-cordo omologato dal Tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda espressamente che l’accordo patrimoniale a beneficio dei figli, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale (cfr. Agenzia delle Entrate, Circolare 21 giugno 2012 n. 27/E).

2) In secondo luogo, deve indicarsi chiaramente il diritto trasfe-rito (ad esempio, piena o nuda proprietà, usufrutto, abitazione).

3) Altro dato indispensabile sono i dati catastali dell’immobile e il luogo in cui lo stesso è ubicato. Il d.l. 78/2010 impone ai venditori in sede di rogito di dichiarare la perfetta risponden-za allo stato di fatto della planimetria catastale.

L’Agenzia del Territorio, con la circolare 2/2010, fornisce chiarimenti (ritenuti necessari da più parti) sugli obblighi in-trodotti dal comma 14, dell’art. 19 del d.l. 78/2010.

L’articolo 19, comma 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, aggiunge il comma 1-bis all’art. 29 della legge 27 feb-braio 1985, n. 52, legge recante, come noto, modifiche al li-bro sesto del codice civile e norme di servizio ipotecario, in riferimento alla introduzione di un sistema di elaborazione automatica nelle conservatorie dei registri immobiliari.

La prima parte del comma 1-bis dell’art. 29 della legge n. 52 del 1985, prevede, che gli indicati atti immobiliari aventi ad oggetto fabbricati già esistenti devono contenere, a pena di nullità, anche il riferimento agli identificativi catastali delle unità immobiliari urbane; tali identificativi sono rappresentati, come noto, da sezione, foglio, numero di mappale (particella) ed eventuale subalterno. Si rammenta, al riguardo, che, già ai sensi del combinato disposto degli articoli 4, comma 2, e 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 650 del 1972, negli atti civili, giudiziali o amministrativi che danno origine al trasferimento di diritti iscritti nel catasto edilizio urbano, l’immobile deve essere descritto con gli estremi con i quali lo stesso è individuato in catasto. I dati di identificazione catasta-le fanno parte, altresì, del contenuto necessario delle note di trascrizione e di iscrizione ipotecaria, in virtù del combinato disposto degli artt. 2659, 2660, 2826 e 2839; la mancata in-dicazione di detti dati nelle note di trascrizione o iscrizione costituisce motivo di rifiuto ai sensi dell’art. 2674 c.c.

Occorre poi indicare almeno tre confini.

4) Onde evitare di incorrere in nullità, si ritiene indispensabi-le rispettare le prescrizioni formali previste dall’art. 29 com-ma 1-bis della legge 52/85 (riguardante il sistema informatico dei registri immobiliari): “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costitu-zione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbrica-ti già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depo-sitate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle plani-metrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione de-gli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti

atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.

Dunque, nell’accordo concluso dai coniugi deve essere in-serito anche il riferimento alle planimetrie depositate in cata-sto, cioè l’indicazione della planimetria corrispondente ai dati identificativi catastali e quindi, l’indicazione della planimetria che raffigura l’immobile oggetto dell’atto.

La legge non richiede in modo particolare alcuna indica-zione per cui è idonea qualsiasi modalità di riferimento alla planimetria come l’allegazione o l’indicazione degli estremi del deposito al Catasto dei FABBRICATI.

5) L’individuazione del profilo causale degli accordi in que-stione è stato oggetto di varie e differenti interpretazioni.

Secondo un indirizzo del tutto minoritario, i trasferimenti in questione, vista l’assenza di corrispettivo, integrerebbero delle donazioni35.

Secondo altri, i negozi in questione sono transazioni, po-ste in essere per il componimento dell’insieme degli interessi coinvolti nella crisi matrimoniale36.

Ancora si è ritenuto trattarsi di atti con funzione solutoria dell’obbligazione di mantenimento – e in particolare di da-zioni in pagamento37 – o, ancora, di negozi determinativi di obblighi legali38.

l’opinione dottrinale prevalente riconosce a questi accordi una causa autonoma39, denominata anche causa familiare, consistente “nell’intento comune ai coniugi di regolare le loro posizioni personali e patrimoniali a seguito della crisi familiare”.

6) Menzioni urbanistiche40

Debbono essere menzionati a seconda dell’epoca di costru-zione gli estremi:

– della licenza edilizia per costruzioni eseguite prima del 30 gennaio 1977;

– della concessione edilizia per costruzioni eseguite dopo il 30 gennaio 1977 e prima del 30 giugno 2003;

35 Trib. Torino, 27.5.1978, inedita, menzionata da cArBone, I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, in Not., 2005, 624.

36 Cass., 5. 9.2003, n. 12939, in Mass. giur. it., 2003; in Corr. giur., 2003, 12, 1555 in Arch. civ., 2004, 943; in Gius., 2004, 5, 647, in Not., 2004, 9; Cass., 12.5.1994, n. 4647, in Giust. civ., 1995, I, 202, in Dir. fam., 1995, 105, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 882, con nota di Buzzelli, in Vita not., 1994, 1357; Cass., 15.3.1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, 1787; in Corr. giur., 1991, 891

37 In particolare, di dazione in pagamento con cui verrebbe adempiuta una tantum l’obbligazione di mantenimento, specialmente nel caso del divorzio ove l’art. 5, co. 8, l. divorzio prevede espressamente la possibilità di corrispondere il mantenimento in una unica soluzione. In giurisprudenza, v.: Cass., 17.6.1992, n. 7470, in Mass. giur. it., 1992, in Dir. Fam., 1993, 70, in Nuova Giur. Civ., 1993, 1, 808 con nota di sinesio; Cass., 21.12.1987, n. 9500, in Mass. giur. it., 1987; Cass., 5.7.1984, n. 3940, in Mass. giur. it., 1984. In dottrina, v.: BrienzA, Attri-buzioni immobiliari nella separazione consensuale, in Riv. Not., 1990, 1410; ievA, Trasferimenti immobiliari ed immobiliari in sede di separazione e di divorzio, in Riv. not., 1995, 459 ss.; Bonilini, L’accordo per la corresponsione dell’assegno in unica soluzione, in I contratti, 1996, 401 ss.

38 russo, Gli atti determinativi di obblighi legali nel diritto di famiglia, in Le con-venzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, 228 ss. Contra cArBone, I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, 627.

39 trAPAni, Il trasferimento dei beni in esecuzione degli accordi di separazione e divorzio, in Riv. Not., 2007, 1424; zoPPini, Contratto, autonomia contrattuale, ordi-ne pubblico familiare nella separazione personale dei coniugi, in Giur. it., 1990, I, 1, 1319 ss. in nota a Cass., 23.12.1988, n. 7044.

40 Consiglio Nazionale del Notariato Studio n. 5389/C Menzioni urbanistiche e validità degli atti notarili Approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 30 ottobre 2004.

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– del permesso di costruire per costruzioni eseguite dal 30 giugno 2003 in poi − della denuncia di inizio attività per interventi ex art. 22 terzo comma d.P.R. 380/2001 (Testo Unico in materia edilizia) eseguiti dal 30 giugno 2003 e per i quali in alternativa al permesso di costruire si sia per l’appunto fatto ricorso alla DIA nonché per interventi di cui all’art. 1 comma 6 legge 443/2001, già soggetti in base alla precedente normativa a concessione edilizia e per i quali tale disposizione consentiva, a scelta dell’inte-ressato, di fare ricorso alla DIA;

– del titolo abilitativo in sanatoria in caso di costruzione rea-lizzata in assenza di provvedimento autorizzativo, ovvero in totale difformità dallo stesso e per la quale sia stata richie-sta la sanatoria “straordinaria” (a sensi della legge 47/1985, della legge 724/1994 o del d.l. 269/2003 e relative leggi regionali di attuazione), ovvero la sanatoria “a regime” (a sensi dell’art. 13 legge 47/1985 in vigore sino al 29 giugno 2003 ovvero dell’art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 Testo Unico in materia edilizia in vigore dal 30 giugno 2003).

Per gli interventi anteriori al 1 settembre 1967 è valido l’atto nel quale anziché gli estremi della licenza sia riportata o alle-gata apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (a sensi degli artt. 46 e segg. t.u. in materia di documentazione amministrativa di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445) nella quale venga attestato per l’appunto l’avvenuto inizio dei lavo-ri di costruzione sin da data anteriore al 1 settembre 1967.

Non è invece prescritto a pena di nullità, l’obbligo di citare gli estremi di altri provvedimenti edilizi (ad esempio auto-rizzazione edilizia, titolo abilitativo in sanatoria relativo ad “abusi minori” o DIA salvo per quest’ultima che si tratti di interventi ex art. 22 terzo comma t.u. eseguiti dal 30 giugno 2003 e per i quali in alternativa al permesso di costruire si sia per l’appunto fatto ricorso alla DIA o si tratti di interventi ex art. 1 comma 6 legge 443/2001, per i quali in alternativa alla prescritta concessione edilizia si sia fatto ricorso alla DIA).

La mancanza nell’atto del requisito formale (ossia delle men-zioni prescritte dalla legge) determina la nullità dell’atto e ciò indipendentemente dalla sussistenza nel caso di specie del re-quisito sostanziale: è sufficiente infatti la mancata menzione in atto della avvenuta costruzione in data anteriore al 1 settembre 1967 o degli estremi del provvedimento autorizzativo per deter-minarne la sua nullità e ciò indipendentemente dal fatto che la costruzione sia avvenuta effettivamente in data anteriore al 1 set-tembre 1967 o in base a regolare provvedimento autorizzativo.

A titolo esemplificativo:“Il Signor Caio, al solo scopo di definire i rapporti economici e

patrimoniali con il proprio coniuge separato Signora Tizia (evi-denziare l’esistenza di eventuali posizioni debitorie del disponente a titolo di mantenimento nei confronti dell’altro coniuge e dei figli, la volontà di adempiere in tutto o in parte all’obbligo di manteni-mento o ad altre obbligazioni, la volontà di integrare l’assegno di mantenimento, l’intento divisionale e così via) cede e trasferisce alla Signora Tizia che accetta ed acquista la piena proprietà dei seguenti immobili e precisamente:

- Quota indivisa di metà (1/2) di porzione del fabbricato sito in … in via … n … costituita da appartamento al piano… confini: … e distinto al Catasto Fabbricati con i seguenti dati: …

Il cespite sopra descritto appare graficamente rappresentato nel-la planimetria depositata al Catasto Fabbricati in data e che si allega sotto la lettera A per farne parte integrante e sostanziale

alla quale le parti fanno pieno ed espresso riferimento ai fini di una più esatta e completa descrizione dell’immobile.

Si allega sotto la lettera B per farne parte integrante e sostanziale l’attestazione di conformità redatta da … dalla quale risulta che i dati catastali sopra riportati e la planimetria catastale sopra indica-ta ed allegata sono pienamente conformi allo stato di fatto dell’im-mobile sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale.

Si allega sotto la lettera C per farne parte integrante e sostanzia-le il certificato redatto dal Notaio … dal quale risulta la continuità delle trascrizioni del ventennio e la corrispondenza dell’intestazio-ne effettiva all’intestazione catastale”.

8. gli accordi di separazione e divorzio dinanzi all’ufficiale di stato civile dopo la sentenza del consiglio di Stato n. 4478/2016

Il d.l. n. 132/2014 ha introdotto, accanto allo strumento della convenzione di ‘negoziazione assistita’ in materia familiare, una procedura semplificata che permette ai coniugi di per-correre, in alternativa alla tradizionale strada della tutela giu-risdizionale, una soluzione “autogestita” qualora non abbiano figli minori, maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, l. n. 104/1992, oppure economi-camente non autosufficienti.

L’iter procedimentale risulta assai snello, perché si esaurisce nella comparizione dei coniugi per due volte innanzi all’uf-ficiale dello stato civile, una prima volta per fare le richieste dichiarazioni e una seconda volta per confermarle.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4478 del 26 ottobre 2016 ha confermato la validità della Circolare del Ministero dell’Interno n. 6 del 24 aprile 201541 che aveva previsto la

41 La Circ. n. 6 del 2015 del Ministero dell’interno fa seguito alle circolari ministeriali dell’1 ottobre 2014, n. 16 e del 28 novembre 2014, n. 19 con cui furono rese note le prime indicazioni in merito agli adempimenti degli ufficiali dello stato civile ai sensi degli artt. 6 e 12, d.l. n. 132 del 2014 (convertito nella l. n. 162 del 2014), che hanno introdotto importanti novità in tema di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e di scioglimento del matrimonio, finalizzate alla semplificazione delle relative procedure. La circolare risponde alla necessità di evitare che possa essere pregiudicata l’uniforme ed omogenea applicazione sul piano nazionale delle nuove norme. In sede di applicazione di tali nuove disposizioni normative, si legge, infatti, nel testo della circolare “sono emerse difficoltà interpretative da parte degli ufficiali dello stato civile in ragione della diversificata casistica, che ha evidenziato fattispecie non sempre esattamen-te riconducibili all’ambito oggettivo definito con gli indirizzi diramati”. Queste le indicazioni del Ministero dell’Interno: Applicabilità dell’istituto di cui all’art. 12 nei casi in cui siano presenti figli minori di uno solo dei coniugi: - la disposi-zione di cui all’art. 12, comma 2, che esclude il ricorso all’istituto in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, va intesa nel senso che è possibile accedere al procedimento in tutti i casi in cui i coniugi che chiedono all’ufficiale dello stato civile la separazione o il divorzio non abbiano figli in comune che si trovino nelle condizioni richiamate nell’articolo. Non osta l’eventuale presenza di figli minori, portatori di handicap grave, maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti, non comuni ma di uno soltanto dei coniugi richiedenti. Il termine “figlio” va inteso nel senso di “figli comuni dei coniugi richiedenti”. Patti di trasferimento patrimoniale: - non rientra nel “divieto patti di trasferi-mento patrimoniale”, la previsione, nell’accordo concluso davanti all’ufficiale dello stato civile, di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico, sia nel caso di separazione consensuale (c.d. assegno di mantenimento), sia nel caso di richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio (c.d. assegno divorzile); - le parti possono inoltre richiedere, sempre congiuntamente, la modifica delle precedenti condi-zioni di separazione o di divorzio già stabilite ed in particolare possono chiedere l’attribuzione di un assegno periodico (di separazione o di divorzio) o la sua revoca o ancora la sua revisione quantitativa; - non può invece costituire oggetto di accordo la previsione della corresponsione, in unica soluzione, dell’assegno periodico di divorzio (c.d. liquidazione una tantum) in quanto si tratta di attri-

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possibilità di prevedere un assegno di mantenimento da parte di un coniuge a favore dell’altro anche nella procedura dinan-zi all’ufficiale di stato civile.

Con questa importante decisione il consiglio di Stato ha an-nullato la sentenza del TAR n. 7813 del 7 luglio 2016 che aveva disposto l’annullamento della circolare ministeriale42.

Secondo il Consiglio di Stato l’assegno di mantenimento, stabilito in sede di accordo tra i coniugi ha l’obiettivo di rica-librare lo squilibrio economico che consegue alla crisi del rap-porto patrimoniale; di conseguenza, non avrebbe alcun senso precludere il suo raggiungimento in via semplificata quando la coppia non abbia figli minori o bisognosi di tutela.

Viene invece confermato il divieto di patti di trasferimento patrimoniale inerente gli accordi traslativi della proprietà e la corresponsione di un assegno una tantum o la titolarità di altri diritti di un coniuge sui beni dell’altro.

buzione patrimoniale (mobiliare o immobiliare). Decorrenza del termine entro cui l’avvocato della parte deve trasmettere l’accordo autorizzato dall’autorità giu-diziaria ai sensi dell’art. 6: - il termine dei 10 giorni entro il quale l’avvocato della parte è obbligato a trasmettere all’ufficiale dello stato civile copia dell’accordo, decorre dalla data di comunicazione alle parti del provvedimento (nulla osta o autorizzazione) del Procuratore della Repubblica o del Presidente del Tribunale a cura della segreteria o della cancelleria. Possibilità che le parti della convenzione di cui all’art. 6 si avvalgono del medesimo avvocato: - in materia di separazione e di divorzio, “la convenzione di negoziazione è conclusa con l’assistenza di almeno un avvocato per parte preclude l’interpretazione tesa a consentire alle parti di avvalersi di un unico avvocato”. Occorre però chiarire che alla trasmissione è sufficiente che provveda uno soltanto degli avvocati.

42 La sentenza del TAR Lazio dello scorso 7 luglio 2016 aveva accolto un ricorso presentato da due note associazioni di avvocati e di donne che, senza scopo di lucro, operano per la tutela della famiglia e dei diritti civili delle perso-ne (AIAF e Donna chiama Donna) per far dichiarare la nullità di una circolare del Ministero degli Interni che dava ai sindaci indicazioni su come interpretare l’art. 12 della legge n. 162 del 2014. Le Associazioni ricorrenti lamentavano In primo luogo, che la circolare non si limiterebbe a suggerire un’interpretazione della norma ma le darebbe un nuovo contenuto con il consentire un più ampio accesso alla separazione e al divorzio in sede amministrativa superando, alme-no parzialmente, il limite frapposto dal legislatore con il divieto d’inserire negli accordi davanti al sindaco “patti di trasferimento patrimoniale”. Inoltre, affidare esclusivamente ai coniugi la facoltà di stabilire l’an e il quantum degli assegni senza che l’ufficiale dello stato civile abbia il potere di sindacarne la congruità priverebbe il coniuge più debole della garanzia di un controllo affidato a soggetti terzi siano essi il giudice o, nella separazione e nel divorzio per negoziazione assistita, il pubblico ministero e i difensori delle parti: sarebbe così violato, so-stengono i ricorrenti, il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., poiché il soggetto più debole “potrebbero essere indotti ad accordi di tipo patrimoniale lesivi dei propri interessi in un àmbito nel quale mancano adeguate garanzie di tutela” dato che la presenza dei difensori nel procedimento di separazione e di divorzio in sede amministrativa è soltanto facoltativa. Il TAR aveva così accolto il ricorso delle Associazioni ricorrenti: “Posto che, nell’ambito del procedimento semplificato di separazione e di divorzio innanzi all’ufficiale di stato civile, ai sensi dell’art. 12 del d.l. n. 132/14, convertito in l. n. 162/14, l’accordo tra le parti non può contenere patti di trasferimento patrimoniale, sono illegittimi i provvedimenti amministrativi interpreta-tivi secondo cui tale divieto non ricomprende gli accordi sul riconoscimento di un asse-gno di mantenimento o divorzile, restando esclusa dal procedimento solo la previsione di un assegno una tantum. È nulla in quanto illegittima, la circolare 24 aprile 2015, n. 6, del Ministero degli Interni che dava ai sindaci indicazioni su come interpretare l’art. 12 della recente legge n. 162 del 2014 sulla deiurisdictio a proposito delle separazioni e dei divorzi ‘celebrati’ davanti agli stessi sindaci affermando che: ‘Non rientra… nel divieto della norma la previsione, nell’accordo concluso davanti all’ufficiale dello stato civile, di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico, sia nel caso di separazione consensuale (c.d. assegno di mantenimento), sia nel caso di richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio (c.d. assegno divorzile)’. La suddetta norma, ricomprende, invece, ogni ipotesi di trasferi-mento patrimoniale, intendendosi per tale il trasferimento avente ad oggetto beni ben individuati o una somma di denaro. Infatti sia che si tratti di uno o più beni ben indi-viduati sia che si tratti di somme di denaro, in ogni caso si determina un accrescimento patrimoniale nel soggetto in favore del quale il trasferimento viene eseguito. Esso può avvenire una tantum, in un’unica soluzione, o mensilmente o comunque periodicamen-te, e tuttavia la modalità stabilita non vale a modificare la natura dell’operazione, che rimane sempre quella di trasferimento patrimoniale”.

Per il Consiglio di Stato, il timore manifestato dal TAR di la-sciare privo di tutela il coniuge economicamente più debole, vista l’assenza del difensore, non ha alcun senso. Infatti, que-sti ha, comunque, la libertà di aderire alle condizioni inerenti l’assegno di mantenimento e può rifiutare il proprio consenso senza alcuna conseguenza giuridica. Anzi, se non intende ac-consentire a pattuizioni che giudica inique, può comunque ricorrere all’assistenza legale per raggiungere un accordo me-diante negoziazione assistita ovvero decidere di ottenere una pronuncia del Tribunale.

Con questa sentenza, oltre a tornare possibili gli accordi sulla corresponsione di assegni periodici di mantenimento o divorzili in quanto attribuzioni patrimoniali mobiliari, si restituisce agli ufficiali di stato civile la possibilità di formaliz-zare e modificare condizioni ammettendo tutti gli accordi di natura non strettamente patrimoniale.

Ad esempio, gli accordi sull’affidamento di un animale di af-fezione o su beni mobili non registrati (quadri, gioielli, arredi) o concordando le modalità d’uso.

I coniugi che non abbiano figli minori, maggiorenni inca-paci, portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge n. 104/1992, oppure economicamente non autosuf-ficienti, possono decidere di presentarsi personalmente, con l’assistenza facoltativa di un avvocato, avanti all’Ufficiale dello stato civile per dichiarare che vogliono separarsi ovvero vo-gliono far cessare gli effetti civili del matrimonio od ottenerne lo scioglimento secondo condizioni tra di esse concordate, ovvero per modificare le predette condizioni.

Si tratta di una procedura molto facilitata in quanto ai co-niugi è richiesto di comparire per due volte innanzi all’uffi-ciale dello stato civile, una prima volta per fare le richieste dichiarazioni e una seconda volta per confermarle.

L’istituto è stato inserito nel nostro ordinamento dal d.l. n. 132/2014, e si fonda su un modulo consensuale, nel quale vengono valorizzate l’autonomia privata ed il libero consenso dei coniugi anche nella fase della crisi matrimoniale.

Dal punto di vista interpretativo, ha destato non pochi pro-blemi l’art. 12, comma 3, d.l. n. 132/2014, alla stregua della quale “l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimo-niale”, precludendo quindi ai coniugi di avvalersi della proce-dura semplificata avanti all’Ufficiale dello stato civile quando il loro accordo contempli simili patti.

Si sono in particolare contrapposti due orientamenti.Il primo orientamento, estensivo, è quello secondo cui, il di-

vieto si estenderebbe a tutti gli accordi economici. E, quindi, anche a quelli che prevedono la corresponsione periodica di denaro mediante un assegno per il mantenimento del “coniuge più debole” in caso di separazione consensuale (c.d. assegno di mantenimento) ovvero di cessazione degli effetti civili o scio-glimento del matrimonio (c.d. assegno divorzile).

In particolare, secondo questo indirizzo interpretativo, solo una interpretazione letterale della disposizione di cui si discute garantirebbe una piena tutela del soggetto debole che, diver-samente, essendo privo di potere negoziale, potrebbe essere costretto ad accettare le condizioni della controparte più forte.

Con la conseguenza che l’operatività dell’istituto sarebbe li-mitata ai soli accordi che, in sostanza, modificano lo status dei coniugi, con esclusione di ogni pattuizione economica.

Detta opzione è stata seguita dalle circolari del Ministero dell’Interno nn. 16 e 19/2014.

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Un secondo orientamento, restrittivo, invece, è quello se-condo cui la citata disposizione vieterebbe solo i trasferimenti di beni una tantum (in analogia a quanto previsto dall’art. 5, comma 8, legge sul Divorzio n. 898/1970).

Secondo i fautori di questa tesi, infatti, l’espressione “patti di trasferimento patrimoniale” si riferirebbe letteralmente agli accordi traslativi della proprietà (o di altri diritti) con i qua-li i coniugi decidono mediante il c.d. assegno una tantum di regolare l’assetto dei propri rapporti economici una volta per tutte e di trasferire la proprietà o la titolarità di altri diritti sui beni da uno all’altro, anziché prevedere un assegno periodico43

In conclusione, conformemente alle indicazioni di cui alla Circolare del Ministero dell’Interno n. 6/2015 – ora avallate dal Consiglio di Stato, l’accordo concluso avanti all’Ufficiale dello stato civile può:

– contenere un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico (sia in forma di c.d. assegno di mantenimento; sia in forma di c.d. assegno divorzile);

– le parti possono richiedere – sempre congiuntamente – la modifica delle precedenti condizioni di separazione o di divorzio chiedendo l’attribuzione di un assegno perio-dico o la sua revoca o ancora la sua revisione quantita-tiva. Ciò in quanto si tratta di disposizioni negoziali che comportano l’insorgenza di un rapporto obbligatorio.

In questi casi l’Ufficiale di stato civile è tenuto a recepire quanto concordato dalle parti senza entrare nel merito della somma decisa né della congruità della stessa (anche se non si può negare che resta aperta la questione consequenziale dei poteri di controllo dell’Ufficiale dello stato civile specie là dove potrebbe essere richiesto un minimo di attività istrutto-ria, e non la semplice acquisizione di autocertificazioni sotto-scritte dai coniugi).

Mentre, ai sensi dell’art. 12, comma 3, d.l. n. 132/2014, non può costituire oggetto di accordo la previsione della corre-sponsione, in unica soluzione, dell’assegno periodico di di-vorzio (c.d. liquidazione una tantum) in quanto si tratta di attribuzione patrimoniale (mobiliare o immobiliare) avente effetti traslativi reali irreversibili.

9. Negoziazione assistita e separazione: cessione di immobile senza notaio. il caso Pordenone

Due coniugi, all’esito di un procedimento di negoziazione assistita, concludono un accordo con cui, ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.l. n. 132/2014, raggiungono “una soluzione consensuale di separazione personale”, convenendo, tra l’altro, “il trasferimento tra loro della quota di proprietà di un bene immobile” (verosimilmente, secondo l’id quod plerumque ac-cidit, il marito ha ceduto alla moglie la metà dell’abitazione acquistata in costanza di matrimonio e, pertanto, in comu-nione legale).

Depositato presso la locale Procura della Repubblica, in difetto di figli minorenni, portatori di handicap grave o eco-nomicamente non autosufficienti, il Procuratore della Repub-blica comunica agli avvocati delle parti il proprio nullaosta.

L’accordo, mentre è prontamente trascritto/annotato nei regi-stri dello stato civile, non viene trascritto nei registri immobi-

43 chiArloni, Minime riflessioni critiche su trasferimento in arbitrato e negozia-zione assistita, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015.

liari: il conservatore, infatti, rifiuta di procedere alla trascrizio-ne per difettare le sottoscrizioni del processo verbale di accor-do delle parti della autenticazione compiuta “da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato” e richiesta dall’art. 5, comma 3.

A fronte del rifiuto del conservatore, i coniugi separati si rivolgono al tribunale, il quale accoglie la loro domanda, or-dinando al conservatore dei registri immobiliari di procedere alla trascrizione del trasferimento immobiliare44.

Quali le motivazioni del Tribunale?Non è in discussione la “possibilità di addivenire ad una ces-

sione immobiliare … nell’ambito di una procedura di negoziazione assistita”, giusta il “combinato disposto degli artt. 5 e 6, d.l. n. 132/2014”, sia “la trascrivibilità – in sé ed in via generale – di tali cessioni concordate in sede di negoziazione”, il decreto fa leva sul principio che l’art. 5 comma 3 (esplicitamente definito dal provvedimento come “di portata generale”), non debba trovare applicazione in relazione all’accordo concluso all’esito di “un procedimento di negoziazione assistita in materia di famiglia, re-golato in forma specifica dall’art. 6”.

Più in particolare, questa conclusione – “all’interno di una prospettiva esegetica costituzionalmente orientata” – sarebbe imposta dalle seguenti concorrenti considerazioni (riferite nell’ordine seguito dal Tribunale):

– l’accordo concluso all’esito del procedimento di negozia-zione assistita in materia di famiglia, deve essere sotto-posto al Procuratore della Repubblica per la concessione dell’autorizzazione o per il rilascio del nullaosta;

– l’accordo de quo, ai sensi dell’art. 6, comma 3, “produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definisco-no … i procedimenti di separazione giudiziale”;

– “Poiché i provvedimenti giudiziali … non richiedono autenti-cazioni delle sottoscrizioni da parte di ulteriori “pubblici uffi-ciali a ciò autorizzati” ai fini della trascrizione delle cessioni immobiliari in essi eventualmente contenute, risult[erebbe] evidente che neppure gli accordi di negoziazione dovranno es-sere soggetti a tale adempimento, pena la vanificazione della predetta espressa equiparazione ai provvedimenti giudiziali ed il conseguente irriducibile contrasto con i canoni costitu-zionali di coerenza e ragionevolezza”;

– la legge consente che siano suscettibili di essere trascrit-ti nei registri immobiliari non soltanto i provvedimenti giudiziali aventi forma diversa dalla “sentenza”, pure ri-chiesta dall’art. 2657 c.c. (come, ad esempio, il decreto di trasferimento pronunciato ex art. 586 c.p.c. in sede di espropriazione forzata immobiliare, nonché l’ordinanza che dichiara esecutivo il progetto di divisione ex art. 789 c.p.c.), ma anche provvedimenti fondati sull’autonomia negoziale delle parti, come il lodo arbitrale (rituale) che sia stato dichiarato esecutivo ex art. 825 c.p.c.;

– posto che l’accordo di negoziazione assistita munito del nullaosta del Procuratore della Repubblica produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali, “non può non essere ricompreso anche quello di costituire titolo per la trascrizione”;

– ulteriori “autenticazioni” sarebbero da considerarsi una “sostanziale inutilità”;

– “mentre in ambito extra-familiare gli accordi di negoziazio-ne possono essere validamente conclusi con l’assistenza di un

44 Trib. Pordenone, Sent., 17.03.2017.

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unico avvocato per entrambe le parti, in materia di famiglia è necessariamente richiesta – proprio per la particolare deli-catezza dei diritti, degli interessi coinvolti e delle conseguenze inferite – la presenza di almeno un avvocato per parte”;

– “esigere l’intervento di un’ulteriore figura professionale in caso di atti soggetti a trascrizione contenuti in ‘negoziazioni familiari’, contrasterebbe con la ‘finalità di assicurare una maggiore funzionalità ed efficienza della giustizia civile’ espressamente enunciata nel Preambolo del medesimo d.l. n. 132/2014, addossando alle parti ulteriori formalità e costi aggiuntivi, con effetti disincentivanti nei confronti della ne-goziazione assistita, incompatibili con i dichiarati intenti di semplificazione ed efficienza perseguiti dal Legislatore”.

La Corte d’Appello di Trieste ha poi ribaltato il verdetto del decreto del Tribunale di Pordenone con l’ordinanza del 6 giu-gno 207.

Gli argomenti invocati dalla Corte triestina sono i seguenti:– innanzi tutto, che “l’unico tentativo legislativo” volto a

introdurre deroghe alla regola generale della necessi-tà dell’autentica delle scritture privare ai fini della tra-scrizione nei registri immobiliari, “contenuto nell’art. 29 [rectius, 28] d.d.l. sulla concorrenza del 2015 [id est A.C. 3012], secondo cui ‘“in tutti i casi nei quali per gli atti e le dichiarazioni aventi ad oggetto la cessione o la donazione di

beni immobili adibiti ad uso non abitativo, come individuati dall’articolo 812 del codice civile, di valore catastale non su-periore a 100,000 euro, ovvero aventi ad oggetto la costitu-zione o la modificazione di diritti sui medesimi beni, è neces-saria l’autenticazione della relativa sottoscrizione, essa può essere effettuata dagli avvocati abilitati al patrocinio, muniti di polizza assicurativa pari almeno al valore del bene dichia-rato nell’atto’, non è mai stato approvato dal Parlamento)”;

– le novità inserite dal legislatore per permettere il funzio-namento del processo civile telematico, hanno ampliato il potere di autenticazione degli atti ad opera degli avvo-cati, ma sempre esclusivamente in relazione ad ambiti speciali (come, appunto quello del processo telematico, ex art. 16-bis, d.l. n. 179/2012) e mai in via generale;

– ulteriormente, che anche la Corte di Giustizia di Lussem-burgo ha avuto modo di affermare la conformità al diritto dell’Unione Europea della previsione nazionale “che ri-serva ai notai l’autenticazione delle firme apposte in calce ai documenti necessari per la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari ed esclude, per l’effetto, la possibilità di riconoscere in tale Stato membro una siffatta autenticazio-ne effettuata, secondo il suo diritto nazionale, da un avvocato stabilito in un altro Stato membro” (CGUE, V sez. 9 marzo 2017, C342/15).

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1. Premessa

L’assegnazione della casa coniugale in sede di separazione, divorzio ed affido di figli di coppie non coniugate, è molto spesso oggetto di vivace contrasto tra i genitori nonché pos-sibile causa di problemi economici di non poco conto per chi si trova a dover affrontare il nuovo assetto della propria vita familiare. Difatti non solo vi è la difficoltà a comprendere che, nell’interesse dei figli affidati all’altro genitore, si debba lasciare la casa di esclusiva proprietà o magari di proprietà dei propri genitori e concessa in comodato, ma non sono rare le ipotesi in cui la casa coniugale, nel momento in cui sorge la crisi della coppia genitoriale, sia gravata da mutuo. In questo ultimo caso molto spesso il genitore che deve lasciare la casa coniugale a seguito del provvedimento di assegnazione all’al-tro, si trova a dover provvedere non solo al pagamento del canone di locazione del nuovo immobile ove ha trasferito la propria residenza ma anche del mutuo della casa di cui godo-no i figli e l’ex coniuge. Se a ciò si aggiunge anche il pagamen-to dell’assegno di mantenimento, atteso che la sua previsione costituisce statisticamente l’ipotesi più frequente, è evidente che la separazione anche in condizioni di reddito medio ri-schia di essere causa di vera e propria indigenza. A questi problemi si affianca poi la difficoltà, nonostante la chiara pre-visione letterale della norma di cui all’art. 337-sexies c.c., ad ottenere la revoca dell’assegnazione della casa coniugale in ragione dell’interpretazione giurisprudenziale della norma stessa. Ben si comprende dunque come attorno al provvedi-mento di assegnazione della casa coniugale ruotino interessi di grande rilievo per la coppia coniugale.

2. L’assegnazione della casa coniugale

Ma qual è il presupposto che anima l’assegnazione della casa coniugale? In un’unica norma, l’art. 337-sexies, il legislatore a seguito della riforma di cui all’art. 55 d.lgs. 28.12.13 n. 154, di-sciplina l’assegnazione e la revoca della casa coniugale nell’ipo-tesi di separazione, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, annullamento, nullità ovvero procedimenti relativi a figli nati fuori dal matrimonio. È il primo capoverso a mettere subito in chiaro quale deve essere il principio ispiratore dell’assegnazione (e come vedremo anche della revoca): l’inte-resse dei figli (minori o maggiorenni non economicamente in-dipendenti). Ma cosa si intende per “interesse dei figli”? La Giu-risprudenza e la Dottrina hanno puntualizzato che è interesse dei figli, minori affidati o maggiorenni non economicamente indipendenti conviventi, mantenere il medesimo habitat godu-

to in costanza del matrimonio dei genitori1. Essi che vedono disgregarsi la coppia genitoriale non devono essere privati an-che di quello che è il loro ambiente e fonte di certezze, certezze di cui necessitano in un momento tanto delicato della loro vita personale. È intorno dunque a detto interesse che ruotano le sorti della casa coniugale, a dispetto della proprietà della stessa, delle condizioni economiche di chi la debba lasciare e delle conseguenze che dal provvedimento derivino.

Vediamo dunque brevemente quali sono i principi enunciati dalla Giurisprudenza su questo delicato tema.

In primo luogo è ormai pacifico che all’assegnazione non può procedersi in mancanza di figli minori o maggiori non economicamente indipendenti e che l’assegnazione non può costituire una forma di mantenimento “in natura” a favore del coniuge debole2. Degna di nota appare la precisazione della Suprema Corte nella sentenza n. 2445/15 che nel riforma-re Corte d’Appello di Roma n. 5322/12 che aveva attribuito all’assegnazione della casa familiare in comproprietà tra i co-niugi il valore di componente del mantenimento, ha precisato che detta decisione “ha smentito alcuni principi da ritenere fermi nella giurisprudenza di legittimità e cioè in primo luogo che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale non è prevista dall’art. 156 c.c. (in vigore ratione temporis) in sosti-tuzione o quale componente dell’assegno di mantenimento ma ha lo scopo di garantire ai figli minorenni o non autosufficienti economicamente la continuità dell’habitat familiare”.

La norma in esame prevede invece che dell’assegnazione il Giudice tenga conto in sede di regolazione dei rapporti econo-mici tra genitori considerando l’eventuale titolo di proprietà, il che comporta che nella quantificazione dell’assegno di mante-nimento a favore dei figli verrà valutato il godimento della casa coniugale da parte dell’altro genitore, soprattutto qualora l’im-mobile sia di proprietà del genitore tenuto al mantenimento3.

1 Per casa familiare suscettibile di assegnazione deve intendersi solo quella che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la conviven-za, mentre sulla possibilità di assegnare solo una porzione dell’immobile adibito a casa coniugale si è espressa da ultimo Cass. Civ., sez. VI, 8.06.16 n. 11783.

2 Cass. Civ., sez. I, 21/01/11 n. 1491 nella motivazione precisa che deve negarsi che il diritto di godimento dell’abitazione coniugale opponibile anche ai terzi con la trascrizione ed incidente quindi sul valore dell’immobile possa attri-buirsi al coniuge non proprietario, con una sorta di rilievo ablativo nei confronti del proprietario esclusivo del bene, il cui diritto viene inciso con la perdita di va-lore effettivo di detta assegnazione, il che può avvenire solo se la stessa è disposta nell’interesse dei figli affidati o conviventi con il genitore assegnatario; Cass. Civ., 1.02.17 n. 2620 ha di recente confermato che l’assegnazione della casa coniuga-le non possa costituire una misura assistenziale per il coniuge debole di recente.

3 Vedi Cass. Civ., sez. VI, 2.12.15 n. 24473 che ha precisato che all’assegna-zione della casa coniugale deve essere attribuito un valore da tenere in conside-razione nella determinazione dell’assegno di mantenimento.

brevi NOte SuLL’ASSegNAziONe e revOcA DeLLA cASA cONiugALeGRAzIA CASTAuROAvvocato in Brescia, membro dell’esecutivo nazionale di ONDiF

Sommario: 1. Premessa. - 2. L’assegnazione della casa coniugale. - 3. Diritti dei terzi e provvedimento di assegnazione della casa coniugale. - 4. La revoca dell’assegnazione della casa coniugale. - 5. Conclusioni.

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È doveroso precisare per completezza che anche il testo dell’art. 155-quater c.c. che prima della riforma di cui al d.lgs. 28.12.13 n. 154 si occupava dell’assegnazione della casa coniugale in ipotesi di separazione personale si ispirava ai medesimi principi dell’attuale art. 337-sexies c.c., norma che appare come la trascrizione dell’articolo abrogato. Dell’as-segnazione della casa coniugale in ipotesi di scioglimento del matrimonio si occupava invece l’art. 6 l. 898/70 il quale tutta-via aveva una disciplina parzialmente dissimile poiché preci-sava che nel procedere all’assegnazione il Giudice doveva va-lutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. La parzialmente difforme previsione legislativa ha creato problemi interpreta-tivi superati dall’introduzione del capo II Titolo IX da parte del d.lgs. 154/13.

3. Diritti dei terzi e provvedimento di assegnazione della casa coniugale

In nome dell’interesse dei figli minori o maggiori non econo-micamente indipendenti vengono sacrificati anche i diritti di terzi. Si pensi all’ipotesi in cui la casa coniugale sia di proprie-tà di terzi quali i genitori della coppia genitoriale, che l’hanno concesso in comodato al figlio al momento della costituzione della nuova famiglia o ancora l’ipotesi in cui i terzi creditori dell’uno o dell’altro genitore vorrebbero far valere i loro diritti sulla casa coniugale che potrebbe costituire l’unico bene del debitore. Detti terzi non potranno ottenere la restituzione del bene concesso in comodato ovvero aggredire il bene del debi-tore ed i loro diritti dovranno necessariamente “retrocedere” di fronte all’interesse dei figli ed al provvedimento di assegna-zione della casa coniugale. Le Corti di merito e la Suprema Corte sono state innumerevoli volte chiamate a dirimere il contrasto tra terzi comodanti e creditori e l’assegnatario della casa coniugale e si può affermare che si siano in punto for-mati principi giurisprudenziali ormai consolidati. Per quanto inerisce il comodato più volte si è precisato che quando un terzo abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento, pronunciato nel giudizio di separazione o divorzio, di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non eco-nomicamente indipendenti, non modifica né la natura né il titolo di godimento dell’immobile. Il provvedimento giudizia-le di assegnazione della casa coniugale, idoneo ad escludere uno dei coniugi dall’utilizzazione in atto ed a concentrare il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità dome-stica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conse-guenza ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a tempo indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato stabilito univocamente un termine finale) il comodan-te è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c. co. 2. Si sostiene che in simili casi infatti, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso al comodato un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all’uso – cui la cosa deve essere destinata – il ca-rattere implicito della durata del rapporto anche oltre l’even-

tuale crisi coniugale e senza la possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà ad nutum del comodante4. In ragione dei principi sopra enunciati si è all’opposto disposta la restituzione del bene al comodatario del bene immobile di sua proprietà destinato a casa familia-re, venuto meno il rapporto coniugale ed in mancanza di un provvedimento giudiziale di assegnazione5.

È lo stesso art. 337-sexies c.c.6 a prevedere che il provvedi-mento di assegnazione della casa coniugale sia trascrivibile ed opponibile ai terzi creditori. La Giurisprudenza ha precisato che l’opponibilità è nel limite del novennio qualora il provve-dimento non sia stato trascritto ed anche oltre detto periodo qualora lo sia stato. Ovviamente varrà la regola della priorità nella trascrizione per cui il provvedimento non sarà opponi-bile ai creditori che abbiano trascritto il loro titolo in data pre-cedente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione7. L’opponibilità varrà nei limiti in cui perdura l’efficacia della pronuncia giudiziale, per cui al venir meno del diritto al go-dimento del bene, il terzo potrà agire con un’azione ordinaria di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inef-ficacia del titolo8. È stata invece esclusa l’opponibilità dell’as-segnazione ai terzi pur in presenza di provvedimento nato da concorde richiesta delle parti ed ispirata alla volontà di tutelare il coniuge debole, ma in assenza di figli minori o maggiorenni non economicamente indipendenti9. La Corte di Cassazione trovatasi a decidere in una causa di scioglimento della comu-nione e divisione dei beni tra due coniugi comproprietari, ha confermato la sentenza del Tribunale di Bolzano prima e del-la Corte d’Appello di Trento poi che, ritenuta la non comoda divisibilità dell’immobile adibito a casa coniugale, preso atto della mancata richiesta di assegnazione dei beni da parte dei condividenti, rilevava l’inopponibilità nei confronti del futuro acquirente dell’assegnazione della casa coniugale alla moglie ed ordinava la vendita all’incanto del bene immobile. La Suprema Corte ha precisato che ritenere il provvedimento opponibile ai terzi si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge asse-gnatario. Opponibilità non significa infine paralizzare il diritto del creditore di procedere in executivis sul bene oggetto di as-segnazione pignorandolo e facendolo vendere coattivamente10. Il creditore potrà agire esecutivamente ma in tale ipotesi evi-dentemente porrà in vendita un bene non “libero”.

4. La revoca dell’assegnazione della casa coniugale

È sempre la norma di cui all’art. 337-sexies c.c. ad elencare le ipotesi in cui il diritto al godimento della casa coniugale viene meno e più precisamente ciò accade qualora l’assegnatario:

4 Cass. Civ. 16769/12.5 Tribunale di Grosseto 1.07.16 n. 523.6 L’art. 155-quater abrogato dal d.lgs. 154/13 disponeva analogamente per

la trascrivibilità ed opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione.7 Cass. Civ., sez. III, 20.04.16 n. 7776 ha quindi precisato che il provvedi-

mento di assegnazione non ha effetto nei confronti del creditore ipotecario che abbia acquistato il suo diritto sull’immobile in base ad un atto trascritto anterior-mente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione, con la conseguenza che Egli potrà vendere l’immobile come libero.

8 Cass. Civ., sez. I, 22.07.15 n. 15367.9 Cass. Civ., sez. II, 25.02.11 n. 4735 trovatasi a decidere sulla richiesta di

scioglimento della comunione sulla casa coniugale proposta dal marito ed a fronte dell’eccezione della moglie di opponibilità dell’assegnazione della casa coniugale.

10 Cass. Civ. sez. III, 19/07/12 n. 12466.

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- non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare; - conviva more uxorio; - contragga nuovo matrimonio. Ma la chiara elencazione che parrebbe non necessitare di interpre-tazione, deve essere letta sempre in ragione “dell’interesse” dei figli. E così per quanto inerisce le ipotesi di allontanamento dalla casa familiare le Corti, anche a fronte della cessazione di una sostanziale convivenza nella stessa sono state refrattarie nel revocare l’assegnazione. La Suprema Corte11 ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale di Messina, confermata dalla Corte d’Appello della medesima città, che aveva rigetta-to la richiesta di modifica delle condizioni di separazione con-sensuale ed in particolare del provvedimento di assegnazione della casa coniugale alla moglie, in ragione dell’allontanamen-to di quest’ultima. Il Tribunale non aveva ritenuto esistente l’abbandono della casa coniugale assegnata nonostante l’asse-gnataria con la figlia trascorresse tutta la settimana presso la residenza dei genitori sita in altra zona della città, facendo ri-entro nella casa coniugale solo nel fine settimana, affermando che ciò non snaturava la funzione della stessa. All’opposto è stata pronunciata la revoca dell’assegnazione della casa coniu-gale in un’ipotesi di lunga permanenza dell’assegnataria con il figlio presso la casa dei genitori ritenendo venute meno le esigenze di continuità ambientale del minore oltre che il suo interesse in ragione del fatto che la stessa madre assegnataria aveva riferito fosse sconsigliabile la sua permanenza nella casa coniugale limitrofa al luogo di residenza del marito12.

Ovviamente pur se la norma di cui all’art. 337-sexies preve-de il venire meno del diritto al godimento solo l’ipotesi in cui l’assegnatario se ne allontani, il principio vale anche nell’ipo-tesi in cui il minore o meglio il maggiorenne convivente cessi di risiedere stabilmente presso la casa coniugale13. In tale ipo-tesi l’assegnatario perderà il relativo diritto.

Ma ciò che crea più dubbi circa l’equità del sistema è l’in-terpretazione che le Corti fanno della norma di cui all’art. 337-sexies nell’ipotesi in cui l’assegnatario instauri nella casa coniugale una nuova convivenza ovvero vi risieda con il nuovo marito. Se la chiara dizione della norma potrebbe far pensare che in simili ipotesi si abbia automaticamente la revoca dell’assegnazione, la Corte Costituzionale14 a cui era stata rimessa dalla Corte d’Appello di Bologna, dai Tribunali di Firenze e Ragusa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 155-quater c.c., allora in vigore, nella parte in cui

11 Cass. Civ., sez. I, 9.08.12 n. 14348.12 Cass. Civ., sez. I, 16.05.13 n. 11981; nello stesso senso Cass. Civ. sez. VI,

14.07.15 n. 14727 che ha pronunciato la revoca in un’ipotesi di pacifico trasfe-rimento della madre assegnataria.

13 Cass. Civ. sez. I, 22.03.12 n. 4555 ha precisato che deve permeare un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, benché la coabitazione possa non essere quotidiana, essendo compatibile l’assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché Egli facci ritorno regolarmen-te appena possibile, criterio che deve coniugarsi con la prevalenza temporale dell’effettiva presenza in relazione ad un determinato periodo di tempo.

14 Corte Costituzionale, 30.07.2008, n. 308.

prevede la revoca automatica dell’assegnazione in ipotesi di convivenza more uxorio o di nuovo matrimonio, ha ritenuto la questione infondata poiché l’interpretazione costituzional-mente orientata della norma deve portare ad affermare che l’assegnazione della casa coniugale non viene meno di dirit-to al verificarsi degli eventi di cui si tratta (convivenza more uxorio e nuovo matrimonio) ma che la decadenza sia subor-dinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore (o maggiorenne convivente). La Corte ed i Tribunali rimettenti da parte Loro, nel sollevare questione di legittimità costitu-zionale, avevano ritenuto non possibile detta interpretazione a fronte del chiaro tenore letterale della norma ed avevano ritenuto esistente una disparità di trattamento con i figli di genitori separati o divorziati a seconda che il rispettivo ge-nitore con cui convivano intraprenda o meno una relazione more uxorio ovvero contragga nuovo matrimonio, avendo il figlio di genitore separato o divorziato il medesimo interesse al mantenimento dell’habitat familiare, indipendentemente dalle scelte del genitore. Avevano altresì ritenuto la lesione del diritto inviolabile di libera autodeterminazione poiché la norma porrebbe un vincolo ad intraprendere una convivenza ovvero a contrarre matrimonio. Secondo i rimettenti, gli abu-si che nella pratica si potrebbero verificare relativamente al mantenimento dell’assegnazione pur dove non ve ne fosse la necessità, avrebbero potuto trovare adeguata soluzione nella previsione di un potere discrezionale del Giudice. Da eviden-ziare che mentre le ipotesi che avevano originato il dubbio di legittimità della norma da parte della Corte d’Appello di Bologna e di Ragusa inerivano una stabile convivenza more uxorio intrapresa dall’assegnataria nella casa coniugale, nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Firenze l’assegnataria aveva contratto nuovo matrimonio e viveva nella casa coniu-gale assegnatale in sede di scioglimento del matrimonio, con il nuovo marito ed i figli nati dal nuovo matrimonio.

5. conclusioni

Se certamente l’”interesse dei figli” va salvaguardato, alla luce della pur breve disamina effettuata sorgono dubbi circa l’equi-tà del principio soprattutto in ragione del fatto che detto inte-resse è presunto dalle Corti ed appare pressoché impossibile fornire prova contraria. A fronte dei casi citati ed in particola-re di quelli in tema di revoca dell’assegnazione pare fondato il timore di abusi dell’assegnatario e nella fattispecie esaminata dalla Corte d’Appello di Bologna lecito chiedersi l’interessi di quali figli si sia tutelato, quelli dell’originaria coppia genito-riale o quelli nati dalla nuova unione dell’assegnataria? Sorge quindi spontanea una domanda: siamo veramente certi che l’interesse dei minori, magari adolescenti, sia quello di per-manere nella casa coniugale unitamente alla nuova famiglia del genitore assegnatario e siamo certi che in ragione di det-to interesse si debba a priori sacrificare il diritto di proprietà dell’altro genitore molto spesso in difficoltà economiche?

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La coordinazione genitoriale rappresenta una pratica affer-mata in vari paesi: USA, Canada, Israele, Australia e alcuni paesi europei1; dal 2015 inoltre si registrano anche in Italia i primi provvedimenti della magistratura in cui viene nominata la figura del coordinatore genitoriale2.

Questa importante opzione tra gli strumenti di Alternative Dispute Resolution (ADR) è in costante crescita fin dai primi anni ’90, quando i primi psicologi e avvocati, pionieri in que-sto campo, ne hanno intravisto le potenzialità3.

La sua evoluzione è legata ai tribunali di famiglia americani, sovraccarichi di richieste di giudizio di genitori coinvolti in separazioni con elevata e cronica conflittualità, categoria che pur rappresentando la minima parte delle coppie separative, utilizza la maggior parte delle risorse temporali disponibili4 di un sistema, quello della giustizia americana, già gravato dalla riduzione dei finanziamenti5.

Il rapporto con il tribunale è di grande importanza perché questo intervento sia efficace, gli stessi tribunali di famiglia hanno sperimentato programmi di coordinazione svolti in loro connessione6.

Fin dai primi anni ’60, quando ancora si chiamavano tribu-nali di conciliazione, i tribunali di famiglia americani si sono avvalsi di servizi di consulenza psicosociale a sostegno della

1 Fieldstone, L., Lee, M.C., Baker, J.K., & McHale, J.P. (2012), Perspectives on Parenting Coordination: Views of Parenting Coordinators, Attorneys, and Judiciary Members, in Family Court Review, 50(3), 441-454; Deutsch, R.M., Coates, C.A., & Fieldstone, L.B. (2008), Parenting coordination: An emerging role to assist high conflict families, in L.B. Fieldstone & C.A. Coates (Eds.), Innovations in interven-tions with high conflict families (pp. 187-221). Madison, WI: Association of Family & Conciliation Courts; Fieldstone, L., Carter, D., King, T., & McHale, J. (2011), Training, skills, and practices of parenting coordinators: Florida statewide study, in Family Court Review, 49, 801-817.

2 C. Piccinelli, S. Mazzoni, D. Carter, La coordinazione genitoriale, dagli USA un nuovo intervento di supporto per le coppie in separazione/divorzio ad elevata conflittua-lità cronica, in Il caso.it, http://www.ilcaso.it/articoli/fmi.php?id_cont=768.php; C. Piccinelli (segnalazione a cura di), La nuova figura del coordinatore genitoriale a Milano, in Il caso.it http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/15709.php.

3 Belcher-Timme, R.O., Shorey, H.S., Belcher-Timme, Z., & Gibbings, E.N. (2013), op. cit.

4 Neff, R., & Cooper, K. (2004), Progress in parent education: Parental con-flict resolution, in Family Court Review, 42, 99-114; Coates, C.A., Deutsch, R., Starnes, H., Sullivan, M.J., & Dydlik, B. (2004), Models of collaboration in family law: Parenting coordination for high-conflict families, in Family Court Review, 42, 246-262; Fieldstone, L., Lee, M.C., Baker, J.K., & McHale, J.P. (2012), op. cit.

5 Henry, W., Fieldstone, L., & Bohac, K. (2009), Parenting coordination and court relitigation: A case study, in Family Court Review, 47, 682-697; Coates et al., 2004, op. cit.; Johnston, J.R. (2000), Building multidisciplinary professional part-nerships with the court on behalf of high-conflict divorcing families and their children: Who needs what kind of help?, University of Arkansas at Little Rock Family Law Re-view, 22, 453-461; Firestone, G., Fieldstone, L., & Starnes, H. (2003), Parenting coordination in Florida: Current status and future directions, in The Commentator, 19(3), 17-28; Elrod, L.D. (2001), Reforming the system to protect children in high conflict custody cases, in William Mitchell Family Law Review, 28, 495-550.

6 Fieldstone et al., 2012, op. cit.

coppia in separazione e delle famiglie. L’evoluzione della so-cietà e delle normative sociali aveva portato un grande incre-mento del numero di separazioni/divorzi e della conseguente richiesta di giustizia civile. La mediazione familiare fu uno dei primi interventi sperimentati in questo ambito a partire dagli anni ’70, efficaci nel permettere alle coppie di autodeter-minarsi nell’assumersi le responsabilità genitoriali, attraverso uno spazio-tempo offerto alla coppia per parlare e confrontar-si sul modo migliore di separarsi e di riorganizzare le relazioni familiari nel rispetto dei rapporti con i figli.

Con il presentarsi di nuove situazioni sociali e con il supe-ramento delle normative sull’affido esclusivo, il contesto psi-cogiuridico americano si trovò a fronteggiare nuove situazioni complesse, tra le quali le necessità di tutela dei soggetti coinvol-ti in situazioni di violenza domestica, quindi la immediabilità di alcune situazioni, pur nel permanere della necessità di con-dividere la genitorialità anche in presenza di alto e perdurante contrasto, nel rispetto delle nuove leggi sugli affidi condivisi.

Lo strumento della mediazione familiare risultava inadatto a questi bisogni complessi, sicché la sperimentazione si orientò verso nuove forme di ADR che univano mediazione e arbitra-to e altre forme di intervento più decisionale che assunsero diverse denominazioni a seconda dei tribunali in cui veniva-no formulate. Per molti anni questi interventi rimasero privi di regolamentazione e avulsi rispetto a una comune definizio-ne dell’intervento.

Nel 2000 la sezione di diritto di famiglia dell’American Bar As-sociation, avvalorando l’importanza della collaborazione tra av-vocati, giudici ed esperti di salute mentale, affrontò il tema del cambiamento dei sistemi legali e di cura della salute necessari per far fronte al fenomeno delle ripercussioni sui minori dell’ele-vata conflittualità genitoriale, riconoscendo in questo il possibile ruolo dei coordinatori (o special master come venivano denomi-nati in alcune sedi giudiziarie locali)7. Un grande contributo nel-la produzione di buone prassi, condotte etiche e deontologiche e ricerca scientifica di ambito psicoforense deriva dall’Association of family and conciliation courts (AFCC), che affianca l’attività dei tribunali di famiglia e conciliazione fin dal 1963.

A questa importante associazione internazionale e interpro-fessionale si devono le linee guida e i protocolli per vari in-terventi di questo ambito, tra i quali troviamo la consulenza per l’affidamento dei minori, la mediazione e appunto la co-ordinazione genitoriale. Per quest’ultima il lavoro durò molti anni: una prima task force di AFCC iniziata nel 2001 e conclu-

7 Ramsey, S. (2000), High conflict custody cases: Reforming the system for chil-dren, in Conference Report and Action Plan, Wingspread Conference Center, Ra-cine, Wisconsin; Press, S. (2013), Family court services: A reflection on 50 years of contributions, in Family Court Review, 51(1), 48-55.

LA cOOrDiNAziONe geNitOriALe: cONOScerNe Le OrigiNi Per imPOrtAre uNO StrumeNtO mAturO cON uNA StOriA, bASi ScieNtiFiche e regOLe Di gArANziACLAuDIA PICCInELLIPsicologa in Brescia; mediatrice familiare SIMeF; Coordinatrice genitoriale; Albo dei CTU del Tribunale di Brescia; Professionista collaborativo AIADC

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sa nel 20038 mise a fuoco i problemi di realizzazione della co-ordinazione, non avendo potuto realizzare l’obiettivo iniziale di formulare un protocollo per l’intervento, data la grande difformità a livello USA e internazionale di queste pratiche variamente denominate. Una seconda task force, terminata nel 20059, dopo due anni di lavoro, si concluse con la creazione di un documento denominato ‘modello standard’ di interven-to per la coordinazione genitoriale, denominazione che venne poi cambiata in ‘linee guida’ per la coordinazione genitoriale, ritenuta quest’ultima più adatta a dare ragione delle difficoltà a raggiungere un consenso sugli standard richiesti per la coor-dinazione in quel momento.

L’introduzione delle linee guida sulla coordinazione hanno finalmente permesso di avere delle regole per le buoni pras-si di un intervento che per definizione di AFCC è centrato sul minore, a partire da quanto le scienze psicologiche hanno permesso di comprendere circa gli effetti sui figli delle contese tra i loro genitori.

L’effetto negativo sull’evoluzione psicologica del bambino del perdurante ed elevato conflitto genitoriale, relativamente alle tematiche riguardanti i figli, è noto alla letteratura10.

e ben documentato in una grande quantità di studi e re-visioni sistematiche sull’argomento11. Da tempo sono state prodotte molte evidenze in merito a vari possibili effetti sulla sfera emotiva interna del bambino e sulle problematiche com-portamentali12, effetti sul rendimento scolastico, sulle funzio-ni psicobiologiche, sul funzionamento cognitivo e sociale13.

Una classe di ricerche più recenti si è inoltre orientata a in-dagare i processi (quindi il come questi processi avvengano), indipendentemente da una logica che metta in evidenza i soli sintomi dell’effetto del conflitto. Questi studi hanno permes-so di differenziare tra le varie componenti che rendono un conflitto distruttivo e comprendere quali fattori protettivi possano essere valorizzati per evitare i danni. È infatti ormai acquisito che i bambini reagiscono in maniera differenziata a varie tipologie di conflitto, per esempio il conflitto su temi che li riguardano è considerato particolarmente stressante14,

8 AFCC Task Force on Parenting Coordination, Parenting Coordination: Implementation Issues, 41 Fam. Ct. Re. 533 (2003).

9 Association of Family and Conciliation Courts (AFCC), Task Force on Parenting Coordination (2006), Guidelines for Parenting Coordination, in Family Court Review, 44(1), 164-181.

10 Kitzmann, K.M., & Emery, R.E. (1994). Child and family coping one year after mediated and litigated child custody disputes, in Journal of Family Psychology, 8(2), 150; Hetherington, E.M., & Kelly, J. (2003), For better or for worse: Divor-ce reconsidered, WW Norton & Company; Wingspread Report and Action Plan (2001), High-conflict custody cases: Reforming the system for children, in Family Court Review, 39, 146-157; Firestone, G., & Weinstein, J. (2004), Models of col-laboration in family law: In the best interests of children: A proposal to transform the adversarial system, in Family Court Review, 42, 203-215.

11 Cummings, E.M., & Davies, P.T. (2002), Effects of marital conflict on chil-dren: Recent advances and emerging themes in process-oriented research, in Journal of child psychology and psychiatry, 43(1), 31-63.

12 Emery, R.E. (1982), Interparental conflict and the children of discord and di-vorce, in Psychological bulletin, 92(2), 310; Grych, J.H., & Fincham, F.D. (1990), Marital conflict and children’s adjustment: A cognitive-contextual framework, in Psy-chological bulletin, 108(2), 267.

13 Ellis, B.J., & Garber, J. (2000), Psychosocial antecedents of variation in girls’ pubertal timing: maternal depression, stepfather presence, and marital and family stress, in Child development, 71(2), 485-501; Cummings, E.M., & Davies, P. (1994), Children and marital conflict: The impact of family dispute and resolution, Guilford Press.

14 Grych, J.H., & Fincham, F.D. (1993), Children’s Appraisals of Marital Con-flict: Initial Investigations of the Cognitive-Contextual Framework, Child development, 64(1), 215-230.

così come fortemente stressanti sono le espressioni non ver-bali dei genitori, anche le più sottili, di rabbia, ritiro o di-scordia. Al contrario possono ridurre il disagio dei bambini le informazioni sulla risoluzione e sul grado di risoluzione15, ivi comprese le spiegazioni date dai genitori (anche quando i conflitti avvengono lontani dai bambini)16; qualora il conflitto non venga risolto il disagio comunque diminuisce quando i genitori esprimono ottimismo e speranza circa le possibili-tà di risoluzione17. Si comprende dunque, grazie al suppor-to della ricerca scientifica, l’utilità di insegnare ai genitori le competenze per gestire il loro conflitto18.

La possibilità di differenziare tra diverse tipologie di conflit-to ha poi condotto alla costruzione di interventi specifici per le famiglie coinvolte in processi separativi giudiziali19.

Tra le categorie protettive del conflitto genitoriale è stato recentemente messo in luce il costrutto di cogenitorialità, il quale fa riferimento al supporto e alla solidarietà tra gli adulti responsabili della cura dei figli. La ricerca dimostra che quan-do tale elemento sostiene l’agire dei genitori, siano essi in coppie unite o separate/divorziate, i figli mostrano un sano sviluppo e un buon adattamento20.

Le componenti specifiche che compongono la cogenitoriali-tà sono: l’agire comune nella squadra genitoriale; la condivi-sione delle attività di cura dei figli (indipendentemente dalla divisione dei compiti, ciò che conta è se le decisioni sulle at-tività sono state prese in maniera condivisa); la composizione dei conflitti riguardanti i figli; la consapevolezza di ognuno di avere il sostegno dell’altro genitore nel processo della ge-nitorialità21.

Il coordinatore genitoriale è l’esperto nominato dal tribunale che lavora con i genitori che altrimenti sarebbero impossibi-litati a cooperare per il bene dei loro figli cercando, grazie all’impiego di vari strumenti, di ridurre il conflitto, di miglio-rare le competenze genitoriali, di favorire la cogenitorialità, di ridurre le richieste rivolte ai tribunali per le questioni di normale gestione familiare e migliorare il benessere di figli e genitori nella transizione separativa22.

15 Cummings, E.M., Ballard, M., El-Sheikh, M., & Lake, M. (1991), Resolution and children’s responses to interadult anger, in Developmental Psychology, 27(3), 462.

16 Cummings, E.M., Simpson, K.S., & Wilson, A. (1993), Children’s responses to interadult anger as a function of information about resolution, in Developmental Psychology, 29(6), 978.

17 Cummings, E.M., & Wilson, A. (1999), Contexts of marital conflict and children’s emotional security: Exploring the distinction between constructive and de-structive conflict from the children’s perspective, in Conflict and cohesion in families: Causes and consequences, 105-129.

18 Shifflett, K., & Cummings, E.M. (1999), A program for educating parents about the effects of divorce and conflict on children: An initial evaluation, in Family Relations, 79-89.

19 Neff & Cooper, 2004, op. cit.; Fieldstone, L., Carter, D.K., King, T., & McHale, J.P. (2011), Training, skills, and practices of parenting coordinators: Florida statewide study, in Family Court Review, 49(4), 801-817.

20 Carter, D.K. & McHale, J. (2013), Protecting Generational Solidarities through Interventions with Divorcing Families - Theory, Research and Practice, in Fulchiron, H. (Ed.), Solidarity between Generations, Paris, France: Bruylant Pu-blishing, 313-321; McHale, J.P. (2007), Charting the bumpy road of coparenthood: Understanding the challenges of family life, Zero to Three; McHale, J.P., & Lindahl, K.M. (2011), Coparenting: A conceptual and clinical examination of family systems, American Psychological Association.

21 Carter, D.K. & McHale, J. (2013), op. cit.; Pruett, K. (2010), Partnership parenting: How men and women parent differently-Why it helps your kids and can strengthen your marriage, in ReadHowYouWant.com.

22 Carter, D.K. & McHale, J. (2013), op. cit.; Kirkland, K., & Sullivan, M. (2008), Parenting coordination (PC) practice: A survey of experienced professionals, in Family Court Review, 46(4), 622-636.

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Il processo di coordinazione genitoriale si fonda sulla teoria dei sistemi familiari, sulla psicologia dello sviluppo, sulle teo-rie di risoluzione dei conflitti a sostegno di un lavoro pratico di attuazione di un piano genitoriale stabilito dal tribunale. Tale piano genitoriale comprende i provvedimenti sull’affi-damento, collocamento e frequentazioni con i genitori e le modalità di condivisione delle decisioni genitoriali, per la cui realizzazione vengono improntate nel lavoro di coordinazione le regole di comunicazione, le tecniche di problem solving e l’insegnamento delle tecniche necessarie per disimpegnarsi da relazioni cogenitoriali disfunzionali.

Il coordinatore genitoriale ha anche la funzione di control-lare l’accesso del bambino a ciascun genitore, garantendo con ambedue un legame affettivo libero da vincoli di lealtà verso uno o entrambi i genitori.

Storicamente gli interventi come il counseling, la mediazio-ne familiare e l’educazione delle famiglie, sono stati metodi d’elezione per assistere i genitori in separazione. Tuttavia è divenuto chiaro che questi metodi da soli non bastano in al-cuni casi di alta conflittualità a ridurre i problemi o i continui ricorsi in tribunale23.

Per questo è stato pensato un sistema valido che combina molti di questi metodi in una maniera strutturata nella coor-dinazione genitoriale, che dispone ormai di un certo numero di studi sulla efficacia, ora raccolti in una prima recente meta-nalisi, condotta da D. Carter24.

In particolare è emerso che gli studi sulla efficacia della co-ordinazione sono centrati su due classi: studi sul processo e studi sul risultato, grazie ai quali, nonostante siano spesso limitati a piccoli campioni, si può inizialmente parlare di una soddisfacente valutazione positiva di entrambe le categorie. È inoltre emersa una serie di studi sull’efficacia degli interventi con le coppie in separazione come la mediazione familiare e la psicopedagogia rivolta a genitori, che sono strumenti le cui tecniche sono ampiamente utilizzate nella coordinazione in sinergia, dotate di una loro efficacia dimostrata, che indiretta-mente costituiscono una base di efficacia per la coordinazione genitoriale25.

Nel complesso i dati alla base dei risultati della coordinazio-ne forniscono un forte supporto dell’efficacia dello strumento come mezzo per ridurre il numero di udienze e ricorsi. Tali risultati sono stati trovati in diverse aree geografiche; in geni-tori con diverse provenienze etniche e socioeconomiche; in diverse forme di attivazione del servizio: sia su base di pro-grammi attivati dai tribunali che su base di attività privata26.

Tra i risultati meno positivi si segnala l’uscita prematura dall’intervento di coordinazione: una volta su quattro il coor-dinatore veniva licenziato prima della scadenza dei due anni di incarico.

Gli studi dimostrano anche che la coordinazione è efficace nel ridurre le richieste di intervento dei giudici su questioni

23 Johnston, J.R., & Roseby, V. (1997), In the name of the child: A developmental approach to understanding and helping children of high-conflict and violent families; Neff, R., & Cooper, K. (2004), op. cit.

24 Carter, D.K., & Lally, S.J. (2014), Charting the challenging path toward esta-blishment of parenting coordination’s efficacy, in Higuchi, Shirley Ann (Ed); Lally, Stephen J. (Ed), (2014), Parenting coordination in postseparation disputes: A com-prehensive guide for practitioners (pp. 241-263). Washington, DC, US: American Psychological Association, xii, 298 pp.

25 Ibidem.26 Ibidem.

frivole o su questioni riguardanti i bambini, minori ricorsi in situazioni di urgenza e aumento della risoluzione di conflitti senza l’intervento del giudice. Tra i risultati sono stati indivi-duati il miglioramento della situazione conflittuale, della coo-perazione e del supporto tra genitori, sebbene i miglioramenti sull’adattamento dei bambini non potessero essere considera-ti significativi dal punto di vista statistico27.

Una ricerca recente28, riportando le attività nella quali il co-ordinatore è frequentemente impegnato, le ha così descritte: educare i cogenitori sugli effetti dannosi del conflitto sui bam-bini; facilitare la risoluzione di questioni tra genitori; inse-gnare ai genitori come accordarsi senza che nessuno ne esca vincitore o perdente; insegnare ai genitori a trattare i loro rap-porti come farebbero in una riunione con i colleghi; facilitare gli accordi tra i genitori per le variazioni sul piano genitoriale in modo da generare meno conflitti; insegnare ai genitori a scambiarsi e-mail in maniera cortese; intrattenere contatti con uno o entrambi gli avvocati.

Sono queste alcune declinazioni pratiche, nel quotidiano, del lavoro della coordinazione genitoriale,

che trovano una chiara sistemazione nella definizione di coordinazione genitoriale fornita dalle linee guida di AFCC: La coordinazione genitoriale è un processo di risoluzione al-ternativa delle controversie centrato sul bambino attraverso il quale un professionista della salute mentale o di ambito giuridico, con formazione ed esperienza nella mediazione fa-miliare, aiuta i genitori altamente conflittuali ad attuare il loro piano genitoriale, facilitando la risoluzione delle controversie in maniera tempestiva, educandoli sui bisogni dei loro figli e, previo consenso delle parti e /o del giudice, prendendo de-cisioni all’interno dell’ambito dell’ordine del tribunale o del contratto di incarico. La coordinazione genitoriale combina la valutazione, l’educazione, la gestione del caso, la gestione del conflitto e, talvolta, l’assunzione di decisioni.

Le linee guida definiscono altresì le attività specifiche del coordinatore (Linea guida VI) oltre ai protocolli dettagliati per la formazione dei coordinatori (appendice A e linea guida I) e le linee guida per i Tribunali (Appendice B), sulle base delle quali i tribunali dovrebbero dotarsi delle procedure utili per i programmi di coordinazione ad essi connessi.

Grazie alle linee guida di AFCC la coordinazione rappresen-ta un intervento maturo e affidabile29.

Fino all’introduzione delle Linee guida di AFCC il processo di coordinazione veniva compreso in una grande varietà di modelli difformi, spesso determinanti una grande confusione sui ruoli specifici e sulle responsabilità del coordinatore ge-nitoriale, con conseguenti incertezze dal punto di vista etico, pratico e giuridico30. L’Italia, dove sono in corso i primi casi di coordinazione genitoriale con nomina del coordinatore nei provvedimenti dei tribunali, ha l’opportunità di guardare a queste linee guida evitando di cadere nelle medesime incer-tezze e confusioni, attraverso l’adattamento delle stesse alla nostra realtà culturale e giuridica riguardante la famiglia.

27 Ibidem.28 Fieldstone, L., Carter, D.K., King, T., & McHale, J.P. (2011), op. cit.29 Sullivan, M.J. (2013). Parenting Coordination: Coming of Age?, in Family

Court Review, 51(1), 56-62.30 Sullivan, M.J. (2004), Ethical, legal, and professional practice issues involved

in acting as a psychologist parent coordinator in child custody cases, in Family Court Review, 42(3), 576-582.

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L’adozione di maggiorenne è disciplinata dal Libro I, titolo ottavo, capo I del Codice civile, agli articoli 291 al 314.

Tra i presupposti essenziali per l’adozione di maggiorenne vi è la necessità del consenso dell’adottante e dell’adottato, così come disciplinato dall’art. 296 (per l’adozione si richiede il consenso dell’adottante e dell’adottando). L’art. 298, inve-ce, sancisce la decorrenza degli effetti della adozione, sta-bilendo che l’adozione produce i suoi effetti dalla data del decreto che la pronuncia e che finché il decreto non è ema-nato, tanto l’adottante quanto l’adottando possono revocare il loro consenso; prosegue poi esplicitando la situazione di morte dell’adottante dopo l’emanazione del consenso e prima dell’emanazione del decreto, in cui si può procedere al com-pimento degli atti necessari per l’adozione. In questo caso, però, gli eredi possono presentare memorie ed osservazioni in Tribunale per opporsi all’adozione che, se ammessa, produce i suoi effetti dal momento della morte dell’adottante.

Il consenso è definito come conformità di intenti, di voleri; come accordo, permesso o approvazione e presuppone dun-que un premesso o un’approvazione ad un facere. L’etimologia di consenso deriva dal latino consentire, cioè sentire insieme e mantiene, al participio passato, il significato di approvazio-ne, armonia di idee, opinioni, sentimenti.

Il consenso dell’adottante e dell’adottando (o del di lui le-gale rappresentante) deve essere manifestato, ai sensi dell’art. 311 c.c., personalmente al Presidente del Tribunale del cir-condario in cui l’adottante ha la residenza.

Tuttavia, alcuni tribunali richiedono, a corredo del ricorso, anche una dichiarazione scritta dell’adottando il quale dichia-ra di non opporsi al procedimento.

A livello procedurale, la richiesta per l’adozione di maggio-renne si propone con ricorso al Presidente del Tribunale. Il Tribunale, a norma dell’art. 313 c.c., in camera di consiglio e sentito il pubblico ministero, provvede con sentenza deciden-do di far luogo o non far luogo all’adozione. Il secondo com-ma stabilisce, con elenco tassativo dei soggetti legittimati, la possibilità di proporre impugnazione nanti la corte d’appello.

Il problema del consenso nell’adozione è strettamente corre-lato a quello sulla sua natura giuridica e la disputa sul punto è risalente.

Un precedente orientamento giurisprudenziale e dottrinale attribuiva rilevanza anche esterna al consenso ed affermava la natura contrattuale dell’adozione.

Tale insegnamento è stato superato con la pronuncia della I Sezione Civile della Corte di Cassazione, n. 12556 del 19 luglio 2012, la quale ha sancito che il consenso perde “ogni autonomia e rilevanza esterna, diventando un presupposto interno o una conditio iuris alla pronuncia di adozione”.

Il Tribunale, verificata l’esistenza dei consensi e degli as-sensi, così come gli adempimenti prescritti dalla legge e la convenienza e la convenienza per l’adottando, pronuncerà il provvedimento di adozione. Terminato il procedimento e

pronunciata la sentenza (prima decreto), consensi ed assensi non avranno più alcuna autonoma rilevanza.

Logica conseguenza di tale assunto è per impugnare la pro-cedura di adozione si deve assumere la nullità, e non all’an-nullamento.

Pertanto, per la prestazione del consenso è necessaria la ca-pacità legale (di intendere e di volere) e la capacità di agire di adottante e dell’adottando e tali requisiti devono permanere fino al momento della pronuncia dell’adozione. Il codice pre-vede la revoca fino al momento della pronunzia; la revoca, come il consenso, deve essere esercitata solo da persona giu-ridicamente capace.

Il consenso, sebbene debba essere dato da persone che ab-biano la capacità di agire, può essere sussistente anche in casi di amministrati di sostegno che lo possono prestare; ed in-fatti, “la misura di protezione dell’amministrazione di soste-gno non priva il beneficiario della capacità di agire, se non per quegli atti che richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministratore (art. 409 c.c.). Trattandosi di atto personalissimo non è ipotizzabile alcuna rappresentanza (Trib. Milano, Sez. I, 25/11/2015, n. 54).

Perciò al consenso non si potrà apporre né termine né, tan-tomeno, condizione.

Gli eventuali vizi del consenso sono quelli disciplinati in ambito contrattuale, nonostante sia stata esclusa la natura contrattuale dello stesso. Il consenso deve essere espresso li-beramente, senza alcun ostacolo o impedimento.

Per quanto riguarda l’errore, se di fatto, è rinvenibile solo se cade sull’identità della persona; se è di diritto, si può presen-tare in diverse ipotesi.

Per quanto concerne la violenza ed il dolo, sono anche essi vizi dell’adozione.

Ed infatti, qualora vi fossero irregolarità, queste vizieranno sia gli atti successivi sia la pronuncia finale, alla quale sola si dovrà fare riferimento. Quindi non potrà più impugnarsi il solo consenso, assurto adesso a mero presupposto per l’adozione.

Tale valorizzazione della natura del consenso non potrebbe portare ad ammettere una legittimazione cd. diffusa (di chiun-que vi abbia interesse) ad impugnare il negozio ovvero il prov-vedimento di adozione che lo presuppone, sol che si consideri la tassatività dell’elencazione dei soggetti legittimati all’impu-gnazione contenuta nel secondo comma dell’art. 313c.c.

In sostanza, quindi, a meno che non sussistano nuovi impe-dimenti sopraggiunti dopo la pronunzia, l’unico soggetto real-mente legittimato (ed interessato) ad una impugnazione all’ado-zione, è lo stesso adottante, titolare della posizione soggettiva in eventuale contestazione. Tale azione deve considerarsi esclusi-vamente personale e non trasmissibile, se non esercitata in vita dal titolare del rapporto adottivo (C. Cass. 4694/1992).

La suprema Corte, con la sentenza 12556/12 pone dunque fine all’annoso dibattito circa l’incapacità naturale dell’adot-tante.

i vizi DeL cONSeNSO NeLL’ADOziONe Di mAggiOreNNeFRAnCESCA ALESSIAvvocato del foro di Genova

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Secondo la Cassazione, l’inesistenza di una espressa previ-sione normativa riguardo alle persone legittimate a far valere l’azione invalidante, rispetto alla dettagliata elencazione delle categorie di persone che possono proporre azioni dettate dal cc in materia di diritto di famiglia, esclude che in questo caso possa trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 428 cc (atti compiuti da persona incapace di intendere o di vole-re), poiché tale norma è volta a tutelare interessi essenzial-mente patrimoniali

L’insegnamento giurisprudenziale sul carattere personale del rapporto adottivo e sulla intrasmissibilità della legittimazione ad impugnare il provvedimento di adozione è costante e risa-lente nel tempo (per tutte C. Cass. N. 2520/1975).

L’adozione di maggiore, nella sua natura giuridica, contiene dunque sia il profilo privatistico che quello pubblicistico.

Il primo consiste nel consenso all’adozione prestato dai sog-getti interessati, ed il secondo nella subordinazione dell’effetto costitutivo del rapporto ad un provvedimento giudiziale. La summenzionata sentenza, però, pur non inficiando la conca-tenzione dei due profili della natura giuridica, definitivamente.

Infine, una breve disamina sull’assenso.Come anticipato, ai sensi dell’art. 297 c.c., “per l’adozione

è necessario l’assenso dei genitori dell’adottando e l’assenso del coniuge dell’adottante e dell’adottando, se coniugati e non legalmente separati. Quando è negato l’assenso previsto dal primo comma, il Tribunale, sentiti gli interessati, su istanza dell’adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o con-trario all’interesse dell’adottando, pronunziare ugualmente l’adozione, salvo che si tratti dell’assenso dei genitori eser-centi la responsabilità genitoriale o del coniuge, se conviene, dell’adottante o dell’adottando. Parimenti il Tribunale può pronunziare l’adozione quando è impossibile ottenere l’as-senso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo”

Diversamente dall’assenso di cui all’art. 297, necessario all’adozione ed esplicitato in forma scritta (ai fini della pro-cedura) dai genitori dell’adottando, se in vita, e dal coniuge dell’adottante e dell’adottando.

Qui l’assenso è inteso nuovamente nella sua definizione let-terale di “approvazione espressa liberamente e apertamente o concessa con apposito atto”, dal latino assentiri (esprimere un parere). Nel caso in argomento, l’assenso è un “atto che valore di autorizzazione o di approvazione e che è necessario per il valido compimento di un altro atto o negozio giuridico” (L. Monnier).

Ecco perché, giustamente, il codice utilizza, per due mo-menti diversi in differenti situazioni temporali e soggettive, due termini simili nell’immediato significato, ma profonda-mente dissimili. Perché differenti sono i soggetti manifestanti: nel consenso sono solo le parti che costituiscono il rapporto adottivo; nell’assenso, invece, sono soggetti esterni all’ado-zione che dichiarano di nulla opporre alla pronunzia della stessa. Tanto è vero che il consenso deve essere prestato per-sonalmente, mentre l’assenso può essere espresso anche da un rappresentante.

La diversità delle due fattispecie rileva ulteriormente, anche in considerazione del fatto che l’adozione, in certi casi, può essere pronunciata anche in caso di mancanza dell’assenso, ma mai quando il consenso è revocato.

Certamente, in questa ipotesi, l’istituto dell’assenso è diver-so da quello che rileva ad esempio, nel diritto amministrativo.

BibliografiaLe adozioni, Dogliotti, Astiggiano, Giuffrè, 2014Il nuovo diritto di famiglia, vol. I, Cagnazzo, Preite, Tagliaferri, Giuffrè

2015Sulla rilevanza e la revocabilità del consenso all’adozione di persona

maggiorenne, Simona Bardi, Dir. Famiglia, fasc. 1, 2000

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

1. introduzione

Umberto Veronesi nella prefazione al libro “Testamento biolo-gico” pubblicato nel 20051 anticipava lo scontro che si sareb-be sviluppato negli anni successivi sul tema della morte: “Il tema della morte è molto impopolare per chiunque lo tratti. Ogni volta che mi trovo ad affrontarlo – e la mia professione mi porta a farlo forse più spesso degli altri – come medico, come scienziato o semplicemente come uomo, sono consape-vole che può essere lacerante per la sensibilità di molti perché è difficile accettare che si spenga la vita che amiamo, o do-vremmo amare, più di ogni cosa e che rappresenta il nostro bene supremo. Ma ogni volta penso anche che è un tema che non si può nascondere, ignorare o mistificare. Credo sia utile una presa di coscienza e sia necessario un dibattito leale e civile e il più possibile partecipato”.

Non sapremo mai se il grande uomo e scienziato avrebbe condiviso il testo del d.d.l. n. 3599 approvato dalla Camera dei Deputati il 20 aprile 2017 e frutto della sintesi di circa 21 progetti di legge (la cautela è d’obbligo, attesa la congerie di proposte, emendamenti, rimandi degli ultimi 12 anni), ma un dato è inconfutabile: il testo approvato dalla Camera colma un vuoto divenuto inaccettabile, nel rapporto tra l’autonomia

1 Fondazione Umberto Veronesi, Testamento biologico, Riflessioni di dieci giu-risti, in Il Sole 24 Ore.

degli essere umani, la cessazione delle sofferenze ed il diritto ad una morte dignitosa, di contro al concetto di rispetto della vita umana in termini assoluti2.

Termini apparentemente inconciliabili, solo se si considera la vita un bene supremo, ma non nella totale disponibilità dei soggetti sofferenti o prossimi alla morte.

Noti sono gli avvenimenti che hanno determinato l’apertura di un dibattito, a volte violento e partigiano (dal caso Englaro al più recente del dj Fabo) ma l’unica possibilità di approccio che si può offrire su temi che incidono su valori che ciascuno di noi protegge e vive come indiscutibili è una lettura, per quanto possibile, ermeneutica dei testi in commento.

Secondo la Società italiana di riabilitazione neurologica3 in Italia ogni anno 250.000 persone entrano in coma; 700 di queste sono bambini. Tremila non recuperano e vivono in stato vegetativo; ma uno su quattro, tra coloro che soprav-vivono, hanno gravi disabilità e una su tre, colpite dal coma, sono minori tra 0 e 15 anni.

2 La Fondazione Umberto Veronesi ha peraltro predisposto un modello di testamento biologico, che consiste in una semplice dichiarazione con la quale vengono indicati i propri dati anagrafici, ed espressa la volontà di rifiutare l’ac-canimento terapeutico. Viene inoltre indicato un fiduciario che può essere un adulto in grado di intendere e di volere.

3 Dati tratti da pubblicazione sul sito ofcsreport del 19 aprile 2017 a firma Piccinini Daniele e relativi al XVII congresso che si è tenuto a Pisa l’8 aprile 2017.

NOrme iN mAteriA Di cONSeNSO iNFOrmAtO e Di DiSPOSiziONe ANticiPAte Di trAttAmeNtOLettura critica del disegno di legge n. 3599 approvato dalla camera dei Deputati il 20 aprile 2017EMAnuELA COMAnDAvvocato del Foro di Udine, membro dell’Esecutivo ONDiF

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Dal d.d.l. n. 2350 al d.d.l. n. 3599; iter legislativo. - 3. La proposta di legge n. 2350 approvata dal Senato il 12.07.2011. - 4. La proposta di legge n. 3599 approvata dalla Camera dei Deputati il 20.04.2017. - 5. Conclusioni.

DOSSier

La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017: “Norme in materia di consenso

informato e di disposizioni anticipate di trattamento”Vengono raccolti nel Dossier un commento sulla legge dell’Avv. Emanuela Comand e gli atti del Convegno

di Bari “I diritti delle persone fragili”, 24 febbraio 2017, con le relazioni di Luigi Gaudino, Gabriella Lucioli, Antonella Trapanese, Matilde Giammarco e i contributi di Michela Labriola e Valeria Mazzotta

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DOSSier La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017

Sarebbero sufficienti questi dati per comprendere quante famiglie e quanti ammalati hanno il diritto ad una legge oltre che giusta, certa.

2. Dal d.d.l. n. 2350 al d.d.l. n. 3599; iter legislativo

La proposta di legge n. 23504 venne esaminata dalla Camera dei Deputati in data 12 luglio 2011 e successivamente tra-smessa al Senato, che inizio l’esame nel settembre dello stesso anno. L’iter si bloccò e non fu mai portato a conclusione. La proposta di legge n. 1142 di iniziativa dei deputati Mantero più altri venne presentata in data 04.06.20135. Nel mese di febbraio 2016, venne presentata alla Camera dei Deputati la proposta di legge n. 3599 d’iniziativa dei deputati Brignone, Civati, Andrea Maestri, Patorino, Matarelli, frutto di 10 pro-poste di legge che la Commissione Affari Sociali ha riunito in un unico testo di legge6.

In verità l’iter è stato più complesso.La proposta di legge n. 1142 è stata presentata il 4 giugno

2013 assieme alle proposte di legge citate (vedi nota n. 6).A seguito del loro esame congiunto si è deciso di effettuare

un’indagine preventiva e conoscitiva di ogni singola proposta, corredata da audizioni di esperti e studiosi sul tema. Costitu-ito un Comitato ristretto, è stato elaborato un testo unificato delle varie proposte di legge e nella seduta del 7 dicembre 2016, la Commissione ha adottato il testo unificato n. 3599. Il 17 gennaio 2017, in sede di esame sono stati proposti 3200 emendamenti ed infine in data 16 febbraio 2017, concluso l’esame degli emendamenti, il testo unificato della iniziale proposta n. 1142 più altre, è stato inviato alle Commissio-ni competenti per i pareri. Si arriva così alla seduta del 23 febbraio 2017 ed in tale occasione il Presidente della XVII Commissione, su sollecitazione della Commissione Affari Co-stituzionali e Giustizia, ha chiesto un differimento al 2 marzo 2017 per raccogliere i loro pareri.

In sintesi: da un’iniziale unificazione delle proposte di legge citate (n. 1142 più altre), dopo una disamina in Commissione iniziata in data 9 marzo 2016 e terminata in data 2 marzo 2017, si è approdati alla discussione in Assemblea in data 13 marzo 2017.

La discussione si è conclusa in prima lettura alla Camera dei Deputati in data 20 aprile 2017 ed è stata trasmessa al Senato in data 21 aprile 2017.

Siamo in attesa della discussione in Senato.Il testo unificato, che partiva dalla proposta di legge n. 2350 è

rimasto sospeso senza giungere a conclusione davanti al Sena-to; ha tuttavia aperto le porte al d.d.l. n. 1142 più altri, per con-fluire nel d.d.l. 3599, approvato dalla Camera il 20.04.2017.

4 Proposta di legge n. 2350 approvata in un testo unificato, dal Senato della Repubblica in data 12.07.2011 su iniziativa dei senatori Ignazio Roberto Mari-no, Finocchiaro, Zanda, Latorre, Astore, Bassoli più altri.

5 Assieme ad altre 14 proposte di legge di varie iniziative: n. 1298, 1432, 2229, 2264, 2996, 3391, 3561, 3586, 3630, 3723, 3730, 3970.

6 Proposte di legge: n. 1142 presentata il 04.06.2013; n. 1298 pres. il 03.07.2013; n. 1432 pres. il 26.07.2013; n. 2229 pres. il 26.03.2014; n. 2264 pres. il 02.04.2014; n. 2996 pres. il 30.03.2015; n. 3391 pres. il 29.10.2015; n. 3561 pres. il 27.01.2016; n. 3584 pres. il 04.02.2016; n. 3586 pres. il 04.02.2016; n. 3596 pres. il 09.02.2016; n. 3599 pres. il 11.02.2016; n. 3660 pres. il 24.02.2016; n. 3723 pres. il 05.04.2016; n. 3730 pres. il 07.04.2016; n. 3970 pres. Il 08.07.2016.

3. La proposta di legge n. 2350 approvata in un testo unificato dal Senato della repubblica il 12.07.2011

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consen-so informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento.La proposta di legge n. 2350 approvata dalla Camera dei deputati il 12 luglio 2011 è costituita da 9 articoli.

Articolo1Tutela della vita e della salute.Il testo parte dagli articoli 2, 13, 32 della Costituzione7:

– riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabi-le ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere, fino alla morte accer-tata nei modi di legge;

– riconosce e garantisce la dignità della persona prima dell’interesse della società, della tecnologia e della scienza;

– vieta, ai sensi degli artt. 575,579,580 codice penale8, ogni forma di eutanasia e di assistenza al suicidio assi-stito;

– obbliga il medico ad informare il paziente sui tratta-menti sanitari più appropriati, ma fa riferimento al suc-cessivo art. 2, salvando l’alleanza terapeutica tra medico e paziente;

– subordina qualunque trattamento sanitario al consen-so informato;

– prevede l’astensione del medico da trattamenti straordi-nari non proporzionati alle condizioni del malato.

Sintesi: definisce la vita umana diritto inviolabile ed indispo-nibile, sottraendola di fatto alla disponibilità del malato, pur introducendo il principio dell’alleanza terapeutica e del limite alle cure invasive, a fronte della loro inefficacia ed inadegua-tezza tecnica.

Articolo 2Consenso informatoIl paziente non può essere sottoposto a trattamento sanita-rio in mancanza di manifestazione libera e consapevole del consenso:

7 Art. 2 Cost. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà po-litica, economico-sociale”; art. 13 Cost. “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi ecce-zionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’Autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all’Autorità giudiziaria e, se questa non li convalida, nelle successive 48 ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto…”; art. 32 Cost. “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’in-dividuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti im-posti dal rispetto della persona umana”.

8 Art. 575 c.c. “Omicidio: chiunque cagione la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni 21…”; art. 579 c.c. “Omicidio del con-senziente: chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da 6 a 15 anni…”; art. 580 c.c.: “Istigazione o aiuto al suicidio: chiunque determini altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ov-vero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito se il suicidio avviene, con la reclusione da 5 a 12 anni…”.

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

– il medico deve informare il paziente delle sue condizioni, rischi, pericoli, cure necessarie e conseguenze del rifiuto dei trattamenti sanitari;

– viene introdotto il concetto di alleanza terapeutica tra medico e paziente (peraltro non definita) che deve es-sere esplicitata in un documento di consenso informato, firmato dal paziente e tale documento diventa parte inte-grante della cartella clinica;

– il paziente può rifiutare di acquisire le informazioni, ma deve esplicitare tale rifiuto in un documento sottoscritto da lui e dal medico;

– il consenso può sempre essere revocato;– in caso di interdizione, inabilitazione, amministrazione

di sostegno manifesta la volontà, al posto del dichiarante, il tutore, il curatore, l’amministratore di sostegno;

– in caso di minore il consenso è espresso dall’esercente la potestà – ora genitorialità – ma è previsto l’ascolto del minore, senza limiti di età;

– infine in caso di soggetto incapace o in pericolo di vita, viene riconosciuto al medico il diritto-dovere di agire sulla base della scienza, coscienza, deontologia medica e da ultimo, dalla legge.

Sintesi: viene introdotto il principio dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente e delineata la forma di espressione del consenso informato, prevedendo anche il caso di incapacità del soggetto, compresa la minore età. Non viene definita l’al-leanza terapeutica.

Articolo 3Contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trat-tamentoL’articolo prevede la possibilità per un soggetto sano e capace di intendere e di volere di esprimere il proprio orientamen-to in merito ai trattamenti sanitari in previsione di una futura incapacità.L’efficacia della DAT viene subordinata:

– alla piena capacità di intendere e di volere;– al fatto di aver ricevuto informazione medico-clinica che

deve essere conforme a quanto prescritto dalla legge e dal codice di deontologia medica;

– la rinuncia all’attivazione o non attivazione dei tratta-menti sanitari, non è assoluta perché correlata al caratte-re sproporzionato o sperimentale dei trattamenti sanitari stessi e non deve essere in contrasto con gli artt. 575, 579 e 580 c.p.;

– non riguarda l’alimentazione e l’idratazione perché considerate forme di sostegno vitale finalizzate ad alleviare le sofferenze;

– la DAT assume rilievo solo se il soggetto è in stato vege-tativo, ma la valutazione di tale stato è demandata ad un collegio medico, designato dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero o dall’azienda sanitaria locale.

Sintesi: limita il diritto del soggetto ad esprimere una volontà contraria rispetto alla legge (e tale assunto potrebbe trovare condivisione) e lo condiziona anche al rispetto di de-cisioni che non sono automaticamente applicabili in quanto filtrate da un collegio medico. Con il limite invalicabile del divieto di interruzione della alimentazione e idratazione, considerate forme di sostegno vitale e fisiologicamente fi-nalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita.

Articolo 4Forma e durata della dichiarazione anticipata di tratta-mento.Si riassumono le caratteristiche:

– la DAT non è obbligatoria;– è redatta in forma scritta con data certa e firma autografa,

sia dal paziente che dal medico;– ha validità 5 anni dalla redazione dell’atto e può essere

revocata o modificata;– deve essere inserita nella cartella clinica;– in condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in

pericolo di vita immediato, la DAT non si applica.Sintesi: la DAT ha un valore circoscritto ad adempimenti pre-cisi e comunque perde valore in caso di incapacità o pericolo di vita.

Articolo 5Assistenza ai soggetti in stato vegetativoPer i soggetti in stato vegetativo il Ministro del Lavoro, della Salute e previa intesa con le Regioni adottano le linee guida per l’assistenza domiciliare.

Articolo 6, Fiduciario; Articolo 7, Ruolo del Medico; Arti-colo 8, Autorizzazione giudiziariaÈ prevista la nomina nella DAT, da parte del dichiarante di un fiduciario maggiorenne capace di intendere e di volere.In questo caso:

– il fiduciario accetta l’incarico e lo sottoscrive;– è l’unico autorizzato ad interagire con il medico e a ri-

spettare le indicazioni del dichiarante– si impegna a vigilare affinché al paziente vengano som-

ministrate le terapie migliori, ma deve evitare che si crei-no situazioni sia di accanimento che abbandono terapeu-tico; deve rispettare le norme del codice penale e può rinunciare all’incarico;

– le indicazioni del paziente sono prese in considerazione dal medico, ma nel limite del principio di inviolabilità della vita umana;

– nel caso di controversia tra medico e fiduciario decide un collegio formato da medico legale, anestesista, neurologo, sentito il medico curante e lo specialista della patologia.

Il loro parere non è vincolante per il medico curante che è comunque a sua volta vincolato da norme di de-ontologia e non è tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologiche.

– In assenza di fiduciario e di contrasti tra soggetti legit-timati, decide il Giudice Tutelare, su parere del collegio medico.

Sintesi: la volontà espressa con le DAT può essere disat-tesa dal medico curante e dal collegio medico, nonché dal fiduciario ed in caso di contrasto insuperabile decide l’Autorità giudiziaria.

Articolo 9Disposizioni finaliViene istituito il registro delle dichiarazioni anticipate in un archivio nazionale informatico che deve essere tenuto presso il medico di medicina generale, dove verranno registrate in uffici dedicati, presso le aziende sanitarie locali. Viene deman-

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dato ad un regolamento il potere di stabilire regole per la te-nuta e l’accesso del registro, nonché la modalità di formazione e conservazione degli atti.Ciò senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica.

4. La proposta di legge n. 3599 approvata dalla camera dei Deputati il 20.04.2017

Norme in materia di consenso informato e di disposizioni an-ticipate di trattamento

La relazione introduttiva si differenzia sin dal titolo dal pre-cedente d.d.l. n. 2350.

Mentre nella proposta che abbiamo appena esaminato il ti-tolo focalizzava l’attenzione sulle “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato, e di dichiarazioni anticipate di trattamento” il testo unificato dalla Commissio-ne, avente ad oggetto le proposte da 1142 più altre, titola: “norme in materia di consenso informato e di disposizio-ni anticipate di trattamento”.

Dal titolo scompare il riferimento all’alleanza terapeutica.Non solo. Mentre nel testo della proposta di legge n. 2350

all’art. 1 si poneva immediatamente attenzione sul valore as-soluto della vita umana9 nella proposta di Legge n. 3599 si afferma la volontà di non assumere alcuna posizione eti-ca, ma solamente di garantire la facoltà di esprimere una volontà cosciente con la certezza che tale volontà verrà rispettata.

Principio che non si può non condividere e che segue un orientamento ormai prevalente nel nostro ordinamento, lad-dove alla scala di valori personali e soggettivi si contrappone una scala di valori generali che devono e possono essere con-divisi in una società che presenta varietà di diritti, aspirazioni, esigenze affettive ed esistenziali, spesso inconciliabili.

Ed ecco che la norma deve fungere da collante ed eliminare qualunque vuoto legislativo che possa determinare incertezze.

Il parere della prima Commissione permanente (Affari Co-stituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni), richia-ma l’art. 32 Cost. ma rammenta che al primo comma la tutela della salute è un diritto fondamentale dell’individuo e che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge.

La legge inoltre non può in alcun caso violare i limiti impo-sti dal rispetto della persona umana10.

Anche la seconda Commissione permanente Giustizia, sem-pre nella fase introduttiva della proposta di legge poi appro-vata, osserva che il provvedimento ruota intorno al principio non solo della Costituzione, ma anche degli artt. 1, 2 e 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea secondo cui nessun trattamento sanitario può essere iniziato o prose-guito, se privo del consenso libero e informato dalla persona interessata, ad eccezione dei casi previsti dalla legge.

Veniamo ad un’analisi più completa del testo di legge appro-vato dalla Camera.

9 “La presente legge, tenendo conto dei principi di cui agli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione: a. riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza…”.

10 La Commissione cita la sentenza della Corte costituzionale n. 438 del 2008: “Il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesio-ne al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nell’art. 2, 13 e 32 della Costituzione”.

Articolo 1Consenso informatoSi pone immediatamente rilievo alla tutela della vita e del-la salute dell’individuo, precisando che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero ed informato della persona interessata.Solo in seconda battuta si valorizza e si promuove la relazione di cura e di fiducia (non più alleanza terapeutica) tra medico e paziente, richiamando l’autonomia decisionale del paziente contro la competenza, l’autonomia professionale e la respon-sabilità del medico.Si richiama il coinvolgimento dei familiari (in senso lato e nel rispetto della Legge sulle unioni civili e convivenze n. 76/2016)11.Le caratteristiche del consenso informato possono essere così riassunte:

– il consenso informato è il diritto del paziente di conosce-re le proprie condizioni di salute e di essere informato in modo completo riguardo alle diagnosi, prognosi, benefi-ci e rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari che il medico indica ed alle eventuali alternative;

– il consenso informato implica il rifiuto del trattamento sanitario, dell’accertamento diagnostico e addirittura il rifiuto di ricevere le informazioni indicando una persona di fiducia (rectius: familiari, conviventi, amici, ecc.) di ricevere le informazioni al suo posto;

– la forma di manifestazione del consenso informato è espresso in forma scritta ovvero quando le condizioni fisiche del paziente non lo consentono anche a mezzo videoregistrazione o dispositivi.

Il consenso informato espresso in qualunque forma è in-serito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elet-tronico.Il rifiuto del trattamento sanitario indicato dal medico e la rinuncia non possono determinare l’abbandono terapeutico. Ciò significa che il rifiuto del trattamento sanitario finalizzato al prolungamento della vita, non implica rinuncia alla terapia che determini l’erogazione di cure palliative ai sensi della Leg-ge 15.03.2010 n. 3812.Quali sono i diritti del malato che esprime il consenso informato?Ciascuno di noi, se maggiorenne e capace di intendere e di volere, ha il diritto di: rifiutare le cure; il diritto di revocare il consenso alle cure autorizzate; anche quando la revoca com-porti l’interruzione del trattamento, incluse la nutrizione e l’idratazione artificiale.Il medico ha l’obbligo di rispettare la volontà del paziente ed è esente da responsabilità civile o penale.Tuttavia il medico non ha il dovere di eseguire trattamenti sanitari contrari alla legge, alla deontologia, o alle pratiche clinico-assistenziali (ad esempio i protocolli).Resta salva la previsione che nelle situazioni di pericolo il me-dico assicuri l’assistenza sanitaria, rispettando la volontà del paziente.L’art. 1 n. 9 del d.d.l. n. 3599 è particolarmente interessante.Si afferma che: “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”.

11 Art. 1, comma 39, 40, 4112 Legge 15.03.2010 n. 38 Disposizioni per garantire l’accesso alle cure pal-

liative e alla terapia del dolore.

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Ciò significa che la comunicazione tra medico e paziente non ha solamente il fine di verificare la sussistenza del consenso informato, che contenga autorizzazione o negazione alle cure, ma sposta il baricentro sul rapporto esistente tra medico e paziente, valore in sé e non esclusivamente finalizzato alla co-siddetta alleanza terapeutica.Infine l’art. 1 n. 10 attribuisce a ciascuna azienda sanitaria pub-blica o privata la corretta applicazione dei principi della legge.Sintesi e differenze.Mentre il d.d.l. n. 2350 focalizzava l’attenzione sul valore as-soluto della vita e solo in seconda battuta introduceva il dirit-to del dichiarante a manifestare il proprio assenso o diniego a trattamenti sanitari che ledessero in qualche modo la propria dignità o, a fronte di trattamenti straordinari non proporzio-nati rispetto alle condizioni del paziente (art. 1 lettera f d.d.l. n 2350); l’art. 1 del d.d.l. n. 3599 è articolato in maniera tale da porre l’attenzione solo ed esclusivamente sulla volontà del paziente di prestare un consenso libero, informato, nel pieno rispetto della sua autonomia decisionale e nel pieno ricono-scimento del diritto di essere informato ma anche di respin-gere qualunque cura, compresa (art. 1 n. 5) la nutrizione e l’idratazione artificiale forzate.Tali trattamenti vengono pertanto fatti rientrare nell’ambito dei trattamenti sanitari indicati dal medico per la sua pato-logia e non, com’era prevista nel d.d.l. n. 2350 (art. 3 n. 5) come forme in cui la scienza e la tecnica forniscono al paziente forme di sostegno vitale fisiologicamente fina-lizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Tali forme di assistenza, venivano escluse dalle dichiarazioni anticipate di trattamento.Con la nuova formulazione del d.d.l. n. 3599 si dà pieno ingres-so al diritto di rifiutare la nutrizione e l’idratazione artificiale.Il lungo e doloroso percorso iniziato con il caso Englaro nel 2005 sembra essersi finalmente concluso.

Articolo 2Minori ed incapaciMentre nel d.d.l. n. 2350 le problematiche connesse ai dirit-ti dei minori ed alla loro rappresentanza è inserito nell’art. 2 (consenso informato), la proposta di legge in commento ha dedicato l’intero art. 2 all’applicazione del consenso informato.Peraltro tale esigenza è stata segnalata dalla seconda Commis-sione Permanente Giustizia nella relazione introduttiva, che nel disciplinare l’art. 2 in relazione alle modalità di manifestazione del consenso informato da parte dei minori e/o incapaci d’agire presuppone l’applicazione delle disposizioni del codice civile in tema di responsabilità genitoriale, interdizione, inabilitazio-ne, amministrazione di sostegno ed incapacità naturale.La Commissione esprimeva inoltre perplessità sul comma 1 dell’art. 2 atteso che non vi era alcuna particolare cautela nell’effettuare l’ascolto del minore e nel tenere presente i suoi desideri.A tale proposito si richiama l’art. 6 della Convenzione Ovie-do13 che prevede l’ascolto da parte del Giudice, del figlio mi-nore nel caso in cui abbia compiuto 12 anni ed anche di età inferiore, ove sia capace di discernimento.

13 Convenzione di Oviedo 04.04.1997 Per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina); ratificata dall’Ita-lia con Legge 28.03.2001 n. 145.

Si ricorda che l’Italia ha dato attuazione alla Convenzione di Oviedo con colpevole ritardo, ratificandola solamente nel 2001.Il testo approvato dalla Camera ha seguito tali indicazioni:

– il consenso informato al trattamento sanitario del mino-re è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale, dal tutore, ma tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psico-fisica e della vita del minore;

– il consenso dell’interdetto ai sensi dell’art. 414 c.c. è ma-nifestato dal tutore;

– il consenso della persona inabilitata, dal curatore;– nel caso di A.D.S. e di beneficiario provvede l’ammini-

stratore di sostegno, ma tenendo conto della volontà del beneficiario che, come è noto, non perde in alcun modo e automaticamente la capacità di agire;

– può accadere che il rappresentante legale del minore (dell’interdetto, dell’inabilitato o il beneficiario) non abbia manifestato disposizioni anticipate di trattamen-to; in questo caso se si verifica un contrasto tra il me-dico ed il rappresentante deciderà il Giudice Tutelare, esattamente com’era previsto nel d.d.l. n. 2350 all’art. 8 n. 1, 2 e 3).

Sintesi e differenze: è valorizzata al massimo la volontà del minore e dell’incapace ed è inserito, rispetto alla precedente proposta di legge, il richiamo alla volontà del minore, alla sua età e al suo grado di maturità.Lo stesso vale per interdetto, inabilitato e beneficiario dell’A.D.S.

Articolo 3Disposizioni anticipate di trattamentoSi tratta indubbiamente di una delle norme che hanno inte-ressato maggiormente l’assemblea legislativa, ma che costitu-iscono anche il maggior elemento di scontro, sia per quanto attiene al riconoscimento delle modalità di manifestazione ma anche per motivi di ordine squisitamente tecnico, essendo evidente che è indispensabile la costituzione di cartelle clini-che, fascicoli sanitari, registri delle dichiarazioni anticipate di trattamento, raccolte senza le quali non è possibile garantire il pieno rispetto della volontà del dichiarante.Si pensi ad esempio ad una DAT inserita in un Albo Regionale (il Friuli Venezia Giulia è stata la prima Regione a istituire un registro regionale, ma come ben sappiamo tale legge è stata impugnata dal Governo della Repubblica davanti alla Corte Costituzionale) ed alla circostanza che quella stessa persona si ammali o stia per morire in altra Regione14.Senza un’anagrafe nazionale delle DAT sarà impossibile ga-rantire il rispetto del consenso o del rifiuto a scelte diagnosti-che o terapeutiche o a singoli trattamenti sanitari.

14 La Legge Regionale del Friuli Venezia Giulia 13.03.2015 n. 4 è sta-ta impugnata davanti alla Corte Costituzionale da parte del Governo in data 19.05.2015. Il Consiglio Regionale del F.V.G. ha apportato alcune modifiche ed ha varato la l.r. n. 16 del 10.07.2015 “Integrazioni e modificazioni alla l.r. 13.03.2015 n. 4” (istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario DAT e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti). Il 04.09.2015 la Corte Costituzionale ha bocciato anche questa seconda versione della Legge Regionale del F.V.G. in quanto la legge invade la competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, 2° comma, lettera l, della Costituzione.

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Che cosa sono le DAT: esprimono le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, il consenso o il rifiuto di scelte diagnostiche o terapeutiche e ai singoli trat-tamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idrata-zione artificiale.Chi può manifestare le dichiarazioni anticipate di tratta-mento.

– i maggiorenni capaci di intendere e di volere direttamente;– i maggiorenni attraverso una persona di fiducia da loro

nominata con le modalità che vedremo più oltre;– in caso di incapacità del dichiarante, di mancanza di fi-

duciario o di altro parente o convivente, le DAT manten-gono comunque valore per quanto attiene alle convin-zioni e alle preferenze del disponente;

– in caso di necessità il Giudice Tutelare può nominare un fiduciario, estendendo l’indagine ai familiari, ai figli, al componente di un’unione civile, agli ascendenti.

Come vengono redatte le DATLe DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata.Sono esenti dall’obbligo della registrazione, da imposte e da qualsiasi altro tributo.Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo con-sentano le DAT possono essere espresse (rinnovate, mo-dificate, revocate) anche mediante videoregistrazioni o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare.L’articolo 3 n. 7 prevede che le Regioni che adottano modalità telematiche di gestione delle cartelle cliniche o un fascicolo sanitario elettronico possono regolamentare, con atto autono-mo, la raccolta della copia delle DAT (compreso il nominativo del fiduciario e il loro inserimento nella banca dati).Il Ministero della Salute, le Regioni e le Aziende Sanitarie avranno 60 giorni di tempo dall’entrata in vigore della leg-ge per informare della possibilità di redigere le DAT (e si presume che nel frattempo venga costituito ed organizzato l’inserimento e la conservazione delle DAT nella banca dati nazionale).Sintesi e differenze: da questo punto di vista la precedente proposta n. 2350 dedicava lo stesso art. 3 alle dichiarazioni anticipate di trattamento, con differenze di non scarso rilievo.Le DAT, ora approvate dalla Camera dei Deputati, hanno lo scopo di esprimere le convinzioni e preferenze del dichiarante in materia di trattamenti sanitari.Non vi è alcun limite all’indicazione dei trattamenti o del ri-fiuto al trattamento riconosciuto in capo al dichiarante. Di-versa era l’impostazione dell’art. 3 del d.d.l. n. 2350 atteso che mentre nel d.d.l. n. 3599 le DAT esprimono le proprie convinzioni e preferenze; nel d.d.l. n. 2350 le DAT espri-mono l’orientamento in merito a trattamenti sanitari in vista di un’eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere (e in questo senso la previsione è simile tra i due progetti di legge).Dove si verifica una completa spaccatura tra le due proposte di legge è nell’ambito delle decisioni che il dichiarante può assumere pro futuro ed in caso di sua incapacità.Innanzitutto nel d.d.l. n. 2350 le DAT sono delimitate all’at-tivazione o non attivazione dei trattamenti sanitari, in confor-mità a quanto prescritto dalla legge ed al codice di deontolo-gia medica.

Nel d.d.l. n. 3599 scompare il riferimento al codice di de-ontologia e alla legge (anche se in questo caso riteniamo il richiamo inutile, atteso che nessuna nuova legge può infran-gere leggi vigenti).I limiti previsti in tema di DAT nel d.d.l. n. 2350 sono ampi;

1. l’oggetto può essere solo l’attivazione o non attivazione dei trattamenti sanitari;

2. il dichiarante può rinunciare ad alcune forme particolari di trattamento, ma questi debbono essere sproporzionati o sperimentali;

3. vi è un richiamo espresso agli artt. 575, 579 e 580 del codice penale (che non ritroviamo nel d.d.l. n. 3599);

4. l’alimentazione e l’idratazione forzata vengono esclu-se dalla DAT con un richiamo (improprio ed impre-ciso) alla convenzione delle nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità new York 13.12.2006);

5. manca inoltre completamente nel d.d.l. n. 3599 la valu-tazione dello stato clinico, condizione di efficacia delle dichiarazioni anticipate di trattamento, richiamata nella proposta n. 2350.

Nel progetto del 2011 la valutazione era attribuita ad un col-legio medico, mentre nessuna previsione è inserita nel proget-to di legge approvato dalla Camera il 20.04.2017.6. In condizioni di urgenza o di pericolo di vita le DAT non vengono applicate; nel caso invece della proposta di legge ap-provata si dà comunque rilevanza alle DAT che mantengono efficacia in merito alle convinzioni ed alle preferenze del disponente. Ed in caso di necessità (art. 3 n. 4) il Giudice Tutelare può nominare un fiduciario che sostituirà la vo-lontà del dichiarante.

Articolo 4Pianificazione condivisa delle cureL’articolo 4 modula il rapporto tra medico e paziente.L’ipotesi è che sussista una evoluzione inarrestabile con pro-gnosi infausta e che il medico venga a trovarsi in difficoltà qualora il paziente non sia più in grado di esprimere il pro-prio consenso.A tale proposito l’art. 4 prevede alcune ipotesi:

1. patologia cronica e invalidante caratterizzata da inarre-stabile evoluzione con prognosi infausta: il medico ed il paziente realizzano una pianificazione delle cure condi-vise ed il medico deve attenersi alla volontà del paziente, quando questi non possa esprimere il proprio consenso.

2. Si richiama implicitamente l’art. 1 n. 2 e 3 nella parte in cui si valorizza la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medi-co, con coinvolgimento di familiari o parti dell’unione civile e comunque con riguardo al rispetto, da un lato dell’autono-mia professionale e della responsabilità del medico; dall’altro dall’autonomia decisionale del paziente.

Il paziente pertanto o un suo fiduciario o familiare, può rice-vere le informazioni di cui al n. 1 dell’art. 4 che si riferiscono all’evolversi della patologia in atto, del tempo che realisti-camente ha davanti a sé, anche con riferimento alla qua-lità della vita; alla possibilità clinica di intervenire anche con cure palliative.Il paziente deve comunque esprimere il proprio consenso in forma scritta ovvero se impossibilitato, con videoregistra-zione o dispositivi che consentano alla persona con disa-bilità di comunicare.

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Sintesi e differenze: è evidente che l’alleanza terapeutica del d.d.l. n. 2350 e la relazione tra medico e paziente di cui all’art. 4 n. 1 del d.d.l. 3599 hanno poco a che vedere tra di loro.A tale proposito, il parere della seconda Commissione per-manente Giustizia ha evidenziato alcune criticità, anche della proposta di legge n. 3599.In particolare l’art. 1 comma 2 che prevede la valorizzazione della relazione di cura e fiducia tra paziente e medico viene definito l’atto fondante del consenso informato, nel quale si incontrano autonomia decisionale del paziente e competenza del medico.La Commissione Giustizia rileva tuttavia che tale affermazio-ne rischia di tradursi in una mera dichiarazione di principio, se non siano previste sanzioni.Riteniamo che al di là della espressa previsione normativa del d.d.l. in commento, permangano in vigore sia le norme attualmente vigenti, con particolare riferimento al codice pe-nale ed alle norme relative alla rappresentanza dei minori e degli incapaci e di cui all’art. 320 c.c., nonché agli artt. 404 e seguenti c.c.; sia i codici di deontologia cui fanno riferimento i sanitari.Ricordiamo inoltre che esistono in Italia presso ogni struttura ospedaliera i Comitati di Bioetica per la pratica clinica, i qua-li predispongono protocolli che danno precise indicazioni di comportamento ai medici.Infine va ricordato che la proposta di legge 2350 nell’art. 1 lettera c oltre a vietare espressamente, ai sensi degli artt. 575, 579 e 580 c.p. ogni forma di eutanasia, vieta anche ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio, considerando l’attività medica nonché di assistenza alle persone esclu-sivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute, nonché all’alleviamento della sofferenza.nel d.d.l. n. 3599 non si fa alcun riferimento né all’eu-tanasia né al suicidio assistito, anche se è prevista la possibilità ai sensi dell’art. 1 n. 7 che il paziente non possa esigere trattamenti sanitari contrari alla legge, alle deontologia professionale ed alle buone pratiche clinico-assistenziali.In sostanza il medico può rifiutarsi di effettuare trattamenti sanitari contrari anche ai suoi principi, ma deve comunque rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare un trattamento sanitario senza subire conseguenze in sede civili o penali.

Articolo 5-6norme transitorie e clausola di invarianza finanziariaGiova ricordare che ai documenti atti ad esprimere la volontà del disponente in merito ai trattamenti sanitari, già deposi-tato presso il Comune di residenza o davanti a un notaio, si applicano le medesime disposizioni di legge; come pure che le amministrazioni pubbliche demandate all’attuazione delle disposizioni della legge in commento, non hanno a disposi-zione nuovi o maggiori disponibilità economiche.Stessa clausola era prevista in termini di maggiori carichi ed oneri a carico della Finanza pubblica nell’art. 9 n. 4 del d.d.l. n. 2350.

5. conclusioni

Il confronto tra la proposta di legge approvata il 12.07.2011 dal Senato, proposta di legge che non trovò alcuna conclusio-ne, rispetto alla proposta di legge approvata dalla Camera dei Deputati il 20.04.2017 ed ora all’esame del Senato, depone a favore di una decisa valorizzazione del diritto dell’individuo che corrisponde all’interesse della collettività; nel senso che (come ha precisato la Corte Costituzionale nella sentenza n. 438 del 2008) “nessuno può essere obbligato ad un determi-nato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Se ogni persona ha il diritto di decidere del proprio futuro (prevalente su qualunque altra considerazione), il consenso informato rappresenta la possibilità di dare concreta esecu-zione al diritto all’autodeterminazione ed alla salute (così come previsto dall’art. 32 della Costituzione).

Ne consegue che le dichiarazioni anticipate di trattamento rappresentano il riconoscimento pubblico di tale manifesta-zione di volontà, così come ha precisato la Corte Costituzio-nale nella sentenza n. 262 del 2016.

Eliminando dal testo approvato, il riferimento all’inviolabilità della vita umana, intesa in termini assoluti, si è data prevalenza alla tutela della vita e della salute dell’individuo, liberandolo, quando lo ritiene giusto e nel rispetto dei suoi valori, da cure invasive inaccettabili che sconfinavano nell’accanimento tera-peutico, sino a prolungare una vita che ledeva la sua dignità.

Rimane da valutare il rischio di aver omesso nel d.d.l. n. 3599 qualunque riferimento esplicito all’eutanasia e al suici-dio assistito, omissione frutto di un comprensibile compro-messo, ma che lascia aperto il dilemma sul fine vita.

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DOSSier La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017

Art. 1Finalità1. La presente legge, in attuazione dei principi stabiliti dagli articoli 2, 3, 30, 32 e 38 della Costituzione, dagli articoli 24 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dagli articoli 3 e 19, con particolare riferimento al comma 1, lettera a), della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, è volta a favorire il benessere, la piena inclusione socia-le e l’autonomia delle persone con disabilità.2. La presente legge disciplina misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabili-tà grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale, non-ché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già du-rante l’esistenza in vita dei genitori. Tali misure, volte anche ad evitare l’istituzionalizzazione, sono integrate, con il coin-volgimento dei soggetti interessati, nel progetto individuale di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328, nel rispetto della volontà delle persone con disabilità grave, ove possibile, dei loro genitori o di chi ne tutela gli interessi. Lo stato di disabilità grave, di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è accertato con le modalità in-dicate all’articolo 4 della medesima legge. Restano comunque salvi i livelli essenziali di assistenza e gli altri interventi di cura e di sostegno previsti dalla legislazione vigente in favore delle persone con disabilità.3. La presente legge è volta, altresì, ad agevolare le erogazioni da parte di soggetti privati, la stipula di polizze di assicura-zione e la costituzione di trust, di vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile e di fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disci-plinati con contratto di affidamento fiduciario anche a favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all’ar-ticolo 10, comma 1, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, riconosciute come persone giuridiche, che operano prevalentemente nel settore della beneficenza di cui al comma 1, lettera a), numero 3), dell’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, anche ai sensi del comma 2-bis dello stesso articolo, in favore di persone con disabilità grave, secondo le modalità e alle condizioni previste dagli articoli 5 e 6 della presente legge.

Art. 2Definizione delle prestazioni assistenziali da garantire in tutto il territorio nazionale1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano assicurano, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, l’assistenza sanitaria e sociale ai soggetti di cui all’ar-ticolo 1, comma 2, anche mediante l’integrazione tra le rela-tive prestazioni e la collaborazione con i comuni. Nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia e dei vincoli di finanza pubblica, le regioni e le province autonome di Trento e di Bol-zano garantiscono, nell’ambito territoriale di competenza, i macrolivelli di assistenza ospedaliera, di assistenza territoriale e di prevenzione. Nell’ambito del procedimento di determi-nazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e degli obiettivi di servizio di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, sono definiti i livelli essenziali delle prestazioni nel campo sociale da garantire ai soggetti di cui all’articolo 1, comma 2, della presente legge in tutto il terri-torio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.2. Nelle more del completamento del procedimento di defi-nizione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Con-ferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, definisce con proprio decreto, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli obiettivi di servizio per le prestazioni da erogare ai soggetti di cui all’articolo 1, comma 2, nei limiti delle risorse disponibili a valere sul Fondo di cui all’articolo 3.

Art. 3Istituzione del Fondo per l’assistenza alle persone con di-sabilità grave prive del sostegno familiare1. Per le finalità di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, e per l’at-tuazione dell’articolo 2, comma 2, è istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, di seguito denominato “Fondo”. La dotazione del Fondo è determinata in 90 milioni di euro per l’anno 2016, in 38,3 milioni di euro per l’anno 2017 e in 56,1 milioni di euro annui a decorrere dal 2018.2. L’accesso alle misure di assistenza, cura e protezione a cari-co del Fondo è subordinato alla sussistenza di requisiti da in-dividuare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche

Legge 22 giugno 2016, n. 112

“Disposizioni in materia di assistenza in favore delle personecon disabilità grave prive del sostegno familiare”

(Pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 24 giugno 2016, n. 146)

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulgala seguente legge:

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

sociali, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigo-re della presente legge, di concerto con il Ministro dell’econo-mia e delle finanze e con il Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Con le medesime modalità il Ministro del lavoro e delle politiche sociali provvede an-nualmente alla ripartizione delle risorse del Fondo1.3. Le regioni adottano indirizzi di programmazione e defini-scono i criteri e le modalità per l’erogazione dei finanziamen-ti, le modalità per la pubblicità dei finanziamenti erogati e per la verifica dell’attuazione delle attività svolte e le ipotesi di revoca dei finanziamenti concessi.

Art. 4Finalità del Fondo1. Il Fondo è destinato all’attuazione degli obiettivi di servizio di cui all’articolo 2, comma 2, e, in particolare, alle seguenti finalità:a) attivare e potenziare programmi di intervento volti a favori-re percorsi di deistituzionalizzazione e di supporto alla domi-ciliarità in abitazioni o gruppi-appartamento che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare e che tengano conto anche delle migliori opportunità offerte dalle nuove tecnologie, al fine di impedire l’isolamento delle perso-ne con disabilità grave di cui all’articolo 1, comma 2;b) realizzare, ove necessario e, comunque, in via residuale, nel superiore interesse delle persone con disabilità grave di cui all’articolo 1, comma 2, interventi per la permanenza temporanea in una soluzione abitativa extrafamiliare per far fronte ad eventuali situazioni di emergenza, nel rispetto della volontà delle persone con disabilità grave, ove possibile, dei loro genitori o di chi ne tutela gli interessi;c) realizzare interventi innovativi di residenzialità per le per-sone con disabilità grave di cui all’articolo 1, comma 2, volti alla creazione di soluzioni alloggiative di tipo familiare e di co-housing, che possono comprendere il pagamento degli oneri di acquisto, di locazione, di ristrutturazione e di messa in opera degli impianti e delle attrezzature necessari per il funzionamento degli alloggi medesimi, anche sostenendo for-me di mutuo aiuto tra persone con disabilità;d) sviluppare, ai fini di cui alle lettere a) e c), programmi di accrescimento della consapevolezza, di abilitazione e di svi-luppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana e per il raggiungimento del maggior livello di autonomia pos-sibile delle persone con disabilità grave di cui all’articolo 1, comma 2.2. Al finanziamento dei programmi e all’attuazione degli in-terventi di cui al comma 1, nel rispetto del principio di sus-sidiarietà e delle rispettive competenze, possono comparteci-pare le regioni, gli enti locali, gli enti del terzo settore, nonché altri soggetti di diritto privato con comprovata esperienza nel settore dell’assistenza alle persone con disabilità e le famiglie che si associano per le finalità di cui all’articolo 1. Le attività di programmazione degli interventi di cui al comma 1 preve-dono il coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentan-za delle persone con disabilità.

1 Si veda il Decreto Ministeriale - Ministero del lavoro e delle politiche sociali - 23 novembre 2016.

Art. 5Detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurati-ve finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave1. All’articolo 15, comma 1, lettera f), del testo unico delle im-poste sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repub-blica 22 dicembre 1986, n. 917, dopo le parole: “o di invalidità permanente.” è inserito il seguente periodo: “A decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016, l’importo di euro 530 è elevato a euro 750 relativamente ai premi per assi-curazioni aventi per oggetto il rischio di morte finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave come definita dall’arti-colo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalità di cui all’articolo 4 della medesima legge”.2. Alla copertura delle minori entrate derivanti dal comma 1, valutate in 35,7 milioni di euro per l’anno 2017 e in 20,4 milioni di euro annui a decorrere dal 2018, si provvede ai sensi dell’articolo 9.

Art. 6Istituzione di trust, vincoli di destinazione e fondi spe-ciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione1. I beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile ovvero destinati a fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1, isti-tuiti in favore delle persone con disabilità grave come definita dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalità di cui all’articolo 4 della medesima legge, sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’articolo 2, commi da 47 a 49, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni.2. Le esenzioni e le agevolazioni di cui al presente articolo sono ammesse a condizione che il trust ovvero i fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero il vincolo di destina-zione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile perseguano come finalità esclusiva l’inclusione sociale, la cura e l’assi-stenza delle persone con disabilità grave, in favore delle quali sono istituiti. La suddetta finalità deve essere espressamente indicata nell’atto istitutivo del trust, nel regolamento dei fondi speciali o nell’atto istitutivo del vincolo di destinazione.3. Le esenzioni e le agevolazioni di cui al presente articolo sono ammesse se sussistono, congiuntamente, anche le se-guenti condizioni:a) l’istituzione del trust ovvero il contratto di affidamento fidu-ciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell’arti-colo 1 ovvero la costituzione del vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile siano fatti per atto pubblico;b) l’atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamen-to fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero l’atto di costituzione del vincolo di desti-nazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile identifichi-no in maniera chiara e univoca i soggetti coinvolti e i rispettivi ruoli; descrivano la funzionalità e i bisogni specifici delle per-sone con disabilità grave, in favore delle quali sono istituiti; indichino le attività assistenziali necessarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni delle persone con disabilità grave, comprese le attività finalizzate a ridurre il rischio della istitu-zionalizzazione delle medesime persone con disabilità grave;c) l’atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3

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DOSSier La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017

dell’articolo 1 ovvero l’atto di costituzione del vincolo di de-stinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile indivi-duino, rispettivamente, gli obblighi del trustee, del fiduciario e del gestore, con riguardo al progetto di vita e agli obietti-vi di benessere che lo stesso deve promuovere in favore delle persone con disabilità grave, adottando ogni misura idonea a salvaguardarne i diritti; l’atto istitutivo ovvero il contratto di af-fidamento fiduciario ovvero l’atto di costituzione del vincolo di destinazione indichino inoltre gli obblighi e le modalità di ren-dicontazione a carico del trustee o del fiduciario o del gestore;d) gli esclusivi beneficiari del trust ovvero del contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero del vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile siano le persone con disabilità grave;e) i beni, di qualsiasi natura, conferiti nel trust o nei fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero i beni im-mobili o i beni mobili iscritti in pubblici registri gravati dal vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile siano destinati esclusivamente alla realizzazione delle finalità assistenziali del trust ovvero dei fondi speciali o del vincolo di destinazione;f) l’atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero l’atto di costituzione del vincolo di de-stinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile indivi-duino il soggetto preposto al controllo delle obbligazioni im-poste all’atto dell’istituzione del trust o della stipula dei fondi speciali ovvero della costituzione del vincolo di destinazione a carico del trustee o del fiduciario o del gestore. Tale soggetto deve essere individuabile per tutta la durata del trust o dei fondi speciali o del vincolo di destinazione;g) l’atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero l’atto di costituzione del vincolo di de-stinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile stabili-scano il termine finale della durata del trust ovvero dei fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero del vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile nella data della morte della persona con disabilità grave;h) l’atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamen-to fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero l’atto di costituzione del vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile sta-biliscano la destinazione del patrimonio residuo.4. In caso di premorienza del beneficiario rispetto ai soggetti che hanno istituito il trust ovvero stipulato i fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero costituito il vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile, i trasferimenti di beni e di diritti reali a favore dei suddetti soggetti godono delle medesime esenzioni dall’imposta sulle successioni e donazioni di cui al presente articolo e le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa.5. Al di fuori dell’ipotesi di cui al comma 4, in caso di morte del beneficiario del trust ovvero del contratto che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero del vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile istituito a favore di soggetti con disabilità grave, come definita dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalità di cui all’articolo 4 della me-

desima legge, il trasferimento del patrimonio residuo, ai sensi della lettera h) del comma 3 del presente articolo, è soggetto all’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’articolo 2, commi da 47 a 49, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni, in considerazione del rapporto di parentela o coniugio intercorrente tra dispo-nente, fiduciante e destinatari del patrimonio residuo.6. Ai trasferimenti di beni e di diritti in favore dei trust ovvero dei fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero dei vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codi-ce civile, istituiti in favore delle persone con disabilità grave come definita dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalità di cui all’articolo 4 della medesima legge, le imposte di registro, ipotecaria e cata-stale si applicano in misura fissa.7. Gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonché le copie dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni e le attestazioni posti in essere o richiesti dal trustee ovvero dal fiduciario del fondo speciale ovvero dal gestore del vincolo di destinazione sono esenti dall’imposta di bollo prevista dal de-creto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642.8. In caso di conferimento di immobili e di diritti reali sugli stessi nei trust ovvero di loro destinazione ai fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1, i comuni possono stabilire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, aliquote ridotte, franchigie o esenzioni ai fini dell’imposta municipale propria per i soggetti passivi di cui all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.9. Alle erogazioni liberali, alle donazioni e agli altri atti a titolo gratuito effettuati dai privati nei confronti di trust ovvero dei fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 si applicano le agevolazioni di cui all’articolo 14, comma 1, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, e i limiti ivi indicati sono ele-vati, rispettivamente, al 20 per cento del reddito complessivo dichiarato e a 100.000 euro.10. Le agevolazioni di cui ai commi 1, 4, 6 e 7 si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2017; le agevolazioni di cui al com-ma 9 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta 2016.11. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politi-che sociali, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità di attuazione del presente articolo.12. Alle minori entrate derivanti dai commi 1, 4, 6 e 7, valu-tate in 10 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017, e dal comma 9, valutate in 6,258 milioni di euro per l’anno 2017 e in 3,650 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2018, si provvede ai sensi dell’articolo 9.

Art. 7Campagne informative1. La Presidenza del Consiglio dei ministri avvia, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a le-gislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, campagne informative al fine di diffondere la conoscenza delle disposizioni della presente legge e delle altre forme di sostegno pubblico previste per le persone con disabilità grave, in modo da consentire un più

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

diretto ed agevole ricorso agli strumenti di tutela previsti per l’assistenza delle persone con disabilità prive del sostegno fa-miliare, nonché di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla fina-lità di favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità.

Art. 8Relazione alle Camere1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali trasmette alle Camere, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni della presente legge e sull’utilizzo delle risorse di cui all’articolo 9. La relazione illu-stra altresì l’effettivo andamento delle minori entrate derivanti dalle medesime disposizioni, anche al fine di evidenziare gli eventuali scostamenti rispetto alle previsioni.

Art. 9Disposizioni finanziarie1. Agli oneri derivanti dall’articolo 3, comma 1, pari a 90 mi-lioni di euro per l’anno 2016, a 38,3 milioni di euro per l’anno 2017 e a 56,1 milioni di euro annui a decorrere dal 2018, e alle minori entrate derivanti dagli articoli 5 e 6, valutate complessi-vamente in 51,958 milioni di euro per l’anno 2017 e in 34,050 milioni di euro annui a decorrere dal 2018, si provvede:a) quanto a 90 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016, mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all’ar-ticolo 1, comma 400, della legge 28 dicembre 2015, n. 208;b) quanto a 258.000 euro per l’anno 2017 e a 150.000 euro annui a decorrere dall’anno 2018, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo spe-ciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e

speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di pre-visione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.2. Il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento delle finanze effettua il monitoraggio delle minori entrate re-cate dagli articoli 5 e 6. Le eventuali risorse corrispondenti all’eventuale minore esigenza di copertura delle minori en-trate di cui al primo periodo, valutata in via strutturale sulla base delle risultanze del monitoraggio delle predette minori entrate e quantificata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, confluiscono, a decorrere dall’anno di quanti-ficazione, nel Fondo di cui all’articolo 3.3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad ap-portare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 10Entrata in vigore1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addì 22 giugno 2016

MATTARELLARenzi, Presidente del Consiglio dei ministriVisto, il Guardasigilli: Orlando

Legge 22 dicembre 2017, n. 219

“Norme in materia di consenso informatoe di disposizioni anticipate di trattamento”

(GU n. 12 del 16 gennaio2018)

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICAPromulga la seguente legge:

Art. 1Consenso informato1. La presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.2. È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico. Contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria

che compongono l’equipe sanitaria. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo.3. Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condi-zioni di salute e di essere informata in modo completo, ag-giornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla pro-gnosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del tratta-mento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinun-cia ai medesimi. Può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle infor-

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mazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato sono regi-strati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.4. Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumen-ti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comu-nicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.5. Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto som-ministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvi-venza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente me-desimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. Ferma restando la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà, l’accettazione, la revoca e il rifiuto sono an-notati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.6. Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal pa-ziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanita-ri contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richie-ste, il medico non ha obblighi professionali.7. Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessa-rie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizio-ni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.8. Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costi-tuisce tempo di cura.9. Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l’informazio-ne necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale.10. La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative.11. È fatta salva l’applicazione delle norme speciali che disci-plinano l’acquisizione del consenso informato per determina-ti atti o trattamenti sanitari.

Art. 2Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita1. Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sani-tario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’ap-propriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medi-co di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.

2. Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni osti-nazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ri-correre alla sedazione palliativa profonda continua in associa-zione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente.3. Il ricorso alla sedazione palliativa profonda continua o il rifiuto della stessa sono motivati e sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

Art. 3Minori e incapaci1. La persona minore di età o incapace ha diritto alla valoriz-zazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condi-zioni di esprimere la sua volontà.2. Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genito-riale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità.3. Il consenso informato della persona interdetta ai sensi dell’articolo 414 del codice civile è espresso o rifiutato dal tutore, sentito l’interdetto ove possibile, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita della persona nel pieno rispetto della sua dignità.4. Il consenso informato della persona inabilitata è espresso dalla medesima persona inabilitata. Nel caso in cui sia sta-to nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiu-tato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere.5. Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdet-ta o inabilitata oppure l’amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all’ar-ticolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano ap-propriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria.

Art. 4Disposizioni anticipate di trattamento1. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di vo-lere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di auto-determinarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accerta-menti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata “fiduciario”, che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.2. Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere. L’accettazione della nomina da parte

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del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che è allegato alle DAT. Al fiduciario è rilasciata una copia delle DAT. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto, che è comunicato al disponente. 3. L’incarico del fiduciario può essere revocato dal disponente in qualsiasi momento, con le stesse modalità previste per la nomina e senza obbligo di motivazione.4. Nel caso in cui le DAT non contengano l’indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia di-venuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno, ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del codice civile.5. Fermo restando quanto previsto dal comma 6 dell’articolo 1, il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in ac-cordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente in-congrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Nel caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, si procede ai sensi del comma 5, dell’articolo 3. 6. Le DAT devono essere redatte per atto pub-blico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’uf-ficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora ri-corrano i presupposti di cui al comma 7. Sono esenti dall’ob-bligo di registrazione, dall’imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono es-sere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Con le medesime forme esse sono rinnovabili, modificabili e revoca-bili in ogni momento. Nei casi in cui ragioni di emergenza e urgenza impedissero di procedere alla revoca delle DAT con le forme previste dai periodi precedenti, queste possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l’assistenza di due testimoni.7. Le regioni che adottano modalità telematiche di gestio-ne della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale possono, con proprio atto, regolamentare la raccolta di copia delle DAT, compresa l’indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al firmatario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili.8. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero della salute, le regioni e le aziende sanitarie provvedono a informare della possibilità di redigere le DAT in base alla presente legge, anche attraverso i rispettivi siti internet.

Art. 5Pianificazione condivisa delle cure1. Nella relazione tra paziente e medico di cui all’articolo 1, comma 2, rispetto all’evolversi delle conseguenze di una pa-tologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico,

alla quale il medico e l’equipe sanitaria sono tenuti ad atte-nersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità.2. Il paziente e, con il suo consenso, i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia sono adeguatamente informati, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, in particolare sul possibile evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di inter-venire e sulle cure palliative.3. Il paziente esprime il proprio consenso rispetto a quanto proposto dal medico ai sensi del comma 2 e i propri inten-dimenti per il futuro, compresa l’eventuale indicazione di un fiduciario. 4. Il consenso del paziente e l’eventuale indica-zione di un fiduciario, di cui al comma 3, sono espressi in forma scritta ovvero, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso video-registrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di co-municare, e sono inseriti nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. La pianificazione delle cure può essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia, su richiesta del paziente o su suggerimento del medico.5. Per quanto riguarda gli aspetti non espressamente discipli-nati dal presente articolo si applicano le disposizioni dell’ar-ticolo 4.

Art. 6norma transitoria1. Ai documenti atti ad esprimere le volontà del disponente in merito ai trattamenti sanitari, depositati presso il comune di residenza o presso un notaio prima della data di entrata in vigore della presente legge, si applicano le disposizioni della medesima legge.

Art. 7Clausola di invarianza finanziaria1. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono all’attuazione delle disposizioni della presente legge nell’am-bito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Art. 8Relazione alle Camere1. Il Ministro della salute trasmette alle Camere, entro il 30 aprile di ogni anno, a decorrere dall’anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, una relazione sull’applicazione della legge stessa. Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di febbraio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministero della salute. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti nor-mativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addì 22 dicembre 2017MATTARELLAGentiloni Silveri, Presidente del Consiglio dei ministriVisto, il Guardasigilli: Orlando

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Il Sentato ha ultimato, in data 14 dicembre 2017, in Com-missione l’esame della proposta di legge sul testamento bio-logico, approvando – senza modifiche rispetto al testo uscito dalla Camera il precedente 21 marzo – gli otto articoli che compongono il provvedimento1. Benché tutte le professioni di fede abbiamo accolto il pensiero di un aldilà concependo, ciascuno a suo modo, un percorso di esistenza oltre la morte, prendere le distanze dal pensiero del dolore è la modalità più frequente per sentirsi non attinti dal senso di finitezza. Con un pensiero quasi inedito, Papa Francesco ha affermato come il malato non vada mai abbandonato, ma le cure non devo-no sfociare nell’accanimento terapeutico. La posizione della Chiesa ha trovato dei contorni molto definiti nella pastorale del Papa del 16 novembre 2017, che ha sollecitato chi am-ministra le cure a un “supplemento di saggezza”, sostenen-do che è “moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrispon-de a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito ‘proporzionalità delle cure’”. La particolarità di tale importante intervento pontificio è che evidenzia come, “il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali”, consenta di giungere a “una decisione che si qualifica moralmente come rinuncia all’‘accanimento tera-peutico’”. In quanto appare “insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”2.

Pertanto, “il malato terminale non ha bisogno di aggrapparsi a questa vita come se fosse l’ultima. Anzi, egli può rimettersi a questa realtà ultima con grande libertà, abbandono e conso-lazione; egli sa che la lotta contro la malattia ha senso finché la guarigione appare ancora possibile, ma sa anche che voler combattere ad ogni costo contro la morte è privo di senso, e da rimedio si trasforma in tormento. Anche il medico crede a una realtà ultima, sempre a confronto con la propria limitezza, non vede nella morte il suo nemico mortale né considera la vittoria su di essa un motivo di prestigio personale”3.

Gli eccessivi interventi di medicalizzazione, che col tempo si sono dotati di strumentazione tecnologica sempre più perfe-zionata, non rispondono al bisogno di una cura umanizzata; al malato terminale dovrebbe potersi consentire un dialogo col medico, per affrontare con lui la realtà della malattia senza essere assalito dal terrore e dal senso di abbandono. Per que-sto anche la struttura ospedaliera o l’organizzazione di cure

1 Per la lettura del testo ed una approfondita analisi si rimanda a quanto pubblicato in questa rivista. emAnuelA comAnD, Norme in materia di consenso in-formato e di disposizione anticipate di trattamento Lettura critica del disegno di legge n. 3599 approvato dalla Camera dei Deputati il 20 aprile 2017, p.45).

2 http://www.ilsole24ore.com3 Della dignità del morire. Una difesa della libera scelta. hAns Küngcon WAlter

Jens, Milano, 1996.

domiciliari sono importanti e la possibilità della presenza co-stante delle persone care al paziente lo è altrettanto, per una cultura non corporea ma spirituale del trapasso. Le nozioni di cura e di sollievo della sofferenza hanno attraversato strade impervie prima di poter approdare ad una legislazione ed una giurisprudenza che autorizzasse una dispensa all’accanimen-to terapeutico, non solo sotto il profilo etico e deontologico, ma anche sotto l’aspetto della esclusione della responsabilità giuridica del medico. Così “La scelta d’interrompere o di non iniziare trattamenti di sostegno vitale costituisce decisione distinta rispetto a quella riguardante l’attivazione della sedazione palliati-va profonda e continua, benché frequentemente a questa associata. Infine, il sintomo refrattario può ben essere un existential distress e la patologia senz’altro irreversibile, ma la morte non imminen-te: in questo modo, l’individuale desiderio di morire della persona gravissimamente handicappata, che tale condizione non voglia e non possa più sostenere, potrebbe giustappunto rinvenire, in tale sedazione, un mero succedaneo dell’atto eutanasico”.

Appare rilevante, tuttavia, l’indagine sulle differenti modalità di approccio alle cure del paziente in fase terminale. Il quesi-to, sia etico sia giuridico, è quello di riuscire a distinguere le iniziative positive da quelle che potrebbero avere anche con-seguenze oltre che lesive per il malato anche in contrasto col diritto interno e con il nostro ordine pubblico. Si è sostenuto, per esempio, che non vi sarebbe “ricaduta eutanasica” qualora si opti per l’astensione dall’accanimento terapeutico attraverso l’omissione delle cure o terapie utili al paziente, anticipando la morte naturale di una persona, purché le terapie palliative e del dolore siano fatte bene4. Risulta, pertanto, evidente quanto questa ipotesi sia rispettosa della previsione deontologica me-dica per cui, in base all’art. 23, “Il medico non può abbandonare il malato ritenuto inguaribile, ma deve continuare ad assisterlo an-che al solo fine di lenirne la sofferenza fisica e psichica”. Diversa è l’ipotesi del c.d. suicidio assistito che consiste nell’azione di un medico che aiuta una persona ad affrontare il suicidio, sulla base di una richiesta volontaria, procurandole i farmaci che la persona stessa si autosomministrerà. La conciliabilità tra que-sti profili di intervento medico ed il diritto va letta alla luce dei seguenti articoli: art. 5 cod. civ. che vieta gli atti di dispo-sizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume (art. 1418 cod. civ.), artt. 575 e 40 co. 2 c.p. i quali annunciano che l’eutanasia attiva o passiva non consensuale integrano gli estremi del reato di omicidio volontario mediante omissione o condotta attiva (ex art. 575 c.p. con attenuante per aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale, art. 62 n.1), omicidio del consenziente (art. 579 con eventuali attenuanti).

4 Op. cit.

LA curA DeLLA PerSONA AL cONFiNe trA LA vitA e LA mOrte: LA Legge SuL biOteStAmeNtO, Le cure PALLiAtive MIChELA LABRIOLAAvvocato in Bari e membro dell’Esecutivo di ONDiF

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Quindi il consenso o l’accordo con il malato non assolvono il medico (art. 50 c.p.). La normativa italiana prevede, inoltre, con la Costituzione, all’art. 2 che “La Repubblica riconosce e ga-rantisce i diritti inviolabili dell’uomo singolo e in società”, all’art. 3 che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, all’art. 13 che “la libertà individuale è inviolabile” e all’art. 32 che “nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per diposizione di legge (TSO). La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Inoltre, il Codice Deontologico medico del 2006 all’art. 16 impone ai medici di “astenersi dalla ostinazione in trattamenti”, ed agli artt. 35, 39 di “risparmiare sofferenze inutili”.

Oltre alla nostra carta costituzionale, l’art. 1 della DU dei diritti dell’uomo recita che “tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti” e l’art. 3 “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. Sul piano statistico il terreno in cui la protezione della persona viene ad essere rafforzata dal richiamo della dignità umana è quello della salute5.

Per intendere in cosa si sostanzi l’attenzione e la cura delle persone malate, oltre che attingere alle parole contenute nella previsione legislativa (Legge 15 marzo 2010, n. 38) sulle Di-sposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, si è avuta già, come normativa di riferimento, la Convenzione di Oviedo del 1997 che, all’art.9, stabilisce che “saranno presi in considerazione i desideri (wishes) precedentemen-te espressi”. In ultimo, sempre il Codice di Deontologia Medica del 2006 con l’art. 38 invita il medico a “tenere conto delle scelte manifestate in precedenza” e (art. 53) del “rifiuto consapevole di nutrirsi” allargando, così, le maglie della capacità di autode-terminazione del paziente alla scelta finale. Ulteriore, ma non meno importante, coordinata essenziale che sancisce il confine della correttezza comportamentale del medico tra il lecito e l’illecito delle scelte terapeutiche è la previsione normativa re-lativa al consenso informato, l’Italia con la legge del 28 marzo 2001, n. 145, ha ratificato la Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata a Oviedo il 4 aprile 1997, che dedica alla definizione del consenso il Capitolo II (articoli da 5 a 9) in cui stabilisce come regola generale che “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente riti-rare il proprio consenso” (art. 5). La detta convenzione stabilisce, inoltre, la necessità del consenso di un “rappresentante” del paziente nel caso in cui questo sia un minore o sia impedito ad esprimersi. Infine, stabilisce che “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”6.

5 La dignità dell’uomo quale principio costituzionale, quaderno predisposto in occasione dell’incontro trilaterale delle Corti Costituzionali italiana, spagnola e portoghese, Roma, 2007 a cura di m. Bellocci e P. PAssAgliA

6 Si ricordi, altresì, La Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, pub-blicata nella Gazzetta Ufficiale con Legge 24 marzo 2001, n. 89, anch’essa sotto l’egida del Consiglio d’Europa oltre che, naturalmente, della Convenzione di New York del 13 dicembre 2006 a cui fa espresso richiamo.

Sulla sostanziale rilevanza ed imprescindibilità del rapporto tra il paziente ed il medico la S.C. è di recente intervenuta nello stabilire che “L’obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario, senza il quale l’intervento del medico è – al di fuori dei casi di trattamen-to sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità – sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente. Ai sensi dell’articolo 32, comma 2, della Costituzione (in base al quale nessuno può essere obbligato a un determinato trat-tamento sanitario se non per disposizione di legge), dell’articolo 13 della Costituzione (che garantisce la inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica) e dell’articolo 33 della legge n. 833 del 1978 (che esclude la possibilità di accer-tamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex articolo 54 del Cp), pertanto, un tale obbligo è a carico del sanitario il quale, una volta richiesto dal paziente della esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia, secondo la lex artis di accogliere la richiesta di darvi corso. Un tale obbligo attiene alla informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto e in particolare al possibile verificarsi – in conseguenza della esecuzio-ne del trattamento stesso – di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, onde porre questo ultimo in condizione di con-sapevolmente consentire al trattamento sanitario prospettatogli. Il medico ha - quindi - il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili”7.

Così come in precedenza la S.C. era intervenuta sulla in-formazione delle cure palliative8 modificando i precedenti orientamenti. Nel caso si specie “Il paziente entra in ospedale per un intervento al ginocchio, niente di particolarmente serio. Pri-ma dell’intervento il chirurgo ortopedico lo sottopone ad una serie di esami di routine. Uno di questi esami è una radiografia toraci-ca, dalla quale si evince la assai probabile presenza di una massa tumorale nei polmoni, tanto che si consigliava di approfondire gli accertamenti mediante una TAC. Purtroppo, l’ortopedico procede nel suo lavoro senza tenere minimamente in considerazione la cosa e senza disporre ulteriori indagini. L’intervento al ginocchio riesce perfettamente, ma il paziente peggiora rapidamente e pochi mesi dopo muore. E non per le conseguenze dell’intervento al ginocchio, anche se essere sottoposto ad un intervento chirurgico non indila-zionabile nelle sue condizioni non poteva considerarsi una scelta molto avveduta. Gli eredi intentano causa, ma si vedono dare torto sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito rilevavano infatti che il paziente era affetto da una patologia non curabile e non operabile. Non era stato possibile accertare, tramite apposita CTU, né la sussistenza di un qualche rapporto tra l’intervento al ginocchio ed il crollo delle condizioni del paziente, né se la tempe-stiva diagnosi avrebbe permesso di sottoporre il paziente a cure tali da evitarne il decesso. In altri termini, il medico e l’ospedale si erano difesi affermando che una diagnosi tempestiva non avrebbe cambiato nulla, quanto ad esito infausto del decorso patologico, e gli attori non avevano avuto modo di fornire una prova contra-ria. La sentenza della Cassazione ribalta il decisum dei giudici di merito ed in parziale accoglimento del ricorso principale cassa

7 Cassazione civile sez. III, 05/07/2017, n. 16503, Guida al diritto, 2017, 45, 89.

8 Cass.civ., sez. III, sent. 23/05/2014 n. 11522.

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con rinvio la sentenza d’appello, ritenendo che l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, anche se si tratta di un male incurabile e sul quale sia possibile intervenire soltanto con un intervento palliativo, determinando un ritardo della possibilità di esecuzione di tale intervento, cagiona al paziente un danno alla persona. Infatti, come rileva la Cassazione, lo sfortunato paziente non ha potuto fruire di tale intervento e, quindi, ha dovuto sop-portare le conseguenze del processo morboso e particolarmente il dolore, posto che la tempestiva esecuzione dell’intervento palliativo avrebbe potuto, sia pure senza la risoluzione del processo morboso, alleviare le sue sofferenze. […] Era stato il medico di base, mesi dopo, a prescrivergli degli esami da cui era emerso che non c’era più nulla da fare. Forse non ci sarebbe stato nulla da fare nemmeno se gli esami fossero stati effettuati subito; forse la condotta tera-peutica sarebbe risultata la stessa anche nel caso in cui la diagnosi fosse stata tempestiva. Ma questa circostanza, anche se dimostrata, di per sé non esclude che la tardività della diagnosi abbia inciso sulla qualità di vita del paziente. E questo non solo perché lo stesso intervento, effettuato prima, avrebbe prodotto più tempestivamen-te i suoi effetti; ma anche perché il ritardo può significativamente compromettere la ‘qualità di vita’ a cui avrebbe avuto diritto il pa-ziente nelle more della diagnosi correttamente eseguita, condan-nandolo ad un periodo in cui non ha avuto nemmeno la possibilità di somministrazione di farmaci ed interventi palliativi. Al limite, nel caso in cui non fosse stato nemmeno possibile intervenire, il pa-ziente avrebbe ricevuto quanto meno le cure palliative. Proprio in quest’ultimo caso troviamo le affermazioni più significative – e più pesanti per la responsabilità dei medici –. Infatti, la giurisprudenza afferma che anche a fronte di un processo morboso ineluttabile, di fronte a cui la medicina nulla può, se non alleviare le sofferenze, la diagnosi non tempestiva cagiona comunque al paziente un dan-no alla propria persona fisica, per il semplice fatto di aver dovuto sopportare per intero le gravissime conseguenze dell’intero processo morboso, con le conseguenti sofferenze, che avrebbero potuto essere quanto meno alleviate. […] vi è ugualmente una responsabilità del sanitario, la cui funzione non è soltanto quella di fare in modo che il paziente non muoia, ma anche di fare in modo, se il decesso non può essere evitato, che il suo paziente viva il più a lungo possibile ed il meglio possibile”.

Secondo la più recente giurisprudenza di merito, recepita dal testo legislativo sul biotestamento, “in base al principio del consenso informato, perché si possa procedere all’interruzione di un trattamento sanitario vitale l’interessato deve esprimere un rifiuto personale, libero, attuale, concreto e informato. La disposi-zione è revocabile in qualunque momento fino alla sua attuazione. In caso di sopravvenuta incapacità del titolare, è necessario che, immediatamente prima dell’interruzione del trattamento, la vo-lontà sia confermata dall’amministratore di sostegno”9.

La gestione delle end-of-decision ottiene, con questa proposta di legge, un riconoscimento della volontà futura. Il malato esce dal cono d’ombra ed assume un ruolo di protagonista della sua salute, tanto è vero che le motivazioni del malato sono altro rispetto alla valutazione del medico. Vi è un preciso obbligo di informazione (art. 1 co. 3), l’obbligo di alleviare le sofferenze (art. 2 co. 1), la possibilità di nominare un fiduciario e, in assenza, la previsione (art. 4 co. 4) della nomina, da parte del G.T di un ads. Alcune criticità possono essere rilevate quali,

9 Tribunale Cagliari, 16/07/2016, Responsabilità Civile e Previdenza 2017, 3, 910 (nota di: Pisu).

per esempio, il coordinamento tra autonomia del paziente sul-la opzione di vita-morte e sistema giuridico, improntato alla vita come a “bene indisponibile” (Codice Civile Art.5), la per-dita, da parte del medico, della posizione di garante della sa-lute quale compito di tutela, in uno alla previsione in base alla quale il consenso non assolve sempre il medico (Codice Penale art. 50 e art. 579), in ultimo la volontà non è sempre attuale riguardo alla scelta ed alle indicazioni del fiduciario e le moda-lità di risoluzione del conflitto tra fiduciario e medico. La pre-cedente legge n.38/2010, all’art. 1 nelle finalità garantisce al cittadino l’accesso alle cure palliative ed alla terapia del dolore in quanto “è tutelato e garantito, in particolare, l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato […] al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze […]. 3. Per i fini di cui ai commi 1 e 2, le strutture sani-tarie che erogano cure palliative e terapia del dolore assicurano un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia, nel rispetto dei seguenti princìpi fondamentali:

a) tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione;

b) tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine;c) adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona

malata e della famiglia”.È consentita al medico la somministrazione del sedativo per

alleviare il dolore. Il mantenimento in vita del malato deve coincidere con la riduzione dei suoi tormenti ed il sostegno alla dignità e libertà nelle scelte sulla fine. Il malato ha diritto ad una “morte naturale”, ove possibile, anche se a causa della sospensione delle cure mediche la fine dovesse giungere pri-ma del previsto.

Ma cosa succede se il paziente non è più in grado di sceglie-re e di decidere? Anticipando la proposta di legge, la tendenza sino ad oggi è stata quella della nomina di un amministratore di sostegno nell’ipotesi in cui il paziente non sia più in grado di manifestare la propria autodeterminazione sulle cure da in-traprendere. La giurisprudenza di merito ha già indicato la via della nomina dell’ads quale rappresentante autorizzato a presta-re il consenso per le cure palliative in favore, per esempio, di be-neficiaria affetta da sclerosi multipla maligna in fase avanzata10.

Inoltre, “In base al principio del consenso informato, perché si possa procedere all’interruzione di un trattamento sanitario vitale l’interessato deve esprimere un rifiuto personale, libero, attuale, concreto e informato. La disposizione è revocabile in qualunque momento fino alla sua attuazione. In caso di sopravvenuta incapa-cità del titolare, è necessario che, immediatamente prima dell’in-terruzione del trattamento, la volontà sia confermata dall’ammi-nistratore di sostegno”11.

Nel noto provvedimento della S.C. c.d. sentenza Englaro12 la Corte ha ammesso la nomina di un rappresentante legale della ragazza quale importante precedente cui si è ispirata la successiva giurisprudenza sul punto, con il richiamo alla pre-visione che sottende al consenso informato, quale rapporto giuridico imprescindibile tra medico e paziente che costitui-sce “norma di legittimazione del trattamento sanitario”.

10 Trib. Reggio Emilia, decreto 24 luglio 2012 (G.T. dr.ssa Chiara Zompì).11 Tribunale Cagliari, 16/07/2016, Responsabilità Civile e Previdenza 2017,

3, 910 (nota di: Pisu).12 C. Cass, sent., n. 21748 del 2007.

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

1. introduzione

Dopo un lungo dibattito parlamentare, il 25 giugno 2016 è entrata finalmente in vigore la legge 112, c.d. legge sul Dopo di Noi, recante “Disposizioni in materia assistenziale in favore delle persone con disabilità grave, prive del sostegno familiare”.

Si tratta di un importante traguardo, frutto dell’impegno delle associazioni più rappresentative a livello nazionale fra quelle che gravitano nel mondo della disabilità, insieme alle classi professionali che hanno collaborato con il legislatore.

La Novella si innesta in un panorama legislativo, in materia di disabilità, fino ad oggi particolarmente frammentato e di-sorganico, che ha lasciato ampio spazio a interventi settoriali comportanti una categorizzazione degli ambiti di assistenza del disabile (assistenza economica, sostegno scolastico, strut-ture residenziali, e così via) da cui è discesa una inevitabile disomogeneità delle prestazioni assistenziali nei diversi con-testi. Era quindi urgente un intervento legislativo dai tratti in-novativi che contribuisse a segnare una svolta nell’approccio al settore della disabilità.

La legge 112 rappresenta l’attuazione di alcuni principi co-stituzionali (in particolare, quelli sanciti dagli articoli 2, 3, 30, 32 e 38 Cost.), oltre che di quelli proclamati dagli articoli 24 e 26 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e dagli artt. 3 e 19 dalla convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità siglata a New York il 13.12.2006 e ra-tificata dall’Italia con la l. 18/2009.

I destinatari della legge sono le persone affette da disabilità grave riconosciuta ai sensi dell’art. 3 comma 3 l. 104/1992, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità,

prive del sostegno familiare in quanto mancanti dei geni-tori o nel caso in cui i genitori non siano in grado di fornire adeguato sostegno genitoriale. La norma prevede quindi la progressiva presa in carico già durante l’esistenza in vita dei genitori stessi: per la prima volta quindi il nostro legislatore espressamente si pone il problema del Dopo di Noi, da affron-tare già Durante il noi, ossia quando è possibile per la famiglia mettere in opera un progetto d’assistenza sociale, ma anche patrimoniale (vale a dire volto a garantire l’autosufficienza economica), destinato ad operare anche per il futuro allorché i famigliari non ci saranno più.

La l. 112 rappresenta una piccola rivoluzione del paradigma culturale nei confronti della disabilità: essa fa riferimento al diritto di pari dignità sociale, uguaglianza, mantenimento e assistenza sociale. È espressamente volta a favorire il benesse-re, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità. In questa direzione è sollecitato anche l’impegno lo-cale, chiamato a realizzare un modello di abitare in autonomia

che deve diventare l’obiettivo principale delle politiche e della rete di servizi per le persone con disabilità, al fine di consentire loro – sin dalla giovane età e con l’incoraggiamento della fami-glia – di acquisire gli strumenti per vivere nella propria casa, o presso soluzioni abitative appositamente strutturate, con com-pagni liberamente scelti, secondo le modalità più corrispon-denti ai propri desideri e condizioni, al pari di ogni cittadino.

Ecco quindi la vera finalità della normativa, ossia il contra-sto a ogni forma di segregazione, sia essa la istituzionalizza-zione (ossia il vivere in strutture ove, assai spesso, il disabile perde la propria autonomia ed identità ma neppure realizza un adeguato progetto di vivere “in comune”) o l’intervento meramente assistenziale.

Integrazione del disabile nell’ambito della vita personale e sociale, quindi: questo è l’obiettivo legislativo. Per realizzarlo, le misure introdotte con la legge 112 sono espressamente in-tegrate con la previsione dei progetti individuali di cui all’art. 14 della l. 328/2000. Priorità del progetto individuale è for-nire tutti i supporti volti, appunto, ad evitare la istituziona-lizzazione. Il richiamo è all’art. 19 della Conv. Onu sui diritti delle persone con disabilità che prevede espressamente che le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione.

Per la realizzazione delle proprie finalità il nostro legislatore si è mosso su un duplice binario di intervento: in primo luo-go, uno di matrice pubblica.

È infatti prevista l’istituzione di un Fonda di Assistenza alle persone con disabilità grave prive di sostegno famigliare (art. 4 l. 112/2016), che dovrebbe consentire l’adozione di misure volte a evitare l’isolamento e quindi ad attivare e potenziare interventi che favoriscano percorsi di deistituzionalizzazione e supporto alla domiciliarità in soluzioni abitative che ripro-ducano quelle della casa famigliare, tenendo conto delle op-portunità offerte dalle nuove tecnologie, la creazione di ipotesi alloggiative di tipo familiare e co-housing e più in generale lo sviluppo di un programma di potenziamento della consapevo-lezza, abilitazione e sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana con la maggior autonomia possibile.

In adempimento dell’art. 3, 2° comma della l. 112/2016, il 23 novembre 2016 è stato sottoscritto il decreto ministeria-le attuativo, che fissa i requisiti per l’accesso alle prestazioni finanziate con il Fondo istituito dalla Novella e stabilisce il riparto tra le regioni delle risorse finanziarie per l’anno 2016, pari a 90 milioni di euro. Il citato articolo già prevede una dotazione di 38,3 milioni di euro per il 2017 e di 56,1 milioni di euro a decorrere dal 2018.

NOte SuLLA Legge N. 112 DeL 2016 “SuL DOPO Di NOi”VALERIA MAzzOTTAAvvocato del foro di Bologna, membro del Consiglio della Scuola di ONDiF

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Gli interventi nel settore privato. - 3. I limiti della legge 112/2016 con riferimento al trust. - 4. Il trust peri soggetti deboli in generale. - 5. Trust e ads: analogie e differenze. - 6. Il ruolo del giudice tutelare.

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DOSSier La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017

Il decreto definisce anche i criteri di accesso alle misure del fondo, tenendo conto delle limitazioni dell’autonomia del disabile, dei sostegni che può fornirgli la famiglia, della condizione abitativa ambientale e delle condizioni economi-che sue e della famiglia. Viene garantita comunque la priorità d’accesso ai disabili gravi senza entrambi i genitori e del tutto privi di risorse economiche, ai disabili con genitori non più in grado di garantire ad essi nel futuro prossimo un sostegno genitoriale per una vita dignitosa e ai disabili inseriti in strut-ture residenziali dalle caratteristiche molto diverse da quelle previste dal decreto.

L’accesso è subordinato a una valutazione multidimensio-nale effettuata da équipe regolamentate dalle regioni, le quali analizzano le capacità della persona di curare sé stessa, in-clusa la gestione di interventi terapeutici, la mobilità, la co-municazione e altre attività cognitive, le attività strumentali e relazionali della vita quotidiana. Detta valutazione mira a definire il progetto personalizzato (la cui realizzazione è de-putata a un case manager) per il disabile grave, individua le misure di sostegno sanitarie, sociali e socio-sanitarie con il maggior coinvolgimento possibile del soggetto interessato e quindi tenendo in considerazione i suoi desideri e le sue aspettative, sempre con il proposito di favorire l’autonomia e l’autodeterminazione.

In previsione del Dopo di Noi, è richiamato un percorso di accompagnamento verso l’autonomia del disabile e la sua uscita dal nucleo famigliare di origine e sono individuate so-luzione abitative che riproducano quelle anche relazionali della casa familiare (ai sensi dell’art. 4 l. 112/2016), detta-gliando i requisiti. Al contempo si promuove l’inserimento e l’integrazione lavorativa, stabilendo che i progetti personaliz-zati siano condivisi con i servizi per il collocamento mirato di cui alla l. 68/1999.

2. gli interventi nel settore privato

L’altra direttrice di intervento è nel settore privato, attraverso alcune agevolazioni di natura fiscale volte a promuovere il ricorso a determinati strumenti, se destinati ai disabili gravi, in grado, per la loro natura, di valorizzare il progetto di vita per il disabile mediante la previsione, nell’atto istitutivo dello strumento prescelto, di una dettagliata descrizione degli spe-cifici bisogni del soggetto debole.

I negozi o atti presi in considerazione dalla legge sono:– erogazioni da parte di soggetti privati: l’art. 6 comma 9

espressamente prevede agevolazioni fiscali specifiche per le erogazioni liberali, donazioni e altri atti a titolo gra-tuito effettuati da privati nei confronti di trust o fondi speciali di cui all’art. 1 comma 3 (presumibilmente po-trebbe trattarsi più in generale di negozi dotati di spirito di liberalità e a titolo gratuito)

– stipula di polizze assicurative– istituzione di trust– costituzione di vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c.– costituzione di fondi speciali composti di beni sottoposti

a vincolo di destinazione e regolati con contratto di affi-damento fiduciario

Mediante le agevolazioni tributarie, la legge promuove quindi il ricorso ad alcuni strumenti di autonomia privata che hanno in comune la caratteristica di realizzare un vincolo di destinazione sui beni individuati, in modo che le esigenze di

protezione e autonomia del disabile siano soddisfatte median-te patrimoni separati e dedicati, creati dalle famiglie stesse o da onlus, per poter sopperire direttamente alle esigenze del disabile, in tal modo sgravando le strutture pubbliche.

L’effetto segregativo realizza la protezione patrimoniale, per-ché i beni che fanno parte di detti patrimoni sono durevol-mente ed esclusivamente destinati alla assistenza del soggetto disabile, per tutto il tempo della sua vita; il fondo (trust, vin-colo, fondo speciale) non si confonde con il patrimonio del soggetto gestore, e si sottrae alle azioni esecutive dei creditori del disponente/affidante.

Le principali agevolazioni fiscali consistono nell’esenzione da imposta sulle successioni e donazioni per atti di confe-rimento di beni e diritti in trust, ovvero gravati da vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. ovvero destinati a fondi speciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e regolati con contratto di affidamento fiduciario (art. 6 com-ma 1); esenzione da imposta sulle successioni e donazioni, applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa per il ritrasferimento di beni e diritti reali a favore dei disponenti in caso di premorienza del beneficiario (art. 6 comma 4); al di fuori di questa ipotesi, in caso di mor-te del beneficiario, il trasferimento del patrimonio residuo è soggetto all’imposta sulle successioni e donazioni in conside-razione del rapporto di parentela o coniugio intercorrente tra disponente, fiduciante e destinatari del patrimonio residuo. VI sono poi agevolazioni ulteriori: in particolare, l’art. 6 com-ma 6 stabilisce l’applicazione delle imposte di registro, ipo-tecaria e catastale in misura fissa ai trasferimenti di beni e di diritti in favore dei trust, dei fondi speciali ovvero dei vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter c.c.

Inoltre, gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonché le copie dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni e le attestazioni posti in essere o richiesti dal trustee, dal fiduciario del fondo speciale ovvero dal gestore del vincolo di destinazione sono esenti dall’imposta di bollo prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 26 otto-bre 1972, n. 642.

È previsto, poi, che, in caso di conferimento di immobili e di diritti reali sugli stessi nei trust ovvero di loro destinazione ai fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1, i Comuni possano stabilire aliquote ridotte, franchigie o esenzioni ai fini dell’imposta municipale propria per i soggetti passivi di cui all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.

Infine, alle erogazioni liberali, alle donazioni e agli altri atti a titolo gratuito effettuati dai privati nei confronti di trust ov-vero dei fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 si applicano le agevolazioni di cui all’articolo 14, comma 1, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modifi-cazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, e i limiti ivi indi-cati sono elevati, rispettivamente, al 20 per cento del reddito complessivo dichiarato ed a 100.000 euro

Dunque, la Novella, quanto meno con riferimento alla parte più prettamente privatistica, ha natura essenzialmente fiscale.

Essa non apporta nulla di nuovo dal punto civilistico se non il fatto di aprire espressamente al mondo della disabilità la possibilità di ricorrere a strumenti di segregazione patrimo-niale, dissipando ogni dubbio relativamente alla possibilità di istituire un trust, costituire vincoli di destinazione ex art.

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

2645-ter c.c. (in realtà, tale norma fu pensata proprio per far fronte alle esigenze dei disabili ma lo strumento ha avuto nel-la prassi, fino ad oggi, scarsa diffusione) e concludere con-tratti di affidamento fiduciario (affascinante istituto di recente creazione dottrinale, privo sinora di riferimenti normativi e con modesta applicazione pratica), sicché è lecito presuppor-re che il ricorso a questi strumenti, con la Novella, sarà più frequente, spianando in via definitiva la strada della separa-zione patrimoniale per la tutela del soggetto disabile.

Rinviando l’approfondimento delle altre figure negoziali previste dalla legge, questo articolo si propone, in particolare, di analizzare l’istituto del trust, come richiamato dalla legge 112/2016 ma anche quale strumento privilegiato per la prote-zione del soggetto debole, diffuso oramai da molti anni anche se anche ancora poco noto sia tra gli operatori del diritto che tra le famiglie direttamente coinvolte dal doloroso problema del “Dopo di Noi”.

3. i limiti della legge 112/2016 con riferimento al trust

È notorio che il trust non sia regolato in Italia da una legge specifica, salvo compiuta disciplina tributaria, ma ciò nulla toglie alla piena legittimità dello strumento e alla possibilità di farvi ricorso anche nel nostro Paese.

L’Italia ha ratificato la Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e al loro riconoscimento adottata a L’Aja il 1° luglio 1985 con la legge 364/1989, entrata in vigore l’1 gennaio 1992.

Da allora in poi del trust si è fatto uso nei più svariati ambi-ti, anche in quello che ci occupa, ossia la tutela del soggetto debole. Vero è, tuttavia, che del trust si sono fatti anche usi distorti, che hanno contribuito a diffondere un’idea erronea della vera utilità dello strumento e delle sue infinite poten-zialità. Il pregio della l. 112/2016 da questo punto di vista è dunque evidente e il dibattito sul riconoscimento del trust interno può oggi ritenersi concluso.

Tuttavia la Novella ha scelto di delimitare rigorosamente il suo ambito applicativo, sicché non ogni trust per disabili può godere dei benefici fiscali, bensì solo quello istituito nel ri-spetto di tutti i crismi formali indicati dall’art. 6, vale a dire:

– deve rivestire la forma dell’atto pubblico (lett. a);– l’atto istitutivo deve identificare in modo chiaro e univoco

i soggetti coinvolti e i loro ruoli, descrivere la funzionalità e i bisogni specifici delle persone con disabilità grave in favore dei quali sono istituiti, le attività assistenziali neces-sarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni delle persone con disabilità grave, comprese le attività finalizza-te a ridurre il rischio dell’istituzionalizzazione (lett. b);

– l’atto istitutivo deve altresì individuare gli obblighi del trustee con riguardo al progetto di vita e agli obiettivi di benessere che lo stesso deve promuovere in favore delle persone con disabilità grave, nonché gli obblighi e le mo-dalità di rendicontazione a carico del trustee (lett. c);

– il trust può avere come esclusivo beneficiario un sogget-to che sia disabile grave ai sensi dell’art. 3, comma 3 l. 104/1002 (lett. d);

– la finalità esclusiva del trust è l’inclusione sociale, la cura e l’assistenza delle persone con disabilità grave, in favore dei quali sono istituiti (lett. e);

– non può mancare la figura del guardiano, già individuato con l’atto istitutivo un guardiano (lett. f);

– il termine finale della durata dello strumento deve coin-cidere con la data della morte della persona con disabilità gravi (lett. g);

– occorre che l’atto istitutivo stabilisca la destinazione fina-le del patrimonio residuo (lett. h).

Il trust pensato dal Legislatore della l. 112 trova quindi ap-plicazione limitata: occorre una famiglia con un solo figlio (disabile), senza quindi che si ponga il problema di futuri ere-di necessari la cui quota di legittima dall’istituzione del trust potrebbe venire lesa, e che abbia la possibilità di “staccare” una parte del patrimonio per destinarla in via esclusiva alla tutela del discendente disabile.

Molti sono i problemi irrisolti: quelli connessi alla viola-zione della legittima, ad esempio. Si sarebbe infatti potuto prevedere un limite alla facoltà dei legittimari di agire in ridu-zione allorché i beni trasferiti nel trust non siano palesemente eccessivi rispetto alle esigenze di tutela del disabile.

L’ambito soggettivo di applicazione è assai ristretto: si am-mette il ricorso al trust solo per i disabili gravi di cui alla l. 104/1992, lasciando “fuori” una vasta platea di soggetti pur bisognosi di protezione: i genitori stessi del disabile, altri fra-telli o sorelle “abili”, i quali potrebbero avere comunque un interesse – e un beneficio – nell’istituzione del trust.

Ancora, la legge non prevede espressamente la possibilità del trust “autodichiarato” in cui disponente e trustee coinci-dono, ma non vi è dubbio che a tale fattispecie si possa tran-quillamente ricorrere. È naturale infatti che in un trust per la tutela del disabile il genitore disponente voglia svolgere anche le funzioni di trustee finché è in vita o comunque “capace”, perché è lui che da sempre si occupato del figlio e intende quindi continuare a farlo direttamente sino a che sia possi-bile, evitando ingerenze esterne nella gestione patrimoniale e personale. Un trust in cui il genitore disponente e trustee coincidano presenterebbe anche indubbi vantaggi economici considerando il costo di un trustee professionale e contestual-mente l’entità normalmente piccola del patrimonio da gesti-re. Non pare invero che dal silenzio del Legislatore si possa trarre un divieto di istituire trust autodichiarati ai sensi della l. 112, fatta salva l’opportunità di prevedere il meccanismo di successione del genitore/trustee allorché questi non possa più svolge la funzione gestoria (non è questa la sede per affrontare la possibilità o meno di riconoscere nel nostro Paese i trust autodichiarati: al di là di qualche presa di posizione dottrinale e giurisprudenziale contraria – ad. es. Cass. 3735/2015, deve concludersi per la piena legittimità fatta salva la possibilità di ricorrere all’azione revocatoria o di simulazione o nullità da parte dei creditori del disponente, allorché ve ne siano i pre-supposti: si veda da ultimo Cass. Civ. 21614/2016).

Estrema cura dovrà poi essere posta nel redigere l’atto isti-tutivo, poiché, qualora si voglia indicare che alla morte del disabile i beni residui vadano a un soggetto diverso dal di-sponente, occorrerà (ricorrendo anche ad acrobazie lessicali) dissipare ogni dubbio che in capo al terzo destinatario sorga-no posizioni beneficiarie, poiché ne deriverebbe la perdita di benefici fiscali a fronte di eventuali contestazioni dell’ammi-nistrazione finanziaria, atteso che il beneficiario del trust ex l. 112 può essere solo il disabile grave.

Nulla è detto relativamente alla possibilità dell’istituzione di un trust collettivo, un trust, cioè, in cui più famiglie fac-ciano confluire i propri beni per l’assistenza dei propri figli

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DOSSier La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017

disabili, prevedendo separati trust funds per ogni soggetto da assistere e che il patrimonio residuo alla morte del disa-bile venga destinato dal trustee all’assistenza di altri soggetti disabili, o all’Onlus che ha assistito il disabile, in modo da creare un meccanismo virtuoso che assicuri il perseguimento della finalità espressa dalla l. 112 anche in un’ottica solidale ed altruistica. Allorché il trust collettivo abbia i requisiti pre-scritti dall’art. 10, comma 1 del d.lgs. 460/1997 per assumere la qualifica di Onlus, non pare potersi negare la possibilità di istituire un trust collettivo Onlus. Al di là del conseguen-te trattamento fiscale di favore, i vantaggi potrebbero essere vari: ad esempio, semplificazione delle procedure, maggiori garanzie di controllo sull’utilizzazione del patrimonio desti-nato. Pare poterlo dedurre anche dall’art. 1 comma 3 della l. 112 che consente l’applicabilità delle agevolazioni fiscali previste dal successivo art. 6 anche nel caso in cui i negozi/atti giuridici siano stipulati a favore delle Onlus che svolgono prevalentemente attività di beneficienza. Sicché non è irragio-nevole concludere che le Onlus potrebbero svolgere un ruolo gestorio del patrimonio del disabile. In tale senso depongono anche le noti brevi dell’Ufficio Studi del Senato n. 116-mag-gio 2016, laddove evidenziano che “L’affidatario può essere costituito anche da un’organizzazione non lucrativia di utilità sociale (Onlus) che operi prevalentemente nel settore della beneficienza”. In tali casi occorrerà prestare attenzione al ruo-lo che la Onlus riveste, dovendosi escludere per ovvie ragioni di opportunità (in sostanza, il conflitto di interesse) che essa sia contemporaneamente trustee e “beneficiaria del residuo”.

In sintesi: la legge presenta diversi aspetti di criticità. Lascia irrisolti parecchi profili problematici che ruotano attorno alla vita del disabile e della sua famiglia. Secondo taluno, è una legge “per ricchi”, poiché solo le famiglie benestanti potran-no permettersi di destinare una parte del proprio patrimonio esclusivamente al soddisfacimento delle esigenze di vita del fi-glio disabile (possibilmente non l’unico discendente); le stesse famiglie che, in virtù del patrimonio ingente, hanno maggior interesse a beneficiarie delle esenzioni fiscali, tanto più che con riferimento alla previsione fiscale più importante, ossia l’esenzione dall’imposta sulle donazioni e successioni, è già prevista una franchigia di 1.500 Euro per i trasferimenti a fa-vore soggetti portatori di handicap, che evidentemente “copre” la maggior parte delle ipotesi che nella pratica si presentano.

Per tutti coloro che non trarrebbero dal trust istituito secon-do il rigido schema previsto dalla Novella nessun beneficio fiscale in particolare, o che hanno esigenze che la legge non soddisfa, resta la possibilità di ricorrere a un trust “protettivo” in generale, strumento da tempo utilizzato nel settore della disabilità.

4. il trust peri soggetti deboli in generale

Ma cos’è un trust per soggetti deboli, in generale?Il disponente, di solito il genitore, trasferisce parte o tutti i

suoi beni a un altro soggetto che ne acquista la proprietà e ne dispone, gestendola e amministrandola secondo il program-ma fissato dal genitore disponente in favore del proprio figlio “soggetto debole”, ossia esclusivamente per il mantenimen-to, le cure ed il sostegno del soggetto bisognoso. I beni (che possono essere di qualsiasi natura) trasferiti al trustee, facenti parte del fondo in trust, non entrano a far parte del suo pa-trimonio personale e sono “segregati” al raggiungimento dello

scopo del trust. Il patrimonio viene quindi trasferito al trustee affinché le utilità da esso traibili siano impiegate per il mante-nimento e per il sostegno del soggetto debole. Preferibilmente il trustee gestisce i beni utilizzando il reddito ma potrà anche attingere al fondo, e quindi avrà il potere di alienare beni, qualora ciò si riveli necessario, e di attribuire i beni, alla mor-te del soggetto, ai beneficiari finali indicati dai genitori.

Nell’ambito di un trust per soggetti deboli è facile che il disponente non voglia spogliarsi subito di tutti i suoi beni, e quindi, ad esempio, opti per conferire nel fondo la nuda pro-prietà mantenendo per sé l’usufrutto (e così conservando il diritto di continuare a vivere in una abitazione o di percepirne i redditi se concessa in locazione); talora l’atto istitutivo pre-vede come termine iniziale la morte del disponente che, così facendo, finché è in vita potrà detenere e gestire direttamente i beni divenendo il trust pienamente operativo solo al mo-mento della sua morte, quando la piena proprietà si consoli-derà in capo al trustee. Più spesso, e più opportunatamente, il trust diviene operativo subito: il disponente genitore di solito si riserva il ruolo di trustee (trust autodichiarato) o di guar-diano, anche perché in questo modo è possibile verificare se il programma del trust corrisponde ai bisogni del figlio disabile o se qualcosa deve essere modificato.

Questo genere di trust può avere più beneficiari; beneficiari del reddito sono prima di tutti i soggetti deboli per i quali lo strumento è istituito, ma ve ne possono essere altri: a titolo esemplificativo, lo stesso disponente, da subito o in caso di sua sopravvenuta necessità, un altro figlio, l’altro genitore. Si può essere beneficiari in relazione ad alcuni beni specifici, o al reddito riferito a certi beni, o perché beneficiari del residuo, al termine del trust. Potrebbe verificarsi il caso in cui ci sono due o più figli del disponente, uno solo soggetto debole, ma tutti beneficiari: per il soggetto debole è necessario che il trust duri tutta la vita, mentre per gli altri potrebbe essere oppor-tuna l’assegnazione dei beni prima della cessazione del trust (che di solito coincide con la morte del soggetto disabile), os-sia prevedere il potere di anticipazione del trustee. Inoltre, è possibile individuare tra i beneficiari finali un’organizzazione non profit, il cui scopo statutario sia, per esempio, l’inter-vento nell’ambito assistenziale cui si riferisce la patologia del beneficiario.

La figura del guardiano, ossia colui che controlla l’operato del trustee, deve sempre essere presente e si adatta perfettamente alla figura del famigliare/disponente: al trustee è lasciata nor-malmente la cura e la gestione del patrimonio, mentre il guar-diano è preposto alla cura e alla tutela del soggetto incapace.

Come anzidetto, la figura giuridica del trust trova da tempo interessanti applicazioni pratiche nel settore della cura e tute-la di soggetti deboli. Le prime esperienze del Giudice tutelare sul tema del Dopo di Noi risalgono a molti anni fa. Peraltro nei disegni di legge assorbiti nella proposta di legge che si è conclusa con l’approvazione della l. 6/2004, il trust era indi-viduato come strumento in grado di rispondere alla domanda di protezione dei soggetti deboli: in particolare, con la pro-posta di legge C 5494, “Norme in materia di trust a favore di soggetti portatori di handicap”, riproposta, sostanzialmen-te negli stessi termini, nelle legislature successive, era infatti previsto l’impiego del trust attuato per scopi di assistenza in favore di soggetti disabili, con specifico riferimento al tema del Dopo di noi.

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

Naturalmente il trust per soggetti deboli in funzione del dopo di noi – e ciò vale anche per quello previsto dall’art. 6 della l. 112/2016 –, può avere vita autonoma: un atto isti-tutivo ben dettagliato può risultare pienamente sufficiente a garantire un’efficace opera di cura patrimonii che di cura personae.

Tuttavia, allorché sussistano i requisiti per una misura legale di protezione (l’amministrazione di sostegno in primo luogo stante il carattere oramai residuale assunto da interdizione e inabilitazione), associare detta misura a un trust protettivo consente di attuare una tutela ancora maggiore in favore del soggetto debole.

Il trust di sostegno (come definito dalla miglior dottrina, cfr. A. Tonelli in Trust e attività fiduciarie, luglio 2010, p. 375 ss) assicura infatti al figlio disagiato ma eventualmente anche, al contempo, ad altri membri del nucleo famigliare, un’adeguata cura personale e patrimoniale, anche in vista del Dopo di Noi.

Come specificato in numerosi provvedimenti del Giudice Tutelare autorizzativi dell’istituzione di un trust con i beni o comunque in favore del soggetto debole, “il trust rafforza le autonomie del beneficiario nello spirito del nuovo titolo XII del libro I del c.c. come disciplinato dalla l. 6/2004”.

Con un atto istitutivo del trust ben dettagliato anche nell’in-dicazione dei poteri da conferire al trustee, approvato dal Giudice Tutelare, è infatti possibile tener conto dei bisogni e delle istanze del beneficiario della procedura molto meglio di quanto si possa fare solo con il ricorso alla nomina dell’ammi-nistratore di sostegno.

Il Trust valorizza dunque lo scopo che ha ispirato l’istituto dell’Amministrazione di sostegno, ossia quello di proteggere le persone che si trovino in stati di oggettiva debolezza nella valutazione dei propri interessi tenendo però sempre in con-siderazione i loro desideri e le loro aspirazioni.

5. trust e ads: analogie e differenze

Prendendo come riferimento l’amministrazione di sostegno in quanto oggi misura di protezione legale privilegiata, esistono con il trust ovvie differenze:

– per la nomina dell’ads occorre che il soggetto versi nelle condizioni soggettive previste dall’art. 404 c.c., dunque l’istituto è destinato al soggetto “già” debole: peraltro, art. 408, 1° co. c.c. prevede la possibilità di nominare – con atto pubblico o scrittura privata autentica – un ads in pre-visione della propria eventuale futura incapacità: ciò però non consente di definire un programma né di esprimere una completa volontà in ordine allo svolgimento delle funzioni dell’amministratore di sostegno. Il trust invece può essere istituito anche in previsione della propria fu-tura incapacità e non solo di incapacità legale accertata.

– l’amministratore di sostegno non diviene proprietario dei beni del beneficiario mentre il trustee è proprietario, sep-pure in senso fiduciario (ossia è titolare di una proprietà fiduciaria, cioè vincolata al raggiungimento di uno scopo, consistente, nei casi cui ci riferiamo, principalmente alla cura della persona e del patrimonio del soggetto debole).

– l’ads è istituto destinato ai soli soggetti maggiorenni, mentre beneficiari del trust sono anche i minorenni, ad-dirittura i soggetti “solo concepiti”.

– l’ads è soggetta a diverse forme di pubblicità (contra-riamente al trust, che resta “riservato”): la trascrizione

a margine dell’atto di nascita, nel registro delle ads e nel casellario giudiziale.

Il valore aggiunto del trust è poi senz’altro quello di essere uno strumento perfettamente adeguato alla gestione del cd. Dopo di noi, come anzidetto.

Sebbene trust e ads siano strumenti diversi, che possono vive-re separatamente, è anche vero che si intrecciano perfettamente diventando strumentali l’uno all’altro e complementari, perché hanno in comune alcune caratteristiche, precisamente:

– l’elemento “fiducia”: il rapporto fiduciario è ciò che vin-cola il trustee al beneficiario, per cui l’obbligazione non è meramente contrattuale (il trust è un vero e proprio ne-gozio unilaterale, privo di qualsiasi rapporto sinallagma-tico) ma è anche ciò che deve legare un ads (in termini di capacità d’ascolto e relazionale) al beneficiario

– la “duttilità”: entrambi gli strumenti sono caratterizzati da ampia elasticità e versatilità, essendo in grado di “pla-smarsi” in modo differente secondo le esigenze del caso concreto, tenendo conto dei desideri e delle aspirazioni del soggetto debole

– sia chi chiede la nomina dell’ads che il disponente di un trust possono accompagnare l’indicazione del nomina-tivo dell’ads o del trustee con la precisazione dei criteri di gestione/amministrazione a cui ads e trustee devono attenersi, seppure nel caso dell’ads si tratti di indicazioni non vincolanti per il giudice tutelare, ma comunque de-stinate ad essere ragionevolmente seguite.

Trust e amministrazione di sostegno sono strumenti che pos-sono quindi certamente coesistere in modo complementare of-frendo una tutela ottimale al soggetto debole, poiché consento-no una pianificazione esaustiva che risponde in modo globale alle esigenze del soggetto da proteggere, sia di amministrazione dei beni che di tutela del risparmio del beneficiario e dei suoi discendenti che di cura globale della persona (quindi, soddisfa-cimento delle esigenze abitative, la salute, ecc.).

I vantaggi dell’associare la misura legale di protezione a un trust sono in particolare:

– la possibilità che tramite il trust la pianificazione sia produttiva di effetti anche dopo la morte dei genitori, e quindi in vista del cd. dopo di noi;

– con il trust è possibile tutelare contemporaneamente più persone (sia il soggetto debole che i suoi genitori o altri fratelli, ad esempio, seppure con modalità diverse);

– il trust apporta l’elemento della segregazione patrimonia-le per il quale i beni conferiti sono cristallizzati in un’area intangibile da parte dei creditori o di terzi;

– il trustee professionista assicura competenza e professio-nalità nella gestione del patrimonio: la gestione dei beni è sempre ispirata a criteri conservativi, nel senso che il patrimonio va naturalmente impiegato per il soggetto de-bole fino all’esaurimento ma cercando di gestire le uscite tenendo conto del quantum del patrimonio connesso alla previsione di vita del beneficiario. Inoltre, il trustee deve garantire imparzialità e assoluta terzietà rispetto ai diritti e agli interessi che dal trust derivano ai beneficiari. Allorché l’ads sia un famigliare o una persona vicina al beneficiario, può verificarsi o che non siano assicurate idonee capacità professionali di gestione, o (proprio a causa del legame con il beneficiario) sufficiente rigore nella gestione come talune situazioni talora richiedono;

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– l’ads certamente apporta un ulteriore elemento di sicurez-za al soggetto debole, vale a dire il controllo da parte del giudice tutelare, una sorta di “certificazione” di legalità;

– essendo in questi trust obbligatoria la figura del guardia-no, essa funge da filtro tra trustee e beneficiario, senza per forza coinvolgere l’ads che non si occupi della gestione patrimoniale; ciò limita anche il ricorso al giudice tute-lare per autorizzazione a elargizioni di denaro poiché se trustee e guardiano reputano la richiesta economica del beneficiario soddisfabile, a prescindere dall’eventuale vo-lontà contraria dell’ads (che inevitabilmente condurrebbe a interpellare il giudice tutelare), potrebbero decidere di dare il benestare ed elargire al beneficiario quanto chiede;

– più in generale, in ogni caso, se il trust è ben gestito è possibile limitare il ricorso al giudice tutelare, specie al-lorché non sia imposto ma condiviso dal beneficiario con l’amministratore di sostegno, e conseguentemente sgra-vare la mole di lavoro delle cancellerie.

6. il ruolo del giudice tutelare

La giurisprudenza mostra molti casi in cui il Giudice Tutelare interviene non solo per avvalorare la validità di un trust isti-tuito magari dai genitori con i propri beni in favore del figlio soggetto debole ma anche autorizzando l’istituzione di trust con beni e patrimonio dello stesso soggetto debole1.

Ma qual è, precisamente, la funzione e il compito che il Giu-dice Tutelare è chiamato ad espletare?

Innanzitutto, l’autorità giudiziaria innanzi alla quale sia por-tato un trust interno per il cd. Dopo di noi, dovrà svolgere le normali verifiche richieste ai sensi degli artt. 13 e 15 Conv. Aja:

– rispondenza del trust ai requisiti minimi della convenzione– conformità alla legge straniera prescelta– non contrarietà del negozio complessivo a norme di or-

dine pubblico e imperative del ns ordinamentoIl Giudice è chiamato in pratica a verificare la riconoscibilità

di un trust interno rispetto alla legge del Foro, confrontando il tenore di tutte le clausole dell’atto istitutivo rispetto alla Convenzione e alla legge applicabile, nell’ambito del quadro più ampio rappresentato dalle norme imperative e di ordine pubblico del foro.

Allorché sia il Giudice Tutelare ad autorizzare il trust per un soggetto debole, egli mantiene un ruolo di sorveglianza e possibilità di intervento: il Giudice è colui che rappresenta i diritti del beneficiario soggetto debole.

Se già in precedenza il trust era stato istituito e successiva-mente viene nominato l’amministratore di sostegno, una mo-difica dell’atto istitutivo del trust è possibile ma deve essere autorizzata dal Giudice Tutelare su richiesta dell’ADS.

Se, all’opposto, il trust viene istituito quando l’amministrazio-ne di sostegno è già in essere (su impulso dell’Ads eventualmen-te d’accordo con il beneficiario) il Giudice Tutelare, al cui vaglio l’atto è sottoposto, può intervenire modificandolo se necessario

Il potere di sorveglianza e di controllo del Giudice Tutela-re si sostanzia in attività diverse: ad esempio, può impartire

1 I provvedimenti pubblicati sono numerosi. Tra i tanti: Trib. Genova, 14 marzo 2006, in T&AF, 2006, p. 415; Trib. Bologna 11 maggio 2009, in T&AF, 2009, p. 543; Giudice Tutelare Trib. Rimini, 21 aprile 2009, in Fam. Dir., 2009, p. 716 e in T&AF, 2009, p. 409; Trib. Modena, 11 dicembre 2008, in Fam. Dir. 2009, p. 1256; Trib. Bologna 23 settembre 2008, in T&AF, 2008, p. 631

direttive di massima o specifiche al trustee, che il trustee at-tua; disporre che il trustee modifichi o sopprima alcune di-sposizioni dell’atto istitutivo o le integri; revocare il trustee e nominare altro trustee, aggiungere trustee, stabilire la durata nell’ufficio; revocare il guardiano e nominare un altro guar-diano, nominare guardiani aggiuntivi, determinarne le fun-zioni, stabilire la durata dell’ufficio; può modificare la legge regolatrice del trust, ed altro ancora.

È tuttavia evidente che se il trust per il soggetto debole pre-veda beneficiari diversi, tra i quali uno solo “soggetto debole”, il Giudice Tutelare può intervenire solo in rappresentanza del beneficiario della misura legale e su istanza dell’ADS e, so-prattutto, per poter modificare il trust occorre il consenso di tutti i beneficiari maggiorenni.

Il principio discende dall’importante precedente inglese Saunders e Vautier che riconosce a tutti i beneficiari maggio-renni di un trust, se titolari di una specifica posizione be-neficiata, il potere, se sono tutti d’accordo, di porre termine anticipatamente al trust e quindi anche di modificare il trust, in quanto minore rispetto a quello più ampio di deciderne la cessazione, in forza di forza di quanto sancito in Chapman Vs Chapman, e codificato successivamente nel Variation Act.

Orbene, tornando alla l. 112/2016: il ruolo che la legge ri-serva al Giudice Tutelare è oggi assai diverso rispetto al passa-to: prima il Giudice tutelare poteva intervenire in rappresen-tanza del beneficiario e affinché il Giudice potesse modificare il trust occorreva il consenso di tutti i beneficiari-

Il trust regolato dalla Novella è invece un trust con un unico beneficiario, il disabile grave. Nei casi di trust costituiti se-condo la l. 112/2016 è quindi evidente che il Giudice Tutelare riveste molto potere, poiché se il soggetto disabile sia già sta-to ammesso al beneficio dell’amministrazione di sostegno, il Giudice potrà suggerire all’Ads di istituire il trust2 e dandogli tutte le indicazioni utili.

Se invece il trust è stato istituito prima dell’adozione della misura legale, il Giudice Tutelare può suggerire liberamen-te all’Ads di modificare l’atto senza limiti perché, appunto, beneficiario è solo uno: la posizione beneficiaria è tutta con-centrata sul soggetto debole. In pratica, il GT ha un potere di impulso che può esercitare liberamente

In conclusione: seppure il trust previsto dalla l. 112 abbia un’applicazione limitata alle ipotesi in cui ricorrano tutti i re-quisiti previsti dall’art. 6, indubbiamente, allorché sia istituito quel trust, il soggetto debole riceve una tutela rafforzata in virtù del fatto che i poteri oggi conferiti al GT gli garantiscono una protezione maggiore, oltre al fatto che il trustee non ha potere discrezionale

Il Giudice funge oggi da vero garante del disabile, potendo intervenire, plasmando e modificando il trust, alla luce anche delle esigenze progressive che il beneficiario manifesterà, con-tribuendo quindi alla piena realizzazione concreta del proget-to di vita che i genitori avevano fortemente voluto per il loro figlio in vista del Dopo di Noi.

2 Non potendo essere il trust istituito d’ufficio dal Giudice la convenzione dell’Aja sulla legge applicabile al trust e al loro riconoscimento ratificata dall’Italia con legge 364/1989 entrata in vigore 1.1.1992, ammette solo i trust volontaria-mente istituiti ovvero derivanti da un atto di libera determinazione del disponen-te. L’art. 21 della Convenzione, che avrebbe reso possibile l’istituzione del trust per ordine del Giudice, necessita di una esplicita adesione da parte di ciascun Paese, che l’Italia non ha espresso. Ciò rende impossibile l’istituzione del trust aventi origine da un ordine dell’Autorità Giudiziaria, i cd. Constructive trust.

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1. Scelte di fine vita: perché parlarne?

Le ragioni che, negli ultimi decenni, hanno determinato il sorgere – a livello forse planetario, ma sicuramente nelle real-tà economicamente e socialmente più avanzate – di un dibat-tito sul fine vita sono molteplici.1

Fra queste, un ruolo fondamentale ha svolto il progresso scientifico e tecnologico nel campo della biomedicina: anche in virtù di questo la fine della vita – nel passato, il più delle volte, un evento che il medico si limitava a constatare – è di-ventata un momento che impone di prendere delle decisioni; di operare delle scelte.

Pensiamo in particolare alle tecniche di rianimazione, che salvano tante vite ma sovente determinano – quale frutto non voluto di un intervento riuscito a metà – condizioni nel pas-sato sconosciute: Stato Vegetativo (persistente, permanente), locked-in syndrome; dipendenza totale da macchinari.

Pensiamo poi alle tante malattie di lunga durata, a esito infausto, ancora non curabili e causa di sofferenze fisiche e psicologiche (non a caso la casistica giurisprudenziale sul fine vita figura sovente innescata da soggetti affetti da Sclerosi La-terale Amiotrofica).

Ma è lo stesso aumento della speranza di vita a costringerci ad affrontare complesse condizioni croniche (Alzheimer, de-menza senile…).

E come trascurare, ancora, il fatto che proprio lo sviluppo delle tecniche dei trapianti d’organo abbia costretto addirittu-ra a ripensare il concetto stesso di morte, con l’accoglimento del criterio della morte cerebrale (l. 579/93)?

Sotto un diverso profilo, l’abbandono – seppur non com-pletamente compiuto – della medicina paternalistica ha reso la persona malata non più fruitore passivo delle decisioni del medico – visto come unico depositario del sapere e perciò decisore supremo – bensì protagonista della propria vicenda: la nostra è l’era del “consenso informato”.

Tutto ciò ha determinato una diffusa maggiore consapevo-lezza e una domanda di diritti: diritto alle migliori cure, an-che palliative; rivendicazione della signoria su di sé anche nei momenti più difficili.

Insomma: per quanto sgradevole possa essere – in una so-cietà che cerca di rimuovere l’idea stessa della morte –, quello delle scelte di fine vita è un momento al quale sempre più frequentemente siamo chiamati, per noi o per chi ci è vicino.

* Intervento al convegno di Bari, 24 febbraio 2017.

2. Scelte di fine vita: come parlarne?

Il territorio nel quale ci stiamo muovendo è estremamente delicato. Si parla di vita e di morte. Sono in gioco le dimensio-ni più profonde dell’esistenza: le diverse visioni della vita; la molteplicità di scelte etiche, convinzioni filosofiche, credenze religiose.

E tutto ciò è ovviamente fonte di grandi divisioni.Ma, per evitare che il confronto si riduca a una sterile con-

trapposizione di inconciliabili petizioni di principio è oppor-tuno trovare una base comune di riferimento lessicale, par-tendo dalla quale misurare poi le – inevitabili e forse giuste – distanze sulle regole che devono governare questo terreno.

Qui, forse più che altrove, le parole sono importanti, poiché nel nostro caso, quando “grande è la confusione sotto il cielo”, la situazione è tutt’altro che eccellente. Nella confusione di-venta difficile distinguere i falsi problemi – quelli che servono solo a creare un clima rissoso da talk show televisivo – da quel-li veri, che giustificano le divisioni, che non possono essere accantonati, che impongono la fatica della ricerca di soluzioni il più possibili condivise e pure l’accettazione e il rispetto del-le irriducibili distanze.

Ebbene: è sufficiente seguire anche distrattamente il dibatti-to (in realtà, soprattutto quello nostrano) per verificare come il linguaggio non sia affatto neutro; e come il più delle volte l’uso delle parole riveli l’intenzione di tranciare ogni discorso, con l’obiettivo di vincere e di imporre i propri dogmi, più che di convincere l’interlocutore.

Un esempio eclatante è rappresentato dall’utilizzo del ter-mine “eutanasia” nel caso di Eluana Englaro. Si è parlato, in quella vicenda, di “deriva eutanasica”. Già il termine “deriva” ha un sapore negativo; quanto al riferimento all’eutanasia, il messaggio che viene trasmesso è più o meno il seguente: “l’eutanasia è un male al pari dell’omicidio, la sospensione delle cure è eutanasia (seppure per omissione), la sospensione delle cure è un male (è omicidio)”.

A ciò si aggiunge un uso altrettanto “mirato” e volutamente scorretto dei termini medici: in particolare con la sovrappo-sizione indistinta delle diagnosi di coma e di stato vegetativo; condizioni in realtà fra loro affatto diverse. Ciò è funzionale a un discorso volto a negare l’autodeterminazione della perso-na, facendo leva sull’incertezza prognostica e sulla possibilità di risvegli miracolosi (mai documentati).

Tutto ciò è frutto di un’inversione di percorso, ove il giudi-zio – o il pre-giudizio – precede l’indagine e nega l’ascolto. È evidente, da questi espedienti lessicali, l’intenzione di evitare

SceLte Di FiNe vitA: iL LeSSicO e Le regOLePanorama internazionale e le prospettive italiane*

LuIGI GAuDInODocente dell’Università di Udine

Sommario: 1. Scelte di fine vita: perché parlarne? - 2. Scelte di fine vita: come parlarne. - 3. Il consenso informato. - 4. Il rifiuto delle cure e le direttive anticipate. - 5. Il suicidio medicalmente assistito (aid-in dying). - 6. L’eutanasia (volontaria). - 7. Un dibattito incessante: le ultime novità. - 7.1. La Francia. - 7.2. Il Canada. - 7.3. Il Messico. - 8. La dimensione sovranazionale. - 9. La situazione italiana. - 10. Come procedere.

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una reale discussione, di tranciare ogni possibilità di dialogo per creare invece l’impressione di essere di fronte a due schie-ramenti contrapposti: pro-vita v. pro-morte (cattolici v. laici). Il che ovviamente non corrisponde al vero ed è di ostacolo a un approccio sereno alle questioni.

Allora, prima di dividersi sul “che fare”, su quali regole debbano governare questo momento, è opportuno dare un nome alle cose. Anche questa – si dirà – è una scelta, che va motivata.

Ebbene, la scelta più corretta – per il giurista, ma non solo – non può non essere fondata sulle regole che, essendo già operative nelle molteplici realtà, consentono di confrontare fra loro le risposte che i vari ordinamenti hanno allestito.

Vedremo come sia possibile riordinare le scelte operate nei diversi Paesi in funzione del grado di autonomia riconosciuto al paziente e – dal confronto delle diverse esperienze – trarre preziosi elementi di comprensione dei problemi e di valuta-zione delle diverse soluzioni in campo.

3. il consenso informato

Come sopra accennato, il secolo scorso ha visto la progressiva affermazione del principio del consenso informato, a scapito dell’approccio paternalistico che aveva caratterizzato l’eserci-zio della medicina nei tempi passati.

Questo principio è ormai talmente condiviso, negli ordina-menti della western legal tradition, che non dovrebbe essere necessario soffermarsi – in questa sede – più di tanto; e ma-gari limitarsi a ricordare come sia implicito – nel concetto di consenso – il dissenso: cioè la possibilità di rifiutare le cure, anche se life saving.

Da non trascurare, inoltre, il fatto che l’accettazione delle terapie riguarda pure il versante delle cure palliative, compre-sa la terapia del dolore e compreso il profilo – di grande im-portanza teorica ed etica – del c.d. “doppio effetto”: alla luce del quale si ritiene da tutti eticamente corretto somministrare antidolorifici in dosi tali da accelerare la morte, se l’intenzione è quella di combattere il dolore non altrimenti affrontabile e non già di cagionare il decesso; e ciò è alla base della liceità della “sedazione profonda” nelle fasi terminali della vita.

Però, notizie su ciò che accade nel “mondo reale” suggeri-scono l’opportunità di interrogarci brevemente su cosa si deve, cosa si può, cosa non si deve dire al paziente, con riguardo alla terapia. Prendere sul serio il consenso informato non significa adempiere a ciò che rischia di diventare una fastidiosa prassi burocratica, bensì valorizzare al massimo grado i due termini, che corrispondono a due ben distinti momenti: a) l’informa-zione; b) il consenso.

La cosa migliore, per capire di cosa parliamo, è ricorrere a un esempio. Ipotizzando una diagnosi di neoplasia, il venta-glio delle risposte che il malato potrebbe ricevere può com-prendere:

A) chirurgia (tradizionale o robotica);B) farmacoterapia (chemioterapia e/o terapia ormonale);C) radioterapia;D) omeopatia;E) una serie di alternative miracolistiche, caldeggiate da

migliaia di siti web e persino in trasmissioni televisive di successo (somministrazione di tisane, urinoterapia, cristalloterapia, viaggi in santuari dal potere taumaturgi-co…).

Si può sempre discutere circa la validità di una o dell’altra opzione; tuttavia, è possibile affermare, con una certa sicu-rezza, che: le ipotesi A), B), C) debbano essere comunicate al paziente, con tutti i dettagli sui rischi e i benefici di ciascuno; precisando altresì che la preferenza del medico per una di esse non giustifica il suo silenzio sulle altre: la scelta finale è sempre del paziente. Qualche perplessità può sussistere su D), ma non v’è dubbio che il paziente al quale si prospetti questa via alternativa debba comunque essere già stato corret-tamente e senza pregiudizi informato sulle altre terapie (che sono scientificamente validate). Ancor più sicuro è che tutto ciò che è raggruppato al punto E) non debba essere oggetto di comunicazione da parte del medico.

Quanto al come, le informazioni devono tener conto del sog-getto che le riceve: la sua preparazione, la sua competenza, la sua personalità, il suo stato emotivo: senza dimenticare che, tra i diritti del paziente, v’è pure quello di non sapere, e di de-legare eventualmente altri a dialogare con i medici.

Tutto questo, ovviamente, avrà importanza anche sotto il profilo della responsabilità del medico, se e quando la que-stione si porrà.

4. il rifiuto delle cure e le direttive anticipate

Il principio del consenso informato, e del diritto a rifiutare le cure, porta a interrogarsi sul fatto se la signoria su se stessi debba essere cancellata una volta persa la capacità di manife-stare la propria volontà.

Si tratta, cioè – visto che una decisione deve inevitabilmente essere presa – di stabilire se la perdita di capacità determini uno spostamento del potere decisionale in capo a un soggetto diverso dalla persona interessata (sarà il medico? o qualche familiare? oppure tutto verrà sempre delegato al giudice?).

Il punto – condiviso dai vari ordinamenti – è che l’incapacità non trasforma il soggetto in oggetto: è in gioco la dignità della persona.

L’idea che lo stato di incapacità non debba portare a un’abla-zione della personalità e del diritto di ciascuno di decidere per sé è alla base del riconoscimento della validità dello stru-mento denominato – nelle varie realtà che il problema hanno affrontato – living will, instrucciones previas, Patientenverfügung, directives anticipées; testamento vital, e che da noi alimenta il dibattito sulle direttive/disposizioni anticipate di trattamento (testamento biologico).

Le normative mediante le quali si mira ad assicurare alla persona la possibilità di mantenere il controllo del proprio destino in caso di eventualità future prevedono – a grandi linee – la facoltà di redigere un documento contenente:

a) le volontà del soggetto con riguardo alle terapie alla quali intende o meno sottoporsi in caso di futura incapacità;

b) la designazione di un rappresentante (o, meglio, un “por-tavoce”, un nuncius) con il compito di garantire la rico-struzione e il rispetto delle volontà del paziente (power of attorney, personne de confiance).

Un – senz’altro incompleto (la situazione è davvero dina-mica) – elenco dei Paesi che hanno adottato strumenti del genere, per via legislativa e/o giurisprudenziale, oppure in virtù delle norme deontologiche o dell’adesione alle Carte sovranazionali, comprende: USA, Canada, Sudafrica, Austra-lia, Nuova Zelanda, Argentina, Uruguay, Panama, Cile, Mes-sico, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Ecuador, Costa Rica,

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

Inghilterra e Galles; Olanda, Belgio, Lussemburgo; Francia; Spagna; Portogallo; Austria; Germania; Danimarca; Finlan-dia; Svizzera; Slovenia, Ungheria; Bulgaria; Repubblica Ceca; Estonia; Lituania; Slovacchia; Grecia; Norvegia; Scozia; Irlan-da del Nord; Irlanda; Israele.

Molti sono in Paesi nei quali la discussione e aperta (Brasile, Venezuela, Cina, Giappone…).

In Italia, come vedremo, attualmente la regola ha natura giurisprudenziale.

5. il suicidio medicalmente assistito (aid-in dying)

Il suicidio assistito comporta che l’atto finale sia posto in esse-re direttamente dall’interessato.

Il ruolo del medico può essere quello di favorire, mediante la prescrizione dei farmaci, la realizzazione della volontà del paziente. Su questi temi, la regola più condivisa è quella che prevede un divieto generale privo di eccezioni: regola ritenu-ta necessaria per proteggere i soggetti vulnerabili da indebite influenze e pressioni esterne.

Tuttavia negli ultimi anni – anche su sollecitazione di una casistica giurisprudenziale che ha visto in prima linea persone colpite da SLA – alcuni Paesi hanno adottato regole diverse.

In Oregon – e sulla sua scia nello Stato di Washington, in Vermont, California, Colorado, New Mexico, Montana – la le-gislazione ha disciplinato, prevedendo procedure, garanzie e controlli, il suicidio medialmente assistito dei malati terminali.

In Canada – dopo che la Corte Suprema aveva dichiarato l’incostituzionalità del divieto di morte medicalmente assistita (caso Carter v. Canada) – il legislatore è intervenuto nel 2016 disciplinando compiutamente la materia.

In Svizzera l’art. 115, c.p., vieta l’istigazione o l’aiuto al sui-cidio, ma solo se attuati per motivi egoistici.

In Germania il nuovo § 217 del codice penale (del 2015) vieta l’aiuto al suicidio, quando effettuato su basi imprendi-toriali o associative

Più complessa la situazione in Inghilterra. Qui il suicidio as-sistito è senz’altro vietato (Suicide Act 1961), tuttavia la stessa legge subordina l’incriminazione a una decisione del Director of Public Prosecution.

La regola operativa risulta in tal modo ben più complessa di quanto possa apparire leggendo solo la legge. Stimolato dalla House of Lords, il Director of Public Prosecution ha infatti ema-nato un ampio documento (Policy for Prosecutors in Respect of Cases of Encouraging or Assisting Suicide) nel quale vengono in-dividuati i fattori idonei a considerare nell’interesse pubblico la scelta di attivare l’azione penale. La regola – la cui validità è stata confermata anche di recente dalla Corte Suprema – è che il Prosecutor non è tenuto (a fronte di una richiesta di “via libera”) a garantire in anticipo che non attiverà l’azione penale nei riguardi di chi presta il suo aiuto al suicidio di un malato (la casistica riguarda soprattutto l’organizzazione dei viaggi verso le organizzazioni svizzere). È solo una valutazione ex-post che può comportare il riconoscimento che tale azione non risulterebbe conforme al public interest.

Le statistiche circa l’esito di tale valutazione sono significa-tive: lo stesso Prosecutor ci informa (sul suo sito web) che, a fronte di centinaia di casi (gran parte dei quali relativi a perso-ne che hanno aiutato malati a recarsi in Svizzera), al momento si registra una sola condanna.

6. L’eutanasia (volontaria)

Dal punto di vista normativo – e sempre in base alla termi-nologia internazionalmente diffusa – il termine “eutanasia” dovrebbe essere riservato all’intervento del medico che inten-zionalmente pone fine alla vita del paziente: è così che vie-ne definito, ad esempio, il comportamento ritenuto lecito in Olanda, subordinatamente a determinate condizioni:

a) che la richiesta provenga da un paziente capace di inten-dere e volere, sia volontaria e ben ponderata;

b) che la sofferenza del richiedente sia insopportabile e non alleviabile;

c) che il richiedente sia stato informato circa la sua malattia e le sue scelte;

d) che non vi siano alternative ragionevoli;e) che sia stato raccolto il parere di un altro medico esperto

e indipendente;f) che si sia posto termine alla vita con la dovuta competen-

za professionale;g) che sia stato poi stilato un rapporto e che questo sia stato

consegnato a un apposito comitato regionale di controllo.Non è necessario che il soggetto si trovi in uno stato termi-

nale, poiché il fulcro della legge è la sua sofferenza insoppor-tabile e l’assenza di alternative.

Il modello Olandese si ritrova nelle normative adottate in Belgio e in Lussemburgo.

In Canada (prima in Quebec e poi a livello federale), le leggi consentono l’aide médicale à mourir-Medical Assistance in Dying, che comprende la somministrazione diretta del farmaco.

In Colombia è stata la Corte Suprema (20 maggio 1997, n. 329) a escludere la punibilità dell’omicidio pietoso su richie-sta del paziente.

7. un dibattito incessante: le ultime novità

Per comprendere come il tema sia universalmente sentito, e il dibattito sia incessante, merita dar conto con maggiori detta-gli di alcune recenti novità.

7.1. La FranciaNel 2005 in Francia viene emanata la c.d. “loi Leonetti” (Loi n° 2005-370 du 22 avril 2005 relative aux droits des malades et à la fin de vie), con la quale vengono introdotte le directive anticipées.

Il dibattito è poi proseguito – anche grazie all’esperienza maturata con la legge del 2005 –, e ha portato all’approva-zione della LOI n° 2016-87 du 2 février 2016 créant de nou-veaux droits en faveur des malades et des personnes en fin de vie, e del Décret n° 2016-1066 du 3 août 2016 modifiant le code de déontologie médicale et relatif aux procédures collégiales et au recours à la sédation profonde et continue jusqu’au décès prévus par la loi n° 2016-87 du 2 février 2016 créant de nouveaux droits en faveur des malades et des personnes en fin de vie.

Questi due interventi normativi hanno modificato moltepli-ci articoli del Code de la Santé Publique. La guida è rappresen-tata dai i diritti del malato: autonomia (diritto di decidere); diritto alle cure più appropriate; diritto al trattamento delle sofferenze; diritto di non correre, in tutte le fasi, rischi spro-porzionati ai benefici; diritto a un fine vita degno, accompa-gnato dal miglior trattamento della sofferenza e a tutte le cure palliative.

Il modello francese prevede ora:

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DOSSier La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017

A) il consenso informato del paziente per ogni attività dia-gnostica o terapeutica (va indagata anche la volontà di minori o soggetti a tutela);

B) il medico deve rispettare il rifiuto del paziente e, se ciò mette a rischio la vita, la volontà va ribadita dopo un periodo ragionevole; può essere chiesto l’intervento di un altro medico;

C) se il soggetto non è più capace di esprimersi, la guida è sempre la volontà dell’interessato, e va ricostruita: C1) se presenti, in base alle directives anticipées (da rispettare, salvo in caso d’urgenza, per il tempo necessario a valu-tare la situazione, oppure che si rivelino manifestamente inappropriate o non conformi alla situazione medica); C2) in loro assenza, mediante la testimonianza della per-sonne de confiance, se nominata, o di parenti o proches;

D) il rifiuto o la rimozione possono riguardare qualsiasi te-rapia, comprese nutrizione e alimentazione assistite;

E) è possibile chiedere la sedazione terminale nei casi di morte imminente (anche a seguito di rinuncia delle cure) e di sofferenze refrattarie ai trattamenti;

F) una procedura collegiale è prevista per tutta una serie di situazioni (decisioni circa obstination déraisonnable; atti-vazione di sedazione terminale; cessazioni di terapie che mettono a rischio la vita…);

G) sono previsti il controllo continuo della situazione e del funzionamento delle regole, e affidato un preciso ruolo al Comitato consultivo nazionale d’etica per le scienza della vita e della salute, viene favorito lo svolgimento del dibattito pubblico su questi temi, si prevede infine la convocazione di “Stati generali”.

Per gli incapaci interviene la personne de confiance o uno de-gli altri soggetti indicati dalla legge; limitazioni o cessazioni di terapie che mettono a rischio la vita devono rispettare la procedura collegiale e le direttive anticipate.

Per quanto possibile, si deve cercare il consenso anche di minori e maggiorenni sotto tutela.

Nell’insegnamento clinico si prevede l’obbligo del rispetto del malato anche da parte degli studenti.

7.2. Il CanadaNel 1993 la Corte Suprema respinge i dubbi di costituziona-lità avanzati nei riguardi del divieto di suicidio assistito (caso Rodriguez v. British Columbia), ritenendo tale soluzione l’unica via per tutelare le persone vulnerabili, pur nella consapevo-lezza che ciò comporta il sacrificio dell’autodeterminazione di chi – impossibilitato dalla malattia a farlo – intende sui-cidarsi prima che le proprie condizioni portino a una morte angosciosa.

Nel 2014 la provincia del Quebec approva la legge su “les soins de fin de vie” che prevede – oltre al diritto al rifiuto delle cure, anche mediante direttive anticipate, al diritto alle cure palliative e alla “sedazione palliativa continua” – la possibilità per il paziente di ottenere (art. 3, 6° co.) l’“aide médicale à mourir”, cioè “un soin consistant en l’administration de médica-ments ou de substances par un médecin à une personne en fin de vie, à la demande de celle-ci, dans le but de soulager ses souffran-ces en entraînant son décès”.

L’intervento è riservato ai soggetti che lo richiedano in ma-niera formale, secondo modalità strettamente regolamentate. In particolare, è necessario che si tratti di soggetti in fin di

vita, colpiti da una malattia grave e incurabile tale da deter-minare un decadimento irreversibile della capacità e le cui sofferenze fisiche o psichiche non siano trattabili in condizioni che essi stessi ritengano tollerabili.

Va segnalato come le stessa legge, nel disciplinare le direttive anticipate per il caso di futura incapacità, escluda dal loro contenuto la richiesta di aiuto a morire: una domanda in tal senso deve evidentemente provenire da un soggetto nel pieno delle proprie capacità.

Nel 2015 la Corte Suprema (caso Carter v. Canada) – appro-va l’anticipatory overruling operato dalla corte di primo grado (che era stata ribaltata in appello) e dichiara l’incostituzio-nalità dei divieti assoluti di aiuto al suicidio e di omicidio del consenziente, dando un termine al Parlamento per inter-venire. Particolarmente significativo, nella lunga e articolata motivazione, è il riconoscimento che il divieto in questione incide sul diritto alla vita di quanti, ove impossibilitati ad ot-tenere un aiuto esterno e colpiti da malattia progressivamente invalidante, potrebbero essere indotti a suicidarsi anzitempo, finché ancora in grado di farlo autonomamente.

Il 17 giugno 2016 il parlamento canadese emana il Bill C-14: “An Act to amend the Criminal Code and to make related amendments to other Acts (medical assistance in dying)”. In base a questa legge:

a) rimangono puniti l’omicidio del consenziente e l’aiuto al suicidio;

b) medici, infermieri, farmacisti e chi li assiste (si precisa: assistenti sociali, psichiatri, psicologi, terapeuti, medici infermieri e altri operatori sanitari) non sono punibili se prestano la loro assistenza nella morte del paziente, nel rispetto della legge (e non sono punibili nemmeno in caso di ragionevole ma errata convinzione che la situa-zione sia legittima);

c) si consente l’aiuto medico nella morte (Medical Assistance in Dying, Aide médicale à mourir), che comprende la som-ministrazione diretta o la consegna di sostanze al paziente;

d) riserva queste procedure a chi abbia diritto all’assistenza sanitaria pubblica, sia maggiorenne e capace, sia affet-to da problemi di salute gravi e irrimediabili (definiti in dettaglio dalla legge: condizione incurabile, declino irre-versibile della capacità; sofferenze intollerabili non trat-tabili in maniera accettabile; morte naturale prevedibile), abbia formulato una richiesta volontaria senza pressioni esterne, abbia formulato il consenso dopo essere stato informato circa i mezzi per alleviare le sofferenze e in particolare circa le cure palliative;

e) devono essere rispettate precise procedure e formalità prescritte (informazioni, richiesta scritta, reiterata, par-tecipazione di testimoni e professionisti indipendenti);

f) il ministero emana regolamenti volti a tenere sotto con-trollo l’applicazione della legge e a fornire guidelines.

7.3. Il MessicoCittà del Messico ha di recente modificato il proprio status: da Distrito Federal a Ciudad de México: Stato con una propria Costituzione e un proprio Congresso.

La nuova Costituzione, attualmente in discussione, vede tra gli articoli già approvati molti passi di grande interesse. In particolare, l’art. 11 (Ciudad de libertades y derechos) approvato il 4 gennaio 2017, prevede:

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

A. Derecho a la autodeterminación personalToda persona tiene derecho a la autodeterminación y al libre desar-rollo de una personalidad.Este derecho humano fundamental deberá posibilitar que todas las personas puedan ejercer plenamente sus capacidades para vivir con dignidad. La vida digna contiene implícitamente el derecho a una muerte digna.

L’art. 14 (Ciudad solidaria), ribadisce poi il Derecho a la vida digna, secondo linee che sono in corso di raffinazione e poi di-sciplina (punto D) in maniera dettagliata il Derecho a la salud, con particolare riguardo al consenso informato.

8. La dimensione sovranazionale

Come abbiamo visto, le varie soluzioni – benché raggrup-pabili secondo alcune opzioni tipiche – figurano essere state adottate sempre a livello di singolo Stato.

Tuttavia, la lettura della casistica testimonia come il dibattito sorvoli senza difficoltà i confini nazionali: basta ricordare come i giudici canadesi – nel loro overruling della pronuncia del 1993 – abbiano fatto tesoro delle esperienze maturate in altre realtà (dall’Oregon all’Olanda) e come quella stessa pronuncia sia stata rapidamente oggetto di considerazione – con esiti di-versi – da parte delle corti del Sudafrica (caso Stransham-Ford v. Minister of Justice And Correctional Services and Others) e della Nuova Zelanda (caso Lecretia Seales v. Attorney General).

D’altro canto, gli stessi giudici italiani (come accaduto nel caso Englaro) non mancano di considerare con attenzione i suggerimenti provenienti da legislazioni e arresti giurispru-denziali di altri Paesi.

Esiste, però, pure una dimensione veramente sovranazionale.Anzitutto, nell’ambito del Consiglio D’Europa, la Conven-

zione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (Convenzione di Oviedo) del (1996), dedica due passaggi alle questioni che ci interessano.

Al consenso informato è dedicato l’art. 5:

Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato.Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi.La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente riti-rare il proprio consenso.

Delle “direttive anticipate” si occupa l’art. 9:

I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in con-siderazione.Non possiamo non stigmatizzare il fatto che, benché l’Italia

abbia da tempo ratificato la Convenzione (l. 28 marzo 2001, n. 145), essa non sia pienamente operativa poiché mancano alcuni passaggi formali che i vari governi succedutisi negli anni hanno trascurato di effettuare (il che non ha peraltro impedito ai nostri giudici di farvi riferimento quale guida in-terpretativa per il diritto interno).

Va menzionata, poi, la Recommendation no. 1418 (1999) in cui si parla di rispetto e tutela della dignità del morente, dei diritti alle cure palliative, all’autodeterminazione, al rispet-

to di advance directive or living will. E ancora più di recente, incontriamo la Guide on the decision-making process regarding medical treatment in end-of-life situations del Committee on Bio-ethics (DH-BIO) of the Council of Europe (2014).

Quanto all’Unione Europea, la Carta dei diritti fondamentali, dopo aver affermato (Art. 1) l’inviolabilità della dignità umana si occupa (art. 3) del “Diritto all’integrità della persona”:

1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.

2. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:– il consenso libero e informato della persona interessa-

ta, secondo le modalità definite dalla legge,– il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di

quelle aventi come scopo la selezione delle persone,– il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in

quanto tali una fonte di lucro,– il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri

umani.Volutamente il testo non si addentra oltre sui nostri temi: e

ciò proprio perché redatto nella consapevolezza di avere già sullo sfondo un documento specifico, qual è la Convenzione di Oviedo.

Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è espressa più volte.

Nella maggior parte dei casi, si è trattato di sfide portate – da parte di soggetti affetti da malattia invalidanti, che impedisco-no loro di suicidarsi senza aiuti esterni – alle norme interne che vietano l’aiuto al suicidio.

La norma con maggiore frequenza invocata è rappresentata dall’art. 8 CEDU, che assicura il rispetto della vita privata e familiare; ma si sono chiamati in causa pure gli artt. 2 (diritto alla vita); 3 (proibizione della tortura); 5. (Libertà e sicurez-za); 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione); 14 (di-vieto di discriminazione).

Parliamo dei casi Sanles v. Spain (2005); Pretty v. United Kingdom (2002); Nicklinson and Lamb v. the United Kingdom (2015); Haas v. Switzerland (2011); Koch v. Germany (2012) e, da ultimo, del caso Lambert v. France (2015).

Dalla lettura di tutti questi casi emerge una precisa direttiva: la scelta su come operare il bilanciamento fra rispetto dell’au-tonomia dei malati e tutela dei soggetti vulnerabili spetta ai legislatori nazionali; legittime pertanto sia le normative che pongono divieti, sua quelle più permissive (posizione tutto sommato analoga a quella sposata dalla Corte Suprema U.S.A. nel 1997; casi Vacco v. Quill e Washington vs. Glucksberg).

9. La situazione italiana

La situazione a casa nostra – disegnata soprattutto dal for-mante giurisprudenziale – può esser così sintetizzata:

a) il consenso informato “si configura quale vero e proprio diritto della persona” (Corte cost. 438/2008);

b) il rifiuto delle cure si estende alla cessazione/rimozione di quelle in precedenza accettate, anche se necessarie al mantenimento in vita (casi Englaro: Cass. 21748/2007; Welby: Trib. Roma 23 luglio 2007; Piludu: Trib. Cagliari 16 luglio 2016);

c) la volontà va rispettata anche se il soggetto non è più capace di esprimerla; spetta al tutore decidere – non “al posto del” ma “con” l’incapace (Cass. su caso Englaro);

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d) per effetto di un intervento (volutamente?) “scoordina-to”, la l. 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) prevede (art. 40): “Ciascun convivente di fatto può designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati: a) in caso di malattia che com-porta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute” (per i conviventi – non per i co-niugi? non per i soggetti uniti civilmente? – è possibile ora designare il fiduciario con pieni poteri in materia di salute; al fiduciario andranno, ovviamente, impartite le direttive).

Di fronte a ciò, e al silenzio del legislatore, molti Comuni si sono attivati per istituire registri delle dichiarazioni antici-pate. La Regione FVG ci ha provato nel 2015 ma la sua leg-ge è stata dichiarata incostituzionale (Corte cost. 262/2016), perché avrebbe invaso un campo riservato alla legislazione nazionale.

Il nuovo Codice di Deontologia Medica (2014), all’art. 38: si occupa delle “Dichiarazioni anticipate di trattamento”, in-vitando i medici a tenerne conto.

10. come procedere

Prima di dare spazio alle cronache parlamentari, è opportuna qualche riflessione.

Parlando di diritti della persona, la storia ci insegna che – nel nostro come negli altri Paesi occidentali – questo territorio è stato costantemente caratterizzato da una tendenza espansi-va, frutto di un’interazione fra i vari attori sociali, che ha as-sunto la forma di un “circolo virtuoso”, così schematizzabile:

Sul tema dell’autodeterminazione del paziente, il nostro Paese, dopo il caso Englaro, si è fermato al secondo passag-gio (fase 2). E, possiamo dire, ciò non è stato un male, se ricordiamo quale fosse il contenuto del d.d.l. “Calabrò” (ap-provato nella precedente legislatura dalla Camera e poi de-caduto), formulato come il famoso “Comma 22”del romanzo di Joseph Heller: in esso si vietava prima l’accanimento tera-peutico consentendo poi, con le disposizioni anticipate, di rinunciare al solo accanimento terapeutico, precisando anco-

ra che “alimentazione e idratazione artificiale non sono mai accanimento”.

Se è senz’altro vero che – grazie alla Costituzione, alle fonti internazionali e alla nostra giurisprudenza – si può conferma-re che “nessuna legge è meglio di una cattiva legge”; resta il fatto che molte considerazioni spingono verso l’approvazione di una “buona legge”.

Esigenze di certezza e di serenità.Certezza per i medici, che non possono operare sempre con

i timori di quale sia il comportamento corretto; per i malati e per le loro famiglie, che non devono aggiungere alle sofferen-ze della malattia quelle necessarie per far valere il loro diritti.

Serenità per i protagonisti: medici e pazienti devono cono-scere quali sono i comportamenti corretti e poter agire senza timori.

Esigenze di semplicità: protocolli (non eccessivamente) for-malizzati evitano il ricorso “difensivo” alla giurisdizione.

Al momento (febbraio 2017), alla Camera è all’esame il frut-to del lavoro del Comitato ristretto della Commissione XII (Affari sociali).

I tratti caratterizzanti di questo testo sono:1) affermazione del principio del consenso informato e del-

la relazione di cura fondata su autonomia del paziente e competenza del medico (precisando che il tempo della comunicazione è tempo di cura);

2) diritto del paziente di ricevere o meno tutte le informa-zioni, indicando eventualmente un familiare o una per-sona di fiducia a ciò delegata;

3) diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento (compresa alimentazione e idratazione artificiali);

4) coinvolgimento nelle decisioni, per quanto possibile, di minori e incapaci;

5) vincolatività (salva l’insorgenza di novità terapeutiche non considerabili al momento della redazione) delle Disposi-zioni Anticipate di Trattamento; nomina di un fiduciario (in assenza del quale verranno coinvolti i familiari);

6) pianificazione condivisa delle cure in caso di patologie croniche e invalidanti, da rispettare in caso di perdita di capacità.

Il testo – che palesemente fa tesoro di quanto la dottrina da tempo va elaborando – appare nelle sue linee ispiratrici con-divisibile, e tuttavia il suo percorso si annuncia non privo di ostacoli, frapposti da quanti (viste anche le proposte di legge depositate) appaiono ancora affezionati al “modello Calabrò”.

Questo lo stato dell’arte al momento.Il resto seguirà il destino degli equilibri politici – ai quali

negli ultimi lustri figurano essere stati sacrificati i diritti e la dignità delle persone: di tutte le persone (quando si parla di fine vita e di malattia “siamo tutti coinvolti”) – e dipenderà dall’incerta durata dell’attuale legislatura.

Il timore è che l’Italia continui a rappresentare – su questi temi – un’eccezione rispetto al panorama dei paesi occidenta-li; un primato del quale è difficile andare fieri.

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1. il principio di dignità

Io credo che un approccio corretto alle tematiche che ci impe-gnano in questa tavola rotonda debba prendere le mosse dal principio di dignità.

Il concetto di dignità ha radici antiche nella storia e nella filosofia, prima ancora che nel diritto, e si declina nelle varie culture e nei vari periodi storici in termini diversi.

Nella prospettiva cristiana la dignità racchiude in sé il profi-lo statico della dote e quello dinamico della conquista, in quan-to è intesa come dono divino ad ogni essere vivente creato a immagine di Dio, che tuttavia richiede di essere coltivato ed arricchito vivendo nel rispetto dei precetti evangelici.

Nella elaborazione moderna la dignità si sostanzia nel reci-proco rispetto tra gli esseri umani. In particolare, nella visione di Kant essa esprime un concetto morale connesso all’idea di valore: l’individuo non può mai essere un mezzo, uno stru-mento di qualcosa o di qualcuno, ma va considerato sempre come fine di se stesso, perché titolare di valori fondamentali non negoziabili. Ogni persona, in quanto essere razionale, è dotata di una propria dignità, che costituisce un elemento co-essenziale al suo status del quale non può essere deprivata, ed al tempo stesso è portatrice della dignità dell’intera umanità.

La declinazione del concetto di dignità in principi giuridici trova espressione già nelle Dichiarazioni dei diritti delle co-lonie americane del diciottesimo secolo e nella Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, lì dove enunciano che tutti gli uomini nascono egualmente liberi e indipendenti e sono titolari di una serie di diritti innati ed imprescrittibili.

Più tardi, la centralità del valore della persona umana, al di là delle appartenenze nazionali e delle diverse culture, ide-ologie e religioni, e l’intangibilità della sua dignità ricevono pieno riconoscimento sia nelle Costituzioni del ventesimo secolo, sia nel Preambolo della Carta dell’ONU del 1945, sia ancora nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la quale all’art. 1 sancisce che tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.

La Carta di Nizza nel suo Preambolo pone la dignità umana come primo valore fondativo dell’Unione, considerato indi-visibile e universale, e nel primo articolo recita che la dignità umana è inviolabile e deve essere rispettata e tutelata. Nel corpo della Carta un intero titolo, il primo, è dedicato alla dignità umana, quale valore di riferimento nella tutela di specifici di-ritti, secondo una prospettiva concreta e relazionale, tanto da assumere un ruolo fondamentale nel processo di costituzio-nalizzazione del diritto privato europeo.

Quanto al nostro ordinamento, l’art. 3 della Costituzione, nell’affermare che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, antepone il principio di dignità a quello di eguaglianza e rende manifesto che eguaglianza e dignità non possono essere separate, in quanto la dignità sociale costituisce fondamentale principio regolatore dei rapporti tra le persone.

L’art. 2 della Costituzione pone una diretta connessione tra il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo e l’adem-pimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, così da configurare uno stretto collegamento tra soli-darietà, dignità ed eguaglianza, onde l’elusione della prima si risolve nella violazione della dignità e dell’eguaglianza.

Al tempo stesso, nel richiedere l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale il di-sposto dell’art. 2 Cost. rivela l’attenzione del costituente per le reali condizioni di vita di ogni essere umano, atteso che la dignità della persona non può esplicarsi se questa non è posta nelle condizioni di liberarsi dai bisogni che le impediscono di realizzare la propria soggettività.

Si delinea pertanto nella Carta costituzionale una concezio-ne essenzialmente dinamica della dignità, che attraverso il va-lore della libertà come possibilità dell’uomo e della donna di autodeterminarsi collega la pari dignità sociale al pieno sviluppo della persona umana.

Non più contrapposte, vengono in tal modo a coesistere le due accezioni della dignità, come dote innata ed indisponibile e come risultato da raggiungere attraverso l’autodetermina-zione di soggetti liberi e responsabili. E se

pure è vero che la dignità acquisita, in quanto effetto del merito o del demerito dei comportamenti concretamente as-sunti, può portare al raggiungimento di posizioni differenzia-te, la dignità innata preclude ogni possibilità di trattamenti inumani o comunque lesivi dell’umanità della persona.

Nell’elaborazione giurisprudenziale nazionale, internazio-nale e comunitaria degli ultimi anni il concetto di dignità è sempre più spesso evocato ove si ponga una esigenza di tutela dei diritti fondamentali delle persone, soprattutto di quelle più esposte e vulnerabili.

Le implicazioni sul piano giuridico del valore della dignità investono infatti i temi più sensibili del vivere civile e coinvol-gono una vasta gamma di contenzioso riguardante la vita, la salute, l’autodeterminazione, la stessa individualità biologica, i diritti dei lavoratori, lo stato di detenzione, l’immigrazione, la tutela delle donne.

Il concetto di dignità viene così ad assumere un rilievo ben più pregnante della originaria connotazione etico-filosofica, per diventare un asse portante del sistema giuridico.

DigNità DeL vivere e DeL mOrirei diritti del malato, il giudice e la legge. il caso englaroGABRIELLA LuCCIOLIGià Presidente della Prima sezione della Corte di cassazione

Sommario: 1. Il principio di dignità. - 2. La sentenza Englaro: il consenso informato e il rifiuto delle cure nella prospettiva della dignità della persona. - 3. Le reazioni delle istituzioni e della politica alla sentenza Englaro. - 4. La legge sul consenso informato e sul fine vita all’esame del Parlamento. - 5. La via giurisprudenziale per dar voce alla volontà del malato attraverso l’amministratore di sostegno.

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La centralità del valore della dignità della persona, intesa come il diritto dei diritti, come supercategoria da cui discendo-no tutti i diritti umani, appare particolarmente evidente nella giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di tratta-menti sanitari e di biodiritto: segnalo, a mero titolo esemplifi-cativo, che il principio di dignità della donna è stato invocato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione in relazione alla maternità surrogata, una pratica sanzionata penalmente in Italia, che vede la gestante ridotta a mero contenitore di una vita destinata a non appartenerle mai.

Richiamo ancora le molte pronunce della Corte Costituzio-nale che hanno fatto applicazione del principio di pari dignità sociale con riferimento ai diversi tipi di discriminazioni in ra-gione del sesso, della lingua, della razza, della religione, delle condizioni personali e sociali.

2. La sentenza englaro: il consenso informato e il rifiuto delle cure nella prospettiva della dignità della persona

È appunto alla dignità del vivere e del morire – la seconda non meno importante della prima – che ha fatto riferimento la Corte di Cassazione nella nota sentenza relativa alla vicenda Englaro.

Al tempo di detta pronuncia la tematica del fine vita, oltre che essere priva di alcuna regolamentazione giuridica, era pressoché inesplorata dalla giurisprudenza. E tuttavia compito ineludibile dei giudici era quello di dare una risposta alla do-manda di giustizia tenacemente proposta da Beppino Englaro.

Non mi soffermerò sui contenuti della sentenza, certamente noti ai presenti. Vorrei limitarmi in estrema sintesi a rilevare la centralità che assume nella decisione in discorso il princi-pio di dignità della persona, che impone il riconoscimento del diritto di manifestare la propria volontà alla continuazione o alla cessazione delle cure.

Il riferimento è all’art. 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili della persona umana, nonché all’art. 32 della Costituzione, che dando sostanza nel nostro ordina-mento al principio dell’habeas corpus, secondo l’antica formu-la che impegnava il sovrano a non mettere mano sul corpo dei cittadini, definisce la tutela della salute come diritto fondamen-tale dell’individuo, adottando una definizione che si discosta dall’abituale riferimento all’inviolabilità dei diritti. Nel sancire che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti al rispetto della persona umana l’art. 32 detta una regolamentazione più stringente di quel-la contenuta nell’art. 13, che prevede la riserva di legge e di giurisdizione per ogni restrizione della libertà personale, ed esprime uno dei principi più forti della Carta costituzionale, in quanto pone il rispetto della dignità della persona come un limite che neppure la legge può superare.

Il riferimento è ancora alla Convenzione di Oviedo sui dirit-ti dell’uomo e sulla biomedicina del 4 aprile 1997, ratificata dall’Italia con legge 28 marzo 2001 n. 145, che pone come proprio oggetto e propria finalità la protezione dell’essere umano nella sua dignità e nella sua identità.

La sentenza inoltre evidenzia che nella tutela della salute co-esistono l’aspetto positivo del diritto alla cura e quello negati-vo del diritto al rifiuto del trattamento: un diritto quest’ultimo

che trova riconoscimento esplicito nell’art. 8 della CEDU ed uno implicito nell’art. 5 della Convenzione di Oviedo, oltre che nell’art. 3 della Carta di Nizza.

Come afferma Rodotà, il corpo inviolabile diventa così pre-sidio di ogni essere umano, cui in nessun caso si può mancare di rispetto.

Ne consegue che solo il consenso informato dà legittimazione e fondamento ad ogni trattamento sanitario, salvi ovviamente i casi eccezionali di trattamenti sanitari obbligatori previsti dalla legge: in mancanza del consenso, che deve essere con-sapevole e fondarsi su un’alleanza terapeutica tra medico e paziente, l’intervento del medico non è lecito, anche quando ne derivi il sacrificio della vita, ed è suscettibile di essere va-lutato come reato.

È opportuno al riguardo ricordare che il cammino che in Italia ha condotto all’affermazione del principio del consen-so informato come presupposto di legittimità dell’operato del medico è stato lungo e complesso, ancora una volta in forte ritardo rispetto agli Stati Uniti, ove già intorno alla metà dello scorso secolo la casistica giurisprudenziale si era data carico di individuare le modalità secondo le quali il consenso doveva essere prestato.

Nel nostro Paese si è passati faticosamente da una imposta-zione paternalistica orientata ad attribuire soltanto al medico il diritto-dovere di individuare ed attuare la scelta terapeuti-ca, così esercitando il proprio potere sul corpo della persona malata, alla successiva assunzione del consenso come causa di giustificazione dell’atto medico lesivo dell’integrità psico-fisica dell’individuo; ma anche tale passaggio è risultato ad una successiva riflessione non appagante, atteso che con il consenso il soggetto non rinuncia ad esercitare un diritto, ma al contrario fa valere il proprio diritto alla salute.

Si è infine giunti al diffuso convincimento della essenzialità del consenso quale imprescindibile legittimazione giuridica di ogni attività diagnostica e terapeutica, e quindi al ricono-scimento di esso come espressione di libertà.

In tale prospettiva il consenso si pone come sintesi tra due diritti fondamentali, quello alla inviolabilità della persona, in-tesa come libertà nella quale è ricompreso il potere di dispor-re del proprio corpo, e quello alla salute.

Come appare evidente, la necessità del consenso fa uscire il malato dal cono d’ombra della soggezione al medico e gli riconosce il ruolo di protagonista in ogni decisione che coin-volga la sua salute.

E se pure il medico resta depositario della conoscenza e dell’esperienza che le cure richiedono, la libertà di determi-nazione del paziente assume comunque valore primario ed assorbente rispetto ai doveri del sanitario.

Ne deriva una configurazione del rapporto tra il soggetto che cura ed il destinatario delle cure del tutto diversa da quel-la originariamente percepita, in quanto delinea una alleanza, una relazione dialettica e feconda tra il malato ed il medico, il quale informa, mettendo a disposizione il suo sapere, poi ascolta, poi aiuta il paziente nella decisione, che deve essere infine in ogni caso recepita e rispettata.

Tali acquisizioni, da tempo fatte proprie da diverse leggi na-zionali e regionali che disciplinano specifiche attività mediche, oltre che dalla giurisprudenza italiana di legittimità, di merito ed anche costituzionale (v. per tutte Corte Cost. 2008 n. 438; 2009 n. 253, entrambe pronunciate in un momento in cui

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

erano ancora aspre le polemiche sul caso Englaro), nonché da quella europea e statunitense, ed anche dal codice italiano di deontologia medica (art. 35), rendono evidente che il consen-so informato costituisce principio fondamentale in materia di tutela della salute e che il paziente è l’unico dominus della pro-pria salute e l’unico soggetto cui appartiene la decisione sul se, come, quando e quanto curarsi, e quindi di rifiutare le cure, anche ove da tale rifiuto possa derivare la morte.

A tali principi la sentenza n. 21748/2007 ha inteso ispi-rarsi, muovendo il suo percorso argomentativo proprio dalle norme costituzionali e dal principio personalistico che ispira l’intera Carta.

La parte più delicata della motivazione riguardava la prova del consenso o del venir meno del consenso al trattamento terapeutico nei casi, come quello in esame, in cui il soggetto non sia in grado di esprimere e non abbia espresso in passato in modo esplicito le proprie scelte. La Cassazione ha percorso al riguardo l’unica strada percorribile, quella della ricostru-zione della presunta volontà della ragazza in ordine alla pro-secuzione o alla interruzione del trattamento attraverso un esame attento del suo stile di vita, dei valori coltivati nel corso della sua breve esistenza, della sua complessiva visione del mondo, dei suoi interessi, della sua concezione della dignità. In questa ricostruzione la Corte ha inteso riaffermare la cen-tralità della persona, come individuo ancora in vita ed unico depositario della volontà di curarsi.

Si è trattato chiaramente di una modalità di accertamento della volontà del tutto diversa da quelle tradizionalmente adottate in altre materie, ed in particolare in quella contrat-tuale, atteso che qui l’autodeterminazione non è stata iden-tificata con manifestazioni esplicite della volontà, ma con il progetto esistenziale della persona nella sua complessità.

Attraverso tale percorso la Corte ha deciso con Eluana, non per Eluana.

3. Le reazioni delle istituzioni e della politica alla sentenza englaro

Le reazioni che accompagnarono la sentenza della Corte di Cassazione e successivamente il decreto della Corte di Appel-lo che applicando i principi dettati in sede di legittimità auto-rizzò la cessazione del trattamento di idratazione e alimenta-zione forzata segnarono uno dei punti più bassi nel rapporto tra istituzioni, in plateale violazione del principio di divisione dei poteri e del giudicato.

Aleggiarono epiteti di carnefici e assassini rivolti ai giudici da singoli parlamentari. Alcuni parlarono di prima sentenza di condanna a morte nella storia della Repubblica. Agli attac-chi ingiuriosi contro gli autori della decisione, in una inac-cettabile personificazione della sentenza – che era e rimaneva una sentenza della Corte di Cassazione – si accompagnarono iniziative politiche volte a contestare la legittimità della de-cisione e ad impedirne l’esecuzione. Ricordo in particolare il conflitto di attribuzione contro le due pronunzie sollevato da entrambi i rami del Parlamento dinanzi alla Corte Costi-tuzionale, nell’assunto che esse avessero violato il principio di separazione dei poteri, trattandosi di decisioni solo appa-rentemente giurisdizionali, ma sostanzialmente normative ed invasive di una materia appartenente alla sfera tipica della di-screzionalità legislativa. Il conflitto fu risolto dalla Corte Costi-tuzionale con l’ordinanza n. 334 dell’8 ottobre 2008 di inam-

missibilità, per non essere ravvisabili indici atti a dimostrare che i giudici avessero utilizzato i provvedimenti censurati come meri schemi formali per esercitare funzioni di produ-zione normativa o menomare l’esercizio del potere legislativo.

Ricordo la lettera del 3 settembre 2008 del Direttore Ge-nerale della Sanità della Regione Lombardia che respingeva la richiesta di accogliere Eluana presso una struttura sanita-ria regionale per procedere alla sospensione del trattamento. Tale atto fu successivamente annullato, in accoglimento del ricorso proposto da Beppino Englaro, dal TAR Lombardia con pronuncia del 26 gennaio 2009, poi confermata dal Consiglio di Stato con sentenza del 2 settembre 2014.

Richiamo l’atto di indirizzo alle Regioni del Ministro della Salute del 16 dicembre 2008 che vietava alle strutture sani-tarie pubbliche e private convenzionate con il SSN l’interru-zione dell’idratazione e dell’alimentazione forzata dei malati, definite come sostentamento ordinario di base eticamente, de-ontologicamente e giuridicamente dovuto. Richiamo ancora la pronuncia della Corte di Strasburgo del 22 dicembre 2008 di irricevibilità delle istanze di alcuni cittadini ed associazioni italiane contro la decisione della Corte di Appello.

Ricordo altresì l’approvazione da parte del Consiglio dei Mi-nistri, nello stesso giorno in cui iniziava presso la clinica La Quiete di Udine l’applicazione del protocollo per la progres-siva riduzione dell’alimentazione e dell’idratazione forzata, di un decreto legge diretto ad impedire la sospensione del trat-tamento, che il presidente Napolitano rifiutò di firmare, e la successiva approvazione in seduta straordinaria dello stesso Consiglio dei Ministri, in una spasmodica corsa contro il tem-po, di un disegno di legge di contenuto identico a quello del decreto legge rifiutato, nell’assurda pretesa di una sua appli-cazione ad una vicenda già compiutamente definita con una pronuncia passata in giudicato.

Ricordo infine le numerose iniziative intraprese presso la clinica di Udine, consistenti tra l’altro in controlli dei NAS e visite degli ispettori ministeriali, volte ad impedire l’applica-zione del protocollo.

A seguito della morte di Eluana, avvenuta il 9 febbraio 2009, il Governo ritirò il disegno di legge.

La scansione di tali iniziative rende plasticamente evidente la strumentalizzazione di una vicenda così drammatica allo scopo di porre in essere una nuova battaglia della politica contro la magistratura, tra le tante che segnarono tristemente la storia di quegli anni, e specificamente per imporre il pri-mato della politica attraverso una esplicita violazione della legalità costituzionale. Non si trattò infatti di un legittimo confronto sui valori in gioco, ma di una contrapposizione tut-ta incentrata sui poteri.

Altrettanto aspro fu l’attacco di alcuni mezzi di informazio-ne e di alcuni gruppi associativi di ispirazione cattolica nei confronti dei magistrati che avevano emesso le due decisioni. La gerarchia ecclesiastica usò toni durissimi, accusando il col-legio della Cassazione di aver coltivato obiettivi politici e di essersi proposto di introdurre l’eutanasia con una sentenza.

Non mancarono critiche anche da parte della dottrina. La contestazione più ricorrente fu quella di aver travalicato i li-miti della giurisdizione ed aver violato, attraverso il canone dell’interpretazione costituzionalmente orientata, l’obbligo fondamentale per i giudici di interpretare, e non creare la leg-ge, usurpando le prerogative parlamentari.

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Più specificamente, si contestò alla Corte di Cassazione di aver strumentalizzato il valore della dignità per una interpre-tazione evolutiva che in realtà si sostanziava in una manipo-lazione delle previsioni normative ed in un aggiramento del vincolo di soggezione del giudice alla legge.

Le si imputò di aver recepito la distinzione tra vite degne e vite non degne di essere vissute, di aver disatteso il valore della indisponibilità ed inviolabilità assoluta della vita, che ha copertura costituzionale e promana dal carattere non solipsisti-co dell’esistenza, di aver erroneamente considerato l’idratazio-ne e l’alimentazione forzata delle terapie, di aver attribuito al tutore un potere non sussistente, di aver ricostruito la volontà di Eluana circa l’interruzione delle cure in base ad elementi non formali, piuttosto che a manifestazioni documentali pre-cise ed univoche.

Si contestò infine alla Corte di Cassazione l’insistito richia-mo ad orientamenti giurisprudenziali stranieri, ritenuti non rilevanti nell’ordinamento interno, e di aver in tal modo effet-tuato una indebita lettura aperta della Costituzione.

Le implicazioni umane della vicenda possono in parte giu-stificare l’asprezza di tali censure, ma non valgono a conferire loro, a mio avviso, serio fondamento giuridico.

In realtà il giudice non può eludere le domande di giustizia che gli sono rivolte dai cittadini, anche a fronte del silenzio del legislatore, e a tali istanze deve rispondere dando ricono-scimento e tutela ai diritti che trovano fondamento nel qua-dro dei principi costituzionali e nelle Carte dei diritti fonda-mentali, come vivificate dalle relative giurisdizioni.

Quanto alla contestazione di aver fatto un uso indebito o comunque eccessivo del metodo comparatistico, va ricordato che il ricorso a tale metodo costituisce da tempo, nella pratica delle Corti Supreme di molti Paesi occidentali, un fondamen-tale criterio ermeneutico per interpretare, adattare e comple-tare il diritto interno, specialmente quando questo appaia poco chiaro, contraddittorio o carente.

È convincimento della dottrina più consapevole che l’aper-tura del sistema interno al diritto internazionale e sovranazio-nale, desumibile dagli artt. 2, 3, 10, 11 e 117 comma 1 della Costituzione, consente di utilizzare la comparazione come strumento di ridefinizione semantica di istituti del diritto in-terno, tanto più ove siano in discussione diritti fondamentali e valori di dimensione universale. E tale approccio ermeneu-tico appare sempre più frequente nella giurisprudenza anche di legittimità del nostro Paese.

4. La legge sul consenso informato e sul fine vita all’esame del Parlamento

Da qualche tempo le tematiche relative al fine vita sono torna-te nell’agenda dei lavori parlamentari, dopo un lungo periodo di apparente disinteresse. La Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, a seguito dell’esame di vari progetti di legge in tema di consenso informato e dichiarazioni di volon-tà anticipate nei trattamenti sanitari, lo scorso 7 dicembre ha adottato un testo base che unifica i sedici progetti presentati, il quale sta per approdare all’esame della Camera.

Detto testo concerne il consenso informato e le disposizioni anti-cipate di trattamento, e non l’eutanasia, che è stata oggetto di as-segnazione congiunta alle commissioni Affari Sociali e Giustizia.

L’articolato in discussione, pur non privo di qualche carenza e di qualche ambiguità, appare snello, equilibrato e lontano

da impostazioni autoritarie, in quanto configura una relazio-ne dialogica tra malato e sanitari, dà spazio al principio di autodeterminazione con la previsione delle Disposizioni An-ticipate di Trattamento - DAT, sempre modificabili e revoca-bili, e prevede anche la possibilità di nomina di un fiduciario, con il compito di interloquire con i medici e con le strutture sanitarie. Punti fondamentali, fissati nell’art. 1 del testo, sono il consenso libero e informato, che unicamente legittima ogni trattamento sanitario, e la facoltà per il paziente di interrom-pere tutte le cure cui è sottoposto, incluse l’idratazione e l’ali-mentazione artificiale, esprimendo una volontà che il medico è comunque tenuto a rispettare.

Il numero esorbitante degli emendamenti presentati, ge-neralmente di segno contrario alla possibilità per il malato di rinunciare alle cure, e la rinnovata evocazione da parte di gruppi politici di termini impropri come eutanasia e suicidio di Stato, lasciano presagire un lungo ed infuocato dibattito parlamentare.

L’auspicio è che il legislatore dia risposta alle istanze dei cittadini in questa delicatissima materia con spirito laico e libero dalle strettoie ideologiche dei valori non negoziabili, evitando i totalitarismi e la radicalizzazione delle posizioni, riconoscendo ad ogni persona il diritto di decidere se e fino a che punto sono per lei accettabili interventi sul suo corpo.

Purtroppo tale radicalizzazione è ancora percepibile in re-centi interventi della gerarchia ecclesiastica apparsi sulla stampa, lì dove si nega decisamente, in nome del principio di indisponibilità della vita, il diritto di autodeterminazione del malato e si ribadisce il ruolo primario del medico, che si as-sume non poter essere ridotto a mero esecutore della volontà del paziente. Al contrario, soltanto l’adesione ad un elementa-re principio di laicità può consentire la coesistenza delle due opzioni possibili, senza che l’una prevalga sull’altra: l’opzione di coloro che ritengono che la vita sia un bene disponibile e che sia diritto di ogni persona rifiutare le cure ritenute non accettabili e quella di coloro che sulla base dei propri convin-cimenti religiosi, filosofici, etici credono nella indisponibilità dell’esistenza e dei trattamenti diretti a procrastinarne la fine.

Il pericolo da evitare è che la regola giuridica sia il risulta-to di uno scontro tra ideologie diverse e si risolva nella im-posizione di una verità considerata l’unica possibile, che in quanto indiscutibile neghi ogni spazio ad altre verità e ad altri valori di riferimento.

Il rischio è ancora una volta quello di una legge che sotto la spinta di una falsa ideologia propini come scelta di vita piuttosto che di morte un atto di imperio nei confronti dei più deboli.

5. La via giurisprudenziale per dar voce alla volontà del malato attraverso l’amministratore di sostegno

In attesa di una disciplina normativa del testamento biolo-gico, la giurisprudenza ha individuato uno strumento ed un soggetto volti a dare voce al malato non più in grado di comu-nicare la propria volontà: con la sentenza n. 23707 del 2012 la Cassazione ha ravvisato nell’amministratore di sostegno il soggetto legittimato ad esprimere le intenzioni manifestate dall’amministrato quando era nel possesso delle sue facoltà fisiche e psichiche ed in previsione della sua incapacità, in ordine agli interventi sanitari che potessero rendersi in futuro necessari.

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Tale strumento è stato considerato dalla Corte di legittimità come idoneo a dare forma giuridica immediata alle direttive anticipate di trattamento, recuperando il momento della ma-lattia e del fine vita alla sfera di autodeterminazione della per-sona: l’amministratore è infatti tenuto a garantire il rispetto e l’attuazione della volontà espressa dall’amministrato, prestan-do per suo conto il consenso o il dissenso alle cure.

Pronunce di giudici di merito sempre più frequenti utilizza-no la figura dell’amministratore di sostegno per fornire rispo-ste di giustizia alle richieste di malati terminali che chiedono di poter scegliere.

Ricordo in particolare, tra gli altri, il decreto del giudice tute-lare del Tribunale di Cagliari del 16 luglio 2016 (caso Piludu) che accogliendo la domanda dell’amministratore di sostegno ha autorizzato l’interruzione del trattamento sanitario nei con-fronti di un soggetto affetto da sclerosi multipla, in adesione alle scelte di fine vita dal medesimo in precedenza espresse.

Rilevo tuttavia che tale approdo giurisprudenziale non ren-de superflua una disciplina legislativa del testamento bio-

logico, attesi i limiti propri dell’istituto di cui agli artt. 404 ss. c.c. e la necessità dell’intervento del giudice sia in ordine alla scelta dell’amministratore di sostegno da nominare che al contenuto dell’attività che questi potrà svolgere.

Il problema resta quindi non già se legiferare, ma come legi-ferare: ciò vale a dire che il nodo da sciogliere attiene alla vo-lontà del Parlamento di applicare i principi dettati dalle Carte dei diritti e di assumere come valore ineludibile quello della dignità della persona, sapendo conciliare laicamente i valori della vita, della salute e della libertà di autodeterminazione.Nel nostro Paese negli ospedali, negli hospices ed anche all’in-terno delle case di abitazione tanti malati affetti da malattie gravissime e inguaribili, che li privano di ogni parvenza di dignità, aspettano di essere messi in condizione di decidere alla luce del sole quali terapie accettare e quali rifiutare, se-condo regole chiare e precise, così come avviene in tanti Paesi d’Europa e del mondo. Si tratta di una possibilità che attiene alla sfera dei diritti civili.

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1. inquadramento

Il termine “testamento biologico” è un’espressione impro-pria ma molto usata nella società tanto da essere utilizzata convenzionalmente in molti scritti e pareri, anche giuridici, essendo immediatamente comprensibile alle persone cui gli stessi sono destinati.

Per testamento biologico si intende, comunemente, un do-cumento scritto con il quale un soggetto, dotato di piena ca-pacità di agire, esprime la propria volontà circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere sottoposto nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a seguito di un trauma improvviso, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o dissenso informato.

In realtà come si è accennato il termine è giuridicamente improprio in quanto la parola testamento richiama il concetto dell’atto “mortis causa”, ovvero di disposizioni destinate a di-sciplinare la devoluzione di tutto o parte del patrimonio di un soggetto dopo la sua morte, mentre le dichiarazioni contenute nel testamento in parola sono destinate a produrre la maggior parte dei loro effetti prima della morte del soggetto disponente.

È pur vero, però, che le disposizioni contenute nel cd. te-stamento biologico riguardano scelte collegate alla fine della vita di un soggetto tanto da essere state ribattezzate, in un documento emanato dal Consiglio Nazionale del Notariato nell’anno 2006, “Testamento di vita”.

Il legislatore, di recente, nelle numerose proposte di legge confluite in un testo unificato, in questi giorni della XVII legi-slatura in discussione alla XII commissione della Camera dei deputati, utilizza la dizione “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei tratta-menti sanitari al fine di evitare l’accanimento terapeutico”.

Invero nel campo tecnico-giuridico viene usato l’acronimo “DAT” ovvero Dichiarazioni (o Direttive) anticipate sui tratta-menti sanitari, categoria più generale rispetto al testamento biologico o alla procura sanitaria; in tali dichiarazioni, come innanzi vedremo, possono essere contenute disposizioni sul-la donazione dei propri organi ovvero sulla destinazione del proprio corpo o di parti di esso per la ricerca scientifica, ma anche disposizioni che attengano a determinate scelte sanita-rie non necessariamente collegate al fine vita.

È evidente che tale documento costituisce una conseguenza logico-giuridica del passaggio da una medicina di tipo “pater-nalistico” ad una basata sul principio del “consenso informa-to” ovvero sulla relazione continua che si instaura tra medico e paziente che, a partire dalla seconda metà del XX secolo, ha progressivamente valorizzato la persona umana anche attra-verso un potenziamento della sua autodeterminazione fino a ritenere che ognuno è libero di scegliere se e come ricevere le terapie o altri interventi sul proprio corpo.

Vi è anche da dire che la materia è strettamente connessa con i principi in materia di bioetica e che allo stato non vi sono norme di legge che disciplinano l’eutanasia (che esula dalla presente relazione) e la materia delle DAT.

Le considerazioni che seguono, pertanto, sono basate su principi generali desumibili dall’ordinamento vigente in un’ottica legislativa “de iure condendo” e verrà utilizzato l’acronimo DAT quale sinonimo ovvero in luogo del termine comune “testamento biologico”.

2. Legittimità delle DAt

La prima questione posta all’attenzione del giurista deve es-sere quella della legittimità e della valenza di tali Dichiarazio-ni anticipate, in assenza di una specifica norma giuridica nel nostro ordinamento che le legittimi e ne disciplini gli effetti.

Invero la giurisprudenza ha già, in diverse occasioni, affer-mato la legittimità di tali Dichiarazioni anticipate alla luce dei principi contenuti negli articoli 2, 13 e 32 della costituzione italiana e di numerose altre norme sovranazionali.

Si segnala in proposito la sentenza della Corte Costituzionale n. 438 del 15 dicembre 2008 che ha dichiarato l’illegittimi-tà dell’art. 3 della legge della Regione Piemonte 6 novembre 2007, n. 21 (Norme in materia di uso di sostanze psicotrope su bambini ed adolescenti), che stabiliva che “nella Regione il trattamento con sostanze psicotrope, e nello specifico farmaci psico-stimolanti, antipsicotici, psicoanalettici, antidepressivi e ipnotici su bambini e adolescenti fino a 18 anni può essere praticato solo quan-do i genitori o tutori nominati esprimono un consenso scritto, libero, consapevole, attuale e manifesto” e che contiene alcune impor-tanti affermazioni di principio utili ai fini della nostra indagine.

In primo luogo la sentenza richiama le numerose norme internazionali e nazionali che prevedono la necessità del consenso informato del paziente nell’ambito dei trattamenti medici.

In particolare, l’art. 24 della Convenzione sui diritti del fan-ciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 dopo aver premesso che gli Stati “riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione”, dispone che “tutti i gruppi della società in particolare i genitori ed i minori ricevano informazioni sulla salute e sulla nutrizione del minore”.

L’art. 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biome-dicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall’Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145 prevede che “un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata ab-bia prestato il proprio consenso libero ed informato” mentre l’art. 9 della stessa Convenzione stabilisce che le volontà espres-se precedentemente a proposito di un intervento medico da

iL teStAmeNtO biOLOgicOAnTOnELLA TRAPAnESENotaio in Trani

Sommario: 1. Inquadramento: testamento biologico o DAT. - 2. Legittimità delle DAT. - 3. Contenuto delle DAT. - 4. La nomina del fiduciario. - 5. I commi 40 e 41 della legge n. 76/2016 (cd. Legge Cirinnà). - 6. La posizione del notariato. - 7. Considerazioni a margine del Ddl unificato in discussione alla XII commissione.

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parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, devono essere tenute in considerazione; l’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, sancisce, poi, che “ogni individuo ha diritto alla propria inte-grità fisica e psichica” e che nell’ambito della medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, “il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”.

In secondo luogo la sentenza afferma il principio che il con-senso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione e pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeter-minazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; infor-mazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conforme-mente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione.

Discende da ciò che il consenso informato deve essere consi-derato un principio fondamentale in materia di tutela della sa-lute, la cui “conformazione” è rimessa alla legislazione statale.

Non diversamente conclude la sentenza della Corte Costi-tuzionale n. 262 del 14 dicembre 2016 che ha ritenuto inco-stituzionali alcune norme che disciplinavano la raccolta delle DAT nella regione Friuli Venezia Giulia, a causa della loro incidenza su aspetti essenziali della identità e della integri-tà della persona. La Corte ha ritenuto che la normativa in tema di disposizioni di volontà relative ai trattamenti sanitari nella fase terminale della vita – al pari di quella che regola la donazione di organi e tessuti – necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza, ratio ultima della riserva allo Stato della compe-tenza legislativa esclusiva in materia di “ordinamento civile”, disposta dalla Costituzione. “Il legislatore nazionale – si legge nella sentenza – è, nei fatti, già intervenuto a disciplinare la do-nazione di tessuti e organi, con legge 1 aprile 1999, n. 91 (Dispo-sizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti), mentre, in relazione alle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, i dibattiti parlamentari in corso non hanno ancora sorti-to esiti condivisi e non si sono tradotti in una specifica legislazione nazionale, la cui mancanza, però, non vale a giustificare in alcun modo l’interferenza della legislazione regionale in una materia af-fidata in via esclusiva alla competenza dello Stato”.

Possiamo quindi concludere che la giurisprudenza della corte costituzionale, pur riconoscendo la fondatezza del di-ritto dell’individuo ad operare consapevolmente le proprie scelte in materia di trattamenti sanitari ritiene, tuttavia, che la disciplina relativa alla raccolta dei dati, alle modalità di re-dazione ed alla rilevanza giuridica delle DAT sia rimessa al legislatore statale.

Esaminando le DAT sotto il profilo della qualificazione giu-ridica civilistica esse rientrano tra gli atti tra vivi a contenu-to negoziale, con implicazioni anche di carattere economico (trattamento sanitario del corpo in vita e disposizioni funera-rie post mortem), quindi possono essere assunte nella catego-ria dei negozi giuridici unilaterali.

Nei casi di accettazione dell’incarico da parte di altro sogget-to ovvero di redazione in forma bilaterale le DAT potrebbero anche essere considerate come mandato in previsione dell’in-capacità; in tal caso avremmo un contratto che vincola man-dante-beneficiario e mandatario che assumerebbe un compito operativo, anche di comportamenti negoziali.

Il riconoscimento della legittimità delle DAT comporta per il notaio la ricevibilità di tali dichiarazioni ai sensi del combina-to disposto degli artt. 1 e 27 della legge notarile, quest’ultimo in particolare pone al notaio un obbligo generico di ricevere ogni dichiarazione purché non contra legem.

3. contenuto delle DAt

Posta quindi la validità di tali Dichiarazioni anticipate in quanto espressione del diritto costituzionalmente garantito di autodeterminarsi nella scelta dei trattamenti sanitari ai quali un soggetto desidera o non desidera essere sottoposto la se-conda questione che deve porsi il giurista è quali sono in det-taglio i trattamenti sanitari ai quali il soggetto può rinunciare e quali sono per il medico gli obblighi di comportamento in presenza di tali dichiarazioni.

Il principio generale al quale il contenuto delle dichiarazioni anticipate dovrebbe ispirarsi può essere così formulato: ogni persona ha il diritto di esprimere i propri desideri anche in modo anticipato in relazione a tutti i trattamenti terapeutici e a tutti gli interventi medici circa i quali può lecitamente esprimere la propria volontà attuale.

Da questa definizione appare subito evidente che questo principio esclude che tra le dichiarazioni anticipate possano annoverarsi quelle che siano in contraddizione col diritto po-sitivo, con le norme di buona pratica clinica, con la deon-tologia medica o che pretendano di imporre attivamente al medico pratiche per lui in scienza e coscienza inaccettabili. Per quanto concerne l’ordinamento giuridico italiano, è da ricordare la presenza di norme costituzionali, civili e penali che inducono al riconoscimento del principio della indispo-nibilità della vita umana.

Di conseguenza, attraverso le dichiarazioni anticipate, il paziente non può essere legittimato a chiedere e ad ottenere interventi eutanasici a suo favore.

In un famoso parere del 18 dicembre 2003 il Comitato Na-zionale di Bioetica “pur senza impegnarsi in una completa analisi comparativa dei contenuti dei modelli di dichiarazioni anticipate già esistenti”, ha ritenuto legittime le seguenti indicazioni:

a) Indicazioni sull’assistenza religiosa, sull’intenzione di donare o no gli organi per trapianti, sull’utilizzo del ca-davere o parti di esso per scopi di ricerca e/o didattica;

b) Indicazioni circa le modalità di umanizzazione della morte (cure palliative, richiesta di essere curato in casa o in ospedale ecc.);

c) Indicazioni che riflettono le preferenze del soggetto in rela-zione al ventaglio delle possibilità diagnostico-terapeutiche che si possono prospettare lungo il decorso della malattia;

d) Indicazioni finalizzate ad implementare le cure palliative;e) Indicazioni finalizzate a richiedere formalmente la non

attivazione di qualsiasi forma di accanimento terapeu-tico, cioè di trattamenti di sostegno vitale che appaiano sproporzionati o ingiustificati;

f) Indicazioni finalizzate a richiedere il non inizio o la so-spensione di trattamenti terapeutici di sostegno vitale,

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DOSSier La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017

che però non realizzino nella fattispecie indiscutibili ipo-tesi di accanimento;

g) Indicazioni finalizzate a richiedere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale.

Il giurista ed il notaio, in particolare, può senz’altro attenersi a tali indicazioni a tutt’oggi valide almeno per quanto concer-ne le prime cinque tipologie di dichiarazioni.

Le ultime due ipotesi, infatti, sono ampiamente controverse e lo è in modo particolare l’ultima, in specie se si considerano i significati simbolici che si addensano sull’alimentazione e sull’idratazione, anche se artificiali.

In altri termini si discute se l’alimentazione e l’idratazione possano essere considerati trattamenti sanitari ovvero inter-venti di sostegno vitale la cui omissione realizzerebbe un’eu-tanasia passiva.

Nel testo unificato del disegno di legge Calabrò, presentato e decaduto per cessazione della XVI legislatura, veniva accolta la tesi più restrittiva in quanto “l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al pa-ziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizza-te ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non pos-sono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento” (così testualmente art. 3 comma 5 della proposta di legge).

Più di recente, invece, sia in campo medico che giuridico prevalgono le tesi più liberali che riconducono le pratiche di idratazione e respirazione artificiale a veri e propri trattamenti sanitari i quali possono quindi formare oggetto di DAT.

Quanto alla posizione del medico manca una norma che lo obblighi a pratiche sanitarie contrarie ai propri principi etici e di coscienza, tuttavia egli dovrà attenersi alle indicazioni date dal dichiarante qualora inequivocabilmente riconducibili alla sua volontà liberamente e spontaneamente manifestata.

4. La nomina del fiduciario

Le DAT sono quindi espressione della capacità di autodetermi-nazione della persona maggiorenne e si inseriscono nel rappor-to dialettico medico-paziente basato sul consenso informato.

Al fine di rendere ancora possibile un rapporto dialettico tra il medico e il paziente proprio in quelle situazioni estreme nelle quali l’individuo non è in grado di esprimere la sua vo-lontà, molte legislazioni straniere, in particolare quella degli Stati Uniti, prevedono da parte dell’estensore della dichiara-zione anticipata la nomina di un altro soggetto, detto “fidu-ciario” che possa interloquire con il medico al fine di adottare la soluzione terapeutica più consona ai desideri e alle convin-zioni morali e religiose del paziente.

Spetterebbe quindi al fiduciario, in costante dialogo con i me-dici curanti, vigilare perché il medico non cada nella tentazione di praticare alcuna forma di accanimento e concordare col me-dico la via concreta da seguire, nell’eventualità che si prospetti-no diverse, legittime opzioni diagnostiche e terapeutiche.

In termini giuridici il “fiduciario” può essere assimilato ad un mandatario ovvero ad un procuratore per il compimento di pratiche sanitarie.

Il fiduciario non dovrà limitarsi a comunicare la volontà del disponente alla stregua di un mero nuncius ma interagire con i medici e la struttura sanitaria adottando, di volta in volta, le varie decisioni che il paziente non è in grado di esprimere, evitando sia fenomeni di accanimento terapeutico che di ab-bandono del paziente stesso.

Alla luce dei principi vigenti nel nostro ordinamento giuri-dico la DAT ben può contenere, quindi, la nomina di un sog-getto al quale sia rimessa la decisione sui trattamenti sanitari indicati dal disponente.

Peraltro il mandatario è obbligato ad espletare l’incarico as-segnato anche dopo il sopravvenire dello stato di incapacità e finché non sia intervenuto il provvedimento di interdizione o inabilitazione e, nell’ipotesi di amministrazione di soste-gno, obbligato ad eseguire l’incarico anche dopo la nomina dell’amministratore (cfr. art. 1722 c.c.).

In relazione a quest’ultimo profilo merita segnalare che il fiduciario può coincidere o meno con l’amministratore di so-stegno, anzi, come sostenuto dalla dottrina, che quest’ultimo ben può fungere da fiduciario.

Il giudice, pur non essendo obbligato, potrà nel decreto di nomina recepire le indicazioni effettuate dal soggetto divenu-to incapace ai sensi dell’art. 408 c.c. ed anche l’amministra-tore di sostegno, una volta nominato, ai sensi del successivo art. 410, 1 comma c.c. dovrà “tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”.

Resta comunque escluso che il fiduciario possa prendere de-cisioni che non avrebbero potuto essere legittimamente prese dal paziente stesso nelle proprie dichiarazioni anticipate.

5. i commi 40 e 41 dell’art. 1 della legge n. 76/2016 (cd. Legge cirinnà)

All’indomani dell’approvazione della legge in materia di unio-ni civili e convivenze alcuni commentatori hanno ravvisato nelle disposizioni contenute nei commi 40 e 41 dell’art. 1 legge n. 76/2016 il primo riconoscimento legislativo delle DAT e della possibilità di nomina del “fiduciario” effettuata, in presenza di un rapporto di convivenza, senza alcun parti-colare formalismo.

In realtà, come è stato osservato più che espressione di un principio generale in materia di nomina del cd. “fiduciario” da parte del convivente di fatto, la norma è stata definita come un “incongruo frammento”, il prezzo da pagare per l’introdu-zione nel nostro ordinamento, con gravissimo ritardo, del ri-conoscimento dell’unione tra due persone dello stesso sesso.

In altri termini si tratterebbe di un “accidente”, un “ritrovato ornamentale” immeritevole di prese di posizione da una par-te o dall’altra, dovuto solo alla tempistica dell’approvazione della legge.

A ben vedere, in verità, la norma si colloca sul piano del riconoscimento del convivente quale soggetto di riferimento chiamato ad esprimere il consenso informato nell’ipotesi in cui l’altro convivente lo abbia delegato e sia temporaneamente incapace di intendere e di volere “per le decisioni in materia di salute” ovvero, in caso di morte del convivente stesso, ad espri-mere il consenso “per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie”.

Si tratterebbe, quindi, di un’equiparazione del convivente al coniuge non separato per alcune decisioni o facoltà, piuttosto che del riconoscimento e della disciplina formale delle DAT.

In ogni caso la norma esiste e dovrà tenersene conto come una sorta di “anticipazione” ovvero di “semplificazione” per la no-mina del rappresentante (rectius “fiduciario”) da parte del con-vivente per le decisioni, come detto, in materia di salute e per le modalità di trattamento del corpo e delle celebrazioni funerarie.

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

6. La posizione del notariato

Il notariato è da sempre impegnato nella difesa e nella tutela delle persone “fragili”, a rispondere alle sollecitazioni sociali ed ai mutamenti che avvengono nella vita e nella realtà sociale di tutti i giorni. Così come ben prima dell’approvazione del-la legge Cirinnà aveva elaborato propri studi per risolvere le problematiche giuridiche inerenti i rapporti patrimoniali tra conviventi anche nel campo del testamento biologico ha effet-tuato studi, promosso convenzioni con i comuni ed emanato direttive in materia.

Sin dal 22 giugno 2006 il Consiglio Nazionale del notariato ha assunto una delibera nella quale, all’indomani della diffu-sione da parte del prof. Umberto Veronesi del testo base di dichiarazione di volontà proposto dalla fondazione Veronesi, e al dichiarato fine di “di garantire il medico nell’esercizio del-le proprie responsabilità e di assicurare la certezza della pro-venienza della dichiarazione dal suo autore, mediante inter-vento notarile e la reperibilità della medesima in un registro telematico nazionale” ha proposto un’analoga dichiarazione ribattezzata “testamento di vita” allegata alla delibera stessa e che completa la proposta Veronesi.

Nella citata delibera, in particolare, il CNN ha ritenuto:a) “che l’autentica debba essere a norma dell’art. 72 della legge

notarile, con iscrizione a repertorio”;b) “che debba essere acquisito il consenso al trattamento dei dati

in essa contenuti al fine dell’inserimento nel Registro Genera-le dei testamenti di vita”;

c) “che, ad oggi, vi sia obbligo di apposizione della marca da bollo; che vi sia esenzione da obbligo di registrazione, sia per l’evidente analogia di trattamento con una procura speciale, sia per ovvie ragioni di favore sociale, trattandosi di dichia-razione del tutto priva di contenuto patrimoniale”;

d) “che si applichi il minimo della tariffa, per favorire l’utilizzo di uno strumento giuridicamente affidabile senza oneri signi-ficativi per il cittadino”;

e) “che il notaio debba provvedere all’inserimento della dichia-razione nel Registro Generale dei testamenti di vita non ap-pena operativo”;

concludendo la delibera con un appello “al Parlamento ed alle forze politiche affinché definiscano rapidamente, con una idonea iniziativa legislativa, un quadro normativo di riferi-mento sistematico, per il quale il notariato, alla luce degli studi e degli approfondimenti già effettuati, offre la propria collabo-razione; e ciò al fine di eliminare tutte le incertezze operative”.

Successivamente all’adozione di tale delibera numerose con-venzioni sono state stipulate tra i Consigli notarili distrettuali ed i comuni per la raccolta dei dati dei soggetti che si recava-no dal notaio per effettuare il cd. “testamento di vita”.

Inoltre nel corso dell’iter di esame dei ddl durante la XVI legislatura il notariato ha contribuito con un proprio studio alla discussione in commissione cercando di superare le criti-cità emerse già nel parere al Governo del Comitato di Bioetica del 2003.

In particolare il notariato si è proposto di risolvere due pro-blematiche:

a) incertezza sulla identità e capacità di chi sottoscrive, sull’autenticità documentale e sulla data di sottoscrizione;

b) Astrattezza e ambiguità delle dichiarazioni anticipate.Con riferimento al primo punto non è necessario spendere

tante parole sull’idoneità del documento rogato o autenticato

dal notaio il quale, com’è noto ma è bene ribadirlo, è tenuto preliminarmente all’identificazione del cliente, alla verifica della sua capacità e ad ogni altro aspetto coperto da pubblica fede in base alle norme del nostro ordinamento.

Con riferimento al secondo punto, uno dei rilievi più fre-quentemente mossi alle dichiarazioni anticipate, o a docu-menti consimili, riguarda l’astrattezza di cui questi documenti inevitabilmente soffrirebbero, un’astrattezza e genericità do-vuta alla distanza, psicologica e temporale, tra la condizione in cui la dichiarazione viene redatta e la situazione reale di malattia in cui essa dovrebbe essere applicata.

Questo rilievo ha maggior ragione d’essere quando si osser-vi che c’è un senso in cui sarebbe persino augurabile che la redazione delle dichiarazioni anticipate avvenga nel tempo in cui la persona è non solo nel pieno possesso delle sue facoltà decisionali, ma anche in buona salute, al riparo dallo stress provocato dall’insorgere della malattia e/o dall’ammissione in ospedale.

In tal modo, infatti, la stessa decisione di redigere (o di ri-nunciare a redigere) le dichiarazioni anticipate – ovviamente non pensate come un mero atto burocratico – può diventare momento importante di riflessione sui propri valori, la pro-pria concezione della vita e sul significato della morte come segno dell’umana finitezza, contribuendo così ad evitare quel-la “rimozione della morte”, che molti stigmatizzano come uno dei tratti negativi della nostra epoca e della nostra cultura.

Rispetto all’astrattezza e all’ambiguità ma anche per essere certi della comprensione da parte del dichiarante della ter-minologia usata il notariato ha proposto un “allegato tecnico” alla dichiarazione redatto dal medico curante del dichiarante stesso.

7. considerazioni a margine del d.d.l. unificato in discussione alla Xii commissione

L’art. 3 del testo unificato attualmente in discussione alla XII commissione presso la Camera dei Deputati rubricato “Dispo-sizioni anticipate di trattamento - DAT” ammette che qual-siasi persona maggiorenne e capace di intendere e di volere in previsione della propria incapacità ad autodeterminarsi possa esprimere le proprie convinzioni e preferenze in mate-ria di trattamenti sanitari esprimendo consenso o rifiuto per determinate scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari, ivi comprese pratiche di nutrizione e idratazione artificiale, e possa indicare una persona di sua fiducia che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.

È inoltre prevista l’accettazione della nomina da parte del fi-duciario con la sottoscrizione della DAT o con atto successivo che viene allegato alla Dat. Il fiduciario può sempre rinuncia-re alla nomina (rectius all’incarico) con successivo atto scritto comunicato al disponente.

Quanto ai requisiti della DAT è previsto l’atto scritto, datato e sottoscritto davanti ad un pubblico ufficiale, un medico o due testimoni o reso attraverso strumenti informatici di co-municazione.

Non viene previsto un registro nazionale per il reperimento delle DAT bensì è demandata alle regioni (che adottino mo-dalità telematiche di gestione delle cartelle cliniche o fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al SSN), con proprio atto, di rego-

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DOSSier La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017

lamentare la raccolta di copia delle DAT e il loro inserimento nella banca dati regionale.

È evidente che la dichiarazione resa innanzi al notaio, quale pubblico ufficiale autorizzato ai sensi della legge n. 89/2013, costituisce la principale forma di redazione delle DAT.

La dichiarazione resa innanzi ad un medico presenta, invece, tutte le criticità dovute alla mancanza di pubblica fede del do-cumento, pertanto sarebbe almeno preferibile la specificazione che deve trattarsi di un medico del SSN o ad esso equiparato in quanto, come affermato più volte dalla Cassazione, il “medico del SSN…” crea un documento comunque proveniente da un sanitario esercente funzioni pubbliche, “il cui falso contenu-to integra gli estremi del delitto di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefacente, in quanto il medico convenzionato con il Ssn non rilascia una semplice certificazione o una ricetta, ma attesta come da lui compiuti,

nella sua sfera di attività, fatti produttivi di effetti giuridici”. Piuttosto la criticità è nella estrema semplificazione delle DAT sottoscritte davanti a due testimoni: esse non danno nessuna garanzia di autenticità, anche in termini di certezza della data, di consapevolezza e capacità del dichiarante.

Tale estrema semplificazione disattende anche le indicazioni fornite al governo dal Comitato nazionale di Bioetica nel fa-moso parere del 2003 che auspicava la previsione di DAT che “abbiano carattere pubblico, siano cioè fornite di data, redatte in forma scritta e mai orale, da soggetti maggiorenni, capaci di intendere e di volere, informati, autonomi e non sottoposti ad alcuna pressione familiare, sociale, ambientale”, circostanze queste che possono essere garantite solo dalla dichiarazione resa innanzi ad un pubblico ufficiale imparziale quale il nota-io e, in determinati casi di urgenza, innanzi al medico del SSN o ad esso equiparato.

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La legge 112 del 2016 c.d. “Legge sul dopo di noi” e la legge n. 219 del 2017 DOSSier

Non è facile concludere un convegno con contributi così in-tensi e di grande suggestione su una materia tanto delicata e complessa come quella della tutela delle persone “fragili” considerata nei suoi molteplici aspetti che in questo incontro di studi si è cercato di delineare attraverso una approfondita riflessione sulla legge del “dopo di noi”, sull’istituto dell’”am-ministrazione di sostegno “, sul “testamento biologico” o me-glio sulle “dichiarazioni anticipate di trattamento”.

I molteplici momenti di confronto hanno evidenziato, in-nanzitutto, la necessità di tracciare nel nostro ordinamento una strategia di tutela di soggetti “deboli” intesa come un costante combinarsi e relazionarsi tra due temi fondamentali quello dello status e quello della capacità, in un processo con-tinuo di composizione e scomposizione di strumenti utili ad affermare prepotentemente una cultura della “diversità” volta al riconoscimento ed all’integrazione e non alla diversificazio-ne, il tutto necessariamente attraverso una varietà di interven-ti rispondenti a spinte differenti: politiche sociali, interventi legislativi, decisioni giurisprudenziali, attuazione di un vero e proprio processo di solidarietà e di strategie per soggetti “fragili”.

Tutti gli interventi hanno messo in luce come a monte sia necessaria l’elaborazione di una nuova cultura della “incapa-cità” e della “diversità” mentre sul piano concreto relativo alle tecniche di tutela si gioca la vera partita della giustizia sostan-ziale ossia di una giustizia volta all’effettiva rimozione di que-gli ostacoli di cui all’art. 3 della Costituzione che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, non rendono possibile il pieno sviluppo della persona ossia l’affermazione della dignità umana in ragione di uno stato di completo be-nessere psico-fisico del soggetto e quindi di un effettivo con-tenimento se non addirittura eliminazione della condizione di “debolezza” e/o di “fragilità”.

E tutto questo perché, per un verso l’ordinamento fissa e determina i parametri, le coordinate, della “normalità” e per altro verso contestualmente e, direi apparentemente in ma-niera contraddittoria, determina e segna l’opposto confine della “diversità” che configura l’altro da sé, il debole, il fragile ossia colui che in qualche modo è impedito nell’esercizio dei diritti fondamentali, colui che si affida al diritto per affermare le ragioni della propria esistenza.

Negli ultimi anni va sempre più sviluppandosi una nuova cultura della “diversità” e parallelamente un evolversi del con-cetto di tutela dei soggetti “deboli” sulla scia di una ridefini-zione della nozione di capacità.

Questo accade anche in virtù del progresso scientifico e tec-nico significativamente efficiente ed efficace, in ragione di tre coordinate fondamentali ossia il concetto di dignità umana, il libero sviluppo della personalità umana ed il principio di uguaglianza.

Ed è proprio sul concetto di dignità, “diritto principale tra i diritti fondamentali”, intesa sia come dote innata della per-sona determinante reciproco rispetto tra gli esseri umani e sia

come risultato da raggiungere attraverso l’autodeterminazio-ne di soggetti liberi e responsabili, che si fonda lo sviluppo di una tutela della persona attraverso una voluta previsione giuridica che intende seguire l’individuo dalla nascita fino ad accompagnarlo nell’ultima fase della sua esistenza. Ed è pro-prio questa centralità della persona umana che va potenziata ed evidenziata.

In tutto questo percorso, nell’ambito cioè di questa rinno-vata tendenza, per l’avvocato e soprattutto per l’avvocato di famiglia, si sviluppa un impegno nuovo ed importante.

Di fronte all’apertura di nuove domande per nuovi diritti attraverso la creazione di nuovi linguaggi e, necessariamente, di nuovi strumenti (dall’inizio alla fine della vita, dalla tutela delle persone disabili al testamento biologico alle cure pallia-tive per malati terminali) anche l’avvocatura non può più de-legare un ruolo ed eludere le domande relative ai presupposti ed all’estensione di queste nuove situazioni fondamentali.

L’avvocatura deve sapersi confrontare con la crescita e l’affer-marsi di questi “diritti umani fondamentali”.

Nuovi linguaggi ed una complessità che l’avvocato dovrà imparare a conoscere, dominare ed interpretare in un conte-sto normativo, nazionale ed internazionale, in fieri per quanto articolato, nonché in un quadro giurisprudenziale di rara mo-dernità e di significativa complessità.

L’avvocato va costruendo, quindi, accanto al ruolo di difesa oggi ancor più necessario a fronte del crescente ruolo del giu-dice nel riconoscimento di questi nuovi diritti, un nuovo ruo-lo di consulenza, inteso proprio come “accompagnamento” della persona, per contribuire effettivamente ad un raccordo necessario tra la dimensione giuridico-legislativa e quella più strettamente legata alle dinamiche della società civile ossia alla difesa delle libertà fondamentali e dei diritti civili, poli-tici, economici e sociali di tutti e sui quali in qualche modo ricadono gli effetti di quella difesa e di quella assistenza quale presupposto per un diritto ad autodeterminarsi, alla salute, alla possibilità di esternare la propria personalità.

Inscindibilità ed universalità devono essere i criteri che de-vono accompagnare l’azione di difesa e di consulenza perché ciò che deve ispirare è la creazione di un ampia categoria di “nuovi diritti umani” il cui fondamento e riferimento giuridi-co non può che essere quello della dignità della persona che non tollera alcuna area priva di tutela.

Così facendo certamente l’avvocatura riaffermerà la sua vo-cazione di professione liberale contribuendo alla creazione di nuovi spazi di tutelabilità e, non solo, contribuendo anche a creare una cultura dei diritti della persona affinché anche i soggetti da tutelare, i soggetti deboli, possano acquisire mag-giore consapevolezza di sé, ed ancora contribuendo a rendere effettivamente accessibile a tutti i diritti “fondamentali” in un contesto, come la nostra società attuale, contraddittoriamente compressa tra le spinte di riconoscimento della “diversità”, multietnica, multiculturale e l’enfatizzazione della “normali-tà”, dell’individualismo e della forza.

cONcLuSiONiMATILDE GIAMMARCOAvvocato in Chieti e rappresentante di sezione di Chieti

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

cass., 10 maggio 2017 n. 11504, Di Palma, pres, Lamorgese, rel.

Il riconoscimento dell’assegno divorzile, nella fase del giudizio in punto an debeatur, prescinde dal parametro di riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; estinguendosi il rapporto matrimoniale, per effetto della sentenza di status divor-zile, sia sul piano personale che su quello economico-patrimoniale, una tale garanzia per il coniuge economicamente più debole collide radicalmente con la natura stessa dell’istituto e con i suoi effetti giuridici, incarnando una illegittima ultrattività del vincolo ma-trimoniale in mera prospettiva economico-patrimoniale; diver-samente, l’assegno di divorzio che può essere riconosciuto all’ex coniuge, come persona singola e non già come (ancora) parte di un rapporto matrimoniale estinto, di natura eminentemente assisten-ziale, è informato soltanto al criterio dell’inadeguatezza dei mezzi ed alla coincidente condizione soggettiva dell’impossibilità a procu-rarseli per ragioni obiettive in rispetto del canone di autoresponsa-bilità dei singoli, da intendersi in mera prospettiva di indipenden-za od autosufficienza economica a condurre un esistenza libera e dignitosa, secondo il canone di residuale solidarietà post-coniugale esigibile in virtù della pregressa vita comune, a tenore degli artt. 2 e 23 Cost.; sia la prima fase di giudizio in punto an debeatur che la seconda in punto quantum, ispirato quest’ultimo ugualmente al parametro dell’aiuto esigibile in prospettiva del raggiungimen-to dell’indipendenza od autosufficienza personale del già coniuge svantaggiato e tenuto conto degli altri criteri indicati nell’art. 5 l. div. (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comu-ne, durata del matrimonio, ragioni della decisione), presuppone la puntuale e pertinente allegazione, nonché l’assolvimento del rela-tivo onere probatorio di tutti tali elementi ed in primo luogo di non possedere mezzi adeguati e di non essere in grado di procurarseli, da parte del coniuge che propone la domanda.

…omissis

FAtti Di cAusA

1. Il Tribunale di Milano ha dichiarato lo scioglimento del ma-trimonio, contratto nel 1993, tra V.G. e L. C. L. ed ha respinto la domanda di assegno divorzile proposta da quest’ultima.2. Il gravame della L. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Milano, con sentenza 27 marzo 2014.2.1. La Corte, avendo ritenuto che il luogo di residenza della L. (convenuta nel giudizio) fosse a (omissis), ha rigettato l’eccezio-

ne di incompetenza territoriale del Tribunale di Milano, a favo-re del Tribunale di Roma, ove era la residenza o il domicilio del ricorrente G., da essa sollevata sul presupposto della propria residenza all’estero, a norma dell’art. 4, comma 1, della legge 1. dicembre 1970, n. 898; ha ritenuto poi non dovuto l’asse-gno divorzile in favore della L., non avendo questa dimostrato l’inadeguatezza dei propri redditi ai fini della conservazione del tenore di vita matrimoniale, stante l’incompletezza della docu-mentazione reddituale da essa prodotta, in una situazione di fatto in cui l’altro coniuge aveva subito una contrazione reddi-tuale successivamente allo scioglimento del matrimonio.3. Avverso questa sentenza la L. ha proposto ricorso per cas-sazione sulla base di quattro motivi, cui si è opposto il G. con controricorso. Le parti hanno presentato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.

rAgioni DellA Decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la violazio-ne dell’art. 4, comma 1, della legge n. 898 del 1970, per avere la Corte d’appello affermato la competenza per territorio del Tribunale di Milano, essendo invece competente il Tribunale di Roma, ove era la residenza o il domicilio del ricorrente G., essendo la convenuta residente all’estero.1.1. Il motivo è infondato.Premesso che, contrariamente a quanto sostenuto dal G., la questione della competenza è stata riproposta in appello e che su di essa, quindi, non si è formato il giudicato, la sentenza impugnata ha ragionevolmente valorizzato quanto dichiara-to dalla L. (convenuta nel giudizio) nell’atto di appello, e in altri atti giudiziari, circa la sua residenza a (omissis) (Mi), che corrispondeva a quanto risultava dalle certificazioni anagra-fiche, giuridicamente irrilevante la diversa indicazione, resa all’udienza presidenziale, di essere residente a (omissis), luogo quest’ultimo rientrante pur sempre nella competenza del Tri-bunale di Milano; inoltre, ha adeguatamente argomentato in ordine alla mancanza di prova della residenza all’estero della L., ritenendo inidonea a tal fine la mera disponibilità da parte della medesima di un’abitazione negli Stati Uniti.La decisione impugnata è, pertanto, conforme al principio enunciato da questa Corte – che va ribadito –, secondo cui la domanda di scioglimento del matrimonio civile o di ces-sazione degli effetti civili del matrimonio concordatario va proposta, ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge n. 898 del 1970 (nel testo introdotto dall’art. 2, comma 3-bis, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge, con modificazio-

DOSSier

Le nuove frontiere dell’assegno di divorzioDopo la sentenza n. 11504 del 2017 della prima sezione della S.C., con un commento di Giancarlo Savi,

l’esame delle prime contraddittorie sentenze dei giudici di merito con un commentodi Michela Labriola e di Gabriella Luccioli e una nota di Gianfranco Dosi.

Il progetto di legge n. 4605 discusso in Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.Prima firmataria Ferranti, con un commento di Claudio Cecchella,

versione scritta dell’audizione in Commissione.

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ni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 maggio 2005, n. 80), quale risultante a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale (sentenza n. 169 del 2008), al tribunale del luogo di residenza o domicilio del coniuge convenuto, salva l’applicazione degli ulteriori criteri previsti in via subordinata dalla medesima norma (Cass. ord. n. 15186 del 2014).2. Con il secondo motivo la L. ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, legge n. 898/1970, per avere la Corte milanese negato il suo diritto all’assegno sulla base della circostanza che lo stesso G. non avesse mez-zi adeguati per conservare l’alto tenore di vita matrimoniale, dando rilievo decisivo alla riduzione dei suoi redditi rispetto all’epoca della separazione, mentre avrebbe dovuto prima ve-rificare la indisponibilità, da parte dell’ex coniuge richiedente, di mezzi adeguati a conservare il tenore di vita matrimoniale o la sua impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.Con il terzo motivo la L. ha denunciato vizio di motivazione, per avere omesso di considerare elementi probatori rilevanti al fine di dimostrare la sussistenza del diritto all’assegno.Con il quarto motivo la ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c, per avere i giudici di merito esclu-so il diritto all’assegno, disconoscendo la rilevanza della spe-requazione tra le situazioni reddituali e patrimoniali degli ex coniugi e dando erroneamente rilievo agli accordi raggiunti in sede di separazione che, al contrario, indicavano la disparità economica tra le parti e la mancanza di autosufficienza eco-nomica della L.2.1. Tali motivi sono infondati.Si rende, tuttavia, necessaria, ai sensi dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ., la correzione della motivazione in diritto della sentenza impugnata, il cui dispositivo – come si vedrà (cfr. infra, sub n. 2.6) – è conforme a diritto, in base alle considerazioni che seguono.Una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso – sulla base dell’accertamento giudiziale, passato in giudicato, che “la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può esse-re mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause previste dall’articolo 3” (cfr. artt. 1 e 2, mai modificati, non-ché l’art. 4, commi 12 e 16, della legge n. 898 del 1970) –, il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da allora in poi “persone singole”, sia dei loro rap-porti economico-patrimoniali (art. 191, comma 1, cod. civ.) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale (art. 143, comma 2, cod. civ.), fermo ovviamente, in presenza di figli, l’esercizio della responsabilità genitoriale, con i relativi doveri e diritti, da parte di entrambi gli ex coniugi (cfr. artt. 317, comma 2, e da 337-bis a 337-octies cod. civ.).Perfezionatasi tale fattispecie estintiva del rapporto matrimo-niale, il diritto all’assegno di divorzio – previsto dall’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, nel testo sostituito dall’art. 10 della legge n. 74 del 1987 – è condizionato dal previo riconoscimento di esso in base all’accertamento giu-diziale della mancanza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente l’assegno o, comunque, dell’impossibilità dello stesso “di procurarseli per ragioni oggettive”.La piana lettura di tale comma 6 dell’art. 5 – “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei

coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comu-ne, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio dispone l’obbli-go per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi ade-guati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive” – mostra con evidenza che la sua stessa “struttura” prefigura un giudizio nitidamente e rigorosamente distinto in due fasi, il cui oggetto è costituito, rispettivamente, dall’eventuale rico-noscimento del diritto (fase dell’an debeatur) e – solo all’esito positivo di tale prima fase – dalla determinazione quantitativa dell’assegno (fase del quantum debeatur).La complessiva ratio dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 (diritto condizionato all’assegno di divorzio e – rico-nosciuto tale diritto – determinazione e prestazione dell’asse-gno) ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di “solidarietà economica” (art. 2, in relazione all’art. 23, Cost.), il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi, quali “persone singole”, a tutela della “persona” economica-mente più debole (cosiddetta “solidarietà post-coniugale”): sta precisamente in questo duplice fondamento costituziona-le sia la qualificazione della natura dell’assegno di divorzio come esclusivamente “assistenziale” in favore dell’ex coniu-ge economicamente più debole (art. 2 Cost.) – natura che in questa sede va ribadita –, sia la giustificazione della doverosità della sua “prestazione” (art. 23 Cost.).Sicché, se il diritto all’assegno di divorzio è riconosciuto alla “persona” dell’ex coniuge nella fase dell’an debeatur, l’assegno è “determinato” esclusivamente nella successiva fase del quan-tum debeatur, non già “in ragione” del rapporto matrimoniale ormai definitivamente estinto, bensì “in considerazione” di esso nel corso di tale seconda fase (cfr. l’incipit del comma 6 dell’art. 5 cit: “il tribunale, tenuto conto”), avendo lo stesso rapporto, ancorché estinto pure nella sua dimensione econo-mico-patrimoniale, caratterizzato, anche sul piano giuridico, un periodo più o meno lungo della vita in comune (“la comu-nione spirituale e materiale”) degli ex coniugi.Deve, peraltro, sottolinearsi che il carattere condizionato del diritto all’assegno di divorzio – comportando ovviamente la sua negazione in presenza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente o delle effettive possibilità “di procurarseli”, vale a dire della “indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso – comporta altresì che, in carenza di ragioni di “so-lidarietà economica”, l’eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in una locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della “mera preesistenza” di un rapporto matrimoniale ormai estinto, ed inoltre di durata tendenzialmente sine die: il discrimine tra “solidarietà econo-mica” ed illegittima locupletazione sta, perciò, proprio nel giudizio sull’esistenza, o no, delle condizioni del diritto all’as-segno, nella fase dell’an debeatur.Tali precisazioni preliminari si rendono necessarie, perché non di rado è dato rilevare nei provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto l’assegno di divorzio una indebita commi-stione tra le due “fasi” del giudizio e tra i relativi accertamenti che, essendo invece pertinenti esclusivamente all’una o all’al-tra fase, debbono per ciò stesso essere effettuati secondo l’or-dine progressivo normativamente stabilito.

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2.2. Tanto premesso, decisiva è, pertanto – ai fini del ricono-scimento, o no, del diritto all’assegno di divorzio all’ex co-niuge richiedente –, l’interpretazione del sintagma normativo “mezzi adeguati” e della disposizione “impossibilità di procu-rarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive” nonché, in partico-lare e soprattutto, l’individuazione dell’indispensabile “para-metro di riferimento”, al quale rapportare l’“adeguatezza-ina-deguatezza” dei “mezzi” del richiedente l’assegno e, inoltre, la “possibilità-impossibilità” dello stesso di procurarseli.Ribadito, in via generale – salve le successive precisazioni (v., infra, n. 2.4) –, che grava su quest’ultimo l’onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni cui è subordinato il riconosci-mento del relativo diritto, è del tutto evidente che il concreto accertamento, nelle singole fattispecie, dell’“adeguatezza-ina-deguatezza” di “mezzi” e della “possibilità-impossibilità” di procurarseli può dar luogo a due ipotesi: 1) se l’ex coniuge richiedente l’assegno possiede “mezzi adeguati” o è effettiva-mente in grado di procurarseli, il diritto deve essergli negato tout court; 2) se, invece, lo stesso dimostra di non possedere “mezzi adeguati” e prova anche che “non può procurarseli per ragioni oggettive”, il diritto deve essergli riconosciuto.È noto che, sia prima sia dopo le fondamentali sentenze delle Sezioni Unite nn. 11490 e 11492 del 29 novembre 1990 (cfr. ex plurimis, rispettivamente, le sentenze nn. 3341 del 1978 e 4955 del 1989, e nn. 11686 del 2013 e 11870 del 2015), il parametro di riferimento – al quale rapportare l’“adeguatezza-inadeguatezza” dei “mezzi” del richiedente – è stato costante-mente individuato da questa Corte nel “tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legitti-mamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del di-vorzio” (così la sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990, p. 24).Sull’attuale rilevanza del “tenore di vita matrimoniale”, come parametro “condizionante” e decisivo nel giudizio sul ricono-scimento del diritto all’assegno, non incide – come risulterà chiaramente alla luce delle successive osservazioni – la mera possibilità di operarne in concreto un bilanciamento con altri criteri, intesi come fattori di moderazione e diminuzione di una somma predeterminata in astratto sulla base di quel parametro.A distanza di quasi ventisette anni, il Collegio ritiene tale orientamento, per le molteplici ragioni che seguono, non più attuale, e ciò lo esime dall’osservanza dell’art. 374, terzo com-ma, cod. proc. civ.A) Il parametro del “tenore di vita” – se applicato anche nella fase dell’an debeatur – collide radicalmente con la natura stes-sa dell’istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici:infatti, come già osservato (supra, sub n. 2.1), con la senten-za di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale – a differenza di quanto accade con la separazione personale, che lascia in vigore, seppure in forma attenuata, gli obblighi co-niugali di cui all’art. 143 cod. civ. –, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo – sia pure limitatamente alla dimensione economica del “tenore di vita matrimoniale” ivi condotto – in una indebita prospettiva, per così dire, di “ultrattività” del vincolo matrimoniale.Sono oltremodo significativi al riguardo: 1) il brano della ci-tata sentenza delle Sezioni Unite n. 11490 del 1990, secondo cui “è utile sottolineare che tutto il sistema della legge rifor-mata […] privilegia le conseguenze di una perdurante […]

efficacia sul piano economico di un vincolo che sul piano personale è stato disciolto” (p. 38); 2) l’affermazione della “funzione di riequilibrio” delle condizioni economiche degli ex coniugi attribuita da tale sentenza all’assegno di divorzio: “poiché il giudizio sull’an del diritto all’assegno è basato sul-la determinazione di un quantum idoneo ad eliminare l’ap-prezzabile deterioramento delle condizioni economiche del coniuge che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio […], è necessaria una determinazione quantitativa (sempre in via di massima) delle somme sufficienti a superare l’inadeguatezza dei mezzi dell’avente diritto, che costituiscono il limite o tetto massi-mo della misura dell’assegno” (pagg. 24-25: si noti l’evidente commistione tra gli oggetti delle due fasi del giudizio).B) La scelta di detto parametro implica l’omessa considera-zione che il diritto all’assegno di divorzio è eventualmente riconosciuto all’ex coniuge richiedente, nella fase dell’an debe-atur, esclusivamente come “persona singola” e non già come (ancora) “parte” di un rapporto matrimoniale ormai estinto anche sul piano economico-patrimoniale, avendo il legislato-re della riforma del 1987 informato la disciplina dell’assegno di divorzio, sia pure per implicito ma in modo inequivoco, al principio di “autoresponsabilità” economica degli ex coniugi dopo la pronuncia di divorzio.C) La “necessaria considerazione”, da parte del giudice del divorzio, del preesistente rapporto matrimoniale anche nella sua dimensione economico-patrimoniale (“il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisio-ne, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”) è normativamente ed esplicitamente previ-sta soltanto per l’eventuale fase del giudizio avente ad oggetto la determinazione dell’assegno (quantum debeatur), vale a dire – come già sottolineato – soltanto dopo l’esito positivo della fase precedente (an debeatur), conclusasi cioè con il riconosci-mento del diritto all’assegno.D) Il parametro del “tenore di vita” induce inevitabilmente ma inammissibilmente, come già rilevato (cfr., supra, sub n. 2.1), una indebita commistione tra le predette due “fasi” del giudizio e tra i relativi accertamenti.È significativo, al riguardo, quanto affermato dalle Sezioni Uni-te, sempre nella sentenza n. 11490 del 1990: “lo scopo di evita-re rendite parassitarie ed ingiustificate proiezioni patrimoniali di un rapporto personale sciolto può essere raggiunto utiliz-zando in maniera prudente, in una visione ponderata e globale, tutti i criteri di quantificazione sopra descritti, che sono idonei ad evitare siffatte rendite ingiustificate, nonché a responsabiliz-zare il coniuge che pretende l’assegno, imponendogli di attivar-si per realizzare la propria personalità, nella nuova autonomia di vita, alla stregua di un criterio di dignità sociale”.E) Le menzionate sentenze delle Sezioni Unite del 1990 si fe-cero carico della necessità di contemperamento dell’esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio “inteso come “sistemazione definitiva”, perché il divorzio è sta-to assorbito dal costume sociale” (così la sentenza n. 11490 del 1990) con l’esigenza di non turbare un costume sociale ancora caratterizzato dalla “attuale esistenza di modelli di matrimo-nio più tradizionali, anche perché sorti in epoca molto ante-

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riore alla riforma”, con ciò spiegando la preferenza accordata ad un indirizzo interpretativo che “meno traumaticamente rompe[sse] con la passata tradizione” (così ancora la sentenza n. 11490 del 1990). Questa esigenza, tuttavia, si è molto atte-nuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmente con-diviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo de-gli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale disso-lubile (matrimonio che – oggi – è possibile “sciogliere”, previo accordo, con una semplice dichiarazione delle parti all’ufficia-le dello stato civile, a norma dell’art. 12 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 10 novembre 2014, n. 162).Ed è coerente con questo approdo sociale e legislativo l’orien-tamento di questa Corte, secondo cui la formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge beneficiario dell’assegno divorzile è espressione di una scelta esistenziale, libera e con-sapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale da parte dell’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero defini-tivo da ogni obbligo (cfr. le sentenze nn. 6855 del 2015 e 2466 del 2016). In proposito, un’interpretazione delle norme sull’assegno divorzile che producano l’effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale, può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia suc-cessivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell’individuo (cfr. Cass. n. 6289/2014) che è ricompreso tra quelli riconosciu-ti dalla Cedu (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 9). Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o pro-tetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimonia-le. L’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile – come detto – non è il riequilibrio delle condizioni econo-miche degli ex coniugi, ma il raggiungimento della indipen-denza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione – esclusivamente – assistenziale dell’assegno divorzile.F) Al di là delle diverse opinioni che si possono avere sulla rilevanza ermeneutica dei lavori preparatori della legge n. 74 del 1987 (che inserì nell’art. 5 il fondamentale riferimento alla mancanza di “mezzi adeguati” e alla “impossibilità di procu-rarseli”) in senso innovativo (come sosteneva una parte della dottrina che imputava alla giurisprudenza precedente di avere favorito una concezione patrimonialistica della condizione co-niugale) o sostanzialmente conservativo del precedente assetto (si legga in tal senso il brano della sentenza delle Sezioni Unite n. 11490/1990 che considerava non giustificato “l’abbandono di quella parte dei criteri interpretativi adottati in passato per il giudizio sull’esistenza del diritto all’assegno”), non v’è dub-bio che chiara era la volontà del legislatore del 1987 di evita-re che il giudizio sulla “adeguatezza dei mezzi” fosse riferito “alle condizioni del soggetto pagante” anziché “alle necessità del soggetto creditore”: ciò costituiva “un profilo sul quale, al di là di quelle che possono essere le convinzioni personali del relatore, qui irrilevanti, si è realizzata la convergenza del-la Commissione” (cfr. intervento del relatore, sen. N. Lipari, in Assemblea del Senato, 17 febbraio 1987, 561 sed. pom., resoconto stenografico, p. 23). Nel giudizio sull’an debeatur,

infatti, non possono rientrare valutazioni di tipo comparativo tra le condizioni economiche degli ex coniugi, dovendosi ave-re riguardo esclusivamente alle condizioni del soggetto richie-dente l’assegno successivamente al divorzio.Le osservazioni critiche sinora esposte non sono scalfite:a) né dalla sentenza della Corte costituzionale n. 11 del 2015, che ha sostanzialmente recepito l’orientamento in questa sede non condiviso, senza peraltro prendere posizione sulla sostanza delle censure formulate dal giudice rimettente, riducendo quel-la sollevata ad una mera questione di “erronea interpretazione” dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 e omettendo di considerare che, in una precedente occasione, nell’escludere la completa equiparabilità del trattamento economico del coniuge divorziato a quello del coniuge separato, aveva affermato che “basterebbe rilevare che per il divorziato l’assegno di manteni-mento non è correlato al tenore di vita matrimoniale” (sentenza n. 472 del 1989, n. 3 del Considerato in diritto);b) e neppure dalle disposizioni di cui al comma 9 dello stesso art. 5 – secondo cui: “I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichia-razione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria” –, in quanto il parame-tro dell’”effettivo tenore di vita” è richiamato esclusivamente al fine dell’accertamento dell’effettiva consistenza redditua-le e patrimoniale dei coniugi: infatti – se il primo periodo è dettato al solo fine di consentire al presidente del tribunale, nell’udienza di comparizione dei coniugi, di dare su base documentale “i provvedimenti temporanei e urgenti [anche d’ordine economico] che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole” (art. 4, comma 8) –, il secondo periodo invece, che presuppone la “contestazione” dei documenti pro-dotti (concernenti i rispettivi redditi e patrimoni), nell’affidare al “tribunale” le relative “indagini”, cioè l’accertamento di tali componenti economico-fiscali, richiama il parametro dell’”ef-fettivo tenore di vita” al fine, non già del riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio al “singolo” ex coniuge che lo fa valere ma, appunto, dell’accertamento circa l’attendibilità di detti documenti e dell’effettiva consistenza dei rispettivi redditi e patrimoni e, quindi, del “giudizio comparativo” da effettuare nella fase del quantum debeatur. È significativo, al riguardo, che il riferimento agli elementi del “reddito” e del “patrimonio” degli ex coniugi è contenuto proprio nella prima parte del comma 6 dell’art. 5, relativa a tale fase del giudizio.2.3. Le precedenti osservazioni critiche verso il parametro del “tenore di vita” richiedono, pertanto, l’individuazione di un parametro diverso, che sia coerente con le premesse.Il Collegio ritiene che un parametro di riferimento siffatto – cui rapportare il giudizio sull’“adeguatezza-inadeguatezza” dei “mez-zi” dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio e sulla “pos-sibilità-impossibilità ‘per ragioni oggettive’” dello stesso di procu-rarseli – vada individuato nel raggiungimento dell’“indipendenza economica” del richiedente: se è accertato che quest’ultimo è “economicamente indipendente” o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto.Tale parametro ha, innanzitutto, una espressa base normativa: infatti, esso è tratto dal vigente art. 337-septies, primo com-ma, cod. civ. – ma era già previsto dal primo comma dell’art.

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155-quinquies, inserito dall’art. 1, comma 2, della legge 8 febbraio 2006, n. 54 – il quale, recante “Disposizioni in fa-vore dei figli maggiorenni”, stabilisce, nel primo periodo: “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamen-to di un assegno periodico”.La legittimità del richiamo di questo parametro – e della sua applicazione alla fattispecie in esame – sta, innanzitutto, nell’analogia legis (art. 12, comma 2, primo periodo, delle di-sposizioni sulla legge in generale) tra tale disciplina e quella dell’assegno di divorzio, in assenza di uno specifico contenuto normativo della nozione di “adeguatezza dei mezzi”, a norma dell’art. 5, comma 6, legge n. 898 del 1970, trattandosi in en-trambi i casi, mutatis mutandis, di prestazioni economiche re-golate nell’ambito del diritto di famiglia e dei relativi rapporti.In secondo luogo, il parametro della “indipendenza eco-nomica” – se condiziona negativamente il diritto del figlio maggiorenne alla prestazione (“assegno periodico”) dovuta dai genitori, nonostante le garanzie di uno status filiationis tendenzialmente stabile e permanente (art. 238 cod. civ.) e di una specifica previsione costituzionale (art. 30, comma 1) che riconosce anche allo stesso figlio maggiorenne il diritto al mantenimento, all’istruzione ed alla educazione –, a maggior ragione può essere richiamato ed applicato, quale condizione negativa del diritto all’assegno di divorzio, in una situazione giuridica che, invece, è connotata dalla perdita definitiva dello status di coniuge – quindi, dalla piena riacquisizione dello sta-tus individuale di “persona singola” – e dalla mancanza di una garanzia costituzionale specifica volta all’assistenza dell’ex co-niuge come tale. Né varrebbe obiettare che l’art. 337-ter, quar-to comma, n. 2, cod. civ. (corrispondente all’art. 155, quarto comma, n. 2, cod. civ., nel testo sostituito dall’art. 1, comma 1, della citata legge n. 54 del 2006) fa riferimento al “tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori”: tale parametro si riferisce esclusivamente al figlio minorenne e ai criteri per la determinazione (“quantificazio-ne”) del contributo di “mantenimento”, inteso lato sensu, a ga-ranzia della stabilità e della continuità dello status filiationis, indipendentemente dalle vicende matrimoniali dei genitori.In terzo luogo, a ben vedere, anche la ratio dell’art. 337-sep-ties, primo comma, cod. civ. – come pure quella dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, alla luce di quanto già osservato (cfr., supra, sub n. 2.2) – è ispirata al princi-pio dell’“autoresponsabilità economica”. A tale riguardo, è estremamente significativo quanto affermato da questa Cor-te con la sentenza n. 18076 del 2014, che ha escluso l’esi-stenza di un obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente (nella specie, entrambi ultraquarantenni), ovvero di un diritto all’assegnazione della casa coniugale di proprietà del marito, sul mero presupposto dello stato di disoccupazione dei figli, pur nell’ambito di un contesto di crisi economica e sociale: “La situazione sogget-tiva fatta valere dal figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l’autonomia economica tramite l’impegno lavorativo, chieda il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, non è tutelabile perché contrastante con il principio di autoresponsabilità che è lega-to alla libertà delle scelte esistenziali della persona”.Tale principio di “autoresponsabilità” vale certamente anche per l’istituto del divorzio, in quanto il divorzio segue normal-

mente la separazione personale ed è frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l’accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi – irrilevante, sul piano giuridico, se consa-pevole o no – delle relative conseguenze anche economiche.Questo principio, inoltre, appartiene al contesto giuridico Eu-ropeo, essendo presente da tempo in molte legislazioni dei Paesi dell’Unione, ove è declinato talora in termini rigorosi e radicali che prevedono, come regola generale, la piena auto-responsabilità economica degli ex coniugi, salve limitate – an-che nel tempo – eccezioni di ausilio economico, in presenza di specifiche e dimostrate ragioni di solidarietà.In questa prospettiva, il parametro della “indipendenza eco-nomica” è normativamente equivalente a quello di “autosuf-ficienza economica”, come è dimostrato – tenuto conto della derivazione di tale parametro dall’art. 337-septies, comma 1, cod. civ. – dall’art. 12, comma 2, del citato d.l. n. 132 del 2014, laddove non consente la formalizzazione della separa-zione consensuale o del divorzio congiunto dinanzi all’ufficia-le dello stato civile “in presenza […] di figli maggiorenni […] economicamente non autosufficienti”.2.4. È necessario soffermarsi sul parametro dell’“indipen-denza economica”, al quale rapportare l’“adeguatezza-inade-guatezza” dei “mezzi” dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio, nonché la “possibilità-impossibilità ‘per ragioni oggettive’” dello stesso di procurarseli.Va preliminarmente osservato al riguardo, in coerenza con le premesse e con la stessa nozione di “indipendenza” economi-ca, che: a) il relativo accertamento nella fase dell’an debeatur attiene esclusivamente alla persona dell’ex coniuge richie-dente l’assegno come singolo individuo, cioè senza alcun ri-ferimento al preesistente rapporto matrimoniale; b) soltanto nella fase del quantum debeatur è legittimo procedere ad un “giudizio comparativo” tra le rispettive “posizioni” (lato sensu intese) personali ed economico-patrimoniali degli ex coniugi, secondo gli specifici criteri dettati dall’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 per tale fase del giudizio.Ciò premesso, il Collegio ritiene che i principali “indici” – salvo ovviamente altri elementi, che potranno eventualmente rilevare nelle singole fattispecie – per accertare, nella fase di giudizio sull’an debeatur, la sussistenza, o no, dell’“indipen-denza economica” dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio – e, quindi, l’“adeguatezza”, o no, dei “mezzi”, non-ché la possibilità, o no “per ragioni oggettive”, dello stesso di procurarseli – possono essere così individuati:1) il possesso di redditi di qualsiasi specie;2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza (“dimora abituale”: art. 43, se-condo comma, cod. civ.) della persona che richiede l’assegno;3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.Quanto al regime della prova della non “indipendenza eco-nomica” dell’ex coniuge che fa valere il diritto all’assegno di divorzio, non v’è dubbio che, secondo la stessa formulazione della disposizione in esame e secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione del relativo onere, allo stesso spetta allegare, dedurre e dimostrare di “non avere mezzi ade-

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guati” e di “non poterseli procurare per ragioni oggettive”. Tale onere probatorio ha ad oggetto i predetti indici principa-li, costitutivi del parametro dell’“indipendenza economica”, e presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e de-duzioni da parte del medesimo coniuge, restando fermo, ov-viamente, il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’al-tro (cfr. art. 4, comma 10, della legge n. 898 del 1970).In particolare, mentre il possesso di redditi e di cespiti patri-moniali formerà normalmente oggetto di prove documentali – salva comunque, in caso di contestazione, la facoltà del giudice di disporre al riguardo indagini officiose, con l’eventuale ausi-lio della polizia tributaria (art. 5, comma 9, della legge n. 898 del 1970) –, soprattutto “le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale” formeranno oggetto di prova che può essere data con ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l’onere del richiedente l’assegno di allegare specifica-mente (e provare in caso di contestazione) le concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell’indipendenza economica, se-condo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative.2.5. Pertanto, devono essere enunciati i seguenti principi di diritto.Il giudice del divorzio, richiesto dell’assegno di cui all’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 10 della legge n. 74 del 1987, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi e dell’ordine progressivo tra le stesse stabilito da tale norma:A) deve verificare, nella fase dell’an debeatur – informata al principio dell’“autoresponsabilità economica” di ciascuno degli ex coniugi quali “persone singole”, ed il cui oggetto è costitu-ito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o no, del diritto all’assegno di divorzio fatto valere dall’ex co-niuge richiedente –, se la domanda di quest’ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di “mezzi adeguati” o, comunque, impossibilità “di procurarseli per ragioni oggetti-ve”), con esclusivo riferimento all’“indipendenza o autosuffi-cienza economica” dello stesso, desunta dai principali “indici” – salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie – del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “impo-sti” e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro per-sonale (in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò, sulla base delle pertinenti allega-zioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il di-ritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge;

B) deve “tener conto”, nella fase del quantum debeatur – infor-mata al principio della “solidarietà economica” dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro in quanto “persona” economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla deter-minazione dell’assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all’esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconosci-mento del diritto –, di tutti gli elementi indicati dalla norma (“condizioni dei coniugi, […] ragioni della decisione, […] con-tributo personale ed economico dato da ciascuno alla condu-zione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, […] reddito di entrambi”), e “valutare” “tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimo-nio”, al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova (art. 2697 cod. civ.).2.6. Venendo ai motivi del ricorso, da esaminare congiunta-mente alla luce dei principi di diritto poc’anzi enunciati, essi sono infondati.La sentenza impugnata, nell’escludere il diritto, invocato dalla L., all’attribuzione dell’assegno divorzile, non ha avuto riguar-do, in concreto, al criterio della conservazione del tenore di vita matrimoniale, che pure ha genericamente richiamato ma sul quale non ha indagato.In tal modo, la Corte di merito si è sostanzialmente discosta-ta dall’orientamento giurisprudenziale in questa sede criticato, come rilevato dal P.G., e tuttavia è pervenuta a una conclusione conforme a diritto, avendo ritenuto – in definitiva – che l’attrice non avesse assolto l’onere di provare la sua non indipendenza economica, all’esito di un giudizio di fatto – ad essa riservato – adeguatamente argomentato, dal quale emerge che la L. è im-prenditrice, ha un’elevata qualificazione culturale, possiede titoli di alta specializzazione e importanti esperienze professionali an-che all’estero e che, in sede di separazione, i coniugi avevano pat-tuito che nessun assegno di mantenimento fosse dovuto dal G.La motivazione in diritto della sentenza impugnata dev’essere quindi corretta (come si è detto sub n. 2.1), coerentemente con i principi sopra enunciati (sub n. 2.5, lett. A).3. In conclusione, il ricorso è rigettato.Le spese del presente giudizio devono essere compensate, in considerazione del mutamento di giurisprudenza su questio-ne dirimente per la decisione.P. Q. M.La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.Doppio contributo a carico della ricorrente, come per legge.

cass., 16 maggio 2017 n. 12196 Di Palma, Pres., Campanile, rel.

Sussiste profonda differenza fra il dovere di assistenza materiale fra i coniugi nell’ambito della separazione personale e gli obblighi correlati alla c.d. “solidarietà post-coniugale” divorzile: nel pri-mo caso, il rapporto coniugale non viene meno, determinandosi soltanto una sospensione dei doveri di natura personale, quali la convivenza, la fedeltà e la collaborazione; al contrario, gli aspet-ti di natura patrimoniale – in ipotesi di non addebitabilità della separazione stessa – non vengono meno, pur assumendo forme confacenti alla nuova condizione.

…omississvolgimento Del Processo

1. Con ricorso depositato in data 4 novembre 2009 la signora Ba. Mi. chiedeva che il Tribunale di Milano pronunciasse la separazione personale dal marito B.S., con il quale era coniu-gata dal (omissis). Venivano chiesti: la separazione personale con addebito al marito, nonché l’assegnazione della casa co-niugale e un assegno di mantenimento pari a tre milioni e seicentomila Euro mensili.2. Il convenuto, costituitosi, contestava la fondatezza della domanda di addebito, che proponeva a sua volta in via ri-convenzionale nei confronti della moglie; eccepiva altresì la

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carenza dei presupposti per l’assegnazione della casa coniu-gale, in quanto i tre figli nati dal matrimonio erano ormai maggiorenni ed autosufficienti sul piano economico, nonché la disponibilità, in capo alla moglie, di risorse patrimoniali tali da escludere un contributo per il proprio mantenimento.3. Nell’adottare i provvedimenti previsti dall’art. 708 c.p.c., il Presidente, attesa la permanenza della ricorrente nella casa coniugale in assenza dei presupposti per l’assegnazione, rite-nuta la carenza del potere di fissare un termine per il relativo rilascio, determinava in Euro 50.000 mensili il contributo do-vuto fino al rilascio dell’abitazione, e in un milione di Euro l’assegno per il periodo successivo.4. Successivamente, avendo le parti rinunciato alle reciproche domande di addebito, ed essendosi ritenuta la causa matura per la decisione, con sentenza depositata in data 27 dicembre 2012, il Tribunale adito dichiarava la separazione personale dei coniugi, ponendo a carico del marito, a titolo di contri-buto per il mantenimento della Ba., un assegno mensile di tre milioni di Euro, con decorrenza dalla data dell’udienza presidenziale.5. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano, in parziale accoglimento del gravame proposto dal B., ha determinato l’assegno di mantenimento in favore della Ba. in Euro cinquantamila mensili con decorrenza dalla domanda fino al settembre del 2010, ed in due milioni di Euro mensili per il periodo successivo, ponendo a carico dell’appellante le spese processuali, compensate, nel resto, nella misura di due terzi.6. La Corte distrettuale ha disatteso preliminarmente l’ecce-zione dell’appellante fondata su un’interpretazione costituzio-nalmente orientata dell’art. 156 c.c., nel senso che l’assegno di mantenimento, in considerazione della posizione preminente assegnata alla dignità del lavoro nella Costituzione, inconci-liabile con l’acquisizione di posizioni economiche immeritate, non potrebbe superare una determinata soglia; ha ritenuto poi manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità co-stituzionale di detta norma, sollevata in riferimento agli artt. 1, 4, 36 e 38 Cost., affermando che un bilanciamento dei va-lori del lavoro e della famiglia non esclude che, in caso di se-parazione giudiziale, la misura dell’assegno di mantenimento sia stabilita non con riferimento a una determinata attività la-vorativa, bensì in maniera tale da consentire al coniuge privo di adeguati redditi propri di mantenere, considerate le capaci-tà dell’obbligato, un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto nel periodo di convivenza matrimoniale.7. Passando all’esame del merito alla luce delle contestazioni mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado, si è osser-vato che non risultava corrispondente al vero che il Tribunale non avesse tenuto conto della posizione reddituale della Ba. quale socia unica delle società “Il Poggio” e “Reality Corp”, proprietarie di cespiti in (omissis): il giudice di prime cure, all’esito della valutazione comparata delle situazioni patrimo-niali e reddituali di entrambi i coniugi, pur non escludendo che i beni dell’appellata producessero un reddito annuo di un milione e 400.000,00 Euro e pur considerando l’entità del patrimonio della moglie, aveva correttamente constatato una rilevante disparità fra i redditi e i patrimoni dei due coniugi. Sotto tale profilo sono state richiamate le classifiche FORBES, che collocavano, sia pure in maniera differenziata fra le va-rie annualità, il B. fra gli uomini più ricchi del mondo, con

un patrimonio di vari miliardi di dollari, essendo per altro proprietario di numerose ville prestigiose e usufruendo di un reddito medio annuo, sulla base delle ultime dichiarazioni fi-scali, pari a 53 milioni di Euro.8. La Corte di appello ha inoltre evidenziato che lo stesso appellante, nel corso del giudizio di primo grado, aveva am-messo, a fronte delle deduzioni istruttorie della controparte, di aver garantito alla moglie un tenore di vita assolutamente al di fuori di ogni norma, mettendole a disposizione, nella villa di (omissis), adibita a casa coniugale, un maggiordomo e una segretaria personale, cuochi, autisti, cameriere e guarda-robiere, nonché versandole ogni mese, solo come “argent de poche”, la somma di Euro cinquantamila.9. Sulla base di tali dati, pur in assenza della determinazione dell’esatto ammontare dei relativi importi, la Corte territoriale ha confermato il giudizio di inadeguatezza dei mezzi di cui disponeva la Ba. al fine di conseguire il tenore di vita tenuto durante la convivenza coniugale, con conseguente diritto, te-nuto conto delle evidenziate disponibilità del coniuge, all’as-segno di mantenimento.10. Passando all’esame delle doglianze relative alla quantifi-cazione del contributo, la Corte di appello le ha condivise in parte, considerando che, essendo uno dei temi centrali della controversia la perdita per la moglie del godimento della casa coniugale, costituita dalla villa (omissis) di (omissis), la stessa non aveva allegato le circostanze inerenti all’abitazione da lei prescelta dopo il rilascio di detta villa, né poteva ritenersi che l’assegno dovesse essere commisurato alle ingenti spese so-stenute per la gestione di tale casa coniugale, anche perché la stessa era funzionale al soddisfacimento delle esigenze di un’intera famiglia, e non della sola Ba.11. Sotto tale profilo, la somma determinata dal Tribunale ap-pariva eccessiva: la Corte di appello ha quindi ritenuto con-gruo – considerati, da un lato, l’elevatissimo tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale e, dall’altro, la lunga durata del rapporto matrimoniale e il contributo mora-le e affettivo reso dalla moglie all’intera famiglia, la dedizione alla cura della prole, nonché l’impossibilità per l’appellata di riprendere l’attività di attrice abbandonata, con il consenso del coniuge, molti anni prima – un assegno di due milioni di Euro mensili, che certamente il B., così come nel periodo anteriore alla separazione, era in grado di versare.12. La corresponsione dell’assegno nell’indicata misura è stata fatta decorrere, in riforma della decisione di primo grado, dal settembre dell’anno 2010, in coincidenza con la cessazione del godimento della casa coniugale, rimanendo ferma, per il periodo anteriore, la somma determinata all’esito dell’udienza presidenziale.13. Per la cassazione di tale decisione B.S. propone ricorso, affidato a tre motivi, cui la parte intimata resiste con controri-corso. Sono state depositate memorie da ambedue le parti, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

motivi DellA Decisione

1. Con il primo motivo, si denuncia omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alla ritenuta incapa-cità della moglie di produrre reddito sulla base dell’attività di attrice, senza considerare l’effettiva attività imprenditoriale attualmente svolta dalla stessa.

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1.1. In via incidentale, viene riproposta l’eccezione di illegitti-mità costituzionale dell’art. 156 c.c. in relazione agli artt. 1, 2, 3, 4, 36 e 38 Cost., nella parte in cui detta norma non prevede che l’obbligo solidaristico ivi disciplinato debba essere com-misurato ai redditi riconosciuti ai lavoratori e, in ogni caso, in misura non superiore a tali redditi.2. La natura ancipite della censura impone una distinta di-samina dei profili in essa prospettati. Appare in ogni caso opportuno premettere che l’applicabilità, ratione temporis, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione intro-dotta dal d.l. 22 giugno 2012 n. 83, art. 54, convertito in legge, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012 n. 134, art. 1, comma 1, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il sinda-cato di legittimità sulla motivazione, nel senso già chiarito da questa Corte (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053), secondo cui la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione pos-sono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, riduce i margini del sindacato di legittimità, limitato alla verifica dell’esame del “fatto controverso” da parte del giudice del merito.2.1. In particolare, nella decisione sopra richiamata sono stati affermati i seguenti principi.2.1.1. La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – secondo cui è deducibile esclusivamente l’”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discus-sione tra le parti” – deve essere interpretata come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazio-nale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le ri-sultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconci-liabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incom-prensibile.2.1.2. Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in-troduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti proces-suali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avreb-be determinato un esito diverso della controversia).2.1.3. L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o ex-tratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discus-sione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.2.2. La prima doglianza non appare condivisibile, in quanto nella sentenza impugnata la circostanza che costituisce l’og-getto specifico della censura del ricorrente è stata accurata-mente esaminata.

In particolare, la Corte territoriale, dopo aver richiamato (p. 23), fra gli altri, il motivo di appello secondo cui il giudice di primo grado “avrebbe erroneamente ritenuto che l’appellata non sia titolare di alcun reddito, nonostante essa sia socia unica della S.r.l. il Poggio avente un patrimonio di 78 milioni di Euro…”, ha disatteso il motivo di gravame, osservando che “non rispon-de al vero che il primo giudice abbia ritenuto che l’appellata non sia titolare di alcun reddito” e, precisando, al riguardo, che la stessa Ba. aveva asserito “di essere socia unica della società Il Poggio, e per il tramite di questa, della società Reality Corp di New York, proprietarie entrambe di cespiti in Italia, Stati Uniti ed Inghilterra, pur aggiungendo che uno dei cespiti – il palazzo (omissis) – è gravato da un mutuo di venti milioni di Euro e che vari conduttori avevano comunicato la volontà di recesso”.2.3. Il tema del reddito derivante dalla suddetta partecipa-zione societaria risulta, pertanto, esaminato nella sentenza impugnata e, come si dirà appresso, valutato nel contesto delle complessive risultanze processuali: assume un aspetto meramente terminologico la differenza fra la prospettazione, nel ricorso in esame, dello svolgimento, da parte dell’intima-ta, di una vera e propria attività imprenditoriale, rispetto alla percezione dei redditi derivanti dalla suddetta partecipazione societaria. Per il vero, il possesso della qualità di socio non equivale ad esercizio di impresa, né il tenore dell’atto di ap-pello (trascritto in parte qua a p. 17 del ricorso) depone nel senso della qualifica di imprenditrice in capo alla Ba., essen-dosi sostenuto, per contestare la dichiarazione della stessa di essere “casalinga”, che “nella sua qualità di socio unico di Il Poggio S.r.l. ben più opportunamente potrebbe qualificarsi come immobiliarista”.2.4. Al di là degli aspetti di natura formale, deve rimarcarsi che la Corte distrettuale ha esaminato ogni aspetto della po-sizione patrimoniale e reddituale dell’intimata, rapportandola poi a quella del marito, ed ha conclusivamente osservato che “pur volendo accettare le stime del patrimonio della Ba. ope-rate dall’odierno appellante; pur tenendo in considerazione anche il valore della villa di (omissis), dalla Ba. donata alla madre; pur non volendo prestar fede alle asserite disdette dei conduttori, la disparità tra i patrimoni e redditi dei due coniu-gi rimane molto rilevante”. Nell’espressione di tale giudizio si condensa l’essenza della controversia in esame: a seguito delle rinunce alle reciproche domande di addebito e delle ammissioni delle parti in ordine a determinati aspetti di natu-ra fattuale, il contraddittorio si è concentrato essenzialmente sulla concreta determinazione del contributo al mantenimen-to della moglie, nel cui ambito ha assunto un ruolo centrale la questione – esaminata dalla Corte di appello e risolta in termini parzialmente adesivi alla tesi in proposito sostenuta dall’appellante B. – concernente la mancata assegnazione alla moglie della villa di (omissis), sia per l’insussistenza dei pre-supposti richiesti dall’art. 337-sexies c.c., sia per la mancata adesione, da parte della stessa Ba., all’ipotesi conciliativa che prevedeva la disponibilità in suo favore di tale bene immobile e un assegno annuo di otto milioni di Euro.2.5. Non può, pertanto, ritenersi che vi sia stato un omesso esame nei termini lamentati dal ricorrente e riconducibili alla previsione normativa applicabile nel caso, dovendosi ribadire che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, ri-

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levante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tut-te le risultanze probatorie (Cass., 10 febbraio 2015, n. 2498).3. Prescindendo, per ora, dagli ulteriori aspetti inerenti alla ricostruzione dei termini fattuali della vicenda, investiti dai motivi di ricorso che saranno appresso esaminati, va osser-vato che, sia pure rapportato a una vicenda che, per l’ecce-zionale rilevanza della consistenza patrimoniale e reddituale dell’obbligato, non trova alcun riscontro, quanto meno sotto il profilo quantitativo, nelle controversie in materia di sepa-razione personale dei coniugi che emergono dalla quotidiana esperienza giurisprudenziale, l’orientamento consolidato di questa Corte in merito all’interpretazione dell’art. 156 c.c., comma 1, risulta correttamente applicato nella decisione in esame. Tale norma dispone che “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia ad-debitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniu-ge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.3.1. Mette conto di rimarcare sin d’ora la profonda differenza fra il dovere di assistenza materiale fra i coniugi nell’ambito della separazione personale e gli obblighi correlati alla c.d. “solidarietà post-coniugale” nel giudizio di divorzio: nel pri-mo caso, il rapporto coniugale non viene meno, determinan-dosi soltanto una sospensione dei doveri di natura personale, quali la convivenza, la fedeltà e la collaborazione; al contrario, gli aspetti di natura patrimoniale – con particolare riferimento all’ipotesi, come quella in esame, di non addebitabilità della separazione stessa – non vengono meno, pur assumendo for-me confacenti alla nuova situazione.Per quanto in questa sede maggiormente rileva, l’obbligo di assistenza materiale trova di regola attuazione nel riconosci-mento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge che versa in una posizione economica deteriore e non è in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei co-niugi. Sotto tale profilo, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, con l’espressione “redditi adeguati” la norma ha inteso riferirsi al tenore di vita consentito dalle possibili-tà economiche dei coniugi (Cass., 24 aprile 2007, n. 9915); tale dato, non ricorrendo la condizione ostativa dell’addebito della separazione, richiede un’ulteriore verifica per appurare se i mezzi economici di cui dispone il coniuge richiedente gli consentano o meno di conservare tale tenore di vita. L’esito negativo di detto accertamento impone, poi, di procedere a una valutazione comparativa dei mezzi di cui dispone ciascun coniuge, nonché di particolari circostanze (cfr. art. 156 c.c., comma 2), quali, ad esempio, la durata della convivenza.3.2. La Corte di appello si è conformata a tale orientamento, in quanto, dopo aver dato atto, in merito al tenore di vita, che l’appellante aveva ammesso, al fine di dimostrare l’inutilità delle richieste istruttore della moglie, di aver consentito alla stessa “un tenore di vita assolutamente al di fuori di ogni nor-ma”, definendo poi il proprio patrimonio “ultracapiente”, è pervenuta alla conclusione che la Ba. non potesse con i propri mezzi conseguire il tenore di vita analogo a quello goduto du-rante la convivenza matrimoniale, escludendo, poi, che tale aspirazione comportasse la realizzazione di uno scopo ecces-sivamente consumistico o comunque destinato alla capitaliz-zazione o al risparmio.

3.3. Alla luce di quanto sopra evidenziato, deve constatar-si che non risulta violato il dettato normativo di riferimento nell’interpretazione costantemente resane da questa Corte, dovendosi precisare che, una volta verificata la corretta appli-cazione di tali principi, la determinazione in concreto dell’as-segno di mantenimento costituisce una questione riservata al giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della motivazione, per la quale, per altro, valgano le richiamate limitazioni derivanti dall’attuale formu-lazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.4. Tanto premesso, non può omettersi di evidenziare che, in relazione alla censura in esame, lo stesso ricorrente non ha in alcun modo dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.c., comma 1, n. 3, la violazione o la falsa applicazione della suddetta norma, avendo al contrario prospettato, in termini non dissimili da quelli già indicati nel corso del giudizio di merito, la eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 156 c.c. Tale disposizio-ne, consentendo al coniuge beneficiario dell’assegno di perce-pire somme superiori a qualsiasi lavoratore, così eccedendo la possibilità di godere di un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.), si porrebbe in maniera irrazionale in contrasto con il principio solidaristico sancito dalla Carta costituzionale, pri-vilegiando uno status sociale e così consentendo al coniuge beneficiario di sottrarsi, per altro percependo, senza espletare alcuna attività, somme eccedenti la possibilità di mantenere un’esistenza libera e dignitosa, al dovere di contribuire al pro-gresso sociale per il tramite della propria attività lavorativa. Inoltre, ponendosi gli obblighi sanciti da detta norma solo a carico del coniuge onerato, risulterebbe violato il principio di uguaglianza.4.1. A sostegno della fondatezza della eccezione viene richia-mata un’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale in merito alla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, che in maniera analoga prevede, nell’interpretazione prevalente, il riferimento, ai fini della determinazione dell’assegno di divor-zio, al tenore di vita degli ex coniugi durante la convivenza matrimoniale.4.2. Vale bene evidenziare in via preliminare la sostanziale diversità del contributo in favore del coniuge separato dall’as-segno divorzile, sia perché fondati su presupposti del tutto distinti, sia perché disciplinati in maniera autonoma e in ter-mini niente affatto coincidenti.Premesso che, come già rilevato, la separazione personale dei coniugi, a differenza dello scioglimento del matrimonio o del-la cessazione dei suoi effetti civili non elide, anzi presuppone, la permanenza del vincolo coniugale, deve ribadirsi che il do-vere di assistenza materiale, nel quale si attualizza l’assegno di mantenimento, conserva la sua efficacia e la sua pienezza in quanto costituisce una dei cardini fondamentali del matri-monio e non presenta alcun aspetto di incompatibilità con la situazione, in ipotesi anche temporanea, di separazione.4.3. Altrettanto non può affermarsi in merito alla solidarietà post-coniugale alla base dell’assegno di divorzio: al riguardo, è sufficiente richiamare la recente sentenza di questa Corte n. 11504 del 10 maggio 2017, le argomentazioni che la sorreg-gono (e, in particolare, il n. 2.2., lettera A, p. 8) ed i principi di diritto con essa enunciati.4.4. Passando all’esame della questione inerente all’assegno di mantenimento previsto dall’art. 156 c.c., che violerebbe i parametri costituzionali indicati nel ricorso, in quanto inclu-

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derebbe fra le conseguenze patrimoniali del vincolo matri-moniale – come sopra evidenziato, persistenti nel regime di separazione personale – delle contribuzioni a carico dell’one-rato del tutto avulse dall’attività svolta dall’altro coniuge, deve in primo luogo rilevarsi che la norma, nell’interpretazione costantemente resane da questa Corte, non è intesa a pro-muovere, come sembra sostenersi nel ricorso, una colpevole inerzia del beneficiario, in quanto si ritiene che, in relazione all’assegno di mantenimento in esame, debba tenersi conto dell’attitudine del coniuge al lavoro, la quale viene in rilievo ove venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svol-gimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche (Cass., 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass., 25 agosto 2006, n. 18547; Cass., 2 lu-glio 2004, n. 12121).4.5. Deve poi rilevarsi come l’attribuzione di un assegno di mantenimento al coniuge che non abbia adeguati redditi pro-pri trova la sua fonte nel rilevante ruolo che l’art. 29 Cost. attribuisce alla famiglia nell’ambito dell’ordinamento. Assu-me particolare rilevanza il principio di uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi, più volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 4 maggio 1966, n. 46, proprio con riferimento all’obbligo di consentire al coniuge separato di mantenere lo stesso tenore di vita precedentemente goduto, sia pure con la necessità di considerare i mezzi di cui auto-nomamente disponga; id., 16 dicembre 1968, n. 126; id., 20 marzo 1969, n. 45; id., 27 novembre 1969, n. 147; id., 24 giugno 1970, n. 133, in cui si afferma, in tema di rapporti patrimoniali, che l’uguaglianza dei coniugi garantisce l’unità familiare, mentre “è la disuguaglianza a metterla in pericolo”; id., 14 giugno 1974, n. 187; id., 18 dicembre 1979, n. 153; id., 4 aprile 1990, n. 215; id., 6 giugno 2006. N. 254; id., 23 marzo 2010, n. 138).4.6. In considerazione di quanto evidenziato, l’eccezione di illegittimità costituzionale in esame, sotto tutti i profili dedot-ti, appare manifestamente infondata, in quanto la determi-nazione dell’assegno di mantenimento sulla base del tenore di vita dei coniugi, tenuto conto delle altre circostanze e dei redditi dell’obbligato, costituisce l’espressione di quei valori costituzionali sopra richiamati che, secondo criteri di pro-porzionalità e ragionevolezza, si trovano in rapporto di in-tegrazione reciproca con gli altri principi e diritti fondamen-tali affermati dalla Costituzione (Corte cost., 7 ottobre 2014, n, 242; id., 9 maggio 2013, n. 85). Vale bene richiamare, in proposito, l’affermazione del Giudice delle leggi secondo cui “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si tro-vano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza asso-luta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in poten-ziale conflitto tra loro”.5. Con il secondo mezzo si deduce l’omesso esame, eviden-temente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del peg-gioramento delle condizioni economiche e reddituali del ri-corrente; sotto il medesimo profilo si denuncia la violazione dell’art. 156 c.c., comma 2, c.c., richiamandosi l’orientamen-to secondo cui nel corso del giudizio di separazione rilevano le evoluzioni della situazione reddituale dei coniugi, onde adeguare la pronuncia, eventualmente stabilendo una misura

dell’assegno diversa per determinati periodi, ai presupposti inerenti alla determinazione della misura dell’assegno.5.1. La censura è infondata, sotto tutti i profili dedotti.5.2. Deve in primo luogo rilevarsi che la deduzione inerente all’omesso esame della questione inerente al decremento dei redditi dell’onerato non trova riscontro nella motivazione del-la decisione impugnata.La Corte di appello, infatti, dopo aver riportato (p. 25) il mo-tivo di gravame secondo cui il mutamento in peius della con-dizione reddituale e patrimoniale dell’appellante, dovuto alla crisi economica mondiale, avrebbe imposto una riduzione del contributo, anche al fine di evitare che egli fosse costretto a dismettere parte del suo patrimonio, ha calcolato in 53 mi-lioni di Euro il reddito medio annuo del B., sulla base del-le dichiarazioni dei redditi presentate negli anni dal 2006 al 2010, ed ha quindi espresso un giudizio di inattendibilità in merito tanto all’ultimo reddito dichiarato, nell’anno 2012, di Euro 4.515.298,00, quanto in ordine alla dedotta riduzione del valore del gruppo Fininvest.5.3. La violazione della norma sopra indicata – per non aver la sentenza impugnata tenuto conto del decremento – può ritenersi esclusa sulla base del rilievo di inattendibilità testé indicato, essendo evidente che il giudizio di inattendibilità in merito alla deduzione esimeva la valutazione delle giuridiche conseguenze della circostanza; mette conto di precisare, per altro, che non è sufficiente il verificarsi di una variazione del-le condizioni patrimoniali dei coniugi (sia in corso di causa – Cass., 22 ottobre 2002, n. 14886; Cass., 22 aprile 1999, n. 4011 – sia nei giudizi di revisione dell’assegno), essendo necessario procedere al rigoroso accertamento dell’incidenza della nuova situazione patrimoniale sul diritto al contributo o sulla sua entità (Cass., 20 giugno 2014, n. 14143; Cass., 15 settembre 2008, n. 236943; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 2 maggio 2007, n. 10133; Cass., 28 agosto 1999, n. 9056; Cass., 28 settembre 1998, n. 8654). Sotto tale profilo, come sopra evidenziato, la Corte territoriale ha posto in evidenza il rilevante divario fra le condizioni patrimoniali e reddituali degli ex coniugi, ponendo in risalto, infine, l’am-missione dello stesso B. di essere “ultracapiente”.6. La terza censura, con la quale si deduce l’errore del calcolo della media dei redditi dell’appellante, per non essersi consi-derata la natura straordinaria degli elevati profitti conseguiti nell’anno 2006, con conseguente deduzione della violazione di cui all’art. 112 c.p.c., presenta evidenti profili di inam-missibilità, per non aver colto la complessiva ratio decidendi della decisione impugnata, fondata non soltanto sulla posi-zione reddituale dell’appellante, già di per sé estremamente rilevante, considerato anche il giudizio di inattendibilità in merito al reddito più recente, ma, soprattutto, sulla consi-stenza patrimoniale del ricorrente, che, con varie oscillazioni, lo collocava nel periodo considerato fra gli uomini più ricchi del mondo, tenuto conto delle partecipazioni azionarie e della proprietà di prestigiose ville.Tale aspetto si associa al richiamo della Corte territoriale al principio, non censurato, secondo cui non è necessaria una individuazione precisa degli elementi relativi alla situazione patrimoniale e reddituali dei coniugi, essendo sufficiente una loro ricostruzione attendibile. In proposito questa Corte ha in più occasioni affermato che, benché la separazione determini normalmente la cessazione di una serie di benefici e consue-

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tudini di vita e anche il diretto godimento di beni, il tenore di vita goduto in costanza della convivenza va identificato aven-do riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo quindi conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro. Inoltre, al fine della determinazione del “quantum” dell’assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l’accer-tamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo suf-ficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situa-zioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass., 22 febbraio 2008, n. 4540; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 12 giugno 2006, n. 13592; Cass., 19 marzo 2002, n. 3974).

7. In definitiva, in disparte la contestazione in apicibus del-la norma contenuta nell’art. 145 c.c., il ricorso non appare meritevole di accoglimento, avendo ad oggetto un decisione sostanzialmente incentrata sulla determinazione in concreto dell’assegno di mantenimento, che si fonda sostanzialmente sulla valutazione di circostanze che, avuto anche riguardo alle evidenziate limitazioni concernenti la deducibilità in questa sede del vizio di motivazione, è affidata all’apprezzamento del giudice del merito.8. Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo.P. Q. M.La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al paga-mento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

1. Premessa

Con il primo arresto appena pubblicato, la Corte di legittimità segna ulteriore svolta in materia matrimoniale, statuendo in ordine al peculiare tema del diritto al riconoscimento dell’as-segno divorzile.

Al contempo, attraverso il significativo coevo secondo arre-sto, rimarca il diverso connotato della misura assistenziale post-coniugale rispetto all’assegno di mantenimento in favore del coniuge in regime di vita separato; tanto che la regolamentazio-ne della crisi del rapporto coniugale risulta davvero lontana da quella relativa al suo scioglimento (o cessazione degli effetti).

L’odierna conclusione ermeneutica spezza una consolidata prassi giurisprudenziale1 nell’interpretazione applicativa con-

1 Per l’esattezza, questo indirizzo, risale alla svolta impressa con composi-zione degli anteriori contrasti, dal noto arresto di Cass., sez. un., 29 novembre 1990 n. 11490, in Foro it., 1991, I, 67, con notazioni di E. QuADri, Assegno di divorzio: la mediazione delle sezioni unite, e V. cArBone, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio); in Riv. dir. civ., 1991, 221, con nota di c.m. BiAncA, Natura e presupposto dell’assegno di divorzio: le sezioni unite della cassazione hanno deciso; in Giur. it., 1991, I, 1, 536, con nota di g.m. Pellegrini, La determinazione dell’assegno di divorzio al vaglio delle sezioni unite; in Giust. civ.,

creta dell’art. 5, comma 6°, l. div., fondata sulla correlazione

1991, I, 1223, con nota di A. sPADAForA, L’orientamento delle sezioni unite in ma-teria di assegno divorzile: considerazioni critiche; ed in Quadrimestre, 1991, 609, con nota di M. Dossetti, Il dibattito sull’assegno di divorzio e la sintesi proposta dalle sezioni unite; questo precedente basilare è in realtà coevo ad altri quattro di segno identico (n. 11489, 11491 e 11492), ed è sostanzialmente prevalso sino ad oggi; una sommaria menzione degli arresti successivi, induce ad indicare quantome-no, Cass., sez. I, 1 dicembre 1993 n. 11860, in Fam. dir., 1994, 15, con nota di V. cArBone, L’evoluzione giurisprudenziale in tema di assegno di divorzio; Id., 6 agosto 1997 n. 7269, in Giur. it., 1998, 215, con nota critica di F. PArente, L’as-segno di divorzio tra tenore di vita paraconiugale ed esistenza libera e dignitosa; Id., 28 febbraio 1998 n. 2087, in banca dati Foro it.; Id., 16 giugno 2000 n. 8225, in Giur. it., 2001, 462, con nota di O.B. cAstAgnAro, La Cassazione si ostina a far sopravvivere uno status economico connesso ad un rapporto definitivamente estinto ed a non riconoscere il carattere alimentare dell’assegno di divorzio; Id., 11 settembre 2001 n. 11575, in Fam dir., 2002, 285, con nota di G. sciAncAlePore, La funzione assistenziale dell’assegno di divorzio; Id., 17 gennaio 2002 n. 432, in Nuova giur. civ. comm., 2003, 38, con nota di E. Al mureDen, In tema di adeguatezza dei redditi del coniuge divorziato; Id., 21 marzo 2002 n. 4038, in Giur. it., 2002, 1828, con nota di L. BArBierA, Quantificazione e datazione dell’assegno di divorzio: vecchi e nuovi problemi; Id., 27 settembre 2002 n. 14004, in Fam. dir., 2003, 14, con nota di G. De mArzo, Revisione dell’assegno divorzile e conservazione del tenore di vita matrimoniale; Id., 19 marzo 2003 n. 4040, in Archivio civ., 2004, 116; Id., 28 gennaio 2004 n. 1487, Fam. dir., 2004, 237, con nota di A. liuzzi, Assegno di divorzio e incrementi reddituali; Id. 16 luglio 2004 n. 13169, in banca dati Pluris; Id., 22 agosto 2006 n. 18241, in Foro it., 2007, I, 770, con nota redazionale di G.

LA riLevANzA DeL “teNOre Di vitA” Dei cON-SOrti NeL ricONOScimeNtO DeL cONtributO AL mANteNimeNtO iN regime Di SePArAziONe PerSONALe e DeLL’ASSegNO POSt-cONiugALeGIAnCARLO SAVIAvvocato in Macerata e membro dell’Esecutivo di ONDiF

Sommario: 1. Premessa. - 2. Recenti istanze evolutive del regolamento del rapporto coniugale entrato in crisi. - 3. Il precedente di Corte Cost. 11 febbraio 2015 n. 11, nel particolare. - 4. Il confronto tra le due conclusioni ermeneutiche. - 5. Il nuovo decalogo prospettato. - 6. I punti critici salienti. - 7. Gli essenziali motivi del dissenso. - 8. Il confronto argomentativo con la posizione del figlio maggiorenne. - 9. Le successive espressioni della Corte di legittimità e le prime voci della dottrina. - 10. Le prime applicazioni del nuovo corso ad opera della giurisprudenza di merito. - 11. Conclusioni.

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al cd. “tenore di vita” caratterizzante la comune vita in co-stanza di rapporto matrimoniale, rivisitandone i capisaldi ed incidendo in verità su qualche distorsione di troppo che que-sto riferimento convenzionale ha prodotto nel tempo, come con crescente evidenza emerso nel tessuto sociale: il parame-tro in parola semplicemente non rileva per il riconoscimento dell’assegno post-coniugale.

Quel che colpisce è la perentoria diversa analisi dell’immu-tato quadro normativo, e l’eccezionalità delle due fattispecie concrete, afferenti un ceto sociale dotato di mezzi economici che possiamo definire eufemisticamente sovrabbondanti; casi che hanno però costituito l’occasione concreta della radicale svolta impressa (significativo il dato Istat che certifica l’attuale importo medio dell’assegno divorzile, pari ad € 496,60 men-sili); invero, con ritorno a conclusioni che erano già presenti nella giurisprudenza anteriore alle sezioni unite del 1990. La riflessione prima risiede pertanto in questa obiettiva constata-zione: l’interpretazione di principio può fondarsi su una casi-stica così distante dalla vita dei più?

I due casi risultavano in sostanza persino imbarazzanti, con-notati come sono da un domandare volto a locupletazione, con quella carica reattiva che inevitabilmente induce; difatti, la ricerca di una coerente ragione giustificatrice, di merite-volezza di tali arricchimenti, secondo il comune sentire, in questo contesto sociale, non risulta in grado di approdare ad un valido risultato; di certo, queste fattispecie concrete sono totalmente aliene rispetto alla problematica di come indivi-duare in concreto il livello ordinario, o, se si vuole, comune, di indipendenza od autosufficienza economica.

La Corte di legittimità nel rinviare al lavorio delle sedi di merito non si spinge però al punto di individuare tale livello come un tot economico (prevalentemente monetario) ugua-le per tutti. Evidentemente, in virtù della ragione secondo cui, anche il concetto della doverosa assistenza alimentare, al ricorrere dei basilari vincoli parentali prefigurati dall’ordi-namento, non è esattamente configurata come importo fisso indistinto, uguale per ogni individuo che per sciagurato de-stino esistenziale si venga a trovare in stato di bisogno tale da risultare privo del necessario per la vita; dirimente è infatti, che non può comunque prescindersi dalle reali circostanze concrete2, avendo “riguardo alla sua posizione sociale”, come detta l’art. 438, comma 2°, c.c.

Senza anticipare conclusioni, opportuno rimarcare subito, come l’assistenza alimentare non possa proprio confondersi con il connotato “assistenziale” dell’assegno post-coniugale. Il pericolo di una tale deriva ermeneutica che da tempo risalen-te affiora (seppur occasionata da peculiari questioni che esi-gono sistemazione di principio con riferimento alla comune matrice di tutela della persona e, quindi, ne giustificano un avvicinamento), attraverso la spendita dell’argomento secon-

cAsABuri; Id., 12 luglio 2007 n. 15610 e n. 15611, in Fam. dir., 2007, 1092, con nota di R. russo, Ancora sull’assegno divorzile: la Cassazione conferma l’orientamen-to; Id., 21 maggio 2008 n. 13058, in banca dati Pluris; Id. 11 novembre 2009 n. 23906, ivi; Id., 21 ottobre 2013 n. 23797, ivi; Id., 28 ottobre 2013 n. 24252, ivi; Id., 5 febbraio 2014 n. 2546, ivi; Id., 20 giugno 2014 n. 14128, in Fam. dir., 2015, 380, con nota di C. mAgli, Assegno di divorzio e progressione di carriera del coniuge obbligato: presupposti e limiti dell’aspettativa del coniuge debole; Id., 10 feb-braio 2015 n. 2574, ivi, 2016, 259, in nota di v. giorgiAnni, L’assegno “divorzile” ai tempi della crisi: criteri e requisiti per la sua determinazione; Id., 9 giugno 2015 n. 11870; in banca dati Pluris; Id., 29 settembre 2016 n. 19339, in banca dati ivi.

2 c. ArgiroFFi, Degli alimenti, Artt. 433-448, in Commentario cod. civ. schlesin-ger-Busnelli, Milano, 2009, 57.

do cui l’attribuzione dell’assegno presupporrebbe uno “stato di bisogno”, oltre a far dubitare della piena consapevolezza sistematica, collide con il dettato dell’art. 5, comma 6°, l. div., ove volutamente è assente un qualche riferimento ad una si-tuazione di bisogno “alimentare”; anzi, a dire il vero, come si vedrà, neppure ad una situazione di bisogno rispetto all’esi-genza di assicurare un “dignitoso mantenimento”3.

2. recenti istanze evolutive del regolamento del rapporto coniugale entrato in crisi

Invero, le avvisaglie di un approdo sostanziale tendente alla prudente moderazione della prestazione da imporre al singo-lo ex coniuge verso l’altro, erano in qualche modo nell’aria, mentre non sono mai risultate sopite le contrastanti tesi4; solo per limitarci ai tempi recenti, il “poderoso” dubbio di costitu-zionalità sollevato dal Tribunale di Firenze nel 20135, pur non cogliendo l’utile risultato della declaratoria di illegittimità6, ipotizzato con motivazioni incisive e conformi ad un diffuso sentire sociale, aveva indotto la Corte delle leggi7 ad indicare

3 Durante l’iter dei lavori parlamentari di riforma della l. div., introdotta con la l. 6 marzo 1987 n. 74, come noto, venne eliminato proprio il riferimento al “dignitoso mantenimento” (cfr. meglio infra, nota 41). A titolo esemplificativo della problematica considerazione del binomio alimenti/mantenimento, proprio quanto alle differenze strutturali degli stessi, evanescenti ad esempio sotto il versante quantitativo modesto o sotto le caratteristiche comuni (quali la reci-procità, il carattere strettamente personale, la variabilità secondo la condizione rebus sic stantibus), cfr., g. FrezzA, Diritto del divorziato alla pensione di reversibilità e convenzioni preventive di divorzio, in Dir. fam. pers., 1996, 32; V.M. cAFerrA, Famiglia e assistenza, Bologna, 1984, 57; e. QuADri, L’adeguamento monetario degli assegni periodici con funzione assistenziale, in Giur. it., 1980, IV, 49; g. gABrielli, L’ordine giudiziale di pagare a familiari del creditore, in Riv. dir. civ., 1976, I, 462; G. ProverA, Degli alimenti, sub art. 447 c.c., in Commentario cod. civ. sciAloJA-BrAncA, Bologna-Roma, 1972, 169. In giurisprudenza, ancora a titolo esemplificativo, secondo Cass., sez. I, 19 giugno 1996 n. 5677, in banca dati Pluris, la domanda avente ad oggetto gli alimenti rappresenta un minus rispetto alla richiesta di mantenimento; mentre, Cass., sez. I, 9 giugno 2002 n. 13060, in Giur. it., 2003, 1794, con nota redazionale di D. iAcoBAzzi, arriva a sovrapporre i confini legisla-tivamente imposti. Seguono comunque nel testo numerosi spunti di riflessione.

4 Una bibliografia essenziale ed ultima in tema ci induce a richiamare, C.M. BiAncA, Diritto civile. 2.1 La famiglia, Milano, 2014, 289; L. rossi cArleo - c. cA-ricAto, Il diritto di famiglia, in Trattato dir. priv. Bessone, IV, Torino, 2013, 2, 281; A. Anceschi, voce Divorzio, in banca dati Digesto it. (civile), 2012; G. giAcoBBe - P. virgADAmo, Le persone e la famiglia, 3, Il matrimonio, II, Separazione personale e divorzio, in Trattato dir. civ. sAcco, Torino, 2011, 57; A. totAro, Gli effetti del divorzio, in Trattato dir. famiglia zAtti, Milano, 2011, I, 1631; G. Bonilini - F. tommAseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Commentario cod. civ. schlesinger - Busnelli, Art. 149 e l. 1° dicembre 1970, n. 898, Milano, 2010, 572; A. mArini, Il divorzio, in liPAri - rescigno (diretto da), Diritto civile, II, La famiglia, Milano, 2009, 326; A. Arceri, Lo scioglimento del matrimonio, in m. sestA (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2009, II, 3897; e naturalmente i contributi già rinvenibili nella Rivista.

5 Con la nota Ordinanza 22 maggio 2013, in Fam. dir., 2014, 687, annotata da E. Al mureDen, Il parametro del tenore di vita coniugale nel “diritto vivente” in materia di assegno divorzile tra persistente validità, dubbi di legittimità costituzionale ed esigenze di revisione; e A. morrone, Una questione di ragionevolezza: l’assegno divorzile e il criterio del “medesimo tenore di vita”.

6 La pronuncia annotata consente comunque di escludere agevolmente un qualche profilo di contrarietà alla carta fondamentale dell’art. 5, comma 6°, l. div., secondo il costrutto logico giuridico già tentato dal Tribunale di Firenze 22 maggio 2013, cit., ricorrendo anzi piena ed armonica conformità, salvi ora nuovi e ben diversi dubbi; in buona sostanza, quell’accusa di anacronistica ir-ragionevolezza dell’attribuzione patrimoniale periodica in parola, connessa al recupero dello status personale, a distanza di quarantasette anni dall’introdu-zione dell’istituto del divorzio ed in un contesto sociale profondamente mutato, proprio per la svolta impressa dalla Suprema Corte, risulta oggi priva del suo primo e basilare argomento.

7 Con la sentenza 11 febbraio 2015 n. 11, in Fam. dir., 2015, 537, con nota di E. Al mureDen, Assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e princi-pio di auto responsabilità; ed in Avv. fam., 2015, 1, 56, con Mia notazione, L’asse-gno post coniugale: importanti precisazioni della Corte Costituzionale sul parametro

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il valore da attribuire a tale punto di riferimento del tenore di vita dei con-sorti, per decidere riguardo all’attribuzione ed alla misura del mantenimento richiesto dal coniuge economi-camente svantaggiato, al momento del dissolvimento del vin-colo. Il responso di costituzionalità, pur richiamando lo stesso “tradizionale” indirizzo interpretativo della Corte di legittimi-

del “tenore di vita” matrimoniale. Questa la conclusione: “L’assegno divorzile non deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, in quanto, viceversa, questo para-metro rileva soltanto per determinare in astratto il tetto massimo della misura della prestazione assistenziale, da determinare poi in concreto, caso per caso, con tutti gli altri criteri di diminuzione indicati nell’art. 5 l. div. (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione) sino all’azzeramento”. D’uo-po evidenziare come la Corte, pur individuando nell’orientamento della Corte di legittimità che da tempo considerava “il tenore di vita tenuto in costanza di coniugio” come il parametro della sola prima verifica cui si deve necessaria-mente procedere, e cioè il confronto relativo che consente di rinvenire o meno una concreta disparità di risorse, tuttavia finiva per far emergere le criticità del sistema. Gli arresti giurisprudenziali di legittimità, indicati come significativi di una tale corretta attività ermeneutica, ivi risultano enumerati esattamente se-condo questo percorso: Cass., sez. I civ., 5 febbraio 2014 n. 2546, in banca dati Pluris; Id., 28 ottobre 2013 n. 24252, ivi; Id., 21 ottobre 2013 n. 23797, ivi; Id., 12 luglio 2007 n. 15611, in Fam. dir., 2007, 1092, con nota di R. russo, Ancora sull’assegno divorzile: la Cassazione conferma l’orientamento; Id., 22 agosto 2006 n. 18241, in Foro it., 2007, I, 770, con nota di G. cAsABuri; Id., 19 marzo 2003 n. 4040, in Archivio civ., 2004, 116. In sostanza, nonostante l’asciutta mo-tivazione espressa con rilevante rimando ad una giurisprudenza specifica che invero annoverava vaste espressioni (ma non mancando il laconico ex plurimis), venne reputata valida e conforme alla nostra carta fondamentale l’interpreta-zione secondo cui, in tema di scioglimento del matrimonio e nella disciplina dettata dall’art. 5, comma 6°, della l. n. 898/1970, come modificato dall’art. 10 della l. n. 74/1987, l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola in due fasi: nella prima, il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi o comunque all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, in confronto al tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, ovvero che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio (fissate al momento del divorzio) e, quindi, procedere ad una determinazione quantitativa della somma sufficiente a colmare quella inadeguatezza dei mezzi, che costituisce il tetto massimo ipo-tizzabile della misura dell’assegno post-coniugale stesso. Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma consi-derata in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, quando la tendenziale conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione. Singolarmente, non viene neppure menzionato che tale giurisprudenza in realtà risaliva alla svolta dettata con l’arresto di Cass., sez. un., 29 novembre 1990 n. 11490, cit. Secondo il medesimo primo arresto qui annotato, la Corte delle leggi sarebbe caduta in qualche contraddizione di troppo con un proprio precedente (relativo però al settore penale, inerente la punibilità delle diverse condotte inadempienti dell’obbligato: Corte Cost. 31 luglio 1989 n. 472, in Foro it., 1990, I, 1815, con nota di e. QuADri, Legittimità costituzionale della nuova tutela penale del divorziato; ed in Dir. fam. pers., 1990, 18, con nota di F. DAll’ongAro, Sulla dubbia legitti-mità costituzionale dell’art. 12 sexies della vigente legge sul divorzio), siccome ivi è rinvenibile la motivazione secondo cui, testualmente, “per il divorziato l’assegno non è correlato al tenore di vita”. L’assunto non appare propriamente condivisibile anche sotto il profilo del suo reale valore ai fini che qui ci occupano, per più ragioni, che in questa sede possono così sintetizzarsi: in primo luogo nell’eco-nomia di quel precedente di scrutinio di norme incriminatrici rilevanti l’una in regime di separazione e l’altra in quello divorzile, l’argomento appare solo a valenza rafforzativa di ben più articolato e complesso apparato motivo, tanto da non potersene dedurre quella specifica valenza dirimente; inoltre, la Corte allora mutuava conclusioni emerse nella giurisprudenza della stessa Corte di Cassa-zione, all’epoca non ancora passate al vaglio delle sezioni unite, cui giunse per l’appunto in virtù dei contrasti interpretativi anteriori al 1990; ad ogni modo, appare risolutiva la constatazione secondo cui nella sentenza n. 11/2015 la Corte Costituzionale ha preso in esame ex professo la specifica questione, indicando la corretta interpretazione costituzionalmente orientata, con la persuasiva opera di efficace componimento, sopra trascritta. Già questi cenni consentono di esclu-dere quella contraddizione significativa che invece ha ritenuto di intravedervi il primo arresto in commento, rilevante per l’odierno nuovo corso.

tà8, difforme da quello odierno, consapevolmente innovato dalla pronuncia annotata, come peraltro ivi si rileva acuta-mente, rimandava all’attività ermeneutica del giudice, da condursi nel singolo caso, con criteri comunque volgenti ad evidente moderazione.

Il passaggio successivo di maggior rilievo interviene ancora nel 2015, quando la stessa Corte di legittimità9, occupando-si della diffusa problematica caratterizzante la materia, del-la successione di relazioni affettive di coppia del divorziato, istituite stabilmente secondo uno degli odierni diversi mo-delli familiari, giunse a statuire che “L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, costituisce espressione di una scelta esistenziale, libera e consape-vole, costituzionalmente tutelata dall’art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge e sviluppa la personalità dei singoli, idonea a rescindere l’anteriore modello di vita fondato sul vincolo di coniugio e, quindi, a far venir meno il residuo obbligo connesso al tenore di vita che l’aveva caratterizzato, comportando la perdita dell’assegno divorzile fissato ai sensi dell’art. 5 l. div.; l’esclusione di tale misura assistenziale, ispirata a ragioni di so-lidarietà post-coniugale, necessita di un accertamento giudiziale, ma con efficacia irreversibile, anche nell’ipotesi in cui il nuovo rap-porto familiare di fatto venga poi ad interrompersi”.

Questa soluzione, pur confermando il riferimento al pre-gresso “tenore della vita matrimoniale”, richiama con forza l’attenzione dell’interprete sul fondamentale canone di auto-responsabilità dei singoli per le scelte esistenziali realizzate.

Il rilievo pratico di tali questioni, inevitabilmente legato all’evoluzione del contesto sociale e normativo, è larghissimo, cosicché giova ancora evidenziare ciò che da tempo aleggia nel tessuto sociale.

Già la Corte delle leggi, nel 2015, indicando la corretta interpretazione della disposizione normativa, la rinveniva nell’orientamento della Corte di legittimità che da tempo considerava “il tenore di vita tenuto in costanza di coniugio” come parametro rettamente utilizzabile anche nella prima ve-rifica – an debeatur – cui si deve necessariamente procedere; cioè, in quel confronto relativo che consente di stabilire se sussista o meno una concreta disparità di condizione tra il prima ed il dopo. In realtà però sottendeva una composizione delle perplessità ed ambiguità che il dato normativo ad onor del vero propone, pur frutto della riforma del 1987 e che nel-le intenzioni del legislatore doveva risolvere; con il risultato,

8 Cfr. in particolare le citazioni in nota 1.9 Cass., sez. I, 3 aprile 2015 n. 6855, in Giur. it., 2015, 2078, con nota di

D. Buzzelli, La Cassazione e l’incidenza della convivenza more uxorio sull’assegno divorzile; ed in Foro it., 2015, I, 1527, con nota redazionale di g. cAsABuri; in-vero, l’arresto risulta diffusamente segnalato ed annotato; cfr. anche, in Fam. dir., 2015, 553, con nota di G. FerrAnDo, “Famiglia di fatto” e assegno di divorzio. Il nuovo indirizzo della Corte di Cassazione, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 681, con nota di E. Al mureDen, Formazione di una nuova famiglia non matrimoniale ed estinzione definitiva dell’assegno divorzile; ed in Corr. giur., 2016, 626, con nota di R. gelli, Finita la convivenza more uxorio il diritto all’assegno divorzile non rivive. L’indirizzo si consolidava, con numerosi arresti successivi identici, tra i quali, Cass., sez. VI-1, 11 gennaio 2016 n. 225, in banca dati Juris; Id., 8 febbraio 2016 n. 2466, ivi; Id., 1 luglio 2016 n. 19345, ivi; Id., 29 settembre 2016 n. 19345, ivi, Id., 13 dicembre 2016 n. 25528, in www.ilcaso.it; Id., 22 febbraio 2017 n. 4649, in banca dati Pluris; Id, 22 marzo 2017 n. 7388, ivi, che invero estende il principio anche riguardo all’assegno di mantenimento in regime di vita separato; Id., 22 maggio 2017 n. 12879, ivi. Sul tema, aggiornato anche in relazione alle sue implicazioni discendenti dall’entrata in vigore della l. 20 maggio 2016 n. 76, sia consentito rimandare all’ampia recente analisi condotta in g. sAvi, Nuove convivenze familiare e revoca dell’assegno divorzile, in Diritto e Processo, 2016, 173.

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

al fondo sostanziale delle cose, di evidente richiamo alla mo-derazione e razionalità.

Lo stesso intervento della Corte delle leggi rimaneva però come incompreso nelle aule di Giustizia e perciò non appaga il sentire sociale con le sue molteplici sensibilità; la ragione sostanziale può agevolmente rinvenirsi nella condizione di crisi che da lungo tempo attraversa il rapporto affettivo isti-tuito secondo il tradizionale vincolo matrimoniale, che appa-re storicamente inarrestabile; tra le tante cause di fondo, da annoverare certo l’evoluzione dell’ordinamento positivo volto a riconoscere la posizione del singolo piuttosto che quell’in-teresse superiore della comunità familiare10; processo di tra-sformazione che inevitabilmente induce la ricerca di nuo-vi equilibri, con l’esigenza di composizione della vocazione conflittuale che incarna, e che, tra l’altro, trova ampio riscon-tro nell’odierna pluralità dei modelli familiari riconosciuti dall’ordinamento. Rilevante anche il fatto che la questione è percorsa da ruvide inquietudini di genere, oramai davvero manifeste, che risuonano da tempo anche su tutti gli organi di stampa; infatti, nell’esperienza concreta, seppur realizzata l’uguaglianza morale e giuridica, maturava la conclusione se-condo cui risulta insostenibile che soltanto i coniugi di sesso maschile, finiscano per “incappare”, sul versante materiale, quasi in via di automatismo, se così è consentito esprimerci, in una sorta di “accollo del peso dell’altro vita natural du-rante”; l’evidenza statistica – inconfutabile – è d’altronde fin troppo significativa; un meccanismo pratico che incarnava ed incarna una valutazione sociologica discriminatoria, con corrispondente favor “vitalizio” per la posizione femminile, pressoché per una sorta di dogma pratico precostituito, nella disciplina della patologia di coppia, arduo da mettere in di-scussione nel confronto processuale11.

Invero, la questione involge anche i costumi giudiziari: una

10 Il tema vede una vasta letteratura; cfr. da ultimo, m. sestA, La famiglia tra funzione sociale e tutele individuali, in La funzione sociale nel diritto privato tra XX e XXI secolo, a cura di F. mAcArio e m.n. miletti, Roma Tre Press, 2017, 139, ora ripreso in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 567; ma anche il significativo bilancio della fine degli anni ottanta, rinvenibile, in P. rescigno, Il diritto di famiglia ad un ventennio dalla riforma, in Riv. dir. civ., 1988, I, 109, analisi autorevolmente ripre-sa dall’A. in Le famiglie ricomposte: nuove prospettive giuridiche, in Familia, 2002, 1; e quanto all’anteriore contesto, A. BArBerA, sub art. 2 Cost., in Commentario della Costituzione, a cura di g. BrAncA, Bologna-Roma, 1976, 49; P. Perlingieri, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Camerino, 1972, 191.

11 Emblematico, tra altri, quanto apparso sulla prima pagina di Panorama, 4 marzo 2015, sotto il titolo “Uomo divorziato uomo rovinato”, che peraltro prende le mosse proprio dalla notizia della decisione della Corte Costituzionale con la cit. sentenza 11 febbraio 2015 n. 11. Ma se si vuol restare rigorosamente alla ca-sistica giurisprudenziale, numerose le fattispecie financo imbarazzanti con l’uso dell’umana ragione. A titolo esemplificativo, tra i tanti possibili, cfr., Cass., sez. I, 20 giugno 2014 n. 14128, in Fam. dir., 2015, 380, con nota di C. mAgli, cit. in nota 1, che legittima pretese anche sulle risorse reddituali conseguite dal singolo coniuge in epoca successiva all’interruzione della condivisione delle sorti esi-stenziali, per intervenuta separazione personale; Cass., sez. I, 16 ottobre 2013 n. 23442, in Corr. giur., 2014, 1349, con nota di v. AmenDolAgine, “Tenore” e “stile” di vita non possono considerarsi tra di loro sinonimi quando si tratta di determinare l’assegno divorzile, che riconosce l’assegno divorzile alla ex coniuge professionista (primario ospedaliero) in elevata condizione benestante, peraltro con regime di vita matrimoniale concordemente improntato a self-restrainment; Cass., sez. I, 4 febbraio 2009 n. 2721, in Fam. dir., 2009, 682, con nota di e. Al mureDen, L’assegno divorzile viene attribuito dopo un matrimonio durato una settimana. Confi-gurabilità e limiti della funzione assistenziale-riabilitativa, che riconosce l’assegno divorzile persino in ipotesi di cd. matrimonio effimero davvero estrema (ma-trimonio inconsumato durato pochi giorni); peraltro, contraddicendo specifici arresti consolidati, quali, Cass., 16 giugno 2000 n. 8233, in banca dati Pluris, e Cass., sez. I, 29 ottobre 1996 n. 9439, in Fam. dir., 1996, 508, con nota di v. cArBone, Matrimonio effimero: l’assegno non è dovuto.

struttura giudicante purtroppo prevalentemente generalista12 e deficitaria rispetto all’esigenza di un efficiente “servizio Giu-stizia”, caposaldo primo di organizzazione sociale, che mostra nei fatti una certa qual avversione a calarsi realmente e con autentico sforzo nelle relazioni familiari, nonostante lo spes-sore primario dei diritti coinvolti e, quindi, il severo impatto sociale che tali statuizioni delineano (risulterebbe di vasto in-teresse uno studio sociologico che indaghi se e come la nostra giurisprudenza abbia o meno contribuito ad “opacizzare” la concezione stessa del vincolo esistenziale tra con-sorti presso le nuove generazioni, che mostrano evidente fuga dall’istitu-to13).

La tentazione di rifuggire da una tale imponente respon-sabilità percorrendo prassi decisionali, che fanno dubitare della loro effettiva ispirazione, siccome appare tesa più alla “eliminazione dei fascicoli” dal tavolo del giudice14, è oramai bagaglio di esperienza noto al ceto forense dedito alle contro-versie cd. di diritto di famiglia; d’altronde, trova significati-vo riscontro sia nelle ripetute condanne CEDU pronunziate contro l’Italia, per la mancanza strutturale di efficaci tutele in tale peculiare ambito, come nelle recenti riforme di vasto ampliamento dell’autonomia privata dei coniugi e dei genitori nel componimento delle crisi familiari, esplicite proprio in tale direzione (come mostra la stessa sintomatica espressione “degiurisdizionalizzazione”), piuttosto che allo scopo autentico di miglior riconoscimento evolutivo dei diritti del singolo.

Avuto riguardo ai contributi della dottrina, in tutte le sue plurime espressioni, cioè quelle di fonte propriamente acca-demica e quelle di fonte curiale o forense, non era sfuggito il recente saggio pubblicato dall’estensore del primo arresto in commento15; un tratto saliente di tale analisi, tesa a mettere in luce la non attualità culturale, sociologica ed economica del tradizionale criterio giurisprudenziale di attribuzione dell’as-segno divorzile, fondato sul presupposto di una concezione definita “criptoindissolubilista” del matrimonio soltanto sul versante economico-patrimoniale, testualmente, sottolineava, come a seguito della riforma introdotta dalla legge 6 marzo 1987 n. 74, che ha modificato l’originario tenore dell’art. 5, comma 6°, “all’assegno di divorzio è stata riconosciuta dal legisla-tore natura eminentemente assistenziale, per cui ai fini della sua attribuzione assume ora valore decisivo l’autonomia economica del richiedente, nel senso che l’altro coniuge è tenuto ad ‘aiutarlo’ solo se egli non sia economicamente indipendente e nei limiti in

12 Lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura è oggi ben consapevole, calandovi peculiare attenzione, che l’assetto della giustizia familiare e minorile debba essere attuato all’insegna della specializzazione: cfr. Circolare 25 gennaio 2017 sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2017/2019, in www.csm.it; in tale marcata direzione i progetti legisla-tivi all’esame del Parlamento, pur nello scorcio della XVII legislatura corrente, sull’istituzione del cd. Tribunale della famiglia.

13 Il magistero della Chiesa si è particolarmente speso sul valore centrale della famiglia fondata sul sacramento matrimoniale, con illuminate parole mo-derne; cfr., a mero titolo esemplificativo oltre ai documenti ufficiali, BeneDetto Xvi, La famiglia. Speranza della Chiesa e della società, a cura di g. vigini, Roma, 2012. In letteratura l’approccio tende ad una maggiore attenzione sul versante delle sensibilità psicologiche; tra le tante opere, si segnalano, s. tAmAro, “Per sempre”, Firenze, 2011; m. recAlcAti, Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa, Milano, 2014.

14 Con la precisazione che tale fenomeno in verità può prodursi anche per l’inverso fenomeno della pendenza dei procedimenti su lassi temporali assoluta-mente inaccettabili, ovvero per le inefficienze in sede attuativa-esecutiva.

15 A.P. lAmorgese, L’assegno divorzile e il dogma della conservazione del tenore di vita matrimoniale, in Questione Giustizia, 11/3/2016.

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

cui l’aiuto si renda necessario per sopperire alla carenza dei mezzi conseguente alla dissoluzione del matrimonio, in applicazione del principio di solidarietà ‘post-coniugale’, che costituisce il fonda-mento etico e giuridico dell’attribuzione dell’assegno divorzile”; e poi, che tale ratio, era stata rettamente e meglio interpre-tata con l’arresto di Cass., sez. I, 2 marzo 1990 n. 165216, che aveva dettato il seguente principio di diritto: “nel giudizio per l’attribuzione dell’assegno di divorzio la valutazione relativa all’adeguatezza dei mezzi economici di cui dispone il richiedente deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economi-camente autonomo e dignitoso, quale, nei singoli casi, configurato dalla coscienza sociale”.

Come cennato, risulta ad ogni modo utile registrare che le ambiguità di fondo non erano certo nuove, né erano mancate voci tese a metterle in luce17.

3. il precedente di corte cost. 11 febbraio 2015 n. 11, nel particolare

Già nell’occasione dell’annotamento della sentenza della Cor-te Costituzionale 11 febbraio 2015 n. 11, si è avuto modo di rimarcare come non fosse di poco conto la sintesi che poteva trarsi da tale verifica, siccome in qualche modo si era fatta ca-rico di prendere in considerazione la stessa diffusa avversione al criterio del mantenimento della posizione socio-economica acquisita con il matrimonio, nonostante il definitivo venir meno del vincolo.

Queste le parole che allora vennero in proposito spese: “In realtà, la Corte rivaluta certamente, imponendolo all’interpre-te, il rigore del dato normativo secondo quella mens legis che il legislatore sentì l’esigenza di precisare e correggere nel 1987 (dopo diciassette anni di problematica applicazione della ori-ginaria l. div.), rimarcando meglio la natura assistenziale della previsione, mettendo la parola fine a quelle interpretazioni alternative sorprendenti (pur nel novero infinito delle fatti-specie concrete che la norma è chiamata a regolare), rispetto a quella individuata come ‘diritto vivente’. Ne deriva perciò un impatto concreto di grande rilievo, affermandosi definitiva-mente la scelta per una determinazione concreta dell’assegno post-matrimoniale in favore del coniuge sfavorito, fondata sul criterio secondo cui il ‘tenore di vita goduto in costanza di matrimonio’ è soltanto il parametro di partenza del comples-so bilanciamento del caso concreto, funzionale cioè all’opera di primo scrutinio della spettanza o meno del diritto ed alla quantificazione del tetto massimo ipotizzabile. Questo dato

16 In Foro it., 1990, I, 1165, con nota di F. mAcArio e e. QuADri, La cassazione “rimedita” il problema dell’assegno di divorzio; in Giur. it., 1990, I, 1, 1742, con nota di c. iAcovino, Assegno di divorzio e “modelli” di vita; in Giust. civ., 1990, I, 925 e 2390, con nota di s. sotgiu, Il concetto di “adeguatezza di mezzi” nell’at-tribuzione dell’assegno di divorzio; e A. sPADAForA, Il presupposto fondamentale per l’attribuzione dell’assegno divorzile nell’ottica assistenzialistica della riforma del 1987; in Dir. fam. pers., 1990, 437, con nota di G. nAPPi, Assegno divorzile e principio di solidarietà postconiugale, e F. DAll’ongAro, L’art. 10 della legge n. 74 del 1987 ed il dissidio sul concetto di mezzi adeguati; in Rass. dir. civ., 1990, 895, con nota di r. tommAsini, Primi “discutibili” orientamenti della suprema corte in tema di determina-zione dell’assegno di divorzio. Cfr. anche, le ferme notazioni di c.m. BiAncA, g. gA-Brielli, F. PADovini, L’assegno di divorzio in una recente sentenza della Cassazione, in Riv. dir. civ., 1990, II, 537, nonché la successiva sottolineatura, ivi, 1990, II, 659.

17 Cfr., ad esempio, M. PAlAzzo, Il diritto della crisi coniugale. Antichi dogmi e prospettive evolutive, in Riv. dir. civ., 2015, 575; F. AlcAro, Note in tema di assegno divorzile: ‘il tenore di vita in costanza di matrimonio’, un’aporia interpretativa?, in nota critica a Cass., sez. I, 3 luglio 2013 n. 16597, in Fam. dir., 2013, 1079.

numerico di partenza – ancora astratto – deve sottoporsi uni-camente alle diminuzioni del caso concreto in relazione ai tratti salienti che hanno caratterizzato la vita matrimoniale, sino a rendere possibile persino il suo azzeramento. L’opzione ermeneutica quindi esclude, con forza e chiarezza, che l’asse-gno divorzile debba necessariamente garantire al coniuge eco-nomicamente più debole, sempre e comunque, il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, seppur da individuarsi in termini di adeguatezza tendenziale. Ponendo-ci nella stessa ottica di lineare consequenzialità espressa dalla Corte, appare evidente come questo dato numerico massimo del potenziale assegno divorzile potrà riconoscersi nella sua integrità soltanto alla condizione che: a) il coniuge sfavori-to si trovi in condizione personale priva di mezzi adeguati o percepisca redditi obiettivamente non migliorabili; b) abbia contribuito personalmente ed economicamente alla condu-zione familiare ed alla formazione del patrimonio individuale dell’onerato od a quello comune; c) il vincolo abbia svilup-pato una durata temporale consona alla stabilità del progetto di vita; d) le ragioni della decisioni intrinsecamente connesse all’analisi delle dinamiche che hanno portato al fallimento del vincolo, risultino scevre da azioni od omissioni ascrivibili causalmente (s’intende al di là dei presupposti della declara-toria di addebito in sede di separazione coniugale, seppure l’esistenza di un tale giudicato risolve in radice la spettanza dell’assegno). Come a dire, la solidarietà post-coniugale dovrà risultare sostanzialmente connotata in termini di ‘ragionevole meritevolezza’, con analisi concreta ex post dei tratti compor-tamentali, dell’impegno rispetto al progetto di vita comune, delle dinamiche del moto d’affetto, del senso di autoresponsa-bilità e condivisione, del rispetto e dedizione reciproca, della lealtà, come pure del sacrificio personale ed economico ove volto a privilegiare l’unione o l’altro rispetto all’individualità personale – contributo dato. D’altro canto, non può che correre un abisso tra il caso limite di un rapporto matrimoniale di lunga durata con prole, caratterizzato da totale dedizione alla famiglia nel quotidiano da parte del coniuge svantaggiato, che apporta il proprio contributo alla costituzione del patrimonio dell’onerato e che infine “subisce” l’iniziativa divorzile, rispet-to ad un matrimonio di breve durata scevro da ognuna di tali emergenze18. L’approfondimento di tali parametri, tutti rile-vanti ed ammissibili anche sul versante della verifica proba-toria, impone in primo luogo rigorosa opera del difensore del coniuge, chiamato a promuoverne la disamina effettiva nel merito. In fondo, è una pagina positiva della Corte delle leggi che indubitabilmente impone il recupero del senso autentico della misura assistenziale, quando venne meglio codificata, rispetto all’originaria previsione degli anni settanta, ponendo

18 Pur con grande sommarietà, si possono ipotizzare numerose tipologie di-mostrative delle differenze sostanziali in concreto ricorrenti tra un matrimonio e l’altro. Posta la somma ripartizione dei matrimoni con prole – differenziando poi per il numero dei figli – rispetto a quelli senza prole che ovviamente compor-tano di norma minor impegno nella conduzione familiare ed attenuano anche i distinti ruoli, in realtà ancora in qualche misura radicati nel tessuto sociale per importanti strati di popolazione; si possono ad esempio ipotizzare fasce di dura-ta della comunanza di vita prendendo a metro il lustro, distinguendo comunque quella cd. effimera, da quella almeno venticinquennale ed oltre; distinguere poi il caso del coniuge dedito unicamente al lavoro casalingo od alla collaborazione nell’attività dell’altro; ed ancora, l’ipotesi del concorde indirizzo che comporta il sacrificio della realizzazione o professionalità dell’uno a vantaggio dell’altro e dell’intero nucleo familiare; ovvero, l’ipotesi di contribuzione economica alla formazione dei patrimoni, anche di comune pertinenza; e così via.

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

un monito a quelle espressioni della nostra giurisprudenza di merito che avevano in sostanza trasformato una tale prov-videnza in senso tutt’affatto diverso; cioè in una sostanziale ‘rendita di posizione’, secondo una causa dell’attribuzione so-cialmente non condivisa, piuttosto che espressione di quella giusta solidarietà e prima ancora, per ciò stesso, di equità, tra ex coniugi in condizione dispari al momento del dissolvi-mento del vincolo. Ci si riferisce a quel diffuso automatismo di qualche tribunale, mosso più da prassi ‘sbrigative’ o, se si vuole, ‘distorsive’, secondo cui l’unico parametro rilevante è costituito dall’analisi del divario dei redditi e del dato patri-moniale, ovvero che gli altri elementi enumerati dalla norma in commento possono discrezionalmente trascurarsi, ivi com-presa l’indisponibilità del coniuge che invoca la misura ad attivarsi per raggiungere quell’autonomia personale idonea a mitigare l’obbligazione dell’ex coniuge e persino risponden-te al più ovvio senso di responsabilità del singolo, proprio secondo il dettato costituzionale (con sostanziale negazione, quindi, alla considerazione delle peculiari circostanze del caso concreto, od anche soltanto ad indagarle attraverso giu-sta attività probatoria); evenienza che non può che snaturare, od evidenziarne l’estraneità, alla vicenda specifica del rappor-to personale di coniugio realmente intercorso, da regolarsi nel momento del suo sgretolamento esistenziale. Lo stesso processo di divorzio in sé e per sé considerato, così ridotto, aveva sempre evidenziato una carica di alienazione esistenzia-le, peraltro aggiunta rispetto al destino già nefasto connesso al fallimento del legame d’affetto e di vita quotidiana”.

4. il confronto tra le due conclusioni ermeneutiche

Volutamente abbiamo riportato queste espressioni di com-mento stese nel 201519, poiché in sostanza veniva precorso, sull’onda della stessa tendenziale sensibilità, un sentire con-forme al contesto sociale e giuridico già emerso, seppur ini-potizzabile una correzione di rotta così netta da parte della Corte di legittimità, che torna sui propri passi dopo ventisette anni, recuperando l’alternativa espressione minoritaria ante-riore alle sezioni unite del 199020, apprezzata come meglio corrispondente alla retta interpretazione del dato normativo.

Fronteggiandosi due tesi ermeneutiche, è necessario in pri-mo luogo indagarne il livello di compatibilità. L’essenziale sno-do critico del dissidio vede, da un lato, quella razionalmente prevalente sino a tutt’oggi, che ha trovato il significativo avallo della Corte delle leggi sopra riportato, secondo cui, il criterio oggettivo della rispondenza della misura ai bisogni primari della famiglia necessita di specificazioni sulla base delle con-crete condizioni di quella data unione matrimoniale e del con-testo in cui è inserita, caratterizzandosi perciò, pur nei profili oggettivi, per il suo carattere essenzialmente relativo, cosicché, il rilievo del principio solidaristico conduce ad una congruità che non può prescindere da un riferimento primario alle condizioni economiche e sociali e, quindi, al tenore di vita21; dall’atro lato, la visione che imprime rigoroso discrimine li-mitativo all’insorgenza stessa del diritto in parola, in base alla

19 Cfr. op. cit. in nota 7.20 Appunto rinvenuto nell’arresto di Cass., sez. I, 2 marzo 1990 n. 1652,

cit. (cfr. nota 16).21 Sono parole preso in prestito dalla pregevole elaborazione sul dato codici-

stico, di m. PArADiso, I rapporti personali tra coniugi, Artt. 143-148, in Commenta-rio cod. civ. schlesinger - Busnelli, Milano, 2012, 114 ss.

mera verifica della sussistenza o meno di una condizione di in-dipendenza/autosufficienza personale del singolo (già coniuge), così lucidamente disegnata dal primo arresto in commento.

In verità, v’è da chiedersi, come si tenterà infra, in che mi-sura queste due impostazioni, pur chiaramente divergenti, impattino nel concreto, o meglio, se utilizzando rettamente gli stessi criteri enunciati, applicandoli al singolo caso con-creto, esse possano portare a risultati pratici davvero diffor-mi, ovvero fortemente difformi; od ancora, se questo dipen-de dall’enunciato ovvero dipende dalla applicazione pratica, sempre alla ricerca della semplificazione più estrema, con tutti i pericoli insiti in questo metodo, come in ogni “noncu-ranza” dell’umano operare.

Ciò si osserva poiché un tale dubbio non è affatto gratuito e tantomeno paradossale; difatti, nessuna di queste impostazio-ni afferma che nel nostro ordinamento si rinviene la garanzia del cd. tenore di vita matrimoniale come sorta di assicura-zione vitalizia di mera posizione sociale (il che finirebbe per ostacolare proprio la promozione della pari dignità sociale, oltre che risultare in contrasto con l’idea stessa di divorzio, siccome il suo presupposto risiede nell’irreversibile fine del consortium vitae); e non è neppure contestato come alla no-zione di mezzi adeguati sia intrinsecamente sottesa una sua mutevole relatività – fatta evidente anche dalla lettera della norma che contiene l’efficace dizione “tenuto conto” – a se-conda del parametro od il riferimento considerato, cosicché fissarne una soglia sostanzialmente di natura alimentare, ov-vero di obiettivo arricchimento, è in primo luogo esercizio di vasta discrezionalità, viepiù evidente nel momento in cui di-scrimina la sussistenza o meno di un diritto, non la sua entità. Inoltre, neppure la visione ancorata al “tenore di vita” sembra rifuggire dalla considerazione secondo cui il suo tendenziale mantenimento può soltanto significare che l’ex coniuge svan-taggiato non si venga a trovare, per effetto del divorzio, rele-gato in una fascia economico-sociale grandemente deteriore; in sintonia cioè col principio di aiuto esigibile, che nel merito corrisponde al sentire riferito alla coscienza collettiva, viepiù marcato in relazione al tipo matrimoniale concreto che abbia visto durante la convivenza apporti asimmetrici nell’impegno domestico a vantaggio del nucleo familiare.

E queste riflessioni non sono solo la prova della piena ragio-nevolezza del dubbio, ma fanno percepire con evidenza quan-te e quali distorsioni concrete sono state (o potranno ancora essere) consumate sull’altare dell’una e dell’altra tesi: numerosi gli esempi di “polvere e miseria”22 da un lato e di “sontuosi arricchimenti”23 dall’altro, esattamente ciò che la legge di certo non prefigura, ispirata com’è al canone della solidarietà.

5. il nuovo decalogo prospettato

A questo punto, a fronte dell’estrema chiarezza del nuovo in-dirizzo impresso all’accertamento del diritto all’assegno post-coniugale, più che procedere alla chiosa del primo arresto in

22 Frutto di percorsi argomentativi tesi a concludere per una etero integra-zione normativa, postulando la necessaria ricorrenza di una “condizione di biso-gno”, qualificata perciò come di natura sostanzialmente alimentare.

23 Ancor più ingiustificati in quanto in genere riconosciuti con argomenta-zioni di stile, trascurando il concetto stesso che informa la prestazione, quale residua assistenza solidale, peraltro, senza adeguata considerazione delle capaci-tà del richiedente di procurarsi autonomamente risorse, come del severo riparto dell’onere probatorio cui questi deve in realtà attendere.

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

commento, seguendone i singoli tratti, appare di maggior uti-lità trarne il decalogo essenziale destinato alla sua operatività concreta.

In tale ottica, la sua motivazione indica questo percorso:1) l’accertamento giudiziale di scioglimento del matrimo-

nio o di cessazione dei suoi effetti, assistito dalla cosa giudicata, basato sulla impossibilità di mantenere o rico-stituire la comunione spirituale e materiale tra i coniugi, comporta la definitiva estinzione del rapporto coniugale, sotto qualsiasi profilo, sia personale che economico-pa-trimoniale (143, comma 2°, e 191, comma 1°, c.c.);

2) da questo momento in poi i coniugi – salvo il diverso vincolo derivante dal rapporto di filiazione – rilevano per l’ordinamento positivo unicamente come “persone singole”, libere ed autoresponsabili, non come parte di un matrimonio estinto ma pur sempre ultrattivo sul solo piano economico-patrimoniale;

3) tuttavia, al perfezionamento della fattispecie estintiva del rapporto matrimoniale e proprio a causa dello sciogli-mento (o cessazione degli effetti), può residuare il di-ritto all’assegno di divorzio, di cui all’art. 5, comma 6°, l. div., alla imprescindibile condizione della “mancanza di mezzi adeguati” da parte dell’ex coniuge richiedente tale provvidenza, da valutarsi anche come “impossibilità a procurarseli per ragioni oggettive”, informato cioè al principio di autoresponsabilità economica degli stessi ex coniugi, fissato con la riforma del 1987;

4) un tale riconoscimento del diritto all’assegno divorzile in punto an debeatur, che costituisce la prima fase del giu-dizio, nitidamente distinta dalla legge, rispetto alla suc-cessiva fase di determinazione del quantum, è informato dalla sua funzione esclusivamente assistenziale, in ragio-ne della comunione di vita intercorsa e della solidarietà ancora esigibile, a tenore dei canoni ex artt. 2 e 23 Cost., e non in ragione del rapporto matrimoniale estinto;

5) la sussistenza o meno di mezzi adeguati in capo all’ex coniuge richiedente, comprensiva delle effettive possibi-lità di procurarseli, va risolta unicamente indagando la ricorrenza o meno della condizione soggettiva di indi-pendenza o autosufficienza economica di questi; mentre il riferimento al parametro del tenore di vita comporta che il discrimine per l’insorgenza del diritto finisce per fondarsi sul fatto della mera preesistenza del vincolo coniugale (secondo visione risalente che ne predicava il modello come sistemazione di vita), incompatibile con la residua solidarietà esigibile; difatti, scindendosi il metodo decisorio nelle due fasi, nettamente distinte, dell’accertamento dell’an debeatur e, soltanto all’esito po-sitivo di questo scrutinio, che si conclude con il ricono-scimento del diritto all’assegno divorzile, della fissazione del quantum, unico momento in cui rileva la dimensione economico-patrimoniale del preesistente rapporto matri-moniale, l’utilizzo dei parametri di giudizio che la legge indica soltanto nella seconda fase detta, comporterebbe inammissibile commistione tra queste fasi ed i relativi accertamenti; in particolare, comporterebbe inammissi-bile funzione di riequilibrio delle posizioni economico-patrimoniali – secondo metodo decisorio comparativo rilevante solo in punto quantum – e la precipua conside-razione del soggetto “pagante”, piuttosto che l’esclusivo

riferimento alle condizioni del soggetto richiedente l’as-segno per il tempo successivo al divorzio;

6) pertanto, ai fini dell’insorgenza del diritto all’assegno di-vorzile rileva unicamente l’insussistenza della condizione di indipendenza od autosufficienza economica soggetti-va del richiedente (analogamente alla previsione a favo-re del figlio maggiorenne), come posizione svantaggiata meritevole di aiuto in virtù della pregressa comunanza di vita, al fine di raggiungere la ridetta autonomia perso-nale, idonea a condurre una esistenza libera e dignitosa, come coscienza sociale impone;

7) i criteri per dirimere la sussistenza o la non sussistenza di una tale condizione – che non si rinvengono espres-samente in norme positive – e, quindi, la spettanza o meno del descritto aiuto solidaristico, sono la risultante dell’esame di indici dimostrativi, enumerati come princi-pali, ma senza pretese di esaustività, lasciando così aperti spazi per le singole fattispecie, nel seguente ordine: a) il possesso di redditi di qualsiasi specie; b) il possesso di cespiti patrimoniali, sia mobiliari che immobiliari, gli oneri imposti ed il costo della vita con peculiare riguardo al luogo di residenza (ovviamente del richiedente); c) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; d) la stabile disponibilità di una casa di abitazione;

8) l’accertamento della condizione di non autosufficienza in parola risponde al generale principio dispositivo e di di-stribuzione dell’onere probatorio, ragione per cui è uni-camente alla parte che propone la domanda che gravano le pertinenti allegazioni, deduzioni e prove di “non avere mezzi adeguati” e di “non poterseli procurare per ragioni oggettive”, salvo ovviamente il diritto dell’altro all’ecce-zione ed alla prova contraria;

9) l’onere probatorio ha ad oggetto i predetti indici prin-cipali, costitutivi del parametro dell’“indipendenza eco-nomica personale”, dispiegandosi, quanto ai redditi ed al possesso dei cespiti patrimoniali, di norma su base documentale, ed in caso di puntuale contestazione, con l’ulteriore facoltà di ricorso alle indagini officiose di po-lizia tributaria; mentre, relativamente alle “capacità e le possibilità effettive di lavoro personale” è ammesso il ricorso ad ogni mezzo, anche presuntivo, fermo l’one-re di chi domanda l’assegno di allegare specificamente e provare, in caso di contestazione, le concrete iniziative assunte per il raggiungimento della propria indipenden-za economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative;

10) all’esito positivo della prima fase, conclusasi con il rico-noscimento del diritto all’assegno post-coniugale, il giu-dice, nella fase del quantum debeatur, informata anch’essa al principio della solidarietà economica esigibile da parte del (già) coniuge più debole, deve tener conto di tutti gli altri parametri enumerati dalla norma (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno, reddito di entrambi, valu-tazione complessiva condotta anche in rapporto alla du-rata del matrimonio), al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno di divorzio, ancora sulla base di pertinenti allegazioni, deduzioni e prove.

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

6. i punti critici salienti

Interrogarsi sui punti critici di questo indirizzo impresso, o meglio, parzialmente recuperato e “rimeditato”, che non può dirsi fondato sul dato testuale della norma positiva, comporta riflessioni di non poco conto, mentre la ricerca delle possibili contraddizioni appare subito piuttosto affollata.

Intanto, i quesiti non sono certo “miracolosamente evapora-ti”, rimanendo aperta la questione principe dell’individuazio-ne del parametro o del riferimento da prendere in considera-zione, nonostante un distratto legislatore non mostri ancora di voler svelare ogni possibile equivocità residua del dettato normativo.

Si tratta infatti in primo luogo di individuare comunque quale possa essere in concreto il livello economico che garan-tisce la conduzione di una vita libera e dignitosa, nonché, a monte, quando questa sia tale secondo la coscienza collettiva.

Un altro rude approccio, già cennato in apertura, è se ciò corrisponda o meno ad un livello di disponibilità di risorse economico-patrimoniali atte a sostenere gli oneri per vivere uguale per tutti, una sorta di soglia standard, tipo pensione sociale, un suo multiplo o qualcosa di simile e questa ri-flessione nasconde un possibile intento pratico della svolta della giurisprudenza di legittimità, ovviamente non palesa-to: “archiviare” sbrigativamente, nell’univoco contesto giu-diziario sopra cennato, i numerosi contenziosi pendenti su tali questioni avanti ai nostri tribunali. Affermare che ogni singolo rapporto coniugale, come ogni relazione familiare, non sia meritevole di considerazione se non alla stregua di un numero nella massa informe che la Giustizia è chiamata quotidianamente a regolare, prima ancora che violare il dato normativo, obiettivamente teso alla disamina articolata e spe-cifica del singolo rapporto familiare, fondato sul vincolo di coniugio, costituisce un regresso civile che francamente lascia persino increduli.

La stessa sede giudiziale prefigurata dall’art. 4 l. div. (ben noto che il processo di divorzio è celebrato in primo grado se-condo le forme dell’ordinaria cognizione, di più alta garanzia per le parti) verrebbe a risultare anomala, se non addirittura inadeguata, trattandosi di soluzione meglio affidabile alla pre-cisione di un contabile o di una intelligenza artificiale: inseriti i dati non v’è altro da fare che attendere il risultato!

Non rimane perciò che confidare sul fatto che questo non è e non sarà l’approdo reale che si è aperto.

Occupandosi dei principi dirimenti, la Corte finisce per dettare un nuovo statuto, ma come spesso accade in questi casi, non riesce – né poteva se non al prezzo di decretare una nuova legge debordando manifestamente dai limiti del potere esercitato – a disegnare l’elemento essenziale che si presenterà ad ogni giudice del merito, e che possiamo sin-tetizzare in questo interrogativo: qual è la soglia secondo cui obiettivamente un soggetto possa dirsi disporre di redditi e sostanze sufficienti a condurre una esistenza libera e digni-tosa? Ed inoltre: nell’attuale contesto, se così ci è consentito sinteticamente esprimerci, di disgregazione sociale impron-tata nettamente ad “individualismo”, la coscienza sociale sul livello di meritevolezza dell’aiuto legittimamente esigibile dal già coniuge è individuabile con sicurezza?

Una razionale prospettiva, in nesso logico consequenziale, porterebbe dritti al riferimento informato ai principi ex art. 36 Cost., in quanto la retribuzione del lavoratore “sufficiente

ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa”, tale risulta, per unanime noto indirizzo, ove corrispondente ai compensi stabiliti in un C.C.N.L. di categoria; ecco allora un primo possibile risultato della svolta giurisprudenziale in commento: il già coniuge svantaggiato che ha una occupazione lavorativa piena, percependo retribuzione corrente mensile secondo tali parametri, certamente non avrà più alcun diritto all’assistenza post-coniugale. Come a dire, operai, impiegati, insegnanti, etc., ma anche artigiani, commercianti, professio-nisti (assistiti da tariffari o compensi in qualche modo regolati anche solo su prassi correnti o criteri presuntivi), non po-tranno domandare efficacemente la prestazione che prende titolo dalla sentenza di status divorzile, nonostante l’eventuale disparità anche estremamente significativa di redditi e/o pa-trimoni, e magari un impegno personale profuso in famiglia preponderante – criterio quest’ultimo sino ad oggi diffusa-mente considerato nei fatti pur con incertezze sistematiche che non possono sottacersi24.

Il collegamento concettuale appare marcato da una tale vi-cinanza testuale: condizione di indipendenza soggettiva che consente una esistenza libera e dignitosa; le parole odierne della Corte di legittimità allora sembrano testualmente prese, in primo luogo, proprio dall’art. 36 Cost.

Questa conclusione ha però il significato di prescindere dal ben diverso contesto e spessore della “relazione” familiare instaurata con il vincolo matrimoniale, come a cancellarla, quasi una fastidiosa coda da definire quanto più agevolmente possibile, mentre, appunto, il valore attribuito a tale relazione e la sua salvaguardia risulta costituzionalmente presidiata, a tenore dei cardini ex artt. 2, 3 e 29 Cost.

Senza omettere di evidenziare come ogni relazione socia-le è un “capitale sociale”, mentre indubbiamente la famiglia costituisce un riferimento primario della collettività, tesa alla realizzazione di diritti inalienabili.

È univocamente significativo in tale direzione l’insistente sottolineatura secondo cui i coniugi dopo lo scioglimento del vincolo rilevano per l’ordinamento positivo solo come “per-sone singole”; questa espressione – a dir poco inesatta poiché lo stato civile del divorziato25 non è affatto identico a quel-

24 La stessa giurisprudenza ed in tal senso anche le sezioni unite del 1990, cit. (cfr. nota 1), da tempo esclude in principio che all’assegno divorzile possa attribuirsi funzione compensativa e tanto meno risarcitoria (ma la casistica non manca di far dubitare: l’enunciato sulla carta poi nel concreto non è sempre evidente). Da segnalare in proposito, l’interessante ricostruzione proposta da e. QuADri, Definizione degli assetti economici postconiugali ed esigenze perequative, in Dir. fam. pers., 2005, 1307; iD., Brevissima durata del matrimonio e assegno di divorzio, in Corriere giur., 2009, 474.

25 Basta d’altronde riflettere, al di là dei contenuti definitori degli atti ana-grafici, e dell’efficacia dell’annotazione della sentenza divorzile, peculiarmente regolata nell’art. 10, comma 2°, l. div., a titolo meramente esemplificativo, in ordine al divieto temporaneo di nuove nozze previsto per la donna nell’art. 89 c.c., ovvero alla legittima conservazione del cognome “maritale” di cui all’art. 5, comma 3°, l. div., ma anche al diritto all’assistenza sanitaria, seppur ipotesi assolutamente residuale, di cui al successivo comma 11°; e prima ancora, al si-gnificativo valore sistematico che si trae dalla disciplina inerente la revisione del giudicato divorzile (art. 9), come di quella sul diritto al riparto del trattamento di fine rapporto (art. 12bis) e del trattamento di quiescenza reversibile (art. 9), ed all’ipotesi di trasmissione dell’assegno divorzile a carico dell’eredità dell’obbli-gato (art. 9bis). Allargando l’orizzonte delle riflessioni all’ipotesi di scioglimento statisticamente più rilevante – quella della morte di uno dei coniugi ex art. 149, comma 1°, c.c. – non è priva di significato la condizione che ne discende, di stato vedovile o di coniuge superstite (si veda, A. De cuPis, Coniuge (dir. vig.), in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 6). Queste riflessioni danno peraltro l’occasione di porre in evidenza una severa contraddizione del primo arresto in commento anche con altri recenti arresti delle sezioni unite; difatti, mutando il più ampio

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

lo della persona singola (celibe o nubile) che non abbia mai contratto matrimonio – incarna il dato filosofico, se così è consentito qualificarlo, del primo arresto in commento. La Suprema Corte ha sentito l’esigenza di qualificare come giuri-dicamente dirimente l’affermazione del recupero dello status libertatis da parte dei “già coniugi”, esaltando proprio l’aspetto dell’irreversibile superamento della relazione familiare, sep-pur questa istituita secondo il primo dei modelli prefigurati dal nostro ordinamento positivo, assistito dal più elevato gra-do di tutela. A ben riflettere, sembra potersi cogliere in questa impostazione ulteriore spunto di disorientamento concettua-le, nel momento in cui la considerazione degli effetti dello scioglimento (o di cessazione degli effetti civili) del vincolo matrimoniale finisce per equivalere all’ipotesi della nullità dell’atto costitutivo del rapporto matrimoniale; trascurando poi di considerare che persino rispetto al matrimonio dichia-rato nullo si rinviene la previsione di efficacia “ultrattiva”, in quanto, come noto, anche un tale rapporto può essere fonte di obbligazione al mantenimento od agli alimenti, in prospet-tiva temporale posteriore all’accertamento del vizio inficiante in radice l’atto celebrativo (artt. 129 e 129bis c.c.).

L’impostazione stessa di questo aspro confronto, tra la liber-tà personale e l’anteriore relazione familiare, non appare un prezzo adeguato per il conseguimento del fine sostanziale che la stessa Corte si prefiggeva26, poiché il concetto di “adegua-tezza di mezzi” poteva essere disegnato anche prescindendo da tanto. Difatti, se si ha a cuore la sostanza delle umane cose, non v’è reale motivo di finire su tale terreno quasi a “calpe-stare” persino il “ricordo”, ma è ovviamente più esatto dire, il “valore sociale”, della relazione familiare intercorsa tra quel singolo uomo e quella singola donna, secondo il millenario modello del coniugio, poiché neppure serve per stabilire che l’assegno divorzile deve rispondere a rigorosi parametri di meritevolezza in funzione di una coscienza assistenziale.

L’aver invece privilegiato una “via di fuga” agile e sbrigativa da un vincolo oramai “fastidioso” per il singolo, che anela unica-mente alla più incisiva esaltazione della propria individualità, come valore assoluto, comporta un costo sociale importante.

A questo punto dovrebbero spendersi parole infinite, ma tutte agevolmente rinvenibili nella nostra bibliografia giu-ridica degli ultimi decenni, tante e tali sono state le pagine

Collegio il pregresso orientamento in tema di delibazione delle sentenze eccle-siastiche di nullità del matrimonio concordatario, proprio su sollecitazione della prima sezione (Cass., sez. un., 17 luglio 2014 n. 16379 e n. 16380, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 36, con nota di u. romA, Ordine pubblico, convivenza coniu-gale e pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio: le sezioni unite suppliscono all’inerzia legislativa con una sostanziale modifica dell’ordinamento, e l’approfon-dimento di e. QuADri, Il nuovo intervento delle sezioni unite in tema di convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, ivi, II, 47; ma v. anche, ampliando il tema, e. mArtinelli, L’araba fenice: post fata resurgo. La riforma del processo matrimoniale canonico e i suoi riflessi sulla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità, in Nuove leggi civili comm., 2016, 1032), ha con-cluso che la delibazione di sentenze ecclesiastiche è preclusa ove il matrimonio risulti comunque caratterizzato da una significativa convivenza come coniugi nonostante il vizio che ne minava la validità, rimarcando particolarmente nelle argomentazioni motive “la natura inderogabile a valenza di ordine pubblico dei diritti e dei doveri che derivano dal matrimonio, inclusi quelli inerenti la soli-darietà post-coniugale”; cioè, predicando la “tutela dell’affidamento riposto sul matrimonio e sulle garanzie economiche espressione del fondamentale principio di solidarietà post-coniugale”. L’orientamento si è poi consolidato ed oggi appare decisamente stabile: v., da ultimo, Cass., sez. VI-1, 24 maggio 2017 n. 13120, in banca dati Pluris.

26 Almeno così sembra, trascurando l’ipotesi che quel Collegio abbia espres-so una posizione ideologica.

dedicate a questo argomento sull’uno e sull’altro versante, come mostrano anche le citazioni pur decisamente contenute di questo scritto, chiedendo perciò venia ai molti ed illustri autori che si sono spesi sul tema.

Si badi, non si vogliono mettere in discussione e minima-mente, i diritti inviolabili della persona, inalienabili quanto alle espressioni di libertà e di realizzazione della personali-tà, anche nell’ottica del suo pieno recupero in esito all’eve-nienza di disgregazione di un rapporto matrimoniale colpito da avversa sorte. Al tempo stesso, non si può parimenti non evidenziare l’ovvia conseguenza negativa che discende dalla statuizione contenuta nel primo arresto in commento, per qualunque relazione matrimoniale tutt’oggi armonicamen-te vissuta o di quelle future delle generazioni che vi si ap-procceranno. In maniera espressiva efficace, merita di essere rimarcato, diciamo, si licet, il “colpo di maglio” inferto alla famiglia istituita secondo il vincolo coniugale. Un ragiona-mento elementare conduce difatti al seguente paradigma: se è vero come è vero che il matrimonio si regge su scelta di libertà sino all’eventuale suo epilogo fallimentare, e se, pertanto, en-trambi i coniugi debbono essere pienamente consapevoli di questa fisiologica evenienza, cui può residuare una solidarietà in mera prospettiva volta a porre riparo ad un lato bisogno seppur non meramente alimentare27, quale di essi rinuncerà mai alla propria piena realizzazione lavorativa o professio-nale, per dedicarsi o sostenere l’altro od il nucleo familiare, magari comprensivo di più figli?

Peraltro, questa esigenza di mantenere la propria autonomia personale “da singolo”, entra in stridente rotta di collisione con la regola prima sulla quale si fonda l’indirizzo della vita fami-liare, univocamente informata all’accordo (art. 144 c.c.), qua-le conquista della pari dignità morale e giuridica riconosciuta con la riforma del 1975; per di più, in presenza di uno statuto che sanziona di nullità i patti prematrimoniali, comunque relegando i regimi patrimoniali in ambiti diciamo prestabili-ti (art. 159 ss. c.c.); ed ancor prima, ponendo seri problemi di compatibilità con il canone che impone la considerazione equivalente tra l’impegno nella conduzione del menagé fami-liare (“lavoro casalingo”, come detta l’art. 143, comma 3°, c.c.) ed il lavoro professionale, dato da tempo scontato del nostro ordinamento positivo.

La risposta all’interrogativo ognuno la coglie ed emerge an-che qui quel carattere estremamente aleatorio del rapporto di coppia28, quale risultato di una evoluzione o, se si vuole, mo-dernità, che certo segnala contraddizioni rilevanti. Una tale alea è decisamente idonea ad influire ulteriormente anche sui costumi correnti. Secondo il dato statistico, invero riferibile al tasso di occupazione femminile (oscillante tra il 46 ed il 49%), il numero delle donne coniugate dedite nei fatti unicamente alla cura della famiglia nel quotidiano, corrisponde comun-

27 La giurisprudenza, trascurate aporie interpretative occasionate da pecu-liari questioni che esigono il rispetto di medesimi principi di tutela della per-sona (cfr. quanto cennato in nota 3), ex professo, ha affermato da tempo che la funzione dell’assegno post-coniugale è comunque diversa da quella meramente alimentare; cfr., Cass., sez. I, 19 febbraio 1977 n. 772, in Giur. it., 1977, I, 1, 1341; Id., 20 aprile 1996 n. 4456, in Fam. dir., 1995, 213, con nota di v. cArBo-ne, Sospensione dei termini processuali: assegno di divorzio e “assegno alimenti”; Id., 28 febbraio 2017 n. 5075, in banca dati Pluris.

28 Importanti le similitudini con quanto si è avuto modo di segnalare in or-dine allo statuto del rapporto di unione civile, dettato dalla recente l. 20 maggio 2016 n. 76, analizzando a confronto i modelli; cfr., g. sAvi, L’unione civile tra persone dello stesso sesso, Perugia, 2016, 82.

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

que ad una percentuale ragguardevole, socialmente impor-tante se non fondamentale per un vasto spettro sociale. Non potendo più contare su una solidarietà post-coniugale corre-lata (almeno come dato iniziale di partenza dell’accertamento del diritto) al tenore della condivisione di vita matrimoniale instaurata, bensì sulla residuale assistenza in vista della mera autosufficienza personale (verrebbe quasi da dire, ancora si parva licet, una sorta di “cristiana carità per ordine di giudice”, peraltro da vagliare passando attraverso l’assolvimento di ri-gorosi oneri processuali di prova in ordine all’impossibilità di procurarsi il necessario per una tale indipendenza), nes-suna persona consapevole e responsabile potrà più “affidarsi al buon cuore dell’altro”, sacrificando la propria realizzazione personale anche sul versante reddituale, a discapito dell’auto-nomo futuro personale da singolo (che la Cassazione qualifica come dovere imprescindibile anche nella famiglia coniugale).

Un diverso comportamento sociale è piuttosto qualificabile come imprudente eccesso di dedizione affettiva, secondo una generosità di costumi definitivamente archiviata, come appar-tenente solo ad “ingenui romantici”.

Sul punto giova considerare come il nostro Paese non vede misure di protezione sociale dei coniugi divorziati privi di mezzi, quali si rinvengono negli altri Paesi del contesto Eu-ropeo (ove peraltro la percentuale di donne occupate è deci-samente più elevata), elemento menzionato nel primo arresto – in assenza pertanto di quella necessaria omogeneità del dato complessivo da porre a paragone –, come significativo motivo della nuova interpretazione adeguatrice; mentre, il regime pa-trimoniale della separazione dei beni (che costituisce oramai l’opzione assolutamente dominante), non offre la possibilità del benché minimo riequilibrio patrimoniale a garanzia del coniuge svantaggiato, nel momento della crisi del rapporto.

A tutto ciò si aggiunga la contraddizione della stessa sezione della Suprema Corte, intervenuta qualche giorno dopo, con il secondo arresto in commento: come è possibile a fronte di un dato normativo sostanzialmente identico, almeno quanto al possesso di “adeguati redditi propri” (art. 156, comma 1°, c.c.), che durante la condizione di vita separata29 il coniuge abbia pienamente garantito il diritto al godimento dell’ante-riore tenore di vita – anche milionario o dopo qualche giorno di matrimonio, con evidente paradosso non solo giuridico, ma anche soltanto secondo il buon senso30 –, nonostante il venir meno di tutti i doveri coniugali e la marcata attenuazio-ne della residua doverosità sul piano materiale?

29 Peraltro, l’art. 1, l. 6 maggio 2015 n. 155, ha significativamente ridotto il periodo di ininterrotta separazione, quale causa prevalente dello scioglimento del vincolo, a sei mesi, ovvero ad un anno, a seconda che la separazione sia stata statuita per mero consenso o concordemente domandata, ovvero in sede contenziosa; cfr., c. rimini, Il nuovo divorzio, in Trattato dir. civ. comm. cicu - messineo - mengoni - schlesinger, Milano, 2015, 26; sotto il profilo dei nuovi strumenti tesi a prescindere da un intervento giudiziale, cfr., F. DAnovi, Il processo di separazione e divorzio, ivi, 2015, 867; m. sestA, Negoziazione assistita e obblighi di mantenimento nella crisi della coppia, in Fam. dir., 2015, 295; m.n. Bugetti, La risoluzione extragiudiziale del conflitto coniugale, Milano, 2015, 15.

30 Ricorre la convinzione – che è bene non autocensurare ipocritamente – che l’odierno risultato ermeneutico costituisca in sostanza il “prezzo” di queste estremizzazioni casistiche che la giurisprudenza non è stata in grado di conte-nere, come invero assolutamente poteva e doveva applicando fedelmente il dato legislativo, a volte con sotto traccia l’impressione di una qualche acrimonia di troppo, e su questo altare la generalità è ora come chiamata ad “immolarsi”, pagando il “sacrificio” ingenerato da questi dissidi che riguardano al più qualche decina di persone, ma comportano una rivoluzione di sistema. Per un confronto esemplificativo, v. già la significativa casistica cit. in nota 11.

Infatti, in primo luogo, la piana lettura del dato normativo, che non presenta la dizione “tenore di vita”31 (sintesi espressi-va convenzionale), riferendosi semmai ai redditi ed alle pos-sidenze patrimoniali, appare indistinta sia nella separazione che nel divorzio.

Ora, il primo arresto riconosce serenamente che “la separa-zione personale lascia in vigore, seppure in forma attenuata, gli obblighi coniugali inerenti l’assistenza materiale”, mentre con il secondo si finisce per esaltare – oltre il segno – come valore di principio, il fatto che i coniugi separati abbiano diritto a man-tenere senz’altro il medesimo tenore di vita, letto peraltro in prospettiva potenziale rispetto all’eventuale minor livello di vita condotta in concreto, proprio a staccarne differenza rispetto al regime divorzile. Una speculazione tra categorie astratte come tipicamente ricorre anche in giurisprudenza, tendenzialmen-te protesa a distinguere per schemi non sempre conformi ad obiettività sostanziale e tanto meno al diffuso sentire sociale.

Questo risultato comunque non appare convincente se solo si considera che i con-sorti, già separandosi personalmente, vedo-no entrare in severa crisi il loro rapporto di coppia, mentre la legge vi ricollega persino la causa di scioglimento dell’eventuale regime patrimoniale della comunione dei beni; e questo status, in genere prodromico al pronto recupero dello status libertatis (assolutamente trascurabile a livello statistico le ipotesi di ricon-ciliazione ex art. 158 c.c., istituto peraltro in sostanza avversato dalla stessa giurisprudenza di legittimità32), oggi, come visto, è significativamente ridotto ad un periodo davvero minimo33; tra l’altro, l’ordinamento interno è uno dei pochi ancora strutturato su tale sistema del doppio step sostanziale/processuale.

Pertanto, quantificare l’assegno di separazione secondo il tenore di vita matrimoniale in somma periodica di evidente locupletazione e, dopo sei mesi od un anno, decretare che il coniuge con redditi correnti idonei alla mera autosufficien-za personale vede la propria posizione di diritto passare da “cento a zero”, è un percorso in sostanza bizzarro; v’è da dire che la stravaganza certo non si confà ad un regime giuridi-camente rilevante; ma è il sistema e proprio la maturazione sociale delle crisi del rapporto coniugale, come evenienze più o meno fisiologiche, quindi secondo alea tipica di ogni scelta di libertà, che non sembra reputarlo plausibile.

31 Come non presenta la dizione “indipendenza ed autosufficienza economica”. Invero, nel comma 9°, dello stesso art. 5, l. div., compare la dizione “effettivo tenore di vita”, in proposito dell’evenienza di disporre indagini, anche avvalen-dosi della polizia tributaria; questo comporta, da un lato, sia di poter cogliere la coincidente origine semantica della stessa espressione convenzionale, come un’evidente conferma di fondatezza della ricostruzione ermeneutica proposta in questa sede; mentre, d’altro canto, consente di evidenziare ulteriore paradosso, in quanto l’odierna concezione dell’assegno divorzile sancita dalla Corte di legit-timità finisce per relegare nell’irrilevanza le indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, in quanto l’autosufficienza personale del richiedente la misura assistenziale in parola deve considerarsi raggiunta già con la percezio-ne dei comuni redditi stipendiali.

32 Che non ritiene costituisca “efficace” riconciliazione comportamenti pur rilevanti quali elementi dimostrativi di una comunanza di vita, quali ad esempio l’abitudine di condividere ugualmente momenti di vita o di vacanza, la ripresa dei rapporti sessuali, etc., non seguiti da altre manifestazioni di autentico e pieno ripristino della comunione spirituale e materiale, sottoponendo l’eccezione alla relativa severa disciplina processuale; cfr., in punto, ex pluribus, Cass., sez. I, 13 maggio 1999 n. 4748, in Fam. dir., 2000, 362, con nota di s. ivAlDi, Riconcilia-zione e nuova separazione; Id., 16 ottobre 2003 n. 15481, in banca dati Juris; Id., 6 ottobre 2005 n. 19497, ivi; Id., 6 dicembre 2006 n. 16165, ivi; Id., 1 ottobre 2012 n. 16661, ivi; Id., 24 dicembre 2013 n. 28655, ivi; Id., 17 settembre 2014 n. 19535, ivi; Cass., sez. VI-1, 5 febbraio 2016, n. 2360, ivi.

33 Cfr. op. cit. in nota 29.

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

Ed una tale visione aveva in verità già trovato importanti prese d’atto da parte della stessa sezione prima della Suprema Corte, nel momento in cui alla separazione si è attribuita una efficacia sovrapponibile al divorzio; si pensi, a titolo esempli-ficativo, al recente indirizzo che ha riconosciuto una sorta di equiparazione sostanziale tra separazione e divorzio, comun-que considerati momenti di un percorso e di una condizione assimilabile, al fine di stabilire il dies a quo da cui far decorrere la prescrizione34. Ed il segno univoco emerge anche aliunde; tra i tanti possibili esempi la memoria corre alla sentenza della Corte Costituzionale 21 gennaio 2000 n. 1735, proprio sulla equiparazione della natura dei crediti da assegno di separa-zione o di divorzio; altra equiparazione significativa è quella che si rinviene in Corte Cost. 3 novembre 1988 n. 100936, in tema di estensione della spettanza del diritto al trattamento pensionistico di reversibilità (ex art. 9 l. div.), anche in capo al coniuge superstite separato con addebito e tuttavia titolare di assegno alimentare.

In sostanza, seppure la crisi del rapporto matrimoniale si sviluppa nei due momenti della separazione prima e del di-vorzio poi, il regolamento delle condizioni che prendono tito-lo da tali statuizioni è talmente ravvicinato da risultare persino incomprensibile una soluzione così radicalmente divergente.

Ancora nel primo arresto in commento si rinviene l’inciso motivo per cui in ambito Europeo vi sono ordinamenti che comunque prevedono il significativo criterio dell’estinzione dell’obbligazione post-coniugale al decorrere di un certo lasso temporale massimo – il riferimento sembra particolarmente rivolto all’ordinamento francese37 –; questo rilievo non è pri-vo di pregio e potrebbe costituire certo un criterio in fondo illuminato del tutto ragionevole38, se non fosse che le leggi debbono essere scritte dal Parlamento, spettando alle aule di Giustizia un compito indubbiamente diverso.

Esattamente come la creazione di un parametro di riferi-mento (l’indipendenza o autosufficienza personale di chi ha mezzi sufficienti ad assicurarsi una esistenza libera e di-

34 Cass., sez. I, 4 aprile 2014 n. 7981, in Nuova giur. civ. comm., 2014, 890, con nota m. De PAmPhilis, La prescrizione dei reciproci diritti patrimoniali dei coniugi separati nelle recenti (e contraddittorie) pronunce della cassazione; Id., 20 agosto 2014 n. 18078, in Fam. dir., 2015, 350, con nota di F. FArolFi, La sospensione della pre-scrizione in caso di separazione personale nell’interpretazione evolutiva della cassazione.

35 In Giur. it., 2000, 677, con nota di l. BArBierA, Una definitiva conferma del carattere alimentare e privilegiato dei crediti da assegno di separazione o di divorzio. Cfr., peraltro, le citazioni di note 27 e 3, in prospettiva di una possibile lettura armonica del quadro che ne deriva.

36 In Foro it., 1988, I, 3516; l’illegittimità costituzionale dichiarata vede un percorso motivo interessante ai nostri fini, anche nel tratto sull’ultrattività della vis matrimonii.

37 V. l’art. 270 code civil, che prefigura una durata massima di otto anni. Allargando lo sguardo, cfr. anche, e. Al mureDen, Conseguenze patrimoniali del divorzio e parità tra coniugi nelle leading decisions inglesi: verso una nuova valenza dell’istituto matrimoniale?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 212; M.G. cuBeDDu, Principi europei sul divorzio e il mantenimento tra ex coniugi, in s. PAtti - m.g. cu-BeDDu, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Milano, 2008, 271.

38 In tal senso depone anche l’evoluzione del nostro apparato normativo di settore, se si considera che l’art. 1, comma 65°, l. 20 maggio 2016 n. 76, prevede il diritto del convivente che versi in stato di bisogno e non è in grado di provve-dere al proprio mantenimento, di ricevere dall’altro, in caso di cessazione della convivenza, un assegno alimentare a suo favore, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza, quindi, con necessaria previsione a termine (in tal senso, in deroga al principio generale ex artt. 440, 448 c.c.); v., l. lenti, Convi-venze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, in AA.vv., L’istituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze, a cura di P. schlesinger, in Fam. dir., 2016, 938; e, l. BAlestrA, Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in AA.vv., Unioni civili e convivenze di fatto: la legge, a cura di P. rescigno e v. cuFFAro, in Giur. it., 2016, 1788.

gnitosa), che non emerge espressamente dal dato positivo39. Il dettato normativo è invero composito, ed indubbiamen-te impone (“tenuto conto”) di correlare il concetto di “mezzi adeguati” a quella data famiglia costituita secondo il modello matrimoniale, con le sue specifiche vicissitudini, entrata in crisi irreversibile, ma ciò non di meno relazione destinata a produrre ulteriori effetti, non potendo scemare al livello di un fastidioso fardello da cui sgravare sbrigativamente il singolo suo attore. L’evocazione dei criteri di giudizio in parola, dei quali è indispensabile appunto tener conto, è un dato obietti-vo dal quale l’interprete non può prescindere.

L’argomento (prettamente formalistico) secondo cui quei parametri possono collocarsi utilmente solo al momento in cui, superata positivamente la prima fase del giudizio, si deve determinare il quantum debeatur risulta, prima ancora che fallace a fronte dell’obiettivo dato normativo, contraddittorio in re ipsa; infatti, se il tenore di vita non rileva, allora in ef-fetti non dovrebbe rilevare neppure in sede di fissazione del quantum, riferendosi in realtà la norma alle (eventualmente diverse) condizioni dei coniugi ed al confronto del reddito di entrambi, e agli altri complessi parametri.

In questo senso, il nuovo indirizzo percorre il sentiero della vera e propria attività normativa, non potendo neppure inse-rirsi nel solco tematico – recentemente emerso con progres-siva evidenza pratica –, di per sé già delicato e complesso, afferente la regolamentazione costruita sul cd. principio casi-stico. Accertati i limiti della normativa generale rispetto allo specifico caso concreto emerso di volta in volta (le odierne specificità sono davvero molteplici), la ricerca della sua solu-zione da parte dell’interprete si incanala verso la creazione di norme ritagliate sulla singola fattispecie; la sua fondamentale ispirazione è originata dal rilievo secondo cui la legge, seppur formalmente uguale per tutti, può risultare contraddittoria, ovvero mancare, rispetto alla rivendicazione di giusta tutela secondo i valori espressi dal dato positivo40.

Appare allora criticabile la mancata attivazione delle sezioni unite, atteso che in ogni caso il nuovo indirizzo – prescin-dendo dall’eccezionalità delle fattispecie regolate – si pone in contrasto stridente con un granitico contrario indirizzo, quasi trentennale, che aveva visto il peculiare sigillo confer-

39 La Corte ha trascurato di motivare in ordine al fatto – come rilevato in apertura – che durante l’iter dei lavori parlamentari della riforma del 1987, ven-ne significativamente eliminato il riferimento al “dignitoso mantenimento” con-tenuto nell’originario progetto, con efficacia che oggi appare viepiù rilevante; cfr., comunque, le riflessioni in punto di A. luminoso, La riforma del divorzio: profili di diritto sostanziale, in Dir. fam. pers., 1988, 455, assai problematiche già nell’immediatezza.

40 Di vivo interesse recenti contributi della dottrina sul tema; cfr., tra altri, n. liPAri, Ancora sull’abuso del diritto: Riflessioni sulla creatività della giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 1, con l’ampia bibliografia ivi rinvenibile; cfr., inoltre, in ottica che coglie anche altri complessi e magmatici versanti, sia so-stanziali che in genere processuali, g. vettori, La giurisprudenza fonte del diritto privato?, ivi, 2017, 869; g. gABoArDi, Mutamento del precedente giudiziario e tutela dell’affidamento della parte, in Riv. dir. proc., 2017, 435; P. grossi, La invenzione del diritto: a proposito della funzione dei giudici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 831; Id., Il giudice civile. Un interprete?, ivi, 2016, 1135; B. cAvAllone, Il processo come gioco, in Riv. dir. proc., 2016, 1548; g. verDe, L’abuso del diritto e l’abuso del processo (dopo la lettura del recente libro di Tropea), ivi, 2015, 1085; Id., Mutamento di giurisprudenza e affidamento incolpevole (considerazioni sul difficile rapporto fra giudice e legge), ivi, 2012, 6; n. irti, La crisi della fattispecie, ivi, 2014, 36; m. tA-ruFFo, La giurisprudenza tra casistica e uniformità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 35; c. sotis, All’incrocio tra carte e corti: il ruolo del giudice nel “labirinto” delle fonti, in Cass. pen., 2013, 2562; c. Punzi, La Cassazione da custode dei custodi a novella fonte del diritto?, in Riv. dir. proc., 2012, 567; g. costAntino, Il principio di affida-mento tra fluidità delle regole e certezza del diritto, ivi, 2011, 1073.

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

mativo della Corte delle leggi41; sul punto, la stessa motiva-zione stereotipata, è invero sintomatica, non potendo revo-carsi in dubbio che ricorrevano tutte le condizioni prefigurate nell’art. 374, commi 2° e 3°, c.p.c., in funzione dell’armonica interpretazione nomofilattica, compresa la particolare impor-tanza della questione.

Seppur la prevalente dottrina reputi l’eventuale “disapplica-zione” dell’art. 374, comma 3°, c.p.c.42, priva di conseguenze

41 Tra gli scenari apertisi, non è da trascurare il fatto che tutti i contenziosi pendenti presenterebbero quantomeno una istruttoria erratica, avendo le par-ti fatto affidamento sul contrario consolidato indirizzo giurisprudenziale del-la stessa Corte di legittimità, costituente “diritto vivente”, siccome elaborato e confermato in innumerevoli casi. Come non è certo da trascurare l’interrogativo del se risulti possibile o meno porre in discussione i giudicati formatisi sotto l’anteriore regime, quanto alle prestazioni periodiche – ovviamente, solo riguar-do a quelle che verranno a scadere in futuro –, per il solo fatto di una diversa interpretazione in punto di diritto; sino ad oggi, i “giustificati motivi” rilevanti ai fini dell’accoglimento di una domanda di revisione delle condizioni divorzili, in virtù della natura del giudicato, rebus sic stantibus (cfr., r. cAPoni, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991), soggetto appunto all’eccezionale rime-dio della “revisione” in forza del mutamento delle condizioni soggettive delle parti rispetto alla ricognizione comparativa già scrutinata (o meglio, rispetto alle condizioni sussistenti sino al momento in cui si è prodotta la preclusione dedut-tiva nel procedimento che ha condotto alla statuizione resa), sono stati intesi, da granitica giurisprudenza di legittimità, sempre ed esclusivamente come “circo-stanze di fatto”. Come noto, rispetto ad una patologia da accertarsi sì anch’essa in via retrospettiva come d’ordinario, il giudicato in parola non è insensibile all’evolversi delle condizioni di vita degli attori del rapporto, siccome prodotte-si nei fatti. Appare certo come un qualsivoglia indirizzo giurisprudenziale, per quanto autorevole sia l’organo da cui promana e convincenti le sue motivazioni, non possa essere ricondotto neppure nell’alveo dello ius superveniens; peraltro, come noto, anche questo costituisce elemento sopravvenuto di norma precluso dal giudicato; tanto che il nostro ordinamento presenta dettami anche recenti – specificatamente in ambito familiare – nei quali il legislatore ha rettamente disci-plinato la modalità di adeguamento delle statuizioni giudiziali vigenti, assistite dalla cosa giudicata, all’introduzione di radicali riforme di sistema (un esempio su tutti, l’art. 4, comma 2°, l. 8 febbraio 2006 n. 54), altrimenti appunto intan-gibili ex art. 2909 c.c. Sul tema la giurisprudenza di legittimità, espressasi nei vari settori, si staglia comunque nitida: cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 10 dicembre 2010 n. 24996, in banca dati Juris; Cass., sez. un., 16 giugno 2014 n. 13676, in banca dati Pluris; Cass., sez. VI-5, 9 gennaio 2015 n. 174, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 501, con nota di g. molinAro, Mutamento di giurisprudenza e tutela dell’affidamento: alla ricerca di una soluzione coerente; Cass. sez. I, 28 ottobre 2015 n. 22008, in Giur. it., 2016, 663, con nota di e. DAlmotto, Mezzi di impugnazione della declinatoria di competenza e clausola per arbitrato societario; Id. 1° febbraio 2016 n. 1863, in banca dati Pluris; Cass., sez. lav., 23 febbraio 2016 n. 3488, ivi; Cass., sez. II, 11 marzo 2016 n. 4826, ivi; Cass., sez. VI-5, 27 luglio 2016 n. 15530, ivi; Cass., sez. lav., 12 aprile 2017 n. 9398, ivi; Cass., sez. III, 20 aprile 2017 n. 9954, ivi. Nonostante ciò, ora (v. infra nel testo), ulteriore coevo arresto della stessa sezione prima (nota 54), anch’esso di segno fortemente innovativo ed ancora in sostanziale contrasto con l’anteriore indirizzo consolidato avallato dalle sezioni unite – sulla detta rilevanza delle sole circostanze di fatto (come ad esempio rinvenibile in Cass., sez. un., 26 aprile 2013 n. 10064, in Giur it., 2014, 74, con nota di l. BiAnchi, L’esecutività del provvedimento che modifica le condizioni divorzili) –, induce ad interrogarsi in ordine al se all’orizzonte si profili o meno un complessivo più ampio disegno della prima sezione civile, tendente a riscrivere integralmente ogni possibile corollario del nuovo “principio di diritto” affermato. Cfr. inoltre, in senso univocamente rilevante, da ultimo, Cass., sez. I, 13 gennaio 2017 n. 787, in banca dati Juris; Id., 3 febbraio 2017 n. 2953, ivi. Non sembra invocabile, per ciò stesso, neppure l’eccezionale rimedio individua-to da Cass., sez. un., 11 luglio 2011 n. 15144, in Foro it., 2011, I, 2254 (cfr., tra altri, r. cAPoni, Retroattività del mutamento di giurisprudenza: limiti, ivi, 3344; g. ruFFini, Mutamenti di giurisprudenza nell’interpretazione delle norme processuali e “giusto processo”, in Riv. dir. proc., 2011, 1390), relativamente al mutamento repentino di giurisprudenza (cd. overruling) su questione o regola processuale, prima consolidata nel diritto vivente, come tale fonte di legittimo affidamento della parte, la cui nuova soluzione – imprevedibile – risulta idonea a pregiudi-care un diritto di azione o difesa; cfr. anche, Cass., sez. un., 6 novembre 2014 n. 23675, in banca dati Pluris. Non può allora sfuggire, anche sotto questo ver-sante, l’esigenza di un intervento legislativo, che ponga definitivamente rimedio ad una questione di così vasta rilevanza sociale, altrimenti appesa ad incertezze davvero gravi.

42 A. cArrAttA, La riforma del giudizio di cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1118; g. verDe, In difesa dello ius litigatoris (sulla Cassazione come è e come si

dirette sul procedimento, rimarcando la rilevanza prettamen-te disciplinare della violazione, ciò non attenua l’arbitrarietà del modus procedendi; il diverso iter seguito lede la salvaguar-dia dell’effettivo accesso al giudizio di legittimità, come lede la fondamentale funzione istituzionale della Corte; la tutela giu-risdizionale non prescinde dal criterio guida della coerenza e, quindi, dalla prevedibilità delle decisioni, a salvaguardia del principio di uguaglianza; assicurare la tendenziale uniformi-tà degli orientamenti giurisprudenziali, ad iniziare da quelli che appunto si formano in tale terza istanza, presuppone – per espressa volontà legislativa – il rispetto della medesima composizione degli organismi giudicanti; difatti, le decisioni emesse con noncuranza della disposizione in parola, costi-tuiscono comunque obiettivo fenomeno patologico. Questa considerazione non risulta scalfita dal fatto che nella specie le parti abbiano trascurato di esercitare l’impulso processuale di pertinenza ex art. 376, comma 2°, c.p.c., con la proposizione della peculiare istanza (art. 139 disp. att. c.p.c.) di rimessione alle sezioni unite, in quanto la parte ricorrente ha seguito una strategia difensiva fondata proprio sull’indirizzo consolidato, valutando evidentemente scontato che il ricorso fosse affida-to alla sezione semplice; in assenza peraltro di un qualche segno premonitore del nuovo indirizzo; mentre il resistente, domandando la conferma dell’univoca statuizione consegui-ta nei gradi di merito, non aveva un precipuo interesse in tal senso o, con più probabilità, l’ha reputata non utilmente percorribile proprio per lo spessore dell’orientamento conso-lidato in punto di diritto.

Proprio il contributo teorico offerto dalla tesi propugnata nel primo arresto in commento, avrebbe avuto il merito di richiamare l’autorevolezza del più ampio Collegio di legitti-mità ad un’ulteriore adeguata riflessione43, restando sulla via maestra; non si evince ovviamente se sia corso un qualche timore per l’esito del più ampio confronto in parola; certo è che il rapido percorso dell’iter processuale adottato dalla pri-ma sezione, tradisce un’autoreferenzialità, come legibus soluta

vorrebbe che fosse), in Riv. dir. proc., 2008, 10; ma non mancano opinioni di segno contrario, quale quella espressa da m. FornAciAri, La decisione della Cassazione dopo la riforma del 2006: l’enunciazione del principio di diritto, l’accoglimento con rinvio ed il vincolo delle sezioni semplici al precedente delle sezioni unite, in Giusto proc. civ., 2013, 1104. In visione più ampia, cfr. le riflessioni di F.P. luiso, La norma processuale ed i suoi destinatari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 897.

43 Il precedente prossimo – restando alla materia familiare – prodottosi in-nanzi alla Suprema Corte, assimilabile anche per importanza, ha riguardato la diffusa questione del rilascio della casa familiare goduta dai coniugi/genitori a titolo comodatario, privo del temine di scadenza ed in prosieguo di tempo asse-gnata in uso al cd. collocatario della prole; tale tema vedeva una stabilizzazione dell’indirizzo di legittimità, attestato da Cass., sez. un., 21 luglio 2004 n. 13603, in Fam. dir., 2005, 601, con nota di e. Al mureDen, L’opponibilità del provvedi-mento di assegnazione della casa familiare tra tutela dei figli e diritti del comodante; l’istanza di revisione dello stesso indirizzo è stata sollevata con l’ordinanza di Cass., sez. III, 18 giugno 2013 n. 15113, in Dir. fam. pers., 2013, 1387, con nota di n. ciPriAni, Il comodato di casa familiare sotto esame: appunti per le Sezioni Unite, che si faceva interprete di tutte le inquietudini critiche emerse nel tempo, chiamando rettamente il più ampio Collegio ad un nuovo scrutinio; infine, la soluzione veniva adottata da Cass., sez. un., 29 settembre 2014 n. 20448, in Fam. dir., 2015, 5, con nota di r. russo, Le sezioni unite si pronunciano nuovamente sul comodato di immobile destinato ad abitazione della famiglia; vicenda che peraltro ci insegna come, di norma, il lavorio della giurisprudenza non si caratterizza se-condo repentine e profonde svolte, ma pazientemente si affina e meglio elabora nel tempo, con evidente autorevolezza agli occhi della collettività; nell’occasione appena menzionata, le sezioni unite, pur confermando il principio sancito nel 2004, hanno fornito ulteriori preziose indicazioni, proprio nel senso sollecitato dalla terza sezione, in primo luogo, richiamando l’interprete alla giusta conside-razione della volontà espressa dalle parti nel singolo caso.

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

rispetto alla norma contenuta nel ridetto comma 3°, dell’art. 374, codice di rito.

La severità di questa prima conclusione risulta viepiù evi-dente se si considera che l’apprezzamento complessivo della norma, nel suo significato logico, non sembra proprio con-durre alla formalistica individuazione contrappositiva tra cri-teri di attribuzione dell’assegno post-coniugale e criteri di sua quantificazione. Prescindere dai criteri elencati dal legislatore, qualificando il dato come non incidente in sede di accerta-mento del diritto, corrisponde ad una operazione di “ampu-tazione” (in primo luogo del riferimento alle condizioni ed alle sostanze economico-patrimoniali), che, come tale, svuota di significato sostanziale la portata della norma; regola iuris, invece, chiaramente diretta ad imporre un vaglio contestuale, desumibile anche dal confronto tra il tenore originario del 1970 con quello riformato nel 1987 (nota 39).

D’altro canto, se ben si riflette, pur ferma la correttezza del metodo decisorio nelle due fasi dell’an debeatur e del quan-tum, la rilevata “contrapposizione tra criteri di riconoscimen-to del diritto e criteri di quantificazione”, corrisponde ad una esigenza motiva al fine di ricavare il principio, altrimenti im-presentabile; questo percorso ermeneutico, basato sulla scis-sione dell’analisi, secondo parametri tra loro impermeabili, però significa troppo ed è esso stesso il primo indizio dell’al-lontanamento dalla norma. L’espressione “tenuto conto”, come quella che univocamente segue “valutati tutti i suddetti elementi anche…”, collegano strettamente i criteri elencati nella prima parte del comma 6°, dell’art. 5, l. div., con “l’adeguatezza dei mezzi disponibili”.

Non possono allora rilevare altri e diversi parametri frutto di eterointegrazioni della stessa disposizione, quale risulterebbe il riferimento al “dignitoso mantenimento” (opzione esclusa dal legislatore della riforma), cui è assimilabile l’odierna “indipen-denza/autosufficienza economica atta a condurre una esistenza libera e dignitosa”, od addirittura allo “stato di bisogno” sotteso alla provvidenza meramente alimentare (con la quale – come visto – non può certo confondersi l’assegno post-coniugale), ed oggi alla nuova provvidenza espressamente prefigurata tra ex conviventi di fatto, come sopra rilevato (nota 38).

Si potrebbe obiettare che anche il riferimento al “tenore di vita matrimoniale” costituisce indebita eterointegrazione della norma: questa conclusione risulta però subito da scartare per il fatto che la giurisprudenza, con tale dizione, avallata dalla Corte delle leggi nei sensi ripercorsi, ha sempre inteso rap-presentare la sintesi motiva di tutti i parametri che emergono dalla piana e persino ovvia lettura della disposizione, fermo il suo connotato assistenziale, ma sempre correlato alle “con-dizioni dei coniugi” con quell’ulteriore riferimento espresso al “reddito di entrambi”. Con ciò si vuole anche sottolineare che, trattandosi appunto di un linguaggio convenzionale, l’inter-prete è chiamato prudentemente ad allontanarsi da qualsivo-glia pericolo di suggestione; difatti, già all’utilizzo dell’espres-sione “tenore di vita”, nell’attualità sembra accompagnarsi una qualche evocazione di negativi preconcetti sociali, come tipi-camente ricorre in ogni contrapposizione faziosa; l’opera che è chiamato ad assolvere il giurista deve però rimanere ben distante da tali insidie.

Questo puntuale contesto volge a garantire, nel regolamen-to delle condizioni che trovano titolo nello scioglimento del matrimonio, unicamente un certo equilibrio nella posizione

dei coniugi, da adattarsi necessariamente allo specifico caso concreto, partendo dal ridetto dato, riassunto in linguaggio convenzionale nella dizione “tenore di vita”, come ipotesi massima, dalla quale operare decurtazioni attraverso l’analisi ponderata dei parametri che il legislatore enumera, sino al suo legittimo eventuale azzeramento; ma non segue affatto una lo-gica di senso opposto, volgente a verificare se il richiedente abbia quanto sufficiente alle normali esigenze di vita, secondo un parametro di indistinta dignitosa libertà esistenziale.

Del tutto evidente come chi propugna una lettura della disposizione normativa avulsa dalla sua prima parte, ritiene poi che vi sia la necessità di operare sul piano interpretativo, ricercando il presunto parametro mancante nel testo legislati-vo, come puntualmente mostra il primo arresto in commento; l’operazione ermeneutica risulta in principio inammissibile, in quanto la scelta tra l’uno o l’altro possibile parametro, che forza la lettera ed il senso della norma positiva, inevitabil-mente finisce per corrispondere alle diverse propensioni a va-lorizzare questo o quel referente sistematico, scivolando così nell’espediente interpretativo comunque opinabile e tipico dell’arbitrio soggettivo.

7. gli essenziali motivi del dissenso

In questi termini, la soluzione di sistema proposta da entram-bi gli arresti in commento non risulta appagante44, pur risul-tando condivisibile (come le parole già spese e sopra trascritte dimostrano) la linea tendenziale che nella sostanza anima la questione sociale inerente l’assegno post-coniugale; linea in fondo rispondente all’indicazione della Corte delle leggi del 2015, con quel severo monito alla moderazione dell’obbli-gazione soggettiva gravante in capo all’ex coniuge onerato, spostando il baricentro su colui che domanda la misura assi-stenziale in parola; d’altro canto, la storia insegna che la cu-pidigia di chi troppo pretende, anche in ambito affettivo, non esprime certo valori dell’umana “nobiltà”.

Il motivo autentico del dubbio e, quindi, del dissenso, sot-teso a questa prima analisi, risiede piuttosto nella stessa sem-plice constatazione cennata in apertura: se il criterio per il riconoscimento del diritto in punto an debeatur si sposta dal cosiddetto tenore di vita al mero rimedio per sopperire alla mancanza di autosufficienza od indipendenza della persona singola, secondo il parametro della verifica di sussistenza o meno di risorse sufficienti ad un livello di vita libero e digni-toso, riportato nel decalogo sopra steso, il diritto sorge senza correlazione alcuna con l’anteriore comunanza di vita; e si staglia più come un parametro tendenzialmente uniformato per la gran parte dei casi, affinché il coniuge svantaggiato pos-sa al più contare su una sorta di assegno alimentare più am-pio, secondo il parametro dell’autosufficienza di un individuo indistinto, che in tal guisa si vede reciso il collegamento al criterio sovraordinato di pari dignità morale e giuridica posto al fondamento del rapporto dei con-sorti, secondo l’impegno esistenziale assunto all’atto del matrimonio.

Questa conclusione, prescindendo per un attimo dal fon-damento familiare come “luogo degli affetti”, può indifferen-temente ritenersi cruda od equa, a seconda del dato di riferi-mento che la legge dovrebbe aver cura di precisare: ma allo

44 Difformi le conclusioni rassegnate in entrambi i casi anche dell’organo re-quirente presso la stessa Corte di legittimità, in sintonia con quanto qui espresso.

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

stato del nostro ordinamento positivo la soluzione ermeneu-tica prospettata dall’organo nomofilattico colpisce solo per la sua crudezza, siccome il criterio non si rinviene neppure in sede strettamente alimentare; infatti, persino questa estrema misura assistenziale in ambito familiare non è certo estranea ad una correlazione con la “posizione sociale” dell’alimentan-do, come sopra evidenziato; oltre che, ovviamente, con le “condizioni economiche di chi deve somministrarli”.

Se di tanto non è dato dubitare, allora corrisponde ad errata esegesi l’affermazione secondo cui, nel dettato legislativo, la dimensione economico-patrimoniale del preesistente rappor-to matrimoniale è irrilevante per stabilire se debba ricono-scersi o meno il diritto all’assegno divorzile.

Né può adeguatamente soccorrere, come abbiamo visto, l’argomento inerente la natura strettamente assistenziale dell’assegno divorzile, atteso che a questa natura non è invero estranea una correlazione a quella data famiglia.

La stessa conclusione risulta invece impedita dal contrappo-sto indirizzo avallato dalla Corte delle leggi nel 2015, meglio articolato ed idoneo a calarsi nelle peculiarità della singola fattispecie, ma la cui ispirazione sostanziale aveva già recepito le istanze di cui oggi la Corte di legittimità si è fatta ferma e decisa interprete; l’unica controindicazione “fatale” è data dal fatto che l’opera richiesta all’organo giudicante è certo mag-giormente impegnativa.

Queste due tesi allora si fronteggieranno ancora in futuro, auspicandosi magari che il torpore parlamentare sulle varie questioni del diritto delle persone e delle relazioni familiari, da adeguare ai tempi, veda almeno un scatto d’orgoglio, non foss’altro che sul versante della chiarezza45, qualità invero in-dispensabile ad ogni comando legislativo.

8. il confronto argomentativo con la posizione del figlio maggiorenne

Desta interesse il tratto motivo dell’arresto sulla spettanza o meno dell’assegno divorzile, teso a coinvolgere nella dinamica decisoria, in termini comparativi estensibili, la posizione di diritto del figlio maggiorenne46.

Si assume in sostanza che neppure il figlio maggiorenne – il cui status è qualificato “tendenzialmente stabile e permanente”

45 La difficoltà dei testi legislativi, di varia fonte, promananti da “autori” che sembrano come aver smarrito quel sapere e quell’equilibrio consegnatoci dal-la storia, secondo un dato inconfutabile, affligge l’opera del giurista dei tempi moderni, costituendo uno dei momenti di evidente crisi del sistema, proprio nella fase patologica e dell’applicazione concreta; tanto che il tema viene oggi studiato con crescente preoccupazione, invero nell’apparente indifferenza del-le stesse rappresentanze elettive parlamentari; la marcata incertezza del diritto, segnalata come autentica emergenza sociale, ovviamente va di pari passo con rinnovati interrogativi sull’esercizio della giurisdizione, con peculiare attenzione alla stretta connessione con il pericolo di derive arbitrarie, travalicando così i confini degli studi strettamente giuridici (a proposito dei quali merita partico-lare menzione l’importante convegno promosso dall’Accademia dei Lincei, dal titolo, I precedenti, tenutosi in Roma, il 6 luglio 2017), per divenire argomento diffusamente trattato anche sugli organi di informazione di massa, secondo un dato comunicativo che può sintetizzarsi come il “confuso mondo delle leggi” (cfr., da ultimo, c. mirABelli, Come la qualità delle leggi condiziona la nostra vita, in Il Messaggero, 14 agosto 2017, 21).

46 A. PAlAzzo, La filiazione, in Trattato dir. civ. comm. cicu - messineo - mengo-ni - schlesinger, Milano, 2013, 638 ss.; A. morAce Pinelli, Le disposizioni in favore dei figli maggiorenni, in c.m. BiAncA (a cura di), La riforma della filiazione, Milano-Lavis, 2015, 855. La cortesia del lettore è rinviata a g. sAvi, Legittimazione del figlio maggiorenne ad intervenire nel giudizio di separazione coniugale dei genitori, in Giur. it., 2012, 1290; e iD., Intervento del figlio maggiorenne nei giudizi coniugali/genitoriali aventi ad oggetto il proprio mantenimento, ivi, 2011, 82.

– avrebbe garantito il tenore di vita familiare, ragione per cui risulta legittima una applicazione analogica del principio che si trarrebbe dall’art. 337septies, comma 1°, c.c. (invero iden-tico al previgente art. 155quinquies e da leggersi in uno agli artt. 147, 148, 315, 315bis, 337ter e 337sexies), secondo cui è la “non indipendenza economica” del figlio maggiorenne che discrimina la spettanza dell’assegno periodico.

Il paragone sorprende per molteplici ragioni; trascurando l’impropria definizione di “permanenza” dello status, in pri-mo luogo, per l’obiettiva distanza che corre tra il rapporto di filiazione e quello di coniugio, che in radice non legittima un simile approccio, pur rientrando nei temi generali del diritto di famiglia.

Risulta erronea la sovrapposizione della disciplina poiché la dizione che si rinviene nell’ordinamento positivo a favore del figlio maggiorenne, “non indipendente economicamente”, non compare affatto nel comma 6°, dell’art. 5, l. div., il quale, ben diversamente, o meglio, differenziandosi, impone la disamina di parametri specifici diversi e non di altri. Tali diverse espres-sioni normative non sono casuali, atteso che compito primo dei genitori è quello di accompagnare i figli verso la maturità adulta; questo diritto/dovere si sostanzia per sua stessa na-tura come a termine; difatti, ogni sforzo esigibile è proteso al raggiungimento di una indipendenza economica, peraltro, secondo le aspirazioni e le inclinazioni del figlio (che possono non coincidere con la condizione sociale eventualmente mi-gliore dei due genitori47).

Tanto che il diritto del figlio maggiorenne è strutturato in senso composito, in funzione dell’educazione verso la ma-turità adulta da raggiungere, come traguardo, obiettivo che racchiude in sé il senso proprio della trasmissione della vita; un tale progetto di crescita, costituzionalmente presidiato, si compone perciò di molteplici esigenze: la stessa norma ne disegna i tratti essenziali, del mantenimento, della cura anche morale e dell’istruzione (sino al livello professionale).

Trovando appunto tale percorso evolutivo di crescita l’apice nel risultato finale dell’educazione all’autonoma vita adulta, necessariamente è una condizione che infine esige l’impegno filiale, per ontologica essenza; perciò, i genitori debbono, per quanto è nelle loro possibilità, educare il figlio a condurre una esistenza indipendente, fino a che l’obbligo stesso non può che estinguersi48.

Neppure a dirsi che prima del raggiungimento di tale au-tonomia la posizione del figlio maggiorenne sia altrimenti qualificabile rispetto a quella del figlio ancora in età minore

47 Cfr., l’illuminante arresto di Cass., sez. I, 3 settembre 2013 n. 20137, in banca dati Pluris.

48 Invero, il diritto del figlio maggiorenne, seppur vede ampio riconoscimen-to (cfr., ancora a titolo esemplificativo, Cass., sez. I, 26 gennaio 2011 n. 1830, in Fam. dir., 2011, 999, con nota di c. mAgli, Il matrimonio del figlio maggiorenne quale causa di estinzione del diritto al mantenimento: presupposti e limiti), è in stretta connessione limitativa con il progredire della soglia di età raggiunta, secondo orientamento che oramai appare in sostanza pacifico; v., Cass., sez. I, 20 agosto 2014 n. 18076, in banca dati Juris; e, da ultimo, Cass., sez. I, 22 giugno 2016 n. 12952, in Foro it., 2016, I, 2741, con nota di g. cAsABuri, In tema di manteni-mento del figlio maggiorenne; ed in Fam. dir., 2017, 236, con nota di g.A. PArini, I mobili “confini” del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente indipendenti. Sulla cd. colpevole inerzia cfr., Cass., sez. I, 1° febbraio 2016 n. 1858, ivi, 20157, 134, con nota di m.s. esPosito, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne tra aspirazioni personali e colpevole inerzia. Da ultimo, appare dirimente in visione sistematica, l’arresto di Cass., sez. I, 12 aprile 2017 n. 9415, in Giur. it., 2017, 1089, secondo cui il figlio maggiorenne ha diritto agli alimenti soltanto in ipotesi residuali.

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

(salva ovviamente la sfera inerente l’affidamento), trattandosi di un percorso evolutivo certamente non scindibile in seg-menti, bensì complessivamente rilevante49, in vista proprio del traguardo dell’indipendenza personale; per esemplifica-re efficacemente, il ragazzo che frequenta l’ultimo anno di un corso liceale non si trova in posizione di diritto diversa da quella dello studente che in prosieguo di tempo segua l ‘impegno formativo del primo anno di un corso di laurea: entrambi hanno diritto “al mantenimento, all’istruzione, all’edu-cazione…”, secondo il tenore di vita dei genitori.

Ecco allora il ben diverso risultato di questo confronto: an-che per tale via, la relazione del diritto delle persone e della famiglia, come ricorre nel rapporto di filiazione, che si instau-ra con la procreazione, ci presenta l’identico criterio primo della correlazione a quella data famiglia ovvero ai due genito-ri50 e non ad uno standard astratto, uguale per tutti.

Non è peraltro senza significato il fatto che un coniuge possa essere chiamato al dovere di autoresponsabilità per le proprie scelte di vita, ma al contrario del figlio che ha un dovere di attivarsi utilmente per il proprio futuro adulto e, quindi, ne-cessariamente è chiamato a rispondere verso se stesso di ogni scelta di libertà, il coniuge potrebbe anche soltanto “subire” le scelte esistenziali dell’altro; ben noto difatti che lo status giuridico di coniuge in regime di vita separato prima e di di-vorziato poi, corrisponde all’esercizio di un diritto connotato potestativamente51.

La stabilità o meno della famiglia dipende strettamente dal-le decisioni unilaterali dei coniugi, che pur in posizione di eguaglianza non sono certo garantiti a tal punto, ove nolenti; se poi ben si riflette, l’affermarsi del diritto di dare vita ad una nuova famiglia52, richiamato nel primo arresto, né è la miglior riprova.

9. Le successive espressioni della corte di legitti-mità e le prime voci della dottrina

Un qualche segno di rimeditazione della stessa prima sezio-ne civile sembrava potersi cogliere in un arresto di qualche giorno successivo53, afferente il caso di una coniuge divorziata che risultava aver rifiutato offerte di lavoro, pur modeste, ma ciò nonostante, mantenuto fermo l’assegno divorzile anche nel cospicuo importo riconosciuto (anche il riparto dell’onere probatorio risulta contraddetto, nonostante la severità della svolta determinata sul punto dal primo arresto risulti in sé

49 Come si evince dall’apparato normativo menzionato, che trova la propria fonte nell’art. 30 Cost.; opportuno in proposito il richiamo delle basilari parole di m. sestA, Manuale di diritto di famiglia, Padova, 2015, 234 e 300.

50 Cfr., a titolo esemplificativo, gli arresti di Cass., sez. I, 22 marzo 2005 n. 6197, in banca dati Pluris; Id., 9 maggio 2013 n. 11020, in Fam. dir., 2014, 240, con nota di c. mAgli, Sulla persistenza del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne; e Cass., sez. VI-1, 13 dicembre 2016 n. 25528, in banca dati Pluris; Id., 26 aprile 2017 n. 10207, ivi, che espressamente conforma il diritto/dovere in parola entro i limiti della “compatibilità con le condizioni economiche dei genitori”.

51 A. Proto PisAni, Il diritto alla separazione e al divorzio da diritto potestativo da esercitare necessariamente in giudizio a diritto potestativo sostanziale, in Foro it., 2008, V, 161. In tema, v. anche i rilievi da ultimo evidenziati in g. sAvi, Lo scioglimento “volontario” dell’unione civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 691.

52 V., Cass., sez. I, 19 marzo 2014 n. 6289, in Fam. dir., 2015, 470, con nota di D. Buzzelli, Assegno di fivorzio e nuova famiglia dell’obbligato; quanto alla fattispecie della sopravvenuta nascita di un figlio di “secondo letto”, senza la costituzione di un nuovo nucleo familiare, cfr., Cass., sez. VI-1, 10 luglio 2015 n. 14521, in banca dati Pluris.

53 Cass., sez. VI-1, 22 maggio 2017 n. 12878, in banca dati Pluris.

pienamente condivisibile), con contraddizione casistica evi-dente rispetto al decalogo sopra enumerato.

Ma l’impressione è subito risultata disillusa da successivo arresto54, occasionato da un giudizio di revisione avente ad oggetto l’assegno divorzile (che probabilmente costituirà la sede di ricorsi massivi da qui in avanti per far valere proprio questo nuovo indirizzo, anche in relazione a sentenze risalen-ti di molti anni); il responso ha concluso nel senso che anche il nuovo indirizzo può costituire sufficiente fatto sopravvenu-to, che rende ammissibile la revisione in punto an debeatur55, con buona pace del cardine della cosa giudicata, pur rebus sic stantibus; seppure il tema risulti a dir poco difficoltoso, come peraltro emerge dai cenni in nota 41, la pronuncia non presenta una motivazione che proponga una sua sistemazione ex professo.

In verità, questo arresto mette in luce un netto dissenso dell’organo requirente presso la Corte, che ha invano solle-citato l’intervento delle sezioni unite56; la motivazione, sor-prendente anche nel tenore, richiama l’indirizzo già assunto di recente con i precedenti di Cass., sez. I, 22 giugno 2016 n. 1296257, e Id., 30 settembre 2016 n. 1959958, resi in tema di adozione del figlio del partner dello stesso sesso e di trascri-vibilità dell’atto di nascita formato all’estero quanto al figlio generato con tecniche di P.M.A., da due donne coniugate in Spagna; al di là della constatazione che la perpetuazione di un errore non conduce ovviamente all’esattezza del risultato ultimo, si è già avuto modo di dissentire59 rispetto a questo illimitato esercizio del potere di apprezzamento discrezionale della sezione, che non può non considerare prudentemente che la massima importanza di questioni di tal fatta, la loro novità od i contrasti di indirizzo sottesi, lo sono prima di tutto

54 Ci si riferisce a Cass., sez. I, 22 giugno 2017 n. 15481, in banca dati Pluris (cfr. quanto in nota 41).

55 Cfr., il primo commento di, g. Dosi, Può essere chiesta la revoca dell’assegno di divorzio in seguito al nuovo orientamento della Cassazione sul criterio di attri-buzione dell’assegno divorzile?, in www.lessicodidirittodifamiglia.com; ma anche le argomentazioni in nota al primo arresto da cui originano queste riflessioni, di F. DAnovi, Assegno di divorzio e tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti, in Fam. dir., 2017, 655. Oltre quanto osservato in nota 41, appare utile proporre la seguente esemplificazione della conseguenza paradossale che si può produrre in concreto: si faccia conto che una delle parti del giudizio conclusosi con l’arresto di Cass., sez. un., 29 no-vembre 1990 n. 11490, cit. in nota 1, o di altro identico contenzioso in punto, reputi di domandare una revisione fondata sul nuovo indirizzo, immutate tutte le circostanze di fatto; ebbene, ove la domanda venga accolta, la pronuncia di revisione prevarrebbe sul giudicato, nonostante il contrario principio di diritto sancito dal più ampio Collegio.

56 Il Procuratore Generale presso la Cassazione è comunque titolare della peculiare richiesta alla Corte di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge, ex art. 363 c.p.c., istanza sulla quale è ammissibile l’intervento del più ampio Collegio; cfr. in proposito, l’interessante “cronaca” della prassi ulti-ma, condivisa con il mondo accademico, di g. costAntino, Note sul ricorso per cassazione nell’interesse della legge, in Riv. dir. proc., 2017, 712. I precedenti non mancano: emblematica la vicenda che, appunto su iniziativa ex art. 363 c.p.c. del P.G., ha portato al pregevole risultato di Cass., sez. un., 25 gennaio 2017 n. 1946, in Fam. dir., 2017, 740, con nota di P. Di mArzio, Parto anonimo e diritto alla conoscenza delle origini; nonché in Corr. giur., 2017, 617, con nota di m.n. Bugetti, Sul difficile equilibrio tra anonimato materno e diritto alla conoscenza delle proprie origini: l’intervento delle Sezioni Unite.

57 In Giur. it., 2016, 2573, con notazioni di A. sPADAForA, Adozione, tute-la dell’omogenitorialità ed i rischi di eclissi della volontà legislativa; e i. riverA, La sentenza della Corte di cassazione n. 12962/2016 e il superiore interesse del minore.

58 In Corr. giur., 2017, 181, con nota di g. FerrAnDo, Ordine pubblico e interes-se del minore nella circolazione degli status filiationis; ed in Dir. fam. pers., 2017, 52 e 297, con nota di P. Di mArzio, Figlio di due madri?

59 g. sAvi, L’unione civile tra persone dello stesso sesso, cit., 128 al richiamo di nota 156.

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

per ragioni obiettive percepibili da chiunque; peraltro, questa “resistenza” all’intervento della sede collegiale più ampia di cui all’art. 374 c.p.c., può infine nuocere alla stessa funzio-ne istituzionale dell’organo nomofilattico, in quanto, solo a titolo esemplificativo volendo tacer d’altro, i giudici del me-rito legittimamente possono qualificare “consolidato” il solo responso delle sezioni unite (di riflesso, risulta poi vistoso l’ampliamento della loro discrezionalità, potendo richiamarsi all’una o all’altra delle diverse opzioni decisorie).

Le prime voci della dottrina, pur con aperture sostanziali sul versante dell’evoluzione sociale, risultano prevalentemen-te critiche60, o comunque propongono vasti interrogativi; le maggiori perplessità ineriscono l’evoluzione interpretativa in senso integrativo del dato legislativo, la difformità tra il regime divorzile e quello separativo, le diversità che posso-no caratterizzare il singolo matrimonio e le marcate difficoltà dell’impatto concreto di un nuovo indirizzo che dovrà co-munque attendere un consolidamento61 prima di poter esser qualificato “diritto vivente”, per effetto della mancata investi-tura delle sezioni unite.

10. Le prime applicazioni del nuovo corso ad opera della giurisprudenza di merito

Qualche ulteriore riflessione discende dall’analisi della prima giurisprudenza di merito emersa: il Tribunale di Milano62, adeguatosi prontamente, rispondendo al quesito di quale sia il livello reddituale che consente al singolo una esistenza li-bera e dignitosa, lo ha individuato nel tetto di reddito che consente il suo accesso al patrocinio a spese dello Stato, cioè poco meno di €. 1.000,00 = mensili (soluzione problematica se solo si considera, pur nel contesto attuale di crisi economi-ca, il costo della vita in una città come Milano, ove certo non è erroneo rilevare come quell’entità economica risponde a mala pena alla mera assistenza alimentare), erigendolo a primo pa-rametro fisso di regolamentazione divorzile.

In sostanza conforme, quanto alla disponibilità di tale livello reddituale, la posizione assunta dal Tribunale di Venezia63.

60 g. cAsABuri, Tenore di vita ed assegno divorzile (e di separazione): c’è qualcosa di nuovo oggi in Cassazione, anzi d’antico, in Foro it., 2017, 1895; c. BonA, Il revi-rement sull’assegno divorzile e gli effetti sui rapporti pendenti, ivi, 1900; A. monDini, Sulla determinazione dell’assegno divorzile la sezione semplice decide “in autonomia”. Le ricadute della pronuncia sui giudizi di attribuzione e sui ricorsi per revisione dell’as-segno, ivi, 1903; g. Dosi, Presupposti dell’assegno divorzile e condizione femminile: perché la prima sezione civile della Cassazione non è convincente, in www.lessicodidi-rittodifamiglia.com; e. Al mureDen, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e soli-darietà post-coniugale, in Fam dir., 2017, 642; A. Di mAJo, Assistenza o riequilibrio negli effetti del divorzio?, in Giur. it., 2017, 1304.

61 Si segnala comunque l’ulteriore arresto di Cass., sez. VI-1, 29 agosto 2017 n. 20525, in banca dati Pluris, seppur con motivazione che si limita a richiamare la sola massima del primo arresto, dando seguito al nuovo indirizzo.

62 Ordinanza 22 maggio 2017 (est. Buffone), in www.ilcaso.it, con la seguen-te massima: “Il presupposto giuridico per il riconoscimento dell’assegno divorzile non è il pregresso tenore di vita matrimoniale, bensì la ‘non’ indipendenza economica dell’ex coniuge richiedente. Per ‘indipendenza economica’ deve intendersi la capacità per una determinata persona adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento – di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali). Un parametro (non esclusivo) di riferimento può essere rappresentato dall’ammontare degli introiti che, secondo le leggi dello Stato, consente (ove non superato) a un individuo di accedere al pa-trocinio a spese dello Stato (soglia che, ad oggi, è di euro 11.528,41 annui ossia circa euro 1000 mensili). Ulteriore parametro, per adattare ‘in concreto’ il concetto di indipendenza, può anche essere il reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente vive ed abita”.

63 Ordinanza 24 maggio 2017 (est. Vettore), in www.il caso.it, con la seguente massima: “Secondo i più recenti orientamenti della giurisprudenza appare privo di

Ciò significa che il timore sotteso al dissenso sopra esposto si è concretizzato in realtà in maniera ancor più grave, anche se non può non evidenziarsi che tali statuizioni sono andate ben oltre il segno dettato dal primo arresto in commento e l’erroneità appare evidente64.

rilevanza per la concessione dell’assegno divorzile il parametro relativo al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo piuttosto rilevanti altri indici, quali il ‘possesso’ di redditi ed il patrimonio mobiliare e immobiliare, le ‘capacità e possibilità effettive’ di lavoro personale e la ‘stabile disponibilità’ di un’abitazione”.

64 Ad iniziare dall’opera di individuazione del “parametro base”; ragionevole aspettarsi che magari per altri tribunali, viepiù se aventi sede in città svantaggiate del meridione, lo stesso parametro base venga individuato nel primo stipendio di un lavoratore dipendente o nell’assegno cd. di mobilità, che non supera in ge-nere € 750,00 = mensili; v’è da chiedersi poi, a titolo esemplificativo, perché non è stato reputato plausibile l’altro possibile riferimento, pur presente nell’ordina-mento positivo, che indica come impignorabili gli stipendi sino al multiplo di tre volte l’importo della cd. pensione sociale (art. 545, comma 8°, c.p.c.), eviden-temente reputata soglia di sussistenza autosufficiente. Ad una simile “babele”, come già sopra rilevato, il legislatore non potrà non porre rimedio, posto che la natura dei diritti e degli interessi in gioco esige un soddisfacente grado di certez-za – anche per gli operatori –, considerato il quadro complessivo in cui si colloca la questione, nel delicato momento di regolamentazione della crisi familiare e di disciplina dei suoi riflessi personali e patrimoniali. A questo punto, in verità, deve segnalarsi come la svolta disegnata dalla Corte di legittimità con il primo arresto in commento ha motivato l’innovativa proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati (a firma Ferranti ed altri) in data 27 luglio 2017, n. 4605, di riforma del 6° comma, dell’art. 5, l. div., e l’aggiunta di ulteriori nuovi commi. Questo il dato testuale, formulato in unico articolo: 1. Il sesto comma dell’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, è sostituito dal seguente: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone l’attribuzione di un assegno a favore di un coniuge, destinato a compensare, per quanto possibile, la disparità che lo scioglimento o la cessazione degli effetti del ma-trimonio crea nelle condizioni di vita dei coniugi”. 2. Dopo il sesto comma dell’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono inseriti i seguenti: “Nella determinazione dell’assegno il tribunale valuta le condizioni economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito della fine del matrimonio; le ragioni dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio; la durata del matrimonio; il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimo-nio di ciascuno e di quello comune; il reddito di entrambi, l’impegno di cura personale di figli comuni minori o disabili, assunto dall’uno o dall’altro coniuge; la ridotta capa-cità reddituale dovuta a ragioni oggettive; la mancanza di un’adeguata formazione professionale quale conseguenza dell’adempimento di doveri coniugali. Tenuto conto di tutte le circostanze il tribunale può predeterminare la durata dell’assegno nei casi in cui la ridotta capacità reddituale del richiedente sia dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili. L’assegno non è dovuto nel caso in cui il matrimonio sia cessato o sciolto per violazione, da parte del richiedente l’assegno, degli obblighi coniugali”. 3. Ai sensi dell’articolo 1, comma 25, della legge 20 maggio 2016, n. 76, le disposizioni introdotte dal comma 1 del presente articolo si applicano anche nei casi di scioglimento delle unioni civili. 4. Al comma 25 dell’articolo 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76, le parole: “dal quinto all’undicesimo comma” sono sostituite dalle seguenti: “dal quinto al quindicesimo comma”. I proponenti scelgono consapevolmente la strada dell’in-tervento correttivo/integrativo piuttosto che quella di una interpretazione auten-tica, quale quella indicata da Corte Cost. 11 febbraio 2015 n. 11, cit. Il testo ma-nifesta evidenti criticità, atteso che compare la dizione “compensare la disparità” che il divorzio “crea nelle condizioni di vita dei coniugi”, con la specificazione “per quanto possibile”; a tacer d’altro, con ciò sembra darsi per acquisito che anche i futuri criteri di riconoscimento del diritto debbano considerarsi distinti dai cri-teri di quantificazione dell’assegno, che vengono enumerati nel successivo com-ma, nonostante la loro pregnanza in entrambi i momenti decisori. Compensare una disparità sembra volgere all’adozione di una soluzione ben più severa del tradizionale riferimento al “tenore di vita”: l’obbligazione post-coniugale addirit-tura deve tendere a mantenere le stesse “condizioni di vita”, con buona pace delle stigmatizzazioni della Corte di legittimità in ordine all’inaccettabile ultrattività di un vincolo disciolto. Il plurale poi sembra davvero ampio: in sostanza, un tale parametro di riferimento sembra indicare persino una “parificazione”. Sorpren-de anche quel “per quanto possibile”, così straordinariamente generico ed impal-pabile nel suo significato, che obiettivamente darebbe luogo ad interpretazioni le più varie: una norma in bianco? L’apertura all’ipotesi di un riconoscimento dell’assegno divorzile ab origine temporaneo appare affacciarsi timidamente ed anch’essa sulla base di malferme prospettazioni. In realtà, il testo vigente ben potrebbe essere mantenuto semplicemente aggiungendo il parametro di riferi-mento vincolante dopo la dizione “mezzi adeguati”, od alternativamente, con la specificazione che i criteri enumerati rilevano sia quanto al momento decisorio inerente il riconoscimento del diritto, che quanto al successivo momento di sua quantificazione. Con l’aggiunta peraltro della predeterminazione di durata in

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106 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-dicembre 2017

DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

La sbrigativa eliminazione di ogni questione in punto sia alla spettanza che alla quantificazione dell’assegno divorzile, ora anche secondo il diverso canone, propone pur sempre frammistione tra le due fasi del giudizio (come motiva la Cor-te nel primo arresto in commento che pur ne stigmatizza l’esi-genza di distinzione), esattamente in senso inverso rispetto all’indirizzo anteriore, quindi, secondo un metodo decisorio allora identicamente inaccettabile.

Conclusione assimilabile è stata espressa anche dal Tribu-nale di Mantova65, che ha dichiarato insussistente il diritto all’assegno divorzile da parte della coniuge insegnante con uno stipendio di €. 1.450,00= mensili, assunta a tempo in-determinato nel settembre 2016, qualificato “buono stipendio”, pur in presenza di un rilevante divario rispetto al coniuge im-prenditore; situazione di autosufficienza che esclude in radice di poter ipotizzare l’esigenza di un “aiuto assistenziale”.

Si è invece subito discostato dal nuovo indirizzo il Tribunale di Udine 1° giugno 201766, statuendo che il parametro del tenore di vita tenuto da quella data famiglia coniugale rileva sia in pun-to an debeatur, che in punto determinazione del quantum, re-spingendo la svolta di cui al primo arresto, reputato espressione di convincimento assolutamente minoritario della Corte rego-latrice e privo in effetti dell’indispensabile supporto normativo.

Sulla stessa linea di dissenso sostanziale si è espresso il Tri-bunale di Roma, con la sentenza della sez. I, 17 luglio 2017 n. 1172367.

Una diversa soluzione sembra potersi desumere anche dall’ordinanza della Corte d’appello di Milano 5 settembre 201768, che nel sospendere l’esecutività della sentenza divor-zile di primo grado (che aveva respinto la domanda di asse-gno post-coniugale invece attribuito in sede presidenziale), af-ferma la rilevanza del contesto sociale in cui la famiglia aveva sempre vissuto.

11. conclusioni

Come si vede, se prevarrà la prima interpretazione di merito, assunta dal tribunale meneghino, la conseguenza principe –

tutte le ipotesi di potenzialità lavorative e professionali del coniuge richiedente, magari con fissazione del periodo minimo e massimo.

65 Sentenza 26 maggio 2017, in www.ilcaso.it, con la seguente massima: “Per verificare se il coniuge richiedente abbia o meno diritto all’assegno divorzile non deve più accertarsi se lo stesso disponga di risorse economiche (ovvero sia in grado di procu-rarsele) tali da consentirgli di poter continuare a godere, sebbene in via solo tendenzia-le, il medesimo tenore di vita del periodo di convivenza matrimoniale, ma è necessario invece appurare se lo stesso sia o meno indipendente o autosufficiente economicamente, avuto riguardo al costo della vita del luogo in cui risiede”.

66 In www.osservatoriofamiglia.it, 18 giugno 2017.67 In www.diritto.it, 20 luglio 2017; indirizzo che sembrerebbe confermato da

due sentenze 21 luglio 2017, in www.osservatoriofamiglia.it, ma con incertezze importanti, che peraltro mettono in luce le severe difficoltà dei giudici di merito.

68 In www.ilfamiliarista.it, 6 settembre 2017.

di evidente gravità sistematica – è quella secondo cui, d’ora in avanti, la disponibilità di un reddito di circa €. 1.000,00 = mensili da parte del coniuge svantaggiato inibisce il riconosci-mento dell’assegno divorzile.

Con ciò al contempo significando che lo sforzo legittima-mente richiesto al coniuge eventualmente obbligato ad assol-vere tale misura assistenziale non potrà ovviamente eccedere (o eccedere significativamente) un tale ordine di grandezza.

Se questo è, allora, in realtà la Suprema Corte non avreb-be dato soltanto la stura ad una interpretazione che nei fatti risulta ad efficacia soppressiva del 6° comma, dell’art. 5, l. div., in contrasto con gli unici parametri di giudizio rilevanti ivi enumerati (come sopra meglio evidenziato), bensì ad un nuovo sistema di severa esclusione massiva dell’assegno post-coniugale.

Persino ipotizzando, solo per un momento, che d’ora in avanti sia legittimo relegare la rilevanza dei ridetti parametri normativi nella sola fase della determinazione del quantum debeatur, il risultato di una tale opzione conduce ad una prov-videnza che risulterà, nel suo massimo, in sostanza eguale in tutti i casi, emergendo così, anche per tale via, la stridente contraddizione evidenziata.

Ma ancor prima, è la nozione stessa di solidarietà che risulta contraddetta, se solo si considera che secondo il dizionario della nostra lingua, per solidarietà si intende “la coscienza viva di partecipare vicendevolmente alle necessità di una comunità di persone”.

Non valorizzare l’intero testo del 6° comma, dell’art. 5, l. div., con la vista tecnica contrappositiva ad efficacia mutilan-te, e procedere con etero integrazioni, significa in realtà rifug-gire dalla strada indicata dal legislatore, che impone obietti-vamente al giudice di procedere all’applicazione ponderata al singolo specifico caso dei parametri enumerati.

Difatti, nell’imporre il metodo incarnato dalla dizione “tenu-to conto”, il legislatore certo non ha conferito discrezionalità altra se non quella di valutare tali parametri, non di poterne prescindere: lo stesso imperativo espressivo – univoco nel contesto della norma – conduce in tale direzione, come la giurisprudenza di legittimità, per ben ventisette anni, ha sem-pre rettamente affermato.

Diversamente, equivale a dire, che la stessa nozione di asse-gno divorzile, come sino ad oggi intesa, non si rinviene più, risultando di fatto “abrogata” nella quasi totalità dei casi, con evidenza ancor più marcata proprio nei casi in cui l’onerato chiamato alla residua obbligazione post-coniugale “patisca” minor sforzo soggettivo in virtù della florida condizione eco-nomico-patrimoniale.

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

trib. venezia, 25 maggio 2017, vettore, est.

Tenendo conto dei più recenti orientamenti della giurisprudenza, appare privo di rilevanza per la concessione dell’assegno divorzile il parametro relativo al tenore di vita goduto in costanza di ma-trimonio, essendo piuttosto rilevanti altri indici, quali il “possesso” di redditi e di patrimonio mobiliare e immobiliare, le “capacità e possibilità effettive” di lavoro personale e “la stabile disponibilità” di un’abitazione (nel caso di specie, considerato il peggioramento della situazione patrimoniale dell’ex coniuge, il Tribunale dispone che ciascuno dei genitori provveda al mantenimento diretto della figlia minore nei rispettivi periodi di competenza).

trib. udine, 1 giugno 2017. Pellizzoni, pres e rel.

Il Collegio ha ritenuto preferibile seguire l’orientamento definito maggioritario (da ultimo, Cass. 29 settembre 2016) secondo cui l’accertamento del diritto all’assegno divorzile si articola in una prima fase in cui il Giudice verifica l’esistenza del diritto in astrat-to, in relazione all’adeguatezza o meno dei mezzi del richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio e in una seconda fase in cui procede alla determina-zione in concreto dell’ammontare dell’assegno, compiuta tenendo conto degli elementi indicati nell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970.Il criterio “astratto” del tenore di vita, in questo modo, non co-stituisce l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile, venendo contemperato da tutti gli altri cri-teri quali la condizione dei coniugi, la durata del matrimonio e l’apporto dato da ciascuno alla conduzione familiare che agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma che viene così considerata in concreto.

(Omissis)All’udienza davanti al Presidente del Tribunale di data 18.3.2016 entrambe le parti si costituivano in giudizio e falli o il tentativo dì conciliazione dei coniugi, venivano dettati i provvedimenti provvisori nei seguenti termini: “1. autoriz-za i coniugi a continuare a vivere separati, con l’obbligo del mutuo rispetto; 2. conferma le statuizioni adottate in sede di separazione consensuale su accordo dei coniugi in data 20.7.2011, omologate in data 31.8.2011, atteso che eventuali modifiche necessitano dei dovuti approfondimenti istrutto-ri e non risulta che vi siano stati rilevanti mutamenti della situazione di fatto presa in considerazione in quella sede”. La causa veniva quindi rimessa davanti al designato GI. del procedimento, si costituivano entrambe le parti per mezzo dei loro procuratori legali, e la causa, dopo l’intervento del PM, veniva assegnata a sentenza sulle riportate conclusioni. Va pronunziata sentenza di cessazione degli effetti civili del vincolo, essendo pacifico in causa che le parti non hanno più ripreso la convivenza dall’udienza presidenziale in sede di separazione personale (ud. presidenziale del 21.11.2007, de-creto di omologa del 6.12.2007), mentre dagli atti risulta con certezza che sia venuta meno la comunione materiale e spi-rituale fra i coniugi (v. certificati di residenza in atti). Ricorre

infatti, nel caso di specie, l’ipotesi di cui all’art. 3 n. 2 lett. b) della l. 1.12.1970 n. 898 e successive modificazioni, essendo decorsi oltre sei mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi avanti al Presidente del Tribunale nella procedura di separa-zione personale, senza che sia più ripresa una comunione di vita spirituale e matériale tra i medesimi.Dal matrimonio è nato il figlio maggiorenne – ma attualmente disoccupato e non più convivente con la madre – a cui il padre versa un assegno di € 1.000,00 al mese in attesa del reperimen-to dì una occupazione. Le parti controvertono in merito all’as-segno divorzile della convenuta e all’assegnazione della casa coniugale in comproprietà fra i coniugi. La convenuta pretende infatti che le venga corrisposto un assegno di divorzio – quan-tomeno pari a quello percepito in sede di separazione sul pre-supposto della mancanza di redditi adeguati al suo manteni-mento, oppure nel caso in cui venga revocata l’assegnazione della casa coniugale, che l’assegno venga congruamente au-mentato, mentre l’attore nega di essere tenuto al pagamento di un assegno, rilevando come le condizioni economiche siano tali da consentire una piena indipendenza economica, essendo anzi migliorate rispetto alla situazione esistente all’epoca della separazione. Non vi sono dubbi che vada revocata l’assegnazio-ne cella casa coniugale, atteso che il figlio della coppia – mag-giorenne ma attualmente disoccupato – non vi risiede più con la madre, per cui è venuto meno il presupposto indefettibil-mente richiesto dalla legge (cfr. da ultimo Cass., 1.08.2013, n. 18440). Tuttavia il Tribunale deve limitarsi a revocare l’assegna-zione quale diritto personale dì godimento, mentre le questioni relative all’utilizzo dell’immobile, attualmente comunque occu-pato dalla convenuta, che ne è comproprietaria, devono essere risolte in sede di divisione dell’immobile comune. Per quanto riguarda il diritto all’assegno è noto che secondo il costante orientamento della Corte regolatrice: “L’accertamento del dirit-to all’assegno divorzile si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice verifica l’esistenza del diritto in astratto, in rela-zione all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raf-frontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittima-mente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, mentre nella seconda procede alla determinazione in concreto dell’ammontare dell’assegno, che va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed eco-nomico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla for-mazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito dì entrambi. valutandosi tali elementi anche in rap-porto alla durata del matrimonio. Nell’ambito di questo dupli-ce accertamento assumono rilievo, sotto il profilo dell’onere probatorio, le risorse reddituali e patrimoniali di ciascuno dei coniugi, quelle effettivamente destinate al soddisfacimento dei bisogni personali e familiari, nonché le rispettive potenzialità economiche. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che ha negato il diritto all’assegno della richiedente. non

LA giuriSPruDeNzA Di meritO SuLL’ASSegNO Di DivOrziO, Due OPiNiONi A cONFrONtO

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

avendo questa fornito alcuna prova dell’oggettiva impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per conseguire un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio – cfr. Cass., n. 11870 del 09/06/2015, nonché in senso conforme Cass., n. 11686 del 15/05/2013, secondo cui. “l’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando l’inade-guatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continua-zione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevol-mente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. A tal fine, il tenore dì vita precedente deve desu-mersi dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’am-montare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali, laddove anche l’assetto economico relativo alla separazione può rappresentare un valido indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi dì valutazione relativi al tenore di vita goduto durante il matrimo-nio e alle condizioni economiche dei coniugi” e anche Cass., n. 25010 del 30/11/2007. “La determinazione dell’assegno di di-vorzio, alla stregua dell’art. 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987 n. 74, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accor-do tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, poiché, data la diversità delle discipli-ne sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi tratta-menti, correlate e diversificate situazioni, e delle rispettive de-cisioni giudiziali, l’assegno divorzile, presupponendo lo sciogli-mento del matrimonio. prescinde dagli obblighi di manteni-mento e di alimenti. operanti nel regime di convivenza e di se-parazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divor-zio, con la conseguenza che l’assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valuta-zione”). Tale criterio “astratto” del tenore di vita goduto in co-stanza di matrimonio non costituisce tuttavia l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile ve-nendo contemperato da tutti gli altri criteri che agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in concreto, portando in alcuni casi addirittura ad eliderlo completamente (v. ad esempio Cass., n. 6164/015 che ha esclu-so il diritto all’assegno in un caso di divorzio dopo pochi mesi di convivenza), come pertinentemente osservato dalla Corte di data 9.02.2015, n. 11 che ha rilevato come l’esistenza, presup-posta dal rimettente. di un “diritto vivente” secondo cui l’asse-gno divorzile ex art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 “deve necessariamente garantire al coniuge economica-mente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio” non traeva, infatti, riscontro nella giurispru-denza del giudice della nomofilachia (che costituisce il princi-pale formante del diritto vivente), secondo la quale, viceversa, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costitu-isce l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile. La Corte di cassazione, in sede di esegesi della normativa impugnata, ha anche di recente, in tal senso, appunto, ribadito il proprio “consolidato orientamento”, se-condo il quale il parametro del “tenore di vita goduto in costan-za di matrimonio” rileva, bensì, per determinare “in astratto […] il tetto massimo della misura dell’assegno” (in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di

vita pregresso), ma, “in concreto”. Quel parametro concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso denunciato art. 5. Tali criteri (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascu-no alla formazione del patrimonio comune, durata del matri-monio, ragioni della decisione) “agiscono come fattori di mo-derazione e diminuzione della somma considerata in astratto” e possono “valere anche ad azzerarla” (cosi testualmente. da ulti-mo, Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza. 5 feb-braio 2014, n. 2546; in senso conforme, sentenze 28 ottobre 2013. n. 24252; 21 ottobre 2013, n. 23797; 12 luglio 2007, n. 15611; 22 agosto 2006, n. 18241; 19 marzo 2003, n. 4040 ex plurimis). In particolare la citata ultima sentenza 5.02.2014, n. 2546 afferma come l’accertamento “del diritto all’assegno di divorzio si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in rela-zione all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procu-rarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore dì vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che po-teva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio, e quindi pro-cedere ad una determinazione quantitativa delle somme suffi-cienti a superare l’inadeguatezza di detti mezzi, che costituisco-no il tetto massimo della misura dell’assegno. Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in con-creto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azze-rarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti ele-menti di quantificazione (v. ex plurimis, Cass. sentt. n. 15611 del 2007, n. 18241 del 2006). Tali considerazioni portano a chiedersi se la partizione tradizionalmente utilizzata dalla Corte regolatrice nelle note sentenze a Sezioni Unite richiamate dai successivi anche recenti arresti di una valutazione in astratto sull’adeguatezza dei redditi del coniuge richiedente (quale pre-supposto per il diritto all’assegno) e della ponderazione in con-creto dei richiamati criteri abbia un qualche fondamento non solo testuale nella legge ma financo logico sistematico, atteso che una tale distinzione non ha alcun riscontro nel testo nor-mativo, ove il diritto all’assegno viene commisurato a tutta una serie di criteri collegati alla condizione dei coniugi, alla durata del matrimonio, al reddito di entrambi all’apporto dato dai co-niugi alla vita matrimoniale, dovendosi quindi leggere l’espres-sione “adeguati” come riferita proprio a tutti questi parametri e non piuttosto ad un tenore di vita dignitoso dell’uomo medio, che non ha alcun riferimento normativo, atteso che in questo caso la norma avrebbe dovuto utilizzare l’espressione “adeguati ad una vita dignitosa e indipendente” per cui tutti tali presup-posti devono essere insieme considerati, valendo il dato dell’adeguatezza eventualmente solo come tetto massimo della misura dell’assegno (in tal senso si vper le due interpretazioni giurisprudenziali confliggenti Cass., n. 4038 del 21/03/2002 secondo cui: “Non vengono proposti argomenti idonei a porre in discussione il meditato indirizzo del giudice di legittimità che, chiamato a determinare il parametro dell’adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge divorziato ed a quantificare, in conseguenza, l’obbligo assistenziale dell’altro coniuge, lo ha individuato nel tenore di vita matrimoniale anziché in un gene-

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

rico ed astratto tenore di vita dignitoso dell’uomo medio” e Cass., n. 1652 del 02/03/1990: “A seguito della riforma intro-dotta dalla legge 6 marzo 1987 n. 74, all’assegno di divorzio è stata riconosciuta dal legislatore (art. 10 legge cit., che ha mo-dificato l’art. 5 legge 1 dicembre 1970 n. 898) natura eminen-temente assistenziale, per cui ai finì della sua attribuzione assu-me ora valore decisivo l’autonomia economica del richiedente, nel senso che l’altro coniuge è tenuto ad “aiutarlo” solo se egli non sia economicamente indipendente e nei limiti in cui l’aiuto si renda necessario per sopperire alla carenza dei mezzi conse-guente alla dissoluzione del matrimonio, in applicazione del principio di solidarietà “postconiugale”, che costituisce il fon-damento etico e giuridico dell’attribuzione dell’assegno divor-zile. Pertanto, la valutazione relativa all’adeguatezza dei mezzi economici del richiedente deve essere compiuta con riferimen-to non al tenore dì vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamènte autonomo e dignitoso, quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale” non-ché la recente Cass., 10.05.2017, n. 11504, che nel richiamarsi a questo minoritario risalente indirizzo afferma che il parame-tro dell’adeguatezza dovrebbe individuarsi “nel raggiungimen-to dell’indipendenza economica del richiedente”, senza tuttavia ancorarlo ad alcun parametro effettivo, rendendo quindi del tutto astratto e non calabile in concreto questo metro di giudi-zio che la risalente sentenza del 1990 collegava “ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale”). È tuttavia appena il caso di notare che tali due sentenze per pervenire a queste conclusioni (l’ultima delle quali improntata a principi che non trovano riscontro nei valori costituzionali di solidarietà sociale e tutela della famiglia, anche postconiugale, come giustamente affermato dall’arresto del 1990, richiamati dall’art. 29 della Co-stituzione, che l’art. 5, 6 c., dà modo di valorizzare, facendo riferimento “alla condizione dei coniugi e al contributo perso-nale ed economico dato da ciascuno alla condizione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comu-ne”), devono necessariamente aggiungere all’espressione “mez-zi adeguati la nozione di […] indipendenza economica o auto-sufficienza economica collegata alla sua posizione economico-sociale, che non solo non trova riscontro nel testo normativo, ma al di là dell’apparente semplicità e chiarezza del concetto è in realtà quanto foriera di divergenti interpretazioni quando venga applicata nel merito ai singoli casi concreti. Va infatti notato che il concetto di indipendenza economica è particolar-mente sfuggente e proteiforme non essendo per nulla chiaro a cosa dovrebbe in concreto ancorarsi, vale a dire ad un indice medio delle retribuzioni degli operai e impiegati, o alla pensio-ne sociale o ad un reddito medio rapportato alla classe econo-mico sociale di appartenenza dei coniugi e alle possibilità dell’obbligato (come nel caso affrontato nella recente sentenza ove le parti erano due affermati imprenditori o come nel caso all’esame di questo collegio di due piccoli/medi imprenditori commerciali) con la conseguenza che ove si optasse per questa ultima soluzione il tanto vituperato criterio del tenore di vita in costanza di matrimonio e le ragionevoli aspettative future fatto uscire dalla porta verrebbe fatto rientrare immediatamente dal-la finestra, perché i mezzi adeguati non potrebbero che essere rapportati alla condizione sociale ed economica delle parti in causa e ai loro redditi e quindi al loro tenore dì vita passato e attuale. D’altro canto fra i criteri concorrenti enunziati nelle

premesse del citato art. 5 vi è anche il riferimento alle “condi-zione dei coniugi”, che non può non rimandare al concetto di adeguatezza dei mezzi, facendo vedere come tutti i parametri utilizzati dal legislatore siano in realtà profondamente compe-netrati fra loro e non scindibili in un an e in un quantum come continuano apparentemente a ripetere le pronunzie di legitti-mità, che poi tuttavia in concreto come si è visto – in più occa-sioni se ne discostano arrivando anche ad azzerare l’assegno (cfr. le citate Cass., 7295 del 22/03/2013 e Cass., 6164 del 26/03/2015 che significativamente affermano come “In tema di divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazio-ne della misura dell’assegno previsto dall’art. 5 della legge 1 dicembre 1970. n. 898, ma non anche – salvo nei casi eccezio-nali in cui non si sia realizzata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi * sul riconoscimento dell’assegno. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso volto al riconoscimento dell’assegno di divorzio a seguito dello scioglimento di un ma-trimonio in cui vi erano stati soli dieci giorni di convivenza ed erano trascorsi meno di cento giorni tra il matrimonio e il de-posito del ricorso per separazione). In particolare non si può condividere la teoria accreditata da questo minoritario indiriz-zo che il legislatore non abbia dato una definizione di mezzi adeguati, che sarebbe compito della giurisprudenza colmare, quasi si trattasse di una lacuna dell’ordinamento, attraverso una interpretazione estensiva o analogica (ad esempio paragonan-dola al figlio maggiorenne ma non indipendente), atteso che invece una lettura logico sistematica dell’art. 5 della legge sul divorzio e in particolare dei commi 5 e 9 consente di pervenire alla conclusione che il legislatore abbia inteso parametrare l’as-segno a tutti i criteri indicati dalla norma e quindi anche al te-nore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio o a quello che era ragionevole aspettarsi in futuro, tanto più che tale parametro è esplicitamente e significativamente nominato insieme ad altri nel comma 9° laddove si preveda che il Tribu-nale possa disporre indagini “sui redditi, sul patrimonio e sull’effettivo tenore di vita dei coniugi, quando vi siano delle contestazioni sulla documentazione che il Tribunale deve esa-minare per decidere sulla sussistenza o meno del diritto all’as-segno e alla sua misura. È di tutta evidenza – alla luce di tali considerazioni – come l’intera materia vada riconsiderata, in quanto ad avviso di questo Collegio la distinzione fra adegua-tezza dei mezzi e criteri che attengono alla misura dell’assegno non appare appagante, dovendo invece il testo normativo esse-re letto in maniera congiunta nel senso che l’adeguatezza dei mezzi deve essere valutata insieme ai criteri premessi dal legi-slatore (lettura d’altro canto che pare preferire anche la Corte Costituzionale nel ricordato arresto), onde pervenire ad un equa ponderazione di quello che è lo scioglimento di un prece-dente legame solidaristico, con effetti ex nunc e non ex tunc (ben diversi essendo gli effetti dell’annullamento del vincolo da quelli del suo scioglimento) come sembrerebbe volere accredi-tare l’ultimo mesto giurisprudenziale, pur senza voler arrivare a conseguenze eccessivamente penalizzanti per l’obbligato, con-siderato che spesso la separazione e il divorzio possono portare ad un decremento del tenore di vita delle parti, che va anche considerato nella decisione del giudice, insieme a tutti gli altri parametri. Un principio di autoresponsabilità economica nel giudizio sul an e di solidarietà economica sul quantum debeatur non ha quindi alcun riscontro nel testo normativo e stride d’al-tro canto anche sul piano logico sistematico, non vedendosi

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come tali due opposti principi possano operare disgiuntamente in una prima fase e congiuntamente nella seconda, dato che un assegno che in astratto dovrebbe venir corrisposto in alcuni casi si riduce a zero proprio per la presenza degli altri parametri che il giudice deve considerare. Non è chi non veda quindi come in realtà il giudizio sul an non possa logicamente essere distinto da quello sul quantum, atteso che si tratta di un’unica operazione in cui i due aspetti si compenetrano e servano a trovare un equo contemperamento di tutte le esigenze rappre-sentate dal legislatore nel tormentato art. 5, 5 e 9 comma. D’al-tro canto le considerazioni svolte dall’ultima pronunzia per corroborare la propria tesi non appaiono particolarmente deci-sive e convincenti dove paragonano il concetto di indipenden-za economica del figlio maggiorenne al coniuge divorziato, proprio perché sembrano dimenticate il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge al menàge familiare in-sieme alla condizione dei coniugi e alla durata del matrimonio, che con tutta evidenza nessun riscontro hanno nel caso del fi-glio maggiorenne ma non autosufficiente, che si affaccia alla vita autonoma e deve essere aiutato dai genitori entro determi-nati limiti e laddove cercano di sminuire l’importanza del teno-re di vita dei coniugi, che è testualmente richiamato dall’art 5, 9 c. atteso che il giudizio sull’attendibilità dei documenti non è fine a se stesso (né sì vede come mal potrebbe esserlo) ma è volto a stabilire se spetti o meno un assegno e fa sua misura, per cui l’argomento In esame non appare pertinente ed anzi è un dato testuale difficilmente scalfibile, che smentisce la tesi soste-nuta nella citata pronunzia. Né pare cogliere nel segno la nota-zione che pure si legge circa una tendenza all’autoresponsabili-tà economica anche negli altri paesi avanzati, atteso che in molte legislazioni straniere tale principio è contemperato dalla possibilità di stipulare patti prematrimoniali, che invece il no-stro ordinamento allo stato attuale non contempla. Alla luce dì tali considerazioni pare a questo Collegio preferibile richiamar-si al nettamente maggioritario indirizzo già esaminato che ha avuto conferme in arresti giurisprudenziali anche molto recen-ti e quasi coevi alla citata ultima sentenza (cfr. Cass., n. 19339 del 29/09/2016 “L’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando l’adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita prece-dente. A tal fine, il giudice del merito può tenere conto della situazione reddituale e patrimoniale della famiglia al momento della cessazione della convivenza quale elemento induttivo da cui desumere, in via presuntiva, il precedente tenore di vita e può in particolare, in mancanza di prova da parte del richie-dente, fare riferimento quale parametro dì valutazione del per il pregresso stile di vita alla documentazione attestante i redditi dell’onerato). Nel caso in esame sussistono, pertanto, i presup-posti per la corresponsione di un assegno di divorzio, tenuto conto non solo del tenore di vita considerato in sede di separa-zione, ma anche della condizione dei coniugi, della durata del matrimonio, dell’apporto personale ed economico dato da cia-scuno alla conduzione familiare, dei redditi rispettivamente percepiti dalle parti, dei cespiti degli stessi posseduti e in parti-colare dal ***che oltre che essere comproprietario al 50% dell’immobile coniugale, risulta essere socio al 100% della so-cietà che è proprietaria di una villa di particolare pregio sita nelle vicinanze del Golf Club del valore stimato di circa 1.000.000,00, oltre ad aver dichiarato redditi derivanti dalla sua attività di promotore finanziario nell’ultimo triennio rispet-

tivamente di 194.957,00 (20.13), € 235.000,00 (2014) e di € 171.565,00 (2015) a fronte di una situazione di minor capacità reddituale della convenuta. La stessa infatti – titolare di una cartoleria nel centro di ** – nell’ultimo triennio ha dichiarato redditi di € 102.489,00 nel 2013, € 80.857,00 nel 2014 e di € 67.644,00 nel 2015 ed è comproprietaria della casa familiare dove vive, ma risulta essere parzialmente invalida sotto il profi-lo della capacità lavorativa nella percentuale del 70% (v. docu-mentazione relativa agli esiti della Commissione Medica di data 9.07.2015 in atti), circostanza questa che presumibilmente po-trà incidere sulla sua capacità di produrre reddito. Va al riguar-do notato che – in sede di separazione consensuale nel 2010 – le parti avevano concordato un assegno dì mantenimento di € 1.000,00 a fronte di una situazione reddituale in termini di rapporti percentuali sostanzialmente immutata, rispetto a quel-la attuale, atteso che *** aveva dichiarato redditi per € 103.000,00 e la *** per € 28.000,00. Nel caso in esame assu-me pertanto rilevanza ai fini della decisione sui presupposti dell’assegno divorzile anche l’assetto economico ed il motivo alla separazione, che secondo la richiamata giurisprudenza di legittimità può rappresentare un valido indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione relativi al tenore di vita goduto durante il matrimo-nio e alle condizioni economiche dai coniugi. Alla stregua di tali considerazioni il collegio ritiene equa la fissazione di un assegno divorzile di € 1.000,00, a favore della ** da versarsi entro i primi 5 gg. di ogni mese e da rivalutarsi alla fine di ogni anno solare secondo gli indici dell’Istat. (omissis)

trib. roma, 6 giugno 2017

Il Tribunale di Roma ha respinto la domanda di assegno divorzile presentata dalla ricorrente tenuto conto del recente orientamento espresso dalla Cassazione (Cass. n. 11504/2017; v. A. SIMEONE, L’assegno di divorzio secondo la Cassazione: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, in ilFamiliarista.it) e, soprattutto, del man-cato assolvimento da parte della stessa dell’onere probatorio circa la propria non indipendenza economica. Ripercorrendo la senten-za della Cassazione n. 11504/2017, infatti, il Tribunale ricorda che il parametro al quale rapportare il giudizio di adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno e la possibilità/impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive va individuato nel raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente stesso. Qualora si accerti che quest’ultimo è economicamente in-dipendente, o è in grado di esserlo, non può essergli riconosciuto il relativo diritto in virtù del principio di autoresponsabilità eco-nomica. Quanto al regime probatorio si ribadisce che è onere del richiedente l’assegno allegare, dedurre e dimostrare di non avere mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni oggettive.

(Omissis) Ragioni di fatto e di diritto della decisione. Con ri-corso depositato il 20.11.2013 Su. Bo. ha chiesto la pronuncia della separazione dal coniuge, St. St., con esclusivo addebito a quest’ultimo. Ha esposto che dal matrimonio sono nati due figli rispettivamente nel 2001 (So.) e nel 2005 (Si.) e che, dopo la nascita di quest’ultimo, i rapporti tra i coniugi si sono gra-vemente deteriorati, tanto da portarli a vivere da separati in casa: in particolare, l’11/10/2013 il marito l’avrebbe ingiuria-ta ed aggredita con schiaffi, calci e pugni, ritenendo che ella avesse una relazione extraconiugale. In seguito a tale episodio, la ricorrente si è trasferita con i figli presso i propri genitori,

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pur desiderando rientrare nella casa familiare che sarebbe at-tualmente occupata dal marito e dalla di lui madre (Te. Ma.).Il resistente, nel domandare a sua volta la separazione con addebito alla moglie, ha opposto che la crisi sarebbe stata de-terminata unicamente dal comportamento della moglie, che avrebbe violato il dovere di fedeltà coniugale. Ha ricondotto i fatti all’ottobre 2013, asserendo che la stessa Bo. avrebbe ammesso la circostanza in data 11/10/2013. In tale occasione si sarebbe verificata una furiosa lite durante la quale egli ha escluso in ogni caso di avere aggredito fisicamente la moglie.Emessi i provvedimenti provvisori è stata disposto il passag-gio della causa in fase istruttoria; infine le parti hanno rasse-gnato le conclusioni trascritte a verbale del 15/11/2016.Deve, preliminarmente rilevarsi l’assoluta inutilizzabilità dei documenti irritualmente prodotti dal resistente in uno con la comparsa di replica depositata il 06/02/2017.Nelle more, è stata pronunciata sentenza di separazione perso-nale, e restano perciò da dirimere le questioni che attengono alla domanda di addebito, alla richiesta di mantenimento in favore della moglie, all’affidamento e mantenimento dei figli.Quanto all’addebito, va considerato il compromesso quadro sentimentale che ha accompagnato la crisi di coppia: lo stesso tradimento (confermato dalle prove testimoniali raccolte ed indirettamente dalla stessa ricorrente) o la forte lite seguita alla sua scoperta (documentata dal referto medico e dall’in-formativa del 15/01/2014) non hanno costituito la vera causa efficiente del venir meno del sodalizio coniugale.Al contrario, l’insoddisfazione e la tensione ripetutamente mostrata da entrambi sin dopo la nascita dei figli e la stessa re-lazione extra-coniugale della moglie (pur non accompagnata da un clamore diffamatorio) dimostrano sostanzialmente che l’affectio maritalis che li legava si è ineluttabilmente sciolta nei sentimenti di entrambi; al contempo, il reciproco disinteresse che hanno via via manifestato nella vita domestica dimostra che, inevitabilmente ma parallelamente, i due hanno scelto di rinunciare al legame costituito con l’altro.Queste considerazioni trovano solido appiglio nella relazione stilata dal consulente tecnico, ove quest’ultimo evidenzia che “si evince una comunicazione molto carente tra i coniugi non solo in corso di separazione, ma anche di matrimonio ed una modalità di relazione per cui i problemi anziché essere af-frontati vengono sottaciuti a lungo salvo ‘esplodere’ in modo violento” (CTU, p. 17) e che “dalla descrizione della vita fa-miliare emerge il quadro di un allontanamento progressivo e sempre maggiore in una coppia che praticamente convive da anni in un clima litigioso senza mai dialogare” (CTU, p. 27).Simili considerazioni non consentono di addebitare ad uno dei coniugi le ragioni della crisi del rapporto.La domanda di assegnazione della casa familiare è, allo stato, superata dall’attuale situazione di fatto: infatti, la moglie ora ri-siede, insieme ai figli, con il nuovo compagno in una abitazio-ne in locazione, che soddisfa le esigenze abitative dei minori. L’originaria casa coniugale era di proprietà della madre del sig. Stigliano, che l’aveva concessa in comodato gratuito alla fami-glia del figlio. In occasione della crisi coniugale e dell’allonta-namento di moglie e figli, l’immobile è stato repentinamente concesso in locazione a terzi, operazione già stigmatizzata dal presidente ff in fase presidenziale, che ebbe a rilevare come la rapida riconsegna dell’immobile alla madre del marito, e la conseguente immediata indisponibilità dell’appartamento,

opportunamente realizzata prima che intervenisse l’ordinan-za presidenziale in sede di separazione, di fatto aveva finito per frustrare il diritto dei minori a mantenere una continuità abitativa e fare rientro nell’immobile unitamente al genitore designato quale collocatario prevalente. In termini più netti, si era trattato di operazione familiare evidentemente volta ad eludere la presumibile assegnazione dell’abitazione alla mo-glie. Come anticipato, la questione è tuttavia a questo punto definitivamente superata giacché Su. Bo. si è stabilita in altra abitazione unitamente al compagno ed ai figli.Quanto alla posizione lavorativa dei coniugi, risulta che en-trambi sono dipendenti della Telecom S.p.a. con qualifica di impiegati; il marito è intestatario di 3 box in Roma (che sareb-bero stati acquistati con risorse della madre di lui), che non paiono allo stato produttivi di reddito.In particolare, il quadro economico può essere brevemente de-lineato come segue: i redditi del marito, cui possono aggiun-gersi talune rendite immobiliari (percepite o percipiende), su-perano in certa misura la capacità reddituale della moglie, che attualmente subisce una decurtazione dello stipendio (pari a circa E 300) in conseguenza della propria scelta di lavoro part-time. In particolare, dall’esame dei CUD (e delle buste paga) depositati dalle parti emerge con evidenza che, a fronte di un reddito mensile netto della Sig.ra Bo. di circa E 1.400, il Sig. St. percepisce uno stipendio mensile di circa E 1.800,00.Tale divario reddituale non è sufficiente a fondare la domanda di mantenimento avanzata dalla Bo.; sia in quanto non concreta una rilevante sperequazione di risorse, sia – soprattutto – in quanto è emerso dalle dichiarazioni della ricorrente stessa (v. udienza del 15/12/2015) – che quest’ultima attualmente con-vive con un nuovo compagno (Sig. Ma. Mi.), condividendo stabilmente con lui la vita e le spese di menage familiare: ebbe-ne, in primo luogo la stabile convivenza more uxorio consente presumibilmente, sul piano delle economie di scala che una convivenza implica, un miglioramento dello standard di vita; ma più ancora, va richiamato il principio secondo cui la fami-glia di fatto rescinde ogni connessione con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimo-niale” (Cass. n. 6855/2015; v. anche Cass. n. 25845/2013 e, più recentemente, Cass. n. 19345/2016). Simile conclusione, sia pure dettata in tema di assegno divorzile, può trasporsi tal quale in materia di assegno separativo, ove la legge afferma (art. 156 c.c., con formula che si accosta a quella contenuta nell’art. 5, c. 6 della l. n. 898/1970 in proposito dell’assegno divorzile) il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”.Nessun assegno separativo, pertanto, è disposto in favore del-la moglie. (Omissis).- Compensa tra le parti le spese di lite, e pone a carico di en-trambi in pari quota le spese di CTUCosì deciso in Roma nella camera di consiglio del Tribunale, in data 09/05/2017

tribunale bologna, 9 agosto 2017

La natura assistenziale dell’assegno di divorzio può trovare fon-damento costituzionale negli art. 2 l. 898/70, solo in favore dell’ex coniuge economicamente debole in forza di una solidarietà post coniugale che postula l’estinzione definitiva del rapporto matrimo-

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niale. La sussistenza o meno dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile va quindi accertata nei confronti dell’ex co-niuge richiedente come persona singola e non nel tenore di vita condiviso in costanza di matrimonio.

MOTIVAZIONE (Omissis) Lo scioglimento del matrimonio contratto dalle parti veniva già pronunziato con sentenza non definitiva n. 890 del 17/3/15.Resta quindi oggi da decidere sulle sole questioni economiche relative alla domanda di un assegno divorzile di E 1.200 pro-posta dalla resistente, oltre che il riconoscimento del diritto al 40% della quota del TFR del merito corrispondenti agli anni di durata del matrimonio, a fronte della richiesta del ricorren-te di non riconoscerne i presupposti.Va preliminarmente accolta l’eccezione di tardività della do-manda relativa alla quota di TFR sollevata dal ricorrente. La relativa domanda è infatti stata introdotta dalla convenuta per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni e l’al-largamento del thema decidendum non è stato accettato dalla controparte, con tempestiva dichiarazione alla udienza.Poiché nell’ordinanza presidenziale erano stati fissati i termini alla resistente per la costituzione in giudizio ai sensi degli art. 166 e 167 c.p.c. e che in detti termini la relativa domanda non è stata proposta, essa appare tardivamente proposta solo in sede di p.c. e va conseguentemente dichiarata inammissibile.Quanto al merito della controversia, va chiarito in fatto che X (1953) e Y (1952) si sono sposati il 16/10/1977 e dal loro matrimonio sono nate due figlie entrambe maggiorenni ed autosufficienti. Si sono separati giudizialmente, come da sen-tenza n. 3704/13 del Tribunale di Bologna, che prevedevano a carico del marito un contributo mensile al mantenimento della moglie di E 230 oltre alla rivalutazione.In sede presidenziale di divorzio venivano confermate le con-dizioni della separazione.L’istruttoria esperita nel presente giudizio è stata documen-tale, in base agli atti depositati dalle parti, e su tale base il Tribunale osserva quanto segue.La regola di diritto per decidere sulla domanda oggetto del presente giudizio è data dall’art. 6 co V della l. 898/70, oggetto di recente rilettura interpretativa da parte della suprema corte con la sentenza n. 11504/17 che ha parzialmente ridefinito il presupposto della inadeguatezza dei mezzi di un coniuge, a cui è condizionato l’obbligo dell’altro di corrispondergli un assegno divorzile. Mentre precedentemente la commisurazio-ne della inadeguatezza faceva leva sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, la più recente pronuncia parame-tra l’adeguatezza sulla sussistenza o meno della indipendenza economica del coniuge richiedente l’assegno. Con condivisibi-le e necessaria valorizzazione dei mutamenti sociali intercor-si dalla pronuncia delle SS.UU. 11490/90, che teneva conto dell’esistenza all’epoca di modelli di matrimonio ancorati ad una concezione patrimonialistica, si è evidenziato che oggi la natura assistenziale dell’assegno di divorzio può trovare fon-damento costituzionale negli artt. 2 e 23 solo in favore dell’ex coniuge economicamente debole in forza di una solidarietà post coniugale che postula l’estinzione definitiva del rapporto matrimoniale. La sussistenza o meno dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile va quindi accertata nei confronti dell’ex coniuge richiedente come persona singola e non nel tenore di vita condiviso in costanza di matrimonio.

Nella sentenza citata vengono in via generale individuati quattro indici significativi della sussistenza o meno della indi-pendenza economica – redditi, cespiti, possibilità di lavoro e disponibilità della abitazione – salvo altri che possano essere rilevanti nei singoli casi.Quanto al rilievo che assume l’indice del reddito, esso è sta-to oggetto di plurime pronunce della Suprema Corte sull’art. 337 septies cc in relazione ai figli maggiorenni, a cui la sen-tenza citata n. 11504/17 fa espresso riferimento. In partico-lare l’indipendenza economica è stata correlata ad un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato (Cass 14123-11). Si è ritenu-to adeguato a garantire l’indipendenza economica “un con-tratto di specializzazione pluriennale in chirurgia vascolare […] con prestazioni analoghe a quelle del personale dipen-dente, con obbligo per lo Stato di adeguata remunerazione (Cass 18974-13)” mentre al contrario la temporaneità del dottorato di ricerca e la modestia dell’introito conseguito in rapporto alle crescenti necessità della figlia non si è ritenuta sufficiente (Cass. 2171/12). L’età del soggetto è stata ritenuta un fattore rilevante incidendo sull’onere della prova gravan-te sull’obbligato nella forma di una crescente incidenza del ricorso alla prova per presunzioni e alla valutazione critica (Cass. 12952/16). La giurisprudenza di legittimità ha quin-di sempre escluso ogni automatismo nel valutare il reddito a cui poteva essere associata l’indipendenza economica del figlio, ancorando piuttosto la valutazione alle caratteristiche del nucleo familiare di provenienza ed al compimento del percorso formativo responsabilmente svolto dal figlio in base alle proprie attitudini. Di particolare rilevanza il criterio della autoresponsabilità, per il quale non è tutelabile la posizione di chi si sottragga volontariamente allo svolgimento di adeguata attività lavorativa (Cass 1858/16).A maggior ragione va escluso ogni automatismo nella determi-nazione del “mezzi adeguati” di cui all’art. 5 l. 898/70 poiché espressamente la lettera della norma prevede che essi vadano valutati tenendo conto di tutte gli elementi di cui alla prima parte del VI co dell’art. 5. Se quindi appare frutto di una con-cezione superata del matrimonio collegare i “mezzi adeguati” al tenore di vita in costanza del matrimonio, essi vanno invece valutati nei confronti della persona singola, ma “tenuto conto” dei parametri di cui alla prima parte del VI co dell’art. 5.Pur con le relative differenze connesse alla diversa posizione del coniuge e del figlio maggiorenne, appaiono rilevanti anche nel caso oggi in esame i criteri della autoresponsabilità e della incidenza dell’età sull’onere della prova elaborati dalla giuri-sprudenza di legittimità con riferimento al figlio maggiorenne.In piena corrispondenza del criterio dell’autoresponsabilità, la resistente ha sempre lavorato nell’arco della sua vita ma-trimoniale, contribuendo in proprio anche economicamente alla vita della famiglia. Da questa assunzione di responsabi-lità anche economiche nei confronti della famiglia non pos-sono farsi conseguire effetti deleteri – ed irragionevolmente iniqui anche ai sensi dell’art. 3 della Costituzione – in sede di ricostruzione degli obblighi connessi alla solidarietà post matrimoniale come richiamati dalla Cass. 11504/17. Vanno infatti comparativamente valutate due situazioni parallele a confronto. Da un lato una moglie che si è occupata solo dell’accudimento della famiglia, delegando interamente al marito le responsabilità di procacciare redditi adeguati per

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il nucleo, e che quindi in sede divorzile graverebbe sull’ex coniuge per il proprio sostentamento non avendo autonoma fonte di reddito. Dall’altro lato una moglie che oltre all’accu-dimento familiare ha anche procurato reddito per la famiglia con il proprio lavoro salariato, che avendo un reddito proprio in sede divorzile non potrebbe accedere alla solidarietà post coniugale costituzionalmente imposta dagli artt. 2 e 23 del-la Carta. Ad evitare che a condotte di maggiore autorespon-sabilità conseguano esiti di minor tutela, non può ritenersi che in assoluto il percepimento di una pensione sia di per sé sufficiente ad integrare quel requisito della indipendenza economica che fa venir meno gli obblighi di assistenza post matrimoniali, dovendosi invece valutare in concreto l’entità della pensione, le condizioni di salute e complessivamente di vita della richiedente l’assegno.Nella fattispecie qui in esame è di particolare rilievo l’indice della età della resistente – 65 anni – in relazione alla durata del matrimonio di 37 anni: lei e il marito si sono infatti spo-sati all’età rispettivamente di 25 e 24 anni ed hanno vissuto la più larga parte della loro vita uniti in matrimonio. In questo particolare contesto va quindi calata la necessità di valutare la inadeguatezza dei mezzi della richiedente a cui è collegata la necessaria solidarietà post matrimoniale: non essendovi alcuna base normativa per la determinazione automatica di un reddito a cui collegare l’indipendenza economica del coniuge divor-ziato, va valutato in concreto se la Y – come persona singola – abbia o meno mezzi propri adeguati alle proprie necessità di vita. Se quindi l’indipendenza economica di un figlio va correlata al suo diritto a completare la formazione desiderata nell’ambito delle risorse familiari disponibili, l’indipendenza di un ex coniuge va correlata alle necessità connesse alla sua età, condizioni di salute e possibilità o meno di procurarsi mezzi “adeguati” – e non “sufficienti” – per condurre la propria vita.La capacità reddituale della Y è adeguatamente descritta dalla documentazione fiscale depositata, trattandosi di lavoratrice dipendente, ora pensionata, i cui redditi non sfuggono all’ac-certamento fiscale. Dalla documentazione fiscale in atti depo-sitati emerge quanto segue. I redditi annui da lavoro della re-sistente, impiagata INPS, sono stati E 29.000 circa nel 2013, E 28.000 nel 2014, E 29.000 circa nel 2015. Dal modello 730 relativo all’anno di imposta 2015 risulta che ha sostenuto spese mediche per oltre E 5.000 e che ha acquisito la quota del marito della casa di abitazione – esito di una transazio-ne nell’ambito di una separata causa civile da lei instaurata nei confronti dell’odierno ricorrente. Non ha altre proprietà immobiliari. Dall’inizio 2016 è andata in pensione, con la re-lativa contrazione dei redditi pari a E 24.500 circa, corrispon-denti a un netto mensile di circa E 1.400.L’età della resistente, oggi sessantacinquenne, consente di ri-tenere presuntivamente provato un progressivo scadimento delle sue condizioni di vita, con corrispondente maggiore ne-cessità di cure mediche e di assistenza alla persona. Vi sono quindi ragioni individuali specifiche dovute alla contingenza personale legata all’età per la mancata autosufficienza econo-mica della Y (Cass. 12952/16).Si tratta quindi di una donna anziana, proprietaria della pro-pria casa di abitazione, che non ha altri redditi né proprietà oltre il rateo di pensione di circa E 1.400 mensili, con con-sistenti spese sanitarie da sostenere. A fronte del normale in-cremento delle necessità di assistenza e cura collegate all’età,

nella fattispecie appare accertata la impossibilità di Y di con-seguire mezzi adeguati per le sue necessità di vita ai sensi dell’art. 5 co. VI l. 898/70.Dopo aver accertato secondo questi criteri la sussistenza del diritto all’assegno divorzile in capo al coniuge più debole, la commisurazione dell’assegno andrà poi fatta in relazione agli elementi specificamente indicati nell’art. 5 co. VI: condizioni dei coniugi, ragione della decisione, contributo di ciascuno alla famiglia e redditi rispettivi anche in rapporto alla durata del matrimonio.Le condizioni economiche della Y sono state sopra descritte.Quelle di X sono descritte nella documentazione fiscale da lui depositata. I redditi imponibili del ricorrente, da lavoro quale dipendente INPS e quindi regolarmente descritti nella documentazione fiscale depositata, sono stati E 54.300 circa nell’anno di imposta 2014, E 52.600 circa nel 2015, E 53.500 circa nel 2016. Nel 2014 e nel 2015 ha sostenuto spese sani-tarie per E 11.700 circa. Dal 2015 non ha proprietà immobi-liari, avendo ceduto alla moglie la sua metà della abitazione ex coniugale. Il ricorrente vive in locazione, con un canone di E 740 mensili (doc 25 allegato al foglio di p.c.).Il contributo dato dai coniugi alla famiglia va valutato in rela-zione alla durata del matrimonio, di 37 anni, e corrisponde alle attività diversamente svolte da entrambi. I redditi del marito sono sempre stati più consistenti di quelli della moglie in cor-rispondenza della sua attività professionale meglio remunerata.La durata del matrimonio di 37 anni è di assoluto rilievo nel ritenere importanti gli obblighi nascenti dalla solidarietà post coniugale imposta dall’art. 2 Costituzione.Va quindi determinato l’assegno divorzile in favore di Ca. Ga. nella misura di E 230 mensili, a far data dalla domanda, con rivalutazione ISTAT annuale.La parziale reciproca soccombenza delle parti porta ad una integrale compensazione delle spese di lite. (omissis)

tribunale roma, 21 luglio 2017

Ripercorrendo la sentenza della Cassazione n. 11504/2017, il Tri-bunale ricorda che il parametro al quale rapportare il giudizio di adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno e la possibilità/impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive va individuato nel raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente stesso. Qualora si accerti che quest’ultimo è economi-camente indipendente, o è in grado di esserlo, non può essergli riconosciuto il relativo diritto in virtù del principio di autorespon-sabilità economica. Quanto al regime probatorio si ribadisce che è onere del richiedente l’assegno allegare, dedurre e dimostrare di non avere mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni oggettive.

MOTIVAZIONE: Tra le parti del presente giudizio è già in-tervenuta sentenza non definitiva di scioglimento del vincolo matrimoniale; la causa perviene dunque oggi alla decisione del collegio sull’unico tema controverso costituito dalla do-manda formulata dalla resistente di vedersi attribuire un consistente assegno divorzile in ragione del notevole divario reddituale dal coniuge, neurochirurgo di fama internazionale.La richiesta è avversata dal ricorrente, il quale sostiene da un lato che la moglie goda di ampia autonomia, in quanto percettrice di adeguati redditi (lavora presso una organizza-zione internazionale con contratti a termine), dall’altro che

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le proprie risorse si sarebbero sensibilmente ridimensionate rispetto al tempo della separazione, sia in ragione della con-trazione della sua attività lavorativa, sia della nascita di un figlio avvenuta nel 2012, sia della ingente esposizione matu-rata nei confronti del fisco (oltre 500mila euro), in corso di ripianamento attraverso una onerosa rateazione.È noto che nella materia, sino a poco tempo fa oggetto di let-ture giurisprudenziali pressoché univoche, è intervenuto un recentissimo arresto della Corte di Cassazione, la cui sezione prima, con la sentenza 10/05/2017 n. 11504, ha ampiamente rimesso in discussione quello che da taluni era definito “il dogma” della conservazione del tenore di vita matrimoniale.Dato per presupposto che il giudizio sulla spettanza dell’as-segno doveva essere orientato dal c.d. criterio assistenziale, il significato ed il contenuto unanimemente attribuito a tale espressione era quello di legittimare l’imposizione di un con-tributo al coniuge più abbiente laddove i mezzi dell’altro si rivelassero insufficienti a mantenere un tenore di vita compa-rabile con quello tenuto in costanza di matrimonio; l’assegno, in tale accezione, veniva dunque a riparare e riequilibrare “l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche”.Nella innovativa visione della Cassazione, al contrario, oc-corre in via preliminare accertare (prescindendo dunque da qualsiasi comparazione con le condizioni dell’altro coniuge e con il pregresso tenore di vita) se il coniuge richiedente versi o meno in una condizione di obiettiva indipendenza econo-mica, desunta – salvi casi specifici – da indicatori quali il pos-sesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), le capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), la stabile disponibilità di una casa di abitazione.Una volta escluso che il coniuge, all’esito del giudizio di cui sopra, operato sulla base del principio di autoresponsabi-lità economica, si trovi (in atto o in potenza) in una simile condizione di indipendenza, ed abbia quindi in linea astrat-ta diritto a percepire l’assegno divorzile, occorre fare riferi-mento, sulla base del concorrente principio della solidarietà postconiugale, ai criteri di commisurazione indicati dall’art. 5 l div. (“condizioni dei coniugi, […] ragioni della decisione, […] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, […] reddito di entrambi […]”), e “valutare” “tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio” al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno di divorzio.La sentenza rimarca dunque la distanza tra i doveri di assi-stenza che presiedono il rapporto di coniugio dai più attenua-ti doveri di solidarietà postconiugale.Ora, ad una prima lettura, la situazione dei coniugi Yyyy-Xxxx sembra rientrare nel novero dei casi che – alla luce dei criteri er-meneutici proposti dalla Cassazione – dovrebbero condurre alla reiezione della domanda di assegno divorzile; la resistente infatti lavora per un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite […] con contratti a termine (sin qui costantemente rinnovati) e redditi netti annui che si attestano mediamente intorno ai 35.000 euro; nessun accostamento è possibile pertanto tra la persona di Xxxx

e l’immagine di un coniuge in condizioni di necessità o bisogno. E tuttavia a parere del collegio è opportuno integrare i principi pur condivisibili da cui muove la sentenza in commento (in par-ticolare la resistenza a soluzioni che determinano nei fatti una sorta di rendita di posizione, inconciliabili con la stessa evolu-zione sociale del matrimonio), con ulteriori considerazioni che consentano un effettivo adattamento dell’istituto dell’assegno divorzile alle peculiarità delle diverse realtà familiari.La ricostruzione della storia della coppia, come emerge dagli atti e dalle testimonianze, restituisce l’immagine di una donna che consapevolmente ha lasciato per diversi anni il proprio la-voro presso … (ove era inquadrata a tempo indeterminato) per seguire il marito in Francia dove egli svolgeva la propria attività a fianco dei suoi maestri (illustri neurochirurghi); tutti i testi-moni hanno riferito dell’attenzione che la Xxxx ha manifestato verso il coniuge, intessendo una fitta rete di relazioni sociali che hanno in qualche modo agevolato la brillantissima carriera di lui; si evince poi che solo una volta ristabilita prevalente re-sidenza a Roma la donna abbia ripreso (a far data dal 2000) la propria attività presso …, ma senza essere più inquadrata sta-bilmente, bensì unicamente con contratti a tempo determinato.Altra vicenda che appare significativa nella ricostruzione della vita familiare è quella che attiene alla casa familiare (prestigio-so appartamento in zona centrale della capitale), acquistata dal marito e da questi intestata alla moglie in concomitanza con il matrimonio (circostanza non contestata) e quindi dalla moglie stessa conferita in una società immobiliare (… srl) costituita nel 2005 (circa un anno prima dell’avvio della separazione) di cui la maggioranza delle quote era detenuta dalla madre di Yyyy, che ne era anche amministratrice; poco dopo la Xxxx aveva ceduto le proprie quote della … ad una ulteriore società (inte-stazione cui ella aveva attribuito natura fiduciaria e che le era stata suggerita per conseguire vantaggi fiscali); di tali passaggi è dato conto nella sentenza che nel maggio 2013 ha accolto la domanda di rilascio dell’immobile, formulata dalla … in danno della Xxxx, la quale dunque, in seguito ad una serie di opera-zioni immobiliari da cui non ha palesemente tratto alcun tipo di vantaggio, si è trovata improvvisamente priva dell’abitazione di cui sino ad alcuni anni prima era titolare esclusiva.Poste queste premesse “storiche”, va altresì considerato che i redditi fiscalmente emersi dell’odierno ricorrente si attestano intorno ai 26.000,00 euro netti mensili, ma che il susseguirsi di accertamenti fiscali nei suoi confronti, qui ostentato al fine di rappresentare una condizione di minore forza economica, evi-denzia in realtà la produzione di ben maggiori introiti; il tenore di vita che traspare dalle testimonianze e dalla documentazione prodotta è comunque elevatissimo. Ora è vero che la rilevan-za ermeneutica dello stile di vita pregresso, come si è detto, è destinata ad essere fortemente se non del tutto ridimensionata nella valutazione del diritto all’assegno; resta però il fatto che nel considerare le esigenze minime che possono e devono esse-re salvaguardate in virtù della solidarietà postconiugale, occor-re avere riguardo anche alla posizione sociale dell’avente diritto (elemento cui fanno richiamo persino le disposizioni che rego-lano l’obbligo agli alimenti – v. art. 438 c.c.).Nel caso dei coniugi Xxxx-Yyyy, in particolare, risulta inne-gabile che la moglie – lungi dall’essersi adagiata sul tenore di vita offertole dal marito – si sia adoperata, non appena ritro-vata una stabilità residenziale, per mettere a frutto per quanto possibile le competenze professionali in passato acquisite, ma

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che abbia comunque scontato in qualche modo gli anni in cui, per seguire le esigenze di carriera del marito, si era trova-ta nella necessità di lasciare il proprio posto di lavoro: se non altro in termini di minore sicurezza della attuale posizione lavorativa, che si articola oggi in una serie di contratti a tempo determinato anziché come in precedenza in uno stabile in-quadramento. Tale minore certezza riveste tanto maggiore ri-lievo in quanto ad oggi ella si trova nella necessità di prendere in locazione un immobile, essendo del tutto prova di beni patrimoniali, a seguito del conferimento della sua abitazione nella società amministrata dalla madre del marito, nella quale la Xxxx non ha conservato alcuna partecipazione.Non si tratta dunque di intervenire in funzione equilibratri-ce di una condizione personale indubbiamente disallineata, né di ricondurre il tenore di vita dell’ex moglie agli standards di cui aveva in precedenza beneficiato, quanto di evitare che ella – ad onta del contributo obiettivamente fornito al me-nage coniugale (se non altro col rendersi disponibile ad una vita itinerante in funzione degli interessi professionali del co-niuge) possa trovarsi oggi – ad esempio – nella difficoltà di mantenere una soluzione abitativa adeguata al proprio livello professionale e sociale.In tale contesto, pare al collegio che (ferme per il passato le misure adottate in via provvisoria) l’attribuzione di un asse-gno divorzile di € 1.600,00 mensili, sia soluzione adeguata ad assicurare un giusto assetto post-matrimoniale, sì da garantire alla moglie una prospettiva di stabilità abitativa nonostante la mancanza di beni patrimoniali, e sotto questo profilo liberar-la da una potenziale condizione di incertezza legata alla non prevedibilità del suo futuro lavorativo. Tale soluzione, pur nel rispetto delle linee guida tracciate dal giudice di legittimità (posto che ben altra commisurazione si sarebbe avuta nel ten-tativo di equilibrare le due economie), consente dunque di adeguarne l’applicazione alla particolarità del caso concreto.Le spese di lite vengono compensate in presenza di margini di soccombenza reciproca. p.q.m. Il Tribunale, definitivamen-te pronunciando sulle condizioni del divorzio tra i coniugi Fermi per il passato i provvedimenti vigenti, a far data dal mese successivo alla presente pronuncia pone a carico del ri-corrente YyyyYyyy l’obbligo di corrispondere a XxxxXxxx un assegno divorzile di € 1.600,00 mensili, da corrispondere al domicilio dell’avente diritto entro il giorno 5 di ogni mese, soggetto a rivalutazione Istat.

corte d’Appello milano 16 novembre 2017 n. 4793

Richiamando le sentenze Cass. civ., 10 maggio 2017, n. 11504 e Cass. civ., 22 giugno 2017, n. 15481, intervenute nelle more del giudizio, i Giudici sottolineano il mutato orientamento in tema di individuazione dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile. Secondo la Suprema Corte, il diritto all’assegno divorzi-le deve essere accertato con un procedimento bifasico “una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’autore-sponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali “persone sin-gole” e il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento o meno del diritto all’assegno divorzile fat-to valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardan-te il quantum debeatur improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole”.(omissis)

Fatto SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE1. Con ricorso depositato il 22.1.2016 Si. Be. ha proposto appello avverso la sentenza n. 1842 emessa il 23.6.2015 dal Tribunale di Monza, che ha dichiarato il diritto di Mi. Ba. a conseguire, a titolo di assegno divorzile, la somma mensile di Euro 1.400.000,00 a far tempo dalla notifica del ricorso intro-duttivo del giudizio di scioglimento del matrimonio (maggio 2013), da versarsi entro il giorno 5 di ogni mese a mezzo bonifico bancario e a valuta fissa, assegno rivalutabile annual-mente secondo gli indici ISTAT.Nell’ambito del giudizio di scioglimento del matrimonio, il Tribunale di Monza aveva prima emesso sentenza non definiti-va, depositata il 17.2.2014, con cui aveva dichiarato lo sciogli-mento del matrimonio civile contratto in Milano il 15.12.1990 tra Si. Be. e Mi. Ba.L’appellante Be. ritiene anzitutto la insussistenza dei requisiti per la costituzione dell’obbligazione di pagamento dell’assegno divorzile e censura la sentenza impugnata “nella parte in cui ha acriticamente assunto il tenore di vita, quale termine di compa-razione ex art. 5 legge n. 898 del 1970 per la valutazione di ade-guatezza delle sostanze della Signora Ba… criterio, come noto, assente dalla norma in parola ma interpolato da una costante in-terpretazione giurisprudenziale successiva alla pronuncia a Se-zioni Unite della Suprema Corte n. 11490/1990”. Osserva quin-di che il riferimento al parametro del “tenore di vita” costituisce l’interpretazione normativa della “volontà di un Legislatore non solo socialmente, ma anche costituzionalmente superato”.In sintesi, l’appellante ha esposto quanto segue:- la normativa nazionale va interpretata in senso conforme all’indirizzo comunitario e in modo da garantire la efficacia delle norme dell’Unione; in materia di divorzio e manteni-mento tra ex coniugi la Commissione Europea ha espresso degli indirizzi normativi al dichiarato fine di contribuire alla armonizzazione del diritto della famiglia in Europa e di facili-tare la libera circolazione delle persone in Europa; in partico-lare si richiede che la materia del mantenimento tra ex coniu-gi sia plasmata attorno ai principi di autosufficienza, stato di bisogno e temporaneità1.- Va adottata una interpretazione dell’art. 5 comma 6 l. 898/1970 conforme ai predetti principi, con la conseguenza che deve essere escluso il diritto della signora Ba. al percepi-mento dell’assegno divorzile, valutati i mezzi della medesima che vanno rapportati al parametro dell’autosufficienza, ovve-ro al parametro costituzionale della sufficienza per una esi-stenza libera e dignitosa ovvero al diverso parametro ritenu-to rispondente all’interpretazione dell’odierno Legislatore ai sensi dell’art. 12 Prel., diversamente dovendosi promuovere questione di legittimità costituzionale della norma nella parte in cui, per effetto del diritto vivente, dispone che l’adeguatez-za dei mezzi del richiedente l’assegno divorzile sia parametra-ta al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.- La sentenza del Tribunale di Monza impugnata è erronea nella parte in cui ha costituito l’obbligazione di mantenimen-to ritenendo genericamente inadeguati i mezzi della signora Ba., riconosciuta titolare dei soli proventi della società immo-biliare (omissis…), che sarebbero appena sufficienti a fron-teggiare il prelievo fiscale.Le disponibilità della appellata sono in realtà enormemente maggiori, considerato solo chela stessa, nei 63 mesi antece-

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denti, ha percepito come assegno di mantenimento oltre 91,5 milioni di Euro, somma lorda, con disponibilità al netto del prelievo fiscale di circa 50 milioni di Euro, ovvero 26.000,00 Euro al giorno percepiti negli ultimi cinque anni.Inoltre, le consistenti disponibilità patrimoniali di Mi. Ba. al momento della separazione consistevano in:- liquidità amministrata per oltre 16 milioni di Euro (omissis);- villa a (omissis…) del valore di diversi milioni di Euro fidu-ciariamente intestata alla madre;- gioielli di valore pari a decine di milioni di Euro (doc. 5);- patrimonio immobiliare di proprietà de (omissis…) pari a circa 80 milioni di Euro (doc. da 11 a 173); Il patrimonio è quindi complessivamente stimabile in circa 300 milioni di Euro, oltre al credito ancora esigibile, credito che, nonostante il ribasso operato dalla Corte di Appello in sede di gravame nel giudizio di separazione, ammonta a venti milioni di Euro.Il pagamento, da parte di Si. Be., di una somma complessiva di oltre 110 milioni di Euro costituisce nei fatti un indebito trasfe-rimento di ricchezza, non consentito dall’ordinamento; inoltre una disponibilità così ingente di liquidità, accumulata in un arco temporale estremamente contenuto, ha consentito alla si-gnora Ba. una ulteriore produzione di ricchezza mediante pa-trimonializzazione della misura non consumata, e ciò secondo la comune esperienza. Infatti “se i costi del mantenimento della signora Ba. fossero stati anche solo tendenzialmente avvicina-bili alla misura goduta, la medesima non avrebbe avuto alcuna difficoltà di esibizione probatoria, adempiendo a quell’“onere sempre eluso nel corso della lunga epopea giudiziaria”.- La sentenza impugnata è viziata nella parte in cui ha omesso di valutare la sussistenza del requisito del comma 6 dell’art. 5 l. 898/70 perché sia riconosciuto l’assegno divorzile, ovvero la capacità del richiedente di procurarsi i mezzi adeguati.Mi. Ba. svolge, di fatto, l’attività di imprenditrice immobiliare per il tramite della società (omissis…) e, in ogni caso, è abile allo svolgimento di attività lavorativa; peraltro dispone di fonti reddi-tuali non lavorative ma di provenienza finanziaria. Ella pertanto amministra la propria ricchezza con conseguente percepimento di rendite finanziarie e di posizione, avendone le capacità.- In via subordinata e in parziale riforma della sentenza im-pugnata va comunque ridotto l’assegno divorzile in quanto è errata la valutazione delle modalità di determinazione dell’as-segno medesimo; in primo luogo la sentenza è erronea nella parte in cui fa corrispondere le ricchezze di tutta la famiglia Be., intesa in senso allargato, a quel tenore di vita goduto in co-stanza di matrimonio, tenore che la sentenza descrive in modo iperbolico e che comunque l’appellante non è tenuto a conti-nuare ad assicurare alla ex moglie. Il metro di valutazione cui fa riferimento il Tribunale di Monza per determinare l’importo dell’assegno in 1.400.000 Euro mensili è quello, come si legge in sentenza, “desumibile dalla comune esperienza” in quanto il tenore di vita della famiglia sarebbe stato “ben superiore a quasi tutti i soggetti ritenuti i più ricchi del mondo”, genericità di pa-rametri e valutazioni che il Tribunale avrebbe potuto superare accogliendo le istanze istruttorie formulate.- La signora Ba. non ha mai dato conto degli esborsi effettuati dalla separazione in avanti e dal settembre 2010 è ignota anche la sua dimora, mentre il Tribunale ha anche valorizzato “ingenti costi” necessari per la locazione di un immobile ove vivere.La conseguenza è che la sentenza neppure ipotizza quali costi l’appellata debba oggi sopportare. Pertanto, la quantificazione

dell’assegno effettuata dal tribunale appare arbitraria, avendo adottato un generico criterio esponenziale di spese. Inoltre, l’appellata non ha mai lamentato la insufficienza del mante-nimento percepito nella fase iniziale della separazione, pari a un milione di Euro, fase anche più difficile rispetto alla attuale vita di donna divorziata.L’assegno dovrà pertanto essere determinato previa adeguata attività istruttoria e comunque in misura inferiore a un mi-lione di Euro.- la motivazione del tribunale di Monza è contraddittoria lad-dove determina l’assegno divorzile tenendo conto del prelievo fiscale, salvo poi prendere atto che “il reddito che la Ba. può trarre dagli immobili a lei attribuiti in proprietà, attraverso la società Il Poggio e che sono locati, oltre che alla loro stessa conservazione e gestione potrà servire, e forse neppure a suf-ficienza, a compensare il prelievo che il fisco opererà sul suo assegno divorzile.” Si chiede conseguentemente di ridurre l’as-segno quantomeno nella misura della pressione fiscale. In ogni caso l’assegno quantificato, multiplo rispetto a redditi da lavo-ro percepito da categorie economiche equiparabili, ad esempio dirigenti di multinazionali, crea posizioni di rendita fondate su un mero status sociale e inoltre “impone discriminatoriamen-te a carico del solo coniuge onerato il dovere di mantenere il medesimo (anzi superiore) tenore reddituale, coartando, dunque, il diritto di auto-determinazione garantito dall’art. 4 della Cost. e legittimando il coniuge beneficiario a sottrarsi al proprio dovere di contribuire al progresso sociale per il tramite della propria attività lavorativa (art. 4 Cost.)”. Pertanto, ove non si ritenga di adottare il criterio del reddito da lavoro al fine di determinare il quantum, si insiste nella richiesta di rimes-sione alla Corte Costituzionale della prospettata questione di incostituzionalità dell’art. 5 comma 6 l. 898/1970.-Vengono infine censurati altri passaggi della motivazione della sentenza impugnata, in particolare laddove si fa riferi-mento alla pressione fiscale, che viene espressamente criticata così come viene operata, motivazione che mostra come sia radicata “una concezione “indissolubilista” del matrimonio e “matrimonialista” del divorzio di cui […] il perdurante uti-lizzo del criterio del “tenore di vita” è il precipitato più in-gombrante e anacronistico: il divorzio, nella concezione del Tribunale di Monza, assurge ad avere, nel rapporto tra ex co-niugi, un mero carattere formale che nulla fa decadere, sul piano sostanziale, rispetto all’“unione matrimoniale di cui si continua ad imporre giudizialmente, al di fuori della volontà dei consociati e lontani dai canoni Europei, una perdurante, irrazionale, sopravvivenza.”.- Si contestano le affermazioni del Tribunale, mancanti di sup-porto probatorio, laddove ritiene che il valore del compendio immobiliare de Il Poggio sia inferiore alle appostazioni di bi-lancio e ciò sulla base di generiche affermazioni, ovvero:- l’immobile di via (omissis…) sarebbe edificio “di normali caratteristiche costruttive”;- costi ingenti per il drenaggio dell’acqua nei piani interrati di palazzo (omissis…), per la presenza di falde acquifere;- venir meno di relazioni privilegiate che Be. aveva con il mondo imprenditoriale e ciò per la locazione dei prestigiosi immobili, ora più difficile.- Si chiede pertanto di accertare la insussistenza dei presupposti di legge per il riconoscimento di un assegno divorzile e, in via subordinata, comunque di ridurlo nella misura ritenuta equa.

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2. Con memoria depositata in via telematica il 25.11.2016 si è costituita in giudizio Mi. Ba., che ha chiesto il rigetto dell’ap-pello e ha proposto a sua volta appello incidentale avverso la sentenza n. 1842/14 del Tribunale di Monza, chiedendo il riconoscimento di un assegno divorzile a suo favore pari a Euro 3.600.000 mensili.In sintesi, l’appellata ha esposto quanto segue:- In relazione alla ritenuta illegittimità costituzionale dell’art. 5 l. 898/70, la questione è stata già ritenuta non fondata dal-la Corte Costituzionale che ha chiarito che l’esistenza di un “diritto vivente” fondato sul paradigma del “tenore di vita” non trova riscontro nella giurisprudenza della Cassazione, se-condo cui il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione dell’assegno divorzile ma rileva per determinare in astratto il tetto massimo della misura dell’assegno; in concreto quel parametro concorre e va bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati dall’art. 5. La durata del matri-monio è elemento rilevatore dell’effettività della comunione e costituisce il filtro attraverso il quale devono essere esaminati e considerati tutti gli altri criteri indicati nella norma.- Il paradigma del tenore di vita coniugale e la necessità/possi-bilità di conservarlo va dedotto sia dal riferimento alle condi-zioni reddituali e patrimoniali dei coniugi che dal contenuto del 9. comma dell’art. 5, che prevede la possibilità, in caso di contestazioni, di disporre indagini “sull’effettivo tenore di vita”.- Dalle norme costituzionali che garantiscono la parità dei co-niugi durante il matrimonio discende il fondamento dell’asse-gno divorzile.- I principi normativi e giurisprudenziali, secondo i quali l’assegno divorzile deve essere strumento di riequilibrio delle posizioni economiche dei coniugi e deve garantire la conser-vazione del tenore di vita coniugale, rispondono a ragione-volezza: “il legislatore, consapevole del fatto che la divisione del lavoro nella famiglia si caratterizza per una ripartizione e distinzione di ruoli, ha dettato delle regole attuative del prin-cipio costituzionale di parità (art. 29 Cost.), stabilendo che ‘con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri’, ‘sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo a contribuire ai bisogni della fami-glia’ (art. 143 c.c.) e devono adempiere l’obbligo di mantene-re i figli (art. 147 e 315 bis c.c.) ‘in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo’ (art. 148 c.c. e 316 bis c.c.). Così, in applicazione degli stessi valori, nel momento in cui il matrimonio si scio-glie, il principio della parità tra i coniugi deve trovare appli-cazione e realizzazione attraverso una equa condivisione delle risorse della famiglia, ciò a tutela del coniuge debole proprio nella fase in cui le scelte operate in virtù del matrimonio ma-nifestano le loro conseguenze negative”.- La Commission on European Family Law (CEFL) è carente di rilevanza giuridica e cogenza e, in ogni caso, sul piano nor-mativo i sistemi Europei sono molto diversi fra loro e inoltre alcuni sistemi prevedono la possibilità di stipulare accordi prematrimoniali. Dunque, appare fallace il confronto fatto per singoli istituti, estraniati dal contesto normativo.- Il tenore di vita in costanza di matrimonio costituisce un pa-rametro dal quale partire, per affrontare poi la specificità dei casi concreti. Il presupposto per riconoscere il diritto all’asse-

gno divorzile è costituito dalla “inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente (tenendo conto di tutte le sue possibilità) a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in co-stanza di matrimonio, senza che sia necessario uno stato di bisogno dell’‘avente diritto’, il quale può anche essere eco-nomicamente autosufficiente, avendo rilievo l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo che, in via di massima, devono essere ripristinate in modo da ristabilire un certo equilibrio (Cass. Sez. Unite n. 11490/90…)”.- La funzione assistenziale dell’assegno di divorzio è stretta-mente collegata al valore della solidarietà post matrimoniale e l’assegno divorzile è un mezzo per far fronte al deterioramento del livello di protezione connesso alla fine del matrimonio (non a uno stato di bisogno) e ha finalità di riequilibrare i rapporti.- Il tenore di vita coniugale costituisce la misura di riferimento per la valutazione dell’adeguatezza dei mezzi del coniuge che richiede l’assegno divorzile e ne è il tetto massimo in quan-to, nella concreta determinazione del diritto, il giudice deve tenere conto degli altri parametri indicati dal sesto comma.- Per quanto riguarda le disponibilità della signora Ba., le stes-se sono state correttamente valutate dal Tribunale, che non ha omesso nulla, mentre l’appellante cita dati che non corrispon-dono alla realtà:- il patrimonio immobiliare posseduto dall’appellata attraver-so la società Il Poggio non è di 80 milioni di Euro, come so-stenuto da controparte, quotazione non provata e contestata. I c.d. “giudizi di stima” effettuati in data 11.1.2010 e a firma del geom. Fr. Ma., prodotti in primo grado dall’appellante, sono stati contestati dalla signora Ba. in relazione alla loro provenienza e attendibilità. Gli approfondimenti peritali, che l’appellata si era dichiarata disponibile a effettuare, non sono stati ritenuti necessari dal Tribunale, anche per il divario con-sistente tra i patrimoni delle parti, giacché, sulla base delle classifiche Forbes degli uomini più ricchi del mondo, il patri-monio di Be. risulta stimato nell’ordine dei 9 miliardi di Euro.- La società (omissis…) non produce utili, ed è anzi in perdi-ta, “in quanto i frutti derivanti dalla locazione degli immobili che possiede sono integralmente assorbiti dagli oneri relativi al mutuo gravante su uno di tali beni (Palazzo (omissis…)) nonché dagli oneri fiscali, gestionali, nonché di manutenzio-ne e la qualità degli immobili posseduti da tale società incide sulla remuneratività degli stessi, anche in relazione alle attuali richieste del mercato”.- La casa in località (omissis…) è stata acquistata nel 2004 ed è stata intestata alla suocera di Be.- La liquidità riferita dalla signora Ba. in sede di separazione, e richiamata dall’appellante anche nei giudizi di divorzio, “non ha rilevanza, tra l’altro da allora si è notevolmente ridotta sia in ragione dell’andamento della borsa, sia in ragione dei fi-nanziamenti soci ai quali l’appellata è stata tenuta per la co-pertura delle perdite della società Il Poggio”.- Quanto ricevuto dalla signora Ba. a titolo di assegno di se-parazione prima e di divorzio poi viene indicato dalla con-troparte al lordo di imposta e in ogni caso si tratta di somme che “sono ovviamente servite e servono alla stessa per vivere secondo canoni analoghi, almeno tendenzialmente, a quelli relativi al precedente tenore di vita”. Del resto, anche la Cas-sazione ha ribadito che l’assegno può essere molto elevato se parametrato a un elevato e dispendioso tenore di vita e che

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esso è finalizzato alla conservazione di tale tenore. È dato in-confutabile che per mantenere, almeno tendenzialmente, il precedente tenore di vita debbano essere messe a disposizio-ne della signora Ba. somme adeguatamente consistenti.- Per quanto riguarda i gioielli, la signora Ba. “intende con-servarli per lasciarli alle figlie e alla futura moglie del figlio”.- Le sostanze dell’appellata non vengono in rilievo per il loro valore assoluto, ma per il peso relativo che devono assume-re nella valutazione comparativa con la situazione economi-ca e patrimoniale del dott. Be. La divergenza tra le sostanze dell’onerato e quelle della beneficiaria risulta nel caso di spe-cie pacificamente incommensurabile.- La signora Ba. non può svolgere lavoro e non lo ha mai svolto, se non per un breve periodo, quando era molto gio-vane e svolgeva l’attività di attrice, lavoro che ha interrotto accondiscendendo alla volontà del coniuge. Inoltre, la società Il Poggio è sempre stata amministrata da un professionista e l’appellata non ha mai fatto l’immobiliarista ma, semplice-mente, detiene alcuni immobili a mezzo della società.La s.r.l. Il Poggio è stata sempre amministrato da persona di fiducia di Be. (il geom. Scabini) e, dopo la separazione, è stata designata persona di fiducia dell’appellata (rag. Mo. Li.). In ogni caso si tratta di attività non produttiva di redditi e “quin-di inidonea a costituire per la signora Ba. una fonte di mezzi”.- Gli assegni ricevuti da Be. sono previsti “affinché il benefi-ciario lo destini ai consumi necessari alla conservazione del tenore di vita coniugale, non all’accantonamento e quindi all’investimento. Risulta pertanto completamente fuori dalla logica sostenere che la signora Ba. sarebbe in grado di pro-curarsi i mezzi adeguati alla conservazione del tenore di vita coniugale in quanto titolare di assegno divorzile”.- In relazione al criterio per la determinazione del mante-nimento, premesso che il tenore di vita della famiglia Be. è stato decisamente al di sopra della norma e che è fatto non contestato anche in ragione della sua evidenza pubblica, l’as-segno va dunque rapportato a detto tenore di vita. Oltretutto il tenore di vita dello stesso Be. “ha comportato e continua a comportare oneri sbalorditivi, basti pensare che, per sua stes-sa ammissione, egli gode di venti case […] Si fa notare che si tratta di dimore di pregio architettonico e, nella maggior parte dei casi, di pregio storico, ciascuna di diverse migliaia di me-tri quadri, tutte circondate da decine di ettari di parchi di pre-gio arboreo e paesaggistico. Inoltre, vengono spese cospicue somme di denaro per continui abbellimenti, data la passione di Be. per tutte le proprie dimore: ad esempio una serra a Villa Certosa è costata quattro milioni di Euro”.- Le osservazioni svolte dall’appellante in merito a un preteso onere della prova a carico della signora Ba. con riguardo alle spese dalla stessa sostenute risultano “assurde” in quanto og-getto di prova è il tenore di vita goduto durante il matrimonio.- La sentenza del Tribunale di Monza è erronea, e su questo punto Mi. Ba. propone appello incidentale, laddove il primo giudice ha fissato l’assegno divorzile in Euro 1.400.000,00 e ne ha indicato la decorrenza dalla notifica del ricorso intro-duttivo del giudizio di scioglimento del matrimonio. Appare errata la applicazione del parametro del contributo persona-le ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, dovendosi considerare che la signora Ba. si è occupata personalmente della crescita dei tre figli e di ogni

questione relativa alla loro salute, scuola, attività sportive ed è stata sempre presente nella quotidianità dei figli, non aven-do Be. mai esercitato funzioni genitoriali quotidiane; il ruolo svolto dalla signora Ba. in famiglia ha giovato alla immagine pubblica di Be. e così l’appellata ha contribuito al successo del marito e quindi anche alla formazione della sua ricchezza.Poiché il regime prescelto era stato della separazione dei beni, dovrà tenersi in maggiore considerazione l’apporto del coniu-ge economicamente più debole che, “per dedicarsi alla fami-glia ha rinunciato alla possibilità di svolgere lavoro esterno, produttivo di reddito, e quindi alla possibilità di formare un patrimonio personale”. I predetti elementi non sono stati te-nuti in considerazione dal Tribunale di Monza e pertanto “la signora Ba. non deve subire alcuna riduzione del tenore di vita coniugale […] anche perché il contributo dato dall’appel-lante incidentale alla famiglia è stato comprovatamente fon-damentale e certamente non inferiore a quello dato dal dott. Be. attraverso consistenti esborsi economici.Diversamente, in contrasto con i principi dell’ordinamento, si attribuirebbe un valore differente alle funzioni svolte da cia-scuno per la famiglia.” Sulla base di queste considerazioni ap-pare ingiustificata la drastica riduzione dell’assegno rispetto a quanto stabilito in sede di separazione, assegno che deve essere corrisposto nella misura di Euro 3.600.000,00 mensili ovvero nella diversa somma comunque superiore a 1.400.000,00. L’as-segno divorzile, che ha efficacia costitutiva, dovrà decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.3. All’udienza del 25.1.2017, che si è svolta alla presenza del P.G., della signora Ba. e dei difensori, sull’accordo delle parti la causa è stata rinviata all’udienza del 12 aprile 2017, ritenu-ta da tutti l’opportunità di attendere la decisione della Corte di Cassazione nella causa di separazione dei coniugi Be.-Ba.Per il medesimo motivo la causa è stata nuovamente rinviata, sull’accordo delle parti, all’udienza del 13.12.2017 e quindi anticipata all’udienza del 20.9.2017 su istanza dell’appellan-te, che ha, tra l’altro, chiesto di produrre la sentenza della Cassazione n. 12196/17 emessa il 16.11.2016 e depositata il 16.5.2017, sentenza che ha rigettato il ricorso proposto da Si. Be., cosicché la sentenza della Corte di Appello di Milano depositata il 27.3.2014, emessa nel giudizio di separazione, è divenuta definitiva.4. In data 31.7.2017 è stata depositata in via telematica com-parsa di costituzione di un secondo difensore nell’interesse di Si. Be., che ha richiamato integralmente il contenuto dell’atto di appello e le domande ivi formulate, chiedendo che l’asse-gno divorzile sia revocato a far data dalla domanda di divor-zio, ovvero maggio 2013; ha chiesto quindi il rigetto dell’ap-pello incidentale, contestando integralmente il contenuto della memoria avversaria. Ha infine chiesto l’autorizzazione a produrre i seguenti documenti: il bilancio della società (omis-sis…) al 31.12.2015; la sentenza n. 12196/17 della Corte di Cassazione pronunciata tra le parti nel giudizio di separazione e depositata il 16.5.2017; atto di precetto notificato da Mi. Ba. a Si. Be. il 14.4.2017; visura catastale e relativo contratto di compravendita da parte di Mi. Ba.; giurisprudenza (CdA Bo-logna, sentenza n. 1429/2017, pubblicata il 15.6.2017; CdA Torino, sentenza n. 1321/2017, pubblicata il 14.6.2017).5. All’udienza del 20.9.2017 parte appellata ha prodotto, nulla opponendo la controparte, la sentenza del Tribunale di Udine emessa in data 11.5.2017 e depositata l’1.6.2017 e

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non si è opposta alla acquisizione della documentazione che l’appellante ha chiesto di produrre con la memoria depositata il 31.7.2017.In relazione al documento prodotto da Be., attestante il re-cente acquisto di un appartamento in via (omissis…) n. 10 da parte di Mi. Ba., il difensore dell’appellata ha precisato che attualmente Mi. Ba. dimora in due appartamenti condotti in locazione, uno in Milano e l’altra in Brianza. La signora Ba. ha quindi deciso di acquistare l’appartamento in via (omissis…) per destinarlo a propria abitazione in Milano, con l’intenzio-ne di lasciare a breve l’abitazione condotta in locazione. Ha infine riferito che la signora Ba. vive tra Milano e la Brianza in quanto si occupa dei nipoti.I difensori hanno in conclusione illustrato oralmente i rispet-tivi e contrapposti punti di vista in relazione ai presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile, tenuto conto de-gli ultimi arresti della Suprema Corte di Cassazione.6. Preliminarmente la Corte acquisisce la documentazione prodotta dalle parti in questo grado di giudizio, preso atto del reciproco consenso manifestato.Si ritengono viceversa ultronee tutte le istanze istruttorie – ri-proposte integralmente dalle parti in questo grado di giudizio – tendenti a dimostrare l’esatta consistenza del patrimonio de-gli ex coniugi e il tenore di vita in costanza di matrimonio, prove irrilevanti ai fini della decisione ovvero relative a fatti non contestati. In particolare, non è contestato ed è altresì irrilevante ai fini del decidere l’altissimo tenore di vita delle parti in costanza di matrimonio. Così come non rileva avere l’esatta contezza dell’effettiva consistenza del patrimonio di Si. Be., mentre sarebbe stato rilevante conoscere quantità e qualità delle spese oggi sostenute da Mi. Ba., che è titolare, in qualità di socio unico di società immobiliari, di un considerevole pa-trimonio immobiliare e ha la disponibilità di somme di denaro – considerando solo quelle ricevute a titolo di assegno dopo la separazione – di consistenza tale da poter essere in parte desti-nate ad investimenti e comunque di entità tale da consentirle un elevato tenore di vita anche negli anni futuri. Pur sollecitata in tal senso dalla Corte nel confronto orale in udienza, l’appel-lata non ha ritenuto di adempiere a tale suo onere probatorio, neppure allegando quali siano le spese attuali sostenute dalla signora Ba. per mantenere il patrimonio immobiliare, che le è stato costituito nel corso del matrimonio dal marito, e quali sia-no le spese sostenute in relazione al suo attuale tenore di vita.Nel merito, la presente controversia verte esclusivamente sul riconoscimento o meno di un assegno divorzile a carico di Si. Be. e a favore dell’ex moglie Mi. Ba.Appare utile, preliminarmente, puntualizzare l’iter proces-suale che da molti anni vede contrapposte le parti, con il fallimento di diversi tentativi di conciliazione esperiti dalle diverse autorità giudiziarie e dalle parti stesse, in particolare evidenziando che:- il 15.12.1990 Si. Be. e Mi. Be. contraevano matrimonio e dall’unione sono nati tre figli, tutti economicamente indipendenti;- il 4.11.2009 Mi. Ba. proponeva ricorso per separazione;- il 18.5.2010 veniva emesso provvedimento presidenziale che poneva a carico di Be. un assegno mensile di Euro 50.000 a favore della moglie con decorrenza giungo 2010 e fino al rilascio da parte della stessa della casa coniugale denomi-nata Villa (omissis…), e quindi un assegno mensile di Euro 1.000.000,00;

- il 19.12.2012 emessa, nel giudizio di separazione, sentenza dal tribunale di Milano, depositata il 27.12.2012, che poneva a carico di Be. un assegno mensile a favore della moglie di Euro 3.000.000,00, decorrente da maggio 2010;- il 14.5.2013 Si. Be. proponeva ricorso per scioglimento del matrimonio;- il 17.2.2014 veniva pronunciata dal Tribunale di Monza sentenza parziale n. 499/2014 di scioglimento del matrimo-nio – in data 11.7.2014 veniva depositata, nel giudizio di se-parazione, la sentenza n.2740 dalla Corte di Appello di Milano, che poneva a cari-co di Be. un assegno mensile a favore della moglie di Euro 50.000,00 mensili dalla domanda (4.11.2009) fino a settem-bre 2010 (data di rilascio della casa coniugale da parte di Ba.) e, successivamente, di Euro 2.000.000,00 mensili;- il 22.6.2015 è stata emessa dal tribunale di Monza la senten-za n. 1842/15 qui appellata, nell’ambito della causa di scio-glimento del matrimonio e relativa agli aspetti patrimoniali, sentenza che ha posto a carico di Be. un assegno divorzile pari a 1.400.000,00 mensili;- il 16.5.2017 è stata depositata sentenza della Corte di Cassa-zione di rigetto del ricorso di Be. avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano nella causa di separazione (con conferma quindi dell’assegno mensile a suo carico di Euro 2.000.000,00 a favore della moglie a decorrere dal settembre 2010).La Corte ritiene che, con lo scioglimento del matrimonio, sia venuto meno il diritto di Mi. Ba. a richiedere un assegno di mantenimento e che quindi non sussistano i presupposti per il riconoscimento di un assegno divorzile ai sensi dell’art. 5 comma 6 legge 898/1970, come modificato dalla l. 74/1987.La signora Ba. può infatti contare su un cospicuo patrimonio, oltretutto costituitole integralmente dal marito nel corso del quasi ventennale matrimonio; ha la capacità di produrre red-dito, sia per le ingenti somme di denaro che l’ex marito le ha corrisposto sia perché possiede numerosi beni immobili di no-tevole valore commerciale in qualità di socio unico della società immobiliare (omissis…) – che ha un patrimonio complessivo di oltre 50 milioni di Euro, come risulta dal bilancio di esercizio al 31.12.2015 prodotto dall’appellante4 – e, per il tramite di detta società della società Reality Corp di New York, proprietarie entrambe le società di cespiti in Italia, Stati Uniti e Inghilterra.Mi. Ba. ha la possibilità e capacità di investimento di parte delle somme capitali ricevute dal marito, somme che la stes-sa signora Ba. ha quantificato in Euro 104.418.000,00 lordi, come emerge dall’atto di precetto del 7.3.2017 notificato a Si. Be., ritenendo l’appellata di essere ancora creditrice della somma di Euro 26.050.220,715. Senza considerare il valore dei numerosissimi gioielli avuti in dono dal marito nel corso del matrimonio, che l’appellante ha valutato in decine di mi-lioni di Euro, valutazione non contrastata dalla signora Ba. che si è limitata ad osservare che non rilevano in quanto è suo desiderio destinarli alle figlie e alla futura moglie del figlio.Mi. Ba. ha affermato che le ingenti spese sostenute per la ma-nutenzione degli immobili e quelle destinate al fisco sono co-perte dai canoni di locazione degli immobili medesimi; anzi, la società. Il Poggio non solo non produce reddito ma è anche in perdita. Tale situazione emerge dal bilancio 2015. Peraltro si osserva che potrebbe trattarsi di una situazione temporanea, ad esempio per la mancata locazione di alcuni immobili, come sostenuto in primo grado, ovvero per la necessità di spese stra-

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ordinarie e, in ogni caso, quand’anche fosse stato necessario attingere ai risparmi per far fronte alle perdite (che sempre nel bilancio 2015 vengono indicate in circa 1.300.000 Euro), le somme accantonate sono di capienza tale da consentire alla signora Ba. un alto tenore di vita ed essere anche investite (re-siduando 103 milioni di Euro circa, sia pure al lordo).Il valore di tutto il patrimonio immobiliare è in ogni caso in-gente e deve essere anch’esso considerato al fine di valutare l’adeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge richiedente l’asse-gno6. Così come va considerato l’immobile di via (omissis…) acquistato da Mi. Ba. il 29.9.2015, per essere destinato a pro-pria abitazione, immobile che dal contratto prodotto risulta essere stato acquistato al prezzo di 1.500.000,00 Euro, abita-zione di cat. A/2, cl. 1, vani 10,5 e terrazzo, rendita catastale di Euro 1.816,647.Si prendono dunque in considerazione le deduzioni della ap-pellata e non già dell’appellante, con valutazioni del patrimo-nio complessivo della signora Ba. molto prudenziali e, ciono-nostante, la condizione economica della stessa si ritiene possa consentirle, anche per il futuro, un tenore di vita elevato.La Corte deve anche tener conto del fatto che parte appellata non ha adempiuto all’onere probatorio di allegare e poi dimo-strare quale sia l’entità e la qualità dei suoi attuali esborsi mensi-li, neppure essendo noto ove la stessa abbia fissato la sua dimo-ra e quale sia il suo tenore di vita attuale. Peraltro, all’udienza del 20.9.2017, per la prima volta, a fronte della produzione, da parte dell’appellante, del contratto di compravendita di immo-bile da parte della signora Ba. in data 29.9.2015 e del relativo rapporto catastale, è stato riferito alla Corte da parte del difen-sore – come risulta dal verbale di udienza – che la signora Ba. vive in una abitazione in locazione in Brianza e in altra abitazio-ne in locazione a Milano (senza peraltro indicazione dei luoghi né della entità dei canoni), abitazione di Milano che lascerà a breve, avendo effettivamente acquistato un appartamento per sé in via (omissis…) n. 10, ove si trasferirà a vivere nei periodi che trascorrerà a Milano, occupando molto del suo tempo a seguire i nipoti, lasciando dunque intendere di condurre una vita appartata e nella normalità. Tali dichiarazioni della parte portano, a maggior ragione, a ritenere che effettivamente vi sia una capacità di risparmio e investimento di buona parte delle somme ricevute, essendo verosimilmente mutate oltre alle con-dizioni di vita (necessariamente, a causa della separazione) le stesse scelte di vita e priorità assegnate alle spese.Ciò detto, questa Corte condivide le argomentazioni svilup-pate nell’atto di appello con riferimento alla interpretazione che deve essere data della normativa in esame, sopra sintetica-mente richiamate, interpretazione che è stata, nelle more del presente giudizio, fatta propria anche dalla Suprema Corte di Cassazione con le sentenze n. 11504 e n. 15481, che hanno mutato il precedente orientamento in tema di individuazione dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile.Nelle more del presente giudizio è stata anche depositata, il 16.5.2017, la sentenza della Corte di Cassazione che, nel re-spingere il ricorso proposto da Si. Be., ha reso definitiva la sentenza di questa Corte che aveva riconosciuto nel giudizio di separazione un assegno di mantenimento a favore della si-gnora Ba., sentenza della Suprema Corte che non contrasta con il nuovo orientamento in tema di assegno divorzile ma, al contrario, espressamente aderisce ad esso. Afferma infatti il principio secondo cui la separazione personale, a differen-

za dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del ma-trimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensio-ne degli obblighi di natura personale di fedeltà convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divor-zio. In particolare, la Suprema Corte evidenzia “la sostanziale diversità del contributo in favore del coniuge separato dall’as-segno divorzile, sia perché fondati su presupposti del tutto distinti, sia perché disciplinati in maniera autonoma e in ter-mini niente affatto coincidenti.”. Quindi la Corte di Cassazio-ne precisa che mentre nella separazione il dovere di assistenza materiale conserva la sua efficacia e la sua pienezza in quanto costituisce uno dei cardini del matrimonio e fonda quindi l’assegno di mantenimento, non apparendo incompatibile lo stato di separazione, in ipotesi anche temporaneo, non altret-tanto può affermarsi quanto alla solidarietà post-coniugale, che è alla base dell’assegno divorzile: “al riguardo – si legge nella sentenza – è sufficiente richiamare la recente sentenza di questa Corte n. 11504 del 10.5.2017, le argomentazioni che la sorreggono […] e i principi di diritto con essa enunciati”.Dunque, il passaggio dal parametro del “tenore di vita duran-te il matrimonio” a quello della “autosufficienza economica” viene ribadito anche da questa terza sentenza della prima se-zione civile della Suprema Corte.Ciò premesso, deve evidenziarsi che, nel preliminare giudi-zio sull’an debeatur, occorre verificare la mancanza o meno di mezzi adeguati, o comunque la impossibilità di procurar-seli per ragioni oggettive, da parte del coniuge richiedente l’assegno, così come espressamente prescrive il sesto comma dell’art. 5 l. 898/70.L’adeguatezza è certamente un concetto astratto e anche relati-vo, ed è stata per lungo tempo rapportata dalla giurisprudenza al tenore di vita mantenuto in costanza di matrimonio. Peraltro il criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio è stato, nella valutazione dei casi concreti, contemperato, mode-rato, fino ad essere talora azzerato, tenuto conto della molte-plicità dei criteri indicati nel comma 6 dell’art. 5 l. 898/1970, pur se si tratta di criteri di valutazione riservati al quantum, quali: le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla con-duzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi, elementi tutti da valutarsi in rapporto alla durata del matrimonio. Sulla stessa linea sembrano essere le osservazioni sviluppate dal Tribuna-le di Udine nella sentenza dell’11.5-1.6.2017, in particolare laddove osserva come in realtà “il giudizio sull’an non possa logicamente essere distinto da quello sul quantum, atteso che si tratta di un’unica operazione in cui i due aspetti si compene-trano e servono a trovare un equo contemperamento di tutte le esigenze rappresentate dal legislatore nel tormentato art. 5, 5. e 9. comma”. Operazione ermeneutica errata, ma resa necessa-ria dal permanere di una interpretazione giurisprudenziale dei parametri di riferimento per definire i mezzi adeguati non più

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rispondente ai mutamenti sociali in atto, distorsione di cui il recente revirement della Corte di Cassazione si è fatto carico e che ha, condivisibilmente, superato.Il tenore di vita è un indice anch’esso relativo, se non altro per-ché muta nel tempo ed è legato a tanti fattori, sia di ordine socia-le che personale, non ultimo il progredire dell’età. Nella gene-ralità dei casi, inoltre, la frattura dell’unità familiare impoverisce entrambi i coniugi con la conseguenza che il tenore di vita dopo la separazione non è quasi mai paragonabile, per entrambi i co-niugi, al tenore di vita in costanza di matrimonio. Non si ritiene pertanto che il canone del tenore di vita in costanza di matrimo-nio costituisse un parametro certo su cui poter fare affidamento e, in ogni caso, negli anni ha di fatto indotto la giurisprudenza ad una sovrapposizione delle valutazioni sull’an e sul quantum, per rendere le decisioni comprensibili in relazione al comune sentire e alla evoluzione del costume sociale.Come già detto, nelle more del presente giudizio è intervenuta la nota pronunzia della Suprema Corte n. 11504/2017 che ha proposto una diversa interpretazione delle norme in esame.Del contenuto della innovativa pronuncia della Suprema Corte e della sua incidenza nel caso concreto le parti hanno discusso oralmente in udienza, sostenendone la conformità ai principi dell’ordinamento e costituzionali il difensore di Be., che ha ri-chiamato il contenuto dell’atto di appello ove già era stata pro-posta una diversa esegesi della norma nel senso poi deciso dalla Cassazione, e contrastandola la difesa di Ba., che ha richiamato il pregresso consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ritenendolo a sua volta maggiormente coerente con i principi costituzionali ed evidenziando come il nuovo parametro introdotto della indipendenza o autosufficienza economica sia sfuggente, richiamando in proposito il parere dissenziente mani-festato da alcuni commentatori nelle sedi seminariali e anche da una parte della giurisprudenza di merito, quale in particolare la citata sentenza del tribunale di Udine dell’11.5-1.6.2017.La sentenza della prima sezione civile della Suprema Corte n. 11504 del 10.2.2017, depositata il 10.5.2017, cui oltretutto è seguita anche altra conforme sentenza della Cassazione, la numero 15481 del 29.5-22.6.2017, con Collegio parzialmen-te diverso (e alle quali aderisce anche la sentenza 12196/17, con Collegio ancora parzialmente diverso) ha mutato il pre-gresso orientamento interpretativo della norma in questione, affermando i seguenti principi di diritto, richiamati anche nei seguenti termini da Cass. 15481/17:1. il diritto all’assegno di divorzio di cui all’art. 5, comma 6, della l. n. 74 del 1987 è condizionato dal suo previo ricono-scimento in base a una verifica giudiziale che si articola ne-cessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’autoresponsabilità econo-mica di ciascuno dei coniugi quali “persone singole” e il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento o meno del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardan-te il quantum debeatur improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’asse-gno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (art. 2 in relazione all’art. 23 Cost.) che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso.

2. Nella fase dell’an debeatur occorre verificare se la domanda dell’ex coniuge richiedente l’assegno soddisfi le condizioni di legge (mancanza di mezzi adeguati o comunque impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive) non con riguardo a un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimo-nio, ma con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosuf-ficienza economica, desunta dai principali indici – salvo altri rilevanti nelle singole fattispecie – del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari e immo-biliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richie-dente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso e al mercato del lavo-ro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge.3. Superata positivamente la prima valutazione, nella fase del quantum debeatur, informata al principio della solidarie-tà economica del coniuge obbligato verso l’altro in quanto persona economicamente più debole, il giudice deve tenere conto di tutti gli elementi indicati dal comma 6 dell’art. 5 al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano l’onere della prova.Se dunque il passaggio dal canone interpretativo del “teno-re di vita, analogo o tendenzialmente simile a quello goduto in costanza di matrimonio”, a quello della “indipendenza o autosufficienza economica” può apparire un mutamento ra-dicale di impostazione, tanto da destare forse ingiustificati allarmismi in alcuni commentatori, non si tratta peraltro di un fulmine a ciel sereno.I mutamenti sociali e i modelli familiari, certamente assai di-versi rispetto a quelli di qualche decennio fa, già da tempo hanno portato la giurisprudenza di merito a ridisegnare via via i presupposti dell’assegno divorzile, restringendo e delimi-tando i confini di un concetto astratto – quello del tenore di vita – che, avulso dall’impianto normativo, che non lo preve-de, rischia di ancorare le decisioni a un modello tradizionale di matrimonio e dei rapporti personali e patrimoniali tra ex coniugi – che vedeva una rigida ripartizione tra i coniugi di ruoli e compiti – che appare superato nella realtà sociale at-tuale ovvero sempre più in via di superamento.Se con il divorzio si torna ad essere individui singoli, con diversi e nuovi progetti di vita e liberi di formare una nuova famiglia, il principio solidaristico, che sta alla base del ricono-scimento dell’assegno divorzile, richiede che la condizione di debolezza e le effettive necessità economiche siano provate da chi ritenga di avere diritto al riconoscimento dell’assegno di-vorzile medesimo, fermo restando il principio di autorespon-sabilità economica, ma anche il diritto di tutti di condurre una vita non solo libera dal bisogno, ma dignitosa.Certamente il riferimento alla indipendenza o autosufficienza economica appare un parametro a sua volta relativo, che an-drà pertanto ancorato a diversi indici che saranno soprattutto i casi concreti a suggerire. Certamente quindi non potranno essere criteri rigidi e predefiniti (quali il riferimento a stipendi minimi di determinate categorie di lavoratori o simili), giacché

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ogni automatismo contrasta con la particolare natura di questi procedimenti e con la natura non definitiva delle decisioni, che sempre devono tenere conto di una pluralità di fattori.Massima attenzione dovrà dunque essere prestata alle variabi-li dei casi concreti, con maggiore onere probatorio per le parti e di motivazione delle decisioni adottate da parte dei giudici.Mutano, peraltro, l’angolo visuale e la prospettiva, con la conseguenza che l’attenzione dovrà anzitutto rivolgersi alla posizione dell’ex coniuge debole richiedente l’assegno, alle sue effettive condizioni di vita, ai suoi progetti come singolo individuo, alla sua età e alle sue condizioni di salute e altro, valutando la natura e qualità della sua posizione debole.La Suprema Corte, nell’indicare il criterio della autorespon-sabilità, indipendenza o autosufficienza economica, ha infatti fornito anche delle indicazioni per delimitare tale parametro, laddove scrive che “i principali indici – salvo ovviamente altri elementi che potranno eventualmente rilevare nelle singole fattispecie – per accertare, nella fase di giudizio sull’an debea-tur, la sussistenza, o no, dell’indipendenza economica dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio – e quindi l’adegua-tezza o no dei mezzi nonché la possibilità o no per ragioni oggettive dello stesso di procurarseli – possono essere così individuati: 1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, tenu-to conto di tutti gli oneri lato sensu imposti e del costo della vita nel luogo di residenza (dimora abituale: art. 43, secondo comma c.c.) della persona che richiede l’assegno; 3) le capaci-tà e le possibilità effettive di lavoro personale in relazione alla salute, all’età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente e au-tonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione”.Vi è dunque un forte richiamo al caso concreto e a tutte le sue variabili, senza che sia quindi possibile effettuare alcuna standardizzazione.Tornando quindi nuovamente al caso in esame, la Corte ritie-ne che l’attuale condizione non solo di autosufficienza, ma di benessere economico della signora Ba., tale da consentirle un tenore di vita elevatissimo, comporti il venir meno del diritto a percepire un assegno divorzile, sia che si faccia riferimento al parametro dell’autosufficienza sia che si voglia considerare il parametro di un tenore di vita sul quale la signora Ba., che per scelta non ha mai svolto in costanza di matrimonio attivi-

tà lavorativa, potesse comunque fare affidamento, quand’an-che durante il matrimonio il tenore di vita fosse assolutamen-te al di fuori di ogni termine di paragone, per la condizione di ricchezza di Si. Be. Il complessivo patrimonio costituito da quest’ultimo, in costanza di matrimonio, a favore della moglie può ritenersi avesse proprio la finalità di preservarle e garan-tirle anche per il futuro le aspettative maturate.In conclusione, deve accogliersi il primo motivo di gravame, accoglimento che rende superfluo esaminare gli ulteriori pro-fili di censura alla sentenza impugnata.La Corte ritiene opportuno ed equo far decorrere la revoca dell’assegno divorzile non già dalla domanda, come richiesto dall’appellante, ma dal mese successivo alla pubblicazione della sentenza di scioglimento del matrimonio, e ciò tenuto conto del fatto che i procedimenti di separazione e di divorzio sono stati di lunga durata e si sono sovrapposti nelle decisioni dei diversi gradi di giudizio; che le somme previste sono state corrisposte dall’appellante quantomeno fino alla pronunzia della Suprema Corte che ha innovato nella interpretazione della norma e te-nuto anche conto del fatto che il mutamento dell’orientamento giurisprudenziale è intervenuto nelle more del presente proce-dimento e la difesa Ba. ha rinunziato a richiedere un termine per poter approfondire, con memoria scritta, il mutamento di giuri-sprudenza, che si è limitata a contrastare nella discussione orale.Quanto alle spese di causa, si rileva che l’appello viene accol-to mentre l’appellata è sostanzialmente soccombente. Peraltro, deve tenersi conto che l’appellante ha chiesto disporsi la de-correnza della revoca dell’assegno dalla domanda (14.5.2013) e che è soccombente sul punto, in quanto la Corte ritiene di dover fissare la revoca dell’assegno a decorrere dalla mensilità successiva alla data di pubblicazione della sentenza di sciogli-mento del matrimonio (17.2.2014). Poiché si tratta di una cifra eccezionalmente rilevante è evidente come ogni mese l’esborso da parte di Be. abbia una consistenza tale da essere valutata ai fini della ripartizione delle spese di lite nei due giudizi, spese che quindi si reputa equo compensare tra le parti nella misura di un quarto, condannando Mi. Ba. a rifondere a Si. Be. le spese dei due gradi di giudizio nella misura di tre quarti, quota che si liquida in Euro 20.250,00 per il primo grado di giudizio, oltre spese forfettarie IVA e CPA, e in Euro 24.000,00 per il presente grado di giudizio, oltre spese forfettarie, IVA e CPA. (omissis)

L’ASSegNO Di DivOrziO NeLLe receNti PrONuNce Di meritOMIChELA LABRIOLAAvvocato in Bari e membro dell’esecutivo di ONDiF

All’indomani del deposito della sentenza della Corte di Cas-sazione n. 11504 del 2017, oltre all’interesse mediatico per l’orientamento espresso che è apparso, prima facie, discostarsi decisamente dai noti precedenti della stessa Corte di legitti-mità, ci si è trovati in presenza di alcune pronunce di merito che, con argomentazioni non sempre omogenee tra loro, han-no contribuito a fornire un assetto piuttosto altalenante sulla natura e debenza dell’assegno divorzile.

È, altresì, vero che, come ha sostenuto il relatore della sen-tenza citata, dott. Lamorgese, l’originaria stesura dell’art. 5 co. 6 l. div. era formulata in un modo tale per cui la sua sintesi contribuiva, da un lato a prevedere un certo automatismo nell’attribuzione dell’assegno divorzile al coniuge debole, all’esito dello scioglimento del matrimonio, e, per altro verso, ad una notevole discrezionalità dei giudici nella quantifica-zione degli assegni. Le letture ed interpretazioni del dettato

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normativo hanno subito, comunque, una significativa modi-fica nel corso di quegli anni. D’altronde, è innegabile che solo dopo il riconoscimento legislativo che ha sancito la cessazio-ne del matrimonio in Italia, l’assegno divorzile ha iniziato a rappresentare lo strumento principale di regolamentazione della crisi familiare. Alcune parti dell’articolo 5 scritto nel 1970 sono ancora presenti nel testo della riforma del 1987.

Il segno di tali cambiamenti si ritrova nella nota sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 19901, che ha rimarcato la natura esclusivamente assistenziale dell’assegno, superando così la necessità di compensare il contributo fornito da un coniuge all’altro, nell’ambito della famiglia. Questa decisio-ne ha introdotto un nuovo ed importante punto di partenza. L’analisi va, in questo momento storico, spostata sul significa-to della parola assistenza che deve essere intesa in senso più prettamente civilistico. Le Sezioni Unite avevano risolto con il parametro del tenore di vita le criticità derivanti da una eccessiva discrezionalità dei giudici, suggerendo che fosse preliminarmente valutata la necessaria comparazione reddi-tuale tra i coniugi al fine di compensarne le disparità. Quindi, principalmente, sostenevano che andasse garantito l’assegno assistenziale attraverso l’analisi della comparazione reddituale e, qualora in presenza di una disparità da bilanciare, si sa-rebbe reso possibile un riequilibrio all’interno della famiglia.

Tuttavia, benché accolta con favore da molti giudici di merito, vi è chi, come il Tribunale di Udine, ha criticato l’allontana-mento operato dal concetto, ormai consuetudinario, di tenore di vita, col recupero di quella modalità argomentativa che, dopo il 1990, non aveva più avuto per 27 anni ripensamenti.

Non v’è dubbio, invece, che l’analisi della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano, relativa al divorzio tra il dott. Berlusconi e la sig.ra Bartolini (in arte Veronica Lario), non po-trà prestarsi ad un agevole confronto con altre fattispecie di fat-to e relative a molte coppie italiane, benché talune siano effet-tivamente benestanti. Ciò che più interessa del provvedimento della Corte d’Appello di Milano sono i principî richiamati in conformità alla nota sentenza della Cassazione n. 11504/17, che ha suscitato un dibattito ancora vivo e che avrà il suo epilo-go con le risposte che perverranno dalle Sezioni Unite.

In primo grado, il Tribunale di Monza, con sentenza del 23 giugno 2015, aveva attribuito alla sig.ra Bartolini, a titolo di assegno di divorzio, la somma mensile netta di € 26.000,00 – € 1.400.000,00 mensili lordi – pur in presenza di un pa-trimonio stimato in circa 50 milioni di euro, oltre al fatto di vantare un credito non riscosso di € 26.050.220,71 nei con-fronti dell’ex marito.

In Corte d’Appello Silvio Berlusconi chiedeva, alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali, l’eliminazione dell’as-segno divorzile. Con appello incidentale Miriam Bartolini do-mandava un aumento sino ad € 3.600.000,00 mensili. A onor del vero il patrimonio dell’appellante, sulla base delle classifi-che Forbes degli uomini più ricchi del mondo, viene stimato in 9 miliardi di euro. Inimmaginabili cifre da capogiro.

Le difese delle parti si incentravano, oltre che sull’indagi-ne dei reciproci ingenti patrimoni, anche sulla necessarietà o

1 Cass., S.U., 29 novembre 1990 n. 11490, che ha stabilito il principio per cui l’adeguatezza dei mezzi si misura sulla sufficienza degli stessi ad assicurare il mantenimento del coniuge inteso come soddisfazione di tutte le sue esigenze di vita indipendentemente dallo stato di bisogno correlato ad una mera obbli-gazione alimentare.

meno di attribuire valore primario al rispetto del canone del tenore di vita condotto dai coniugi nel corso del matrimonio.

La Corte, nella detta sentenza, ritenendo chiaramente che gli oneri di allegazione probatoria gravino su chi richieda l’as-segno di divorzio, sollecitava la Bartolini a fornire dettagli che potessero consentire al collegio di “conoscere quantità e qualità delle spese sostenute da lei, che è titolare, in qualità di socio unico di società immobiliari, di un considerevole patrimonio immobiliare e ha la disponibilità di somme di danaro – considerando solo quelle ricevute a titolo di assegno dopo la separazione – di consistenza tale da consentirle un elevato tenore di vita anche negli anni fu-turi. Pur sollecitata in tal senso dalla Corte nel confronto orale in udienza, l’appellata non ha ritenuto di adempiere ad un tale onere probatorio, neppure allegando quali siano le spese attuali sostenu-te per mantenere il patrimonio immobiliare, che le è stato costituito nel corso del matrimonio dal marito, e quali sono le spese sostenute in relaziona al suo attuale tenore di vita”.

Questo innovativo aspetto processuale, per cui l’onere della prova che con questo orientamento giurisprudenziale ricade sulla parte richiedente l’assegno, fa presumere, quindi, che, per le impugnazioni temporalmente successive alle pronunce nn.11504 e 15481 del 2017, sia sempre possibile l’utilizzo, così come previsto nei mezzi di impugnazione propri del rito camerale, dell’applicazione dell’art. 345 co. 3° c.p.c.. Si supe-rano, in tal modo, le preclusioni tipiche del processo civile.

Come è noto agli infaticabili interpreti della sentenza della S.C. n. 11504/17, il concetto di tenore di vita, così come determinato in precedenza dalla Cassazione a Sezioni Unite del 29 novem-bre 1990 n. 11490, per cui l’adeguatezza dei mezzi si misurava sulla sufficienza degli stessi ad assicurare il mantenimento del coniuge inteso come soddisfazione di tutte le sue esigenze di vita indipendentemente dallo stato di bisogno correlato ad una mera obbligazione alimentare, è stato eliminato tra i parametri di indagine sull’an e sul quantum dell’assegno divorzile. Quindi, il nuovo punto di partenza dei giudici di merito e di quelli di legit-timità sarà quello di superare la elaborazione di un assegno quale strumento di riequilibrio delle posizioni economiche dei coniugi al fine di garantire la conservazione del medesimo tenore di vita.

Dopo la giurisprudenza di legittimità, si sono espresse, in senso conforme, altre pronunce. Il Tribunale di Milano2 ha ritenuto, quale autosufficienza economica e limite minimo di sussistenza, un emolumento mensile di € 1.000 percepito dal coniuge debole, escludendo, conseguentemente, l’attribuzione di un assegno divorzile. Anche la Corte d’Appello di Bologna con la sentenza n. 1682/17, in riforma del provvedimento di primo grado, ha revocato l’assegno divorzile all’ex moglie, ri-chiamando il principio dell’autosufficienza economica, indivi-duando la soglia di € 1.200 quale limite minimo. Di contro, recentemente, come innanzi evidenziato il Tribunale di Udine, con un provvedimento del giugno 2017, ha continuato ad af-fermare la rilevanza del concetto di tenore di vita recuperando le previsioni dettate in sede di divorzio e relative alle indagini tributarie. Il Tribunale di Roma si è discostato da tali interpre-tazioni3 attribuendo un assegno divorzile di sole € 150. Con pronuncia in pari data, lo stesso Tribunale Capitolino4 ha di-

2 Tribunale di Milano, ord. 22 maggio 2017.3 Tribunale di Roma, causa iscritta al n. r.g. 47763/2014, sent. Del 21 luglio

2017.4 Nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 85089/2013, sent. 21 luglio

2017.

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sposto il versamento di un assegno di € 1.600,00 in ragione del contributo che la moglie ha fornito all’attività del marito.

Nella parte motiva, gli Ermellini, sottolineano come siano state prese in considerazione le deduzioni della Bartolini/La-rio e non di Berlusconi al fine di valutare quanto le condizioni economiche della stessa possano consentirle, anche per il fu-turo, un tenore di vita elevato.

Il concetto da cui parte la Corte lombarda, adeguandosi al nuovo orientamento giurisprudenziale, è quello della sostan-ziale differenza tra l’assegno di mantenimento e quello divor-zile e, attesa la non ultrattività del matrimonio, a quest’ultimo va attribuita natura giuridica di mera funzione assistenziale, intesa come aiuto nei confronti di chi non sia assolutamente in grado di provvedere autonomamente ai propri bisogni.

Attualmente, ci ricorda la Corte d’Appello, la sola compa-razione dei redditi non è più elemento di per sé esaustivo ai fini della decisione. Le indagini del tribunale devono con-durre alla cognizione sulla capacità o meno del coniuge più debole di raggiungere una autonomia economica, la parte deve poter dimostrare gli sforzi intrapresi per il reperimento di una attività lavorativa. Quindi, l’attenzione si è spostata sulle condizioni soggettive del coniuge debole: adeguatezza dei mezzi, indipendenza economica e condizioni soggettive. Non va, tuttavia, trascurato l’esame dei redditi dell’obbligato e cioè la verifica se questi sia in grado di garantire l’indipen-denza dell’altro coniuge, senza subire un peggioramento delle proprie condizioni di vita.

Il principio cardine che assicura tale equilibrio, sostengono i giudici, è appunto quello della autoresponsabilità dei coniugi. Tuttavia, i nuovi percorsi giurisprudenziali non hanno abban-donato i valori costituzionali di solidarietà familiare

Nel corso di questi trent’anni (1987-2017) molte cose sono certamente cambiate nel diritto di famiglia, si è assistito ad un maggiore tecnicismo delle norme, tanto da far emergere la na-tura più economicistica della risoluzione della crisi familiare. Inoltre, è possibile, ormai, ritenere che la valutazione sulla ina-deguatezza dei mezzi si sia ormai adattata a quanto sostenuto in questi anni dalla giurisprudenza in tema di mantenimento del figlio maggiorenne, ossia è imprescindibile una demarcazione più netta tra il giudizio sull’an e il giudizio sul quantum. Alla luce di una metodologia civilistica è emersa la necessità, nella valutazione sulla previsione dell’assegno divorzile, di due fasi decisorie distinte: a) una attributiva; b) una quantificativa.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 11504/17 suggeri-sce che, in ragione della positiva decisione del giudice sull’an, per il quantum si rendono necessari altri parametri: la dura-ta del matrimonio, le ragioni della decisione e la precedente eventuale addebitabilità della separazione a carico del coniu-ge creditore. Solo col superamento positivo della domanda sull’an sarà possibile valutare l’entità dell’assegno.

I concetti di autoresponsabilità e autonomia del coniuge debo-le sono senz’altro condivisibili ma, in Italia, devono fare i conti con una attività lavorativa femminile di dimensioni notevol-

mente ridotte e sperequate rispetto a quella maschile. Che vi sia stato, comunque, in questi ultimi trent’anni, un positivo traghettamento delle donne da una funzione meramente accu-dente della famiglia alla possibilità di uscire dalle mura dome-stiche per concorrere all’economia familiare, si può sostenere senza tema di smentita. Al contempo, il permanere, nell’art. 37 cost. co. 2, di quella garanzia assistenziale per cui “le condi-zioni di lavoro (ndr. delle donne) devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre ed al bambino una particolare protezione”, imprime ancora oggi, all’interno della famiglia portatrice di “ruoli” spesso ben diffe-renziati e delineati, una sorta di legittimazione alla marginalità femminile. Ciò comporta che, in assenza di un adeguato inse-rimento della donna nel mondo del lavoro, un adeguato soste-gno del welfare, soprattutto nelle situazioni maggiormente di-sagiate, permarrà una inadeguatezza dei mezzi di sussistenza.

Un’ultima questione si pone all’interprete, cioè se sia possibile, dopo l’emissione della sentenza n. 11504/17, applicare l’art. 710 c.p.c. in assenza di un mutamento delle circostanze al solo fine di far valere il nuovo orientamento. Quasi uno ius superveniens.

Infatti, uno degli aspetti di criticità processuale, a seguito del mutamento di orientamento giurisprudenziale, si rinviene nel-la necessità di modifica o revoca dei giudizi ancora pendenti (comprese le ordinanze presidenziali) e di quelli già conclusisi. Il processo civile italiano è caratterizzato dalla natura disposi-tiva della domanda, quindi se cambia l’onere probatorio di chi chiede l’assegno di divorzio, cosa succede se il giudizio è già incardinato con una differente prospettiva istruttoria? L’allega-zione è dalla parte richiedente, quindi si dovrebbe ipotizzare una nuova fase istruttoria con prove inverse.

La questione è stata, infatti, rimessa alle Sezioni Unite civili della Cassazione su iniziativa del Primo presidente Giovanni Canzio perché ritenuta questione di particolare importanza. A breve il decreto di fissazione dell’udienza che dovrebbe co-munque essere prevista per aprile 2018.

Al nuovo orientamento della S.C. della I sez., come soste-nuto, si sono adeguati diversi giudici di merito, senza che si attendesse l’ultima parola delle Sezioni Unite. Tra le nume-rose istanze approdate sul tavolo degli Ermellini vi è quella redatta al prof. Bruno Sassani, docente di procedura civile a Tor Vergata a Roma. Egli ha espresso le proprie perplessità evidenziando come la I sez. della medesima Corte si fosse di molto allontanata dal precedente giurisprudenziale del 1990 senza tener conto delle norme del codice di procedura in base alle quali “se la sezione semplice ritiene di non condividere il prin-cipio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, rimette a queste ulti-me, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso”. Intervento delle Sezioni Unite che era stato chiesto anche dalla Procura generale della Corte. Nel decreto di remissione si è, inoltre, sottolineato come vi sia un inevitabile “riflesso costituziona-to” di questo cambiamento che sta terremotando il diritto di famiglia. In attesa del lavoro delle Sezioni Unite queste riman-gono ancora questioni aperte.

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1. Negli anni 1989-90 era vivace il dibattito sulla interpre-tazione da dare a quel concetto di mezzi adeguati la cui non disponibilità l’art. 5 riformato della legge sul divorzio aveva posto come condizionante la spettanza dell’assegno. Lo sfor-zo esegetico era appunto rivolto a fornire concretezza ad un dato normativo che il legislatore del 1987 aveva omesso di precisare.

Tale dibattito fu significativamente alimentato dalla sentenza n. 1652 del 1990, che innovando rispetto a precedenti orien-tamenti stabilì che ai fini dell’attribuzione dell’assegno la va-lutazione relativa alla adeguatezza dei mezzi economici del richiedente “deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso, quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale”.

È importante riportare il passaggio centrale della contorta motivazione: “Questa conclusione aderisce, da un lato, ad una ricostruzione del sistema che non lascia spazio alla improbabile sopravvivenza di uno status economico connesso ad un rappor-to personale definitivamente estinto (ma, se fosse vero il contra-rio, matrimonialmente indissolubile) e soddisfa, dall’altro, quelle esigenze solidaristiche che trovano non nel suo fittizio prolunga-mento, ma nella sua cessazione la propria ragione giustificatrice, liberando, ad un tempo, la condizione coniugale da connotazioni marcatamente patrimonialistiche, che, dando per acquisite e for-nite di ultrattività posizioni, molte volte, di “pura rendita”, oltre a stravolgere l’essenza del matrimonio, ne possono favorire la di-sgregazione, deresponsabilizzando il beneficiario e, una volta che questa si sia verificata, assolverlo dall’obbligo di attivarsi per re-alizzare con le proprie risorse la sua personalità e acquisire, così, una dignità sociale effettiva e condivisa”.

Detta pronuncia fu oggetto di ampie critiche al nostro in-terno ed anche in ambito accademico: attenta dottrina le contestò di aver assunto una posizione reazionaria ed indi-vidualistica, che ignorava il principio di solidarietà postma-trimoniale, di cui pure affermava la vigenza. I commentatori più avvertiti non mancarono di evidenziare che alla decisione poteva essere attribuita una certa valenza promozionale, nei limiti in cui intendeva incoraggiare la donna ad uscir fuori dalle pareti domestiche alla ricerca di una realizzazione ester-na, ma che tale ricerca poteva essere vanificata dai condizio-namenti che la donna – specie se non più giovane e priva di adeguate esperienze lavorative – continuava a subire nella società. Altri osservarono che un assegno divorzile così deter-minato rischiava di trasformare il divorzio, nella gran parte dei casi, in un ripudio a buon mercato del coniuge più debole.

Intervennero infine le Sezioni Unite con le sentenze n. 11489, 11490, 11491 e 11492 del 1990, le quali, come è noto, affermarono che “il presupposto per concedere l’assegno è costituito dall’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente […] a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in co-stanza di matrimonio, senza che sia necessario uno stato di bi-sogno dell’avente diritto, il quale può essere anche autosufficiente

economicamente” e che “la misura concreta dell’assegno – che ha carattere esclusivamente assistenziale – deve essere fissata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione fami-liare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio) con riguardo alla pronuncia di divorzio”.

Le Sezioni Unite ebbero cura di precisare in motivazione che il diverso orientamento di Cass. n. 1652 del 1990 era smentito dai lavori preparatori della riforma del 1987, ed in particolare dalla Relazione al disegno di legge, e che l’avvenuta eliminazione ad opera della novella dei due criteri compensa-tivo e risarcitorio (ora degradati a meri elementi di quantifi-cazione) non escludeva che la funzione assistenziale residuale dell’assegno conservasse la precedente valenza.

Osservarono altresì che lo scopo di evitare rendite parassi-tarie ed ingiustificate proiezioni patrimoniali di un rapporto personale ormai sciolto era garantito dalla prudente utilizza-zione dei vari criteri di quantificazione, in una visione pon-derata e globale.

A tali principi la successiva giurisprudenza di legittimità si è costantemente ispirata, pur introducendo piccoli correttivi diretti a puntualizzare i singoli criteri.

L’adesione agli enunciati delle Sezioni Unite ha consentito negli anni di rendere risposte di giustizia aderenti alla specifi-cità delle situazioni fattuali esaminate, attraverso un percorso diretto a determinare innanzi tutto, quale dato di partenza, il tenore di vita preesistente e quindi a procedere, nella seconda fase, all’applicazione dei criteri di quantificazione, cui si rico-nosceva, anche singolarmente, una influenza tale non solo da incidere sotto il profilo quantitativo, ma anche da escludere in concreto la spettanza dell’assegno.

È così accaduto che il diritto sia stato negato nel caso di matrimoni di brevissima durata, o anche nell’ipotesi di so-stanziale parità delle condizioni reddituali e/o patrimoniali dei coniugi ovvero in presenza di un comportamento di uno dei due gravemente lesivo degli obblighi matrimoniali, per effetto del riconosciuto valore assorbente dei pertinenti criteri di quantificazione.

2. La recente decisione n. 11504 del 2017 ha inteso stravolge-re tale orientamento, ritenendo opportuno correggere la mo-tivazione della sentenza di appello il cui dispositivo di rigetto ha peraltro ritenuto conforme a diritto.

A tale pronunzia vanno formulati numerosi rilievi critici, sia nel metodo che nel merito.

Innanzi tutto essa non sembra condivisibile lì dove afferma che l’essere trascorsi quasi ventisette anni dalla sentenza delle Sezioni Unite rende non più attuale l’orientamento da esse espresso, così da esimere il Collegio dall’osservanza del pre-cetto di cui all’art. 374, comma 3, c.p.c. È di chiara evidenza il cortocircuito che inficia tale ragionamento: la non attualità

iL NuOvO che SA tANtO Di vecchiOGABRIELLA LuCCIOLIGià Presidente della sez. I della Corte di cassazione

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

di quell’orientamento era proprio la questione sulla quale le Sezioni Unite avrebbero dovuto esprimersi e della quale sono state non correttamente deprivate.

Va inoltre osservato sul punto che non può essere invocato il decorso del tempo quando i principi enunciati dalle Sezioni Unite costituiscono tuttora diritto vivente, ponendosi come criteri fondamentali di riferimento nelle decisioni dei giudici di merito.

Quanto al merito, vari passaggi motivazionali appaiono non condivisibili.

In primo luogo, non è giuridicamente esatto affermare che una volta sciolto il matrimonio il rapporto coniugale “si estin-gue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniu-gi […] sia dei loro rapporti economico-patrimoniali”: a smenti-re l’assunto è sufficiente ricordare il diritto alla quota della pensione di reversibilità (art. 9), alla quota della indennità di fine rapporto (art. 12 bis), all’assegno a carico dell’eredità (art. 9 bis), che il legislatore ha riconosciuto al soggetto titolare di assegno di divorzio: la partecipazione dell’ex coniuge alla posizione economica dell’altro coniuge derivante dai rapporti richiamati trova pur sempre la sua ragione ultima nel fatto oggettivo della pregressa esistenza di un vincolo matrimoniale ormai disciolto.

In secondo luogo, con il sostenere che il perimetro del te-nore di vita induce inevitabilmente una indebita commistione tra le due fasi dell’an e del quantum e tra i relativi accertamenti e che addirittura ogni riferimento a detto tenore di vita finisce illegittimamente per ripristinare il rapporto coniugale in una indebita prospettiva di “ultrattività” del vincolo, la sentenza offre una lettura non corretta dell’itinerario ermeneutico trac-ciato dalla giurisprudenza contestata: ed invero, come già os-servato, il tenore di vita pregresso costituisce soltanto il dato di partenza, l’elemento rilevante esclusivamente ai fini di una astratta spettanza dell’assegno, e su tale dato devono operare i vari criteri di quantificazione, che possono dispiegare anche effetti di esclusione del beneficio.

Nessun diritto alla conservazione del tenore di vita, dunque, ma solo l’individuazione di un necessario parametro di rife-rimento dal quale prendere le mosse. Un parametro peraltro capace di tener conto e di includere la sinergia di apporti, sul piano meramente economico e su quello dell’attività di cura della famiglia, sul piano del lavoro retribuito esterno e di quello non retribuito interno, che hanno reso possibile il delinearsi di quel determinato “tenore di vita”.

Appare pertanto evidente che soltanto l’assunzione come dato di riferimento di detto tenore di vita, e non già dell’au-tosufficienza economica, può consentire il riconoscimento dell’apporto, delle rinunce e dei sacrifici compiuti da uno dei coniugi in favore dell’altro e del nucleo familiare.

Ed ancora, le considerazioni svolte circa l’avvenuto supe-ramento della concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva e circa l’attualità della vi-sione di esso come atto di libertà e di responsabilità in quanto tale dissolubile appaiono tanto ovvie da risolversi nella in-conferenza: il principio di indissolubilità del vincolo, con le relative implicazioni, è venuto meno sin dal 1970.

Non può peraltro non sottolinearsi che il riferimento ad una “illegittima locupletazione” cui è necessario porre termine ap-pare del tutto sganciato da dati di realtà: prescindendo dai casi fuorvianti di ex coniugi titolari di grandi ricchezze, da

indagini statistiche emerge che nel 2015 l’assegno medio li-quidato è stato di 533 euro al mese, ma che per coloro che dichiaravano un reddito non superiore a 29.000 euro annui il suo ammontare è stato di circa 300 euro mensili. Altri dati evidenziano che soltanto nel 12% dei casi vi è attribuzione dell’assegno. Sembra pertanto corretto argomentare che l’as-segno di divorzio, ove attribuito, piuttosto che consentire al beneficiario un tenore di vita analogo a quello goduto duran-te il matrimonio, lo costringe spesso a pesanti sacrifici per la sopravvivenza (senza peraltro negare le restrizioni cui può essere soggetto anche l’altro coniuge).

Del tutto improprio è ancora aver tratto argomento, a so-stegno della opzione interpretativa adottata, dalla disciplina dell’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente. È certamente vero che detto assegno è condi-zionato dalla mancanza senza colpa di indipendenza econo-mica dei figli, ai sensi dell’art. 337 septies, primo comma, c.c., così da chiamare in causa il principio di “autoresponsabilità economica”, ma è altrettanto vero che tale emolumento trova ragione nel perdurante dovere dei genitori di assicurare alla prole anche dopo la maggiore età educazione ed istruzione, aiutandola nel difficile percorso verso il raggiungimento della autosufficienza, e resta per sua natura del tutto immune da ogni valutazione in termini di solidarietà postconiugale e di valorizzazione del contributo reso alla vita della famiglia.

Anzi, a ben vedere tale erroneo accostamento riflette con particolare efficacia la visione limitata ed individualistica che ispira la decisione.

Quanto poi al riferimento ad altri ordinamenti europei come esempi da imitare nella rigorosa adesione al principio di autoresponsabilità economica, può osservarsi in contrario che secondo radicata opinione fondata su dati di esperienza il nostro Paese fornisce gli strumenti meno efficaci, al momento della crisi del vincolo, a tutela del coniuge più debole che abbia dedicato durante il matrimonio tempo ed energie all’at-tività di cura della famiglia, al prezzo di definitive rinunce ad un futuro professionale conforme alle sue aspirazioni e alle sue capacità.

Ricordo in particolare che nel Regno Unito il principio del clean break trova significativo temperamento nell’attribuzione di beni, e talvolta anche nella concessione di una somma pe-riodica, al coniuge che si è dedicato alla cura dei figli.

Anche nel sistema tedesco è possibile che il giudice, oltre la redistribuzione della ricchezza attraverso i conguagli imposti dal regime patrimoniale legale, disponga il pagamento di un assegno periodico di natura eminentemente assistenziale,

Ricordo altresì che il sistema statunitense prevede il riequili-brio della situazione patrimoniale tra gli ex coniugi attraverso l’equa distribuzione dei beni acquistati anche separatamente durante il matrimonio.

Segnalo ancora che secondo alcuni osservatori nel caso di matrimoni connotati da profili internazionali è frequente as-sistere a fenomeni di forum running, nei quale il coniuge più forte cerca di assicurarsi la giurisdizione del giudice italiano.

Ma ciò che soprattutto colpisce nella lettura della sentenza in discorso è l’identità della ideologia ad essa sottesa con quel-la che ispirò la decisione

n. 1652 del 1990 (è sufficiente mettere a confronto le due motivazioni): lo stesso spirito promozionale, lo stesso argo-mentare in termini di autosufficienza, la stessa disattenzione

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

per la tutela dei soggetti deboli, lo stesso rifiuto di distinguere tra rendite effettivamente ingiustificate e riconoscimento dei sacrifici di una vita per le esigenze della famiglia.

In conclusione, ancorare il giudizio alla mera autosuffi-cienza vuol dire negare il contributo che il coniuge econo-micamente più debole ha dato alla vita matrimoniale, spesso sacrificando a vantaggio delle esigenze dell’altro coniuge e dei figli gran parte della propria esistenza. Questo non solo è giu-ridicamente sbagliato, ma è profondamente ingiusto.

Togliere al coniuge più debole ritenuto autosufficiente il di-ritto all’assegno vuol dire anche togliergli il diritto alla quota della pensione di reversibilità, che sarà interamente percepita dal coniuge superstite, anche se il relativo vincolo matrimo-niale abbia avuto durata brevissima, così come vuol dire to-gliergli il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto e all’assegno a carico dell’eredità.

Il principio di autoresponsabilità economica invocato esige che il soggetto debole si dia da fare, recuperi il tempo perdu-

to, si cerchi una qualsiasi occupazione, anche se avanti negli anni, anche se privo di qualsiasi professionalità da spendere in un mercato del lavoro così avaro di opportunità per tutti, e soprattutto per chi ha poco da offrire.

Il distacco dalla realtà del nostro Paese e l’adesione ideolo-gica ad un principio astratto di autosufficienza ha indotto la Corte di Cassazione ad una opzione interpretativa che certa-mente peggiora la condizione sociale delle donne che (for-se) intendeva promuovere, aprendo nuovi fronti di contrasto all’interno della famiglia.

Peraltro l’esigenza di porre un argine a casi limite ben poteva e può essere soddisfatta attraverso una corretta applicazione dei principi fissati dalle Sezioni Unite: ed in tal senso avevano già pronunciato nella specie i giudici di Milano, rigettando la domanda di attribuzione dell’assegno.

Resta l’amara considerazione che ogni diritto acquisito non è per sempre. Resta la fiducia in un nuovo intervento delle Sezioni Unite, esattamente come avvenne nel 1990.

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

L’art. 376 così recita:”La parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a dieci giorni prima dell’udienza di discus-sione del ricorso.

All’udienza della sezione semplice, la rimessione può essere disposta soltanto su richiesta del pubblico ministero o d’uffi-cio, con ordinanza inserita nel processo verbale”.

La prima sezione della Cassazione ha deciso improvvi-samente negli ultimi mesi di abbandonare per il divorzio il riferimento al pregresso tenore di vita quale parametro fina-lizzato all’attribuzione dell’assegno, agganciando il diritto del coniuge richiedente al parametro dell’indipendenza economi-ca, suggestivamente definito “criterio dell’autoresponsabilità” (Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2017, n. 11504). Le posizioni espresse da questa sentenza erano ben note per essere com-parse, a firma dello stesso relatore della sentenza, nella rivista Questione giustizia dell’11 marzo 2016, con il titolo “L’asse-gno divorzile e il dogma della conservazione del tenore di vita matrimoniale”.

Nonostante la discutibilità della decisione e della motiva-zione – che ha suscitato solo perplessità e dissensi nel foro e in dottrina – la prima sezione della Cassazione ha insistito su questa linea interpretativa (Cass. civ. Sez. VI - 1, 29 ago-sto 2017, n. 20525 che ha ribadito gli stessi principi e Cass. civ. Sez. VI - 1, 9 agosto 2017, n. 19920 che ha rimesso alla prima sezione in seduta pubblica un ricorso che ripropone lo stesso tema).

L’interpretazione finora vivente dell’art. 5, comma 6, del-la legge sul divorzio secondo cui l’attribuzione del diritto all’assegno divorzile è subordinata al fatto di non avere red-diti “adeguati a mantenere tendenzialmente il tenore di vita goduto nel corso della convivenza matrimoniale”, si deve a Cass. civ. Sez. Unite, 29 novembre 1990, n. 11490. Si tratta dell’unica interpretazione ragionevole perché – a differenza di quella oggi proposta dalla prima Sezione (che propone uno sbarramento radicale nella fase preliminare dell’accertamento

del diritto) – contiene in sé la possibilità di garantire che in fase di quantificazione dell’assegno siano eliminate le possibili storture e le possibili rendite parassitarie.

Nonostante, però, la richiesta da più parti avanzata (anche dal Procuratore generale all’udienza pubblica) di rimettere la questione alle Sezioni Unite per una doverosa verifica (con-fermativa o modificativa) dei principi affermati su una così indubbia “questione di particolare importanza” (art. 374, se-condo comma) – anche per i suoi incommensurabili riflessi sociali – la prima sezione dichiara (espressamente nella senten-za 11504/2017) che non intende confrontarsi con le Sezioni Unite, ostinandosi a condurre da sola una rivoluzione che i giu-dici di merito non possono esimersi dall’attuare in quanto alla Cassazione l’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario attribuisce la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge.

L’ostinazione della prima Sezione è contra legem in quanto il secondo comma dell’art. 374 c.p.c. dopo aver affermato che “il primo presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi che presentano una questione di di-ritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza” prescrive testualmente che “Se la sezione sempli-ce ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso”.

Poiché la Prima Sezione della Cassazione non ha alcuna intenzione di adeguarsi al dettato normativo e non intende rimettere la questione alle Sezioni Unite, non resta che auspi-care che siano gli avvocati a richiederlo.

La norma di riferimento è il secondo comma dell’art. 376 c.p.c. secondo cui “La parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a dieci giorni prima dell’udienza di discus-sione del ricorso”

Utilizziamo questa norma per vincere le resistenze della pri-ma sezione della Cassazione.

cONtrO L’OStiNAziONe DeLLA PrimA SeziONe Può eSSere utiLe ricOrDAre iL SecONDO e iL terzO cOmmA DeLL’Art. 376 c.P.c.GIAnFRAnCO DOSIAvvocato in Roma, Presidente onorario di ONDiF

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

Onorevoli Colleghi! - Alcuni precedenti giurisprudenziali in materia di assegno divorzile hanno avuto vasta risonanza presso la pubblica opinione per l’eccessiva entità dell’assegno disposto a favore del coniuge “debole”. Per altro verso la cro-naca segnala spesso casi di difficili condizioni di vita in cui vengono a trovarsi gli ex-coniugi (generalmente i mariti) in quanto costretti a corrispondere un assegno che assorbe parte cospicua del loro guadagno.Si tratta di casi in cui si è applicata, non sempre appropriata-mente, la norma sull’assegno post-matrimoniale come inter-pretata da una consolidata giurisprudenza, che ravvisa, come primo presupposto e criterio di determinazione dell’assegno, l’assenza di un reddito sufficiente a mantenere il tenore di vita di cui si godeva in costanza di matrimonio.In sede di giurisprudenza di legittimità si è però avuto, di recente, un segno del tutto contrario (sentenza della Cassa-zione civile n. 11504 del 10 maggio 2017). Si è infatti affer-mato che l’assegno divorzile può essere concesso solamente all’ex coniuge che non abbia l’autosufficienza economica, che, cioè, non sia in grado di provvedere al proprio mantenimen-to. Adeguandosi a questa nuova interpretazione una recente ordinanza del tribunale di Milano, emessa il 22 maggio 2017, ha affermato che l’assegno può essere chiesto dall’ex coniuge avente diritto al gratuito patrocinio, ossia dall’ex coniuge che versa in condizione di povertà. In base alla nuova interpreta-zione, l’ex coniuge che non percepisca quanto è stretta mente necessario per vivere può pretendere solamente gli alimenti, senza che si possa fare alcun riferimento al rapporto matri-moniale ormai estinto. Nessuna rilevanza, conseguentemen-te, avrebbero, tra l’altro, la durata del matrimonio e l’impegno dedicato dal coniuge alla famiglia. Altre sentenze hanno inve-ce escluso che lo stato di povertà sia il necessario presupposto dell’assegno divorzile, per la determinazione del quale va te-nuto in conto, anche, ma non esclusivamente, il tenore di vita matrimoniale insieme ad altri criteri, come l’apporto persona-le ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare (tribunale di Udine, sentenza n. 513 del 1° giugno 2017). Il contrastante quadro giurisprudenziale che si è venuto a creare richiede un urgente intervento legislativo, volto a fissare pre-cise linee normative rispondenti all’esigenza di evitare, da un lato, che lo scioglimento del matrimonio sia causa di indebito arricchimento e, dall’altro, che sia causa di degrado esisten-ziale del coniuge economicamente debole che abbia confidato nel programma di vita del matrimonio, dedicandosi alla cura della famiglia rinunciando in tal modo a sviluppare una buo-na formazione professionale e a svolgere una proficua attività di lavoro o di impresa.

In tale direzione sono orientati gli ordinamenti europei dove è tenuta presente l’esigenza che al coniuge divorziato debole venga dato un aiuto economico destinato, per quanto possibi-le, a compensare la disparità o lo squilibrio economico creato dallo scioglimento del matrimonio (articolo 276, I comma, del codice civile francese; articolo 97, I comma, del codice civile spagnolo). Ai fini della determinazione di tale aiuto in qualche codice o legge è fatto espresso riferimento al livello di vita ma-trimoniale (paragrafo 1573 del codice civile tedesco; sezione 25, comma 2, lettera d), della legge matrimoniale inglese – Ma-trimoniai causes Act 1973) e ad altri elementi, quale la cura di un figlio comune alla quale sia chiamato il coniuge divorziato. Al tempo stesso è avvertita l’esigenza che la corresponsione dell’aiuto economico non dia luogo a risultati iniqui o favori-sca il coniuge per colpa esclusiva del quale è stato pronunziato il divorzio (articolo 370 del codice civile francese). Avvertita è anche l’esigenza di contenere nel tempo la durata dell’aiuto economico, prevedendone la corresponsione in una somma ca-pitale (articolo 270 del codice civile francese) o una limitazione temporale quando una corresponsione a tempo indeterminato risulti ingiustificata anche in considerazione della breve durata del matrimonio (paragrafo 1573 del codice civile tedesco).Le disposizioni di cui alla presente proposta sono volte a pre-vedere, anche nel nostro ordinamento, una soluzione di equi-tà familiare tanto attesa dalla società civile.

PROPOSTA DI LEGGEArt. 1.

1. Il sesto comma dell’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, è sostituito dal seguente:

“Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la ces-sazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone l’attribuzione di un assegno a favore di un co-niuge, destinato a compensare, per quanto possibile, la disparità che lo scioglimento o la cessazione degli effetti del matrimonio crea nelle condizioni di vita dei coniugi”.

2. Dopo il sesto comma dell’articolo 5 della legge 1° dicem-bre 1970, n. 898, sono inseriti i seguenti:

“Nella determinazione dell’assegno il tribunale valuta le condizioni economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito della fine del matrimonio; le ragioni dello scio-glimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio; la durata del matrimonio; il contributo personale ed eco-nomico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune; il reddito di entrambi, l’impegno di cura personale di figli comuni minori o disabili, assunto dall’uno o dall’altro co-

cAmerA Dei DePutAti n. 4605PrOPOStA Di Legge

D’INIZIATIVA DEI DEPUTATIFERRANTI, VERINI, DAMBRUOSO, ROSSOMANDO, MATTIELLO, GIULIANI, IORI, AMODDIO, GIUSEPPE GUERINI,

TARTAGLIONE, ZAN

Modifiche all’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguitodi scioglimento del matrimonio o dell’unione civile

Presentata il 27 luglio 2017

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

niuge; la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni ogget-tive; la mancanza di un’adeguata formazione professionale quale conseguenza dell’adempimento di doveri coniugali.

Tenuto conto di tutte le circostanze il tribunale può pre-determinare la durata dell’assegno nei casi in cui la ridot-ta capacità reddituale del richiedente sia dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili.

L’assegno non è dovuto nel caso in cui il matrimonio sia cessato o sciolto per violazione, da parte del richiedente l’assegno, degli obblighi coniugali”.

3. Ai sensi dell’articolo 1, comma 25, della legge 20 maggio 2016, n. 76, le disposizioni introdotte dal comma 1 del presente articolo si applicano anche nei casi di sciogli-mento delle unioni civili.

4. Al comma 25 dell’articolo 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76, le parole: “dal quinto all’undicesimo comma” sono sostituite dalle seguenti: “dal quinto al quindicesimo comma”.

1. Le ragioni del progetto

A seguito delle sentenze della S.C. che hanno avviato nel 2017 un improvviso revirement al consolidato orientamento, offerto da alcune sentenze delle sezioni unite degli anni no-vanta del secolo scorso, sui criteri di determinazione dell’as-segno divorzile – risultandone mutato il riferimento al criterio perequativo del “tenore di vita”, verso una dimensione esclu-sivamente “assistenziale”, si dovrebbe forse dire “alimentare” – il legislatore ha reagito con un progetto di legge, di cui si è riprodotto il contenuto, prima firmataria l’On. Ferranti.

In sede di Commissione, presieduta dalla stessa prima fir-mataria, anche ONDiF ha avuto l’opportunità di esprimere alcune considerazioni critiche, che vengono offerte con il pre-sente scritto agli associati.

2. La opportunità della soluzione

ONDiF, come tutte le associazioni familiariste, è divisa sulla opportunità degli opposti indirizzi, tra chi radicalizza gli ef-fetti dello scioglimento, senza farne sopravvivere alcuno pur fondato sul tenore di vita familiare, e chi rivaluta, anche dopo lo scioglimento, un principio solidaristico. Non vi è perciò ragione per offrire una soluzione agli opposti indirizzi.

Pare invece necessario esaminare da un punto di vista tec-nico-legislativo il progetto, con spunti critici che potrebbero essere all’origine di opportuni emendamenti.

3. il problema di una legge contro un orientamento giurisprudenziale

Appare anzitutto da porre in serio dubbio che a fronte di un orientamento giurisprudenziale, che detta una regola con-

creta ad una fattispecie, il legislatore possa intervenire per modificarla. Non vi è dubbio che l’occasione dell’intervento sia infatti esclusivamente quella di porre una barriera ad un orientamento giurisprudenziale.

Si tratta di un delicato problema che involge i rapporti tra poteri, quello giudiziario e quello legislativo. Le ricadute sono estremamente rilevanti.

Se al giudizio di Cassazione segue un giudizio di rinvio, il legislatore potrebbe modificare l’orientamento della S.C. e imporre al giudice di rinvio una regola diversa e contraria?

Diversa sarebbe l’ipotesi in cui il legislatore, nel disciplinare una materia con un respiro di riforma generale, abbia regolato anche un rapporto già oggetto di orientamento del giudice di legittimità, in cui l’occasione è la riforma generale e non l’orientamento del giudice di legittimità.

Ad esempio sarebbe stato forse auspicabile un intervento sull’opportunità o meno del procedimento di separazione an-teposto a quello di divorzio, nel contesto del quale riscrivere la norma sul contributo economico.

È evidentemente implicato il rispetto di principi di rango costituzionale.

4. La prevalenza di un criterio sugli altri e la giusti-zia del caso singolo

Come la sentenza di legittimità che, nell’interpretare e appli-care l’art. 5 della legge n. 898 del 1970, pone uno dei criteri suggeriti dal legislatore come prioritario (sull’an), quello as-sistenziale, il progetto pone come prioritario (sempre sull’an) un criterio opposto, quello perequativo, esasperato all’estre-mo, perché destinato anche a superare il limite del tenore di vita (“destinato a compensare, per quanto possibile, la disparità”).

iPOteSi Di emeNDAmeNtO ALLA PrOPOStA Di Legge FerrANti N. 4605 DeLLA cAmerA Dei DePutAti, A SeguitO DeLL’AuDiziONe DeL 12 NOvembre 2017CLAuDIO CECChELLAPresidente ONDiF

Sommario: 1. Le ragioni del progetto. - 2. La opportunità della soluzione. - 3. Il problema di una legge contro un orientamento giurisprudenzia-le. - 4. La prevalenza di un criterio sugli altri e la giustizia del caso singolo. - 5. Le ricadute processuali: il legislatore non può sempre tacere sul processo. I giudizi pendenti. - 6. Segue. La modifica o revoca dei giudicati. - 7. Una nuova ipotesi di divorzio con addebito?

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Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio DOSSier

Attraverso la distinzione tra an e quantum la sentenza fa lo stesso errore1:

“Il parametro del ‘tenore di vita’ – se applicato anche nella fase dell’an debeatur – collide radicalmente con la natura stes-sa dell’istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici: infatti, come già osservato […] con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale – a differenza di quanto accade con la separazione personale, che lascia in vigore, seppure in forma at-tenuata, gli obblighi coniugali di cui all’art. 143 cod. civ. Tanto premesso, decisiva è, pertanto – ai fini del riconoscimento, o no, del diritto all’assegno di divorzio all’ex coniuge richiedente –, l’in-terpretazione del sintagma normativo ‘mezzi adeguati’ e della di-sposizione ‘impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive’ nonché, in particolare e soprattutto, l’individuazione dell’indispensabile ‘parametro di riferimento’, al quale rapportare l’‘adeguatezza-inadeguatezza’ dei ‘mezzi’ del richiedente l’assegno e, inoltre, la ‘possibilità-impossibilità’ dello stesso di procurarseli”.

In realtà l’art. 5 pone una serie di criteri sullo stesso piano, perché (correttamente) esalta – in questo ambito così rilevan-te – la giustizia del caso concreto, con il rilievo di parametri di cui nessuno è prioritario all’altro (parametri che il proget-to, si deve dire, indica in maniera nuova e più completa al suo secondo comma, introducendo un settimo comma all’art. 5 cit.). In questo modo si lascia al giudice una valutazione discrezionale della concreta fattispecie nell’applicazione dei parametri legislativi.

Questo è possibile fornendo i criteri e le regole senza una loro gerarchia, affinché nella loro applicazione il giudice pos-sa cogliere gli aspetti particolari del caso che si presenta.

Dunque attraverso la gerarchia dei parametri il progetto pecca dello stesso errore contenuto nella sentenza.

Sarebbe necessario perciò, in sede di emendamento, inserire i criteri di cui al primo comma nell’ambito di quelli di cui al secondo, tutti collocati allo stesso livello.

5. Le ricadute processuali: il legislatore non può sempre tacere sul processo. i giudizi pendenti

Ma vi è un aspetto sul quale la sentenza di legittimità, come il progetto, pongono tanti quesiti: è la ricaduta processuale.

È stigmatizzabile e criticabile l’atteggiamento consueto del legislatore nel diritto di famiglia, costituito dalla regolamen-tazione del diritto sostanziare dimenticando di coordinare di conseguenza il diritto processuale.

Il tema coinvolge anzitutto i giudizi pendenti aventi ad og-getto l’assegno di divorzio.

È noto come tale diritto è fuoriuscito da tempo dal regime della indisponibilità, rientrando nella piena disponibilità dei coniugi, seppure con minimi garantiti dalla legge imperativa: non esiste più un divieto di oggetto dell’accordo tra le parti, ma un divieto di contenuto. Dunque il diritto è soggetto alla piena applicazione delle regole del processo dispositivo.

Ne segue, e sul punto la S.C. è assolutamente in linea e co-erente, che il coniuge che pretende l’assegno deve allegare e provare tutte le circostanze rilevanti ai fini dell’applicazione dei parametri legislativi, non potendo il giudice supplire alla carente difesa della parte.

1 Cassazione Civile, sez. I, sentenza 10/05/2017 n. 11504, cit. nel dossier.

Ma se così è, l’improvviso mutamento di indirizzo che sce-glie come preminente un parametro piuttosto che l’altro e che distingue l’an dell’assegno rispetto al quantum, non può che “spiazzare” la parte nella sua difesa, soprattutto quando sono maturati i termini decadenziali, come quelli delle memorie integrative ex art. 709. u.c., c.p.c., e quelli delle memorie istruttorie ex art. 183, 6° comma c.p.c., non potendo la parte essere rimessa in termini per le intervenute decadenze (salvo invocare l’applicazione dell’art. 153 c.p.c., in un contesto giu-risprudenziale molto restio all’applicazione della rimessione in termini).

È allora necessario che il legislatore, nel codificare la gerar-chia dei criteri e nel distinguere un giudizio sull’an, rispetto ad un giudizio sul quantum, debba stabilire esplicitamente che nei processi pendenti, nel mutato quadro legislativo, sia consentito alle parti integrare le difese con nuove allegazioni e prove, prevedendo la piena applicazione dell’art. 153 c.p.c.

6. Segue. La modifica o revoca dei giudicati

È noto come anche a seguito del nuovo orientamento della S.C., i giudici di merito si siano affrettati, onde calmierare i carichi pendenti, ad escludere la revoca e/o modifica dei giu-dicati ex art. 710 c.p.c. o art. 9, legge n. 898 del 1970, evi-denziando come un mutato orientamento giurisprudenziale non possa integrare quel fatto sopravvenuto che consente la revisione del giudicato rebus sic stantibus.

Ora se si può convenire che il mutato orientamento giu-risprudenziale non sia un fatto sopravvenuto, né probabil-mente neanche uno ius superveniens, si deve tener conto che il progetto di legge, se diventerà legge, è uno ius superveniens.

Pertanto nel rapporto di durata, al quale deve assimilarsi il rapporto all’origine dell’obbligo di pagamento dell’assegno di divorzio, che non si estingue con un’unica prestazione ma che impone all’obbligato prestazioni periodiche, per lo più mensili, il giudicato non potrà essere messo in discussione, per gli effetti della parte del rapporto già esaurito, ma certa-mente potrà dare origine ad una pretesa nuova e modificatrice del giudicato per le prestazioni future, le quali devono essere assoggettate comunque alla legge nuova.

A tale aspetto si giunge con un’interpretazione sistematica sui limiti cronologici del giudicato, ma onde evitare atteg-giamenti restrittivi della giurisprudenza, non sarebbe male un’espressa previsione legislativa.

7. una nuova ipotesi di divorzio con addebito?

L’ultima previsione del primo comma dell’art. 1 (“l’assegno non è dovuto nel caso in cui il matrimonio sia cessato o sciolto per violazione, da parte del richiedente l’assegno, degli obblighi coniugali”) rischia di introdurre la pericolosa appendice del giudizio di addebito nell’ambito del giudizio di scioglimento del matrimonio.

Esiste già ed è prevalente un orientamento in seno alle as-sociazioni specialistiche e alle associazioni dei magistrati, vol-to ad auspicare l’abrogazione delle norme sull’addebito della separazione, fonte di accentuazione del conflitto e origine spesso di una dilazione dei tempi di esaurimento del procedi-mento giurisdizionale.

La norma rischia di introdurre nel giudizio sullo scioglimen-to del matrimonio un nuovo episodio processuale, destinato

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DOSSier Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio

ad accertare, ai fini della liquidazione dell’assegno, la sussi-stenza o meno di violazioni agli obblighi coniugali da parte del richiedente.

Senza poi dimenticare i rapporti tra il corrispondente giu-dizio in sede di separazione, che magari, in virtù delle norme sul divorzio breve, rischia di pendere contemporaneamente, con enorme difficoltà di coordinamento.

Perché avere isolato la violazione degli obblighi rispetto ai criteri dettati al settimo comma novellato dell’art. 5 cit.? vi era

già il riferimento agli obblighi matrimoniali nel precedente comma “ragioni dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”. La duplicazione del criterio, reso esplicito in separato comma, rischia di aprire le porte del procedimento divorzile al giudizio di addebito, ciò che è auspicabilmente da escludere, anche nella sua sede attuale, ovvero nel giudizio di separazione.

Si auspica, per questo aspetto, la abrogazione del nono com-ma dell’art. 5 cit., novellato dalla proposta di legge.

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133L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-dicembre 2017

La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista DOSSier

1. La negoziazione assistita “da uno più avvocati”

La negoziazione assistita da uno o più avvocati, che per le materie indicate all’art. 3 del D.L. 132/14 è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, consiste in un ac-cordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la con-troversia tramite l’assistenza dei propri avvocati.

Analogamente ai procedimenti di mediaconciliazione di cui al D.lgs. n. 28/2010, la negoziazione assistita è una forma di risoluzione non aggiudicativa della controversia, che tende a favorire il raggiungimento di un accordo transattivo tra le parti.

Qualora il procedimento vada a buon fine, l’accordo, sotto-scritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, sarà titolo esecutivo, nonché titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. b), la procedura di nego-ziazione assistita può essere esperita ogniqualvolta la contro-versia non riguardi diritti indisponibili o non verta in materia di lavoro.

Si intende in questa sede approfondire il ruolo dell’avvocato nel procedimento sopra delineato, sia sotto il profilo delle ob-bligazioni che questi assume nei confronti delle parti, sia con riferimento ai profili deontologici.

È infatti stato unanimemente osservato che l’avvocato non si limita a quanto previsto dall’art. 2, comma 6, del D.L. 132, secondo il quale gli avvocati “certificano l’autografia delle sot-toscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria respon-sabilità professionale”.

Un primo problema da affrontare è quello del numero degli avvocati coinvolti nella procedura.

La norma fa riferimento all’assistenza di “uno o più avvo-cati”, dunque deve evincersi che sia possibile, per le parti,

concludere la convenzione con l’assistenza di un solo legale, che cerchi di favorire un accordo tra le parti.

Si è osservato come la soluzione sia scarsamente opportuna, e si sono sollevati dubbi sulla possibile situazione di conflitto di interessi del legale che assista entrambe le parti1.

In realtà non pare sussistere un potenziale conflitto di in-teressi per l’avvocato che si limiti ad assistere le parti nella procedura di negoziazione, in quanto in quel caso l’avvocato svolgerebbe niente più e niente meno che una funzione di conciliatore2; diverso se quello stesso avvocato assumesse in seguito un mandato giudiziale da una delle parti nei confronti dell’altra, su cui torneremo infra.

Non si concorda invece sul fatto che nella procedura di nego-ziazione “non è previsto alcuno spazio per i difensori”3, in quan-to, laddove ciascuna parte si faccia assistere dal proprio avvoca-to, questi, pur dovendo favorire per quanto possibile la concilia-zione, agiranno su mandato e nell’interesse del proprio assistito.

La disposizione in commento fa sorgere problemi anche dal punto di vista processuale.

Premesso che, laddove l’accordo sia stipulato senza l’assi-stenza di alcun avvocato, esso debba essere considerato nul-lo, come è stato correttamente evidenziato4, la previsione che un solo avvocato possa assistere le parti nella procedura di negoziazione lascia aperta la possibilità che il destinatario dell’invito di cui all’art. 3 (in caso la negoziazione assistita sia condizione di procedibilità della domanda giudiziale) ri-

1 Così D. Borghesi, La delocalizzazione del contenzioso civile: sulla giustizia sventola bandiera bianca ?, in www.judicium.it., p. 13.

2 Cfr. R. Bolognesi, Il “contratto” sulla procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, in www.judicium.it, p. 9.

3 Cfr. R. Bolognesi, ibid.4 Cfr. R. Bolognesi, op. cit., p. 9.

DOSSier

La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista

Con un contributo di Andrea Mengali su “Il ruolo dell’avvocato nelle procedure di negoziazione assistita.Le nuove norme deontologiche”, di Claudio Cecchella su “La negoziazione dei diritti del minore”

e di Michela Labriola su “Negoziazione assistita e trascrizione nei registri immobiliari: chi autentica la firma?”

iL ruOLO DeLL’AvvOcAtO NeLLe PrOceDure Di NegOziAziONe ASSiStitA. Le NuOve NOrme DeONtOLOgicheAnDREA MEnGALIDottore di ricerca e avvocato in Pisa

Sommario: 1. La negoziazione assistita “da uno più avvocati”. - 2. La certificazione di autografia delle sottoscrizione. - 3. Il controllo sui requisiti di validità della convenzione di negoziazione assistita. - 3.1. Diritti indisponibili e controversie di lavoro. - 3.2. Le norme inderogabili e l’ordine pubblico. - 4. Le nuove norme deontologiche. - 4.1. Il dovere di informativa al cliente. - 4.2. L’art. 9 del D.L. 132/14. Incompatibilità tra avvocato “negoziatore” e arbitro. - 4.3. Segue: il dovere di lealtà. - 4.4. Segue: il dovere di riservatezza della negoziazione.

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DOSSier La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista

sponda allo stesso personalmente, anziché tramite il proprio avvocato. Tale situazione pare potersi delineare anche in caso di negoziazione “facoltativa”, almeno se si ritiene che l’art. 4 del D.L. 132/2014, che disciplina, tra le altre cose, la forma e il contenuto dell’invito nonché gli effetti della sua mancata accettazione, si applichi a prescindere che la negoziazione sia condizione di procedibilità. L’interpretazione estensiva (al di là dei dubbi di carattere letterale) pare in linea con lo spirito della riforma, che è quello di favorire la composizione della lite, posto che le previsioni di cui all’art. 4 predetto rispondo-no alla ratio di incentivare la conciliazione tra le parti5.

Ciò chiarito, per l’ipotesi in cui il destinatario dell’invito lo accetti senza l’assistenza di un difensore, la norma non preve-de espressamente che la parte cui è rivolto l’invito debba farsi assistere da un avvocato (diversamente da quanto prevede per la parte che rivolge l’invito, cfr. art. 3, comma 1 D.L. 132/14), anzi, indirettamente, sembrerebbe prevedere esattamente il contrario, poiché, come detto, consente che la convenzione sia conclusa anche con l’assistenza di un solo legale.

Si pone quindi il problema di stabilire come debba compor-tarsi l’avvocato che ha rivolto, per conto del proprio cliente, l’invito alla controparte, e si veda rispondere da questa nel senso della disponibilità a siglare la convezione, ma senza l’as-sistenza di un avvocato.

È difatti evidente che, laddove l’avvocato sottoscriva l’ac-cordo di negoziazione assistendo entrambe le parti, sarà vin-colato a queste sia dal punto di vista civilistico (inerente al rapporto di mandato professionale) che dal punto di vista de-ontologico, non potendo pertanto, se non in palese violazione dei propri obblighi, assistere una delle parti in una successiva controversia nei confronti dell’altra, laddove la procedura di negoziazione non vada a buon fine.

Di ciò gli interpreti hanno già dato conto, richiamando l’art. 24, comma 3, del nuovo codice deontologico, ritenendo che l’avvocato che assiste da solo le parti nella negoziazione assistita sarà tenuto, almeno sul piano deontologico, a non accettare l’incarico di difesa di alcuna di esse nel successivo eventuale giudizio6.

Con riferimento invece alla negoziazione assistita in mate-ria di famiglia, di cui all’art. 6 del D.L. 132/2014 conv. in L. 162/2014, i problemi sopra richiamati non si pongono.

L’art. 6 predetto, al comma 1, è infatti chiaro nello stabilire che la negoziazione assistita possa svolgersi solo con la pre-senza di “almeno un avvocato per parte”.

Tale previsione, si è sostenuto, costituisce conferma che, diver-samente, per la negoziazione assistita obbligatoria e facoltativa, in materie diverse da quelle previste dall’art. 6 predetti, sia suf-ficiente l’assistenza di un solo avvocato per entrambe le parti7.

Tornando alla negoziazione assistita relativa alle controver-sie civili di cui agli artt. 2 ss. del D.lgs n. 132, è stato osservato che l’avvocato possa essere nominato “da una sola parte per condurre le trattative nel proprio esclusivo interesse diretta-

5 Ciononostante la dottrina maggioritaria è contraria a tale interpretazione, ritenendo che l’art. 4 del DL 132/14 si applichi solo alla negoziazione obbliga-toria, cfr., anche per ulteriori riferimenti, F. cAmPione, La negoziazione assistita obbligatoria, in C. cecchellA, F. cAmPione, A. mengAli, P. ortolAni, a cura di C. cecchellA, La nuova giustizia civile, Milano, 2015, p. 110.

6 Cfr. R. Bolognesi, op. cit., p. 6.7 Cfr. F. cAmPione, La negoziazione assistita facoltativa, in La nuova giustizia

civile, cit., pp. 98 s., secondo il quale questo è l’argomento dirimente ai fini dell’adesione a tale interpretazione.

mente con la controparte”8, tuttavia la soluzione non convin-ce fino in fondo, perché la legge prevede che la parte debba essere assistita da un avvocato (anche) nel suo interesse, non (solo) nell’interesse dell’altra.

È difatti evidente che il ruolo dell’avvocato non si limiti all’assistenza nella redazione del contratto – convenzione (se così fosse, si potrebbe dubitare dell’incompatibilità tra l’atti-vità di redazione della convenzione per conto di una parte e la successiva difesa della controparte in giudizio), ma è esteso all’assistenza delle parti nella cooperazione “in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia”.

In ogni caso, anche a voler considerare il ruolo dell’avvocato alla stregua di un “notaio” della procedura, difficilmente si può pensare che gli sia imposto di certificare, ai sensi dell’art. 2, com-ma 6, del D.L. 132/14 (anche) l’autografia della sottoscrizione della controparte, attività che, come la legge ha cura di eviden-ziare, si svolge sono la propria responsabilità professionale.

Per ovvie ragioni, pertanto, non potendo la legge imporre al professionista un “contratto (di mandato) obbligatorio”, l’av-vocato della parte che ha proposto l’invito potrà rifiutarsi (ma non sarà obbligato a farlo) di assistere anche la controparte.

Quid juris, pertanto, se la controparte risponde all’invito personalmente e l’avvocato della parte che lo ha formulato si rifiuta di assistere entrambe?

Dalla disamina che precede, e ribadendo che l’assistenza di un avvocato è un elemento che non può assolutamente essere considerato facoltativo (si veda ancora la definizione della procedura di negoziazione di cui all’art. 2, comma 1, del D.L. 132, nonché la necessità dell’autenticazione della sot-toscrizione ai sensi del successivo comma 6 della medesima disposizione), pare doversi concludere, almeno ai fini della procedibilità della domanda in ipotesi di negoziazioni obbli-gatorie, per l’irrilevanza della risposta che equivarrà pertanto a mancata adesione all’invito.

Qualche dubbio in più sorge con riferimento agli effetti di cui all’art. 4 del D.L. 132/2014 derivanti dalla mancata ade-sione all’invito, poiché se da una parte si può ritenere, per le ragioni predette, che l’adesione all’invito senza l’assistenza di un avvocato non sia valida, pare irragionevole, alla luce della ratio della disposizione che è quella di sanzionare la parte non collaborativa, prevedere conseguenze negative per la parte che ha comunque manifestato la volontà di aderire alla procedura.

Ad ogni modo ben avrebbe fatto il legislatore a prevedere espressamente la necessità, per la parte cui è rivolto l’invito, dell’assistenza di un legale di fiducia, che di fatto, almeno se-condo chi scrive, va desunta dal sistema.

2. La certificazione dell’autografia delle sottoscrizioni

Come correttamente osservato gli art. 2, comma 5 e del D.L. 132/14 e 5, comma 2, estendono ad un atto stragiudiziale il potere di autentica della firma già previsto per gli avvocati in relazione agli atti processuali.

Si tratta della certificazione di autografie delle forme poste dalle parti (o dalla parte assistita) in calce alla convezione ed in calce all’eventuale accordo conciliativo.

Con riferimento al primo caso, la legge prevede espressamente che ciò avvenga “sotto la propria responsabilità professionale”.

8 Cfr. M. grADi, Inefficienza della giustizia civile e «fuga dal processo», in www.judicium.it, p. 85.

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La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista DOSSier

Si è giustamente osservato come si tratti di un previsione “sovrabbondante” che non è “facilmente spiegabile”9, essendo già di per sé evidente la responsabilità di un avvocato che certifica una sottoscrizione non autentica.

3. il controllo sui requisiti di validità della conven-zione di negoziazione assistita

L’avvocato avrà il compito, oltre che di certificare l’autografia della sottoscrizione del proprio assistito, ai sensi dell’art. 2, comma 6, D.L. 132/14, di verificare i requisiti di validità della convenzione.

Tra questi essenziale il requisito della forma scritta a pena di nullità previsto dall’art. 2, comma 4, del D.L. 132/14.

Dovrà, inoltre, ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. a), essere indicato un termine per l’espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti10.

È interessante, invece, in questa sede, soffermarsi sulla ne-cessità che la convenzione abbia ad oggetto diritti disponibili e che non verta in materia di lavoro, così come prevede l’art. 2, comma 2, lett. b) del D.L. citato.

3.1. Diritti indisponibili e controversie di lavoroL’art. 2, comma 2, lett. b) del D.L. n. 132/14 prevede, come detto, che la controversia oggetto della convenzione di nego-ziazione “non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro”.

Alla luce del dettato normativo, pochi dubbi possono sor-gere sulla invalidità della convenzione di negoziazione che riguardi controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili o che vertano in materia di lavoro. Tuttavia, pare di dover distinguere tra i requisiti di validità della convezione di nego-ziazione e quelli di validità dell’accordo, eventualmente rag-giunto all’esito della procedura.

Con riferimento ai diritti indisponibili, nulla quaestio: invali-da sarà tanto la convenzione di negoziazione che il successivo accordo. Diverso il caso delle controversie di lavoro, poiché se l’eventuale convenzione è senz’altro nulla, gli effetti dell’ac-cordo conciliativo non possono che ricadere nella disciplina dell’art. 2113 c.c., pertanto l’accordo sarà semplicemente an-nullabile nel termine ivi previsto.

È stato giustamente osservato, difatti, che la mancanza o la presenza di gravi anomalie nella convenzione farà sì che l’ac-cordo eventualmente sottoscritto dalle parti avrò “il valore di una conciliazione o transazione, ovvero di atti validi ma che non accedano ai benefici della specifica disciplina di legge”11.

Nell’ipotesi di negoziazione avente ad oggetto la materia la-voristica, in particolare, non si produrranno gli effetti di cui all’art. 4, comma 1 del D.L. 132/14 (effetti della mancata ri-sposta all’invito o del suo rifiuto), e neanche gli effetti dell’ac-cordo di cui all’art. 5 (esecutività e titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, suscettibilità di trascrizione previa autenti-cazione di un pubblico ufficiale), ma non può escludersi l’ef-ficacia negoziale dello stesso in base allo ius commune, dunque ai sensi e nei limiti di cui all’art. 2113 c.c. (invalidità relativa).

9 Così R. Borghesi, op. cit. p. 9.10 Sulla sorte della convenzione in caso di mancata previsione del termine

o di previsione di un termine non rientrante nella forbice di cui alla norma in esame cfr. R. Bolognesi, op cit., pp. 6-7

11 Cfr. R. Bolognesi, op. cit., p. 5.

3.2. Le norme inderogabili e l’ordine pubblicoSi è osservato che i limiti alla “negoziabilità” riguardano solo la disponibilità dei diritti e non anche la inderogabilità delle norme che regolano la materia oggetto di lite; in realtà anche in questo caso occorre distinguere tra convenzione di negozia-zione e successivo accordo, poiché la scelta di consentire una negoziazione di controversie in materia disciplinata da norme inderogabili (o di ordine pubblico) è assolutamente neutra ri-spetto alla validità o invalidità del successivo accordo.

In altre parole, la possibilità o meno di incidere in materia disciplinata da norme inderogabili, all’esito dell’accordo rag-giunto in seno alla procedura di negoziazione, sarà la stessa consentita per un contratto di transazione di analogo conte-nuto, ossia esso dovrà essere compatibile con dette norme inderogabili e con l’ordine pubblico.

Il D.L. 132/14, a tale proposito, ha espressamente previsto, all’art. 5, comma 2, che gli avvocati “certificano […] la confor-mità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico”.

Le parti, dunque, sono libere di procedere alla negoziazione assistita anche qualora alla fattispecie dedotta in lite debbano applicarsi norme inderogabili, purché la stessa possa essere oggetto di disposizione da parte dei litiganti.

Da questo punto di vista, è evidente il parallelismo con il re-gime dell’arbitrato così come riformato dal D.Lgs. n. 40/2006 e le pronunce rese in materia arbitrale costituiscono un im-portante indice ai fini della delimitazione dell’ambito della disponibilità dei diritti.

L’accordo raggiunto all’esito della negoziazione dovrà tut-tavia essere compatibile con le eventuali norme inderogabili applicabili e con l’ordine pubblico, ciò che, come detto, dovrà essere certificato dagli avvocati (o dall’avvocato).

Il controllo circa la conformità dell’accordo alle norme im-perative (e all’ordine pubblico) sarà quindi svolto dagli av-vocati delle parti, che dunque sottoscrivono l’accordo non solo al fine di certificare l’autografia delle firme, ma anche per escludere che i contenuti dello stesso siano incompatibili con disposizioni di legge inderogabili o con principi fondamentali dell’ordinamento.

L’avvocato sarà pertanto chiamato a favorire l’accordo tran-sattivo tra le parti, ma allo stesso tempo dovrà garantire che lo stesso non sia incompatibile con le norme imperative (ove applicabili) e con l’ordine pubblico.

Alla luce di ciò vi è chi ha osservato che il dovere di certi-ficare la conformità dell’accordo alle norme inderogabili ed all’ordine pubblico è suscettibile di allargare le frontiere della responsabilità professionale degli avvocati, non più limitata nei confronti dei propri clienti ma estesa anche ad eventuali danni patiti da terzi per effetto della nullità dell’accordo, alla stregua di quanto accade per la responsabilità del notaio12.

L’osservazione è suggestiva, tuttavia non pare che si possa far discendere una tale forma di responsabilità (extracontrat-tuale) da una norma che, se individua un nuovo specifico obbligo degli avvocati (che si estende, come correttamente osservato, oltre l’ambito deontologico, nel quale vi è già il di-vieto di “suggerire negozi nulli”, cfr. art. 23, comma 6 del co-dice deontologico forense), non può che incidere, in assenza di diverse indicazioni, sulle obbligazioni che il professionista ha nei confronti del proprio assistito (fermo restando che non

12 Cfr. D. Borghesi, op. cit., p. 25.

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DOSSier La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista

pare ad ogni modo potersi configurare, per analoghe ragioni, un ampliamento della responsabilità oltre la soglia degli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c.13).

Con riferimento alla negoziazione assistita in materia fami-liare si è osservato che, alla luce del necessario controllo del PM ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D.L. 132, la respon-sabilità degli avvocati ai sensi dell’art. 5 comma 2, ritenuto applicabile anche a detto ambito, sia limitata al caso in cui l’accordo non superi il vaglio dello stesso PM14.

4. Le nuove norme deontologiche

La disciplina della negoziazione assistita introduce nuove norme di carattere deontologico rivolte agli avvocati. Alcune di esse hanno efficacia anche dal punto di vista processuale.

Sottesa a tutte le disposizioni, che esamineremo nei prossi-mi paragrafi, è la ratio di favorire la conciliazione tra le parti imponendo alla classe forense, considerata storicamente re-stia (si ritiene, come da molti condiviso, a torto) a favorire ac-cordi bonari tra i litiganti, di tenere comportamenti indirizzati ad agevolare la composizione delle liti.

4.1. Il dovere di informativa al clienteL’art. 2, analogamente a quanto già previsto per i procedimen-ti di media conciliazione dal D.lgs. n. 28/10, prevede, al com-ma 7, che sia “dovere deontologico degli avvocati informare il cliente all’atto del conferimento dell’incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita”.

Tuttavia, a differenza che il legislatore del 2010, quello del 2012 si è limitato a prevedere per l’avvocato il dovere di in-formazione, senza sancire alcuna conseguenza di carattere sostanziale o processuale derivante dalla sua violazione, né imponendo la produzione nell’eventuale giudizio del docu-mento contenente l’informazione.

Si tratta, evidentemente, di una presa di coscienza dello scarso impatto di norme che fanno discendere conseguenze di ordine sostanziale (invalidità – relativa - del mandato) o processuale (informazione della parte rivolta dal giudice) dal-la violazione di dovere di carattere prettamente deontologico.

4.2. L’incompatibilità tra avvocato “negoziatore” ed arbitroLa disposizione più importante, in riferimento ai doveri de-ontologici dell’avvocato, in tema di negoziazione assistita, è l’art. 9 del D.L. 132/14.

Il primo comma della disposizione prevede che “i difensori non possono essere nominati arbitri ai sensi dell’articolo 810 del codice di procedura civile nelle controversie aventi il me-desimo oggetto o connesse”.

Si tratta di una precisa ipotesi di incompatibilità tra la fun-zione di avvocato “negoziatore” e quella di arbitro in contro-versie aventi il medesimo oggetto o connesse.

Essa andrà ad integrare le ipotesi di cui all’art. 815 c.p.c. e sarà pertanto motivo di ricusazione in sede arbitrale.

Si è giustamente osservato15 che esso va ad aggiungersi all’ipotesi prevista dall’art. 815, comma 1, n. 6), estendendo

13 In questo senso, invece, D. Borghesi, op. cit., p. 2514 Cfr. M.A. luPoi, Separazione e divorzio, in Riv. trim dir. e proc. civ., 2015,

pp. 283 ss., spec. p. 290.15 Cfr. M. grADi, op. cit., p. 95.

l’incompatibilità, oltre che al caso in cui l’arbitrato sia relativo alla stessa vicenda oggetto di negoziazione, anche il caso della semplice connessione tra le controversie.

L’eventuale incompatibilità non avrà invece conseguenze in ordine alla validità del lodo.

Se, difatti, l’art. 829, comma 1, n. 3 c.p.c. prevede la nullità “se il lodo è pronunciato da chi non poteva essere nominato ar-bitro a norma dell’art. 812”, è evidente come detta conseguenza sia limitata al caso di incapacità legale d’agire dell’arbitro, come previsto dall’art. 812 cui la citata disposizione rinvia.

Va ricordato, infine, che, ai sensi dell’art. 9, comma 4 bis, D.L. 132/14, la violazione delle prescrizioni in commento co-stituisce per l’avvocato illecito disciplinare.

4.3. Segue: Il dovere di lealtàIl dovere di lealtà per gli avvocati e le parti, sancito dall’art. 9 in commento, deve essere letto congiuntamente all’art. 2 del D.L. 132/14 a mente del quale “La convenzione di negoziazio-ne assistita da uno o più avvocati è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati…”.

Nel corso della procedura di negoziazione gli avvocati e le parti hanno quindi l’obbligo di comportarsi con lealtà, e ciò all’evidente fine di fare il possibile per raggiungere il com-ponimento della lite. Si è osservato che detto obbligo potrà difficilmente trovare una sanzione in caso di violazione, salvo il caso del rifiuto assoluto di negoziare16.

Se ciò è sicuramente vero dal punto di vista processuale, dal momento che la legge prevede conseguenze solo in caso di mancata risposta o rifiuto dell’invito a procedere alla sti-pula della convenzione di negoziazione (art. 4, comma 1 D.L. 132/14), lo stesso non può dirsi, con riferimento agli avvocati, dal punto di vista deontologico, in quanto un com-portamento contrario al dovere suddetto potrà costituire un illecito proprio in tale ambito, come prevede espressamente il comma 4 bis dell’art. 9 in esame.

4.4. Segue: Il dovere di riservatezza della negoziazione.L’art. 9 del D.L. 132/14 prevede inoltre, a carico degli avvocati e delle parti, un obbligo di tenere riservate le informazioni ricevute durante la procedura di negoziazione.

La disposizione, si è giustamente osservato, intende favo-rire la spontaneità del comportamento delle parti nel corso della negoziazione, analogamente a quanto previsto nei pro-cedimenti di mediaconciliazione ai sensi dell’art. 10 d.lgs. n. 28/2010.

Ma quale è la portata del dovere di riservatezza? Si tratta di un limite di ammissibilità della prova o di una norma che ha rilievo solo sul piano deontologico o penale?

Si è già accennato al contenuto della disposizione di cui all’art. 9 D.L. 132/14, in merito alla tutela della riservatezza della negoziazione.

La norma in commento, in particolare, ai commi da 2 a 4 bis, prevede che:

– è fatto obbligo agli avvocati e alle parti di comportarsi con lealtà e di tenere riservate le informazioni ricevute (comma 2, primo inciso);

16 Cfr. M. grADi, op. cit., p. 93.

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137L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-dicembre 2017

La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista DOSSier

– le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel cor-so del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto (comma 2, secondo inciso);

– i difensori delle parti e coloro che partecipano al procedi-mento non possono essere tenuti a deporre sul contenu-to delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite (comma 3);

– a tutti coloro che partecipano al procedimento si applica-no le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedu-ra penale e si estendono le garanzie previste per il difenso-re dalle disposizioni dell’articolo 103 del medesimo codice di procedura penale in quanto applicabili (comma 4);

– la violazione delle prescrizioni di cui al comma 1 e degli obblighi di lealtà e riservatezza di cui al comma 2 costi-tuisce per l’avvocato illecito disciplinare (comma 4 bis).

Le suddette previsioni hanno contenuto analogo agli artt. 9 e 10 del D.lgs n. 28/10, dettato in materia di mediazione17.

In particolare, quest’ultima disposizione, rubricata “inutiliz-zabilità e segreto professionale” prevede che:

– le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel cor-so del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuc-cesso della mediazione, salvo consenso della parte di-chiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio (comma 1);

– Il mediatore non può essere tenuto a deporre sul conte-nuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili (comma 2);

Si ritiene tuttavia che tra le due richiamate discipline risalti una differenza, in particolare la mancanza all’art. 9. D.L. 132 di una (quantomeno opportuna) precisazione, contenuta in-vece nell’art. 10 del D.lgs. 28/2010, vale a dire la previsione espressa della inammissibilità della testimonianza “sul conte-nuto delle stesse dichiarazioni e informazioni”18.

Il dubbio è allora se la nuova disciplina preveda un dovere di riservatezza il cui rilievo stia solo sul piano penale (con-sentendo – ma non obbligando – di opporre il segreto ex art. 200 c.p.p.) e, per gli avvocati, deontologico, oppure se essa investa anche anche l’ambito della prova civile nel processo susseguente alla negoziazione assistita.

A ben vedere la nuova disciplina detta senz’altro una previsio-ne che investe l’ambito del diritto probatorio, ossia la previsio-ne di non utilizzabilità delle dichiarazioni e delle informazio-ne nel successivo processo, ma mentre il legislatore del 2010, dopo l’analoga e pressoché identica previsione, aveva sentito il

17 Di normativa, a tal fine, sostanzialmente identica parla F.P. luiso, La nego-ziazione assistita, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2015, pp. 649 ss., spec. § 7.

18 Secondo F.P. luiso, op. ult. cit., § 7, detta previsione si applica anche alla negoziazione assistita, poiché “se le dichiarazioni e informazioni non possono essere utilizzate, ovviamente non avrebbe senso esperire prove volte ad acquisirle al pro-cesso”.

bisogno di precisare l’inammissibilità della testimonianza e del giuramento decisorio aventi ad oggetto quelle informazioni e quelle dichiarazioni, il legislatore del 2014 niente ha aggiunto.

Una possibile interpretazione è quella secondo la quale ad essere non utilizzabili (e quindi inammissibili) siano solo i documenti (il termine utilizzo evoca senza dubbio più una prova costituita che una prova costituenda) aventi ad oggetto quelle dichiarazioni (scritte) e quelle informazioni, essendo invece la prova per testimoni (ed il giuramento) su quello stesso oggetto ammissibili, salvo costituire, per i soli avvocati, illecito deontologico deporre nonostante la facoltà (prevista per tutti i partecipanti al procedimento) di astenersi19.

L’interpretazione prospettata appare avvalorata proprio dal-la previsione, aggiunta solo in sede di conversione del D.L., delle conseguenze deontologiche (per gli avvocati) della vio-lazione del divieto: perché altrimenti sanzionare come illecito deontologico un comportamento privo di effetti, data (in ipo-tesi) l’inammissibilità della testimonianza?

Ciò è ulteriormente avvalorato dalla considerazione che, laddove la legge processuale prevede dei doveri di lealtà per le parti o gli avvocati, lo fa per limitare e sanzionare com-portamenti che, seppur riprovevoli, sono capaci di produrre effetti giuridici all’interno del processo.

Anche laddove si volesse estendere all’inammissibilità della prova per testi la previsione di non utilizzabilità delle dichia-razioni rese e delle informazioni acquisite nel corso del proce-dimento, parrebbe comunque doversi individuare una seppur limitata conseguenza della diversa formulazione dell’art. 9 D.L. 132/2010 rispetto all’art. 10 D.lgs. n. 28/2010, e ciò con rife-rimento alla testimonianza resa da soggetti, diversi dalle parti e dai loro avvocati, che abbiano partecipato al procedimento.

Come visto, infatti, solo le parti e i difensori sono destinatari dell’obbligo di riservatezza, per cui è comunque dubitabile che la previsione di “non utilizzabilità” di cui all’art. 9 D.L. 132/14 sia capace di rendere inammissibile la testimonian-za di quelli, tanto più che è espressamente previsto che detti soggetti non siano tenuti a deporre sul contenuto delle dichia-razioni rese e delle informazioni acquisite, e non anche che la loro testimonianza sia inammissibile (come invece espressa-mente previsto dall’art. 10 D.lgs. 28/10).

In altre parole, ammesso e non concesso che l’inutilizzabilità delle dichiarazioni e delle informazioni renda inammissibile la prova per testi avente ad oggetto queste ultime, la previsio-ne pare doversi quantomeno limitare alla sola testimonianza dei soggetti destinatari del dovere di riservatezza.

Si è infine giustamente osservato come la norma in commento non possa, in ogni caso, essere interpretata nel senso di vietare alle parti, nel successivo giudizio, di allegare fatti o di avvalersi di prove la cui conoscenza derivi dalle dichiarazioni rese dalle parti o dalle informazioni acquisite nel corso della negoziazione20.

Una cosa è infatti il divieto di utilizzazione di ciò è avvenuto nel corso della negoziazione, ivi incluse le dichiarazioni di chi vi ha partecipato, altra sono i fatti della causa conosciuti durante la negoziazione.

19 Contra D. Borghesi, La delocalizzazione del contenzioso civile: sulla giustizia sventola bandiera bianca?, in www. Jusicium.it., p. 22, che ritiene che la dis-posizione ponga “un generale motivo di inammissibilità riferito al materiale istruttorio tratto dalla negoziazione”, con la conseguenza che i difensori non avrebbero una mera facoltà di non testimoniare, bensì un vero e proprio divieto.

20 Cfr. M. grADi, op. cit., p. 94.

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DOSSier La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista

1. L’accordo sui diritti del minore, dall’invalidità di oggetto all’invalidità di contenuto

Il diritto minorile è sempre stato collocato oltre il confine della disponibilità dei diritti, essendo i diritti del fanciullo protetti, fossero essi personali o patrimoniali, contro ogni possibile di-sposizione negoziale, transattiva come dichiarativa, dei genitori.

Il negozio non poteva condursi sul diritto dei minori, a pena di nullità, sia che il negozio avesse applicato le norme che ne disciplinavano i diritti, sia che le avesse violate.

Il negozio sui diritti del minore era nullo per divieto di oggetto.Il sistema presentava tuttavia elementi contraddittori.In più luoghi l’ordinamento ammetteva e ammette un accor-

do dei genitori avente ad oggetto il diritto dei figli, auspican-dolo come premessa di un provvedimento del giudice, che lo autorizza o lo recepisce.

Nell’ambito della separazione consensuale (art. 158 c.c.), ad esempio, ove il giudice può esclusivamente sindacare la coe-renza dell’accordo con gli interessi del minore1 e, tra l’altro, al solo scopo di suggerirne modifiche, non per modificarlo, essendo l’atto del giudice di volontaria giurisdizione2.

Ugualmente, nell’ambito dello scioglimento del vincolo, art. 4, 16° comma, l. n. 898 del 1970, dove – per il carattere contenzio-so – il giudice può determinarsi diversamente3 e quindi modifi-care l’accordo raggiunto dai genitori (il giudizio divorzile assume la forma della sentenza e resta sostanzialmente un giudizio4).

* Contributo offerto dall’allievo al Maestro prof. Francesco Paolo Luiso in oc-casione del suo settantesimo compleanno.

1 In senso più ampio per un controllo di legittimità anche in relazione ai diritti dei coniugi, v. DAnovi, Il processo per separazione e divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 2015, 772 e 773. Cfr. vullo, Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, in Commentario al codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2011, 439; tommAseo, sub art 711, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da Cian, Oppo, Trabucchi, IV, 1, Padova, 1993, 595; più recentemente, nAscosi, Il giudizio di separazione consensuale, in Diritto processuale della famiglia, a cura di A. Graziosi, Torino, 2016, 151. Nel senso del testo, per una lettura più letterale della norma la dot-trina meno recente, cfr., Jemolo, Il matrimonio, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, Torino, 1961, 444. Secondo cArnelutti, Separazione per ac-cordo tra i coniugi, in Riv. dir. proc. civ, 1936, II, 162, di fronte all’accordo il tribu-nale non aveva spazio di sindacato alcuno, ma evidentemente in relazione alla normativa previgente al codice civile del 1942, evidenziando un orientamento originale per l’epoca in cui è stato reso.

2 Cfr., mAnDrioli, Il procedimento di separazione consensuale, Torino, 1963, 96; ma già Falzea, La separazione personale, Milano, 1943, 122.

3 ciPriAni, QuADri, La nuova legge sul divorzio, II Presupposti, Profili personali e processuali, Napoli, 1988, 339; secondo DAnovi, Il processo, cit., 807 sarebbe necessaria una estinzione del processo, per incompatibilità con le forme camerali.

4 Cfr., grAzioli, La sentenza di divorzio, Milano, 1997, 7 ss.

Anche nell’ambito contenzioso l’accordo viene particolar-mente valorizzato, essendo auspicato il consenso dei genitori, come base del provvedimento giudiziale.

Il giudice nel determinarsi sui provvedimenti anticipatori o definitivi, art. 337-ter, 2° comma, c.c.: “prende atto, se non con-trari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori”.

Il prendere atto è espressione – si badi bene – molto forte del legislatore, non è semplicemente un sindacare un accor-do, per eventualmente accoglierlo o respingerlo nella deter-minazione preliminare o finale del giudizio5.

Altre volte il giudice, con determinazione discrezionale, può rinviare le misure provvisorie e urgenti, con il consenso dei coniugi-genitori ad una mediazione familiare (art. 337-octies: “qualora ravvisi l’opportunità il giudice, sentite le parti e ottenu-to il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”). È riconosciuta dal legislatore la mediazione familiare in funzione del raggiungimento di un accordo, che evidente-mente viene ad assumere ancora una volta un rilievo centrale ai fini delle misure concernenti il figlio minore.

A volte l’accordo può giungere a sovvertire regole impera-tive, art. 337-ter, 4° comma, c.c.: “Salvo accordi diversi libe-ramente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito”. Dunque è ammesso un accordo in deroga al principio di pro-porzionalità, senza ovviamente che sia intaccato il contributo al mantenimento del figlio nel suo ammontare complessivo.

Si tratta di norme che dissolvono il principio di indisponibili-tà assoluta dei diritti del minore, spingendo verso un divieto di contenuto più che un divieto di oggetto, non rendendo quindi radicalmente nulli gli accordi in materia, invalidi solo se le so-luzioni concretamente adottate violano le tutele minime fissate dalla norma imperativa che disciplina i diritti del minore.

Tuttavia tale assunto poteva solo essere intravisto nell’ac-centuazione del rilievo degli accordi nelle controversie aventi

5 BAllArini, Gli accordi tra coniugi e le determinazioni giudiziali, in Provvedi-menti riguardo ai figli, a cura di S. Patti e L. Rossi Carleo, Commentario al codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2010, 110 ss. pur valorizzando il pote-re del giudice di determinarsi diversamente, evidenzia l’ambito in cui questa determinazione diversa può svolgersi, che è esclusivamente quello della tutela dell’interesse dei figli. cfr. anche PAtti, L’affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers: succ., 2006, 392. Sulla ratio di una regolamentazione fondata sul consenso, da preferire rispetto a regole imposte d’autorità, cfr. PAlADini, v. Affidamenti con-diviso, in Enc. giur., I, 171.

LA NegOziAziONe Dei Diritti DeL miNOre*

CLAuDIO CECChELLAPresidente ONDiF

Sommario: 1. L’accordo sui diritti del minore, dall’invalidità di oggetto all’invalidità di contenuto. - 2. L’assimilazione degli effetti del negozio agli effetti della sentenza e il loro rilievo nelle controversie sui diritti del minore. - 3. L’efficacia di un accordo di negoziazione sui diritti del minore senza l’omologa giudiziale. - 4. La validità degli accordi sui diritti indisponibili del minore. - 5. La compatibilità costituzionale del nuovo regime della negoziazione assistita sui diritti del minore. - 6. Il caso della mancata autorizzazione dell’accordo negoziato dagli avvocati da parte del Pubblico ministero. - 7. I possibili contenuti dell’accordo e il carattere infungibile della prestazione obbligata a tutela dei diritti del minore. - 8. Le peculiarità dell’accordo negoziato sull’assegnazione della casa coniugale. - 9. La posizione del minore nell’accordo inter alios. - 10 Le sopravve-nienze in fatto e in diritto all’accordo.

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La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista DOSSier

ad oggetto il diritto del minore, ma non poteva assurgere a principio generale, come lo sarà a seguito delle modifiche le-gislative a partire dal 2014 in poi.

2. L’assimilazione degli effetti del negozio e agli ef-fetti della sentenza e il loro rilievo nelle controver-sie sui diritti del minore

La legge n. 162 del 2014 si colloca su questa scia e pone basi positive ancor più certe all’evoluzione del sistema, grazie alla introduzione di una serie di norme la cui portata sistematica deve essere adeguatamente meditata.

In primo luogo, la piena assimilazione degli effetti dell’ac-cordo di negoziazione, concernente anche il diritto dei mi-nori, a quello di un provvedimento giurisdizionale (art. 6, 3° comma, legge n. 162 del 2014: “L’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimen-ti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedi-menti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio o di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”)6.

La previsione poteva apparire ovvia, secondo un filone che muoveva dalle codificazioni liberali e che solo apparentemen-te aveva vissuto una soluzione di continuità a causa dell’ide-ologia statalista del ventennio (che però tanti segni aveva la-sciato anche nell’età repubblicana). Ma non era affatto ovvia quando l’oggetto del negozio fosse stato il diritto del minore, ovvero un diritto indisponibile.

Le suggestioni normative erano molte.Il codice Napoleonico (art. 2052: “Les transactions ont, entre

les parties, l’autorité de la chose jugée en dernier ressort. Elles ne peuvent être attaquées pour cause d’erreur de droit, ni pour cause de lésion”) e il codice del 1865 (art. 1772: “Le transazioni han-no fra le parti l’autorità di una sentenza irrevocabile. Non possono impugnarsi per causa di errore di diritto né per causa di lesione: ma deve essere corretto l’errore di calcolo”), non hanno mai du-bitato la piena assimilazione degli effetti.

L’espressione è caduta invece nel codice del 1942; non la rinveniamo nelle norme dedicate alla transazione, anche se le norme su di una stabilità, assimilabile al giudicato, nella sostanza restano: art. 1969 c.c.: “La transazione non può essere annullata per errore di diritto relativo alle questioni che sono state oggetto di controversia tra le parti” e art. 1970 c.c.: “La transa-zione non può essere impugnata per causa di lesione”. L’accordo

6 Sul tema, DAnovi, Il processo, cit., 867 ss, che dedica un intero capitolo alla separazione e divorzio senza processo e ove sono condensati i numerosi scritti dell’Autore sul tema; cfr, anche, chiArloni, Fuori dal processo: trasferi-mento in arbitrato, negoziazione assistita e accordi sul matrimonio, in Giur. it., V, 2015, 1259; DAlFino, La procedura di negoziazione assistita di due o più avvocati, in www,treccani.it; sestA, Negoziazione assistita e obbligo di mantenimento nella crisi della coppia, in Fam. dir., 2015, 295; tommAseo, La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali, in Fam. dir., 2015, 157; Poliseno, La convenzione di negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione e divorzio, in Giur. it., 2015, V, 34 ss; cArrAttA, Le nuove procedure negoziate e stragiudiziali in materia matrimoniale, in Giur. it., 2015, V, 1287; D’AlessAnDro, La negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, in Giur. it., 2015, V, 1278; trisorio liuzzi, Le procedure di negoziazione assistita, in Il giusto processo civile, 2015, 23 ss.; luPoi, Separazione e divorzio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 283; Proto PisAni, Diritti sostanziali e processo nella evoluzione delle relazioni familiari, in Foro it., 2015, V, 124; grAziosi, Osservazioni perplesse sulle ultime stravagnati riforme processuali in materia di famiglia, in Fam. dir., 2015, 1111; e non ultimo il Maestro che si onora, luiso, Le disposizioni in materia di separazione e divorzio, in Processo civile efficiente e riduzione dell’arretrato, a cura di F.P. Luiso, Torino, 2014, 33.

non poteva e non può essere annullato per violazione di legge o sottoposto ad un controllo sul merito della disciplina offer-ta alla controversia, ovvero godeva della stabilità della regola concreta dettata al rapporto, in perfetta identità con la regola del giudice e in armonia con il principio, di evidente sapore liberale, che pure era contenuto nello stesso codice, art. 1372 c.c.: “Il contratto ha forza di legge tra le parti”.

L’assimilazione agli effetti della sentenza, alla forza di un giu-dicato o di una legge che esprime la regola concreta alla fatti-specie, non poteva dirsi una licenza poetica, ma una precisa regola di diritto positivo.

Dunque il legislatore del 2014 nell’assimilare gli effetti dell’ac-cordo agli effetti della sentenza non introduceva una novità particolare, tanto che la giurisprudenza – salvo il diverso orien-tamento nell’ambito dell’arbitrato, dove per decenni ha con-tinuato ad esistere un indirizzo che poneva in una posizione subordinata il lodo arbitrale rispetto alla sentenza7 – non hai mai messo in discussione la non impugnabilità dell’accordo transattivo per errore di diritto o errore di fatto, tanto da ritene-re la transazione irriducibile allo ius superveniens e alle sentenze della Corte costituzionale, come esattamente il giudicato8.

Ma l’art. 6, 3° comma, in esame, ha un portata ben più di-rompente, rispetto alla semplice assimilazione agli effetti del provvedimento giurisdizionale, poiché ammette che la con-troversia sui diritti che nascono dal matrimonio o dall’unione (dopo il richiamo al comma 14 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016) possa essere risolta negozialmente, a seguito di trattativa condotta innanzi agli avvocati. Ammette altresì che tra i dirit-ti negoziabili – nell’ambito ovviamente della sola controversia fondata sulla crisi del matrimonio – possano essere regolati ne-gozialmente i diritti del minore, con un risultato pari a quello di una sentenza o altro provvedimento giurisdizionale.

Due aspetti dirompenti della nuova disciplina, che ne costi-tuiscono la novità che si ritiene opportuno indagare nel pre-sente breve scritto.

L’accordo, pur vertente sui diritti del minore, non deve più essere omologato giudizialmente o recepito in un provvedi-mento giurisdizionale, il che elimina in modo evidente la fase di verifica innanzi al giudice.

La negoziazione, inoltre, accede ai diritti indisponibili, con la inevitabile previsione di un divieto di contenuto ma non più di oggetto, sancendo in modo definitivo quel principio che solo poteva intuirsi in alcune disposizioni previgenti9.

3. L’efficacia di un accordo di negoziazione sui di-ritti del minore senza l’omologa giudiziale

Quanto al primo aspetto, relativo all’efficacia di un accordo prescindendo da un’omologa giudiziale, si deve dire che la scelta legislativa non era scevra di contraddizioni, se i diritti del figlio minore, nato fuori dal matrimonio, non potevano godere (alla luce della lettera dell’art. 6, 1° comma, cit.) della stessa

7 Ci riferiamo a Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000, n. 527, in Riv. arb., 2001, 704, con nota critica di Fazzalari, che ha aperto un stagione interrotta solo grazie alla riforma con d.lgs. n. 40 del 2006, che ha introdotto l’art. 824-bis c.p.c.

8 Cfr. Cass., 28 luglio 1984, n.4486. Come anche la cessazione della materia del contendere, che tanto si avvicina alla sentenza sul giudicato, nel caso in cui sia introdotta una controversia già risolta o risolta transattivamente in corso di causa, cfr. Cass., 24 febbraio 2015, n. 3598, in www.dirittoegiustizia.it.

9 Per una terza via tra indisponibilità e disponibilità, D’AlessAnDro, op. cit., 1279; luiso, Le disposizioni, cit., 33; o per una indisponibilità attenuata, Dosi, La negoziazione assistita tra avvocati, Torino, 2014, 34.

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DOSSier La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista

liberalità, poiché secondo l’assetto tradizionale l’accordo avreb-be dovuto, in questo caso, essere recepito nel provvedimento giurisdizionale del tribunale per i minorenni o del tribunale ordinario, a seconda che il diritto regolato fosse personale o patrimoniale. Infatti la negoziazione è solo consentita nelle controversie di separazione e divorzio o nascenti dallo sciogli-mento dell’unione civile (la quale pone il problema dei diritti del minore, alla pari dell’unione matrimoniale, alla luce di alcu-ni recenti orientamenti giurisprudenziali “creativi” che hanno ammesso l’adozione da parte dei partners dell’unione civile).

Ancora un discrimine tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori dal matrimonio.

Pertanto mentre l’accordo di negoziazione per i figli nati nel matrimonio, laddove regoli diritti del fanciullo, è immedia-tamente efficace senza sindacato giudiziale, lo stesso accordo tra genitori conviventi e non uniti in matrimonio, è efficace solo se convertito in un provvedimento giudiziale, in difetto non ha alcuna valenza giuridica.

Il tema ha un evidente rilievo sul piano formale e continua a perpetuare il discrimine enunciato, ma nella sostanza il tipo di controllo effettuato in sede giudiziale continua ad essere esclu-sivamente quello di valutare i contenuti dell’accordo, il rispetto dei diritti minimi del minore sanciti dalla legge e, quindi, non pone l’accordo su un piano di invalidità assoluta, ma di validità di contenuto da verificare volta per volta giudizialmente.

Nell’ambito degli accordi di negoziazione sui diritti del mi-nore nato nel matrimonio, veniva definitivamente rotto il mo-nopolio giurisdizionale del sindacato preventivo sulla coeren-za dell’accordo con le tutele minime che la legge imperativa impone alla regolamentazione degli interessi del minore.

Nella nuova disciplina il controllo preventivo viene affidato agli avvocati, che ricevono mandato dalle parti (i genitori) e dal Pubblico ministero.

In primo luogo ai difensori tecnici delle parti (per questa ra-gione, necessariamente uno per ciascuna di esse), i quali oltre a confermare la sottoscrizione autografa dei propri rappresen-tati, ne assicurano, assumendosene la responsabilità, l’osser-vanza delle norme imperative, con relativa certificazione. Il ruolo degli avvocati deve essere sottolineato, perché protago-nisti della trattativa, al pari delle parti, e coinvolti nella cer-tificazione finale di compatibilità con le norme inderogabili.

Non si deve pensare, tuttavia, che il ruolo degli avvocati sia più oneroso e all’origine di maggiori responsabilità, rispetto allo stesso ruolo svolto in sede di accordi formati e omologati in sede giudiziale.

In quel caso, infatti, il suggello all’accordo discendente dal provvedimento giurisdizionale di omologa, non esclude le medesime responsabilità del difensore tecnico sui contenuti di un accordo integralmente stragiudiziale e sottoposto alla certificazione di compatibilità con la norma imperativa. L’av-vocato è comunque responsabile per aver suggerito un accor-do in sede giudiziale, nella stessa misura in cui ha suggerito un accordo in sede di negoziazione assistita. L’unica differenza è data dal fatto che, oltre al suggello dell’avvocato, nella diver-sa sede giudiziale, si aggiunge il controllo di compatibilità del giudice con le normative a tutela dei diritti del minore.

Ma anche in sede di negoziazione assistita, oltre alla certi-ficazione di compatibilità con le norme imperative dell’avvo-cato, esiste, per il coinvolgimento di interessi generali nella disciplina dei diritti del minore, un’ulteriore verifica, con un

procedimento para-giurisdizionale, di natura amministrativa: l’autorizzazione del Pubblico ministero10.

Negli accordi che hanno ad oggetto esclusivamente i diritti dei coniugi, ormai la liberalizzazione è totale, innanzi all’uffi-ciale di stato civile la presenza dell’avvocato è eventuale e non esiste alcun controllo amministrativo del Pubblico ministero, mentre il funzionario comunale non ha alcuna nozione per potere interferire sui contenuti dell’accordo, dovendo svolge-re una funzione men che notarile.

Quando invece sono coinvolti i diritti del minore, il Pub-blico ministero non si limita – come nel caso, ancora, degli accordi tra coniugi senza figli negoziati dagli avvocati – ad un mero controllo di regolarità formale (il nulla osta), ma esercita poteri discrezionali che confluiscono in una vera e propria autorizzazione, che presuppone un controllo di merito, sulla coerenza dell’accordo con i minimi riconosciuti dalla legge imperativa a tutela degli interessi del minore.

Dunque viene introdotta una duplice garanzia, quella del contraddittorio degli avvocati, che si conclude con la certi-ficazione condivisa sulla compatibilità dell’accordo e l’auto-rizzazione del Pubblico ministero, mentre è definitivamente tramontato il sistema un preventivo controllo giurisdizionale.

L’insieme delle disposizioni esaminate consente pertanto di raggiungere alcune conclusioni:

1. l’accordo concernente i diritti del minore, perfezionato tra i genitori coniugati, non è più efficace esclusivamente se omologato giudizialmente o recepito in un provvedi-mento giurisdizionale;

2. la fattispecie costitutiva di tale efficacia, priva di preven-tivo sindacato giudiziale, discende da una trattativa con-dotta da avvocati, in rappresentanza dei genitori, con-clusasi con un accordo la cui compatibilità con le norme imperative è certificata dagli avvocati, seguita da un’au-torizzazione di un organo amministrativo, individuato nel Pubblico ministero, presso il tribunale competente a trattare la controversia in sede giudiziale, il quale verifica anch’egli la compatibilità con gli interessi del minore e quindi ancora con il rispetto delle tutele imperative;

3. l’accordo di negoziazione assistita, direttamente per-fezionato dai coniugi, nel quale può intervenire solo eventualmente l’avvocato, può essere perfezionato solo in controversie nel quale non sono coinvolti i diritti del minore o del figlio maggiorenne non autosufficiente (è il caso di cui all’art. 12 della legge cit., ovvero l’accordo di negoziazione assistita innanzi all’ufficiale di stato civile).

4. La validità degli accordi sui diritti indisponibili del minore

Oltre al perfezionarsi della fattispecie, al di fuori della sede giudi-ziale, volontaria o contenziosa, con piena efficacia assimilabile a quella di un provvedimento giurisdizionale, è in tal modo sancito un regime di piena negozialità dei diritti indisponibili del minore.

Questo è il secondo e ulteriore profilo sistematico discen-dente dalla nuova normativa.

10 Non si può non convenire con DAnovi, Il processo di separazione e divorzio, cit., 879, sull’inopportunità di un ulteriore verifica, oltre quella degli avvocati, da parte del Pubblico ministero, del tutto inutile quando l’accordo intervenga tra coniugi senza figli, e che, nel caso in cui l’accordo coinvolga i figli, esprime un ruolo che si è dimostrato molto “disattento” nel suo esercizio in sede con-tenziosa.

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La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista DOSSier

Prima della legge n. 162 del 2014 non era infatti dubitabile un regime di nullità assoluta e quindi la mancanza di effetti di un accordo tra genitori concernente i diritti del minore, se non – nei casi tassativamente previsti – omologato o recepito da un provvedimento giurisdizionale.

Oggi il sistema concepisce, al contrario, un accordo di nego-ziazione dei genitori che disciplini la regola concreta applica-bile ai diritti personali e patrimoniali del minore, pienamente efficace se perfezionato nel contesto di una trattativa di avvo-cati, certificata dagli stessi avvocati per compatibilità con la norma imperativa e autorizzata dal Pubblico ministero.

Dunque il regime della indisponibilità dei diritti si stempera sino a sciogliersi del tutto verso il diverso regime del rispetto della norma inderogabile, imperativa e di ordine pubblico, negli accordi privati.

È quanto abbiamo evidenziato in apertura: l’esclusione nel sistema di un divieto di oggetto dell’accordo privato vertente sui diritti del minore, accordo pienamente legittimo ed effica-ce benché avente ad oggetto diritti indisponibili, limitato sol-tanto dal suo contenuto necessariamente coerente alle norme imperative e di ordine pubblico, che disciplinano gli interessi del minore.

La materia minorile, seppure nel contesto particolare, regolato dalla legge, di accordi risultanti da trattative tra avvocati e cer-tificati da questi ultimi, nonché autorizzati dal Pubblico mini-stero, non si dimostra più coerente con il regime generale della indisponibilità, sancito dalla nullità radicale ed assoluta degli accordi privati che abbiamo ad oggetto diritti indisponibili.

È tuttavia da sottolineare anche che il nuovo regime che sposta la materia dalla indisponibilità al regime della inde-rogabilità, dal limite di oggetto al limite di contenuto, è con-cepita in un contesto molto particolare, che è quello della negoziazione tra avvocati, autorizzata dal Pubblico ministero.

Pertanto accordi sui diritti del minore, avulsi da una trattativa degli avvocati che rappresentano i genitori e/o priva di autoriz-zazione dell’organo amministrativo di controllo, resta relegata ad un regime di radicale nullità. Ciò anche per le inopportune previsioni di un legislatore poco attento al principio di egua-glianza, ex art. 3 Cost., in relazione agli accordi sui diritti dei minori nati fuori dal matrimonio, i quali non possono avere accesso al regime speciale della negoziazione assistita.

5. La compatibilità costituzionale del nuovo regime della negoziazione assistita sui diritti del minore

Se non è dubitabile l’incostituzionalità di un sistema che am-mette la parificazione degli effetti degli accordi di negoziazio-ne assistita a quelli dei provvedimenti giurisdizionali nel solo ambito dei diritti dei figli nati nel matrimonio, sotto il profilo del principio di eguaglianza e razionalità dell’art. 3 Cost., non vi è ragione di dubitare su di una compatibilità della discipli-na in relazione ad altri principi costituzionali, in modo par-ticolare al diritto di azione consacrato nell’articolo 24 Cost.

La sottrazione dell’efficacia dell’accordo ad un previo con-trollo giudiziale non deve far pensare alla violazione di un principio di monopolio giurisdizionale della materia che non si può trarre in alcun modo nell’art. 24 Cost., il quale ricono-sce il diritto della parte di agire in sede giurisdizionale per la tutela dei propri diritti.

Quando l’atto privato è matrice, per scelta del legislatore ordinario, di un effetto in tutto o in parte assimilabile a quello

di un provvedimento giurisdizionale, purché il fondamento della fattispecie sia saldamente radicato sul consenso del-le parti coinvolte – ciò è evidente nell’arbitrato, preceduto dalla convenzione arbitrale, e che assurge agli effetti regolati dall’art. 824-bis, c.p.c., ma non di meno negli accordi in sede di conciliazione o di mediazione, che conseguono un’efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 12 d.lgs. n. 28 del 2010 –, non vi è alcuna ragione di ritenere violato l’art. 24 Cost., il quale non sancisce l’obbligo all’azione giurisdizionale, se la parte liberamente vi ha fatto rinunzia, preferendo una via privata di risoluzione della controversia, arbitrale o mediante trattativa negoziale.

Contro la volontà della parte, dunque, non esiste alcun mo-nopolio giurisdizionale, nella regolamentazione della contro-versia, con effetti assimilabili a quelli di un provvedimento del giudice. La Costituzione, sia per l’arbitrato e sia per la ne-goziazione in senso lato, non impone affatto questo principio. In verità il sistema favorisce l’alternativa privata alla giurisdi-zione, sempre fondata sul consenso delle parti, in attuazione di altro principio costituzionale, che è quello solidaristico in-trodotto dall’art. 2 Cost.

Diverso è il caso in cui la soluzione arbitrale o privata sia imposta dalla legge come obbligatoria contro la volontà della parte. In questo caso la parte viene privata, in contrasto con la sua libera determinazione, del diritto di agire in sede giuri-sdizionale per la tutela dei suoi diritti.

È il caso degli arbitrati obbligatori, banditi dal sistema co-stituzionale11. Il problema si pone egualmente, ma in ma-niera diversa, per i casi di negoziazione obbligatoria, pre-ventiva all’esercizio dell’azione giurisdizionale. In tal caso se la previsione legislativa non preclude o anche solo rende meno facile il prodursi degli effetti dell’immediato esercizio dell’azione giurisdizionale (donde il regime di mera impro-cedibilità dell’azione, la conservazione degli effetti dell’azione giurisdizionale esercitata nonostante il vincolo di un tentativo obbligatorio di conciliazione e/o negoziazione, e la assimila-zione degli effetti dell’istanza di conciliazione o mediazione agli effetti di una domanda giudiziale, cfr. l’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 e l’art. 3 legge n. 164 del 201412), non vi è luogo per una ipotesi di incostituzionalità.

Anche nella negoziazione assistita sono le parti che, attra-verso la convenzione preliminare, rinunciano per un breve tempo all’azione giurisdizionale, avviando la trattativa che consenta una soluzione concordata della controversia (art. 2 legge n. 164 del 2014), in tal modo non è preclusa o resa meno facile l’azione giurisdizionale e tutto ciò è coerente con altro principio costituzionale, che è quello di solidarietà ex art. 2 Cost., come già evidenziato.

Vi è poi da aggiungere che l’azione giurisdizionale, particolar-mente nella tutela dei diritti indisponibili, non è affatto preclu-

11 Cfr. Corte cost., 14 luglio 1977, n. 127, in Foro it. 1977, I, 1849, che ha inaugurato una lunga stagione di declaratorie di incostituzionalità di norme di legge che imponevano alle parti l’arbitrato, su basi differenti rispetto a Corte cost., 12 febbraio 1963, n.2, in Giust. civ., 1963, 20, che ancora intravedeva nell’omologa giudiziale l’unica fonte degli effetti giurisdizionali del lodo, sul cui tema intervenne il legislatore con la novella del 1994, legge n, 25 del 1994, che ne riconosceva effetti pari a quella della sentenza dalla sua ultima sottoscrizione, art. 823 u.c., su cui è poi intervenuta la novella del 2006, d.lgs. n.40, che ha introdotto l’art. 824 – bis c.p.c.

12 Per una più ampia disamina sia consentito rinviare a DAlFino, Mediazione civile e commerciale, Bologna, 2016, 201 ss.

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DOSSier La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista

sa, solo sospesa per un brevissimo termine (tre mesi, quanto la durata ex lege del tentativo, ancora art. 2, cit.) poiché all’esito dell’accordo di negoziazione sui diritti del minore, resta inte-gralmente possibile, in sede giurisdizionale, un controllo sulla compatibilità dei contenuti dell’accordo con la norma indero-gabile di ordine pubblico che riconosce i diritti del minore e il loro contenuti, certamente non preclusa dalla certificazione degli avvocati o dall’autorizzazione del Pubblico ministero.

Peraltro la stessa azione non era preclusa neppure nel caso di accordo omologato dal Tribunale, riferendoci all’esperien-za della separazione consensuale, ove – seppure dopo un’im-portante evoluzione giurisprudenziale – sono sempre state concesse le azioni di impugnativa contrattuale e fra queste l’azione di nullità, l’azione di simulazione, l’azione di annul-lamento del contratto e l’azione revocatoria13. Il decreto di omologa determina solo una condizione di efficacia di un atto che resta un accordo tra i coniugi/genitori ed è dunque impu-gnabile anche con l’azione di nullità contrattuale.

Il problema non è differentemente posto nel caso in cui l’ac-cordo sia, come nella sentenza che scioglie il vincolo, recepito da un provvedimento giurisdizionale all’esito di un rito con-tenzioso: in tal caso i motivi di impugnativa negoziale restano assorbiti dalle forme delle impugnative giurisdizionali, rima-nendo identico il motivo costituito dalla violazione di norme imperative (che contro la sentenza di divorzio assumono le forme del reclamo innanzi alla Corte di appello14).

La fattispecie di negoziazione, lo si è detto, non produce più una nullità di oggetto dell’accordo vertente sui diritti del minore, ma non preclude la possibilità di un’impugnativa in sede giurisdizionale, in caso di violazione nei suoi contenuti della norma imperativa inderogabile15.

L’accordo di negoziazione assistita sui diritti del minore non ri-sulta perciò del tutto insensibile ad un sindacato giurisdizionale a posterius, essendo solo precluso un sindacato giurisdizionale preventivo sui contenuti e sull’efficacia assimilabile ad un prov-vedimento giurisdizionale. Pertanto l’accordo di negoziazione è soggetto senza limiti all’impugnativa ex art. 1418 c.c., per la nullità del negozio se contrario a norme imperative. Offre al ge-nitore o anche il minore, previa nomina di un curatore speciale, un’immediata azione esecutiva, senza un preventivo vaglio giu-risdizionale, ma non esclude un’impugnativa successiva innanzi al giudice (risulta solo escluso dall’impugnativa l’avvocato che ha dato origine all’accordo, che non può patrocinare la parte che intende impugnare, se non incorrendo in sanzioni di carattere disciplinare, art. 5, 4° comma, legge n. 164 cit.).

L’impugnativa potrà essere esercitata anche in via di eccezio-ne o opposizione, qualora la parte sia destinataria di azioni esecutive in forza dell’accordo perfezionato, potendo senza limiti, nelle forme della opposizione all’esecuzione, far valere il profilo di nullità per violazione di norma imperativa.

13 Cfr., Cass., 12 aprile 2006, n. 8516 e Cass., 13 maggio 2008, n. 11914, entrambe in www.ilcaso.it, che hanno aperto la stagione delle impugnative ne-goziali dei verbali di separazione consensuale, per molto tempo precluse, in un inquadramento errato del rilievo del decreto di omologa, non inteso come semplice condizione di efficacia

14 Sino ad ipotizzare un’opposizione di terzo alla sentenza ex art. 404, 2° comma, c.p.c., nel caso di esercizio da parte del creditore di un’azione revoca-toria, cfr. cecchellA, L’impugnativa degli accordi patrimoniali in sede di separazione e divorzio, in Gli accordi patrimoniali in sede di separazione e divorzio, a cura di C. Cecchella, Pisa, 83.

15 Cfr. nAscosi, op. cit., 185, nota, 28; sestA, Negoziazione assistita, cit., 295; D’AlessAnDro, La negoziazione assistita, cit., 1283, nota 37.

Quindi l’art. 6, 3° comma, non ha la valenza di un esonero dalla impugnativa per nullità, come lo è – ad esempio –, nella diversa materia delle controversie di lavoro, l’art. 2113 c.c., il quale sancisce la non impugnabilità degli accordi tra lavo-ratore e datore di lavoro, presi in particolari contesti (quello sindacale o quello amministrativo).

L’art. 6 in esame ha assimilato gli effetti dell’accordo a quelli di un provvedimento giurisdizionale, consentendo alla parte di utilizzare tutti gli strumenti di attuazione e di esecuzione senza un previo percorso giurisdizionale, ma non esclude – in mancanza di una norma come quella dell’art. 2113 c.c. – una impugnativa per nullità di contenuto dell’accordo, in quanto preso in violazione della norma imperativa.

Inoltre l’assimilazione agli effetti di un provvedimento giurisdi-zionale non modifica lo strumento di impugnazione, originato dalla natura dell’atto da impugnare, che resta un accordo, ovvero un negozio giuridico, soggetto alle azioni di impugnativa nego-ziale (e non certo a quelle di impugnativa giurisdizionale).

In conclusione, e per quanto interessa, non può dirsi vio-lata la garanzia dei diritto di azione nella nuova normativa di negoziazione assistita degli accordi del minore, sia perché l’art. 24 Cost. non pone affatto un monopolio giurisdizionale sugli effetti della sentenza o dei provvedimenti assimilati, ben potendo l’azione essere rinunciata o sospesa per volontà della parte, sia perché all’esito dell’accordo di negoziazione la parte può riappropriarsi del diritto di azione con cui far valere la nullità dell’accordo in violazione di norme imperative.

6. il caso della mancata autorizzazione dell’accor-do negoziato dagli avvocati da parte del Pubblico ministero

Qualche considerazione merita, nell’analisi della fattispecie che dà origine ad un’assimilazione degli effetti dell’accordo sui diritti del minore perfezionato dai genitori in sede di ne-goziazione assistita a quelli di un provvedimento giurisdizio-nale, il caso regolato nel 2° comma dell’art. 6, originato dalla mancata autorizzazione del Pubblico ministero: “Quando ritie-ne che l’accordo non risponda all’interesse dei figli, il Procuratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al Presidente del tribunale che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo”.

Il legislatore, seppure con una formula molto generica e irta di problemi interpretativi ed applicativi, sembra recuperare, nel caso di dissenso del Pubblico ministero, una fase di inter-vento del giudice.

Ma tale fase costituisce una sorta di svolgimento ancora amministrativo, di ricorso gerarchico ad un’autorità ammini-strativa superiore, appunto il Presidente del tribunale, oppure recupera, sempre su istanza delle parti, un ruolo ed una fun-zione esclusivamente giurisdizionale del Presidente?

L’ipotesi del ricorso gerarchico al Presidente del tribunale, benché nella prassi preferita, non è giustificabile sul piano interpretativo e sistematico.

Il Presidente del tribunale non può esser concepito come superiore gerarchico del sostituto procuratore che nega l’autorizzazione; superiore può essere al massimo il titolare dell’ufficio della Procura della Repubblica.

Il tribunale, in difetto di una espressa previsione del legi-slatore, inequivoca, non può svolgere attività amministrative,

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mentre è deputato per legge ad un generale potere di risolu-zione in sede giurisdizionale volontaria o contenziosa della controversia16.

L’attribuzione al presidente del tribunale di una recuperata funzione giurisdizionale preventiva, non può essere conside-rata violazione del principio della domanda, poiché la fase giurisdizionale resta, nell’atto di impulso necessario, affidata all’iniziativa delle parti private.

Infatti nella comparizione delle parti innanzi al Presidente del tribunale, solo le parti possono dare impulso ad una delle pos-sibili alternative innanzi al giudice: chiedere l’archiviazione del caso, a cui deve inesorabilmente provvedere il Presidente del tribunale; oppure promuovere una domanda congiunta nella quale, confermato il tenore dell’accordo, chiedere al Presidente del tribunale di proseguire in sede giurisdizionale, ovvero attra-verso le forme della separazione consensuale, del divorzio con-giunto, oppure della revoca e modifica dei provvedimenti giu-risdizionali sui quali aveva inciso l’accordo, confidando in una diversa veduta del tribunale rispetto a quella preventivamente offerta dal Pubblico ministero; infine, anche su iniziativa di una sola delle parti, avviare su domanda un procedimento conten-zioso nel contraddittorio con il Pubblico ministero, nel quale chiedere al tribunale un provvedimento provvisorio e finale fondato sull’accordo raggiunto dalle parti e non autorizzato17.

Pertanto le parti restano sovrane nel dirigere l’appendice giu-risdizionale verso una via consensuale o contenziosa oppure, al contrario, preferire la via della archiviazione del procedimento.

Certo è che sul piano sistematico non è concepibile un ruolo del Presidente del tribunale come organo amministrativo di secondo grado, che autorizzi ciò che il Pubblico ministero non ha autorizzato, avviando l’accordo, entro dieci giorni, in copia autentica, all’ufficiale dello stato civile.

7. i possibili contenuti dell’accordo e il carattere infungibile della prestazione obbligata a tutela dei diritti del minore

Non è dubitabile che i contenuti dell’accordo possano regola-mentare un qualsiasi diritto del minore, sia esso patrimoniale, come il diritto ad un contributo di mantenimento diretto, at-traverso la convivenza, o indiretto, in caso di residenza stabile presso l’altro genitore, mediante versamento di un assegno pe-riodico, oppure personale, come il diritto alla bi-genitorialità nell’affidamento, l’individuazione di una residenza abituale del minore presso uno dei genitori, la regolamentazione del diritto dell’altro genitore ad una visita e a tenere con sé il figlio in al-cuni giorni della settimana o in alcuni periodi dell’anno; infine, la regolamentazione di una situazione “mista”, sia patrimoniale che personale, costituita dall’assegnazione della casa familia-

16 Cfr., nAscosi, I procedimenti consensuali, cit., 182; luiso, Le disposizioni in materia di separazione e divorzio, cit., 39; luPoi, Separazione e divorzio, cit., 295; Borghesi, La delocalizzazione del contenzioso civile: sulla giustizia sventola bandiera bianca?, in www.Judicium.it; invece per la possibilità di un’autorizzazione soltanto del Presidente, in una sorta di ulteriore fase amministrativa, DAnovi, Il processo di separazione e divorzio, cit., 878; tommAseo, La tutela dell’interesse dei minori, cit., 161. In giurisprudenza si è richiesto un vero e proprio ricorso dei coniugi perché sia avviata una fase giudiziale, così Trib. Torino 15 gennaio 2015, in Fam. dir., 2015, 390, nella stessa direzione, cArrAttA, op. cit., 1292. Una circolare ministeriale, per quanto possa valere, la n. 6/2015 del 24 aprile 2015, sembra avvalorare l’ipotesi della fase amministrativa.

17 In questi casi le parti dovranno integrare l’istanza con il versamento del contributi unificato.

re, al coniuge presso il quale è stabilita la stabile residenza del minore. Anche l’eventuale regolamentazione delle modalità di esercizio congiunto dell’affidamento, nelle scelte concernenti l’educazione del minore, la sua frequentazione scolastica e gli studi, il suo trasferimento di residenza, le scelte nell’ambito del tempo libero, possono essere – evidentemente nell’ambito della revoca e modifica dei provvedimenti di separazione e divorzio – assunti in sede di accordo di negoziazione.

I diritti sia patrimoniali che personali del minore coincido-no con situazioni infungibili, ove la prestazione dell’obbli-gato è necessaria, non potendo essere surrogata dall’attività dell’ufficio esecutivo nelle forme del libro III del codice di rito. L’infungibilità vale anche per i diritti al mantenimento, che tutelano indirettamente situazioni personali, come la vita, la dignità e il decoro della persona: non è seriamente pensa-bile che tali diritti possano essere tutelati da un’esecuzione nelle forme della espropriazione. A maggior ragione un diritto personale, come il diritto alla genitorialità, nelle forme degli obblighi di fare o non fare o peggio ancora nelle forme degli obblighi di consegna o rilascio.

L’assimilazione agli effetti di un provvedimento giurisdizio-nale apre gli accordi alla piena tutela dei diritti infungibili, accertati in sede giurisdizionale, mediante l’art. 614-bis c.p.c., oppure alle forme dell’art. 709-ter c.p.c.

Quanto alla prima disposizione (che oggi tuttavia incontra il limite sul piano giurisdizionale del diritto al pagamento di somme) è possibile che nell’accordo si stabilisca l’obbligo di pa-gamento di una somma, a titolo di penale, per ogni inadempi-mento o ritardo nell’adempimento e che la violazione possa dare origine ad un’immediata tutela esecutiva, stante l’esecutività di cui è munito l’accordo. L’ampiezza di determinazione negoziale peraltro, consente attraverso l’estensione della concezione della clausola penale, di imporne l’applicazione anche in caso di vio-lazione di obblighi di prestazioni in denaro, con una maggiore latitudine dell’istituto rispetto all’omologo giurisdizionale.

In difetto di una precostituzione nell’accordo di una pena-le alla violazione dell’obbligo, innanzi all’inadempimento del diritto personale, non incontra limiti altresì l’istanza al giudi-ce competente per il merito, al fine di una determinazione a posterius di una misura coercitiva a carico dell’inadempiente, ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c.

I diritti personali regolati nell’accordo, possono poi condur-re alle forme di esecuzione in via breve, lasciate alla determi-nazione del giudice di merito, sempre ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c., che non si dimentichi, nell’ambito delle controversie di famiglia è norma che disciplina l’esecuzione, in alternativa alle forme del libro III del codice di rito, secondo la pruden-te valutazione del giudice di merito, la quale può giungere, per quella continua osmosi tra esecuzione e cognizione nelle controversie di famiglia, a modificarne in contenuti qualora questi non ne consentano un’adeguata esecuzione.

8. Le peculiarità dell’accordo negoziato sull’asse-gnazione della casa coniugale

Tra i contenuti necessari dell’accordo di negoziazione, l’asse-gnazione della casa coniugale, misura concordata che segue gli interessi del minore, essendone destinatario il genitore presso il quale è stabilita la residenza del figlio.

La violazione della regola potrebbe essere passibile di nullità dell’accordo.

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DOSSier La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista

La sua applicazione rende necessaria la trascrizione dell’ac-cordo di negoziazione, per l’opponibilità ai terzi, alla pari del provvedimento di separazione ai sensi dell’art. 337-sexies c.c. (“Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascri-vibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643”) e dei provvedi-menti in sede divorzile, ex art. 6 legge n. 898 del 1970 (“L’as-segnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’articolo 1599 del codice civile”).

Il tema, innanzi alle consuete incertezze del legislatore, pone il problema del titolo necessario per la trascrizione, una copia dell’accordo autenticata dall’avvocato (secondo quanto necessario per la annotazione da parte dell’Ufficiale di stato civile), o una copia dell’accordo sottoscritto innanzi a notaio con firme autenticate?

Vi è da dire che l’avvocato, al momento in cui certifica le firme delle parti in calce all’accordo, non è certamente un pubblico ufficiale (com’è quando autentica la firma in calce al mandato di rappresentanza difensiva ex art. 83 c.p.c.), tant’è che quando l’accordo di diritto comune contiene una clausola che produce l’effetto di un trasferimento di un diritto reale su di un immobile, è necessario che l’accordo stesso, ai fini della trascrivibilità, sia reso innanzi ad un notaio che ne autentichi le sottoscrizioni, dando loro pubblica fede fino a querela di falso, art. 5 legge n. 164 del 2014.

L’eventualità di un trasferimento immobiliare, nel contesto di un accordo che coinvolga un minore e che magari lo ren-da destinatario di un diritto reale su immobile, non potrebbe sottrarsi al perfezionamento, ai fini di autentica delle firme per la trascrizione, innanzi a notaio.

Ma l’assegnazione della casa coniugale è altra cosa, non è un trasferimento di diritti reali immobiliari. È il riconoscimento di un diritto del minore, di avere stabile residenza nella casa familiare, il quale è oggetto del provvedimento giurisdizionale e, per assimilazione, dell’accordo di negoziazione. È l’art. 6, 3° comma, legge cit., a porre il fondamento della trascrivibi-lità: la assimilazione al provvedimento giurisdizionale. Non l’art. 5 della stessa legge, che disciplina la diversa fattispecie del trasferimento di diritti reali su immobili.

Dunque, per assimilazione al provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, che non coincide con un diritto rea-le, si deve ritenere che costituisca titolo per la trascrizione la semplice copia certificata come autentica dall’avvocato, non essendo necessaria la traduzione dell’accordo nelle forme del-la scrittura privata autenticata da notaio.

Infatti, in analogia, è trascrivibile semplicemente la copia autentica del verbale di separazione consensuale omologato, oppure la copia autentica della sentenza di scioglimento del vincolo (art. 2657 c.c.: “La trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza”) e l’assimilazione alla sentenza o altro provvedimento giurisdizionale non rende necessaria altra for-malità che la presentazione al conservatore di copia dell’atto assimilato agli effetti della sentenza.

Il tema è tuttavia irto di difficoltà, lo si conviene, poiché l’art. 2658 c.c. impone all’atto della trascrizione la presenta-zione di copia autentica della sentenza, se il titolo è giudiziale (al quale ci è parso opportuno assimilare l’accordo di nego-ziazione sull’assegnazione della casa coniugale), mentre se il titolo è stragiudiziale è necessario produrre l’originale o copia autentica, se depositata in un pubblico archivio o presso un notaio, di una scrittura privata autenticata.

9. La posizione del minore nell’accordo inter alios

Sinora si è trattato di un accordo di negoziazione tra i genito-ri, avente ad oggetto tuttavia i diritti del minore, che è parte sostanzialmente diversa.

I genitori svolgono una funzione di rappresentanza e ammi-nistrazione degli interessi del minore (art. 320 c.c.), da eser-citarsi congiuntamente nel caso di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, con il limite del conflitto di interessi (art. 321 c.c.), quando si rende necessario la nomina di un curato-re speciale del minore. Trattandosi di rappresentare il minore in un atto di diritto sostanziale, hanno rilievo solo gli istituti della rappresentanza legale.

L’eventuale perfezionamento di un accordo in violazione delle norme sulla rappresentanza legale o in conflitto di inte-ressi, rende l’accordo annullabile per difetto di rappresentan-za, ai sensi dell’art. 322 c.c. Tale disposizione è pienamente applicabile agli accordi nel quale viene negoziato il diritto del minore.

Il tema, nel silenzio del legislatore, sui delicati profili del conflitto e della rappresentanza, non può tuttavia essere risol-to solo sulla base delle norme sostanziali.

Si deve infatti muovere dalla necessità di una rappresen-tanza tecnica delle parti coinvolte nella controversia e quindi nell’accordo, come elemento costitutivo della fattispecie, in grado di consentire la stipula anche sui diritti del minore: la norma si riferisce solo ai genitori/coniugi, ai quali impone una rappresentanza tecnica separata (art. 6, 1° comma, cit.) dimentica il minore, dei cui diritti si tratta.

La lacuna è l’esatta simmetria di identica lacuna in sede giu-risdizionale, dove il minore, parte sostanziale e formale del processo e del suo giudizio finale, è assente e non è tecnica-mente rappresentato. È noto, infatti, come la legge ammetta una rappresentanza tecnica del minore solo nelle controversie sullo stato di adottabilità e sulla responsabilità genitoriale, trascurando tutte le altre controversie, in cui pure il mino-re è parte sostanziale del processo, essendo in discussione i suoi diritti. È altrettanto noto come il “diritto vivente” ignori anche queste disposizioni e traduca la tutela del minore solo nelle disposizioni dedicate al conflitto di interessi con il suo rappresentante legale, attraverso l’istituto della nomina del curatore ex art. 75 c.p.c. (che viene reclutato nelle schiere degli avvocati familiaristi, con il conseguente risparmio dei compensi spettanti invece al difensore tecnico).

Ne risulta che il minore è l’unica parte sostanziale del pro-cesso priva di rappresentanza tecnica, pur consumandosi in esso la tutela dei diritti indisponibili di cui è titolare, costretto – si badi bene - ad assumere le proprie difese personalmente in quell’istituto di autodifesa che è l’ascolto.

L’ascolto è altro tema del tutto trascurato dalla normativa sulla negoziazione assistita, il quale, al contrario, è posto al centro della tutela giurisdizionale dei diritti del minore, es-sendo in difetto di ascolto il provvedimento destinato ad un regime di radicale nullità e non spendibile come titolo esecu-tivo nell’ambito dell’ordinamento della Unione europea.

Se dunque l’ordinamento trascura, ai limiti della costituzio-nalità, la rappresentanza anche tecnica del minore nel proces-so che ha ad oggetto i suoi diritti, non trascura nell’ambito giurisdizionale il suo diritto di esprimersi sui suoi interessi, mediante l’ascolto, vero e proprio strumento di autodifesa, non certo di carattere istruttorio.

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La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista DOSSier

La negoziazione assistita trascura l’uno e l’altro aspetto.Se quello della rappresentanza tecnica può essere supera-

to dal non essere negoziabile la controversia sullo stato di adottabilità o la controversia sulla responsabilità genitoriale (limitandosi l’istituto ad un’applicazione nelle sole controver-sie della separazione o dello scioglimento del vincolo), resta il tema delicato del conflitto (risolto nell’ambito giurisdizio-nale mediante la nomina del curatore) e soprattutto il tema dell’ascolto.

Quanto al conflitto, non pare postulabile, come in sede giuri-sdizionale, l’applicazione dell’art. 75 c.p.c., poiché non vi è nel nostro caso, un processo pendente, mentre sembra più oppor-tuno rifarsi alle norme di diritto sostanziale ai sensi degli artt. 320 e 321 c.c., con la nomina di un curatore speciale, in caso di conflitto di interessi tra minori e genitori. Su tale aspetto gli avvocati dovranno prestare particolare attenzione, essendo le disposizioni richiamate norme imperative e inderogabili.

Sull’ascolto il tema è assai più delicato. Vi è anzitutto da sottolineare che anche quando il provvedimento giurisdizio-nale costituisce omologa o recepimento di un accordo perfe-zionato tra i coniugi, non per questo è escluso l’ascolto del minore, semplicemente essendo esso destinato ad una valuta-zione maggiormente discrezionale del giudice (art. 337-octies, 1° comma, c.c.: “Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affida-mento dei figli, il giudice non procede all’ascolto, se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo”). Questa indicazione normativa, in via analogica, dovrà sensibilizzare gli avvocati negoziatori sulla opportunità o meno dell’ascolto, in relazione all’età dei figli, alla loro capacità di discernimento e determinazione e alla maggiore e o minore sintonia manife-stata nei rapporti con i genitori.

Vi è altresì da aggiungere che il tema è reso ancor più de-licato dall’art. 23 del regolamento dell’Unione europea n. 2201/2003, ove si legge. “Le decisioni relative alla responsabili-tà genitoriale non sono riconosciute nei casi seguenti.. b) se salvo i casi di urgenza, la decisione è stata resa senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato”. Pertanto il titolo esecu-tivo costituito da un accordo di negoziazione rischia di non poter circolare nell’Unione europea in difetto dell’ascolto del minore.

Il tema è intriso di profili non solo civilistici, ma anche de-ontologici, poiché l’art. 56 del codice deontologico in vigore impedisce all’avvocato di procedere all’ascolto di una persona minore di età, senza il consenso degli esercenti la responsabi-lità genitoriale, sempre che non sussista conflitto di interessi con gli stessi, con l’aggravante che il discrimine dell’illecito costituito dal consenso dei genitori, non può essere tranquil-lizzante, poiché non è facile avvertire la sussistenza o meno di un caso di conflitto di interessi dei genitori con il minore.

Né d’altra parte è tranquillizzante una premessa nell’accor-do nella quale i genitori stipulanti, assistiti dagli avvocati, possano darsi atto di aver interpellato entrambi il minore, ottenendone una sostanziale adesione ai contenuti degli ac-cordi, essendo sempre latente e non facilmente rilevabile il profilo del conflitto di interessi.

È forse più tranquillizzante e tutt’altro che esclusa dalla di-sciplina, la possibilità di far uso di un esperto, psicologo o medico psichiatra infantile, munito della necessaria profes-sionalità che, raccolto il consenso dei genitori, possa proce-

dere ad un ascolto, riferendone poi i risultati,in relazione agli accordi raggiunti, ai genitori, i quali ne possano assumere in premessa i risultati eventualmente adesivi o modificarne, in caso di diverso avviso, i contenuti.

Resta poi l’altro problema del figlio maggiorenne non au-tosufficiente. Se certamente avrà diritto di azione (eventual-mente anche nelle forme dell’impugnazione dell’accordo tra i genitori che abbia violato la sua posizione, sancita da di-sposizione imperativa) è da domandarsi se non debba neces-sariamente intervenire nell’accordo. Questa seconda ipotesi, nel silenzio del legislatore, non sembra da postularsi con ne-cessità, dovendo i genitori (e i loro avvocati) favorire accordi che tengano conto dei diritti del figlio, al fine di scongiurare un’impugnativa che vanifichi gli effetti dell’accordo18.

La trascuratezza del legislatore su temi essenziali del diritto di famiglia, come il ruolo di parte del minore e la necessità dell’ascolto, evidenziano l’approssimazione della recente nor-mativa e rischiano di rendere poco praticabile la via negoziale alternativa a quella giurisdizionale.

10. Le sopravvenienze in fatto e in diritto all’accordo

L’accordo di negoziazione, anche quando concerne diritti del minore, assume la stabilità di un atto di transazione e, per-tanto, non è modificabile o revocabile per il rilievo dei fat-ti anteriori, trascurati nell’accordo, o per il rilievo di norme di legge, essendo applicabili le disposizioni che escludono un’impugnativa di merito e di legittimità della transazione, artt. 1969 e 1970 c.c.

Tuttavia, già si è detto nell’esame del profilo sub par. 6.5, che il sindacato di diritto, dovuto ad errore di diritto, è precluso sin tanto che la norma violata non sia una norma imperativa e di ordine pubblico che fissi all’accordo i contenuti minimi dei diritti del minore. In tal caso non può essere esclusa l’azione ex art. 1418 c.c., per nullità del contratto.

Ma al di fuori dell’ipotesi della violazione della norma impe-rativa, non è concessa alcuna impugnativa sul merito dell’ac-cordo, fondato sul rilievo dei fatti storici già accaduti o di norme dispositive eventualmente non applicate.

Diversamente si pone il caso per la sopravvenienza di fatto o per lo ius superveniens.

Nel primo caso ogni circostanza sopravvenuta che possa incidere sui diritti del minore (mutamento della stabile re-sidenza per scelta del minore capace di discernimento; mag-giori esigenze economiche postulate dalla crescita del minore; variazione di reddito e/o patrimonio dei genitori), possono certamente incidere sull’accordo, come lo potrebbero su un accordo ad esempio di separazione consensuale.

L’assimilazione degli effetti dell’accordo ai provvedimenti giurisdizionali, rende ragione di un’applicazione degli artt. 710 c.p.c. o 9, legge n. 898 del 1970, consentendo di far valutare giudizialmente le sopravvenienze fattuali e la loro

18 Il tema è parallelo a quello dell’intervento in causa del figlio maggiorenne non autosufficiente, assai discusso, cfr. per l’affermativa, DAnovi, Il processo di separazione e divorzio, cit., 157; tommAseo, Le nuove norme sull’affidamento con-diviso: b) profili processuali, in Fam. dir., 2006, 298; in giurisprudenza, Cass., 19 marzo 2012, n. 4296, in Corr. giur., 2012, 774 e in Dir. fam., 2012, 1510; in senso contrario, QuADri, Affidamento dei figli e assegnazione della casa familiare: la recente riforma, in Familia, 2006, 411. Si è comunque ritenuto possibile l’inter-vento del figlio nella trattativa e la sua adesione dell’accordo, tommAseo, La tutela dell’interesse del minore, cit., 163.

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DOSSier La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista

incidenza sui contenuti dei diritti concordati in sede di nego-ziazione (salvo che per volontà dei genitori non vi sia spazio per una nuova negoziazione, alla luce della sopravvenienza).

Lo ius superveniens non potrebbe invece incidere sulla regola concreta stabilita nell’accordo di negoziazione, la quale, come nel giudicato, si impone alla sopravvenienza normativa. Si deve tuttavia tener conto che le situazioni di cui è titolare il minore sono permanenti nel tempo, così il diritto al pagamento perio-

dico di un contributo di mantenimento, oppure, ancora per esempio, il diritto di frequentare e avere rapporti significativi con il genitore con il quale il minore non convive stabilmente. È evidente che per il segmento di tempo relativo all’esercizio del diritto successivo all’accordo ed eventualmente disciplinato dallo ius superveniens, il diritto del minore potrà certamente es-sere rinegoziato, oppure oggetto di una revoca e modifica all’in-terno delle procedure camerali offerte dalla legge.

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La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista DOSSier

trib. Pordenone, 17 marzo 2017, Arpieno, Pres. e rel.

La cessione di un immobile a uno dei coniugi pattuita nell’ambito della procedura di negoziazione assistita non necessita di un nota-io. Ad affermarlo è il tribunale di Pordenone con un decreto del 16 marzo con il quale si dà il via libera alla cessione con il solo inter-vento degli avvocati. I giudici sottolineano come l’accordo raggiun-to nell’ambito di tale procedura deve essere sottoposto all’esame della Procura e, una volta ottenuto il nullaosta, questo “produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono […] i provvedimenti di separazione giudiziale”. Per il Tribunale, dunque, dato che i provvedimenti giudiziali non richiedono au-tenticazioni delle sottoscrizioni da parte di altri pubblici ufficiali, per la trascrizione delle cessioni immobiliari in essi inseriti, è evi-dente che neppure gli accordi di negoziazione vi dovranno essere soggetti. In sostanza, esigere un’ulteriore intervento di una nuova figura professionale, in caso di atti soggetti a trascrizione contenuti in negoziazioni familiari sarebbe in contrasto con le esigenze di assicurare maggiore efficienza e funzionalità alla giustizia civile.

(omissis) Nello sciogliere la riserva formulata in udienza, pre-mette:che le parti, unite in matrimonio concordatario celebrato a Fontanafredda il 10.9.1989 fatto trascritto nel Registro degli Atti di matrimonio di quel Comune al n. 17, parte 2, serie A dell’anno1989), decidevano di formalizzare la loro separa-zione personale avvalendosi dell’istituto della Negoziazione Assistita;che pertanto gli stessi, unitamente ai rispettivi legali, sotto-scrivevano in data 15.6.2016 una Convenzione di Negozia-zione ed in pari data (15.6.2016) un Accordo di Negoziazio-ne (all. 2) ai sensi degli artt. 2 e 6 d.l. n. 132/2014:che tra le condizioni di separazione le parti concordemente prevedevano il trasferimento tra loro della quota di proprie-tà di un bene immobile ovvero in particolare la cessione da parte del signor A é in favore della signora ----- a della quota del 50% di proprietà di un’unità immobiliare sita in Fonta-nafredda (PN), -------, in modo chela signora ---, prima solo comproprietaria, ne divenisse proprietaria esclusiva;che in data 16.6.2016 detto Accordo era depositato presso la locale Procura della Repubblica al fine di ottenere il prescritto nulla osta ex ari. 6. comma 2, d.l. n. 132/2014 non essendo presenti figli minori o soggetti a questi equiparati ai sensi del-la medesima disposizione;che in data 16.6.2016 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone concedeva il nullaosta:che in data 6.10.2016 l’Accordo veniva trascritto/annotato dall’Ufficiale dello Stato Civile del Comune dì Fontanafredda negli appositi Registri;che tale Accordo veniva depositato presso l’Ordine degli Av-vocati di Pordenone che in data 4.11.2016 ne rilasciava copia conforme all’originale;che l’Accordo medesimo veniva quindi presentato alla Con-servatoria dei Registri Immobiliari di Pordenone per la tra-scrizione della cessione immobiliare di cui sopra e tuttavia il Conservatore dei Registri Immobiliari di Pordenone in data 18.11.2016 rifiutava di procedere alla trascrizione sollevan-do dubbi sull’idoneità del titolo, asseritamente privo di valida autenticazione ai fini della tracrivibilità.

FATTOTutto ciò premesso, si osserva:

non può seriamente dubitarsi della possibilità di addivenire ad una cessione immobiliare. quale quella in oggetto, nell’ambi-to di una procedura di Negoziazione Assistita, l’ammissibilità di tali trasferimenti non solo discende dal combinato disposto degli artt. 5 e 6 d.l. n. 132/2014, ma è stata altresì confermata – in termini univoci – dalla Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 65/E del 16.7.2015 (che ha altresì ribadito l’esenzione di tali atti da imposte e tasse ex art. 19 l. n. 74/1987).Le perplessità del Conservatore di Pordenone riguardano, in-fatti, non la tracrivibilità – in sé ed in via generale – di tali cessioni concordate in sede di Negoziazione, bensì la circo-stanza che, nella concreta fattispecie, l’autenticazione delle sottoscrizioni del processo verbale di accordo non sarebbe stata effettuata da un “pubblico ufficiale” all’uopo autorizzato. La trascrizione è stata, infatti, negata “mancando l’autentica-zione prevista dalla legge”.Va ricordato, invero, che l’art. 5 del d.l. n. 132/2014, di porta-ta generale, dopo aver stabilito al 2° comma che in tutti i casi di Negoziazione Assistita “Gli avvocati certificano l’autografia delle firme” delle parti, al 3° comma precisa che per potersi procedere alla trascrizione di un atto soggetto a tale formalità sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere au-tenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.Ulteriori e dirimenti considerazioni, tuttavia, portano ad escludere, all’interno di una prospettiva esegetica costituzio-nalmente orientata, che l’intervento del predetto “pubblico ufficiale a ciò autorizzato” sia necessario in un procedimento di Negoziazione Assistita in materia di famiglia regolato in forma specifica dall’art. 6 d.l. n. 132/2014.Infatti ai sensi del 3° comma di tale ultima disposizione, in materia di famiglia, l’accordo raggiunto a seguito della con-venzione va sottoposto al Procuratore della Repubblica per la concessione dell’autorizzazione o (come nel caso in esame) per il rilascio del nulla osta ed infine “produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono… i provvedimenti di separazione giudiziale”.Poiché i provvedimenti giudiziali – sentenze, ordinanze e de-creti – non richiedono autenticazioni delle sottoscrizioni da parte di ulteriori “pubblici ufficiali a ciò autorizzati” ai fini della trascrizione delle cessioni immobiliari in essi eventual-mente contenute, risulta evidente che neppure gli Accordi di Negoziazione dovranno essere soggetti a tale adempimento, pena la vanificazione della predetta espressa equiparazione ai provvedimenti giudiziali ed il conseguente irriducibile contra-sto con i canoni costituzionali di coerenze e ragionevolezza.Il Conservatore, nella motivazione a sostegno del rifiuto di trascrivere l’atto che ci occupa, riporta il contenuto dell’art. 2657 c.c. secondo cui “La trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza. di atto pubblico o di scrittura priva-ta con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente”. Ma per quanto riguarda la “sentenza”, è indubitabile che la medesima efficacia abilitante alla trascrizione è da attribuir-si non solo ad altri provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria che non rivestono la forma di “Sentenza” (come ad esempio il Decreto di trasferimento del bene espropriato ex art. 586 c.p.c. o l’Ordinanza che dichiara esecutivo il progetto divisio-nale ex art. 789 c.p.c.), ma anche ad altri atti ai quali la legge riconosce i medesimi effetti. È il caso – che presenta alcune analogie con la Negoziazione Assistita sotto il profilo qui con-siderato – del Lodo arbitrale, al quale la legge espressamente

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DOSSier La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista

attribuisce “gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria” (art. 824 bis c.p.c.) e che, reso esecutivo con De-creto del Tribunale (che non ha certo la funzione di autenti-care le sottoscrizioni degli arbitri – non apposte alla presenza del Tribunale – bensì quella di accertare la regolarità formale del Lodo), “è soggetto a trascrizione” (art. 825 c.p.c.) senza necessità di ulteriori “autenticazioni”.Allo stesso modo, quindi, l’accordo di Negoziazione Assisti-ta munito del nullaosta o dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica (che non ha certo il compito di autenticare le sottoscrizioni delle partì, ma ha ad oggetto il contenuto dell’atto) “produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali”, e tra tali effetti non può non essere ricompreso anche quello di costituire titolo per la trascrizione.In definitiva, alla sostanziale inutilità di ulteriori “autentica-zioni” deve necessariamente pervenirsi valorizzando:- la lettera della legge che espressamente equipara l’Accor-do di Negoziazione (munito di nullaosta/autorizzazione) ai “provvedimenti giudiziali”;- L’inquadramento sistematico dell’art. 6 citato, nel più ampio compendio relativo alla natura, struttura e formazione degli atti oggetto di trascrizione.A sostegno della predetta esegesi il sintomatico rilievo che, mentre in ambito extrafamiliare gli Accordi di Negoziazione possono essere validamente conclusi con l’assistenza di un unico avvocato per entrambe te parti, in materia di famiglia è necessariamente richiesta – proprio per la particolare delica-tezza dei diritti, degli interessi coinvolti e delle conseguenze inferite – la presenza di almeno un avvocato per parte. Appare, allora. evidente che esigere l’intervento di un’ulteriore figura professionale in caso di atti soggetti a trascrizione contenuti in “negoziazioni familiari”, contrasterebbe con la “finalità di as-sicurare una maggior funzionalità ed efficienza della giustizia civile” espressamente enunciata nel Preambolo del medesimo d.l. n. 132/2014, addossando alle parti ulteriori formalità e co-sti aggiuntivi, con effetti del tutto disincentivanti nei confronti della Negoziazione Assistita, incompatibili con i dichiarati in-tenti di semplificazione ed efficienza perseguiti dal legislatore.

PQMordinare al Conservatore dei Registri immobiliari di Porde-none di procedere alla trascrizione del trasferimento immo-biliare sopra indicato, accertato che in materia di famiglia ex art. 6 d.l. n. 132/2016 non è richiesta/necessaria, ai fini della trascrizione degli atti di trasferimento immobiliare eventual-mente contenuti in un Accordo di negoziazione Assistita, l’ulteriore autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un “pubblico ufficiale a ciò autorizzato” di cui all’art. 5, 3° com-ma del medesima d.l. (omissis)

App. trieste, 6 giugno 2017, De rosa, Pres., iada-rosa, rel.

Il potere di certificazione dell’autografia delle firme riconosciuto all’avvocato in sede di negoziazione assistita non può estendersi sino al punto di annullare quanto previsto proprio all’art. 5 d.l. n. 132/2014, poiché non risulta che l’ordinamento preveda ipotesi in cui al difensore venga attribuito un potere certificativo per attività di carattere privato. Al contrario, è necessario distinguere tra ef-fetti e forma dell’atto secondo quanto previsto dall’art. 2657 c.c., che stabilisce che la trascrizione non possa essere effettuata se non

in forza di sentenza, atto pubblico o scrittura privata con sottoscri-zione autenticata o accertata giudizialmente. La peculiare forma richiesta dalla norma trova la sua ratio nella necessità di tutelare gli interessi pubblicistici e della collettività garantendo la corretta circolazione dei beni e dei diritti reali immobiliari.

(Omissis)FATTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSOE MOTIVI DELLA DECISIONE

Gli odierni reclamati, A.M. e B.d.G, sottoscrissero in data 15 giugno 2016 una convenzione di negoziazione assistita ed un conseguente accordo di negoziazione ai sensi degli artt. 2 e 6 del d.l. n. 132/2014; tra le condizioni di separazione le parti stabilirono la cessione da parte di A.M. alla moglie B.d.G. del 50% della quota di proprietà di una unità immobiliare sita a Fontanafredda (PN), via…, già per la residua metà di proprie-tà della B.d.G. stessa.L’accordo di negoziazione ottenne il nulla osta della Procura della Repubblica ex art. 6 d.l. n. 132/2014 e venne annotato dall’Ufficiale dello Stato civile del Comune negli appositi regi-stri; successivamente l’accordo di negoziazione veniva presen-tato alla Conservatoria dei registri immobiliari di Pordenone per la trascrizione della cessione immobiliare ivi contenuta. Il Conservatore, in data 18 novembre 2016, rifiutava di pro-cedere alla trascrizione “in quanto il titolo non corrisponde ai titoli idonei per la trascrizione mancando l’autenticazione prevista dalla legge”.Detto provvedimento del Conservatore veniva reclamato dai signori A.M. e B.d.G. avanti al Tribunale di Pordenone riunito in composizione collegiale; affermavano i reclamanti che l’ammissibilità della trascrizione derivava dal combinato disposto degli artt. 5 e 6 del d.l. n. 132/2014 e che l’autenti-cazione delle sottoscrizioni certificata dagli avvocati era suffi-ciente a rendere trascrivibile l’atto in forza di quanto prevede il citato art. 6, secondo cui l’accordo di separazione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti che definiscono i provvedimenti di separazione giudiziale.Resisteva al reclamo il Conservatore in proprio, ribadendo la correttezza del suo provvedimento di rifiuto; il Tribunale di Pordenone, in composizione collegiale, accoglieva il reclamo ed ordinava al Conservatore di provvedere alla trascrizione prima rifiutata. Argomentava il Collegio che una corretta in-terpretazione degli articoli 5 e 6 del d.l. 132/2014 non poteva che condurre a ritenere trascrivibili le cessioni immobiliari eseguite in forza di accordi di negoziazione assistita in quanto il citato terzo comma dell’art. 6 equiparava a tutti gli effetti il contenuto di detti accordi ai provvedimenti giudiziali che definiscono i giudizi di separazione, per i quali non è richie-sta nessuna ulteriore autenticazione delle sottoscrizioni ai fini della loro trascrivibilità.Avverso detto provvedimento del Tribunale di Pordenone propone ora reclamo l’Agenzia delle Entrate, a mezzo dell’Av-vocatura distrettuale dello Stato, con atto notificato in data 4 maggio 2017; resistono A.M. e B.d.G. con comparsa deposi-tata in data 26 maggio 2017.Il reclamante si duole della errata interpretazione fornita dal Tribunale delle norme del d.l. 132/2014 che governano la ne-goziazione assistita e la possibilità di trascrivere cessioni di

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diritti reali previste in sede di accordo di negoziazione; sostie-ne infatti il reclamante che sia solo l’art. 5 del citato decreto a dettare le norme in materia prevedendo espressamente la necessità dell’autentica di un pubblico ufficiale per la trascri-zione così come previsto dal terzo comma dell’art. 5. Ritiene ancora l’Avvocatura che il successivo articolo 6 non contenga alcuna deroga a detto principio e che ogni diversa interpreta-zione sia sostanzialmente irragionevole ed in contrasto con il dettato normativo.Si duole inoltre dell’affermata equiparazione operata dal Tri-bunale tra accordo di negoziazione in sede di separazione e provvedimenti giudiziali in detta materia, equiparazione motivata con il fatto che in sede giudiziale non è necessaria alcuna ulteriore autenticazione delle sottoscrizione per poter provvedere alla trascrizione del provvedimento giudiziale; ritiene il reclamante che il parallelismo non possa conferire all’accordo la forma pretesa dall’art. 2657 ce. ai fini della tra-scrizione e che il nulla osta del Pubblico Ministero non possa in nessun caso tener luogo all’autentica delle sottoscrizioni da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.Da ultimo il reclamante contesta anche l’assunto del Tribuna-le di una generica trascrivibilità di tutti i provvedimenti giudi-ziali; afferma infatti l’Avvocatura che la trascrivibilità è esclusa per i provvedimenti giudiziali che recepiscano accordi tra le parti soggetti a pubblicità.Il reclamo è fondato per le ragioni di cui in motivazione.La questione che viene posta a questo Collegio attiene alla possibilità di trascrivere un accordo di negoziazione assistita in materia familiare che contenga al suo interno un trasferi-mento di diritti reali immobiliari; più precisamente il proble-ma attiene non tanto alla sostanza dell’accordo di negoziazio-ne, ma alla forma necessaria per poter trascrivere l’accordo di negoziazione che contenga un trasferimento immobiliare.Le disposizioni di riferimento sono gli artt. 5 e 6 del d.l. 132/2014; l’art. 5 detta le regole sull’esecutività dell’accordo raggiunto a seguito della negoziazione assistita e sulla trascri-zione immobiliare dello stesso, stabilendo, al primo comma, che l’accordo “sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo per l’iscrizione di ipo-teca giudiziale” e che, al secondo comma, “Gli avvocati cer-tificano l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico”. Il comma 3 di-spone poi che, “Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”. Il successivo articolo 6 detta la disciplina relativa alla negoziazione in materia fami-liare prevedendo che l’accordo finale sia trasmesso al P.M., il quale, ove ritenga che esso non presenti irregolarità e ri-sponda all’interesse di eventuali figli non autosuffìcienti, lo approva e dà il nulla osta per gli adempimenti successivi che sono quelli previsti dal terzo comma.Il comma 3, inoltre, contiene anche affermazione, valorizzata dal provvedimento reclamato, secondo cui l’accordo “produ-ce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono… i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”.

Sono questi i dati normativi da cui è necessario muoversi sen-za per altro dimenticare le disposizioni codicistiche in materia di trascrivibilità degli atti e della forma necessaria per la loro trascrizione, e più precisamente gli artt. 2567 c.c. e 2703 c.c.Ma sono proprio le norme del citato d.l. e quelle codicistiche richiamate a far sì che non sia convincente l’interpretazione delle stesse data dal Tribunale che si fonda sull’erroneo sil-logismo in forza del quale se, ai sensi dell’art. 2657 cod. civ., sono trascrivibili senza bisogno di autentica gli atti dell’au-torità giudiziaria, allora devono essere trascrivibili anche gli accordi assistiti, “pena la vanificazione della predetta espressa equiparazione ai provvedimenti giudiziali ed il conseguente irriducibile contrasto con i canoni costituzionali di coerenza e ragionevolezza”.Una attenta lettura del decreto reclamato evidenzia che la trascrivibilità dell’accordo di negoziazione è stata ritenuta legittima dal Tribunale non tanto perché l’autentica degli av-vocati, che ne sono stati garanti, sia stata equiparata a quella dei pubblici ufficiali, ma per l’equiparazione dell’accordo agli altri provvedimenti che concludono l’iter della separazione avanti all’autorità giurisdizionale, sia essa consensuale o con-tenziosa.Coglie ad ogni modo nel segno il reclamante posto che il citato articolo 5 del d.l. n. 132/2014 detta una norma che riguarda, in generale, tutti gli aspetti esecutivi collegati al raggiungimento di un accordo a seguito della negoziazione assistita. Ritiene questo Collegio che tale norma, prevedendo la richiesta autenticazione delle sottoscrizioni sul verbale di accordo di cui al comma 3 dell’articolo 5 medesimo, abbia una portata generale, e non limitata ad alcune materie, così da escludere l’autenticazione per quelle di cui al successivo articolo 6.Induce ad una tale interpretazione proprio il dettato norma-tivo in quanto la certificazione dell’autografia delle firme ha come unico fine la successiva trasmissione dell’accordo di negoziazione all’ufficiale dello stato civile per i conseguenti adempimenti anagrafici; si deve viceversa escludere che ana-logo potere certificativo possa essere riconosciuto ai difensori ai fini delle trascrizioni immobiliari. Non risulta infatti che l’ordinamento contempli ipotesi in cui al difensore della parte venga attribuito un potere certificativo per attività di carattere privato, dovendosi viceversa distinguere tra effetti dell’atto, e forma dello stesso ai fini della pubblicità immobiliare secon-do il disposto dell’art. 2657 ce. secondo cui “La trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza di atto pub-blico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente”.Anche infatti l’accordo transattivo che abbia ad oggetto dirit-ti reali immobiliari, pur essendo atto soggetto a trascrizione, necessita della necessaria forma pubblica o della scrittura pri-vata autenticata e l’accordo di negoziazione è nella sostanza equiparabile ad un negozio transattivo.La peculiare forma dettata dall’art. 2657 c.c. costituisce una norma dettata a tutela degli interessi pubblicistici e della col-lettività poiché garantisce la corretta circolazione dei beni e dei diritti reali immobiliari; quanto previsto dall’art. 6, com-ma 3, d.l. 132/2014 non può essere inteso come norma spe-ciale dettata in deroga all’art. 5, comma 3, e all’art. 2657 cod. civ., cioè alle norme che richiedono l’autentica delle scritture private ai fini della trascrizione.

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Né la stessa può certo derogare al disposto dell’art. 2703 c.c. secondo cui “l’autenticazione consiste nell’attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata appo-sta in sua presenza”.Proprio la particolarità della materia relativa alla trascrizione, e gli interessi di natura pubblica sottesi alla sua disciplina, non può consentire che una previsione dettata in modo non certo specifico ed anzi di natura generica, quale la semplice equiparazione tra l’accordo di negoziazione ed i provvedi-menti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazio-ne, possa essere interpretata come una deroga ad un princi-pio codicistico fondamentale del nostro ordinamento; la legge infatti non conosce deroghe espresse alla regola della previa autentica delle scritture private ai fini della trascrizione (basti ricordare che l’unico tentativo legislativo in tale senso conte-nuto nell’art. 29 del d.d.l. sulla concorrenza del 2015 secondo cui “in tutti i casi nei quali per gli atti e le dichiarazioni aventi ad oggetto la cessione o la donazione di beni immobili adi-biti ad uso non abitativo, come individuati dall’articolo 812 del codice civile, di valore catastale non superiore a 100.000 euro, ovvero aventi ad oggetto la costituzione o la modifica-zione di diritti sui medesimi beni, è necessaria l’autenticazio-ne della relativa sottoscrizione, essa può essere effettuata dagli avvocati abilitati al patrocinio, muniti di polizza assicurativa pari almeno al valore del bene dichiarato nell’atto”, non è mai stato approvato dal Parlamento).Si può inoltre osservare che se con le recenti novità in tema di giustizia telematica, gli avvocati hanno visto aumentare il loro potere di autenticare alcuni atti e se norme quali l’art. 16 bis del d.l. 179/2012 hanno una portata molto ampia, tuttavia il potere di autentica degli avvocati resta un potere speciale e non generale: al fine di autenticare gli atti, è necessario vi sia sempre una norma che conferisca tale facoltà al soggetto autenticante e le attuali norme confinano detto potere all’in-terno del processo (telematico) e con le limitate finalità ivi previste.L’ordinamento inoltre pur prevedendo ipotesi di trascrivibi-lità di atti privati, come ad esempio il lodo, al quale la legge attribuisce “gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria” (art. 824-bis cod. proc. civ.), tuttavia ne subordi-na espressamente la trascrivibilità ad un ulteriore atto che è il decreto di esecutività del Tribunale.E proprio da questo punto di vista non si può ritenere che analoga funzione possa avere il nulla osta del PM posto che l’accordo munito del nulla osta non è assimilabile a una sentenza, non promanando da un organo giurisdizionale. Quello del PM è poi un controllo successivo alla formazione dell’accordo limitato ad un punto di vista documentale: un controllo che, pertanto, non può svolgere alcuna funzione di autenticazione.La circostanza che il comma 2 dell’art. 6 d.l. n. 132/2014 preveda che, là dove il Pubblico Ministero non ravvisi irre-golarità, comunica agli avvocati il nulla osta per gli adempi-menti necessari, non conferisce quindi certamente natura di atto pubblico all’accordo, che è e resta atto di natura priva-ta. Né può soccorrere, a tal proposito, l’art. 6, comma 3, in base al quale l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti della crisi familiare. Tale di-sposizione, infatti, non è in grado di conferire all’accordo di

negoziazione la natura di una sentenza, che è viceversa pre-tesa dall’art. 2657 c.c. ai fini della trascrizione. La soluzione della vexata quaestio va quindi individuata nell’art. 5, comma 3, d.l. n. 132/2014, onde la necessità di far accertare al no-taio la sottoscrizione del processo verbale di accordo, ai fini della trascrizione. Tale disposizione è specificamente prevista per l’accordo di negoziazione disciplinato nell’art. 2 del d.l. n. 132/2014, onde, sul piano formale, seguendo la tesi dei reclamati, potrebbe escludersi che essa sia applicabile anche alle ipotesi qui in analisi, ove la negoziazione rileva in seno ai rapporti familiari. La circostanza, però, che il capo II del d.l. in esame sia intitolato “accordo di negoziazione assistita da uno o più avvocati” fa ulteriormente ritenere che l’art. 5, comma 3, cit. sia la regola generale applicabile a tutti i casi ivi tipizzati, onde anche a quello in esame.La necessità di un controllo pubblico è principio essenziale e cardine del sistema della pubblicità immobiliare che non può consentire a soggetti privati, pur qualificati, ma certa-mente legati dal rapporto professionale alle parti che assisto-no e quindi privi del requisito della terzietà, di certificare con la propria sottoscrizione atti che poi devono trovare ingresso nel complesso sistema delle trascrizioni e delle intavolazioni diretto a garantire la certezza dei diritti.Né sul punto, nonostante il silenzio dei reclamati, è invo-cabile la libera prestazione di servizi da parte degli avvocati — prevista dall’art. 1, par. 1, direttiva 77/249 —, e secondo la quale gli Stati membri hanno facoltà di riservare a “deter-minate categorie di avvocati” la possibilità di redigere atti autentici riguardanti, segnatamente, la costituzione o il tra-sferimento di diritti reali immobiliari. Tale norma ha infatti una portata limitata, poiché riguarda espressamente solo la particolare situazione giuridica dei Paesi di common law, nei quali esistono differenti categorie di avvocati, i barristers e i solicitors, e che riconoscono soltanto ai solicitors l’abilitazio-ne a redigere taluni atti giuridici di diritto immobiliare. Sulla questione è di recente intervenuta anche la Corte di Giustizia (Corte di Giustizia, Quinta Sezione, 9 marzo 2017) afferman-do che “L’articolo 56 TFUE dev’essere interpretato nel senso che non osta a una normativa di uno Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, che riserva ai no-tai l’autenticazione delle firme apposte in calce ai documenti necessari per la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari ed esclude, per l’effetto, la possibilità di ricono-scere in tale Stato membro una siffatta autenticazione effettua-ta, secondo il suo diritto nazionale, da un avvocato stabilito in un altro Stato membro”. In materia di atti di costituzione e/o trasferimento di diritti reali immobiliari, la norma nazionale che imponga l’autenticazione notarile della firma apposta dal richiedente sull’atto medesimo è dunque compatibile con il diritto dell’Unione in materia di libera prestazione di servizi da parte degli avvocati.Non appare infine appropriata l’interpretazione dei reclamati in ordine alla risposta all’interrogazione in punto “necessità dell’autentica” fornita dal Ministero della Giustizia; una at-tenta lettura della risposta evidenzia come il Ministero, lungi dal fornire l’interpretazione della norma, si è limitato ad au-spicare “un intervento normativo di natura interpretativa” e nulla più non essendosi viceversa addentrato in alcun tipo di interpretazione della norma (Omissis).

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trib. roma, 17 marzo 2017, bertuzzi, Pres., Ama-to, rel.

È possibile la trascrizione nei registri immobiliari degli accordi di negoziazione assistita contenenti patti di trasferimenti immobiliari in virtù della sola certificazione degli avvocati.

(omissis)DECRETO

FATTO E DIRITTOI Sig.ri Pietro… e… Elisa hanno proposto reclamo ai sensi dell’art. 2674 bis comma II c.c., avverso la trascrizione con riserva eseguita dal Conservatore dei Registri immobiliari di Roma il 10.6.--, reg. gen --334. Reg. part. --49/, relativa all’ac-cordo di separazione consensuale sottoscritto dai ricorrenti in data 9.5.16 a seguito della procedura di negoziazione assistita.Tale accordo, autorizzato dal P.M., ha previsto, in luogo della corresponsione di un assegno mensile a favore della moglie, il trasferimento a questa, da parte del sig… della metà indivisa della casa coniugale, nonché, a mo’ di conguaglio, il trasferi-mento da parte della sig.ra… della proprietà di una sua casa di campagna, in favore dello…Si costituiva il Conservatore, chiedendo il rigetto del reclamo mentre il PM, comparso all’udienza del 24.1.17, ne chiedeva l’accoglimento.L’Ufficio, nelle proprie controdeduzioni, precisava di aver proceduto alla trascrizione con riserva nutrendo dubbi sulla validità di una copia la cui conformità all’originale è attestata da un soggetto non abilitato per legge alla custodia dell’atto stesso. Alla fattispecie dovrebbe applicarsi l’art. 5 co. 3° del d.l. 132/2014 che dispone “se con l’accordo le parti conclu-dono uno dei contratti i compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale d’accordo deve essere au-tenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”; ciò in quanto l’equiparazione dell’accordo autorizzato dal PM con la sentenza omologata sarebbe da intendere esclusivamente relativa alle condizioni che regolano la separazione o lo scio-glimento del matrimonio.Esaminati gli atti, il Collegio ritiene il reclamo meritevole di accoglimento, dando così continuità all’orientamento as-sunto dalla Sezione con i decreti emessi il 17.11.2015 (n. 12136/2015 R.G.V.G.) ed il 17.5.16 (n. 6029/2015 R.G.V.G.).Va osservato che, ai sensi dell’art. 6, comma 3, d.l. n. 132/14, convertito in l. 162/14, l’avvocato della parte è l’unico sogget-to abilitato ad autenticare l’accordo raggiunto dai coniugi che si separano in regime di negoziazione assistita, contenente le certificazioni di cui all’art. 5 tra cui la certificazione dell’au-tografia delle firme, effettuata sempre dagli avvocati (art. 5, comma 2).Pertanto, attesa l’equipollenza, ricavabile dalla normativa di cui al d.l. n. 132/14, tra l’accordo di separazione in regime di

negoziazione assistita autorizzato dal PM e il verbale di sepa-razione consensuale sottoscritto in Tribunale ed omologato, deve ritenersi che anche il primo possa essere trascritto, con-siderata l’identità della fonte (pattizia) e le medesime finalità di tutela perseguite.Il vuoto legislativo consegue infatti ad avviso del Collegio, unicamente alla mancata armonizzazione tra la normativa codicistica e quella del recente decreto sulla negoziazione as-sistita.D’altra parte, anche l’art. 155 del codice civile, nella formula-zione vigente prima dell’intervento novellatore di cui alla leg-ge 8.2.2006 n. 54 e per effetto dell’intervento additivo opera-to dalla Corte Costituzionale con la sentenza 27.07.1989 n. 454, affermava la trascrivibilità del provvedimento di cui, nel giudizio di separazione personale, al coniuge affidatario della prole era attribuito il diritto di abitazione nella casa familiare, e ciò al dichiarato scopo di rendere, in tal modo, validamen-te opponibile ai terzi detto vincolo che, poiché gravante su di un bene immobile, doveva soggiacere al relativo regime pubblicitario.Atteso, invero, che funzione della trascrizione del provvedi-mento o dell’accordo di assegnazione della casa coniugale è unicamente rendere opponibile ai terzi l’esistenza di tale vin-colo, una volta adempiuto l’onere pubblicitario la parte asse-gnataria potrà validamente far valere il proprio diritto abitati-vo nei confronti dei terzi eventuali acquirenti del bene.In ogni caso, il potere di autenticazione dell’accordo raggiun-to in regime di negoziazione assistita comporta, per l’avvo-cato, la possibilità di attestazione che la copie è conforme al documento originale, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati.Ne consegue l’irrilevanza del fatto che detti accordi non siano depositati presso il Tribunale, in quanto la procedura prevista dalla legge sulla negoziazione assistita ha introdotto uno stru-mento nuovo, che – come detto – va necessariamente coordi-nato con la normativa previgente.Per le ragioni illustrate, in accoglimento del ricorso, va ordi-nato al Conservatore dei Registri Immobiliari di Roma 1 di procedere alla trascrizione, senza riserva alcuna, dell’accordo di separazione consensuale oggetto della formalità del 10.6.-- reg. gen. --334, reg. part. --497.Non si provvede sulle spese, attesa la natura sostanzialmente non contenziosa del presente procedimento.

P.Q.M.Ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari di Roma 2, di procedere alla trascrizione senza riserva dell’accordo di se-parazione consensuale sottoscritto dai ricorrenti Pietro… e… Elisa… In data 9.5.16 a seguito della procedura di negozia-zione assistita, autorizzato dal P.M. ed autenticato dagli avvo-cati Massimo Pizzuti e Serena Luli, oggetto della formalità del 10.6.--, reg. gen. --334, reg. part. --497.(omissis)

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Un certo scalpore hanno suscitato due particolari provvedi-menti di merito. Il primo decreto, Camera di Consiglio del Tribunale di Pordenone, è del 17 marzo 2017, reca la firma del Presidente Relatore dott. Appieno l’altro, contestuale, è emesso dal Tribunale di Roma, anch’esso riunito in Camera di Consiglio.

In entrambi i giudizi si verte in ipotesi di impugnazione, ai sensi dell’art. 2672 bis cod. civ. co. 2, avverso una trascrizione con riserva ed un diniego della stessa operata dai Conserva-tori dei Registri Immobiliari e relative ad un accordo di nego-ziazione assistita tra coniugi.

Il caso è il seguente. Le parti sottoscrivevano una convenzio-ne ed un successivo accordo di negoziazione assistita di sepa-razione personale in cui si prevedevano trasferimenti recipro-ci di quote di proprietà immobiliari, a definizione dei rapporti economici e patrimoniali esistenti tra loro, al fine di dirimere le controversie sorte a causa della intervenuta crisi familiare. Tale impegno avrebbe comportato, come è noto, l’esenzione da ogni imposta o tassa ai sensi dell’art. 19 l. n. 74/87 e della sentenza Corte Costituzionale n. 154/1999.

Benché entrambi gli accordi avessero passato il vaglio positivo delle Procure della Repubblica e fossero stati immediatamente trascritti/annotati dagli Ufficiali di Stato Civile territorialmen-te competenti in entrambe le città, i Conservatori dei Registri Immobiliari, uno rifiutandosi di trascrivere e l’altro accettando con riserva, sollevavano dubbi sulla idoneità del titolo.

La contrarietà alla trascrizione constava nella mancata au-tentica da parte di un pubblico ufficiale delle firme dei coniu-gi apposte nell’accordo.

Non v’è dubbio che la fattispecie di cui si discute è quella dei trasferimenti inseriti all’interno delle convenzioni senza necessità dell’intervento del notaio, rimanendo esclusi gli im-pegni a stipulare posticipati nel tempo.

Con maggior rigore ermeneutico, il Tribunale di Pordenone evidenzia come non sia il dubbio sulla legittimità della trascri-vibilità delle cessioni immobiliari, all’interno degli accordi di negoziazione, ad aver impedito al Conservatore di attendere al proprio ufficio, bensì il rilievo della mera assenza dell’au-tenticazione delle sottoscrizioni da parte di un pubblico uffi-ciale. Da ciò si desume quanto sia assolutamente ammissibile un accordo contente trasferimenti di diritti reali tra ex coniu-gi, quindi atti con effetti traslativi.

Sottolinea il Collegio che l’obbligatorietà della autentica del-la firma, prevista dal d.l. n. 132/2014, il cui precetto è conte-nuto nell’art. 5 co 3, indica che gli avvocati devono certificare l’autografia delle firme, tuttavia, se concludono “uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo, deve essere auten-ticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.

Orbene, partendo da tale dato testuale, entrambi i giudici di merito escludono che la detta dicitura, contenuta nell’art. 5,

possa essere applicabile anche alle fattispecie di negoziazione assistita in materia di diritto di famiglia. La differenza tra le due diverse procedure viene individuata nella assoluta speci-ficità ed unicità della convenzione e dell’accordo conclusi in materia di separazione, divorzio o di modifica delle condizio-ni di separazione e divorzio.

Inoltre, i tribunali evidenziano come, mentre per gli accor-di relativi alle materie diverse da quelle familiari, non venga previsto un “filtro di ammissibilità o idoneità” del Procuratore della Repubblica, l’accordo negoziato tra coniugi o ex coniu-gi, “produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma I, i procedimenti di sepa-razione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o divorzio”, pertanto, tale intervento dell’autorità è condizione imprescindibile per il perfezionamento dell’atto.

La conseguenza di tali assunti è che “poiché i provvedimenti giudiziali – sentenze ordinanze e decreti – non richiedono autenti-cazioni delle sottoscrizioni da parte di ulteriori pubblici ufficiali a ciò autorizzati ai fini della trascrizione delle cessioni immobiliari in essi eventualmente contenute, risulta evidente che neppure gli accordi di negoziazione dovranno essere soggetti a tale adempi-mento, pena la vanificazione della predetta espressa equiparazio-ne ai provvedimenti giudiziali ed il conseguente irriducibile con-trasto con i canoni costituzionali di coerenza e ragionevolezza”.

Al rifiuto del Conservatore di trascrivere atti le cui firme non sono state autenticate da un pubblico ufficiale, non ver-sandosi in ipotesi di provvedimento giurisdizionale, il colle-gio friulano eccepisce che, oltre alle sentenze, sono soggetti a trascrizione anche, per esempio, i decreti di trasferimento di beni espropriati ed il lodo arbitrale, senza bisogno di ul-teriori autenticazioni. Quindi, i giudici rilevano che, poiché l’accordo di negoziazione assistita sottoscritto in materia di famiglia è, per legge, equiparato al provvedimento giudiziale, questi non necessita di autenticazione pubblica alcuna. Inol-tre, i provvedimenti di prime cure qui commentati evidenzia-no come il legislatore abbia avvertito l’esigenza di specificare che solo nella materia non familiare l’assenza di un controllo del P.M. imporrebbe la diversa formalità nella sottoscrizione dell’atto da parte del notaio.

In ultimo, il giudice di Pordenone sottolinea come proprio la previsione dell’obbligo del doppio difensore – uno per par-te – nella materia familiare, garantisca”una maggiore funziona-lità ed efficienza della giustizia civile”.

Non si trascura l’importanza, quale preliminare e necessario presupposto, che potrebbe derivare dall’attribuire all’avvoca-to il potere di autenticazione di firma in funzione di pubblico ufficiale, tuttavia, ciò non sembra essere desumibile dal testo letterale del d.l. 132/2014.

Qualora si volesse accedere, come fanno entrambi i Colle-gi, ad una interpretazione, alquanto disorganica, che tenda a

NegOziAziONe ASSiStitA e trAScriziONe Nei regiStri immObiLiAri: chi AuteNticA LA FirmA?MIChELA LABRIOLAAvvocato in Bari e membro dell’esecutivo di ONDiF

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ripartire le modalità di attuazione degli accordi ed i principî generali, espressi nella legge, in due configurazioni – “tutte le altre materie” ed il “diritto di famiglia” – ci si dovrebbe distri-care tra il dover applicare, in riferimento a quanto contenuto negli articoli tutti rubricati sotto il Capo II, parte della me-desima disciplina ad entrambe le fattispecie e parte solo agli accordi non di diritto di famiglia (autentica di sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale).

Ma la struttura delle norme non permette di valersi di tale suggerimento. Dalla lettura dei precetti normativi, infatti, si desume come siano applicabili ad entrambe le ipotesi l’art. 2 co. 1, cooperazione di buona fede e lealtà, co. 4, redazione in forma scritta dell’accordo, co. 6, certificazione della autografia delle firme, co. 7 obbligo di informazione del cliente, l’art. 5 co. 2, conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubbli-co, co. 3, sottoscrizione del processo verbale di accordo autenticato dal pubblico ufficiale e co. 4 illecito disciplinare per l’avvocato che impugni l’accordo raggiunto e l’art. 11 trasmissione dell’accordo al Consiglio dell’Ordine.

Inoltre, va colto come nel successivo art. 6 “convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni con-sensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”, non siano riportati tutti i predetti principî generali – quali l’obbligo di buona fede e lealtà, auto-grafia, obbligo di informazione ecc. –, presupposti necessari per tutte le fattispecie di accordi, previa inammissibilità della negoziazione, non v’è dubbio, infatti, che tali prescrizioni sia-no applicabili anche tra i coniugi o gli ex coniugi.

Con riferimento, poi, alla formulazione contenuta nel co. 3 dell’art. 6 “l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produ-ce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che defini-scono […] i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento o di modifica degli condizioni di separazione o divorzio”, si ravvisa come essa rappresenti una necessaria specificazione affinché, solo a tito-lo esemplificativo, si abbia certezza della data di decorrenza per la procedibilità di un successivo giudizio di divorzio, per formalizzare il momento certo di scioglimento della comu-nione legale tra i coniugi, per la decorrenza della prescrizio-ne dei diritti relativi agli ex coniugi ovvero per procedere ad eventuali esecuzioni.

Quindi, anche su sollecitazione degli estensori dei decreti in commento, l’analisi deve essere spostata sul rilevo mosso circa la diversità della natura giuridica dei due tipi di accor-di. Orbene, gli accordi di cui al precedente art. 5, essendo esplicitamente attribuita ad essi la validità di titolo per po-ter iscrivere ipoteca, a parere di chi scrive vanno annoverati, sul presupposto della decisiva tassatività dell’elenco dell’art. 2818 cod. civ. (escludendosi le sentenze, i decreti ingiuntivi ed i decreti di omologazione) tra i lodi arbitrali. In particolare, l’art. 824 bis c.p.c., introdotto a seguito della riforma sull’arbi-trato, testualmente recita “il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”. Ne consegue che l’attività degli arbitri ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordi-nario, applicandosi, anche al lodo non impugnabile, l’effetto espansivo della sentenza previsto dall’art. 1306, co. 2 cod.

civ.1. Quindi, anche gli accordi non “familiari” producono gli effetti di una sentenza.

D’altronde, persino il Collegio, nel decreto in commen-to, sottolineando come il Conservatore sia caduto in errore partendo dal presupposto per cui l’accordo negoziato senza autentica di pubblico ufficiale non possa essere trascritto in quanto non equiparabile ad un provvedimento giurisdiziona-le, esemplifica sostenendo che può essere trascrivibile anche il lodo arbitrale.

Non è chiaro, pertanto, come mai se per l’accordo non di famiglia, avente natura giuridica di lodo arbitrale, sia prevista l’autentica della sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale, per l’accordo di famiglia, equiparabile anch’esso a provvedi-mento giurisdizionale, si debba prescindere dalla autentica delle sottoscrizioni.

Sulla autentica della firma va rilevato che essa serve a pro-vare che una persona ha firmato in presenza di un pubblico ufficiale, che a sua volta ne verifica l’identità, ai sensi dell’art. 2703 cod. civ. Tuttavia, diversamente dalla autentica c.d. am-ministrativa che svolge unicamente la funzione di prova della autenticità della sola firma, quella notarile – prevista dal d.l. 132/2014 – serve a controllare, oltre alla autenticità della fir-ma, anche il contenuto dell’atto e delle informazioni in esso contenute. Tra gli altri, in ipotesi di atti soggetti a trascrizione, il pubblico ufficiale verifica i dati catastali di tutti gli atti2. In particolare “gli atti pubblici e le scrittura private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nulli-tà, oltre alla identificazione catastale il riferimento alle pla-nimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità dello stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vi-genti in materia catastale. […] Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari. […] È opportuno evidenziare, in proposito, che le disposizioni in esame sono riferite ad atti aventi oggetto il trasferimento, la costituzione di diritti reali di godimento o lo scioglimento di comunione di diritti reali, redatti con requisiti di forma idonei per la trascrizione”. Questa indicazione normativa contenuta nella recente novella sull’aggiornamento del catasto che ha ribadito, con l’art. 19 del d.l. 31.05.2010 n. 78 convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010 n. 122 e circolari integrate, la obbligatorietà della autentificazione del solo no-taio, non ai fini formali di veridicità della firma, bensì ai fini del controllo sul contenuto degli atti trascrivibili a contenuto traslativo, non è superabile da una interpretazione giurispru-denziale che distingua le ipotesi di negoziazione assistita.

La circolare del Ministero della Giustizia dipartimento per gli affari di giustizia (affari civili interni) del 29 dicembre 2016, in risposta al quesito formulato dalla Corte d’Appello ha sottolineato come, nell’ipotesi di cui all’art. 5 co. 3, trattasi di autentica formale, riservata ai notai e riguarda tutte le scrit-ture private aventi contenuto negoziale.

Né, d’altronde, sarebbe possibile sostenere che la presen-

1 C. Cass. n. 11634/2014.2 Art. 19 c. 14 d.l. 78/2010, conv. l. 112/2010; art. 29 l. 52/1985.

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DOSSier La negoziazione assistita, la nuova frontiera dell’avvocatura familiarista

za del pubblico ministero, organo amministrativo più che giurisdizionale in senso stretto, sostituisca i suddetti precet-ti normativi. La soluzione corretta dovrebbe essere quella di attribuire, con una espressa previsione di legge, anche agli avvocati quel potere di controllo e di certificazione nella reda-zione di atti soggetti a trascrizione.

In ultimo, si evidenzia come sia stato, in entrambi i casi, erro-neamente adito il tribunale in composizione collegiale. Come previsto dall’art. 113 bis disp. att., la parte, in caso di rifiuto del Conservatore, può avvalersi del procedimento ex art. 745 c.p.c. e, ai sensi del co. 2, ricorrere al Presidente del Tribunale nella cui circoscrizione il depositario (dei RR.II.) esercita la sua fun-zione. Il Presidente del Tribunale provvede con decreto, sentito il pubblico ufficiale (Cass. Civ., sez. 1, n. 15131/2015).

Di diverso avviso è la ordinanza emessa a seguito di impu-gnazione promossa dalla Agenzia delle Entrate del Friuli Ve-nezia Giulia, che esorta, preliminarmente, a non dimenticare le disposizioni codicistiche in materia di trascrivibilità degli atti e della forma necessaria per la loro trascrizione ai sensi degli artt. 2567 e 2703 cod. civ.

Peraltro, aggiunge la Corte d’Appello, il giudice di primo grado non pone l’accento sulla qualifica di pubblico ufficiale che acquisirebbe l’avvocato che firma l’accordo, quanto sulla equiparazione della negoziazione agli altri provvedimenti che concludono l’iter della separazione in sede giurisdizionale. In questo senso i giudici di Trieste pervengono, così come già

evidenziato in questo commento, alla conclusione che “l’art. 5 medesimo abbia una portata generale e non limitata ad alcune materie, così da escludere l’autenticazione per quelle di cui al suc-cessivo art. 6”.

Inoltre, la Corte opera un distinguo tra autenticazione della firma ai fini della trasmissione all’ufficiale di stato civile ed ai fini della trascrizione immobiliare, nel senso che non vi è spazio, nel nostro ordinamento, perché il difensore disponga della facoltà di procedere ad atti che comportino la pubblicità immobiliare, non potendosi derogare a quanto tassativamente previsto dall’art. 2657 cod. civ., anche volendo interpretare la dicitura “produrre gli stessi effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”, non si potrebbe attribuire al control-lo del PM alcuna funzione giurisdizionale, di conseguenza l’atto non trasforma la sua natura da accordo privato in atto pubblico.

Non secondaria importanza, per il giudice di appello, rive-ste la necessaria veste di terziatà in capo al soggetto auten-ticante, neutralità assente per antonomasia nel difensore di ciascuna delle due parti.

In conclusione è necessario che l’avvocatura familiarista in-sista per una puntuale modifica della disciplina relativa alla autentica delle sottoscrizioni di atti predisposti dal legale, senza doversi affidare alla interpretazione giurisprudenziale che sconta la evidente caducità di alcune forzature

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Imprescindibile la presenza e la partecipazione dei geni-tori affidatari nel giudizio di adozione dei minori. Cass. sent. del 15 novembre 2017 n. 27137A fronte della sentenza della Corte di Appello che revocava lo stato di adottabilità del minore, affidandolo al padre naturale, proponevano ricorso per cassazione, il tutore ed il Procuratore generale, adducendo, fra gli altri motivi relativi alla mancata va-lutazione di gravi motivi inerenti l’inadeguatezza del genitore na-turale, che i genitori affidatari del minore non fossero stati convo-cati, nonostante essi debbano essere convocati a pena di nullità.La Corte ribadisce che, come modificato dall’art. 2, l. 173/2015, l’affidatario o l’eventuale famiglia collocataria devo-no essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato e hanno facoltà di pre-sentare memorie scritte nell’interesse del minore. Il ruolo degli affidatari consiste nella costruzione del contesto relazionale del minore, spesso primario, e nella conseguente conoscenza della sua indole e dei suoi comportamenti, bisogni e criticità, secondo una valutazione fondata sull’esperienza relazionale.

nell’interesse dei figli, la casa va assegnata solo alla ma-dre affidataria e non anche al padre, a causa della grave conflittualità che persiste fra loro. Cass. ord. del 10 no-vembre 2017 n. 26709Alla luce di una grave conflittualità persistente nel rapporto fra i coniugi, la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricor-so di un uomo cui il Tribunale aveva imposto il versamento di un assegno di contributo al mantenimento dei figli di € 700 e aveva negato la condivisione della casa ex coniugale, che sarebbe stata oggetto di lavori di suddivisione, assegnandola interamente alla moglie assegnataria della prole.Per il ricorrente, anzi, i figli minori, in virtù del legame che li unisce al padre, avrebbero ottenuto un grande giovamento dalla co-assegnazione della casa coniugale, senza considerare che gli interventi edilizi di divisione non erano, a sua detta, né costosi né difficili da realizzare come invece era stato affermato.Per la Cassazione, tuttavia, tale motivo di ricorso deve essere considerato inammissibile perché con esso, in sostanza, non si fa altro che porre in discussione l’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito senza evidenziare alcun fatto decisivo che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare e, quindi, al di fuori dei confini tracciati dalla nuova formula-zione dell’articolo 360, numero 5, del codice di rito.

Integra accesso abusivo nel sistema telematico, la condot-ta dell’ex moglie che accede alla posta elettronica del ma-rito, anche se ne conosceva le credenziali. Cass. sent. del 17 novembre 2017 n. 52572Anche se la donna era a conoscenza della password che pro-teggeva l’accesso al server di posta elettronica proprio perché

detta informazione le era stata fornita dall’uomo, la Cassa-zione non esclude il reato di accesso abusivo nel sistema in-formatico, ex art 615 ter c.p. La conoscenza della password di accesso alla cartella, sostengono i giudici, non esclude af-fatto la sussistenza del reato in questione: l’account di posta elettronica rappresenta pur sempre uno spazio di memoria protetto da una password personalizzata, di un sistema in-formatico destinato alla memorizzazione di messaggi o di informazioni di altra natura nell’esclusiva disponibilità del suo titolare identificato da un account registrato presso il provider del servizio. Nel caso in esame, la circostanza della conoscenza delle credenziali di accesso da parte della ricor-rente, non esclude il carattere abusivo dei due accessi da lei effettuati, soprattutto in considerazione del risultato ottenuto, palesemente in contrasto con la volontà del titolare della ca-sella elettronica, ovverosia quello di modificarne la password e impostare una nuova domanda di recupero contenente una frase ingiuriosa.

Reato la convivenza con una minore infrasedicenne, anche se per la cultura Rom il matrimonio ha valore anche con spose di giovane età. Cass. del 22 novembre 2017 n. 53135La cassazione ha precisato che è da considerarsi irrilevante la cultura Rom che vede come valida ed efficace ai fini del-la validità del contratto matrimoniale anche la convivenza con minori di sedici anni. Per lo Stato italiano tali regole non possono valere e anche in caso di consenso della minore, la convivenza o il matrimonio non sono leciti né integrano un contatto valido. Anche gli atti sessuali compiuti in corso di convivenza in dette modalità integrano pertanto atti di vio-lenza su minore ex art 609 quater c.p., poiché la convivenza fra le parti non può essere considerata “paritaria”, essendo irrilevante, per le leggi dello Stato, il “matrimonio rom” cultu-ralmente accettato dai due.

Il comodato della casa familiare costituisce titolo a godere del bene per tutto il tempo necessario alle esigenze della famiglia. Cass. sent. del 15 novembre 2017 n. 26954Interessante applicazione di interpretazione estensiva di con-servazione della casa familiare per le esigenze della famiglia ad libitum esteso a tutti i familiari e non solo al comodata-rio, anche in assegna di provvedimento di assegnazione della casa familiare a seguito di separazione dei coniugi, trattandosi nella fattispecie di coppia coniugata. Originariamente, il con-tratto di comodato per la casa familiare era stato concesso dai genitori al figlio, espressamente per i bisogni della famiglia, in quanto concluso dopo la celebrazione del matrimonio.Nel corso del tempo, essendo sopravvenuta incapacità natu-rale all’originario comodatario, colpito da ictus e in stato ce-lebrale vegetativo, la suocera, comodante, conveniva la nuora in giudizio, ritenendola occupante sine titulo, per costringerla

PerSONe, miNOri e FAmigLiArassegna di giurisprudenza del giudice di legittimitàA CuRA DI CESARE FOSSATI E FRAnCESCA zADnIkAvvocati in Genova e curatori del sito www.osservatoriodifamiglia.it

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al rilascio dell’immobile, dal quale la stessa si era momentane-amente allontanata per impossibilità a permanervi con i figli minori date le gravi condizioni psichiche di uno dei figli, che non avrebbero potuto convivere con le esigenze del padre e marito, dimesso dall’ospedale.Resisteva la nuora nei tre gradi di giudizio. La Suprema Cor-te, ritenendo che la Corte d’Appello non avesse riconosciuto che il rapporto di comodato era valido ed efficace anche per i familiari conviventi con il comodatario e non avesse rile-vato la conservazione del vincolo di destinazione familiare e dell’estensione del titolo di detentore qualificato per il coniu-ge del comodatario e per i figli conviventi anche nell’ipotesi di separazione di fatto, accoglieva le ragioni della ricorrente, che denunciava una disparità di trattamento tra il coniuge non separato legalmente dall’originario comodatario che risieda altrove in una specie di separazione di fatto, come nel caso in esame, e il coniuge separato legalmente, con disparità di trattamento anche nei confronti dei figli costretti a rilasciare la casa familiare dove sono nati e cresciuti solo perché i genitori sono separati in via di fatto e non anche legalmente, rispetto ai figli di una coppia legalmente separata cui il giudice abbia statuito l’assegnazione della casa coniugale.Peraltro il diritto all’abitazione, quale diritto inviolabile ai sensi dell’art. 2 Cost., non può che condurre al riconoscimen-to della pari dignità sociale dei figli di genitori separati e di quelli coniugati.La Corte, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Cor-te territoriale in diversa composizione, dispone che, al fine di conservare la casa familiare nell’interesse della prole, all’im-mobile si deve imprimere un vincolo di destinazione alle esi-genze abitative familiari non soltanto a titolo personale del comodatario, ma dell’intera famiglia.

Plurimi profili di estraneità possono comportare compe-tenze giurisdizionali differenziate. Cass. SS.uu. 15 no-vembre 2017 n. 27091La vicenda presenta numerosi profili di estraneità: i coniugi cittadini italiani avevano ottenuto il divorzio in Svizzera, il marito si era reso inadempiente, la madre con i figli si era trasferita in Inghilterra e chiedeva al tribunale italiano l’auto-rizzazione a vivere con i figli all’estero, la condanna del padre al pagamento delle spese scolastiche fino alla maggiore età presso le scuole estere, oltre le ulteriori spese straordinarie, nonché una condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dai figli a causa del suo inadempi-mento, ed infine l’autorizzazione a vendere la nuda proprietà dell’appartamento dei figli ubicato in Italia, stante il difetto di autorizzazione del padre al riguardo. I giudici di merito dichiaravano la propria incompetenza su tutte le questioni poste. Rilevavano peraltro che non sussistono i presupposti per l’ultrattività della competenza nella precedente residenza dei minori, dal momento che la residenza della famiglia era stata fissata stabilmente in Inghilterra da oltre 3 mesi (termine previsto dall’art. 12 del Reg. CE 2201/2003 ai fini della pro-roga della competenza). Non sussisteva neppure l’accettazio-ne della competenza giurisdizionale da parte del padre, non potendosi considerare tale la sua contumacia. La Cassazione ricorda che secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea l’interesse preminente del minore si realizza nella tendenziale concentrazione di tutte le azioni giudiziarie che lo riguardano

presso il giudice dello stato membro cui deve essere attribu-ita, sulla base del criterio di residenza abituale dello stesso, la competenza giurisdizionale in tema di responsabilità ge-nitoriale. Solo le domande che non siano accessorie a quel-le relative alla responsabilità genitoriale possono dar luogo all’applicazione di fori alternativi, quali ad esempio quello del convenuto. Nel caso di specie le domande relative all’accerta-mento dell’inadempimento del convenuto, così come il risar-cimento del danno, esulano dalla responsabilità genitoriale.

Realizza la condotta illecita di sottrazione di minore il genitore in regime di affido condiviso che non rientri nel paese di residenza del minore. Cass. 13 ottobre 2017 n. 24173La madre nell’agosto 2015 si trasferiva dagli USA all’Italia e non faceva più ritorno. Il padre avanzava istanza di rim-patrio e il procedimento si avviava su ricorso del PM. Se-condo il Tribunale per i Minorenni il diritto di custodia del padre è stato violato in quanto l’autorità giudiziaria USA ha disposto l’affido congiunto ad entrambi i genitori, attri-buendo alla madre l’affidamento fisico primario. Il piano di consenso genitoriale permanente allegato alla sentenza di di-vorzio prevede l’obbligo espresso per il genitore che intenda trasferirsi all’estero di rispettare un onere di notifica all’esito del quale l’altro genitore può far valere il suo dissenso. In questa ipotesi il trasferimento può avvenire soltanto con un provvedimento giudiziale. Sussiste la sottrazione internazio-nale, essendo fuori discussione che la residenza abituale del minore sia negli USA, dove egli è nato ed ha sempre abitato, radicandovi relazioni sociali, culturali ed amicali. Non sus-sistono le circostanze ostative consistenti nel fondato rischio per il minore di trovarsi esposto, una volta rientrato nel suo paese di residenza, a pericoli fisici e psichici o comunque di trovarsi in una condizione intollerabile (art. 13, lett. b della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980). Quanto al mancato ascolto del minore e alla omessa consulenza tecnica il Tribunale ha fornito ampia spiegazione, rilevando che la condizione di stress emotivo del minore aveva causa proprio nella pervicace conflittualità genitoriale e che la documenta-zione medica prodotta era del tutto sufficiente a tracciare la situazione psichica del minore.

Lo straniero destinatario di provvedimento di espulsione ha diritto d’essere accompagnato all’udienza di convalida anche qualora sia sottoposto a trattamenti di profilassi sa-nitaria - Cass. 3 novembre 2017 n. 23803Un extracomunitario, detenuto in un CPT, veniva raggiunto da provvedimento di espulsione. Chiedeva di essere sentito nel procedimento di convalida, ma non veniva accompagna-to all’udienza in quanto soggetto a profilassi anti scabbia: il provvedimento di espulsione veniva convalidato e il difenso-re dello straniero ricorreva in Cassazione. La suprema Corte cassa senza rinvio il provvedimento impugnato, ritenendo che nella fattispecie si sia realizzata una violazione del prin-cipio del contraddittorio, essendo la partecipazione al proce-dimento necessaria qualora l’interessato ne faccia richiesta e valutando che costituisca una grave violazione del diritto di difesa non accompagnare lo straniero in virtù dell’esistenza di un mero trattamento di profilassi che non costituisce pericolo per la salute pubblica.

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È costituzionalmente legittima la disparità tra la facoltà concessa alla donna di restare anonima dopo il parto e l’impossibilità del presunto padre a sottrarsi alla prova del DnA - Cass. 1 giugno 2017 n. 13880Il ricorrente veniva dichiarato padre di una donna a seguito di una tortuosa istruttoria, in cui inizialmente la domanda era stata rigettata per mancanza di indizi sulla relazione fra la madre e il presunto padre, mentre nel giudizio d’appello, in seguito al test del DNA cui il convenuto voleva sottrarsi, la paternità veniva riconosciuta. Nel giudizio di legittimità il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 269 c.c., per contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il pro-filo dell’ingiustificata disparità del regime giuridico relativo alla maternità e alla paternità naturali. Il ricorrente sostiene che mentre la donna può scegliere di non essere madre abor-tendo il feto ai sensi della l. n. 194 del 1978 o esercitando, alla nascita del figlio, il proprio diritto di rimanere anonima ai sensi del d.P.R. n. 396 del 2000, art. 30, l’uomo non ha diritto di scegliere di non essere padre, perché non ha la pos-sibilità di rimanere anonimo e non può sottrarsi all’azione di cui all’art. 269 c.c. L’eccezione viene disattesa per manifesta infondatezza con la motivazione che le situazioni della madre e del padre non sono paragonabili, perché l’interesse della donna a interrompere la gravidanza ai sensi della l. n. 194 del 1978 o a rimanere anonima ai sensi del d.P.R. n. 396 del 2000, non può essere assimilato all’interesse di chi, negando la volontà diretta alla procreazione, pretenda di sottrarsi alla dichiarazione di paternità naturale.

non sono litisconsorti necessari i beneficiari di trust ma è bene siano invitati in giudizio dal trustee, per tutelare i propri interessi. Cass. sent. n. 19376 del 3 agosto 2017In caso di trust a favore dei figli, che è oggetto di azione re-vocatoria da parte dei creditori del padre, la corte sottolinea come, gli stessi non debbano essere considerati litisconsorti necessari, poiché la destinazione non incide sulla titolarità dei beni, né fa insorgere un diritto soggettivo in loro favore.In ordine al (la dotazione del) trust, si precisa quindi che le posizioni beneficiarie sono soggette alla discrezionalità del trustee. L’unico legittimato passivo (oltre al debitore) è il tru-stee in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non quale legale rappresentante, ma come colui che dispone del diritto ed è dunque candidato a resistere in giu-dizio. i beneficiari non sono parti necessarie del processo, ma possono intervenire per evitare di essere pregiudicati in caso di revoca.

La morte dell’ex coniuge che avvenga fra il primo e secon-do grado di giudizio è da considerarsi causa di cessazione della materia del contendere. Cass. ord. n. 26489 dell’8 novembre 2017La Corte di Cassazione si occupa di un caso particolarmente complesso in cui si costituiscono in giudizio in aderenza alle richieste del defunto, la seconda moglie e i figli dello stesso, nonché la prima moglie, che aveva chiesto ed ottenuto il ri-conoscimento dell’assegno divorzile pari a mille euro e una somma a titolo di risarcimento del danno subito dall’ex co-niuge. Nelle more del secondo grado di giudizio infatti, l’atto-re era deceduto ma proseguivano nel giudizio la nuova moglie ed i figli, insistendo nelle richieste del de cuius. La corte di

legittimità però, rifacendosi a pronunce precedenti, ribadisce che l’esame dei motivi di ricorso è preclusa dall’intervenuto decesso del coniuge nel corso del giudizio di appello. La mor-te di uno dei due coniugi, sopravvenuta durante il giudizio di separazione o divorzio, infatti, comporta la declaratoria della cessazione della materia del contendere, con riferimento al rapporto di coniugio ed a tutti i rapporti economici connessi.

L’assegno di mantenimento tiene conto dell’evoluzione ve-rificatasi nella situazione economica dei coniugi nel corso del giudizio. Cass. sent n. 25802 del 30 ottobre 2017Dato atto che il principio secondo cui la decorrenza dell’asse-gno di mantenimento nella separazione personale decorre, di regola, dalla domanda, in quanto un diritto non deve restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio, va ribadito però, secondo la Suprema corte, che tale prin-cipio, attenendo esclusivamente allaan debeatur di tale ob-bligazione, non influisce sulla determinazione del quantum dell’assegno, che può dunque essere liquidato tenendo conto dell’evoluzione verificatasi nella situazione economica dei co-niugi nel corso del giudizio, e quindi mediante la fissazione di misure e decorrenze differenziate, in relazione alle modi-ficazioni intervenute fino alla data della decisione. Pertanto la suprema corte cassa la sentenza impugnata che dispone-va l’obbligo dell’erogazione dell’assegno di mantenimento e la rinvia alla corte di appello di competenza per una nuova valutazione della situazione.

L’opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare non può superare il novennio dalla pronuncia. Cass. ord. n. 25835 del 31 ottobre 2017Qualora il provvedimento di assegnazione della casa familiare non venga trascritto, esso sarà opponibile ai terzi solo per il novennio successivo alla disposizione dello stesso. Se la tra-scrizione avvenga dopo un’eventuale alienazione del bene, infatti, essa non potrà opporsi ai terzi se non nei termini del ridetto novennio. Per una miglior tutela della garanzia del di-ritto di abitazione nell’immobile, fondamentale sarebbe stato trascrivere subito il provvedimento.Nel caso di specie la casa era stata assegnata all’ex moglie affi-dataria della figlia minore ma, nelle more del novennio di du-rata di opponibilità ai terzi, la stessa era stata alienata dall’ex marito alla di lui madre. La nuova acquirente alla scadenza dei nove anni chiedeva, prima stragiudizialmente e poi nanti il Tribunale, il rilascio di detto bene da parte dell’ex nuora che, nel frattempo, aveva trascritto il provvedimento di asse-gnazione. Tale atto era avvenuto però solo dopo l’alienazione del bene, pertanto ella non avrebbe potuto opporre ai terzi acquirenti quel provvedimento se non per i nove anni dalla disposizione dello stesso.

La correlazione fra autismo e vaccinazione obbligatoria deve valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabi-lità scientifica e non come mera possibile ipotesi - Cass. ord. n. 29959 del 23 ottobre 2017Nuovamente la Suprema Corte si pronuncia sulla spinosa e controversa correlazione fra autismo e vaccinazione. Nel caso di specie la CTU in fase di merito aveva operato una valuta-zione complessiva degli elementi acquisiti al giudizio in re-lazione alla storia clinica del periziato e sulla base dei criteri

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temporali e della continuità fenomenica, nonché in conside-razione dello stato delle acquisizioni della scienza medica ed epidemiologica, era pervenuta al convincimento che sussista la mera possibilità di una correlazione eziologica tra le vacci-nazioni e la malattia, e non un rilevante grado di probabilità scientifica. La Corte di Cassazione sottolinea come la prova a carico dell’interessato ha ad oggetto l’effettuazione della som-ministrazione vaccinale e il verificarsi dei danni alla salute e il nesso causale tra la prima e i secondi, da valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica, mentre nel caso il nesso causale costituisce solo un’ipotesi possibile.

L’art. 720 c.c. trova applicazione anche in caso di immo-bile ereditario non divisibile senza alterarne la struttura e il comodo godimento - Cass. ord. n. 24185 del 13 ot-tobre 2017Nell’ambito di un giudizio di divisione ereditaria avente ad oggetto fra gli altri un immobile rustico, una delle parti con-testava il progetto di divisione in quote effettuato dal CTU. Il professionista aveva predisposto le quote tenendo conto della natura del bene, che se frazionato diversamente, per la sua natura, avrebbe dato luogo a quote pressoché inservibili. La Suprema Corte afferma che in tema di divisione giudiziale di compendio immobiliare ereditario, l’art. 718 c.c., il quale riconosce a ciascun coerede il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalità stabilite nei successivi articoli 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell’ar-ticolo 720 c.c., non solo nel caso di mera non divisibilità dei beni, ma anche ove gli stessi non siano comodamente divi-sibili. Ciò avviene qualora, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l’aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere comples-se o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l’aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprez-zate in proporzione al valore dell’intero.

Si debbono concordare previamente tutte le spese stra-ordinarie sostenute nell’interesse dei figli, soprattutto se c’è grande conflittualità fra i genitori. Cass. ord. del 23 ottobre 2017 n. 25055Secondo la Corte, non corrisponde a realtà che il decreto im-pugnato incontri un limite nelle censure rivolte alla decisione di primo grado, in quanto, trattandosi di provvedimenti a tu-tela dei figli minori, trova applicazione il principio, costante-mente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di separazione e divorzio, ma riferibile anche ai figli di genitori non coniugati, secondo cui il criterio fondamentale cui de-vono ispirarsi i predetti provvedimenti è rappresentato dallo esclusivo interesse morale e materiale della prole, previsto in passato dall’art. 155 cod. civ. ed oggi dall’art. 337-ter, con la conseguenza che il giudice non è vincolato dalle richieste avanzate dai genitori o dagli accordi intervenuti tra gli stessi. Pertanto, data la grave conflittualità esistente, tale decisione è stata assunta proprio e perché avesse effetto deflattivo sulle possibili azioni giudiziarie che avrebbero potuto insorgere fra le stesse. La ricorrente sarà tenuta a concordare tutte le spese con il coniuge.

Se i due coniugi hanno vissuto autonomamente 30 anni dopo la separazione prima di chiedere il divorzio non sus-sistono i parametri per l’assegno divorzile. Cass. 25327 del 25 ottobre 2017Secondo i nuovi parametri indicati nella nota sentenza del maggio scorso in materia di assegno divorzile, esso non è do-vuto se vi sia una buona capacità economica di entrambi, a prescindere dal tenore di vita tenuto in costanza di matrimo-nio, che non è più considerato come tale parametro principa-le di valutazione per il riconoscimento dell’obbligo.I coniugi dalla separazione, avvenuta nel 1982, sino al 2012, avevano condotto vite separate ed economicamente autono-me, pertanto era da escludersi che vi fosse titolo a ricollegare la richiesta di assegno divorzile della donna relativa al tenore di vita tenuto dalla coppia per i due anni di matrimonio, es-sendo indimostrabile che la stessa non fosse stata autonoma economicamente per i trenta anni precedenti, avendo comun-que svolto attività che, se anche precarie, erano state ogget-tivamente adeguate a garantirle un’indipendenza economica.

Se l’infedeltà è precedente alla crisi del matrimonio si rav-visa l’addebito della separazione. Cass. ord. 25505 del 26 ottobre 2017Se la moglie non riesce a dimostrare che il tradimento è avve-nuto prima della crisi scatenante la separazione e non è stata la causa stessa, come in effetti appare evidenziare l’ordinanza della Suprema Corte, alla stessa va correttamente addebitata la separazione e come diretta conseguenza dell’addebito, che determina la cessazione del diritto di percepire assegno di mantenimento, lo stesso le va revocato.

Dopo la separazione la figlia può subentrare nell’alloggio popolare assegnato alla madre, nel frattempo deceduta. Cass. sent. 25411 del 26 ottobre 2017Per giustificare la legittimità del rientro della figlia nell’abita-zione di edilizia popolare che era stata assegnata alla madre, la Corte di Cassazione utilizza il concetto amplio di nucleo fa-miliare per l’assegnazione dell’immobile. “Ater” l’ente pubbli-co che si occupa dell’assegnazione degli immobili infatti, con-testava che la figlia dell’assegnataria non potesse subentrare alla madre, non essendo stata presente nel nucleo familiare al momento dell’assegnazione dell’immobile, perché coniugata.Dopo la separazione però la donna chiedeva e otteneva il subentro nell’immobile popolare che era stato assegnato alla madre, oramai deceduta, e la Cassazione le dava ragione, uti-lizzando il concetto di nucleo familiare ampliato, cui viene riconosciuto il diritto al subentro anche al caso della figlia sposata e non convivente col genitore al momento della con-clusione del contratto.“Altrimenti” sottolinea la Suprema Corte, “perderebbe di si-gnificato la presa in considerazione dei figli come soggetti che possono subentrare nella locazione”. Infatti, se fosse necessa-rio essere parte del nucleo familiare “originario” al momento della stipula del contratto non avrebbe senso la norma della legge regionale Ater che prevede l’“ampliamento” del nucleo familiare nei confronti dei figli separati che vanno a vivere con il genitore assegnatario.

non è ammessa la sospensione dell’erogazione del con-tributo al mantenimento delle figlie, anche se c’è presun-

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zione di alienazione genitoriale. Cass. ord. 21688 del 19 settembre 2017Il padre non può nemmeno anche solo interrompere il paga-mento delle somme dovute a titolo di contributo al manteni-mento dei propri figli, anche se ritiene che gli stessi si stiano comportando in modo inadeguato e scostante, rendendosi di fatto non meritevoli di tale trattamento economico.

Ai redditi dell’ex coniuge “forte” si guarda solo se il richie-dente non ha mezzi propri. Cass. 9 ottobre 2017 n. 23602Alla richiesta di assegno di divorzio il giudice deve in primo luogo valutare se spetti e dunque verificare se la domanda sia presentata dall’ex coniuge in condizione di mancanza di mezzi adeguati o comunque a fronte della impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive non con riguardo al tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio ma con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza eco-nomica dello stesso. Nel caso di specie, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che il divario tra le condizioni economiche delle parti al momento del divorzio ed il peggio-ramento di quelle dell’ex moglie rispetto alla vita matrimonia-le giustificassero l’attribuzione dell’assegno, disattendendo il recente orientamento interpretativo del giudice di legittimità. In presenza di redditi o di cespiti di qualsiasi specie da parte del richiedente, non si supera la verifica dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno. Al confronto con le condizioni reddituali dell’altro coniuge può aversi riguardo soltanto nella eventuale fase della quantificazione dell’assegno, alla quale è possibile accedere solo nel caso in cui la fase dell’an debea-tur si sia conclusa positivamente per il coniuge richiedente l’assegno.

Che sia il comodatario o i suoi familiari a possedere l’abita-zione, trattasi di detenzione. Cass. 17 ottobre 2017 n. 24479Il comodato di un alloggio costituisce una detenzione, non un possesso ad usucapionem, in favore tanto del comodatario, quanto dei familiari con lo stesso conviventi, con la conse-guenza che il convivente che si opponga alla richiesta di ri-soluzione di comodato sostenendo di aver usucapito il bene, deve provare l’intervenuta interversione del possesso e non solo il meno potere di fatto sull’immobile. I giudici di merito avevano riconosciuto l’usucapione a favore della convivente, sul presupposto che questa era rimasta estranea al compro-messo intercorso tra il ricorrente e il marito della occupante. Di diverso avviso il giudice di legittimità che cassa con rinvio a nuovo giudice che dovrà inquadrare la figura contrattuale non nominata dalle parti. In ogni caso, quando si tratta di casa di abitazione, la Suprema Corte ritiene che la convivenza nella stessa instaura un potere di fatto del convivente tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata.

Indispensabile a pena di cassazione della sentenza la pre-senza dei genitori affidatari anche nel secondo grado di giudizio. Cass. ord 23574 del 9 ottobre 2017Nel primo grado di giudizio il minore era stato considerato adot-tabile, in quanto in stato di abbandono e con genitori assoluta-mente inadeguati al ruolo. Il piccolo era stato allora collocato presso una coppia di genitori affidatari ed i suoi interessi erano gestiti da un tutore, nominato dal Tribunale. Nel secondo grado di giudizio le cose si erano però ribaltate ed il padre naturale

del bambino aveva dimostrato di essere più “maturo e respon-sabile”. Il tutore aveva però dubbi in merito ed aveva proposto ricorso in Cassazione anche sollevando la mancata chiamata in giudizio di secondo grado dei genitori affidatari del bambino, che avevano avuto un importante ruolo nella sua crescita.Secondo la Cassazione, l’affidatario o l’eventuale famiglia col-locataria, “devono essere convocati, a pena nullità, nei proce-dimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affida-mento e di adottabilità relativi al minore. Tale norma, per il suo carattere processuale e in assenza di una disciplina di diritto transitorio, impone di affermarne la cogenza anche nel giudizio di secondo grado”. La sentenza è pertanto cassata e rinviata.

Solo i provvedimenti a carattere decisorio in materia di amministrazione di sostegno possono essere impugnati ex art. 720 bis c.p.c.- Cass. 28 settembre 2017 n. 22693Un decreto del Tribunale che disponeva l’apertura di ammi-nistrazione di sostegno veniva reclamato ex art. 720 bis c.p.c. in quanto si contestava non tanto l’apertura della misura di protezione quanto la scelta della persona individuata, un pro-fessionista estraneo al nucleo familiare. La Corte D’Appello rigettava il reclamo senza entrare nel merito, non ritenendo ammissibile alla fattispecie l’impugnazione ex art. 720 bis c.p.c. La Corte di Cassazione conferma il provvedimento del-la Corte territoriale ribadendo che il reclamo in Corte d’Ap-pello ex art. 720 c.p.c. è ammissibile solo qualora oggetto di impugnazione sia un provvedimento (o meglio, anche una sola parte del provvedimento) avente natura decisoria e non meramente gestoria, potendosi qualificare come tale l’aper-tura o la chiusura del procedimento ma non la scelta della persona nominata. La Corte chiarisce, elemento non seconda-rio in materia di AdS, che lo stesso provvedimento può avere un duplice regime di impugnazione a seconda della parte di contenuto che si intende contestare.

La falsità della data del testamento olografo va provata dalla parte che ne assume la non veridicità - Cass. ord. 22 settembre 2017 n. 22197Nel caso in esame veniva impugnata una sentenza della Corte d’Appello di Genova che aveva stabilito che fosse onere della parte che intendeva far valere un testamento olografo succes-sivo ad altro pubblicato dimostrare la veridicità della data. La Corte di Cassazione evidenzia come l’art. 602 c. 3 c.c. espres-samente preveda la possibilità di dimostrare la non verità del-la data nel caso di testamenti successivi: da tale disposizione si deduce che mentre la data falsa non può ritenersi di per sé causa di invalidità del testamento, l’azione volta a dimostrare la “non verità” è esperibile qualora vi sia un interesse giuri-dico a dedurla. Quindi quando venga dimostrata l’autenticità del testamento (come era accaduto nel caso di specie), l’onere di provare la falsità della data incombe, secondo i normali cri-teri del processo civile, sul soggetto che intenda farla valere.

Il genitore che si è adoperato per aiutare il figlio maggio-renne ad essere autosufficiente non è tenuto al manteni-mento - Cass. n. 21615 del 19 settembre 2017Il figlio adottivo maggiorenne domandava il mantenimento al genitore non essendo economicamente autosufficiente. La Suprema Corte conferma il suo orientamento in base al quale l’obbligo del genitore di concorrere al mantenimento del fi-

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glio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età da parte di quest’ultimo, ma perdura finché il genitore interessato non dia prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta. Nella fattispecie in esame il genitore aveva ampiamente dimostrato di avere aiutato in tutti i modi il figlio, pagando-gli la retta in scuola privata, aiutandolo economicamente per intraprendere un’attività economica, ma di converso egli non aveva sostenuto gli esami e non aveva coltivato l’occasione di lavoro offerta, risultando quindi dimostrata la colpa del figlio nella sua non autosufficienza economica.

L’accertamento sulla presenza di alienazione genitoriale non deve essere di ostacolo al criterio della bigenitoriali-tà. Cass. sent. n. 22744 del 28 settembre 2017Il criterio del mantenimento della bigenitorialità va fatto pre-valere sulla possibile eventuale individuazione di una sindro-me di alienazione parentale nei confronti dell’altro genitore. Non può risolversi la difficoltà della prole a frequentare e ad avere rapporti con uno dei due genitori capovolgendo la situa-zione e inibendo a quello che viene individuato come impo-nente la alienazione la frequentazione dei figli. A prescindere dalla reale sussistenza della volontà della madre di inibire al padre la frequentazione dei figli, la maturazione genitoriale si rileva anche dalla possibilità di mantenere frequentazioni equilibrate fra genitori e figli, in modo da garantire il diritto alla bigenitorialità della prole.

La violenza in famiglia e il reiterato comportamento ves-satorio che produce intimidazione è idoneo anche a deter-minare l’addebitabilità della separazione all’autore delle violenzeIl carattere di continuazione delle vessazioni veniva dimostra-to, nel caso di specie, dal giudizio penale definitivo che aveva condannato il ricorrente per condotte ascrivibili all’art 572 c.p. ed anche dalle dichiarazioni dei figli. Le violenze fisiche e morali costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccetta-bili dei doveri nascenti dal matrimonio, secondo la Corte, da fondare, di per sé sole, quand’anche concretantisi in un unico episodio di percosse, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l’intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabi-lità all’autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell’adozione delle relative pro-nunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenee.

Si alla revoca della casa familiare alla madre che decide di cambiare residenza, se la figlia maggiorenne non vuole vivere con lei ma col padre. Cass. ordinanza 28 settembre 2017 n. 22746La Corte di cassazione ha confermato l’assegnazione dell’abi-tazione all’ex marito. Si determina pertanto la revoca della casa familiare alla madre, che ha deciso di cambiare residen-za, se la figlia maggiorenne ma non ancora economicamente sufficiente, con cui ha un rapporto fortemente conflittuale, non vuole seguirla e decide di vivere con il padre.

Accolte le ragioni di beneficiario di amministrazione di sostegno contrario al provvedimento di nomina. Cass. ord. n. 22602 del 27 settembre 2017Accolti i motivi di ricorso relativi alla dubbia legittimazione del soggetto ricorrente per la nomina di amministratore di sostegno, pare infatti che il tribunale territoriale non avesse verificato in modo opportuno il grado di parentela del ricor-rente, qualificatosi come figlio quando in realtà ne sarebbe stato il figliastro, in relazione al soggetto amministrando, la suprema Corte accoglie anche i motivi relativi all’opportunità del provvedimento nel caso di specie.Il soggetto beneficiario infatti, seppure soggetto fragile, non è affetto da menomazioni fisiche o psichiche neppure tempo-ranee ed ha subito una limitazione nella sua sfera personale della quale va verificata l’opportunità e la necessità, per non incorrere nella violazione dell’art. 8 CEDU. (tutela della vita privata e familiare) Pertanto la Cassazione rinvia alla corte ter-ritoriale per una nuova valutazione del caso.

Sempre importante valutare adeguatezza genitoriale, an-che se la consulenza tecnica esclude utilità di intervento per recuperare capacità genitoriale. Cass. sent. n. 22859 del 27 settembre 2017Anche se la ctu aveva escluso l’utilità di un intervento finaliz-zato al recupero della capacità genitoriale, stante la gravissima situazione abbandonica in cui era stato invenuto il minore e il grave disagio e le carenze affettive genitoriali anche prove-nienti dalla famiglia di origine del padre e della madre del bambino, la Suprema Corte ha evidenziato come sia sempre importante indagare approfonditamente sulle concrete possi-bilità di recuperare il rapporto fra genitori naturali e minore. Inoltre si rileva che importante è valutare il comportamento del genitore che, purché traumatizzato dal coatto allontana-mento del figlio alla tenera età di sette mesi, continua a parte-cipare strenuamente agli incontri protetti con i servizi sociali, dimostrando attaccamento e sincero affetto verso il piccolo.

Revocato obbligo al mantenimento della figlia trentacin-quenne, se è dimostrato che non si è mai impegnata a cercare sistemazione lavorativa. Cass. ord. n. 22314 del 25 settembre 2017La Corte di Appello di Roma accoglie il reclamo proposto da un uomo, padre di una ragazza trentacinquenne, disoccupa-ta, avverso un provvedimento del tribunale di Roma che lo obbligava al mantenimento del suo obbligo economico nei confronti della stessa. L’uomo, pur benestante e proprietario di beni e fondi, si oppone strenuamente al permanere dell’ob-bligo al mantenimento della propria figlia, adulta e non ina-bile al lavoro, in quanto ritiene che la stessa non si sia mai adeguatamente impegnata nella ricerca e nel mantenimento di un’occupazione. La figlia impugna il provvedimento della Corte di Appello in Cassazione ma la Suprema Corte le dà torto. Anche se colpita da patologia, la stessa non è riuscita a dimostrare di essere inabile al lavoro e il padre ha dato prova che la figlia non aveva mai cercato lavoro in modo efficace. Pertanto l’obbligo al mantenimento del padre nei suoi con-fronti, viene revocato.

In caso di successiva sopravvenienza di un altro figlio non è soggetto a revocazione ex art. 687 c.c. il testamento re-

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datto dal de cuius che avesse già dei figli noti - Cass. 28 luglio 2017 n. 18893Il testamento lasciato dal de cuius veniva impugnato dall’altro genitore sulla base dell’assunto che, essendo nata la loro figlia in epoca successiva alla redazione della scheda testamentaria, lo stesso testamento dovesse revocato di diritto ai sensi e per gli effetti dell’art. 687 c.c. La Corte conclude che, qualora il testatore avesse già dei figli, la sopravvenienza di un altro non integra i presupposti previsti dall’art. 687 c.c.: a favore di tale interpretazione innanzitutto vi è il dato letterale della norma che contempla espressamente la sola l’ipotesi in cui il figlio so-pravvenga rispetto alla data di predisposizione del testamento, ove la situazione familiare sia connotata dalla assenza ovvero dalla ignoranza assoluta di avere figli. Da questo consegue che, attesa la natura eccezionale della norma de qua, ne è preclusa l’applicazione in via analogica, mancando anche i presupposti per un’interpretazione estensiva, non ravvisandosi in ogni caso una discordanza tra la lettera della legge e l’intento del legislato-re, che non può ritenersi essere volto a ricomprendere nell’am-bito di applicazione della revocazione anche la situazione in esame, che è una situazione assai precisa e ben determinata

Se i coniugi non convivono più il tradimento non compor-ta addebito. Cass. 20 settembre 2017 n. 21859Ribadito il principio che la violazione dell’obbligo di fedeltà, per dare luogo all’addebito della separazione, deve avere as-sunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rappor-to coniugale. Ove la convivenza tra i coniugi sia già venuta meno, la pur provata relazione extraconiugale non può dar luogo a pronuncia di addebito

La prescrizione per l’azione di accertamento della decaden-za del beneficio di inventario decorre dall’evento che ne ha causato la decadenza - Cass. 13 settembre 2017 n. 21212Un erede, dopo l’accettazione con beneficio di inventario, procedeva all’alienazione di un immobile in violazione del disposto del’art. 493 c.c., ossia senza la prescritta autorizza-zione del Tribunale. L’azione per l’accertamento dell’interve-nuta decadenza, promossa dal Fallimento del de cuius, veni-va proposta oltre i dieci anni dal decesso e dall’accettazione beneficiata, ma entro i dieci anni dall’avvenuta alienazione. La Cassazione stabilisce che nel caso in cui, in violazione dell’art. 493 c.c., l’erede abbia effettuato alienazioni di beni ereditari senza l’autorizzazione del giudice, l’azione dei cre-ditori del defunto tesa ad accertare l’intervenuta decadenza dal beneficio dell’inventario, non potrebbe essere utilmente promossa se non successivamente al compimento dell’atto non autorizzato; resta fermo allora che, ai sensi della regola generale dettata dall’art. 2935 c.c., il decorso della prescrizio-ne dell’azione deve essere necessariamente ancorato all’evento che ha causato la decadenza, solo dopo il verificarsi del quale può essere accertata la responsabilità dell’erede ultra vires.

Lo straniero irregolare disabile non può essere espulso quando ne possa derivare un grave pregiudizio per la sa-lute. - Cass. pen. 31 luglio 2017 n. 38041Un immigrato irregolare, privo di un arto inferiore, soggior-nante in Italia da oltre trent’anni e beneficiario di assegno INPS, viene colpito da provvedimento di espulsione. Propone ricorso e la Corte di Cassazione nell’esaminare il caso afferma

alcuni importanti principi. Si statuisce che l’art. 19 commi 1 e 2 del d.lgs. 286/98 non individua ipotesi tassative di di-vieto di espulsione, ma tali disposizioni debbono essere lette in coordinamento con i principi affermati dalla Corte EDU e dalla sentenza n. 252/01 della Corte Costituzionale: pertanto, qualora dal provvedimento di espulsione ne derivi un irrepa-rabile danno alla salute (nella fattispecie il disabile sarebbe stato abbandonato a se stesso senza possibilità di mantenersi o sopravvivere), lo stesso non può essere eseguito.

Il rigetto della domanda di divorzio per intervenuta ricon-ciliazione fra coniugi travolge ogni provvedimento prece-dente, anche economico, che quindi non può più essere fatto valere. Cass. ord. n. 21345 del 14 settembre 2017La Cassazione precisa che una volta divenuta definitiva la sentenza che riconosce l’avvenuta riconciliazione fra i co-niugi, essa fa venire meno anche tutte le disposizioni prece-denti relative alla sentenza di separazione che erano state as-sunte nell’ottica dello status di separati dei coniugi. Pertanto non è più possibile la revivescenza dei provvedimenti in punto economico, relativi al periodo precedente la sentenza definitiva di riconoscimento di avvenuta riconciliazione fra le parti.

L’obbligato alla corresponsione dell’assegno di manteni-mento è tenuto ad aumentare il valore della prestazione, qualora le sue condizioni economiche siano migliorate, anche se dopo la separazione. Cass. ord. n. 21802 del 11 settembre 2017Sussistendo evidenti differenze fra le due tipologie di sostegno economico, la Suprema Corte precisa le stesse affermando che la natura dell’assegno post separazione è quella di mantenere viva la solidarietà fra coniugi e continuare a mantenere il livel-lo di prestazione economica equiparata al tenore di vita tenu-to in costanza di matrimonio. La separazione elide il vincolo ma non lo recide, per questo l’obbligato alla corresponsione dell’assegno è tenuto ad aumentare il valore della prestazione, qualora le sue condizioni economiche siano migliorate, anche se dopo la separazione.

non è ammessa la contestazione della rilevanza della ctu sulla p.a.s. in Corte di Cassazione. Cass. Ord. 21215 del 13 settembre 2017La madre che si comporta ripetutamente in modo inappro-priato con la propria figlia minore, facendola vivere insieme al nuovo compagno, e abituandola a chiamarlo “papà” è va-lutata dalla Corte come inadeguata. Pertanto la minore viene affidata in via esclusiva al padre. Non rileva, secondo la Cor-te, che la valutazione del comportamento della donna sia da ascrivere alla sindrome della alienazione genitoriale ma ciò che conta è che la effettiva condotta della stessa nei confron-ti della figlia. Si sottolinea poi che “chi intende infirmare in Cassazione sotto il profilo della insufficienza argomentativa la motivazione di una sentenza che recepisce le conclusioni di una CTU della quale il giudice ha ritenuto di condividere il merito deve, innanzitutto, allegare di aver rivolto critiche alla consulenza dinanzi al giudice a quo”.

Il percepire somme a sostegno del reddito da parte dei mi-nori non esonera il padre dal versamento del contributo al

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mantenimento delle minori. Cass., sez. VI Penale, ord. n. 40541 del 6 settembre 2017In mancanza del versamento del contributo per il manteni-mento delle figlie minorenni, sottraendosi agli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di genitore e facendo mancare i mezzi di sussistenza alle figlie, un uomo veniva condannato per violazione dell’art 570 c.p. in regime di continuazione ex art. 81 c.p., nonché condannato a risarcire il quantum del danno subito dalla parte civile costituita nel procedimento. A questo proposito, il ricorrente faceva presente che la somma stabilita come risarcimento del danno era corrispondente a 10 mensilità dal settembre 2012 al luglio 2013), che la parte ci-vile ha già percepito dalla Provincia autonoma di Trento e per la quale il ricorrente è ora debitore nei confronti della stessa Provincia. La Corte di appello ha preso atto di quanto eccepi-to dall’imputato, ha però osservato che “non è questa la sede per l’esatta quantificazione e attribuzione di quanto ricevuto dalla p.c. dalla PAT e che sarà comunque onere della signora F. distogliere a favore della PAT le somme già percepite, trat-tenendo il resto, onde evitare eventuali azioni recuperatorie”.

Il destinatario di un legato in sostituzione di legittima per esperire l’azione di riduzione deve rinunciare al legato. Cass. 4 agosto 2017 n. 19646Il de cuius, coniugato senza prole, disponeva delle sue so-stanze con testamento, istituendo eredi universali i nipoti e lasciando l’usufrutto e il denaro alla moglie, la quale peraltro contestava l’entità del legato in suo favore, inferiore per va-lore alla legittima spettantele per legge e chiedeva la riduzio-ne delle disposizioni testamentarie lesive e la reintegrazione della quota di legittima. La Cassazione afferma che a norma dell’art. 551 c. 1. c.c. il legato in sostituzione di legittima è una disposizione a titolo particolare sottoposta a condizione risolutiva, cosicché l’erede che ritenga lesa la sua quota deve, al fine di esercitare l’azione di riduzione, rinunciare al legato ed assumere la posizione di erede pretermesso. La Suprema Corte, dopo un ricco excursus sui vari orientamenti succedu-tisi nel tempo, qualifica la rinuncia al legato quale condizione dell’azione, che come tale può verificarsi sino al momento della decisione.

Il coniuge che resta illegittimamente nell’ex casa coniuga-le è tenuto al risarcimento del danno - Cass. 6 settembre 2017 n. 20856Il coniuge, nonostante una pronuncia di separazione che escludeva ogni diritto dello stesso alla permanenza nell’ex casa coniugale, rimaneva nell’immobile. Controparte formu-lava richiesta di risarcimento del danno in re ipsa: la Corte di Cassazione conferma il diritto al risarcimento del danno, specificando che l’esistenza del danno nel caso di occupazio-ne senza titolo è una presunzione iuris tantum che in teoria potrebbe essere vinta da idonea prova contraria e che l’am-montare del danno deve essere indicato dall’attore almeno mediante presunzioni.

Per l’an e il quantum dell’assegno di mantenimento del coniuge separato occorre valutare in concreto le condizio-ni ambientali - Cass. 20 luglio 2017 n. 17791La Suprema Corte, nel decidere il ricorso presentato dal ma-rito che contestava sia la concessione di un assegno di man-

tenimento nei confronti della moglie separata e sia il suo im-porto, afferma che l’attitudine al lavoro del coniuge è rilevante solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività retribuita, non potendosi limitare la valutazione a mere possibilità ipotetiche ed astratte.

Le peggiorate condizioni di salute consentono un assegno ex novo in sede di revisione delle condizioni. Cass. 25 agosto 2017 n. 20395In sede di revisione delle condizioni di divorzio l’ex moglie otteneva un sia pur modesto assegno di divorzio, a fronte del peggioramento delle sue condizioni di salute. Se prima la donna poteva svolgere saltuarie attività lavorative, questa possibilità era venuta meno per l’aggravarsi della malattia, a tal punto da rendere indispensabili alcuni ricoveri e da ne-cessitare dell’aiuto costante di terzi. Tale situazione concreta il sopravvenire di circostanze giustificanti un diverso assetto economico tra i coniugi divorziati.

Ribadito il nuovo orientamento in materia di assegno di divorzio. Cass. 29 agosto 2017 n. 20525Il ricorrente lamentava che i giudici di merito non avessero tenuto in debita considerazione le sostanze della moglie quali emergenti da: uno stipendio da docente, una casa di abitazio-ne; investimenti immobiliari. La Cassazione ribadisce il re-cente orientamento inaugurato con la pronuncia n. 11504 del 10 maggio 2017, secondo il quale il diritto all’assegno deve essere valutato in punto an debeatur alla luce del principio di autoresponsabilità dei coniugi.

non può essere delibata la sentenza di nullità ecclesiasti-ca se i coniugi hanno convissuto oltre tre anni. Cass. 29 agosto 2017 n. 20254La Corte d’appello aveva accolto la domanda di delibazione di una sentenza ecclesiastica che aveva pronunciato la nullità del matrimonio per difetto di discrezione di giudizio, ritenendo irrilevante la convivenza dei coniugi e la nascita di una figlia. La Cassazione ribadisce il proprio orientamento: è principio di ordine pubblico interno che ove i coniugi abbiano con-vissuto per almeno tre anni, non può più darsi nullità del matrimonio.

Confermata l’esclusione dell’affido condiviso del figlio minore al padre, già dichiarato decaduto dalla responsa-bilità genitoriale. Cass. sent. 20622 del 31 agosto 2017Anche se il genitore ricorrente, difensore in proprio, si di-chiara profondamente legato al figlio maschio, egli non gli ha risparmiato, secondo la Suprema Corte, maltrattamenti e restrizioni, nonché la visione di scene di violenza familiare. Permane pertanto la misura di affidamento esclusivo alla ma-dre, ritenuta corretta ed adeguata.

Lecita la condotta della ex moglie che chiede ed ottiene informazioni sul conto corrente dell’ex marito alla banca di costui. Cass. sent. 20649 del 31 agosto 2017La Corte di cassazione ha decretato inammissibile il ricorso del marito presentato a seguito della dichiarazione, da parte del-la Corte d’appello, dell’inammissibilità della sua posizione in quanto priva di una ragionevole probabilità di essere accolta. Resta ferma la pronuncia del giudice di primo grado, che ave-

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va respinto la richiesta danni avanzata dall’uomo nei confronti della moglie, che sarebbe stata colpevole di aver illecitamente violato la sua privacy, assumendo informazioni circa lo stato del conto corrente dell’uomo per utilizzare le informazioni in causa di separazione. Secondo la Corte la donna non aveva violato al-cuna norma di legge né aveva tenuto un comportamento frau-dolento ed inoltre l’uomo non aveva nemmeno offerto elementi fondanti il danno subito dalla condotta della ex.

Le conflittualità fra i genitori possono senz’altro compor-tare reato di atti persecutori “stalking”. Cass. Pen. sent. 39758 del 31 agosto 2017I continui episodi legati ad una separazione conflittuale ed ad un rapporto difficoltoso per l’estrema difficoltà della gestio-ne della prole possono comportare la sussistenza del reato di stalking e non solo quello di violenza in famiglia. Se il padre continua a rifiutarsi di collaborare con l’ex moglie per la ge-stione dei figli ed anzi costringe la stessa ad un livello di ansia e paura tale da farle mutare abitudini di vita egli risponderà del reato di atti persecutori previsto dall’articolo 612-bis del Codice penale. Il ricorrente contestava anche la connessione con altri reati, come la violazione di domicilio e le lesioni per-seguibili d’ufficio, che aveva consentito alla Corte d’Appello di perseguire l’ex marito anche per stalking in assenza di que-rela. Nel caso esaminato, correttamente i giudici di seconda istanza hanno chiarito che la forte litigiosità per la gestione dei figli si trasformava in un comportamento tale da generare ansia nella vittima costringendola a cambiare abitudini.

Sentenza dichiarativa di separazione non definitiva non determina violazione costituzionale del coniuge economi-camente più debole. Cass. ord. 20666 del 31 agosto 2017Il giudice nel giudizio di separazione, a prescindere dalle condizioni economiche delle parti, può emettere immedia-tamente sentenza non definitiva, a prescindere dall’impulso di parte, proprio per evitare condotte processuali dilatorie, tali da incidere negativamente sul diritto di una delle parti ad ottenere una pronuncia sollecita in ordine al proprio “status”.

Il coerede che ha avuto il possesso dei beni ereditari all’at-to dello scioglimento è sempre tenuto al rendiconto ex art. 723 c.c. - Cass. 30 maggio 2017 n. 13619La sentenza, come spesso accade nelle vicende ereditarie, offre diversi spunti di analisi di vari aspetti del diritto del-le successioni. Nella fattispecie la de cuius lasciava eredi i tre figli con testamento olografo e la questione del contendere proposta da parte attrice si sviluppava sulla necessità di in-cludere nell’asse ereditario un appartamento acquistato da un erede con il denaro di famiglia e il tempo della valutazione del suddetto bene. Parte convenuta contesta da parte sua che nel valutare la complessiva situazione economica era stato man-cato di valutare anche l’insufficiente rendicontazione della gestione dei fratelli, nonché il loro godimento di altri cespiti ereditari. La sentenza di merito viene cassata in molti punti aventi carenti di erronea motivazione o insufficiente istrut-toria, ma lascia alcuni punti di principio: in primo luogo, si afferma che quando la collazione venga fatta per imputazione ai sensi degli artt. 746 e 747 c.c. se è vero che la valutazione deve essere fatta avuto riguardo al valore dell’apertura della successione, si deve considerare che da tale data sono comun-

que dovuti gli interessi legali. In secondo luogo, si sancisce che all’atto di scioglimento della comunione il possessore del cespite ereditario ha l’obbligo di rendere il conto in relazione ai frutti maturati prima della divisione giacché il coerede che abbia goduto in via esclusiva dei beni ereditari e obbligato, per il fatto oggettivo della gestione, sia al rendiconto che a corrispondere i frutti agli altri eredi a decorrere dalla data di apertura della successione (o dalla data posteriore in cui abbia acquisito il possesso dei beni stessi), senza che abbia rilievo la sua buona o mala fede.

L’onere del mantenimento grava su entrambi i genitori a prescindere dalle diverse potenzialità economiche. Cass. 31 luglio 2017 n. 19052Le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario o convivente col figlio concorrono a garantirgli un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non compor-tano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore.

Le controdichiarazioni ai fini della simulazione non neces-sitano dell’atto pubblico. Cass. 24 luglio 2017 n. 18204Basta una semplice dichiarazione scritta per fornire la prova della simulazione. L’art. 1417 c.c. richiede la forma scritta ad probationem tantum, non ad substantiam, quanto alle con-trodichiarazioni, le quali sono dirette a dare la prova della simulazione di un patto, e sono, quindi, destinate a rimanere segrete tra le parti. Il terzo chiamato, figlio dell’attrice donan-te, chiedeva che fosse riconosciuta la simulazione relativa de-gli atti di donazione e vendita con conseguente riconoscimen-to del bene in oggetto anche nella sua contitolarità.

Le mansioni del presidente non possono essere svolte dal collegio. Cass. 25 luglio 2017 n. 18343È nulla per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 cpc la pronuncia resa dal collegio, anziché dal presidente del tri-bunale, in un giudizio di opposizione alla liquidazione del compenso al curatore dell’eredità giacente, quest’ultimo as-similabile all’ausiliario del giudice. Sebbene non involgano veri e propri profili di competenza, i criteri previsti ex art. 170 d.P.R. n. 115/02 riguardano non l’ufficio, ma la persona titolare di quel ruolo e pertanto non possono essere derogati.

Risarcimento del danno alla moglie che scopre che il ma-rito ha una figlia da un’altra donna. Cass. sent. del 3 ago-sto 2017 n. 19422La quantificazione del danno riconosciuto alla donna per le modalità e le circostanze nelle quali è venuta a conoscenza dell’esistenza di una figlia avuta dal marito da un’altra donna è stata congrua. La Cassazione non ritiene che il danno patito dalla stessa sia relativo alla “perdita di un marito facoltoso e abbiente” ma dalla “lesione della dignità e della salute per effetto delle modalità e delle circostanze nelle quali apprese dell’esistenza di una figlia del marito”.

Il cittadino extracomunitario invalido al cento per cento non può essere espulso dallo Stato italiano. Cass. sent. del 31 luglio 2017 n. 38042 Prima Sez. PenaleNon sono tassativi i motivi previsti dal Testo unico sull’Immi-grazione che vengono presi in considerazione per evitare le

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espulsioni dallo Stato per i cittadini extracomunitari. Almeno questa è l’interpretazione della Cassazione per il caso di spe-cie. Anche se la presenza di una condizione di grave disabilità non è prevista come elemento ostativo all’espulsione infatti, la Suprema corte ritiene che in questo caso espellere il cittadino extracomunitario affetto da grave disabilità per la mancanza di un arto, sia una sostanziale lesione del diritto alla salute. La Corte dei diritti dell’uomo e la Consulta ha sancito che, per quanto riguarda il diritto alla salute, la normativa sugli stranieri non esclude, anzi impone, che il provvedimento di espulsione pronunciato nei confronti di un clandestino possa non essere eseguito quando dalla sua esecuzione derivi un pregiudizio irreparabile per la salute.

Anche se i genitori vivono in due stati diversi possono avere l’affido condiviso del figlio minore. Cass. sent. del 3 agosto 2017 n. 19421Ritenute corrette e legittime le motivazioni della corte territo-riale di affidare alla madre il minore, tenuto conto della tene-ra età dello stesso e delle caratteristiche personologiche della madre e di quelle psicologiche del padre. La Suprema corte ritiene congrue all’interesse del minore anche le minuziose indicazioni del tribunale in merito alle modalità di frequen-tazione del bambino con i genitori i quali, vivendo in diversi stati (Italia il padre ed Inghilterra la madre) potranno tenere con sé il figlio ogni 5 settimane, secondo un preciso calenda-rio scadenziato, in totale equilibrio.Essendo il bambino ancora piccolo, l’unica precisazione in ordine a tale organizzazione sarà quella, secondo la Suprema corte, di rivedere le condizioni di affido una volta che il bam-bino inizierà a frequentare le scuole dell’obbligo.

È nulla la donazione diretta priva di requisito formale dell’atto pubblico, perché la stabilità del trasferimento patrimoniale presuppone la forma conferita dal pubblico ufficiale. Cass. SS.uu. del 27 luglio 2017 n. 18725Le sezioni chiariscono in modo netto cosa si intenda per do-nazione diretta, in cui è necessario a pena di nullità il requi-sito formale della pubblica fede, e donazione indiretta, in cui non è necessaria alcuna formalità.Il bonifico bancario, per la sua connotazione propria di mani-festazione di arricchimento dell’altro soggetto al quale viene effettuato in mancanza di sinallagma da parte sua, può e deve senz’altro essere qualificato fra le donazioni dirette e pertanto necessita del requisito formale a pena di nullità. Senza tale requisito, la donazione è da considerarsi nulla, con tutte le conseguenze del caso in tema ad esempio di successione ove se la donazione è nulla il patrimonio del donante non si è mai spogliato del bene donato.Le Sezioni Unite distinguono nettamente la donazione “diretta” (che, pertanto, ha la necessità dell’atto pubblico) nel caso in cui vi sia “passaggio immediato per spirito di liberalità di ingenti valori patrimoniali da un soggetto a un altro”: questa situazione è evidente nel caso del bonifico bancario, nel quale la banca agisce come mero esecutore di un ordine impartito da un suo correntista. dalla donazione “indiretta” che si ha nei casi evi-denziati dal provvedimento, ogni qual volta vi sia: un contratto a favore di terzo, un pagamento di un debito altrui, un paga-mento di un prezzo dovuto da altri, la vendita di un bene a un prezzo irrisorio, la rinuncia a un credito a favore del debitore.

Rifiutare di sottoporsi al test del DnA è indice supporta-tore di prova decisiva di paternità. Cass. sent. 18626 del 27 luglio 2017Secondo la suprema Corte “nel giudizio di impugnazione del riconoscimento di figli nati fuori dal matrimonio per difet-to di veridicità, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi a esame genetico, in presenza di una situazione di incertezza, sul pia-no probatorio, circa la sussistenza o meno del rapporto di filiazione biologica fra l’autore del riconoscimento ed il figlio, deve essere valutato dal giudice, ai sensi del comma 2 dell’ar-ticolo 116 del cpc, come decisiva fonte di convincimento”.

Lo stato italiano non riconosce il matrimonio contratto in Senegal con donna minorenne, lo straniero pertanto deve essere espulso dal territorio nazionale. Cass. ord del 21 luglio 2017 n. 18113La Corte ritiene il ricorso di un senegalese avverso il proprio decreto di espulsione dal territorio nazionale manifestamente in-fondato. A prescindere dalla tutela della famiglia ex art 31 Cost. e dal diritto a rimanere nel territorio nazionale per coloro i quali siano coniugati ed effettivamente conviventi con donne in stato di gravidanza o per coloro con prole inferiore a sei mesi di vita, la Corte fa valere la preclusione, a norma dell’art. 29 lett. a) d.lgs. n. 286/1998, ad ottenere il ricongiungimento familiare in caso di rapporto di coniugio con persona inferiore ai diciotto anni.Detto caso il giudice di merito ha accertato ricorrere nella spe-cie, in considerazione della età della consorte del ricorrente. Si applicherà pertanto l’espulsione del cittadino del Senegal regolarmente sposato, in base alla legge del suo paese, con una connazionale non ancora diciottenne, che si trova in Ita-lia e con la quale conviveva.

La nuova convivenza elide completamente il diritto all’as-segno divorzile, anche se è cessata. Cass. ord. del 21 lu-glio 2017 n. 18111Prendendo in considerazione la pronuncia n. 6855/2015 della Cassazione, la stessa ha precisato che il diritto all’assegno non entra in fase di quiescenza, ma viene definitivamente eliso, nel momento in cui si instauri una convivenza con altri, pertanto sono irrilevanti le successive evoluzioni del nuovo rapporto.La formazione di una nuova famiglia, ancorché di fatto, tutelata dall’art. 2 della Costituzione come formazione sociale stabile e duratura in cui i svolge la personalità dell’individuo, è espres-sione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si ca-ratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e quindi esclude ogni residua solidarietà post ma-trimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo. Nel caso di specie, il fatto che la ex moglie abbia vissuto una convivenza more uxo-rio dopo il matrimonio, anche se la ricorrente assume essere cessata, rappresenta una circostanza non rilevante poiché l’in-staurazione della nuova convivenza non può essere posta nel nulla a seguito della prospettata cessazione della stessa.

Con l’assegno divorzile si garantisce all’ex moglie un’esi-stenza libera e dignitosa, tenendo in debita considera-zione le esigenze economiche dell’obbligato. Cass. ord. 18527 del 26 luglio 2017Nuovamente chiamata a pronunciarsi sui parametri dell’as-segno divorzile, la Corte di Cassazione precisa che corretta è

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stata la valutazione, nel caso di specie, del quantum dell’ob-bligazione in capo all’ex marito nel confronti dell’ex moglie, poiché fra i due vi è consistente differenza di status econo-mico e l’assegno divorzile deve consentire alla donna di vive-re una vita libera e dignitosa. Non vengono accolte le rimo-stranze dell’uomo il quale, affetto da grave malattia, chiede la riduzione della prestazione economica nei confronti dell’ex moglie proprio a causa delle spese che egli deve sostenere per la propria assistenza. La corte precisa infatti che di questa situazione è stato già tenuto conto in sede di merito.

non sussistono i presupposti per la revoca dell’affido con-diviso solo per i comportamenti di dubbi moralità tenuti dalla madre. Cassazione ord. del 11 luglio 2017 n. 17137Secondo la Corte di cassazione, la corte territoriale ha omesso di verificare l’effettiva esistenza dei necessari presupposti per la revoca dell’affido condiviso, che devono essere concreti ed evidenti ed apportare disagi per i minori. Accolti pertanto i motivi di impugnazione della madre, che si oppone a tale de-cisione, poiché manca una valutazione sulla sussistenza di un pregiudizio delle minori, che la norma impone dover esser specificamente esplicitato, ma è presente invece direttamente una stigmatizzazione dello stile di vita della madre ritenuto “non consono dal punto di vista morale”.Relativamente a ciò, la ricorrente sottolinea che non vi siano state mai effettive prove della situazione di disagio per le mi-nori e che le stesse erano già precedentemente state collocate presso il padre. Non si vede come pertanto le attività svolte dalla donna presso la sua abitazione debbano rendere pregiu-dizievoli per le minori il loro rapporto con la madre, tanto da essere necessario l’affido esclusivo delle stesse al padre. La corte di cassazione accoglie tale linea e cassa con rinvio la decisione.

non viola la disciplina in materia di protezione dei dati per-sonali l’utilizzo, per il giudizio di separazione, di materiali video e fotografici in cui sono ritratti soggetti in atteggia-menti intimi. Cassazione, sent. del 19 luglio 2017 n. 35553È ammissibile l’esibizione in un processo di separazione, al fine di ridurre l’assegno di mantenimento, materiale video o foto-grafico in cui sono rappresentati soggetti in atteggiamenti inti-mi, fra i quali la moglie dell’imputato. Secondo la Corte, non viola la disciplina in materia di protezione dei dati personali il loro utilizzo mediante lo svolgimento di attività processuale, giacché tale disciplina non trova applicazione in via genera-le quando i dati stessi vengano raccolti e gestiti nell’ambito di un processo: in tale ambito, infatti, la titolarità del trattamento spetta all’autorità giudiziaria e in tale sede vanno composte le diverse esigenze. La facoltà di difendersi va ovviamente eserci-tata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non e ce-denza stabiliti dalla legge, sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato, cui va correlato il grado di riservatezza e le esigenze di difesa.

non è necessario che il minore patisca pregiudizio irrepa-rabile dall’allontanamento del genitore straniero, essendo sufficiente che il danno sia effettivo, concreto, percepibile ed oggettivamente grave. Cassazione, ord. del 19 luglio 2017 n. 17861Non è ammissibile negare il permesso del genitore a rimanere presso lo Stato italiano, luogo di residenza del figlio, preten-

dendo che l’uomo dia prova che il disagio al minore dato dal suo allontanamento sarebbe “irreparabile”.L’uomo aveva dato prova di reale attaccamento al bambino, anche per dimostrazione delle relazioni dei servizi sociali, ed aveva chiesto e mai ottenuto l’esperimento di una CTU per verificare i suoi rapporti con il figlio. È certo pertanto che il minore subirebbe un danno dal suo allontanamento Il re-quisito della irreparabilità di tale disagio conseguente non è poi nemmeno richiesto dalla norma, essendo sufficiente per la giustificazione della permanenza di un genitore straniero presso lo stato ove vive un figlio minore, l’esistenza dei para-metri della effettività, della concretezza e della percepibilità del danno che verrebbe patito dallo stesso ove il genitore ve-nisse allontanato.

Il principio di concentrazione delle tutele si applica an-che nella fase intermedia tra la separazione ed il divorzio. Cass. 12 luglio n. 17190La richiesta di provvedimenti limitativi della responsabili-tà genitoriale proposta al Tribunale per i Minorenni dopo il giudizio di separazione, comportando una modifica delle sta-tuizioni già adottate dal tribunale ordinario, è da qualificare come richiesta di modifica delle condizioni della separazione e, quindi, di competenza di quest’ultimo e non del tribunale per i minorenni. Anche ove si discuta dell’esistenza di un gra-ve pregiudizio per i figli minori, tale circostanza è inidonea a spostare la competenza presso il tribunale per i minorenni. La conclusione non cambia anche a fronte della considerazione che il giudizio di separazione si era concluso e quello di di-vorzio non era ancora iniziato.

La pensione di reversibilità si ripartisce fra ex coniuge e vedova non considerando solo la durata dei rispettivi matrimoni. Cass. 5 luglio 2017, n. 16602La Suprema Corte, nell’esaminare l’impugnazione della sen-tenza della Corte di Appello che aveva disposto la suddivisio-ne in parti uguali fra ex coniuge titolare di assegno di divorzio e vedova, afferma che la valutazione della Corte territoriale era corretta e priva di contraddizioni ed illogicità: in consi-derazione erano stati presi non solo la durata dei rispettivi matrimoni, ma anche l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. Si evidenzia come il meccanismo divisionale non sia uno stru-mento di perequazione economica fra le posizioni degli aventi diritto, ma sia preordinato alla continuazione della funzione di sostegno economico assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispetti-vamente con il pagamento dell’assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniu-gi conviventi.

non basta la presenza di una malattia psichiatrica in capo al testatore per poter annullare il testamento. Cass. 19 maggio 2017, n. 12691La scheda testamentaria era stata redatta da soggetto affetto da malattia psichica, ma la CTU aveva concluso per la mancata dimostrazione, alla luce delle risultanze istruttorie disponi-bili, dello stato di incapacità di intendere e di volere della medesima al momento della stesura del testamento. La Cas-

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sazione ribadisce il principio che la capacità di intendere e volere del testatore costituisce la regola e che spetta a chi so-stenga il contrario darne prova. In presenza di contenuto del testamento coerente e sensato, conforme a desideri e affetti già manifestati, con testimonianze che confermano buona lu-cidità per lungi periodi, una consulenza psichiatrica singola e un procedimento per la dichiarazione di interdizione mai conclusosi non sono sufficienti per dimostrare l’incapacità di intendere e di volere del testatore.

Ampia la discrezionalità del giudice nella valutazione dell’interesse del minore al nome. Cass. 11 luglio 2017, n. 17139Il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali della persona. L’interesse al quale il giudice è chiamato alla tutela non è quello alla parificazione della posizione del figlio nato fuori del matrimonio a quella dei figli nati nel matrimonio, bensì quello di garantire l’interesse del figlio a conservare il cognome originario, se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata co-munità. L’ampia discrezionalità attribuita al giudice si giusti-fica per l’assenza di alcun automaticismo, né nel senso di un favor verso il patronimico, né nel senso di una prevalenza del primo cognome attribuito.

nessun risarcimento per nascita indesiderata all’uomo che sia stato ingannato dalla donna sul suo stato di ferti-lità. Cass. 5 maggio 2017, n. 10906Il ricorrente aveva agito in giudizio per sentirsi riconoscere il risarcimento del danno per nascita indesiderata affermando di essere stato ingannato dalla madre del bambino, la quale aveva mentito sul suo stato di fertilità al momento del rap-porto sessuale. Le argomentazioni poste a fondamento della domanda si basavano sulla violazione degli art. 2 Cost. e art 1175 c.c., sulla base della circostanza che la donna avrebbe violato gli obblighi di correttezza e buona fede nelle recipro-che relazioni, nonché citata la legge 194/78 art. 1 sostenendo il diritto ad una procreazione responsabile. La Cassazione ri-getta ogni possibile applicazione dell’art. 1175 c.c. ai rappor-ti personali, sancendo la sua applicabilità esclusivamente ai rapporti patrimoniali e sottolineando altresì come il diritto di cui all’art. 1 l. 194/78 non possa riferirsi ai rapporti fra persone essendo un diritto stabilito verso lo Stato. Inoltre la Corte esclude ogni illecito aquiliano, per il combinato dispo-sto dell’art. 1227 cpv., e dell’art. 2056 c.c., comma 1: una persona che è in grado di svolgere un atto sessuale completo, infatti, non può – alla luce del notorio – ignorare l esistenza di mezzi contraccettivi, il cui reperimento e utilizzo sono di tale agevolezza che non possono non essere ascritti alla “or-dinaria diligenza” per chi, appunto, in quel determinato caso intende esclusivamente soddisfare un suo desiderio sessuale e non vuole invece avvalersi delle sue potenzialità generative.

Il diritto a non avere un’esistenza e una morte al di sotto della soglia di dignità deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria - Cass. pen. 22 marzo 2017, n. 27766La sentenza in oggetto, concernente il ricorso proposto da Salvatore Riina avverso il provvedimento del Tribunale di Sor-veglianza che gli negava gli arresti domiciliari a fronte delle

sue gravissime condizioni di salute, ha dato luogo a una pro-nuncia accolta con polemiche, molte delle quali connesse allo spinoso dibattito sul diritto ad una libera morte dignitosa, diritto che spesso è stato negato e ancora oggi non è garanti-to. Si colga l’occasione per leggere integralmente il contenuto della sentenza e cogliere, proprio per l’identità del soggetto ricorrente, le notevoli affermazioni di principio ivi espresse, fra le quali la necessità che chiunque, anche in regime carce-rario per gravissimi reati, ha diritto ha un’esistenza dignitosa ed a una fine altrettanto umana, nel rispetto della normativa nazionale e sovranazionale.

Il medico ginecologo ha il dovere di informare la gestante di tutte le possibili conseguenze che comporta una dia-gnosi di malattia del feto - Cass. 28 febbraio 2017, n. 5004Secondo l’assunto dei genitori ricorrenti non fu portato loro a conoscenza da nessuno dei professionisti (ginecologo, ge-netista, laboratorio di analisi) che dalla trisomia x, diagno-stica in gravidanza, potessero derivare alla nascita, in una certa percentuale di casi, danni mentali anche gravi a carico del bambino, sottraendo in tal modo alla madre la possibili-tà di scegliere consapevolmente se interrompere o meno la gravidanza. In primo grado la domanda veniva parzialmente accolta e secondo grado rigettata. La Cassazione sancisce, a latere di una serie di elementi di fatto che emersero in sede di istruttoria, che gli obblighi di informazione a carico del medi-co di fiducia sono complessi e il compito del professionista di fiducia non si esaurisce nell’indicare alla paziente la presenza della alterazione, ma esso ei necessariamente comprensivo, in particolare ove gli sia stato richiesto, di un approfondimento in ordine alle conseguenze di tale alterazione, alle percentua-li di verificabilita, alle alterazioni della qualità, della vita dei genitori e del nascituro ipotizzabili, alla riconducibilita di tali possibili conseguenze ad una scelta abortiva libera o alla indi-cazione se esse comportino rilevanti anomalie o malformazio-ni del nascituro che possano determinare un grave pericolo per la salute psichica o fisica della donna, tali da legittimare una interruzione della gravidanza oltre i primi novanta giorni. L informazione dovuta deve essere in altre parole comprensi-va di tutti gli elementi per consentire alla paziente una scelta informata e consapevole, sia che essa sia volta alla interru-zione che se sia volta alla prosecuzione di una gravidanza il cui esito potrà comportare delle problematicità da affrontare.

La voltura catastale costituisce atto di accettazione tacita di eredità soltanto per il chiamato che la pone in essere. Cass. 6 aprile 2017 n. 8980Il giudice di prime cure dopo avere affermato che la voltura catastale, a differenza di atti aventi rilievo meramente fisca-le, come la denuncia di successione, costituisce atto di ac-cettazione tacita dell’eredità, ha affermato che l’intervenuta volturazione dei beni in favore dei tre eredi, sin dal 1993 (a fronte di una successione apertasi nel 1992) impedisse la pre-scrizione del diritto di accettare l’eredita’ritenendo che tale volturazione era stata fatta appunto nell’interesse di tutti i coeredi, aggiungendo che non rilevava chi poi in concreto vi avesse proceduto, in quanto gli effetti dell’atto ridondavano a vantaggio di tutti i coeredi stessi. La soluzione alla quale è pervenuta la Corte distrettuale, affermando che l’accettazione tacita di eredità – pur potendo avvenire attraverso “negotio-

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rum gestio”, cui segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o dello svolgimen-to di attività procuratoria – può tuttavia desumersi soltanto da un comportamento del successibile e non di altri, sicché non ricorre ove solo l’altro chiamato all’eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile del “de cuius”. La decisione gravata non risultava conforme a tale principio, al quale la Cassazione intende assicurare continuità, per il quale gli effet-ti della voltura, quale atto di accettazione tacita, si producono solo in favore di chi vi provveda, essendo anche necessario ri-scontrare per gli altri eredi, se vi fosse stata o meno la spendita del nome in occasione della presentazione della denuncia di variazione catastale, ovvero se il ricorrente avesse agito quale loro mandatario.

una eventuale rinuncia all’eredità, anche se tardivamente proposta, esclude che il rinunciatario possa essere chia-mato a rispondere dei debiti tributari. Cass. 29 marzo 2017, n. 8053La vicenda, che trae origine da una risalente questione relativa all’ormai abrogata INVIM, costituisce l’occasione per un’im-portante affermazione di principio. Parte ricorrente aveva rinunciato formalmente all’eredità soltanto dopo il decorso dei dieci anni a disposizione per l’accettazione, e proprio all’esclusivo fine di non rispondere dei beni ereditari: nelle more peraltro era stata depositata una denuncia di succes-sione con indicazione della parte quale erede. La Corte ri-tiene che l’accettazione dell’eredità sia il presupposto perché si possa rispondere dei debiti ereditari, ed afferma che una eventuale rinuncia, anche se tardivamente proposta, esclude che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari il rinunciatario, sempre che egli non abbia posto in essere comportamenti dai quali desumere una accettazione implicita dell’eredità (art. 476 cod. civ.), ma della relativa prova l’Am-ministrazione finanziaria è parte processualmente onerata. Precisa inoltre che ai sensi dell’art. 521 cod. civ., la rinuncia ha effetto retroattivo, pertanto, chi rinuncia all’eredità è con-siderato come se non fosse stato mai chiamato. Il principio è analogo a quello che vale in tema di accettazione (art. 459 cod. civ.), e ne condivide la medesima funzione: l’erede suc-cede al de cuius senza soluzione di continuità.

L’accettazione con beneficio d’inventario non è necessaria quando l’azione di simulazione sia volta a dimostrare la consistenza del patrimonio relitto. Cass. 22 giugno 2017 n. 15546Nella complessa vicenda, il nipote (non erede) della de cuius risultava essere acquirente dalla defunta nonna di alcuni beni immobili, ma si assumeva da parte ricorrente che la vendita de qua dissimulasse invece una donazione. La Corte distret-tuale aveva ritenuto che la disamina della domanda avanzata nei confronti del suddetto nipote fosse preclusa dall’omessa preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inven-tario da parte dell’attore, come imposto dall’art. 564 c.c. La Suprema Corte, cassando l’impugnata sentenza, sancisce che di fronte ad un atto di disposizione patrimoniale del de cuius, che si assume lesivo della quota di legittima e che integri i requisiti di validità del negozio simulato, l’azione di simula-

zione proposta dall’erede legittimario deve considerarsi pro-posta esclusivamente in funzione dell’azione di riduzione ex art. 564 c.c. e l’azione di simulazione è ammissibile solo se vi sia stata accettazione con beneficio da inventario. Nel caso invece in cui l’erede che proponga azione di simulazione per accertare la nullità del negozio dissimulato, essendo l’azione diretta all’accertamento del negozio dissimulato e quindi alla restituzione alla massa ereditaria dei beni donati, mai usciti dal patrimonio del defunto, non è necessario che l’erede prov-veda alla preventiva accettazione con beneficio di inventario ex art. 564 c.c.

La mancata comunicazione al P.M. del procedimento per la nomina di amministratore di sostegno è causa di nullità della pronuncia. Cass. SSuu 18 gennaio 2017, n. 1093Nel caso di specie, il Giudice Tutelare aveva emesso un prov-vedimento di nomina senza che gli atti fossero trasmessi al P.M. La Cassazione, dopo un’attenta analisi delle norme, di-stingue i casi in cui è previsto soltanto l’intervento del P.M. (art. 70, comma primo, nn. 2, 3 e 5, cod. proc. civ.) e non anche l’esperibilità dell’azione da parte di tale organo, per non essere ad esso attribuito il relativo potere di iniziativa giudiziaria (art. 70, comma primo, n. 1 cod. proc. civ.): sol-tanto nell’ultima ipotesi la mancata partecipazione del P.M. medesimo al giudizio di primo grado ne determina la nullità. Rilevando che l’art. 406, comma 1, c.c. prevede il potere di azione del pubblico ministero in relazione all’interdizione e all’inabilitazione, potere, dunque, che è esteso all’ammini-strazione di sostegno, si tratta indubbiamente di un’ipotesi di intervento del pubblico ministero sussumibile nell’art. 70 n. 1 cod. proc. civ. Ne discende che la violazione delle norme indicate comporta la rimessione del procedimento dinanzi al primo giudice.

La sentenza ecclesiastica di annullamento non può essere delibata quando le parti hanno condiviso per anni la vita matrimoniale. Cass. 24 maggio 2017, n. 13120Una coppia richiede la delibazione della sentenza ecclesiasti-ca di nullità del matrimonio, ma trova il rigetto della Corte d’Appello. La Corte di Cassazione conferma con ordinanza la pronuncia della Corte territoriale, ribadendo il principio già espresso dalle S.U. che “convivenza” tra coniugi non è elemento necessariamente collegato ad un “buon” matrimo-nio fondato su solidarietà ed affetti, ma ad un matrimonio comunque celebrato, salvo che i coniugi si trovassero in una condizione di totale estraneità, pur coabitando, senza alcun rapporto personale o sessuale (nella fattispecie i coniugi eb-bero due figli). Irrilevante che vi fossero contrasti ed incom-prensioni, persino violenze.

L’art. 803 c.c., che prevede la revocabilità della donazione in caso di sopravvenienza di figli da parte soltanto di chi non ne aveva in precedenza, non contrasta con gli artt. 3, 30 e 31 Cost. - Cass. 2 marzo 2017 n. 5345Con atto di citazione la parte ricorrente aveva convenuto in giudizio la moglie separata, per sentire revocare la donazione indiretta di un immobile compiuta in costanza di matrimo-nio, sul presupposto della sopravvenienza di altri figli in epoca successiva alla donazione. La donazione indiretta risaliva ad un periodo in cui era già nata la figlia e successivamente ne era

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nata una seconda. Quindi, intervenuta la separazione tra i co-niugi, l’attore aveva poi avuto un terzo figlio, nato dall’unione con un’altra donna, ed a seguito di tale nascita l’istante aveva deciso di chiedere la revocazione della donazione a suo tempo effettuata. La domanda veniva rigettata in primo e secondo grado. Secondo la Suprema Corte la circostanza che l’art. 803 c.c. esiga il duplice presupposto dell’assenza di figli all’epoca della donazione e della sopravvenienza di un figlio ovvero di un discendente legittimo, risponde alla finalità di assicurare un equo bilanciamento degli interessi dei soggetti coinvolti, ivi inclusi quelli del donatario che non può essere sacrificato per il solo fatto di avere beneficiato della donazione. La ra-tio dell’istituto deve essere individuata, come già affermato da Corte Costituzionale nella sentenza n. 250/2000, nell’esigenza di consentire al donante di riconsiderare l’opportunità dell’at-tribuzione già disposta a fronte della sopravvenuta nascita di un figlio o della sopravvenuta conoscenza della sua esistenza. Tale esigenza si pone in quanto con l’instaurazione di un rap-porto di filiazione sorgono in capo al genitore donante nuo-vi doveri di mantenimento, istruzione ed educazione per il cui adempimento egli deve poter disporre di mezzi adeguati: secondo l’interpretazione della Cassazione, il legislatore pre-sume che il donante non può avere valutato adeguatamente l’interesse alla cura filiale allorquando non abbia ancora figli, e quando quindi non ha ancora provato il sentimento di amor filiale con la dedizione che esso determina. Nell’ottica privile-giata dal legislatore la preesistenza di un figlio ovvero di un di-scendente legittimo alla data della donazione, esclude il fonda-mento applicativo della previsione, dovendosi infatti ritenere che l’atto di liberalità sia stato compiuto da chi già aveva avuto modo di provare l’affetto filiale, e che quindi si è determinato a beneficiare il donatario pur nella consapevolezza degli oneri scaturenti dalla condizione genitoriale.

Anche in sede di modifica è fuorviante il criterio del teno-re di vita della convivenza per l’assegno di divorzio. Cass. 22 giugno 2017 n. 15481Il nuovo orientamento in tema di assegno di divorzio avviato dalla pronuncia 11504 del 10 maggio 2017 trova conferma anche in sede di modifica delle condizioni, purché ricorrano i giustificati motivi di cui all’art. 9 l. 898/1970, non essen-do sufficiente a giustificare la revisione dell’assegno il mero richiamo al nuovo arresto giurisprudenziale. L’onere della prova si inverte, nel senso che spetta a chi sostiene il venir meno del diritto (il coniuge obbligato) l’onere di dimostrare la sussistenza di mezzi adeguati e/o la possibilità per il bene-ficiario di procurarseli. La verifica della sussistenza del diritto va effettuata non con riguardo ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, bensì alla luce del principio dell’indipendenza o autosufficienza economi-ca, considerando i principali indici: il possesso di redditi e/o di cespiti patrimoniali mobiliari / immobiliari; le capacità e possibilità effettive di lavoro personale; la stabile disponibilità di una casa. Nella fattispecie la Corte territoriale non aveva tenuto conto del significato della omissione di una delle par-ti all’onere di esibizione della documentazione richiesta dal giudice. Per la Cassazione non può riconoscersi assegno di-vorzile sul presupposto di permanenza di un evidente divario economico tra le parti, né sulla base del criterio del tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.

Va rispettato il principio di concentrazione delle tutele per la famiglia, per gli ordini di protezione e le misure cautelari, a prescindere dalla competenza collegiale o mo-nocratica. Cass. 22 giugno 2017 n. 15482In un caso di atti persecutori nei confronti dell’ex da parte dell’uomo, padre di una minore, dovendosi decidere in me-rito alle modalità di frequentazione dello stesso con la bam-bina, la donna, con ricorso incidentale, richiede che vi sia pronuncia della cassazione in merito all’annullamento della misura cautelare di non avvicinamento alla casa familiare e alla sua persona, in passato disposta nei confronti dell’ex, che aveva adottato condotte particolarmente violente e comun-que pregiudizievoli per lei e la figlia. La Corte di legittimità precisa che, anche se la ridetta misura cautelare rimane non ricorribile in Cassazione non essendo provvedimento defini-tivo, considerando che detti comportamenti da stalker non sono mai stati contestati dall’uomo, l’insieme dei provvedi-menti a tutela della famiglia debba rispettare il principio di “concentrazione delle tutele” e pertanto che decisioni in meri-to a ordini di protezione possano e debbano comunque esse-re conosciute dal giudice, a prescindere dalla conformazione collegiale o monocratica. La Cassazione precisa pertanto il principio di diritto secondo il quale, il giudice collegiale nanti il quale si è discusso in merito alla collocazione del minore, come in questo caso, possa conoscere anche della misure di protezione in ordine alla tutela della famiglia, poiché sarebbe anti economico ed irrazionale ammettere il contrario.

necessario il contraddittorio per il riconoscimento in Italia dell’adozione di minore, figlio di coppia omosessuale, av-venuta all’estero. Cass. sent. del 16 giugno 2017 n. 14987La Suprema Corte ravvisa la violazione dell’art. 8 Cedu sotto il profilo del diritto alla pienezza delle relazioni familiari, che verrebbe inevitabilmente compromesso a seguito del diniego del riconoscimento in Italia dell’adozione del figlio minore, avvenuta con regolare provvedimento dell’autorità america-na, da cui risultava che il bambino era figlio del ricorrente e del proprio compagno americano.Dal momento che il figlio minore del cittadino italiano non avrebbe potuto così godere di tutti i diritti connessi allo status filiale verso il genitore ed i parenti italiani, fondamentale è la centralità dell’interesse dello stesso nella decisione da assume-re. Pur tuttavia, il riconoscimento dell’adozione viene nella spe-cie rifiutato per la necessità preliminare di integrare il contrad-dittorio nei confronti dell’altro partner indicato come genitore.

Ammesso riconoscimento in Italia dell’atto di nascita estero del figlio di coppia di due donne. Cass. sent. del 15 giugno 2017 n. 14878La coppia di donne, di nazionalità estera, trasferitesi in Italia, aveva richiesto la rettificazione dell’atto di nascita del figlio nato all’estero. Si era però vista negare tale possibilità, prima dall’ufficiale di stato civile poi dal Tribunale e dalla Corte di Appello, in quanto disposizione che sarebbe stata contraria all’ordine pubblico italiano. La Corte di Cassazione invece, facendo attenta valutazione degli ultimi passaggi della nor-mativa e delle interpretazioni più recenti, accoglie la richiesta delle odierne ricorrenti, e corregge il tiro delle interpretazio-ni delle Corti di merito. Trattandosi di fattispecie effettuata e perfezionata all’estero e certificata dall’atto di stato civile di

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uno stato straniero, la Corte ribadisce che, ad oggi, tale ret-tificazione non rappresenta atto contrario all’ordine pubblico italiano, alla luce della modifica delle disposizioni in materia di fecondazione eterologa e soprattutto alla luce del recente intervento del legislatore in materia di unioni civili.

Il miglioramento delle condizioni economiche del marito non comporta automatico aumento dell’assegno di man-tenimento per la moglie. Cass. sent. del 20 giugno 2017 n. 15200Sulla base dei riscontri avuti in sede di merito, valutata l’alta conflittualità dei coniugi e l’applicazione della misura san-zionatoria dell’art 709 ter cpc nei confronti della madre che, nonostante ciò, continuava a comportarsi in modo da voler eliminare l’ex dall’orizzonte della vita del figlio, la Suprema Corte ribadisce, fra gli altri, il principio del parametro per l’aumento dell’assegno di mantenimento.Secondo la Corte, corretta è stata infatti la diminuzione dell’importo dovuto dall’uomo per l’assegno di mantenimen-to, in quanto il presunto aumento di reddito a favore dello stesso conseguito negli anni addietro, non si era poi assestato negli anni successivi, essendo riferito ad un incarico profes-sionale speciale che era però stato di durata limitata, e che aveva davvero quadruplicato le entrate dello stesso, ma che ormai era cessato. L’aumento delle finanze dell’ex cui la donna faceva riferimento per fondare le proprie pretese di integra-zione dell’assegno di mantenimento era pertanto inesistente allo stato attuale e, come tale, non poteva essere utilizzato come elemento di modifica del quantum.

Il giudice può prevedere anche d’ufficio l’ammontare dell’assegno di mantenimento. Cass. ord. 14 giugno 2017 n. 14830Dopo il reclamo in Corte di Appello avverso il provvedimen-to del giudice in sede di separazione in merito all’obbligo imposto ad un padre al pagamento del canone di locazione dell’abitazione in cui vivevano i figli, seppur in contumacia della reclamata, il giudice territoriale disponeva d’ufficio l’au-mento dell’ammontare dell’assegno di mantenimento di cui era onerato l’uomo, determinandolo da 600,00.= ad 800,00.= Tale disposizione, impugnata con ricorso per Cassazione dallo stesso, non va però considerata ultrapetitoria, in quanto, per costante giurisprudenza di legittimità, e secondo la Suprema Corte anche nel caso di specie, i provvedimenti necessari alla tutela degli interessi morali e materiali della prole, qual è l’at-tribuzione e la determinazione dell’assegno di mantenimento a carico del genitore non affidatario, possono essere adottati d’ufficio dal giudice essendo rivolti a soddisfare esigenze e fi-nalità pubblicistiche sottratte all’iniziativa e alla disponibilità delle parti.

Prevale il criterio della residenza sulla cittadinanza in ma-teria di responsabilità genitoriale. Cass. SS.uu. 5 giugno 2017 n. 13912Il padre promuoveva in Italia giudizio di modifica della con-dizioni di separazione, benché nel frattempo madre e figlio si fossero trasferiti all’estero. La resistente eccepiva difetto di giurisdizione e il PM trasmetteva gli atti alle Sezioni Unite ai fini del regolamento di competenza ex art. 380-ter cpc. Per la Cassazione il procedimento per la revisione delle condizio-

ni rappresenta un giudizio autonomo, tale per cui una volta passata in giudicato la precedente procedura (nella specie di separazione), la competenza va nuovamente valutata alla luce della nuova situazione. La controversia attiene esclusivamente alla responsabilità genitoriale della bambini con doppia cittadi-nanza. Tra il criterio della cittadinanza (art. 37 della citata legge n. 218 del 1995, secondo cui la giurisdizione italiana sussiste “anche quando uno dei genitori o il figlio è cittadino italiano o risiede in Italia”) e quello della residenza abituale prevale quest’ultimo, in quanto posto a salvaguardia della continuità affettivo-relazione dello stesso. I provvedimenti in materia di minori devono essere valutati in relazione alla funzione svolta; pertanto quelli che, pur incidendo sulla potestà dei genitori, perseguono una finalità di protezione del minore, rientrano nel campo di applicazione della legge 31 maggio 1995, n. 218, art. 42, il quale rinvia alla Convenzione de L’Aja del 5 ottobre 1961. Invero nel caso di minore con doppia cittadinanza non può ap-plicarsi l’art. 4 della Convenzione, che stabilisce la prevalenza delle misure adottate dal giudice dello Stato di cui il minore è cittadino su quelle adottate nel luogo di residenza abituale.

La qualità di erede non si dimostra solo attraverso la pro-duzione della denuncia di successione, anche se assume un valore indiziario. Cass. 16 gennaio 2017, n. 868La vicenda trae origine da un caso in cui un soggetto suben-trava in qualità di erede di altro soggetto indicato come ori-ginario titolare del diritto (nella specie rivendicazione della proprietà). La Corte stabilisce che per quanto concerne la delazione dell’eredità, l’onere probatorio concernente la qua-lità di erede non può essere assolto con la sola produzione della denuncia di successione: è idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato co-erentemente desumere quel rapporto di parentela con il “de cuius” che legittima alla successione ai sensi degli artt. 565 e ss cod. civ. D’altra parte, con riguardo all’accettazione dell’ere-dità, ai sensi dell’art. 476 cod. civ. l’accettazione tacita può desumersi dall’esplicazione di un’attività personale del chia-mato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, “id est” con un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l’eredità: secondo una valutazione obiettiva condotta alla stre-gua del comune modo di agire di una persona normale, l’ac-cettazione è implicita nell’esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che – essendo intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o ai danni per la mancata disponibilità di beni ereditari – non rientrano negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall’art. 460 cod. civ. In ogni caso, quanto al valore da attribuire alla dichiarazione di successione, sebbene non comporti ex se l’accettazione tacita dell’eredità, in quanto atto preordinato a fini essenzialmen-te fiscali, non di meno, in presenza di un’attività costituen-te prova d’accettazione implicita, a sua volta assume valore d’elemento indiziario che nella prova stessa trova supporto ed al contempo nel medesimo senso la rafforza.

L’azione di riduzione delle disposizioni lesive della legit-tima ha natura personale e non è configurabile un obbligo solidale dei soggetti tenuti alla riduzione. Cass. 25 genna-io 2017, n. 1884In questo caso estremamente complesso dal punto di vista fat-tuale, che, come spesso accade in materia successoria, si occu-

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pa di vicende che si snodano nell’arco di decenni, la Cassazione enuncia alcuni punti di diritto rilevanti: in primo luogo sottoli-nea come l’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione non faccia sorgere un debito ereditario di fronte al quale gli eredi non rispondono ai sensi e per gli effetti dell’art. 754 c.c., ma vada a costituire un obbligo di restituzione a carico di ciascun coerede proporzionale alla quota ricevuta, quota che in presen-za di testamento va calcolata sulla base di quanto attribuito dal testatore. In secondo luogo afferma il principio che nel proce-dimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario, si deve avere riguardo al momento di apertura della successione per calcolare il valore dell’asse ereditario – mediante la cosiddetta riunione fittizia – stabilire l’esistenza e l’entità della lesione della legittima, nonché determinare il valo-re dell’integrazione spettante al legittimario leso. Peraltro qua-lora tale integrazione venga effettuata mediante conguaglio in denaro, trattandosi di credito di valore e non già di valuta essa deve essere adeguata al mutato valore – al momento della deci-sione giudiziale – del bene a cui il legittimario avrebbe diritto, affinché ne costituisca l esatto equivalente, dovendo pertanto procedersi alla relativa rivalutazione, sulla base della variazione degli indici ISTAT sul costo della vita.

Concretizza il reato di omissione di atti d’ufficio ex art. 328 c.c.p. la condotta dell’amministratore di sostegno che ometta di depositare il proprio rendiconto finale. Cass. Pen. 6 marzo 2017 n. 10879Nella fattispecie esaminata l’amministratore di sostegno, tra l’altro figlio del beneficiario e non professionista, ometteva di depositare il rendiconto finale nonostante l’esplicito invito del Giudice Tutelare comunicatogli con rituale notifica. Non è stata accolta la difesa del ricorrente volta a sostenere che il reato de quo non sia un reato di pericolo presunto e che occorra invece un danno non verificatosi nel caso. La Corte di Cassazione conferma il suo orientamento, che può dirsi ormai consolidato, affermando che la condotta tipizzata nella fattispecie normativa di cui all’articolo 328 c.p., comma 1, co-stituisce un reato di pericolo che si perfeziona con la semplice omissione del provvedimento di cui si sollecita la tempestiva adozione, in quanto incidente su beni di valore primario tu-telati dall’ordinamento, nella specie da compiere per ragioni di giustizia e senza ritardo, indipendentemente dallo specifico atto e dal nocumento che possa derivarne.

Contrasti tra le sezioni in merito alla titolarità del diritto alla pensione di reversibilità del coniuge superstite be-neficiario di una tantum. Cass. 10 maggio 2017 n. 11453La Corte, nel rimettere la questione alle SS.UU., evidenzia come vi siano due orientamenti contrapposti, uno che sotto-linea il profilo previdenziale del diritto in questione così da non escludere il diritto alla pensione di reversibilità e l’altro che invece individua nella titolarità attuale del diritto all’asse-gno la condicio legis per l’erogazione della stessa. La presente ordinanza opera un excursus dettagliato dello stato della giu-risprudenza della Corte a partire dalla pronuncia n. 159/1998 delle SS.UU. in cui si riconosceva la natura previdenziale del diritto alla pensione di revensibilità, sino alle pronunce più recenti in cui è emerso netto il contrasto fra le diverse Sezioni la quali, pur aderendo alla definizione del diritto de quo da-tone dalle SS.UU., ne hanno diversamente individuato il pre-

supposto, di talché in alcune pronunce vi è stata una lettura più favorevole al coniuge divorziato mediante una interpreta-zione dell’art. 9 c. 2 l. 898 /70 più estrinseca e tutelante, men-tre in altre vi è stata una rigidità che ha portato all’esclusione della provvidenza.

Reclamabili nanti la Corte di Appello i provvedimenti del giudice tutelare in materia di diritto alla salute e alla li-bertà religiosa. Cass. sent. del 7 giugno 2017 n. 14158Ammissibile il reclamo nanti la Corte di Appello contro la decisione del giudice tutelare di respingere o accogliere la domanda dell’amministratore di sostegno per ottenere l’au-torizzazione a negare o concedere, al personale sanitario, l’autorizzazione, per conto dell’amministrato, a sottoporsi a qualunque terapia medica. Anche se il ricorso in Cassazione era divenuto inammissibile per sopravvenuta carenza di inte-resse, dato l’intervenuto decesso dell’amministrato nelle more del giudizio, la Suprema Corte ha tenuto ad esprimersi enun-ciando un importante principio di diritto, stante l’importanza e la delicatezza dell’argomento trattato.Il giudice tutelare aveva rigettato la domanda della ricorrente, testimone di Geova come il marito, di negare il consenso a tra-sfusioni di sangue e emoderivati. Una volontà indicata dall’uo-mo in un documento sottoscritto in precedenza. La Corte d’Ap-pello di Genova aveva declinato la sua competenza a esprimersi sul provvedimento del giudice tutelare, considerandolo non decisorio e dunque reclamabile solo davanti al Tribunale. Ma la Cassazione non ritiene questo elemento come determinante ad escludere la reclamabilità in appello del decreto, conside-randolo assolutamente un provvedimento decisorio, in quanto incisivo su un diritto fondamentale dell’individuo come quello alla salute, tutelato anche da fonti internazionali quali la Con-venzione per i diritti dell’uomo e la Convenzione di Oviedo.

L’accettazione con beneficio di inventario, fattispecie a formazione progressiva. Cass. 12 aprile 2017 n. 9514La sentenza esaminata stabilisce che l’accettazione con benefi-cio d’inventario, ai sensi dell’art. art. 484 c.c., costituisce una fattispecie a formazione progressiva, in cui è necessario il com-pimento di entrambe le formalità (accettazione ed redazione dell’inventario) per raggiungere il risultato previsto. Diverse sono le conseguenze di una accettazione beneficiata liberamen-te scelta dalla persona fisica, in cui il mancato assolvimento dell’onere di far luogo all’inventario nei termini e modi di legge produce l’effetto dell’accettazione pura e semplice; mentre nel caso in cui l’accettazione con beneficio d’inventario costituisca l’unico modo di accettazione previsto dalla legge, il mancato perfezionamento del modulo legale non può che importare il non conseguimento dello status di erede.

Il termine prescrizionale ex art. 480 c.c. decorre sempre dalla data di apertura della successione a nulla rilevando il rinvenimento di un testamento. Cass. 23 febbraio 2017 n. 4695La sentenza in questione esamina due distinte questioni. In pri-mo luogo riconosce che la delazione ereditaria sussiste anche qualora l’asse ereditario sia composto da sole passività (here-ditatio damnosa), atteso che potrebbe comunque essere inte-resse del chiamato accettare per motivi morali ovvero per altre aspettative, riconoscendo che l’asse ereditario sia composto da

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tutti i rapporti giuridici in capo al de cuius, a prescindere dal-la loro qualificazione come attività o passività. Inoltre precisa come il termine prescrizionale decennale per l’accettazione di eredità ex art. 480 c.c. decorra sempre dalla data di apertura della successione, a nulla rilevando la scoperta successiva di un testamento e la relativa pubblicazione, poiché il vigente ordi-namento giuridico non prevede una distinta accettazione della eredita, a secondo del titolo della delazione.

Si configura il reato di maltrattamenti in famiglia anche se non si convive più. Cass. sent del 22 maggio 2017 n. 25498Interpretazione estensiva della nozione di famiglia viene intesa dalla suprema Corte nel caso di specie. Secondo tale imposta-zione il reato di maltrattamento in famiglia si configura anche all’interno di una coppia di fatto con figli, anche se le vessazioni sono avvenute quando i due non vivevano più sotto lo stesso tetto. Anche in assenza di coabitazione infatti, permangono, anche nelle unioni more uxorio che abbiano dato vita a dei bambini, gli stessi vincoli e obblighi di reciproca assistenza tra i componenti del nucleo familiare esistenti tra i coniugi. Precisa la Corte che sussiste “una nozione estesa di famiglia compren-siva di forme alternative a quella derivante dal matrimonio, ma destinate ad assumere identica dignità e tutela”.

Viene meno la titolarità dell’assegno divorzile se si con-vive stabilmente con un nuovo partner, pur se privo di mezzi economici. Corte di Cass. ord. del 22 maggio 2017 n. 12879Quando l’ex coniuge, che percepisce un assegno di divorzio, instaura una nuova convivenza stabile, perde il diritto a tale assegno, a prescindere dalla capacità economica dello stesso. Ciò avviene, secondo la Suprema corte, anche se difficilmente il nuovo compagno sia in grado di fornire assistenza materiale ed è stato, come in questo caso, dichiarato fallito.

Gli omessi versamenti degli assegni per i figli minori pos-sono essere scriminati da versamenti successivi. Cass. sent del 15 maggio 2017 n. 24050Il genitore che non paga l’assegno al figlio minore non subisce sempre e comunque una condanna per il reato ex art 570 c.p. Il raddoppio spontaneo delle somme in altri periodi dell’anno è un comportamento atto a scriminare la violazione. La Corte ha precisato, del resto, che deve essere esclusa ogni equipa-razione automatica tra l’inadempimento dell’obbligo stabilito dal giudice civile e la violazione della legge penale. Nel giu-dizio penale devono infatti essere valutati sia l’incidenza della corresponsione parziale dell’assegno sulla disponibilità dei mezzi economici che l’obbligato deve fornire ai beneficiari, che l’entità degli inadempimenti con riferimento all’accerta-mento della volontà dell’obbligato di rendersi inadempiente. Nel caso di specie i doppi versamenti talvolta effettuati sono stati correttamente ritenuti dal giudice dell’appello poco com-patibili con la volontà di non adempiere.

Essere troppo presenti nella vita del figlio minore oltre le disposizioni del giudice comporta stalking. Cass. sent. del 18 maggio 2017 n. 24795Secondo la Suprema Corte, il non essersi attenuto ai giorni e agli orari stabiliti per far visita al figlio e l’aver imposto la

sua presenza in maniera eccessiva e incontrollata ha determi-nato innegabilmente per l’uomo la condanna per il reato di atti persecutori ex art 612 bis, c.d. stalking. Provate le con-seguenze subite dalla moglie in termini di mutamento delle proprie abitudini di vita e disagio psicologico, non serve a nulla tentare di provare il disinteresse dell’uomo a riallacciare un rapporto con la ex. Specie se il comportamento tenuto ha cagionato anche dei traumi psicologici al figlio minore, che si sono aggiunti ad una predisposizione genetica, aggravandola.

non si configura l’addebito della separazione ove il tradi-mento sia l’effetto della crisi, derivata da eccessive rigidi-tà caratteriali dei coniugi. Cass. 15 maggio 2017 n. 12392La suprema Corte precisa come siano inammissibili le richie-ste del ricorrente che hanno ad oggetto disposizioni di com-petenza esclusiva del giudice di merito riguardando le moda-lità di affidamento della prole, e delle tempistiche di visita. In merito alla richiesta di addebito della separazione relativa alla relazione extraconiugale della moglie avvenuta prima dell’udienza presidenziale, la Corte rileva come detta situa-zione debba considerarsi come effetto e non causa della crisi, che era già in essere, cagionata probabilmente dall’aggravarsi delle tensioni del rapporto fra i coniugi e dall’esasperarsi delle rigidità caratteriali degli stessi.

Si alla riduzione dell’assegno di mantenimento se si di-spone di casa ex coniugale e di buone capacità reddituali. no al versamento diretto al figlio maggiorenne in assenza di specifica azione. Cass. sent. 17 maggio 2017 n. 12391Il genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore, non può pretendere, in man-canza di una specifica domanda del figlio in sede giudiziaria di assolvere la propria prestazione nei confronti di quest’ulti-mo anziché del genitore istante, non avendo egli alcuna au-tonomia nella scelta del soggetto nei cui confronti adempiere.

non si dispone l’affidamento in prova ai servizi sociali per il padre condannato per omesso mantenimento al figlio minore, se appare inaffidabile e disinteressato alla riedu-cazione. Cass. 12 maggio 2017, n. 23758L’art. 47, comma 2 ord. pen. prevede che l’ammissione alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale possa essere concessa quando il Tribunale ritiene che il prov-vedimento, anche attraverso le prescrizioni, contribuisca alla rieducazione del reo ed assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. Nel caso di specie, il Tribunale non ha respinto l’istanza basandosi esclusivamente sulla ne-gazione della propria responsabilità da parte dell’imputato: l’ordinanza impugnata evidenzia, infatti, l’attuale assenza di volontà di attivarsi per riparare il danno al figlio nonché i sentimenti di rancore verso la moglie. In effetti, in questo caso, il ricorrente non nega affatto la condotta contestatagli – l’omesso versamento prolungato nel tempo dell’assegno in favore del figlio minore stabilito in sede di separazione e poi di divorzio – ma sostiene che tale omesso versamento è incol-pevole, sia per le sue difficoltà economiche, sia per l’ingiusti-zia delle decisioni giudiziarie adottate nei suoi confronti. Il provvedimento evidenzia, ancora, la condotta attuale di non collaborazione con le forze dell’ordine, da cui fa discende-

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re un giudizio di inaffidabilità del soggetto. In definitiva, la conclusione del Tribunale dell’impossibilità di un percorso rieducativo appare logica e agganciata a dati attuali e concreti.

Permane componente solidaristica fra coniugi nella quan-tificazione dell’assegno di mantenimento post separazio-ne. Cass. 16 maggio 2017, n. 12196La Cassazione ritiene nel caso di specie sia stato correttamente interpretato il criterio ex art 156 c.c., secondo il quale il giu-dice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ri-cevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo manteni-mento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. Anche nell’eccezionalità della capacità reddituale del caso di specie, pertanto, permane l’obbligo di solidarietà fra le parti. Viene ri-marcata altresì la profonda differenza fra il dovere di assistenza materiale fra i coniugi nell’ambito della separazione persona-le e gli obblighi correlati alla cd. “solidarietà post-coniugale” nel giudizio di divorzio: nel primo caso, il rapporto coniugale non viene meno, determinandosi soltanto una sospensione dei doveri di natura personale, quali la convivenza, la fedeltà e la collaborazione; al contrario, gli aspetti di natura patrimoniale – con particolare riferimento all’ipotesi, come quella in esame, di non addebitabilità della separazione stessa – non vengono meno, pur assumendo forme confacenti alla nuova situazione”.

Solo circostanze eccezionalmente gravi possono sacrifica-re la libertà matrimoniale del beneficiario. Cassazione 11 maggio 2017 n. 11536I figli del beneficiario della misura di protezione impugnavano il matrimonio contratto dal padre con la badante di 40 anni più giovane, fondando la propria azione sulla ratio dell’art. 119 c.c. che in caso di interdizione consente l’impugnazione a “tutti coloro che abbiano un interesse legittimo”. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, acco-glieva la domanda dei figli, interpretando analogicamente la disposizione, come comprensiva dei casi di amministrazione di sostegno, attesa l’applicabilità di questa nuova misura di protezione a casi del tutto analoghi a quelli in passato oggetto di interdizione. Diversamente opina la Cassazione, la quale esalta i profili di distinzione delle misure di protezione, lad-dove l’amministrazione di sostegno ha come obiettivo quello di sacrificare nella misura minore possibile la capacità di agire del soggetto. Alla luce di siffatto scopo prioritario dell’ammi-nistrazione di sostegno vanno lette le norme che consentono il richiamo di disposizioni dettate per l’interdetto. L’art. 411 c.c. consente sì il richiamo alle norme dettate per l’interdetto, ma nella misura in cui siano espressamente fatte oggetto di un provvedimento individualizzato del giudice tutelare, misura-to sull’interesse del beneficiario, non certo di terzi. Ove sia interesse del beneficiario promuovere azione di annullamento del matrimonio, soccorrerà la possibilità di impugnazione per incapacità naturale (art. 120 c.c.), anche da parte dell’ammi-nistratore di sostegno ai sensi dell’art. 412 c.c.

L’assegno spetta per condurre una vita dignitosa, senza speculazioni. Cassazione 11 maggio 2017 n. 11538La Cassazione torna sul tema della titolarità dell’assegno di divorzio e stempera un poco l’effetto clamore suscitato con la pronuncia n. 11504 del 10 maggio scorso. In questo caso

viene accolta la domanda della richiedente l’assegno contro il provvedimento della Corte d’Appello che aveva ritenuto ne-cessaria, da parte dell’istante, la prova dell’inesistenza assolu-ta di ogni possibilità di lavoro. Troppo stringente, secondo gli Ermellini, l’onere imposto al richiedente l’assegno. La natura assistenziale dell’assegno di divorzio è tale che esso deve esse-re disposto in favore di chi disponga di redditi insufficienti a condurre un’esistenza libera e dignitosa, e deve essere conte-nuto nella misura che permetta il raggiungimento dello scopo senza provocare illegittime locupletazioni. Nel caso di specie la donna non risultava percepire un reddito regolare e tale circostanza è stata ritenuta idonea a ritenere fornita la prova della insufficienza dei mezzi. Sulla decisione hanno pesato anche la sistemazione abitativa degli ex coniugi: lui titolare di possidenze immobiliari, lei vive nella casa dei genitori.

All’assegno di divorzio va riconosciuta funzione esclu-sivamente assistenziale. Corte di Cassazione 10 maggio 2017 n. 11504Storico revirement della Corte di Cassazione in tema di ob-blighi di mantenimento in sede di divorzio. Con il divorzio il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, da considerarsi “persone sin-gole”, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali, in specie quanto al reciproco dovere di assistenza morale e materiale. La norma, l’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, prevede due fasi ben distinte del giudizio. La prima, la fase di accer-tamento della sussistenza del requisito per il riconoscimento dell’assegno, riguarda esclusivamente le condizioni dell’ex coniuge richiedente: quest’ultimo deve anzitutto dimostrare l’assenza di “mezzi adeguati”; deve inoltre dimostrare di non poterseli procurare per ragioni oggettive, in ciò rientrando il concetto di solidarietà post-coniugale. L’elemento costituito dal tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimo-nio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, era stato in passato utilizzato come parametro per valutare l’adeguatezza dei mezzi del richiedente. Tale orientamento per la Cassazione deve essere oggi superato, data l’evoluzione sociale e tenuto conto del quadro normativo sovranazionale. Il tenore di vita non costituisce più uno degli elementi da valutare nell’accer-tamento dell’an debeatur dell’assegno. L’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, bensì il raggiungi-mento dell’indipendenza economica, in tal senso dovendo in-tendersi la funzione esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile. Il principio al quale deve ritenersi ispirata la norma-tiva sul contributo economico è quello della autoresponsabili-tà economica, da intendersi conformato alle condizioni della persona singola. La condizione di mancanza di indipendenza o autosufficienza economica è onere probatorio che grava sul richiedente l’assegno e va valutata sulla base degli indici prin-cipali: possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti pa-trimoniali mobiliari ed immobiliari; capacità e possibilità effet-tive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione. Solo ove abbia avuto esito positivo siffatta preliminare valutazione si passerà alla se-conda fase, quella della quantificazione dell’assegno, informata al principio della solidarietà economica, all’interno della quale

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verranno in rilievo tutti gli elementi indicati dalla norma: con-dizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo perso-nale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello co-mune, reddito di entrambi.

Congrua la richiesta di riduzione dell’assegno divorzile da corrispondere alla moglie, se la stessa è tornata a vi-vere dai genitori. Cass. ord. del 3 maggio 2017 n. 10787La modifica effettiva delle condizioni di vita dopo la fine del matrimonio è indice indiscutibile di cambiamento delle con-dizioni economiche che erano state assunte a fondamento del divorzio. Così la Corte di Cassazione, con ordinanza, dispone la correttezza della riduzione dell’assegno divorzile che era stato stabilito a favore della moglie da parte di un uomo il quale però, nel frattempo, aveva perso il lavoro ed era in diffi-coltà a garantire l’obbligazione assunta. Corrispondentemen-te la di lui ex moglie era invece tornata a vivere dai propri genitori e non aveva necessità, di continuare a percepire la somma predefinita in sede di divorzio, non avendo avuto sen-sibile peggioramento delle condizioni di vita.

nullo l’accordo fra genitori in deroga alle disposizioni as-sunte in sede di separazione o divorzio. Cassazione, sent. del 2 maggio 2017 n. 20801In relazione agli accordi sulle frequentazioni dei figli, la Cas-sazione esclude che i genitori possano concordare in deroga ai patti assunti i sede di separazione o divorzio. I genitori infatti possono derogare a tali obblighi solo in situazioni di emer-genza, in casi eccezionali o stato di necessità evidente. Tali accordi sono pertanto, da considerarsi nulli, perché – trat-tandosi di minori – ogni decisione deve essere valutata dal Giudice, il quale deve provvedere nel rispetto del principio “del superiore interesse del minore”.

Il supporto del corpo docente allo studente disabile deve essere garantito a prescindere dalla spesa che comporta. Consiglio di Stato, Sentenza 3 maggio 2017 n. 2023.Il Consiglio di Stato, con una sentenza “pilota” che ripercorre tutte le tappe del riconoscimento del diritto degli studenti di-sabili ad ottenere una educazione appropriata ed egualitaria a quella degli altri studenti, riconosce che “favore degli alunni disabili, militano i principi costituzionali della tutela dei diritti inviolabili e della solidarietà sociale (art. 2), il dovere di rimuo-vere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana (art. 3), l’apertura a tutti della scuola (art. 34) e il diritto all’educazione (art. 38). Per tacere degli evidenti vantaggi per la società nel suo complesso e per le famiglie derivanti dalla integrazione nella scuola che apre al recupero ed alla possibilità per i disabili di contribuire alla vita sociale”. Pertanto “i principi costituziona-li impongono di dare una lettura sistematica alle disposizioni sulla tutela degli alunni disabili e a quelle sulla organizzazione scolastica e sulle disponibilità degli insegnanti di sostegno, nel senso che le posizioni degli alunni disabili devono prevalere sulle esigenze di natura finanziaria”.

Tenuto al risarcimento del danno il marito che ha abban-donato la moglie nel corso della malattia che l’ha portata alla morte. Cass. ord n. 10741 del 3 maggio 2017In sede di separazione, una donna aveva chiesto ed ottenu-to dal tribunale il risarcimento del danno, quantificato in €

7000,00, conseguente all’abbandono subito dal marito, che l’aveva lasciata proprio mentre ella combatteva contro una malattia gravissima. Tale patologia l’avrebbe poi portata alla morte a soli 37 anni.La Corte di Appello, nanti la quali gli eredi avevano propo-sto appello, aveva confermato l’obbligazione dell’uomo, ed il danno non patrimoniale veniva quantificato nel maggior importo di Euro 30.000. L’appellato era condannato pertanto al pagamento integrale della somma di Euro 37.000 comples-sivamente riconosciuta. La Corte ha inoltre rilevato che, nel limitare la condanna del d.l. ad un terzo dell’importo ricono-sciuto, ai sensi dell’art. 582 cc, il tribunale aveva pronunciato ultra petita, peraltro senza tener conto che l’appellato non aveva ancora accettato l’eredità e che, comunque, non avreb-be mai potuto avvantaggiarsi delle conseguenze dell’illecito endofamiliare commesso.La Suprema corte avvalora e conferma la condanna ritenendo inammissibili i motivi di gravame dell’uomo.

nel giudizio di modifica si valutano solo le circostanze sopravvenute. Cassazione 13 gennaio 2017 n. 787Al giudice investito della domanda di modifica dell’assegno di divorzio non è consentito procedere ad una autonoma e nuo-va valutazione dell’entità dell’assegno o dei suoi presupposti, dovendo limitarsi a verificare se ed in quale misura le soprav-venute circostanze abbiano alterato l’equilibrio raggiunto nel precedente giudizio e, conseguentemente, adeguare l’obbligo di contribuzione alla nuova situazione patrimoniale, fino alla sua eventuale totale revoca. La valutazione delle circostanze sopravvenute non può essere astratta. Il giudice distrettua-le ha discusso del potenziale di redditività del patrimonio immobiliare del ricorrente, senza che questo fosse neppure esattamente commisurato e del quale si ignorano le compo-nenti, dall’altro ha postulato che vi fosse una copertura delle voci negative (l’accertata perdita della capacità lavorativa, la modesta entità della pensione, il mantenimento di un ulte-riore figlio e le spese per il proprio badante) sulla base della redditività degli immobili posseduti senza che di questo si sia discusso e se ne siano commisurati i termini. Pertanto il giu-dice della revisione deve limitarsi a verificare se e in che misu-ra le circostanze sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato, l’equilibrio già raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimonial-reddituale accertata.

Il convivente superstite non ha titolo per occupare l’abita-zione. Cassazione 27 aprile 2017 n. 10377Alla morte del convivente proprietario della casa, la compa-gna chiede il riconoscimento del suo diritto a conservare il godimento dell’abitazione nei confronti degli eredi. Sostiene la ricorrente che l’evoluzione sociale, in uno con quella giuri-sprudenziale e legislativa, abbia condotto al riconoscimento al convivente, non titolare di diritti reali o relativi sull’immobile destinato ad abitazione della coppia, della titolarità di una re-lazione con il bene qualificata come detenzione autonoma, tale da legittimare il godimento del bene anche dopo il decesso del convivente. Invero la convivenza “more uxorio”, quale forma-zione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, può al più assumere i connotati tipici di una detenzione qua-lificata e consentire di esperire l’azione di spoglio contro una

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estromissione violenta o clandestina dell’unità abitativa, com-piuta da terzi e finanche dal convivente proprietario in dan-no del convivente non proprietario. Tale tutela sussiste solo in quanto e finché duri il titolo dal quale proviene, vale a dire la convivenza more uxorio. Venendo a cessare quest’ultima, an-che per morte del convivente, si estingue anche il diritto avente ad oggetto la detenzione qualificata sull’immobile. Una protra-zione della relazione di fatto tra il bene ed il convivente (già de-tentore qualificato) superstite, potrà ritenersi legittima soltanto in base: a) alla eventuale istituzione del convivente superstite come coerede o legatario dell’immobile in virtù di disposizione testamentaria; b) alla costituzione di un nuovo e diverso titolo di detenzione da parte degli eredi del convivente proprietario. La rilevanza sociale della convivenza non può incidere sui le-gittimi diritti spettanti ai terzi sull’immobile, salvo espressa pre-visione legislativa (vedi legge unioni civili e convivenze, non applicabile ratione temporis al caso di specie).

La prosecuzione degli studi è funzionale ad un utile inse-rimento lavorativo. Cassazione 26 aprile 2017 n. 10207La revoca dell’obbligo di mantenimento del figlio maggio-renne non può essere conseguenza del raggiungimento della laurea triennale in educazione professionale nei servizi sanita-ri, in assenza della prova che la beneficiaria abbia conseguito l’indipendenza economica o abbia rifiutato concrete oppor-tunità lavorative, avendo viceversa ella dimostrato di voler proseguire il proprio percorso di studi per realizzare un utile inserimento nel mondo lavorativo conforme alle proprie aspi-razioni professionali.

Plurime condotte integrano maltrattamenti in famiglia. Cassazione pen. 20 aprile 2017 n. 18908Sei anni di reclusione – pena massima – per aver posto in essere diverse condotte, gravi, riconducibili al reato di mal-trattamenti in famiglia: per avere, in stato di ubriachezza, col-pito la convivente con schiaffi e gettandola sul letto, colpen-dola con un cutter, costringendola a subire rapporti sessuali completi; per averla picchiata rinfacciandole l’assenza della verginità al momento del loro incontro, maltrattandola con continue vessazioni fisiche e psichiche; per averla costretta, con violenza e minaccia di ritorsioni, a contrarre matrimo-nio con un altro uomo per evitare a quest’ultimo l’espulsione dall’Italia. La Corte ha confermato il giudizio di piena attendi-bilità, ed assenza di malanimo, di quanto narrato dalla perso-na offesa nella deposizione dibattimentale, sia in relazione alle violenze sessuali, che ai maltrattamenti, che alla costrizione a contrarre un finto matrimonio.

I figli adulti hanno diritto a ottenere gli alimenti, se la loro situazione di bisogno è comprovata. Cass. sent. 9415 del 12 aprile 2017Il giudice del merito ha ritenuto raggiunta la prova della sus-sistenza del presupposto della prestazione alimentare consi-derando la sua situazione di bisogno e le infruttuose situazio-ni lavorative sino ad oggi reperite. In corso di causa, inoltre, è emerso che la condizione soggettiva dell’uomo è gravemente compromessa dall’essere egli affetto da seri problemi psico-logici e relazionali. La Cassazione ha confermato tali assunti, disponendo l’obbligo della madre a versare al figlio, seppur ultracinquantenne, la somma di € 300,00.= mensili.

La moglie assegnataria della casa familiare non è tenuta al pagamento della quota delle spese straordinarie di ammi-nistrazione. Cass. sent del 20 aprile 2017 n. 9998La moglie affidataria dei figli minori alla quale è stato assegna-to l’appartamento non deve restituire all’ex marito proprieta-rio della casa i soldi pagati per importanti lavori straordinari nell’edificio. La delibera dell’assemblea condominiale che li aveva approvati, infatti, era stata approvata mesi prima rispet-to alla data del provvedimento del giudice che assegnava alla donna la casa come affidataria dei figli della coppia dopo la separazione.La Cassazione in proposito precisa che, a prescindere dall’as-segnazione della casa alla donna e dal beneficio che essa possa aver tratto dai lavori di ristrutturazione del condominio, l’ob-bligo di pagare le spese per le parti comuni del condominio in cui si trova l’appartamento grava esclusivamente su colui che, al momento della delibera assembleare, era proprietario dello stesso.

I contenuti più blandi e particolari del documento non devono essere confusi con mezzi fraudolenti ma sono espressione della senilità del testatore. Cass. sent dell’11 aprile 2017 n. 9309Né è consentito confondere l’utilizzo di mezzi fraudolenti con “atteggiamenti di piaggeria, blandizia, affettata affettuosità, che se appaiono eticamente discutibili, tuttavia, non integra-no la previsione di legge”. Pertanto il testamento è da conside-rarsi valido e non può essere annullato in assenza della prova che il testatore al momento della redazione era incapace di intendere di volere.

Condanna per stalking nei confronti della donna che con le sue condotte aveva provocato ansia nell’ex e nella di lui attuale moglie. Cass. sent del 7 aprile 2017 n. 17793La donna aveva molestato e minacciato in più occasioni l’ex con il quale molti anni prima aveva intrattenuto una relazione sentimentale. Dopo averlo contattato presso l’utenza telefonica fissa che la parte offesa aveva dovuto cambiare, aveva iniziato a inviargli delle e-mail, prima direttamente e poi tramite un conoscente comune, provocando nel medesimo e nella moglie un particolare stato d’ansia, anche in considerazione del fatto che sempre in anni risalenti l’imputata aveva causato alla mo-glie della vittima lesioni gravissime per le quali aveva già patito una condanna. All’imputata viene anche contestata la recidiva della condotta, avendo la stessa reiterato condotte del tutto analoghe a quelle per cui aveva patito la precedente condanna, dimostrando una rinnovata pericolosità dell’agente.

Il parametro per l’assegno di mantenimento rimane il reddito dei genitori, non il tempo trascorso dal figlio con l’uno o l’altro dei due. Cass. ord. 19 aprile 2017 n. 9945I giudici nel fissare l’importo dell’assegno del contributo al mantenimento per i figli minori dopo il divorzio, non devono tenere in nessuna considerazione i periodi che il minore passa con ciascuno dei suoi genitori. L’importo è quantificato solo sulla base del reddito dei genitori ed in particolare a pagare di più è il genitore con il reddito più elevato indipendentemente dal tempo trascorso dal figlio con l’uno o con l’altro.La cassazione ha pertanto rigettato il ricorso di un uomo, la-sciando invariato l’importo dell’assegno di mantenimento per il

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figlio minore, non tenendo in alcuna considerazione il fatto che il minore trascorresse la maggior parte del tempo con la madre.

La madre narcotrafficante può scontare il residuo della pena presso il domicilio, a prescindere dalla gravità del fatto commesso. Corte Cost., sent. 12 aprile 2017 n. 76La Consulta ha specificato che si può concedere il beneficio di poter terminare la condanna presso la propria abitazione alla carcerata che abbia già scontato almeno un terzo della pena e abbia prole di età inferiore ai dieci anni a prescindere dalla gravità di ciò che ha commesso, per tutelare il superiore interesse del minore a fruire in modo continuativo dell’affetto e delle cure materne.Pertanto la Corte Costituzionale ha stabilito l’illegittimità co-stituzionale dell’articolo di legge che impedisce di poter scon-tare la pena presso il proprio domicilio a chi sia stato condan-nato perché colpevole del reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, specie se madre di minore di 10 anni.

Il diritto di un genitore al rimborso delle spese di mante-nimento del figlio decorre dal riconoscimento. Cass. sent. 9059 del 7 aprile 2017Una madre richiedeva il pagamento delle spese sostenute per il mantenimento della figlia, nata nel 1971 ma riconosciuta da padre sono nel 2003. La Cassazione riconosceva alla donna un diritto al rimborso per via equitativa. “L’obbligo dei geni-tori di mantenere i figli sussiste per il fatto di averli generati e prescinde da ogni domanda proposta, essendo sorto fin dalla nascita il diritto del figlio ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori e quello dei due che ritarda il riconoscimento, o che obbliga l’altro, in rappre-sentanza del figlio, a chiedere la dichiarazione giudiziale, non può allegare a proprio vantaggio il ritardo stesso”.

Divieto di nova in appello e rilievo delle nullità del testa-mento. Cass. 5 aprile 2017 n. 8841I ricorrenti avevano proposto domanda di annullamento del testamento per falsità della data. In sede di appello le disposte perizie grafologiche avevano evidenziato come altamente pro-babile una nuova circostanza, vale a dire che la mano della te-statrice fosse stata aiutata o guidata nella redazione delle ultime volontà da un terzo. Gli appellanti avevano quindi integrato la domanda con il rilievo della nullità per aprocrifia. Il giudice d’appello aveva ritenuto tale domanda nuova e come tale inam-missibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c. La Corte ritiene l’accerta-mento della nullità sempre rilevabile d’ufficio anche in grado di appello e ricompreso nell’esame della domanda di adempimen-to del legato, che presuppone sia verificata la validità dell’atto che lo contiene, nonostante la patologia possa derivare da cau-se diverse da quelle poste a sostegno della domanda. È eccezio-ne in senso lato, suscettibile di essere riproposta liberamente anche in grado di appello, e comunque di rilievo officioso, la deduzione della sussistenza di una causa di nullità.

Pubblico e privato nel bilanciamento di valori nelle con-dizioni per l’accertamento di paternità. Cass. 28 marzo 2017 n. 7960Il ricorrente censura l’imprescrittibilità dell’azione di accer-tamento della paternità ex art. 270 c.c. per contrasto con il

rispetto dei diritti della personalità del genitore e la certezza dei rapporti familiari. L’uomo sarebbe così esposto anche a di-stanza di molti anni al rischio di azioni senza limiti temporali. La norma rende poi illimitate anche le richieste economiche conseguenti all’accertamento della paternità. Per la Corte, il valore perseguito dal legislatore della riforma del 1975 è stato di assicurare un’ampia tutela ai figli nati fuori dal matrimo-nio. In tale prospettiva, la mancata previsione di un termine, soprattutto alla luce del superamento della previgente norma che lo prevedeva, non significa che un bilanciamento sia man-cato, ma solo che è stato operato, nel caso concreto, rendendo recessiva l’aspettativa del padre rispetto alle esigenze di vita e di riconoscimento dell’identità personale del figlio. Stante il carattere scientifico degli accertamenti in questione, anche il riferimento alle esigenze per il padre di reperire per tempo ele-menti di prova o di conservare ricordi diventa inutiliter dato. L’azione per il recupero del mantenimento pregresso attiene a diritti disponibili e pertanto richiede la domanda di parte, mentre con riferimento al periodo successivo alla domanda di accertamento sussiste il potere del giudice di disporre d’ufficio i provvedimenti opportuni per il mantenimento del minore ex art. 277 c.c. Fondata la questione del mancato rilievo del ma-trimonio dell’avente diritto al mantenimento quale fatto estin-tivo dell’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento.

La suocera che insulta pesantemente la vedova del figlio davanti ai nipotini viene condannata per diffamazione e non per ingiuria. Corte di Cass. sent. del 30 marzo 2017 n. 16108Per la Corte di Cassazione viene integrato il reato ex art 595 c.p. poiché i bambini possono cogliere la portata lesiva al di là dello specifico significato delle parole e rendersi strumen-to di propagazione dei contenuti diffamatori. Confermata la condanna inflitta all’anziana che accusa la vedova di suo figlio di essere la causa della morte del marito, oltre a pronunciare epiteti ingiuriosi che offendono la moralità della nuora.

Può essere alienata da uno dei coniugi anche senza il con-senso dell’altro la quota di casa coniugale, in caso di di-chiarazione di fallimento dello stesso. Corte di Cass. sent del 5 aprile 2017 n. 8803Se una coppia di coniugi è in comunione dei beni e uno dei due viene dichiarato “fallito” dal tribunale, si scioglie auto-maticamente la comunione nel momento stesso del deposito della sentenza di fallimento e la coppia di coniugi si considera in regime di separazione dei beni.Uno dei principali effetti del fallimento del marito o della mo-glie si riversa sulla casa coniugale che prima rientrava nella co-munione. Se durante la comunione legale dei beni un coniuge non può mai vendere la propria metà, lo può fare quando in-vece cessa la comunione e si passa in un regime di “comunione ordinaria”. In tal caso, il coniuge non fallito può vendere il suo 50% di proprietà ideale della casa. L’atto di vendita di metà del-la casa è quindi valido e ha effetto anche nei confronti dell’altro coniuge, anche se disapprova la vendita. quando si verifica una delle cause di scioglimento della comunione, i beni cadono in comunione ordinaria e il coniuge che ha conservato il potere di disporre della propria quota può alienarla “liberamente e sepa-ratamente”. Confermata la possibilità di vendere il bene per la propria metà anche senza il consenso dell’altro coniuge.

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Le uLtimiSSime DeLLA giuriSPruDeNzA

Ai fini dell’integrazione del reato ex art. 572 c.p. è neces-saria la sussistenza del dolo abituale. Corte di Cassazio-ne, sentenza 6 aprile 2017, n. 17574L’uomo, un capo famiglia autoritario e intransigente che non “riusciva a comunicare con i figli, e usava metodi di disciplina assai severi”, aveva evitato la condanna in primo grado per maltrattamenti in famiglia. Il Tribunale aveva infatti escluso una condotta abituale, osservando che il clima familiare tut-tavia non era sempre stato teso e non ravvisando “la volontà e la consapevolezza di persistere in un’attività vessatoria” dato che “l’imputato teneva all’educazione dei figli, seppure con metodi non condivisibili e li aiutava a migliorare il rendimen-to scolastico e le relazioni con i coetanei”.La Corte di Appello invece, riformava “in pejus” la sua posi-zione, tenendo conto dell’esclusione delle finalità rieducative delle condotte dell’uomo, considerate gratuite e dovute solo “al carattere collerico e aggressivo, tanto che i figli vivevano in uno stato di timore e soggezione al punto di rifiutarsi di vederlo”. L’uomo pertanto ricorreva al terzo grado di giudizio e la Suprema Corte riteneva fondate e da approfondire alcune delle doglianze dello stesso. La Cassazione infatti ha ritenu-to che non sia stata motivata a sufficienza “la sussistenza del necessario elemento psicologico del dolo abituale”, che carat-terizza il reato di maltrattamenti, limitandosi a richiamare il generico criterio per il quale “non è necessario uno specifico programma criminoso, ma è sufficiente la consapevolezza di persistere in un’attività vessatoria diretta a ledere la persona-lità della vittima, senza argomentare circa la coscienza e la volontà dell’imputato di persistere in un’attività vessatoria”. Per questa ragione, la sentenza viene annullata con rinvio ad altra sezione per nuovo giudizio sul punto.

La convivenza ultra trentennale sana i vizi genetici del matrimonio. Corte di Cass. sent del 5 aprile 2017 n. 8800Nella delibazione della sentenza ecclesiastica di scioglimento del matrimonio una lunga convivenza, di oltre 36 anni, ha la capacità di sanare eventuali vizi genetici dell’unione.A tutela delle norme di ordine pubblico pertanto, valutando che nel rapporto di specie si erano ravvisati i rapporti di consuetudi-ne, affetto, reciproco sostegno, condivisione della responsabilità genitoriale, riconoscibilità esteriore, fra i coniugi, non è possibi-le per la Corte disporre la delibazione della sentenza

Sia rispettata la volontà della minore di non essere rico-nosciuta dal padre. Corte di Cassazione, sentenza del 27 marzo 2017 n. 7762Riconosciuto, finalmente, il diritto di una minore quattor-dicenne ad essere ascoltata e rispettata nella volontà di non voler essere riconosciuta come figlia naturale del padre biolo-gico. Nonostante la giovane avesse espresso volontà contraria al riconoscimento, in questo senso già in sede di audizione in Cda, le sue parole erano state interpretate come contrarie al proprio interesse al riconoscimento ed alla bigenitorialità, dovute ad Rinformazioni errate sulla condotta paterna ed al timore di turbare la situazione familiare. La vicenda, annosa e complessa, già era giunta in Cassazione ove era stato censura-to l’omesso ascolto della allora bambina, con rinvio alla Corte territoriale per tale adempimento.Ma la Corte d’Appello, pur disponendo l’ascolto della ormai quattordicenne, le “imponeva” comunque il riconoscimento

paterno, nonostante la sua chiara espressa volontà contraria, sulla scorta del “diritto soggettivo del padre al riconoscimen-to della bambina, nell’interesse preminente della minore”, sia per “le conseguenze derivanti dalla bi genitorialità in senso astratto, sia dai vantaggi affettivi che ella avrebbe ricavato da una famiglia allargata” (il padre aveva costituito una nuova fa-miglia da cui erano nati altri due figli), nonché “per l’assenza di pregiudizi concreti che mettessero in pericolo il benessere psico-fisico della minore dal rapporto con la figura paterna”. La Suprema Corte, nanti cui la madre della ragazza aveva im-pugnato anche questa decisione, censurava però questa di-sposizione della Corte di Appello e cassava la decisione.Inspiegabilmente infatti, seppur la ragazzina fosse stata giudi-cata dalla Corte territoriale “capace di discernimento, matura e consapevole della sua condizione, e in grado di interagire e rispondere alle domande dell’interlocutore”, la sua volontà non era stata rispettata, in palese violazione dell’identità della minore del suo benessere effettivo sotto il profilo psichico, culturale e relazionale, in palese violazione dell’art 250 c.c. 3 e 4 comma.

Subire il tradimento del coniuge può essere considerato reato ex art 572 c.p. Corte di Cassazione, sentenza 3 apri-le 2017, n. 16543La Corte ha ritenuto non infondate le doglianze della moglie relative al reato di cui all’art 572 c.p. in considerazione della condotta tenuta dal marito della stessa. Evidenzia infatti come il reato di maltrattamenti (art. 572 cod. pen.) integra una ipo-tesi di “reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili” (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.) ovvero “non perseguibili” (percosse o minac-ce lievi, procedibili solo a querela), idonei a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali. In questo caso pero, le condotte di violenza e di sopraffazione che l’imputa-to ha inflitto a sua moglie (intrattenere rapporti sessuali con l’amante all’interno della casa coniugale imponendo alla mo-glie l’accettazione di tale stato di fatto con gravi minacce), che hanno trovato riscontro in atti, sono passibili di rilevanza penale. Pertanto, la Corte ritiene che i singoli episodi vessato-ri costituiti da minacce e violenza privata rimangano assorbiti nel reato di maltrattamenti.

Il diritto di credito da mantenimento è tutelabile con l’azione revocatoria. Cass. 7 marzo 2017 n. 5618L’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, com-prensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrile-vanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibili-tà. Ne consegue che anche il credito per assegni periodici di mantenimento è tutelabile con l’azione revocatoria, essendo sufficiente non già la totale compromissione della consisten-za del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito. L’atto di compravendita di immobile del coniu-ge obbligato è soggetto a revocatoria anche in assenza di un inadempimento, fondandosi sui presupposti: 1) dell’esistenza di un credito; 2) della scientia damni o partecipatio fraudis; 3) sul requisito oggettivo dell’eventus damni, vale a dire del compimento, ad opera del debitore, di un atto dispositivo del

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patrimonio che sia tale da rendere più difficile la soddisfazio-ne del credito che si intende tutelare.

Ai fini della nullità la convivenza è eccezione non rileva-bile d’ufficio. Cass. 1 marzo 2017 n. 5250Sulla richiesta di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio per esclusione dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale e della prole, la Corte d’Appello aveva ritenuto ostativa la convivenza protratta per tre anni dopo la celebrazione. Per il ricorrente la prolungata convivenza costi-tuiva oggetto di eccezione in senso stretto che avrebbe dovuto essere sollevata dalla parte convenuta, che era invece rimasta contumace. Per la Cassazione la convivenza triennale come coniugi, quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matri-monio è oggetto di un’eccezione in senso stretto, non rilevabi-le d’ufficio, né opponibile dal coniuge, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabi-lità di natura personalissima.

La donazione revocabile in caso di sopravvenienza di figli non è costituzionalmente illegittima. Cass. 2 marzo 2017 n. 5345Nell’analisi della possibilità di revoca delle donazioni, anche alla luce delle norme sulla filiazione, la Corte Suprema re-spinge i dubbi di costituzionalità, dell’articolo 803 del codice civile per la parte che subordina la possibilità di revoca al solo caso in cui il donante non ha o ignori di avere figli o discen-denti all’epoca della donazione.

L’operatività della riduzione dell’importo dell’assegno del mantenimento non opera mai retroattivamente. Cass. 6 marzo 2017 n. 5509Qualora venga disposta la riduzione dell’assegno di mante-nimento, le somme già erogate e percepite dal destinatario non possono e non debbono essere restituite, stante la natura alimentare aprioristicamente riconosciuta all’assegno de quo. L’assegno di mantenimento infatti ha carattere squisitamente alimentare e va pertanto contemperato con i principi di irri-petibilità, impignorabilità e di incompensabilità delle presta-zioni alimentari stesse.

Il testamento redatto con mano guidata è nullo. Cassazio-ne 6 marzo 2017 n. 5505Il testamento olografo era stato impugnato per mancanza del requisito dell’autografia, in quanto il testatore, che aveva la mano tremante, era stato aiutato da un amico. A nulla rileva, secondo la Corte, l’eventuale corrispondenza del contenuto della scheda alla volontà del testatore. In ragione da un lato del particolare rigore che il legislatore ha previsto per il testa-mento, dall’altro della semplicità di redazione del testamen-to olografo, è richiesta l’autenticità dello scritto. Sosteneva la ricorrente che il terzo aveva solo coadiuvato il testatore nel sorreggergli la mano. In altro precedente del 1992 l’aiuto dato dal terzo aveva riguardato solo l’apposizione della data e aveva portato alla declaratoria di annullabilità del testamento. Per la Corte è più corrispondente alla ratio della norma – l’art. 606 c.c. – la soluzione che perviene alla nullità per difetto di olo-grafia per ogni ipotesi di intervento del terzo che guidi la mano

del testatore, trattandosi di condotta che appare in ogni caso idonea ad alterare la personalità e l’abitualità del gesto scritto-rio, requisiti indispensabili perché possa parlarsi di autografia.

Il diritto di credito da mantenimento è tutelabile con l’azione revocatoria. Cass. 7 marzo 2017 n. 5618L’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, com-prensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrile-vanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità.Ne consegue che anche il credito per assegni periodici di man-tenimento è tutelabile con l’azione revocatoria, essendo suffi-ciente non già la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito.L’atto di compravendita di immobile del coniuge obbligato è soggetto a revocatoria anche in assenza di un inadempimento, fondandosi sui presupposti: 1) dell’esistenza di un credito; 2) della scientia damni o partecipatio fraudis; 3) sul requisito oggettivo dell’eventus damni, vale a dire del compimento, ad opera del debitore, di un atto dispositivo del patrimonio che sia tale da rendere più difficile la soddisfazione del credito che si intende tutelare.

La nuova convivenza fa venire meno per forza il diritto all’assegno divorzile, anche se inizia come semplice “ami-cizia”. Cass. 8 marzo 2017 n. 6009La Suprema Corte non rileva come essenziale ai fini del man-tenimento del diritto all’assegno divorzile la qualificazione della nuova convivenza dell’ex moglie con un altro uomo come mera “amicizia”.Dando valore alla distinzione fra amicizia e relazione senti-mentale viene del tutto meno infatti il fondamentale elemento di disquisizione della vicenda, cioè il fatto che la donna abbia intrapreso con costui una convivenza more uxorio, trasferen-do la residenza presso la sua abitazione. Il fatto che inizial-mente fra la donna e il nuovo compagno ci fosse “un’affettuo-sa amicizia” non esclude che poi la stessa si sia consolidata in una relazione.Affermare il contrario significherebbe giungere all’assurda conseguenza di spostare sull’ex coniuge l’onere della prova dell’intimità dei rapporti fra l’ex moglie e il nuovo partner.La decisione della Corte di Appello di mantenere l’assegno divorzile a favore dell’ex moglie viene pertanto cassata con rinvio alla Corte in diversa composizione.

La perdita dell’occupazione non comporta la reviviscenza del mantenimento. Cassazione, 14 marzo 2017 n. 6509Obblighi di mantenimento del figlio maggiorenne – criteri per la decadenza – rilievo dell’età ma prevalente è la circo-stanza del raggiungimento di una capacità lavorativa a nulla rilevando la successiva perdita dell’occupazione.La figlia nella fattispecie aveva lasciato un’occupazione a tem-po indeterminato a favore di una a tempo determinato, termi-nata la quale riteneva di poter nuovamente azionare un diritto al mantenimento.Non così per la Cassazione, la quale ritiene altresì inammissi-bili gli altri profili di doglianza: vizio processuale per la fissa-zione della medesima udienza per l’inibitoria e la presa in de-cisione-applicabilità del rito camerale ex art. 4, l. 898/1970.Irrilevanti anche i problemi psichici ai fini del mantenimento.

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Per l’assegnazione della casa familiare rileva esclusiva-mente l’interesse del figlio, non del genitore. Cassazione, 14 marzo 2017 n. 6550La Corte ha confermato come, a prescindere dalla costituzio-ne di convivenza more uxorio, la casa familiare non possa es-sere assegnata all’ex moglie, sebbene questa vi risiedesse con il figlio maggiorenne ma non economicamente autosufficien-te. Il giovane viveva però di fatto da solo nell’abitazione, in quanto la madre si era trasferita a casa del nuovo compagno, pur mantenendo la residenza nell’ex casa familiare.La donna proprietaria di un buon patrimonio immobiliare e titolare di azienda s.r.l., era pertanto perfettamente in grado di reperire altra idonea abitazione. L’interesse del figlio di per-manere nell’immobile non era comunque stato mai dimostra-to adeguatamente.Pertanto il ricorso della donna per ottenere l’assegnazione dell’ex casa familiare viene rigettato con condanna della don-na alle spese del giudizio.

I mezzi di sussistenza non vengono meno al figlio mino-re, ove sia comunque versato un assegno mensile di € 3000,00. Cassazione, 15 marzo 2017 n. 12700L’autoriduzione, fatta dal padre, dell’assegno di mantenimen-to stabilito in sede civile, per motivi di indisponibilità perso-nale delle somme, non integra sempre il reato ex art 570 cp.Il reato si perfeziona solo ove si ravvisi, come conseguenza di-retta della riduzione temporanea dell’assegno, l’effettivo venir meno dei mezzi di sussistenza al minore.Il padre, che regolarmente versava al bambino assegno men-sile stabilito in sede civile per € 6000,00.= mensili, aveva solo temporaneamente ridotto l’importo versato a 3000,00.= cercando comunque di integrare ove possibile le somme mancanti.La suprema corte pertanto annulla la condanna e rinvia la causa per un nuovo giudizio.

Il nipote separato non subentra nell’alloggio popolare del-la zia defunta, se la separazione è avvenuta dopo il deces-so dell’intestataria. Cassazione, 16 marzo 2017, n. 6873La Cassazione precisa che “il fatto della separazione legale dei coniugi, non è decisivo perché è sopravvenuto (2 ottobre 2007) al decesso dell’assegnataria (5 giugno 2007), data alla quale devono sussistere i requisiti richiesti dalla legge per il subentro nell’alloggio; il fatto dell’inadeguatezza dell’immo-bile di proprietà del coniuge del richiedente è stato invece espressamente esaminato dal giudice di merito ed è stato escluso con motivazione congrua”.

All’acquirente della casa non è opponibile il contratto di comodato, ma solo l’assegnazione previamente trascritta. Cass. 17 marzo 2017 n. 7007Con l’introduzione dell’art. 155-quater (ora 337-sexies) c.c. da parte della l. n. 54 del 2006 si sono venuti a creare due orientamenti: uno che consente l’opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa solo ove previa-mente trascritto; l’altro che la consente anche se non trascritto ma nei limiti del novennio.Il principio di diritto espresso nella presente ordinanza è che il coniuge che non abbia trascritto il provvedimento di asse-gnazione della casa coniugale è equiparabile al comodatario

nei rapporti con i terzi acquirenti del bene oggetto di como-dato, sicché l’acquirente non può risentire alcun pregiudizio dall’esistenza del rapporto di comodato, atteso il suo diritto di far cessare in qualsiasi momento, “ad libitum”, il godimento del bene da parte del comodatario e di ottenere la piena di-sponibilità della cosa.

Sia rispettata la volontà della minore di non essere rico-nosciuta dal padre. Corte di Cassazione, sentenza del 27 marzo 2017 n. 7762Riconosciuto, finalmente, il diritto di una minore quattor-dicenne ad essere ascoltata e rispettata nella volontà di non voler essere riconosciuta come figlia naturale del padre biolo-gico. Nonostante la giovane avesse espresso volontà contraria al riconoscimento, in questo senso già in sede di audizione in Cda, le sue parole erano state interpretate come contrarie al proprio interesse al riconoscimento ed alla bigenitorialità, dovute ad Rinformazioni errate sulla condotta paterna ed al timore di turbare la situazione familiare. La vicenda, annosa e complessa, già era giunta in Cassazione ove era stato censura-to l’omesso ascolto della allora bambina, con rinvio alla Corte territoriale per tale adempimento.Ma la Corte d’Appello, pur disponendo l’ascolto della ormai quattordicenne, le “imponeva” comunque il riconoscimento paterno, nonostante la sua chiara espressa volontà contraria, sulla scorta del “diritto soggettivo del padre al riconoscimen-to della bambina, nell’interesse preminente della minore”, sia per “le conseguenze derivanti dalla bi genitorialità in senso astratto, sia dai vantaggi affettivi che ella avrebbe ricavato da una famiglia allargata” (il padre aveva costituito una nuova fa-miglia da cui erano nati altri due figli), nonché “per l’assenza di pregiudizi concreti che mettessero in pericolo il benessere psico-fisico della minore dal rapporto con la figura paterna”. La Suprema Corte, nanti cui la madre della ragazza aveva im-pugnato anche questa decisione, censurava però questa di-sposizione della Corte di Appello e cassava la decisione.Inspiegabilmente infatti, seppur la ragazzina fosse stata giudi-cata dalla Corte territoriale “capace di discernimento, matura e consapevole della sua condizione, e in grado di interagire e rispondere alle domande dell’interlocutore”, la sua volontà non era stata rispettata, in palese violazione dell’identità della mino-re del suo benessere effettivo sotto il profilo psichico, culturale e relazionale, in palese violazione dell’art 250 c.c. 3 e 4 comma.

Disconoscimento a seguito di fecondazione eterologa. Cass. 28 marzo 2017 n. 7965La moglie, nel corso del matrimonio, aveva fatto ricorso a fecondazione eterologa all’insaputa del marito ed era nato il figlio. Dopo il divorzio l’uomo aveva tentato di avere un figlio con la nuova compagna, ma aveva scoperto la propria, seppur parziale ma severa impotenza. Promuoveva pertanto azione ai fini del disconoscimento di paternità. I giudici del merito ri-gettavano la domanda sul presupposto che l’azione si basava sulla sua impotenza, peraltro non assoluta, per essere decorso il termine di decadenza annuale previsto dall’art. 244, secondo comma, cc. e per avere l’istante mutato la propria domanda in grado di appello. Ricorreva in Cassazione il presunto padre deducendo di avere fondato la domanda sulla fecondazione eterologa praticata dalla moglie a sua insaputa e di averla pro-mossa entro un anno dalla conoscenza di tale circostanza.

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Per la Corte, proposta azione di disconoscimento per impo-tenza a generare, il ricorrente può far valere anche ragioni diverse, quale la fecondazione eterologa scoperta successiva-mente, essendo l’azione di disconoscimento unicamente volta a fare accertare l’insussistenza del legame biologico con il fi-glio nato nell’ambito del rapporto matrimoniale.

Pubblico e privato nel bilanciamento di valori nelle con-dizioni per l’accertamento di paternità. Cass. 28 marzo 2017 n. 7960Il ricorrente censura l’imprescrittibilità dell’azione di accer-tamento della paternità ex art. 270 c.c. per contrasto con il rispetto dei diritti della personalità del genitore e la certezza dei rapporti familiari.L’uomo sarebbe così esposto anche a distanza di molti anni al rischio di azioni senza limiti temporali.La norma rende poi illimitate anche le richieste economiche conseguenti all’accertamento della paternità.Per la Corte, il valore perseguito dal legislatore della rifor-ma del 1975 è stato di assicurare un’ampia tutela ai figli nati fuori dal matrimonio. In tale prospettiva, la mancata previ-sione di un termine, soprattutto alla luce del superamento della previgente norma che lo prevedeva, non significa che un bilanciamento sia mancato, ma solo che è stato operato, nel caso concreto, rendendo recessiva l’aspettativa del padre rispetto alle esigenze di vita e di riconoscimento dell’identità personale del figlio.Stante il carattere scientifico degli accertamenti in questione, anche il riferimento alle esigenze per il padre di reperire per tempo elementi di prova o di conservare ricordi diventa inu-tiliter dato.L’azione per il recupero del mantenimento pregresso attiene a diritti disponibili e pertanto richiede la domanda di parte, mentre con riferimento al periodo successivo alla domanda di accertamento sussiste il potere del giudice di disporre d’uffi-cio i provvedimenti opportuni per il mantenimento del mino-re ex art. 277 c.c.Fondata la questione del mancato rilievo del matrimonio dell’avente diritto al mantenimento quale fatto estintivo dell’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento.

Suddivisione dei beni della coppia alla cessazione della convivenza di fatto. Cass. 23 febbraio 2017 n. 4685La convivenza more uxorio determina, sulla casa di abitazione ove si svolge il programma di vita comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente, che assume i connotati tipici di una detenzione qualificata. Alla fine della convivenza, pertanto, correttamente si è formato il decisum sul fatto che avrebbero dovuto restituirsi i beni di dimostrata proprietà dell’ex convivente che lasciava l’abitazione, esclusi i beni strettamente connessi alle necessità dei figli della coppia di ex conviventi more uxorio, senza che, in tale pronuncia, si possa ravvisare indeterminatezza o genericità.

non sussiste un obbligo di concertazione preventiva alla spesa straordinaria per il figlio fra gli ex coniugi, ma il dissenso deve essere espresso e motivato. Cass. 23 feb-braio 2017 n. 4753La giurisprudenza più recente non ritiene sussista, a carico del genitore collocatario di figlio minore, un obbligo a con-

cordare con il non collocatario decisioni da assumere per le spese straordinarie, anche mediche, che interessano il figlio. Ciò però non significa che l’altro sia tenuto a sostenere ogni richiesta dell’ex coniuge per le spese straordinarie della prole. Se il genitore non collocatario non ritiene necessaria quella spesa, per motivazioni che appaiono corrette e motivate in giudizio, allora non è tenuto a sostenerle.Nella specie, un padre aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo notificatogli dalla moglie con la richiesta di rim-borso per spese odontoiatriche della figlia. Il tribunale acco-glie le motivazioni dell’uomo, che si era opposto al rimborso perché, con la propria assicurazione, avrebbe potuto garantire quelle stesse cure alla figlia, senza dover sborsare denaro. La motivazione dell’uomo appare corretta e congrua e viene con-fermata anche dalla Suprema Corte.

L’indagine sulle disponibilità non si limita al reddito emergente dalla documentazione fiscale. Cass. 23 febbra-io 2017 n. 4994Ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell’assegno di mantenimento non bastano gli elementi desumibili dalla documentazione fiscale, ma occorre fare riferimento anche agli altri elementi di ordine economico, o comunque apprez-zabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare.In caso di specifica contestazione, si devono effettuare i dovu-ti approfondimenti – anche, se del caso, attraverso indagini di polizia tributaria – rivolti al pieno accertamento delle risorse economiche dell’onerato.

Il minore ha diritto alla verità biologica sulle proprie ori-gini, anche se ciò comporta il cambiamento delle abitudi-ni di vita. Cass. 20 febbraio 2017n. 4020Correttamente è stata pronunciato il disconoscimento della paternità di minore da parte del giudice di prime cure, alla luce della relazione extraconiugale sussistente nel periodo del concepimento, non smentita dalle parti interessate, e delle conclusioni della ctu incaricata, che confermavano la non cor-rispondenza biologica fra il bambino e il marito della madre. La decisione viene confermata dalla Corte di Appello e viene impugnata in Cassazione, ma per la Suprema Corte, nessuna violazione dell’interesse del minore è stata determinata.Il bambino infatti, rappresentato in giudizio da un curatore speciale, ha sicuramente maggiore tutela dall’apprendere la verità biologica sulle proprie origini, anche se questa si di-scosta da quella legale, e comporta per lui il cambiamento del cognome e delle modalità di vita a cui è stato abituato sin dalla nascita, in virtù dell’importanza fondamentale che per l’individuo ha la conoscenza della propria identità biologica e personale, la cui tutela rientra appieno nell’ambito dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e dalla Conven-zione europea per i diritti dell’uomo.

Indagini tributarie necessarie se sono profondamente migliorate le condizioni economiche di uno dei coniugi. Cass. ord. 20 febbraio 2017 n. 4292Ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile, determi-nante è il verificarsi di oggettivo miglioramento delle condi-zioni economiche del coniuge a cui era stato posto a carico.

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I giudici dispongono pertanto l’accertamento tributario nei confronti di un uomo che, dal divorzio, ha visto profonda-mente migliorare la propria posizione economica, in forza di un’eredità cospicua ricevuta dalla morte del padre e dall’ac-quisto di beni di lusso e superflui, come due vetture di lusso e una motocicletta.L’“evidente progressione delle risorse economiche e dei valori patrimoniali” dell’uomo, dimostrata dalla ex moglie, soprattut-to a fronte delle limitate condizioni emarginate dall’ex marito in dichiarazione dei redditi, hanno pertanto fatto si che venisse disposto con ordinanza da parte della Suprema Corte l’obbligo di procedere a indagini tributarie a carico dell’ex marito ai fini della quantificazione di un nuovo assegno di divorzio.

Condivisibile la scelta di mutare l’affido alternato in con-diviso. Cass. 15 febbraio 2017 n. 4060Nel giudizio relativo ad accordi patrimoniali e di gestione di una figlia adolescente di una coppia non sposata, l’attenzione della Suprema Corte viene posta sul regime di suddivisione della spese straordinarie, in cui viene ribadito che non sia ne-cessario l’accordo su ogni decisione che viene assunta da uno dei genitori per le spese straordinarie e che riguardi l’interesse primario del figlio, escludendo che il genitore contrario abbia potere paralizzante di porre veto nelle decisioni dell’altro, e che debba pertanto comunicare in modi e tempi determinati il proprio dissenso.Viene altresì ritenuta corretta la decisione di disporre il mu-tamento delle condizioni di collocamento della figlia adole-scente, ritenendo che l’affido alternato, seppur abbia trovato applicazione nel vigente ordinamento, possa essere adeguato solo in un numero limitato di casi, e valutando come fondate le difficoltà della minore nel vivere la propria vita quotidiana, dovendo continuamente mutare casa da un genitore all’altro.

La regola dell’accordo va tradotta nell’interesse del mino-re. Cass. 14 febbraio 2017 n. 4060Rapporto di convivenza - figlia nata fuori del matrimonio - cessazione della convivenza - scrittura privata di regolamen-tazione dei rapporti in ordine a mantenimento ed educazione e regime alternato. Azione in giudizio per ratifica degli accor-di a fronte di inadempimenti - regime delle spese straordina-rie: rifiuto del rimborso da parte del non collocatario se non concordate. TM Brescia autorizzava a completare il ciclo della scuola media privata avviato dalla madre. Corte d’Appello: il reclamante non ha illustrato le ragioni che inducevano a rite-nere trattarsi di una scelta sbagliata. Ricorso per Cassazione: il principio di bigenitorialità introdotto dalla legge 54/2006 ha come finalità quella di stimolare l’esercizio concordato della genitorialità. Piena affidabilità dell’istruzione pubblica. Scel-ta educativa non condivisa, ma con obbligo di sopportarne gli oneri. Il cambio di regime da alternato a condiviso con collocamento prevalente presso la madre comporta minore frequentazione padre-figlia.Per la Corte non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione di concertazione preventiva con l’altro, in ordine alla determinazione delle spese straordinarie.L’opposizione di un genitore non può paralizzare l’adozione di ogni iniziativa che riguardi un figlio minorenne, specie se di ri-levante interesse, e neppure è necessario ritrovare l’intesa prima che l’iniziativa sia intrapresa, fermo restando che compete al

giudice, ove richiesto, verificare se la scelta adottata corrispon-de effettivamente all’interesse del minore. L’affido alternato, tra-dizionalmente previsto come possibile dal diritto di famiglia italiano, è rimasto soluzione educativa di limitata applicazione, essendo stato ripetutamente affermato che esso assicura buoni risultati quando vi è un preciso accordo tra i genitori e tutti i soggetti coinvolti, incluso il figlio, condividono la soluzione.

La malattia del marito non è causa di annullamento del matrimonio. Cass. 13 febbraio 2017 n. 3742La moglie chiedeva l’annullamento del matrimonio adducendo di essere stata ingannata a celebrarlo, stante la malattia del ma-rito che poteva pregiudicare la procreazione e la normale vita coniugale. Sosteneva quindi che il suo consenso era viziato, che l’errore doveva considerarsi essenziale e idoneo alla impugna-zione del matrimonio ex art. 122 c.c. Non così per i giudici: l’errore essenziale che consente l’impugnativa non è legato alle reazioni soggettive del coniuge che ne era all’oscuro, bensì ad una malattia di gravità tale da vanificare la vita coniugale. Era emerso in sede di consulenza tecnica che la malattia era insorta dopo il matrimonio e risultava curabile. Per l’annullabilità ex art. 122 c.c. la malattia deve risultare preesistente al matrimo-nio, compete poi al giudice l’apprezzamento in ordine alla sua rilevanza. Per la Cassazione la malattia riscontrata non costitu-isce impedimento al normale svolgimento della vita coniugale.

L’inammissibilità di domande soggette a rito ordinario deve essere eccepita non oltre la prima udienza. Cass. 8 febbraio 2017 n. 3316.Nei giudizi di separazione e divorzio soggetti a rito camera-le, le domande accessorie soggette a rito ordinario non sono ammesse, ma la relativa eccezione deve essere sollevata dalle parti o dal giudice entro la prima udienza. Ove il giudice del merito abbia pronunciato sulla domanda di restituzione di somme e la parte contro interessata nulla abbia eccepito in I grado, la censura non può più essere validamente formulata in grado di appello o di cassazione.

non si può riconoscere la sentenza di annullamento eccle-siastico se la coppia ha convissuto oltre tre anni e aveva progetti comuni di vita. Cass. 8 febbraio 2017 n. 3315La Suprema Corte respinge il ricorso avverso la decisione del mancato riconoscimento della sentenza ecclesiastica che annul-lava il matrimonio di due coniugi, ritenendo ininfluente, ai fini del riconoscimento, che la coppia fosse rimasta separata per al-cuni brevi periodi, nei sei anni di matrimonio, e che non vi fosse prova che in tutto quel tempo non vi fossero mai stati progetti di vita comune e condivisione, stante anche la nascita dei figli.Il fatto che la donna avesse la famiglia di origine all’estero e che a volte si fosse assentata lasciando marito e figli in Italia non è quindi, per la suprema corte, elemento necessario e suf-ficiente a determinare il riconoscimento della sentenza di an-nullamento del matrimonio concordatario nello stato italiano.

Deve essere attendibile la ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi. Cass. 8 febbraio 2017 n. 3297La Corte d’Appello nel riformare la decisione di 1^ grado poneva a carico della madre un contributo di euro 150,00 a figlio per i tre figli. Ricorre in cassazione la moglie lamen-

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tando che avendo la Corte lasciato inalterato l’assegno per il suo mantenimento, sul quale viene a gravare il contributo per i figli. Il primo motivo di ricorso viene accolto: il giudice del merito non ha svolto una ricostruzione delle rispettive situa-zioni reddituali e patrimoniali dei due coniugi rapportandole e mettendole a confronto, come previsto da un’interpretazio-ne giurisprudenziale di diritto oggettivo. Per la Cassazione, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, è necessaria e sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali delle parti. La valutazione circa l’attitudine lavorativa del coniuge deve svol-gersi in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, non di mere valutazioni astratte ed ipotetiche.

nel procedimento di sottrazione internazionale di mi-nore, l’ascolto è condizione necessaria. Cass. 8 febbraio 2017 n. 3319Su ricorso del Procuratore Generale, veniva impugnato il decreto di rimpatrio di una minore, che era stata trasferita dall’Irlanda all’Italia al momento della cessazione della re-lazione fra i suoi genitori. Il padre era rimasto in Irlanda e la madre era tornata in Italia ove aveva una consolidata si-tuazione familiare. Il rimpatrio, richiesto dal padre, era stato accordato dal Tribunale e dalla Corte di Appello poiché le corti territoriali non ravvisavano nel caso de quo il rischio paventato dalla Convenzione Aja in materia di sottrazione internazionale di minori, “fondato rischio concreto di essere esposto a pericoli fisici o psichici per il fatto di essere rientra-to o intollerabili condizioni di vita nel paese”. Il padre della minore infatti aveva buone possibilità lavorative e la piccola avrebbe avuto una struttura familiare accogliente. Il motivo di ricorso del p.g. attiene però alla violazione della Convenzione Aja e della l. 64 del 1994, per aver disposto il rientro della mi-nore in Irlanda, in contrasto con il suo interesse e senza aver prima provveduto all’ascolto della stessa, senza motivazione sul punto. Tale motivo di ricorso viene considerato fondato e il decreto di espatrio viene cassato con rinvio della causa al tribunale dei Minorenni.

Il minore viene affidato al padre, se dopo la c.t.u. emerge che la figura paterna è la migliore per la serenità e l’equi-librio del bambino. Cass. 2 febbraio 2017 n. 2770Correttamente la corte territoriale, disponendo l’ascolto del minore, ha agito nel migliore interesse dello stesso. All’esito della c.t.u. è stato altresì, precisato che dall’esame non è emer-so “alcun segno di alienazione parentale dà parte dell’uno o dell’altro genitore” e che “non si riscontrano nel ragazzino le difficoltà scolastiche paventate dalla madre (S, 6 della senten-za di appello). Talché la Corte territoriale ne ha tratto la con-clusione che fosse del tutto condivisibile l’assunto del c.t.u., secondo cui l’attuale collocazione del minore è maggiormente conforme al suo attuale interesse ed alla sua serenità”. La Su-prema Corte ha pertanto confermato questa decisione.

Gli accordi preventivi aventi ad oggetto l’assegno di di-vorzio sono nulli. Cass. 30 gennaio 2017 n. 2224In materia matrimoniale vige il principio di indisponibilità dei diritti. Gli accordi in vista del divorzio sono nulli per il-liceità della causa, avuto riguardo al carattere assistenziale dell’assegno di divorzio.

La Corte d’Appello aveva revocato l’assegno di divorzio sul rilievo che il marito aveva versato alla moglie anni prima una somma ingente che doveva ritenersi satisfattiva sia dell’asse-gno di separazione sia di divorzio.Secondo i Giudici di legittimità la Corte territoriale ha errato nel qualificare la dazione da parte del marito alla moglie di una somma cospicua quale anticipazione dell’assegno di se-parazione e divorzio e quindi come una tantum.Peraltro anche l’una tantum non è devoluta alla libertà assolu-ta delle parti, bensì soggetta ad un giudizio di equità e quindi ad un controllo giudiziale.L’accertamento del diritto del coniuge ad un assegno divorzile va sempre effettuato verificando la sussistenza dei parametri previsti dall’art. 5 l. div.: inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente; tenore di vita tendenzialmente analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. La liquidazione conseguen-te deve esser effettuata tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo persona-le ed economico dato da ciascun coniuge alla famiglia e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, del reddito di entrambi, nonché della durata del matrimonio

La madre minorenne non può essere privata del suo bam-bino, se dimostra volontà di maturare e crescere nell’inte-resse del piccolo. Cass. 25 gennaio 2017 n. 1932La valutazione dello stato di adottabilità di un minore deve prescindere da transitorie e temporanee valutazioni degli aspetti caratteriali della madre ma consistere nella ricerca dei reali elementi che escludono la capacità del genitore di occu-parsi del figlio in modo adulto e consapevole. Viene pertanto accolto il ricorso di un a donna, minorenne al momento del parto, che era stata dichiarata inidonea ad allevare il proprio figlio per comportamenti tenuti in passato, come la fuga dalla struttura di accoglienza in cui era ospite, le frequentazioni sentimentali con soggetti violenti e gli atteggiamenti di sfi-da verso l’autorità, forse anche dovuti alla scarsa maturità dell’epoca.La donna cresciuta e maturata, stava invece dando prova di aver la possibilità di maturare in tempi “compatibili” con la crescita del bambino, pertanto, le motivazioni sulla base delle quali era stata pronunciato lo di stato di abbandono e di adot-tabilità del minore erano venute meno.

un figlio può cercare l’identità della madre, anche in caso di parto anonimo. Cass. 25 gennaio 2017 n. 1946Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha chie-sto alla Suprema Corte di enunciare un principio di diritto in tema di parto anonimo. Stante il solco lasciato dalla Consulta circa quattro anni orsono, rimaneva lacunoso un importante aspetto del diritto dei figli a conoscere le proprie origini. La Corte Costituzionale infatti, aveva sancito, nel silenzio del legi-slatore in materia, che non vi fossero gli estremi per consentire ad un figlio di conoscere le origini da cui proveniva, qualora la madre avesse scelto di non essere nominata al momento del padre, per rispettare il supremo diritto alla privacy della donna.Ciò però lasciava privo di tutela il diritto del figlio a conoscere della propria storia.Con questa pronuncia si è stabilito che il giudice potrà proce-dere ad interpello della donna, quando la richiesta provenga da persona maggiorenne.

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La riduzione delle disposizioni testamentarie è obbliga-zione personale e parziaria. Cass. 25 gennaio 2017 n. 1884.Esiti opposti in I e II grado nella procedura di riduzione delle disposizioni lesive della quota di legittima.Con testamento olografo il de cuius aveva disposto a favore della moglie e dei tre figli maschi in misura prevalente; le fi-glie promuovevano azione di riduzione ritenendo lesive della legittima le disposizioni testamentarie.Al rigetto della domanda da parte del Tribunale seguiva l’ac-coglimento in grado di appello.Uno solo dei cinque motivi di cassazione viene accolto dalla Suprema Corte: la Corte d’Appello aveva condannato i fratelli in via solidale alla reintegrazione della quota di legittima; ma – sostiene il giudice di legittimità – nel caso in cui l’obbligo di restituzione debba essere posto a carico di più persone, la riduzione deve operarsi, nei confronti dei vari beneficiari, in misura proporzionale alla entità delle rispettive attribuzioni.L’obbligo di restituzione non integra un debito ereditario, bensì un debito ricollegato alla qualità di erede e limitato alle utilità ricevute.

L’assegno di mantenimento va tenuto distinto dai mezzi di sussistenza ex art. 570 c.p. Cass. Pen. 25 gennaio 2017 n. 3831La Cassazione precisa come in tema di violazione degli obbli-ghi di assistenza familiare, l’espressione “mezzi di sussistenza” di cui all’articolo 570, comma 2, n. 2, esprima un concetto diverso dall’“assegno di mantenimento” stabilito dal giudice civile, essendo in materia penale.rilevante solo ciò che è necessario per la sopravvivenza del familiare dell’obbligato nel momento storico in cui il fatto avviene.In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’ipotesi aggravata consistente nel far mancare ai familiari i mezzi di sussistenza, non ha carattere meramente sanzionato-rio dell’obbligo civile derivante dalla sentenza di separazione, occorre perciò verificare che la mancata corresponsione delle somme dovute non sia da attribuire ad uno stato di indigenza assoluta da parte dell’obbligato. In tal caso infatti la indispo-nibilità di mezzi, se accertata e verificatasi incolpevolmente, esclude il reato in parola, valendo come esimente, purché si tratti di una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevo-le indisponibilità di introiti.

non si applica la fattispecie penale endofamiliare dell’art 3 l. 54 2006 in caso di figli di coppia non coniugata. Cass. Pen. 19 gennaio 2017 n. 2666Nel caso di specie erroneamente, secondo la Suprema Corte, è stata disposta la condanna per la violazione della legge 3 dell’8 febbraio 2006 n. 54 in materia di violazione di obblighi di mantenimento nei confronti dei figli.La Corte ritiene di applicare letteralmente la norma, in quanto la coppia, da quanto alle risultanze degli atti, non era legata da rapporto di coniugio e non lo era mai stata.Deve escludersi, proprio dal tenore della norma, che le di-sposizioni della legge del 2006 citata si applichino anche a violazioni di obblighi economici derivanti dalla cessazione di rapporti di convivenza e non di coniugio.

nessuna notifica dell’archiviazione del procedimento pe-nale all’ADS costituito in giudizio in nome e per conto dei beneficiari. Cass. 19 gennaio 2017 n. 2661Un amministratore di sostegno aveva presentato ricorso per violazione del contraddittorio penale, in un procedimento nel quale erano state vittime ex art 643 c.p. i suoi beneficiari. Secondo la Cassazione però correttamente non è stata data comunicazione all’Amministratore di Sostegno di due sogget-ti della richiesta di archiviazione del P.M.Seppur costituitosi in giudizio in nome e per conto dei sog-getti beneficiari infatti, per il tramite di diverso difensore comunque, l’Ads non è soggetto legittimato a ricevere tale comunicazione e, pertanto, l’omessa notifica ad esso della ri-chiesta di archiviazione del P.m. non fa venir meno il contrad-ditorio ex art. 127 c.p.p.La cassazione dichiara anche che il beneficiario di amministra-zione di sostegno non possa e non debba nemmeno ritenersi “chiuso” nel suo “status di amministrato” e che possa tranquil-lamente compiere tutte quelle attività che egli sono indicate nel provvedimento di nomina, senza l’aiuto del proprio ads.Il ricorso dell’Ads viene quindi rigettato.

La conoscenza richiesta ai fini del disconoscimento è ac-quisizione certa dell’adulterio. Cass. 18 gennaio 2017 n. 1159Ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità l’art. 244 c.c. richiede al padre di agire entro il termine di un anno dalla conoscenza dell’adulterio della moglie.Per il Tribunale l’azione era inammissibile per decadenza del termine in quanto il presunto padre aveva avuto conoscenza dell’adulterio a seguito di lettere anonime, ricevute tra il 1969 e il 1985, che lo informavano della relazione extraconiugale della moglie.Contrariamente all’assunto del Tribunale, la Corte d’Appello aveva osservato che solo in occasione di una discussione il padre ebbe effettiva conoscenza dell’adulterio della moglie, allorché quando la figlia gli riferì di essere stata concepita da una relazione extraconiugale della madre con un altro uomo, mentre in precedenza egli aveva solo un generico sospetto, ma nessuna certezza dell’adulterio.Pertanto il giudice del gravame aveva ritenuto ammissibile e fondata la domanda di disconoscimento di paternità sulla base delle testimonianze assunte e del rifiuto della figlia di sottoporsi al test genetico.La Cassazione conferma l’assunto del giudice di secondo grado. La scoperta dell’adulterio della moglie all’epoca del concepimento, ai fini del decorso del termine annuale di de-cadenza fissato dall’art. 244 c.c., va intesa come acquisizione certa della conoscenza (non come mero sospetto) di un fatto – non riducibile a mera infatuazione o a mera relazione sen-timentale o frequentazione della moglie con un altro uomo – rappresentato da una vera e propria relazione o da un in-contro di tipo sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere.

Il disinteresse della madre per la prole, corroborato da prove effettive, determina l’affidamento esclusivo al pa-dre. Cass. 17 gennaio 2017 n. 977La madre, cui era stata addebitata la separazione nel giudizio di appello, ricorreva per cassazione ritenendo ingiustificato

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l’affidamento esclusivo dell’unico figlio al padre, solo per la lontananza che la stessa ricorrente aveva interposto fra sé e il figlio, essendosi trasferita all’estero dopo la separazione. La Suprema Corte ritiene tale motivo non fondato. Risulta pro-vato infatti che la donna non solo si era trasferita in Thailan-dia e non dava notizie di sé al figlio se non tramite cellulare o via skype ma che anche all’esito della c.t.u. fatta intervenire nel giudizio di merito, non frequentava il figlio nemmeno nei tre incontri all’anno che erano stati disposti dal consulente, per cercare di far mantenere al bambino quanto più possibile i rapporti con la madre.Veniva dato rilievo pertanto alla “manifestata intenzione della donna di non tornare in Italia nemmeno per i tre incontri mi-nimi previsti dal consulente tecnico: in tale situazione, osser-vava il giudice dell’impugnazione, la madre avrebbe dovuto condividere le decisioni di maggiore importanza attinenti alla sfera patrimoniale di M in assenza di qualsiasi rapporto con lo stesso, fatta eccezione per i contratti giornalieri intrattenuti mediante cellulare o skype”.Il ricorso viene pertanto rigettato e mantenuto il regime di affido esclusivo al padre ex art. 155 bis cc.

Irrilevanza della separazione di fatto della coppia rela-tivamente al mantenimento della cittadinanza italiana. Cass. 17 gennaio 2017 n. 696Valide le motivazioni della Corte di Appello espresse sulla concessione della cittadinanza italiana ad una donna coniu-gata con un cittadino italiano. La domanda di cittadinanza viene presentata nelle more della separazione, quando fra i due era già intervenuta una separazione di fatto. Ricorre per Cassazione il Ministero dell’Interno, sostenendo che interve-nuta la separazione di fatto, la donna non possa essere più cittadina italiana, ma abbia perso il requisito che le consentiva di ottenere lo status.La cassazione però ritiene che le motivazioni della corte terri-toriale siano valide. Il matrimonio non è ancora legalmente in essere e il dato normativo richiede la separazione, l’annulla-mento o il divorzio affinché venga meno lo status di cittadino acquistato con le nozze.Le condizioni ostative alla concessione dello status di citta-dino previste dall’art 5 co. 1 della l 91 del 1992 e successive modifiche sono tipizzate e specifiche e non possono essere travalicate da situazioni elastiche e di mero fatto.

nel giudizio di modifica si valutano solo le circostanze sopravvenute. Cassazione, 13 gennaio 2017 n. 787Al giudice investito della domanda di modifica dell’assegno di divorzio non è consentito procedere ad una autonoma e nuo-va valutazione dell’entità dell’assegno o dei suoi presupposti, dovendo limitarsi a verificare se ed in quale misura le soprav-venute circostanze abbiano alterato l’equilibrio raggiunto nel precedente giudizio e, conseguentemente, adeguare l’obbligo di contribuzione alla nuova situazione patrimoniale, fino alla sua eventuale totale revoca.La valutazione delle circostanze sopravvenute non può essere astratta. Il giudice distrettuale ha discusso del potenziale di red-ditività del patrimonio immobiliare del ricorrente, senza che questo fosse neppure esattamente commisurato e del quale si ignorano le componenti, dall’altro ha postulato che vi fosse una copertura delle voci negative (l’accertata perdita della capacità

lavorativa, la modesta entità della pensione, il mantenimento di un ulteriore figlio e le spese per il proprio badante) sulla base della redditività degli immobili posseduti senza che di questo si sia discusso e se ne siano commisurati i termini.Pertanto il giudice della revisione deve limitarsi a verificare se e in che misura le circostanze sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato, l’equilibrio già raggiunto e ad adegua-re l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimonial-reddituale accertata.

Il contributo al mantenimento del coniuge non è recessi-vo rispetto a quello per il nuovo figlio. Cass. 13 gennaio 2017 n. 789Condizioni di separazione risalenti ad accordo consensuale - ricorso per la modifica ex art. 710 cpc. Sopravvenienza di nuovo figlio: il diritto al mantenimento della moglie non re-trocede in presenza di un nuovo figlio avuto dall’obbligato, tuttavia detta circostanza può essere valutata ai fini di una riduzione. Variazione condizioni economiche risalenti alla separazione e attuali: le condizioni che rilevano in sede di modifica sono quelle presenti al momento della domanda di modifica.Persistente stato di disoccupazione della beneficiaria di as-segno: va valutata non il solo atteggiamento dell’interessato, bensì l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavora-tiva, tenuto conto dei concreti fattori individuali ed ambien-tali.Autonomia delle parti nella regolamentazione delle spese straordinarie: le soluzioni concordate dai coniugi in sede di separazione non possono essere riformate sul rilievo della loro opportunità, ma solo ove sopraggiungano giustificati motivi.

Da dimostrare gli elementi di abbandono e di extrema ratio per disporre l’adozione di minore che ha i genitori naturali. Cass. 13 gennaio 2017 n. 782Nel caso di specie, dalle indagini era emerso che la bambina necessitava di una maggiore stabilità abitativa ed affettiva per la sua serena crescita sicché, dice la Corte, “non essendo pro-nosticabile l’acquisizione della capacità genitoriale da parte del padre e della madre naturale” della bimba in tempi utili alla crescita della minore, e che nemmeno i nonni sembrava-no idonei a crescere la piccola, l’adozione si prospettava come extrema ratio nel migliore interesse della bambina.Pareva, nel caso di specie, non adatto alla situazione nemme-no l’affido etero familiare poiché, non essendo idonei i genito-ri naturali ad occuparsi della bambina, la frequentazione con lei avrebbe suscitato confusione e disagio nella stessa.

Accertamento di paternità: gli accertamenti scientifici possono essere considerati esaustivi. Cass. 13 gennaio 2017 n. 783In tema di azione dichiarativa della paternità naturale, la pro-va ematologica non è subordinata alla previa dimostrazione dell’esistenza di una relazione sentimentale. Procedimento di primo grado instaurato con rito camerale benché nei giudizi per la dichiarazione di paternità di persone maggiorenni si applichi il rito ordinario. Presunta lesione del diritto di difesa. Non sussiste. Assenza di prova del concreto pregiudizio subi-to ai diritti di difesa. Diritto alla prova. Mancata ammissione di prove per interpello e testi sull’esistenza di un rapporto

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sessuale tra il presunto padre e la madre di quest’ultimo. In-sussistenza di una gerarchia assiologica tra i mezzi di prova idonei a dimostrare la paternità naturale. Insussistenza di un ordine cronologico nell’ammissione e assunzione, a seconda del tipo di prova dedotta. Rinuncia alle domande istruttorie per non averle la parte riproposte in sede di precisazione delle conclusioni. La scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, incensurabile in cassazio-ne. Rigetto non motivato dell’istanza di rinnovazione Ctu. Il giudice non ha l’obbligo di motivare il diniego di rinnovazio-ne, viceversa ha l’obbligo di rispondere alle censure tecnico-valutative della perizia.

La prodigalità non comporta di per sé inabilitazione, sal-vo sia determinata da futili motivi. Cass. 13 gennaio 2017 n. 786Il Tribunale di Roma aveva accolto la domanda di tre sorel-le dichiarando l’inabilitazione per prodigalità del loro padre poiché aveva distribuito parte del suo patrimonio tra il figlio ed alcuni amici, non considerando le figlie. Sulla impugna-zione proposta dall’interessato la Corte d’appello ha riformato la pronuncia di primo grado rigettando la domanda di inabi-litazione, revocando la nomina del curatore provvisorio e re-spingendo anche la richiesta di amministrazione di sostegno. Ricorrono per la cassazione le tre figlie. La prodigalità non è causa di inabilitazione, salvo che non risponda a futili motivi.Tale comportamento non può, pertanto, costituire ragione di inabilitazione nel caso in cui risponda a finalità aventi un pro-prio intrinseco valore, come fornire aiuto economico a perso-na estranea al proprio nucleo familiare, ma legata da affetto.Nel caso di specie, la Corte d’appello ha dimostrato che la distribuzione delle proprie ricchezze da parte del padre delle ricorrenti alle persone a lui vicine, ma non alle figlie, non esprimesse una tendenza allo sperpero per incapacità di ap-prezzare il valore del denaro o per frivolezza, vanità od osten-tazione, ma costituisse una risposta positiva e costruttiva al “naufragio della propria famiglia”.Per questi motivi, la Suprema Corte respinge il ricorso.Nel giudizio di inabilitazione sono ampi i poteri ufficiosi eser-citabili dal giudice per assicurare l’effettiva giustificazione di un così rilevante esito limitativo della capacità di agire delle persone.Ciò porta ad escludere che i fatti acquisiti nel corso del giu-dizio di merito debbano essere raccolti, valorizzati e valutati esclusivamente attraverso il filtro delle allegazioni e delle di-fese svolte dalle parti.La presenza di poteri ufficiosi permette al giudice di comple-tare il suo accertamento anche indagando ed accertando fatti che non siano stati allegati o acquisiti nel corso del giudizio di primo grado, imponendolo le regole probatorie specificamen-te dettate per il giudizio volto alla pronuncia limitativa dello status della persona

La decadenza dal disconoscimento di paternità va sempre accertata d’ufficio. Cass. 13 gennaio 2017 n. 785A fronte del rifiuto del minore di sottoporsi al test del dna, il giudice del merito aveva respinto i mezzi istruttori propo-sti dalla madre, diretti a confermare la conoscenza risalente dell’adulterio da parte del marito.

Non avendo ammesso il compendio probatorio offerto dall’appellante, sia il Tribunale sia la Corte d’appello aveva-no ritenuto che l’originario legittimato all’azione, il padre nel frattempo premorto, avesse ignorato la relazione adulterina.Il termine decadenziale di un anno previsto dall’art. 244 c.c. in materia sottratta alla disponibilità delle parti rende ineludi-bile l’accertamento d’ufficio.La reiezione della prova testimoniale è ingiustificata sia per-ché le prove dedotte erano specifiche e circostanziate, sia per-ché era specifico compito del giudice della causa compiere l’indagine e valutare con attenzione ogni risultanza addotta o adducibile al suo vaglio.

L’assegno è ammissibile anche dopo il divorzio ma vanno dedotti i fatti sopravvenuti. Cass. 12 gennaio 2017 n. 683Assegno di divorzio chiesto in sede di modifica delle con-dizioni dopo che il giudizio divorzile si era concluso nella contumacia della moglie senza riconoscimento di sostegno economico.La Cassazione conferma la possibilità di ottenere un assegno di divorzio, sussistendone i presupposti, anche dopo la pro-nuncia sullo status che nulla avesse statuito in termini eco-nomici.Nel caso di specie tuttavia la ricorrente si era limitata a chie-dere la conferma dell’assegno attribuitole in sede di separa-zione, senza aver addotto fatti nuovi, idonei a giustificare la revisione delle condizioni.

La dichiarazione dei redditi non sia l’unico elemento valu-tativo per la quantificazione dell’assegno di mantenimen-to. Cass. 12 gennaio 2017 n. 605Valutando comparativamente le condizioni economiche dei singoli coniugi, la corte ritiene non necessariamente limita-ta alle dichiarazioni dei redditi la condizione economica dei due. Ciò ha un inequivocabile peso nella determinazione dei parametri per quantificare il “quantum” dell’assegno di man-tenimento. Nel caso esaminato pesano per lui un rilevante patrimonio immobiliare, gestito in forma societaria, “tale da rendere inattendibile quanto dichiarato al fisco” e per lei i redditi derivanti da appartamenti affittati e il benessere della famiglia di origine.

Il minore straniero che sbarca in Italia non è in “stato di abbandono” ma necessita di un tutore per l’esercizio dei propri diritti. Cass. 12 gennaio 2017 n. 686La Cassazione, in merito alle condizioni di un minore stranie-ro che sbarchi in Italia e venga accolto dalle strutture deputate a tale scopo, esclude che nella prima fase, si possa parlare di stato di abbandono inteso ex art 9 e 10 della l. 184 del 1983. Solo successivamente si possono verificare le condizioni per procedere all’adozione, una volta evidenziata l’esistenza delle condizioni di legge necessarie.

Assegno divorzile anche al marito, fatta salva la valutazio-ne dell’adeguatezza economica dell’uomo. Cass. 10 gen-naio 2017 n. 275La Cassazione rileva come la Corte territoriale abbia erronea-mente negato la corresponsione dell’assegno divorzile ad un uomo sulla base della limitata durata nel tempo delle nozze di costui con la moglie. Presupposto per il riconoscimento

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dell’assegno di divorzio è che il richiedente non abbia redditi adeguati e non sia in grado di procurarseli per ragioni ogget-tive. Il riconoscimento del diritto all’assegno infatti non è cor-relato alla durata delle nozze, non essendovi dubbio che il cri-terio relativo alla durata del matrimonio attenga al momento successivo della quantificazione. E ciò, sia che l’inadeguatezza dei redditi venga correlata al tenore di vita goduto durante la convivenza o più in generale in costanza di matrimonio (criterio considerato, da larga parte della dottrina e da una parte della giurisprudenza, inadeguato e astratto – in quan-to, in genere, la separazione e il successivo divorzio incidono negativamente sul tenore di vita di entrambi i coniugi – ed eccessivamente sanzionatorio per l obbligato) sia che vengano in considerazioni altri criteri (ad es. un assegno che permetta una autosufficienza economica all’avente diritto, magari con alcune variabili collegate alla sua posizione economico-socia-le, oltre che alle possibilità dell’obbligato.La Corte pertanto accoglie il ricorso dell’uomo, cassa la sen-

tenza impugnata con rinvio della questione alla Corte territo-riale in diversa composizione.

Affido esclusivo al padre non si giustifica con l’elevata conflittualità fra coniugi. necessari elementi ulteriori e contingenti. Cass. 3 gennaio 2017 n. 27La Corte territoriale, preso atto dell’elevato conflitto fra co-niugi, che avrebbe portato, a suo avviso, ad uno stallo in tutte le decisioni più importanti sui figli fra i genitori, aveva dispo-sto l’affido esclusivo al padre dei ragazzi, senza accertare l’ido-neità genitoriale dello stesso e senza valutare specificamente l’inadeguatezza genitoriale della madre.È indicativo di ciò il fatto che “la corte di merito abbia eviden-ziato note caratteriali in entrambi i genitori, sicché la scelta del genitore al quale affidare i figli risulta priva di adeguata motivazione”.La Suprema corte pertanto accoglie il ricorso della donna e rinvia la causa alla corte territoriale in diversa composizione.

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Corte costituzionale, sentenza 14 luglio 2017, n. 193Maso chiuso. Ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine, in ragione della primazia del principio di parità tra uomini e donneCorte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente illegit-tima la norma della Provincia autonoma di Bolzano, ormai abrogata ma vigente ratione temporis, nella parte in cui pre-vede che, tra i chiamati alla successione nello stesso grado del maso chiuso, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine, in ragione della primazia del principio di pa-rità tra uomini e donne, dovendosi l’assetto giuridico dell’isti-tuto conformare a quello sociale e alla sua evoluzione, alla stregua del quale è ormai superata la concezione patriarcale della famiglia come entità bisognosa della formale investitu-ra di un capo del gruppo parentale, senza che peraltro detta previsione sia funzionale alla conservazione dell’istituto nelle sue essenziali finalità e specificità e alla conseguente esigenza obiettiva di mantenere indiviso il fondo.

Corte d’Appello Palermo, Sezione 2 civile Sentenza 18 aprile 2017, n. 738L’annullamento del testamento vuole la prova dell’incapa-cità della testatriceAi fini della sussistenza del dolo in danno del testatore idoneo a provocare l’annullamento del testamento, non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testato-re, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti, idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata.L’annullamento del testamento per incapacità della testatrice richiede la prova che lo stato psicofisico della testatrice, al momento della formazione della scheda testamentaria, fosse tale da eliminare la capacità di autodeterminazione libera e cosciente della stessa de cuius.

Corte d’Appello Palermo, Sezione 2 civile, Sent., 13 giu-gno 2017Il legato di somma di denaro è legato di cosa di genereIl legato di somma di denaro è considerato, ai sensi dell’art. 653 del codice civile, un legato di cosa di genere con la con-seguenza che l’onerato ne risponde con i suoi beni, essendo indifferente a tali fini l’eventuale incapienza del patrimonio ereditato.Un eventuale esonero, dal predetto obbligo, dell’erede può verificarsi in ipotesi, non rintracciabili nella fattispecie in esa-me, ove non opera la confusione tra il patrimonio del testato-re e quello dell’erede o il legato non sia idoneo ad incidere sul patrimonio personale dell’erede.Tali ipotesi, possono sostanzialmente ricondursi a tre: 1) ac-cettazione dell’eredità con beneficio di inventario; 2) legato di somma di denaro da prelevare su un fondo o rapporto finan-

ziario del de cuius; 3) legato di somma di denaro da prelevare dal patrimonio del de cuius, nell’ipotesi, cioè, in cui il testatore lasci una somma di denaro con l’espressa indicazione che la stessa debba essere presa dal suo patrimonio.

Cassazione civile, sentenza 11 settembre 2017, n. 21050Comunione ereditaria: la prelazione agraria non opera tra coerediIn tema di comunione ereditaria ciascuno dei coeredi è libero di trasferire la propria quota di fondo rustico all’uno o all’altro coerede, non essendo applicabili tra i coeredi le limitazioni all’autonomia negoziale che discendono dalla prelazione ri-conosciuta dalla l. n. 590 del 1965, art. 8, u.c., a favore del coerede coltivatore diretto.Più specificamente, gli Ermellini hanno affermato che “qualora sia venduta la quota – o una sua frazione aritmetica – di un fondo tuttora indiviso, facente parte di una comunione eredi-taria, il diritto di prelazione del coerede, di cui all’art. 732 c.c., prevale sul diritto di prelazione del coltivatore diretto, mez-zadro, colono o compartecipante, previsto dall’art. 8 l. n. 590 del 1965, sia che l’asse ereditario sia costituito soltanto da quel fondo sia che l’asse consista di altri cespiti; prevale, invece, il diritto di prelazione previsto dal citato art. 8 qualora oggetto del trasferimento sia un fondo o una quota di esso considerati nella loro determinata individualità, secondo l’incensurabile apprezzamento del giudice di merito, il quale ritenga, cioè, che con l’atto di cessione non si è operata la sostituzione del terzo acquirente al venditore nella quota o frazione di quo-ta ereditaria a questi spettante; nel secondo caso, peraltro, ai sensi dell’ultimo comma del citato art. 8, il coerede coltivatore diretto, ‘a preferenza’ degli altri coeredi non coltivatori diretti, può esercitare il diritto di prelazione ‘a precedenza’ rispetto a quello spettante all’affittuario, mezzadro, colono, comparteci-pante, quale coltivatore insediato nel fondo”.

Cassazione civile, sentenza 15 settembre 2017, n. 21456L’accettazione tacita acquista efficacia ad un anno dal compimento della maggiore età del minore rendendolo erede puro e sempliceÈ noto che le eredità devolute ai minori non si possono accet-tare se non con il beneficio d’inventario; l’accettazione tacita non rientra pertanto nei poteri del rappresentante legale e pertanto non produce alcun effetto nei confronti dell’incapa-ce, che permane nella posizione di chiamato all’eredità fino a quando non venga esercitato il diritto di accettare o rinunzia-re all’eredità entro il termine di prescrizione.Ma nel caso prospettato la Corte ha aggiunto che l’accettazio-ne pura e semplice dell’eredità da parte del legale rappresen-tate, in origine inefficace, rimane ferma e con pieni effetti se l’erede minore non provvede a regolarizzare la sua posizione entro un anno dal raggiungimento della maggiore età giusta applicazione dell’art. 489 c.c.

SucceSSiONiVALERIA CIAnCIOLOAvvocato in Bologna

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La Cassazione ha dunque, statuito che l’eccezione di prescri-zione del diritto ad accettare l’eredità non può operare nel caso concreto, atteso che da un lato l’accettazione tacita, se è vero che non produce nell’immediato alcun effetto nei con-fronti dell’incapace, acquista efficacia ad un anno dal compi-mento della maggiore età del minore rendendolo erede puro e semplice, e che dall’altro l’accettazione si è verificata entro il termine prescrizionale dieci anni.

Cassazione civile, sez. II, sentenza 4 agosto 2017, n. 19646La rinuncia al legato è condizione dell’azione di riduzione del testamentoIl potere attribuito al legittimario, in favore del quale il testa-tore abbia disposto un legato tacitativo di conseguire la parte dei beni ereditari spettantigli ex lege, anziché conservare il legato, postula l’assolvimento di un onere consistente nella rinuncia al legato.La massima è conforme a quanto già espresso dalle Sezioni Unite che ponendo fine ad un contrasto di orientamenti han-no statuito che, in tema di legato in sostituzione di legittima, il legittimario in favore del quale il testatore abbia disposto ai sensi dell’art. 551 c.c. un legato avente ad oggetto un bene immobile, qualora intenda conseguire la legittima, deve ri-nunciare al legato stesso in forma scritta ex art. 1350 c.c., comma 1, n. 5, risolvendosi la rinuncia in un atto dismissivo della proprietà di beni già acquisiti al suo patrimonio; infatti, l’automaticità dell’acquisto non è esclusa dalla facoltà alterna-tiva attribuita al legittimario di rinunciare al legato e chiedere la quota di legittima, tale possibilità dimostrando soltanto che l’acquisto del legato a tacitazione della legittima è sottoposto alla condizione risolutiva costituita dalla rinuncia del benefi-ciario, che, qualora riguardi immobili, è soggetta alla forma scritta, richiesta dalla esigenza fondamentale della certezza dei trasferimenti immobiliari.

Cassazione Civile, Sez. II, Sent., 01.08.2017, n. 19152La stima dei beni nel giudizio di divisioneNel giudizio di divisione di beni immobili, infatti, poiché oc-corre assicurare la formazione di porzioni di valore corrispon-denti alle quote, la stima dei relativi beni dev’essere effettuata in epoca non troppo lontana rispetto a quella della decisione.Nel caso di specie, la documentazione in oggetto era appunto diretta a provare la situazione di – commerciabilità – dell’in-tero fabbricato oggetto di divisione ed il valore attuale delle unità immobiliari: la suddetta produzione documentale, in quanto diretta alla migliore determinazione delle quote dei condividenti, era dunque certamente ammissibile nel giudi-zio di appello.

Cassazione civile, sez. II, 28 luglio 2017, n. 18893La nascita di un altro figlio non comporta la revocazione del testamentoLa natura eccezionale della norma che disciplina la revoca del testamento per sopravvenienza di figli ne impedisce l’applica-zione analogica alla fattispecie in cui il de cuius aveva già figli e dei quali era già nota l’esistenza e ne sopravvenga un altro.La “prevaricazione” della volontà (reale) del testatore, in vista della tutela di interessi familiari può considerarsi giustifica-ta, solo se funzionale alla tutela dei figli ignoti al tempo del testamento o sopravvenuti, come peraltro confortato dalla

previsione di cui al terzo comma della norma in esame, ma non anche laddove il testatore si sia determinato a dettare le proprie volontà in presenza di figli a lui noti, essendo quindi esclusa la parificazione della fattispecie qui esaminata a quella invece puntualmente descritta dal legislatore.

Cassazione Civile, Sez. II sent. 11.4.2017, n. 9309La prova della capacità di testare nel giudizio di annulla-mento di un testamentoAl fine di potersi affermare che una disposizione testamen-taria sia affetta da dolo, il rispetto assoluto della volontà del testatore impone non essere sufficiente dimostrare una qual-siasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, occorrendo la provata presenza di veri propri mezzi fraudolenti i quali – avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata.Ai fini dell’annullamento del testamento, la prova dei mezzi fraudolenti può avere natura presuntiva, tuttavia essa deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostru-ire l’attività captatoria e la conseguente influenza determinan-te sul processo formativo della volontà del testatore.

Tribunale di Frosinone, Sent. 14.07.2017La querela di falso avverso testamento olografoPer ciò che riguarda l’autenticità del testamento olografo, le soluzioni interpretative hanno oscillato tra il disconoscimento della sottoscrizione e il successivo procedimento di verificazio-ne attivato dall’istituito per testamento che ha interesse ad avva-lersene (Cass. 3371/1975; Cass. 3883/1994; Cass. 7475/2005; Cass. 26943/2008; Cass. 28637/2011: le quali valorizzano prioritariamente la natura di scrittura privata del testamento); la proposizione della querela di falso da parte dell’erede legit-timo che intende invalidare il testamento (Cass. 2793/1968; Cass. 766/1966; Cass. 16362/2003; Cass. 8272/2012; Cass. S.U. 15169/2010: pronunce che risaltano la provenienza del testamento da soggetto terzo rispetto alla parte processuale nei cui confronti viene fatto valere, nonché l’incidenza sostan-ziale e processuale particolarmente elevata dell’olografo); e, infine, l’azione di accertamento negativo dell’autenticità della scheda sperimentata dall’erede ab intestato (in termini S.U. 12307/2015 richiamando precedente Cass. 1545/1951 ed evi-denziando la natura di scrittura privata del testamento ologra-fo, che non richiede il complesso iter dell’eccezione di falso, e il più adeguato riparto dell’onere della prova, atteso che nella tesi del disconoscimento è gravoso per chi intende avvalersene nonostante si tratti del designato col testamento).Nella specie, la tutela dalla contraffazione pretesa median-te le forme della querela di falso trova spiegazione proprio nell’orientamento in voga al tempo dell’introduzione del giudizio. Si giustifica, per quanto detto, la reinterpretazione della domanda quale accertamento negativo della autografia del testo e della sua sottoscrizione, in coerenza con l’indirizzo introdotto dalle più recenti Sezioni Unite, meritevoli di con-divisione. Per vero, quanto detto non produce implicazioni di sorta nella causa de qua, anche in ragione della sua conclusio-ne in rito come subito appresso specificato.

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Nel caso in esame il Collegio ha ritenuto l’inammissibilità del-la domanda per difetto d’interesse alla dichiarazione di falsità del testamento, stante l’estinzione del diritto a succedere in capo all’attore.

Tribunale di Verona, ordinanza 15 novembre 2016, n. 243Le polizze sulla vita a favore di “eredi”La terza Sezione civile del Tribunale di Verona si è pronuncia-ta sulla questione relativa all’individuazione dei soggetti be-neficiari di due polizze sulla vita indicanti come beneficiari, in caso di morte, genericamente gli “eredi”.Il Giudice nel rigettare le richieste della ricorrente, moglie del de cuius, ha innanzitutto richiamato l’art. 1920 c.c., che, nel prevedere la possibilità di stipulare una polizza sulla vita a favore di un terzo, precisa che il terzo beneficiario acquista, per effetto della polizza conclusa a suo favore, un diritto dal carattere autonomo, non derivato da quello del contraente. Con la conseguenza che il beneficiario acquista un diritto nei confronti dell’assicuratore e l’assicurazione sulla vita non en-tra nell’asse ereditario.La ricorrente aveva chiesto che fosse accertato il suo diritto alla liquidazione totale dell’intero capitale assicurato, soste-nendo che questo corrisponderebbe alle volontà del defunto.Secondo il Tribunale mancava la dimostrazione di tale volon-tà. Ciò in quanto la modifica di una precedente designazione a beneficiario di una polizza a favore di terzi deve essere ine-quivoca. Può essere contenuta anche nello stesso testamento, ma in questo caso deve essere esplicita: nella fattispecie in esame secondo il giudice non è accaduto niente di tutto ciò.

Il de cuius nel caso in esame, infatti, non solo non revocò espressamente la precedente designazione come beneficiario della polizza di suo nipote, ma non ritenne neppure di attri-buire specificatamente le somme assicurate a soggetti diversi dai beneficiari originari, dovendosi dunque escludere una re-voca implicita dell’originaria designazione.

Tribunale di Trieste, Sent., 6 maggio 2017Testamento: tutela, curatela e amministrazione di sostegnoLe norme richiamate dall’art. 411, comma 2, c.c., le quali sanciscono la nullità delle disposizioni testamentarie a favo-re del tutore, sono applicabili solo “in quanto compatibili” (così testualmente prevede la norma). Ora, poiché le norme richiamate sono dettate in materia di interdizione e, pertanto si riferiscono a una fattispecie legale in cui il tutelato perde del tutto la proprio capacità di agire in ragione di un’infermità di mente abituale, ad essa sostituendosi quella del suo tutore, esse non possono ritenersi compatibili con un’amministrazione di sostegno come quella di cui al caso in esame, che è di tipo assi-stenziale, in quanto il beneficiario conserva – salva la necessità di autorizzazione in alcuni specifici casi – parte della capacità di agire. Si deve in definitiva convenire con quella parte della dottrina che limita l’ambito di applicabilità dell’art. 411, com-ma 2, c.c., nella parte in cui prevede che gli artt. 596 e 599 c.c. si applicano anche all’amministratore di sostegno “in quanto compatibili”, alla sola figura dell’amministrazione sostitutiva, mentre invece il soggetto sottoposto ad una pura amministra-zione di assistenza dovrà essere considerato in grado di dispor-re per testamento a favore dell’amministratore di sostegno.

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Il rifiuto all’autorizzazione ai trattamenti stamina non vio-la la convenzionenivio Durisotto c. itAliA. ricorso n. 62804/13. corte euroPeA Dei Diritti Dell’uomo (seconDA sezione) sentenzA Del 6 mAggio 2014La Corte dichiara non in contrasto con gli artt. 8 e 14 Conv. il rigetto da parte del Tribunale di Udine della richiesta di autorizzazione di un padre volta a sottoporre la figlia, affetta da una malattia cerebrale degenerativa, alla terapia con meto-do cd. Stamina. La CEDU in parte rigetta il ricorso, in parte lo dichiara inammissibile. Il motivo di ricorso relativo alla compatibilità del diniego opposto alla figlia del ricorrente di accedere alla terapia compassionevole in causa con l’articolo 8 della Convenzione deve essere rigettato in quanto manife-stamente infondato, poiché il diniego, seppur potesse essere considerato un’ingerenza nel diritto della ragazza al rispetto della sua vita privata, era fondato sul decreto-legge n. 24 del 25 marzo 2013, e perseguiva lo scopo legittimo di tutela della salute; è stato mantenuto un giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della collettività. In questo conte-sto, la Corte rammenta che in caso di divieto di accesso a cure compassionevoli opposto a persone affette da patologie gra-vi, il margine di discrezionalità degli Stati membri è ampio. Secondo il decreto-legge n. 24/2013, soltanto i trattamenti a base di cellule staminali avviati nonché quelli autorizzati dall’autorità giudiziaria prima della data di entrata in vigore del decreto stesso, ossia il 27 marzo 2013, potevano essere portati a termine. Ed è in base a questa legge che il tribunale di Udine ha rigettato la domanda presentata dal ricorrente volta ad ottenere per sua figlia la possibilità di accedere alla terapia desiderata, rilevando da una parte, che la terapia in causa era in fase di sperimentazione e che, dall’altra parte, la figlia del ricorrente non soddisfaceva le condizioni necessa-rie, in quanto non aveva iniziato il trattamento in questione prima della data di entrata in vigore del suddetto decreto e, a tal fine, non aveva ottenuto un’autorizzazione giudiziaria pri-ma di tale data. Per quanto riguarda il rispetto del principio del divieto di discriminazione garantito dall’articolo 14 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 8 della Convenzione, la Corte rammenta innanzitutto che l’articolo 14 non fa che completare le altre clausole materiali della Con-venzione e dei suoi Protocolli. Esso non ha dunque una esi-stenza propria, in quanto vale unicamente per “il godimento dei diritti e delle libertà” che le suddette clausole garantisco-no. Occorre, ma è sufficiente, che i fatti della causa rientrino “nell’ambito” di almeno uno degli articoli della Convenzione. Viste le considerazioni riguardanti l’applicabilità dell’articolo 8 della Convenzione ai fatti di causa, la Corte ritiene dunque che l’articolo 14 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 8, trovi applicazione nel caso di specie. Ritiene la Corte che molte delle decisioni citate dal ricorrente che avevano autorizzato l’accesso alla terapia “Stamina” riguarda-no situazioni diverse da quella oggetto del caso di specie.

Perché si ponga un problema rispetto all’articolo 14, non è sufficiente che venga rilevato una diversità nel trattamento di persone poste in situazioni simili (D.H. e altri c. Repubblica ceca [GC], n. 57325/00, § 175, CEDU 2007-IV), ma è neces-sario che la distinzione in causa sia discriminatoria. Secondo la giurisprudenza, una distinzione è discriminatoria rispetto all’articolo 14 se non ha una giustificazione obiettiva e ragio-nevole, ossia se non persegue uno scopo legittimo o se non vi è un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito Nel caso di specie, la Corte esclude che il rifiuto di autorizzare l’accesso della figlia del ricorrente alla terapia “Stamina” sia stato discriminatorio. Ad oggi il valore scientifico del metodo in questione non è prova-to. Così, il fatto che alcuni tribunali interni abbiano autorizza-to l’accesso a questa terapia ad altre persone che si trovano in uno stato di salute presumibilmente simile a quello della figlia del ricorrente non è da solo sufficiente per individuare una violazione dell’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 8 della Convenzione. Con riferimento alla contestazione del sistema legislativo italiano laddove se-condo l’articolo 669 terdecies, comma V, del codice di proce-dura civile, avverso la decisione resa nell’ambito di un’azione cautelare è consentito presentare soltanto un semplice recla-mo dinanzi ad un organo collegiale, la CEDU ritiene il ricorso irricevibile poiché la Convenzione non garantisce in quanto tale un diritto a un doppio grado di giudizio in materia civile.

Permesso di soggiorno per motivi familiari alla coppia di fatto omosessualetADDeucci e mccAll c. itAliA, ricorso n. 51362/09, corte eu-roPeA Dei Diritti umAni (PrimA sezione), sentenzA Del 30 giugno 2016 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)Sussiste violazione dell’art. 14 in combinato disposto con l’art. 8 della Convenzione allorché sia negato il permesso di soggiorno per motivi familiari alla coppia di fatto omosessua-le, in ragione del fatto che la situazione di tale coppia non possa essere paragonata in alcun modo alla coppia eteroses-suale sposata, anche in considerazione della circostanza che alle coppie dello stesso sesso non è consentito il matrimonio (e, all’epoca dei fatti, nemmeno l’unione civile). In questo senso, l’interpretazione restrittiva della nozione di “familiare” ha costituito, per le coppie omosessuali, un ostacolo insor-montabile per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi di famiglia e, inoltre, non ha consentito di pren-dere nella dovuta considerazione l’incapacità di ottenere, in quel momento, una forma di riconoscimento giuridico del loro rapporto in Italia. Per la Corte EDU è priva di rilevanza la motivazione della Corte di Cassazione con cui si era evi-denziato che l’esclusione di partner non sposati dal diritto di ottenere il permesso di soggiorno riguardava, in realtà, tutte le coppie non coniugate, indipendentemente dall’orientamento sessuale, dal momento che prevalenti sono state le seguenti

giuriSPruDeNzA ceDuVALERIA MAzzOTTAAvvocato in Bologna; Rappresentante della sezione di Bologna, membro del Consiglio della Scuola

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circostanze: inesistenza, all’epoca dei fatti, di alcuna normati-va che prevedesse una qualche forma di riconoscimento giu-ridico alle coppie omosessuali; e interpretazione restrittiva, comunque, data alla nozione di “familiare”, che ha costituito un ostacolo insormontabile per la concessione del permesso di soggiorno.

Diritti del genitore non collocatario a tenere e vedere il proprio figliomAlec c. PoloniA, ricorso n. 28623/12, corte euroPeA Dei Di-ritti umAni (QuArtA sezione), sentenzA Del 28 giugno 2016 (Di-venterà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)La crisi della coppia e l’esigenza di tutela del minore, anche allorché vi sia elevata conflittualità tra i genitori, non esenta, di per sé, le Autorità nazionali dagli obblighi positivi d’inter-vento che discendono dall’articolo 8 CEDU, ma impone loro l’adozione di misure che consentano di conciliare i contrap-posti interessi delle parti, tenuto conto che prevale sempre il superiore interesse del bambino. L’adeguatezza della misura, quindi, va giudicata in base alla rapidità della sua attuazio-ne, in quanto il decorrere del tempo può avere conseguen-ze irrimediabili per la relazione tra il bambino ed il genitore non collocatario. Nel caso di specie, tutte le iniziative paterne volte a ottenere il diritto di vedere e tenere con sé il proprio bambino sono state trattate o con eccessiva lentezza o con superficialità, senza che le Autorità nazionali abbiano forni-to spiegazione alcuna a tali inadeguatezze procedurali, con conseguente ulteriore deterioramento del legame con la con la prole.

cincimino c. itAliA, ricorso n. 68884/13, corte euroPeA Dei Diritti umAni (i sezione), sentenzA Del 28 APrile 2016 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)Operano, in violazione dell’art. 8 della Convenzione, le Au-torità nazionali che negano il diritto di visita alla madre, alla quale era stata tolta la potestà genitoriale sulla figlia minore a causa di una temporanea incapacità di gestione della pro-pria persona, nonostante, all’esito positivo di un percorso di riabilitazione, un perito ne avesse dichiarato la guarigione. In particolare, tutte le iniziative poste in essere dalla madre ad esercitare il proprio diritto a vedere e tenere con sé la figlia sono state rigettate senza la sussistenza di una reale urgenza, impedendo così il rispetto della vita privata e familiare. In questo senso, la Corte ha rilevato la violazione tenuto conto che la mancata valutazione dello stato di salute della ricor-rente ad opera di un esperto indipendente non sia idonea a soddisfare le esigenze procedurali, di cui all’art. 8 della Con-venzione, per legittimare un’ingerenza di tale portata nella vita familiare della ricorrente.

giorgioni c. itAliA, ricorso n. 43299/12, corte euroPeA Dei Di-ritti umAni (i sezione), sentenzA Del 28 APrile 2016 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)È fondata la violazione dell’art. 8 della Convenzione qualora le Autorità nazionali, in caso di mancata cooperazione del-la madre rispetto al provvedimento del giudice statuente gli incontri tra padre e figlio, non si attivino efficacemente per adottare idonee misure preparatorie per realizzare il diritto di visita e per rimuovere concretamente gli ostacoli frappo-sti all’esercizio del predetto diritto. Nel caso di specie, nono-

stante numerose pronunce di merito a favore del ricorrente, a causa dell’inerzia delle autorità e dell’ostruzionismo materno, dal 2006 al novembre 2010 il padre non era stato in grado di vedere e tenere con sé il minore. In questo senso, possono essere considerate conformi ai dettami della Convenzione so-lamente le misure immediate le quali evitino che il trascorrere del tempo pregiudichi irrimediabilmente i rapporti tra geni-tore e figlio. Al contrario, la Corte non ha riscontrato alcuna violazione dell’art. 8 per il periodo tra dicembre 2010 al 2016, stante la diversa condotta posta in essere dal ricorrente che, nonostante l’intervento attivo dei servizi sociali per garantire le visite parentali, ha annullato diversi incontri con il minore.

moog c. germAniA, ricorsi n. 23280/08 e 2334/10, corte eu-roPeA Dei Diritti umAni (QuintA sezione), sentenzA Del 6 ottoBre 2016 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)Operano in violazione dell’articolo 8 della Convenzione le Autorità nazionali che, pur in presenza di due provvedimenti provvisori che regolamentino il diritto del genitore non col-locatario di vedere e tenere con sé il figlio, ne sospendano il diritto e non si adoperino affinché tale diritto sia, comunque, garantito ed attuato, sino a rendere sostanzialmente inesisten-ti i rapporti genitore-figlio per oltre quattro anni. A parere della Corte, tale comportamento è privo di giustificazione, in assenza di prova che il minore avesse bisogno di tempo per sottoporsi a sedute terapeutiche. Difatti, nei casi di restrizioni del diritto di visita, alle giurisdizioni nazionali va riconosciuto uno stretto margine di apprezzamento né i tribunali naziona-li hanno dimostrato che tale sospensione fosse giustificata ai sensi del paragrafo 2 dell’art. 8 CEDU, trattandosi di “inge-renza” prevista dalla legge che persegue uno scopo legittimo in una società democratica.Con riferimento al procedimento relativo al diritto di visita, la Corte ha rilevato che il Tribunale della famiglia si è reso re-sponsabile del notevole ritardo nel procedimento. Richiaman-do la precedente giurisprudenza (Prodelalová c. Repubblica Ceca), la Corte afferma che le autorità nazionali sono tenute ad esercitare una diligenza eccezionale nella conduzione del procedimento, poiché, trattandosi di sospensione del diritto di visita, esso ha avuto un impatto devastante sulla vita fami-liare del ricorrente. Pertanto, le autorità non hanno rispettato gli obblighi positivi derivanti dall’art. 8 CEDU.Infine, la revoca dell’ordinanza di condanna ad una pena pe-cuniaria inflitta alla madre che ostacoli il diritto di visita del bambino con l’altro genitore, giustificata da una certificazione medica che supporti l’asserito stress post traumatico da parte della donna, con conseguenti ricadute sul benessere psicofi-sico del bambino, non determina una violazione dell’articolo 8 CEDU, in presenza di documentati e diligenti sforzi posti in essere dalle Autorità nazionali per eseguire l’ordinanza de qua, poi revocata.

YusuPovA c. russiA, ricorso n. 66157/14, corte euroPeA Dei Diritti umAni (terzA sezione), sentenzA Del 20 DicemBre 2016 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)Sussiste violazione dell’articolo 8 della Convenzione allorché le Autorità nazionali non eseguano una decisione relativa alla collocazione prevalente e residenza anagrafica del minore, e non documentino di aver compiuto ragionevoli sforzi in tal senso, dal momento che il trascorrere del tempo (nel caso di

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specie, circa quattro anni, periodo che abbraccia un periodo importante della vita del minore), senza che sia stato dimo-strato di aver attivato tutti gli strumenti per rendere efficace il provvedimento, è causa di conseguenze negative sullo svi-luppo psicofisico del bambino. Pur in presenza di un atteg-giamento apertamente ostile del genitore che rifiuta di ricon-segnare il bambino, arrivando anche a nascondere lo stesso, le Autorità nazionali devono, in ogni caso, dimostrare di avere compiuto ogni sforzo per l’esecuzione della decisione.

KAcPer noWAKoWsKi v. PolAnD, ricorso n. 32407/13, corte eu-roPeA Dei Diritti umAni, (QuArtA sezione) sentenzA Del 10 gen-nAio 2017 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)La Corte europea ha statuito che nel caso in esame vi è stata una violazione dell’art. 8 CEDU, poiché le autorità nazionali, nonostante il margine di apprezzamento, non hanno assunto tutte le misure necessarie al fine di facilitare il diritto di visita del ricorrente con il figlio, entrambi disabili. In particolare il mantenimento delle stesse modalità ristrette di visita, secon-do la Corte, avrebbe comportato, con il passare del tempo, il rischio di rottura delle relazioni. La mancanza di coopera-zione tra genitori separati non è una circostanza che può di per sé esonerare le autorità dai loro obblighi positivi ai sensi dell’art. 8 CEDU. I giudici nazionali avrebbero dovuto pre-vedere misure supplementari più adatte alle circostanze del caso di specie così come disposto dalla seconda frase dell’art. 23, par. 2, Convenzione sui diritti delle persone con disabi-lità: “Gli Stati Parti devono fornire un aiuto appropriato alle persone con disabilità nell’esercizio delle loro responsabilità di genitori”. La Corte osserva che per garantire l’attuazione dei diritti protetti, ai sensi dell’art. 8, come il diritto di visita, può essere utilizzato lo strumento della mediazione familiare. Infine, i tribunali nazionali hanno valutato la disabilità del richiedente e del figlio quale ostacolo obiettivo per l’esercizio del diritto di visita e non come misura discriminatoria nei confronti del ricorrente.

onoDi c. ungheriA, ricorso n. 38647/09, corte euroPeA Dei Diritti umAni (QuArtA sezione), sentenzA Del 30 mAggio 2017 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)In materia di tutela del diritto di visita del minore, allorché sussista un comportamento ostruzionistico da parte del-la madre, sono inadeguate le eventuali sanzioni pecuniarie previste dagli ordinamenti interni per punire la mancanza di collaborazione. Nel caso di specie le autorità nazionali, pur riscontrando che gli incontri con la figlia minore non poteva-no essere realizzati, hanno di fatto limitato il diritto di vista del padre, assecondando il comportamento non cooperativo e la violazione delle precedenti intese tra i genitori in sede di divorzio. Pertanto le decisioni nazionali hanno violato l’art. 8 CEDU essendosi occupate esclusivamente delle modalità pratiche dell’esercizio del diritto di visita (non avvenuto per anni) e non del sostegno che le parti avrebbero dovuto rice-vere gradualmente.

D’Alconzo c. itAliA, ricorso n 64297/12, corte euroPeA Dei Diritti umAni (PrimA sezione), sentenzA Del 23 FeBBrAio 2017 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)Lo Stato incorre in una violazione dell’articolo 8 della Con-venzione europea dei diritti dell’uomo se non assicura in tem-

pi veloci un rapporto concreto tra genitori e figli, nonostante gli ostacoli frapposti da uno dei genitori. Gli obblighi positivi che incombono su uno Stato non si limitano ad assicurare che il minore incontri il genitore, ma comprendono tutte le misu-re preparatorie per garantire la tutela della relazione familia-re. Di conseguenza, per la tutela dell’interesse del minore, gli incontri con il genitore devono riprendere appena le misure che ne impediscano il realizzarsi non siano più necessarie. I ritardi irragionevoli che nel caso di specie si sono verificati nel procedimento penale nei confronti del padre hanno inciso in modo determinante sul diritto alla vita familiare della per-sona, concretando una violazione dell’articolo 8 CEDU (con riferimento alle misure adottate dalle autorità dopo l’assolu-zione del padre, la Corte ha statuito che lo Stato convenuto ha facoltà di scegliere i mezzi adeguati per assicurare il rispetto degli obblighi per la tutela del rapporto parentale, ai sensi dell’articolo 8 CEDU).

enDrizzi c. itAliA, ricorso n. 71660/14, corte euroPeA Dei Dirit-ti umAni (PrimA sezione), sentenzA Del 23 mArzo 2017 (Divente-rà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)La mancanza di collaborazione tra genitori separati non può esimere le autorità italiane dall’attuare tutte le misure che con-sentano l’esercizio del diritto di visita e il mantenimento del legame familiare. La tutela del diritto della persona al rispetto della propria vita familiare impone che, laddove necessario, i servizi sociali realizzino un progetto di sostegno per aiutare gli ex coniugi a migliorare le rispettive capacità genitoriali. Nella specie, la Corte ha ritenuto l’applicazione di misure au-tomatiche e stereotipate non sufficiente al rispetto del diritto di visita del ricorrente, in violazione dell’art. 8 CEDU.

imProtA c. itAliA, ricorso n. 66369, corte euroPeA Dei Diritti umAni (PrimA sezione), sentenzA 4 mAggio 2017 (Diventerà DeFi-nitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)Le frequentazioni tra un genitore ed il figlio sono un elemento fondamentale della vita familiare e le misure interne che le impediscono costituiscono violazione dell’art. 8 della Con-venzione, che tutela l’individuo contro le ingerenze della pub-blica autorità ma richiede altresì alle stesse autorità il ricorso ad azioni positive per il rispetto effettivo della vita familiare.La Corte EDU ribadisce come non sia possibile prevedere un elenco specifico delle attività positive e negative che l’autorità deve porre in essere, ma caso per caso va stabilito quale sia il miglior contemperamento tra le esigenze della società ed il diritto alle relazioni familiari dell’individuo.La Corte concorda sul fatto che la pubblica autorità non abbia l’obbligo assoluto ad agevolare e favorire le relazioni familiari; ma è altrettanto vero che le misure poste in essere dall’autorità devono essere adeguate, non certo automatiche e stereotipate, anche in relazione alla rapidità con cui esse attuate, poiché il tempo che scorre può avere conseguenze negative sulle rela-zioni tra il minore ed il genitore non convivente.Nel caso di specie, la Corte ha stabilito che, a fronte delle iniziative giudiziarie del padre perché fosse assicurato il di-ritto alla propria relazione con la figlia, la pubblica autorità nazionale ha posto in essere azioni inadeguate dal punto di vista della durata, atteso che la madre fin dall’inizio ha oppo-sto gravi ostacoli alla frequentazione padre-figlia, addirittura giungendo ad impedire al padre l’accesso alla casa, ad im-

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porre la propria presenza agli incontri padre-figlia. La stessa durata di oltre un anno della CTU in primo grado è stata tale da compromettere le relazioni tra figlia e genitore non con-vivente.L’autorità nazionale avrebbe dovuto sanzionare con efficacia la condotta della madre, giudicata unica responsabile del ri-fiuto ad incontri liberi tra padre e figlia. Gli incontri protetti, peraltro ritenuti non necessari in quanto la minore non cor-reva alcun pericolo, sono stati disposti solo un anno dopo il ricorso paterno.La condotta materna, ostacolante avrebbe imposto da parte della pubblica autorità la predisposizione di azioni specifiche volte a riparare al danno che il trascorrere del tempo ha cau-sato, per fatto imputabile alla sola madre.La Corte ritiene che l’Italia non abbia adottato tutte le misure necessarie che si potevano razionalmente prevedere ed esigere allo scopo di mantenere un legame familiare tra il ricorrente e la figlia nell’interesse di entrambi; ne deriva la violazione l’art. 8 della Convenzione, con conseguente condanna dell’Italia.

Sottrazione internazionale di minori: ingiusto processo minorileg.n. c. PoloniA, ricorso n. 2171/14, corte euroPeA Dei Diritti umAni (QuArtA sezione), sentenzA Del 19 luglio 2016 (Divente-rà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.).Premesso che l’obiettivo e l’oggetto della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 è quello di proteggere i bambini dal tra-sferimento illecito dallo Stato ove essi risiedano abitualmente, sussiste violazione dell’articolo 8 della Convenzione allorché le Autorità nazionali, nei loro criteri decisionali, trascurino il supremo interesse del minore. Tale inadempimento si transita anche da un procedimento apertamente ingiustamente, che abbia avuto una durata pari ad un anno, cinque mesi e due settimane, senza che nessuna giustificazione sia stata offerta per motivare una durata così eccessiva del procedimento.

Ricorso alla maternità surrogataPArADiso cAmPAnelli c. itAliA ricorso n. 25358/2012, corte euroPeA Dei Diritti umAni, grAnD chAmBre, sentenzA Del 24 gen-nAio 2017La Grand Chambre ribalta la sentenza del 27 gennaio 2015 con cui la seconda sezione della Corte EDU aveva dichiarato che opera in violazione dell’art. 8 CEDU lo Stato che decida di allontanare dai “pretendenti” genitori il minore nato all’estero ricorrendo alla maternità surrogata.La Grand Chambre in via definitiva afferma che non v’è stata alcuna violazione dell’art. 8 da parte dell’Italia allorché non è stato riconosciuto il legame di filiazione nei confronti di un bambino nato da maternità surrogata praticata all’estero e nei confronti del quale i richiedenti non avevano alcun legame biologico. È proprio il rapporto tra i ricorrenti e il minore che, secondo la Corte, non rientra nella nozione di vita famiglia-re ai sensi dell’art. 8 CEDU. I signori Paradiso e Campanelli avevano stretto un legame affettivo concreto con il bambino solo nei primi tempi della sua vita, e la cessazione del lega-me, pur non essendo direttamente imputabile ai ricorrenti, è comunque conseguenza dell’incertezza giuridica che essi stessi hanno creato, tenendo un comportamento contrario alla legge italiana. La Corte riconosce che i fatti in causa ri-entrano nella nozione di vita privata, poiché i ricorrenti sono

stati destinatari delle decisioni giudiziarie che hanno portato all’allontanamento del minore e al suo collocamento in vista dell’adozione, avendo le autorità nazionali chiesto la sospen-sione della responsabilità genitoriale e l’apertura del proce-dimento di adozione. Tale interferenza non è in violazione dell’art. 8, se conforme alla legge, se ha perseguito uno o più obiettivi legittimi e se necessaria in una società democrati-ca per il raggiungimento di tali obiettivi. A tale riguardo, la Grande Camera ha affermato che nella misura in cui il com-portamento dei ricorrenti ha violato la legge sull’adozione e il divieto previsto nell’ordinamento italiano circa la riproduzio-ne eterologa, i provvedimenti adottati nei confronti del mino-re hanno perseguito l’obiettivo di “prevenire l’illegalità” e di proteggere “diritti e libertà” altrui.Rientra nella competenza esclusiva dello Stato riconoscere una relazione genitoriale solo allorché sia legittima ovvero solo nel caso di parità biologica o di adozione legittima. La nozione di necessità comporta che l’interferenza statale in questi casi sia espressione di un bisogno sociale imperativo, proporzionale allo scopo legittimo perseguito.Le autorità nazionali hanno agito considerando l’illegittimità del comportamento dei ricorrenti e l’urgenza di assumere mi-sure nei confronti del minore: misure adeguate poiché finaliz-zate agli scopi legittimi di prevenire l’illegalità e di proteggere i minori. L’allontanamento del minore, per quanto d’impatto e il correlato interesse dei ricorrenti ad avere una relazione con il bambino, soccombono a fronte dei prevalenti interessi pub-blici in gioco. Se le autorità italiane avessero permesso che il minore rimanesse con i ricorrenti, avrebbero legalizzato una situazione creata in violazione di fondamentali regole della legge italiana.Secondo la Grande Camera è quindi legittimo l’operato dei giudici italiani che, nell’ambito dell’ampio margine di apprez-zamento a loro disposizione e valutando che il minore non avrebbe sofferto gravi o irreparabili danni a seguito dell’allon-tanamento, hanno garantito un giusto equilibrio tra i diversi interessi in conflitto. Non sussiste quindi alcuna violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

Foulon e Bouvet c. FrAnciA, ricorsi n. 9063/14 e 10410/14, cor-te euroPeA Dei Diritti umAni (QuintA sezione), sentenzA Del 21 lu-glio 2016 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.).Richiamando le motivazioni assunte nei casi Mennesson e Labasse, la Corte ha confermato che negare la trascrizione dell’atto di nascita del minore nato mediante ricorso alla ma-ternità surrogata all’estero costituisce una violazione del dirit-to del bambino alla propria identità e, come tale, determina una violazione dell’articolo 8 CEDU, inteso come diritto al riconoscimento della vita privata.

Sulla cooperazione tra gli stati in ordine alle decisioni adottate nei procedimenti relativi all’affidamento di figli minorie.s. c. romAniA e BulgAriA, ricorso n. 60281/11, corte euro-PeA Dei Diritti umAni (QuArtA sezione), sentenzA Del 19 luglio 2016 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)Sussiste violazione dell’articolo 8 della Convenzione allorché le Autorità nazionali, nei procedimenti relativi all’affidamento di figli minori non adottino misure adeguate e tempestive in ordine al collocamento. Viceversa, non operano in violazio-

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ne della predetta norma quando, attivandosi proficuamente con le Autorità del Paese ove il minore è stato trasferito, è il genitore che lamenta la sottrazione del bambino a non atti-vare tempestivamente le procedure necessarie a garantirne il ritorno, a mente dei moniti propri della Convenzione dell’Aja ed anche garantite dal diritto interno. Le Autorità del Paese ospitante operano in violazione dell’articolo 8 CEDU laddove non si pronuncino tempestivamente in merito alla richiesta di esecuzione della decisione adottata in altro Paese, in base all’articolo 21 del regolamento Bruxelles II bis.

Limitazione al riconoscimento della filiazione naturaleAlle FAll gueYe c. itAliA, ricorso n. 76823/12, corte euroPeA Dei Diritti umAni (PrimA sezione), sentenzA Del 31 mAggio 2016 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)Richiamando l’estensione concettuale di “vita familiare” an-che ai legami di fatto, la Corte EDU ritiene che non sussi-sta violazione degli artt. 8 e 14 della Convenzione qualora le Autorità nazionali rigettino la richiesta di riconoscimen-to del figlio da parte del padre ove l’interesse del minore sia meritevole di essere limitato per gravi ed irreversibili motivi che ne possono compromettere lo sviluppo. In particolare, il ricorrente lamentava l’impedimento forzoso di riconoscere il figlio sul presupposto discriminatorio di essere un cittadino straniero irregolare in Italia. Nel caso di specie, sul ricorrente era stata disposta una perizia da cui risultava che l’interesse al riconoscimento del figlio era funzionale all’ottenimento del permesso di soggiorno e da cui veniva delineata una persona-lità disturbata, dedita all’uso di stupefacenti e violenta.

Limitazione alla sperimentazione su embrioniPArrillo c. itAliA, ricorso n. 46470/11, corte euroPeA Dei Di-ritti umAni (ii sezione), sentenzA Del 27 Agosto 2015È infondata la presunta violazione dell’art. 8 della Conven-zione da parte delle Autorità nazionali che, in ossequio alla legislazione interna, negano alla ricorrente, rimasta vedova e in virtù della sua rinuncia all’impianto, la donazione a fini di ricerca di cinque embrioni. In questo senso, il diritto di autodeterminazione della ricorrente, rappresentato dalla sua unilaterale volontà e senza previa concertazione del compa-gno deceduto, viene subordinato alla discrezionalità rimessa in capo al Governo.

Libertà di stampaFurst-PFeiFer c. AustriA, ricorsi n. 33677/10 e 52340/10, cor-te euroPeA Dei Diritti umAni (QuArtA sezione), sentenzA Del 17 mAggio 2016 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)È infondata la presunta violazione dell’art. 8 della Convenzio-ne la condotta del giornalista che, senza l’utilizzo di espressio-ni sconvenienti ed offensive, faccia riferimento alle condizioni psicologiche di un perito psichiatra, incaricato dai Tribuna-li per perizie su minori e che, in passato, aveva sofferto di problemi psicologici. In questo senso, se il riferimento è ad una perizia datata, ottenuta secondo gli strumenti conformi alla legge e la natura dell’articolo riguarda l’idoneità dei periti a svolgere comunque incarichi pubblici, la libertà di stam-pa non interferisce con il rispetto del diritto alla vita privata dell’interessato.

DivorzioBABiArz v. PolAnD, ricorso n. 1955/2010, corte euroPeA Dei Diritti umAni (QuArtA sezione), sentenzA Del 10 gennAio 2017 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)Non viola l’art. 8 e l’art. 12 della Convenzione la legge nazio-nale che consente di non concedere il divorzio nel caso in cui uno dei coniugi vi si opponga. La CEDU tutela solo il diritto a sposarsi all’articolo 12 e il diritto al rispetto della vita privata e familiare all’articolo 8. Quindi se è intervenuto un divorzio, lo Stato deve garantire il diritto a risposarsi, ma resta agli Stati un margine di apprezzamento ampio relativamente alla rego-lamentazione del divorzio.In particolare, secondo la Corte, ai sensi dell’art. 8, i confini tra gli obblighi positivi e negativi dello Stato non si prestano ad una definizione precisa. Occorre comunque tener conto del giusto equilibrio che deve essere raggiunto tra gli interessi in gioco e, ad ogni modo, allo Stato compete un certo mar-gine di apprezzamento nel determinare le misure da adotta-re per garantire il rispetto della Convenzione. In particolare, sebbene l’art. 8 tuteli le famiglie e le relazioni di fatto, tale protezione non comporta necessariamente il riconoscimento giuridico di tali situazioni. L’art. 12 CEDU protegge il dirit-to fondamentale di un uomo e una donna di sposarsi e di fondare una famiglia. Tuttavia, gli artt. 8 e 12 non possono essere interpretati nel senso che essi conferiscono ai singoli un diritto di divorziare, anche se la Corte non esclude che la durata irragionevole del procedimento di divorzio possa porsi in contrasto con l’art. 12.

Ascolto del minoreiglesiAs cAsArruBios e cAntAlAPieDrA iglesiAs c. sPAgnA, ricorso n. 23298/12, corte euroPeA Dei Diritti umAni (terzA sezione), sentenzA Del 11 ottoBre 2016 (Diventerà DeFinitivA Alle conDi-zioni eX Art. 44, ii c.)Sussiste violazione dell’articolo 6 della CEDU allorché, nei procedimenti vertenti in materia di famiglia, in cui si discute dell’affidamento dei figli minori, benché non esista un diritto assoluto dei minori ad essere ascoltati, dovendo procedersi anche ad una valutazione della maturità degli stessi (in base all’età), laddove il Giudice decida di non procedere all’ascol-to degli stessi, che sia stato richiesto da uno dei genitori, ha l’obbligo di giustificare tale rifiuto se l’ascolto del minore è previsto dalla normativa nazionale. La mancata giustificazio-ne del diniego, infatti, integra una violazione dell’articolo 6 della Convenzione.

MigrantiustinovA c. russiA, ricorso n. 7994/14, corte euroPeA Dei Di-ritti umAni (terzA sezione), sentenzA Del 8 novemBre 2016 (Di-venterà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)Determina una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, l’adozione di provvedimenti di espulsione inaudita altera par-te, che non giustifichino le ragioni di urgenza e non specifi-chino l’incidenza di quelle correlate alla salute pubblica, in presenza di un matrimonio contratto, nel frattempo, dall’in-teressato con un cittadino del Paese ospitante, di successiva nascita di un figlio che abbia acquisito – per nascita, appunto – la cittadinanza del Paese ospitante, di una figlia da prece-dente relazione e ivi iscritta a scuola, ed, in ogni caso, in as-senza di condanne penali.

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sAlem c. DAnimArcA, ricorso n. 77036/11, corte euroPeA Dei Diritti umAni (seconDA sezione), sentenzA Del 1 DicemBre 2016 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.)È conforme all’articolo 8 della Convenzione l’espulsione dello straniero pur in presenza di una unione matrimoniale e di figli minori (nella specie, otto) nati dalla stessa, se il destinata-rio della misura dell’espulsione abbia commesso plurimi reati (per spaccio di sostanze stupefacenti). Secondo la Corte EDU i gravi problemi di disagio sociale e di sofferenza psicologica dei figli minori erano essi stessi indice dell’assenza di positivo ruolo educativo della figura genitoriale e, quindi, la misura dell’espulsione ha equamente bilanciato gli interessi in gioco (tutela della relazione familiare e prevenzione del reato), tanto più che i contatti tra genitore e figli sarebbero potuti avvenire anche per via telefonica o tramite internet.

Maltrattamenti contro i familiaritAlPis c. itAliA, ricorso n. 41237/14, corte euroPeA Dei Diritti umAni (PrimA sezione), sentenzA Del 2 mArzo 2017 (Diventerà DeFinitivA Alle conDizioni eX Art. 44, ii c.).La Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia a risarcire una donna vittima di ripetute violenze da parte del marito, culminate nell’uccisione del figlio diciannovenne ac-corso in suo aiuto durante l’ennesima aggressione. L’Italia non avrebbe agito con la necessaria tempestività e non ha garanti-to alla donna sufficiente protezione

In particolare sono stati violati gli artt. 2 e 3 CEDU. Gli obbli-ghi positivi indicati dall’art. 2 impongono allo Stato di adot-tare le misure necessarie per proteggere la vita delle persone sottoposte alla sua giurisdizione. L’obbligo di tutelare l’integri-tà fisica dell’individuo non può essere limitato ai casi di abuso da parte di funzionari statali, ma va esteso ai casi in cui la vita di un individuo è minacciata dagli atti criminali di un privato. La Corte ritiene o che, non agendo tempestivamente, le auto-rità italiane hanno privato di efficacia la denuncia presentata dalla donna, originando un contesto di impunità favorevo-le alla reiterazione di atti di violenza. Le autorità non hanno dunque rispettato l’obbligo positivo di proteggere la vita del-la ricorrente e del figlio violando l’art. 2 della Convenzione. Inoltre, la violenza inflitta ha provocato pressione psicologica e lesioni personali sufficientemente gravi da essere qualificati come maltrattamenti ai sensi dell’art. 3 CEDU: il trattamento dei casi di violenza domestica richiede una diligenza speciale e pertanto la norma è stata violata.La ricorrente è stata vittima, in quanto donna, di una discrimin+azione contraria all’art. 14 della Convenzione. Pertanto, nelle circostanze del caso di specie, la Corte euro-pea ha riscontrato una violazione dell’art. 14 in combinato disposto con gli artt. 2 e 3 CEDU. Dopo aver accertato una violazione degli artt. 2, 3 e 14 CEDU, la Corte ha ritenuto che non fosse necessario esaminare gli stessi fatti alla luce degli artt. 8 e 13.

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LA giuriSPruDeNzA ANNOtAtA

cassazione civile, 21 novembre 2016, n. 23633, Di Palma Pres., magda Rel.

I provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale sui figli minori, sempre che siano definitivi, sia pure rebus sic stan-tibus, in quanto il giudice di merito se ne è definitivamente spoglia-to, incidendo su diritti personalissimi di rango costituzionale, sono ricorribili per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.

Svolgimento del processoLa Corte d’appello di Reggio Calabria ha dichiarato inammis-sibile il reclamo proposto da G.C. e M.G. contro il decreto con il quale, nell’ambito del procedimento ex art. 330, 336 c.c. promosso nei loro confronti, il Tribunale dei minorenni della città aveva confermato l’affidamento etero familiare dei lori figli minori, collocati presso diverse famiglie e/o strutture, aveva disposto altre misure volte a fornire sostegno psicolo-gico ai fratelli ed a favorirne gli incontri anche con i genitori, ed aveva espressamente affermato che restavano ferme le de-terminazioni già assunte in precedenza, in tal modo implicita-mente respingendo la richiesta degli istanti di riattribuzione, quantomeno al G., della responsabilità (all’epoca potestà) ge-nitoriale, da cui erano stati dichiarati decaduti.La corte del merito ha rilevato che i provvedimenti tempora-nei ed urgenti resi, ai sensi degli art. 330, 336 c.c., in tema di affidamento di figli minori possono formare oggetto di impu-gnazione mediante reclamo esclusivamente nei limiti in cui siano idonei a produrre uno stabile pregiudizio nei confronti del genitore interessato e non anche nel caso, asseritamen-te ricorrente nella specie, in cui hanno natura meramente temporanea e sono destinati ad essere assorbiti nel decreto conclusivo del procedimento, esso sì incondizionatamente reclamabile ai sensi dell’art. 739 c.p.c.Il provvedimento è stato impugnato da G.C. e M.G. con ricor-so per cassazione affidato a tre motivi.Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione1) Con tutti e tre i motivi i ricorrenti deducono, sotto i distinti profili di cui all’art. 360 c.p.c. comma 1, nn. 3), 4) e 5, che la pronuncia impugnata, assunta in rito, si fonda sull’errato pre-supposto della provvisorietà del provvedimento reclamato, che avrebbe, in contrario, natura decisoria e definitiva, non solo per-ché emesso dal tribunale in composizione collegiale (e non, come sostenuto dalla corte d’appello, dal giudice delegato all’istrutto-ria), ma anche perché costituente l’atto conclusivo di un procedi-mento autonomo, idoneo a produrre i suoi effetti per un tempo indeterminato e ad arrecare uno stabile pregiudizio ai genitori.2) Le censure muovono da due esatti rilievi: la corte d’appello ha infatti erroneamente affermato che il reclamo era stato pro-posto contro un decreto del giudice minorile delegato al pro-cedimento, anziché (come risulta dagli atti) contro un decreto emesso dal tribunale dei minori in composizione collegiale; ed, altrettanto erroneamente, ha ritenuto che il provvedimen-to reclamato avesse ad oggetto misure meramente esecutive, senza avvedersi che il primo giudice, limitandosi a conferma-re “ogni precedente determinazione” assunta, aveva omesso di motivare sulle ragioni del rigetto della richiesta di riattri-buzione al G. della responsabilità genitoriale.3) Non pare dubbio che, così decidendo, la corte del me-

rito abbia illegittimamente negato ingresso alla domanda degli odierni ricorrenti, rinviando la possibilità di revisione del provvedimento decadenziale all’emissione di un, non me-glio indicato, “provvedimento conclusivo” del procedimento instaurato dinanzi al giudice di prima istanza, in tal modo avallando una prassi diffusa (e non corretta) dei Tribunali per i minorenni di trattare i procedimenti ex artt. 330 e 333 c.c. senza soluzione di continuità e, di fatto, indefinitamente, sino al raggiungimento della maggiore età dei figli pregiudicati dalla condotta dei genitori.4) Questa Corte ha tuttavia costantemente affermato che i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità geni-toriale non sono impugnabili con ricorso straordinario per cassazione, in quanto privi dei caratteri della decisorietà e della definitività in senso sostanziale (fra le tante, Cass. nn. 15341/012, 14091/09, 11582/02, S.U. n. 729/99).Si tratterebbe, infatti, di provvedimenti emessi nell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione, di natura non contenziosa, preordinato all’esigenza prioritaria della tutela dell’interesse dei figli, e suscettibili di modificazione o di re-voca in qualsiasi momento.5) Le stesse conclusioni dovrebbero essere assunte anche con riferimento al decreto in questa sede impugnato che, ancor-ché palesemente errato, risulterebbe pur sempre adottato all’interno del procedimento promosso ai sensi dell’art. 336 c.c., e non sarebbe preclusivo della facoltà dei ricorrenti di presentare una nuova istanza per la modifica o la revoca del provvedimento che li ha dichiarati decaduti dall’esercizio del-la potestà genitoriale: la pronuncia di inammissibilità emessa dalla corte reggina ha infatti leso una posizione di esclusivo rilievo processuale, con la conseguenza che andrebbe appli-cato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia sull’osservanza delle norme che regolano il processo, discipli-nando i presupposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere portata all’esame del giudice, ha necessariamente la stessa natura dell’atto cui il processo è preordinato e, per-tanto, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri quell’atto sia privo (Cass. nn. 14100/013, 17917/012, 15341/012, 8225/012).6) Questa Corte, nell’escludere la definitività e la decisorietà dei provvedimenti di cui agli artt. 330 e 336 c.c., non ha man-cato di rimarcarne le differenze rispetto a quelli (pacificamente ricorribili in cassazione) concernenti l’affidamento dei figli mi-nori e le relative statuizioni economiche. È stato, in particolare, osservato (Cass. nn. 15341/012, 6863/015) che mentre questi ultimi regolano “l’esercizio” della responsabilità genitoriale, i primi attengono alla compressione della “titolarità” di detta re-sponsabilità – che è rimessa al controllo esterno del giudice – e vengono assunti nell’interesse del solo minore, a prescindere dalle richieste dei genitori: fatto, questo, che impedirebbe agli stessi di acquisire valenza di giudicato “rebus sic stantibus”.7) Ad avviso del collegio, secondo quanto già rilevato (an-corché parzialmente in obiter) in una recente sentenza della prima sez. civile (Cass. n. 1746/016) ed in una altrettanto recente ordinanza della sesta sez. civile (Cass. n. 1743/016), siffatto orientamento merita di essere superato, anche alla luce delle sopravvenute novità legislative.8) È vero, infatti, che i procedimenti c.d. de potestate non hanno natura prettamente contenziosa. Deve escludersi, tuttavia, che in essi sia preminente, o addirittura esclusiva,

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un’attività di controllo del giudice sull’esercizio della respon-sabilità genitoriale, che escluda la presenza di parti processua-li fra di loro in conflitto: l’art. 336 c.c. (più volte novellato) stabilisce infatti quali sono i soggetti legittimati a promuovere il ricorso, prevede che genitori e minori siano assistiti da un difensore, sancisce l’obbligo di audizione del genitore contro il quale il procedimento è promosso. Non si dubita, poi, che il provvedimento adottato dal giudice sia immediatamente re-clamabile, oltre che revocabile ad istanza del genitore interes-sato. Infine, ed è argomento che appare dirimente, il decreto che dispone la limitazione o la decadenza della responsabilità genitoriale incide su diritti di natura personalissima, di pri-mario rango costituzionale (Cass. n. 12650/015).9) Sotto altro profilo, la tesi che esclude l’attitudine dei prov-vedimenti in esame ad assumere valenza di giudicato rebus sic stantibus in base al duplice rilievo della loro attinenza non già all’esercizio della responsabilità genitoriale, ma alla compres-sione della titolarità di tale responsabilità, e della loro assunzio-ne nell’esclusivo interesse del minore, si presta a facili critiche.Il primo argomento non tiene conto che nel più sta il meno, sicché l’esercizio della responsabilità ben può essere regolato attraverso la sua (parziale o totale) compressione; il secondo tralascia di considerare che anche nell’ambito di un giudizio di separazione, di divorzio o promosso ai sensi dell’art. 316 c.c., i provvedimenti concernenti l’affidamento dei figli mino-ri sono assunti nell’esclusivo interesse morale e materiale del-la prole ed, essendo volti a soddisfare esigenze pubblicistiche, sono sottratti alla disponibilità delle parti ed al rispetto del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato.10) Va da ultimo rilevato che la l. n. 219 del 2012, ha mo-dificato l’art. 38 disp. att. c.c., attribuendo alla competenza del giudice ordinario i procedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale se sia già pendente fra le stesse parti (id est: fra i genitori) un procedimento di separazione per-sonale o di divorzio od un giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c.Risulterebbe, allora, palesemente contraddittorio continua-

re ad operare una distinzione fra i provvedimenti assunti in sentenza dal giudice ordinario ai sensi dell’art. 337 bis c.c. e segg., e quelli assunti dal medesimo giudice, con la medesima sentenza, ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., attribuendo solo ai primi, e non anche ai secondi, attitudine al giudicato rebus sic stantibus: invero, al di là delle indubbie problematiche di natura processuale che si verrebbero a creare per effetto di tale distinzione, non appare contestabile che né gli uni né gli altri potrebbero essere modificati (o revocati) se non in dipenden-za di un provato mutamento della situazione di fatto.11) Ad identiche conclusioni deve giungersi con riguardo ai provvedimenti ablatori o limitativi della responsabilità genitoriale emessi dal tribunale dei minori, non potendo la disparità di trattamento fra situazioni identiche trovare giu-stificazione nella speciale competenza attribuita a tale organo giurisdizionale.Deve pertanto ritenersi che, una volta che – come accaduto nel caso di specie – il predetto tribunale abbia dichiarato i ge-nitori decaduti dalla responsabilità (riservandosi unicamente di monitorare la situazione dei minori e di stabilire eventual-mente nuove condizioni per l’affido e/o il collocamento), il provvedimento assuma attitudine al giudicato rebus sic stan-tibus, non sia revocabile o modificabile, salva la sopravve-nienza di fatti nuovi, e sia pertanto – dopo che la corte d’ap-pello lo abbia confermato, revocato o modificato in sede di reclamo – anche impugnabile con ricorso per cassazione.Il decreto impugnato deve in conseguenza essere cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria sez. minori, in diversa composizione, per l’esame della domanda dei M. di revoca del provvedimento ablativo assunto dal Tribunale dei minori.

P.Q.M.La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rin-via alla Corte d’appello di Reggio Calabria, sez. minori, in diversa composizione.

iL ricOrSO StrAOrDiNAriO Per cASSAziONe Dei PrOvveDimeNti AbLAtivi O LimitAtivi DeLLA reSPONSAbiLità geNitOriALeFRAnCESCA FERRAnDIDottoranda di ricerca all’Università di Roma “Tor Vergata”

Sommario: 1. Il caso di specie. - 2. I Requisiti della decisorietà e della definitività nella evoluzione giurisprudenziale. - 3. Le ragioni poste a sostegno del nuovo orientamento della Suprema Corte. - 4. Conclusioni.

1. il caso di specie

Con la sentenza n. 23633/2016 la Suprema Corte affronta nuovamente il tema del ricorso straordinario per Cassazio-ne del decreto pronunciato dalla Corte d’appello sul reclamo avverso un provvedimento de potestate, emesso all’esito di un procedimento camerale svoltosi secondo quanto disposto dall’art. 336 c.c.

Nel caso de quo la Corte d’appello di Reggio Calabria aveva dichiarato inammissibile il reclamo proposto da due genitori contro il decreto con il quale, nell’ambito del procedimento ex artt. 330 e 336 c.c. promosso nei loro confronti, il Tribuna-le dei minorenni aveva, da un lato, confermato l’affidamento etero familiare dei lori figli minori, e dall’altro, disposto altre misure volte a fornire sostegno psicologico ai fratelli ed a fa-

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vorirne gli incontri anche con i genitori, fermo restando le determinazioni già assunte in precedenza, in tal modo impli-citamente respingendo la richiesta degli istanti di riattribuzio-ne della responsabilità (all’epoca potestà) genitoriale da cui erano stati dichiarati decaduti.

I giudici di seconde cure, in particolare, avevano rilevato come i provvedimenti temporanei ed urgenti resi, ai sensi de-gli artt. 330 e 333 c.c. in tema di affidamento di figli minori, possano formare oggetto di impugnazione mediante reclamo esclusivamente nei limiti in cui siano idonei a produrre uno stabile pregiudizio nei confronti del genitore interessato, ma non anche laddove presentino natura meramente temporanea e siano destinati ad essere assorbiti nel decreto conclusivo del procedimento reclamabile reso ai sensi dell’art. 739 c.p.c.

Il provvedimento è stato impugnato con ricorso per Cassa-zione affidato a tre motivi con i quali i ricorrenti lamentavano l’erroneità della pronuncia impugnata stante il presupposto della provvisorietà del provvedimento reclamato, che avreb-be, in contrario, natura decisoria e definitiva, non solo perché emesso dal Tribunale in composizione collegiale, ma anche perché costituente l’atto conclusivo di un procedimento au-tonomo, idoneo a produrre i suoi effetti per un tempo inde-terminato, e ad arrecare uno stabile pregiudizio ai genitori.

Le censure, secondo la S.C., muovono da due esatti rilie-vi: la Corte d’appello ha, infatti, erroneamente affermato che il reclamo era stato proposto contro un decreto del giudice minorile delegato al procedimento, anziché (come risultava dagli atti) contro un decreto emesso dal Tribunale dei minori in composizione collegiale; ed, altrettanto erroneamente, ha ritenuto che il provvedimento reclamato avesse ad oggetto misure meramente esecutive, senza avvedersi che, in realtà, il primo giudice limitandosi a confermare “ogni precedente de-terminazione” assunta, aveva omesso di motivare sulle ragioni del rigetto della richiesta di riattribuzione della responsabilità genitoriale.

La Cassazione, quindi, raccogliendo un’indicazione, già for-mulata da due decisioni1 nelle quali, ancorché incidentalmen-te, si era sottolineata l’esigenza di rivedere il risalente orienta-mento in materia, cambia opinione in merito alla natura dei provvedimenti che definiscono i giudizi sulla responsabilità genitoriale previsti dagli artt. 330 ss. c.c., affermando la loro ricorribilità ai sensi dell’art. 111, VII comma, Cost.

2. i requisiti della decisorietà e della definitività nella evoluzione giurisprudenziale

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione, affer-mando la ricorribilità ex art. 111, comma VII, Cost., si pone nettamente in aperto contrasto con la nota posizione giuri-sprudenziale secondo la quale i provvedimenti resi a conclu-sione dei giudizi de potestate non presentano il presupposto né della decisorietà, né della definitività, requisiti questi da sempre ritenuti necessari per promuovere il ricorso de quo.

La giurisprudenza, infatti, ogniqualvolta investita della que-stione relativa all’ammissibilità del ricorso straordinario av-verso i provvedimenti de potestate, ha ribadito i concetti a sua volta espressi attraverso la pronuncia delle Sezioni Unite del

1 Sul punto cfr. Cass., 29 gennaio 2016, nn. 1743 e 1746, in Fam. e dir., 2016, 1135 ss., con nota di RAVOT, Responsabilità genitoriale e provvedimenti de potestate.

15 luglio 2003, n. 110262, ossia che i provvedimenti, emessi in sede di volontaria giurisdizione, limitativi della potestà dei genitori naturali o che pronuncino la decadenza o la limita-zione della potestà, ai sensi degli artt. 330 ss. c.c., in quanto privi dei caratteri della decisorietà e della definitività in senso sostanziale, non sono impugnabili con il ricorso ex art. 111, VII comma, Cost.

Tradizionalmente, il problema dell’ammissibilità del ricorso straordinario riguardante i provvedimenti non aventi la forma di sentenza fu risolto da una pronuncia delle Sezioni Unite degli anni Cinquanta, secondo cui il rimedio in esame deve es-sere esteso ad “ogni provvedimento che sia idoneo ad incidere in via definitiva sulle situazioni giuridiche private alla stessa stregua di un provvedimento dato in forma di sentenza a nor-ma dell’art. 279 c.p.c.”3, purché avente, da un lato, il requisito della decisorietà, caratteristica di ogni provvedimento emes-so all’esito di un procedimento vertente su diritti soggettivi o status, idoneo ad attribuire ad uno dei contendenti un “bene della vita”, e dall’altro, la definitività, ossia l’idoneità del prov-vedimento a raggiungere l’attitudine di cosa giudicata in senso sostanziale, e come tale non ulteriormente impugnabile4.

Si è aperta così la strada per l’ammissibilità del ricorso straor-dinario anche dei provvedimenti aventi la forma di ordinanza e di decreto, purché emessi per la tutela di un diritto soggettivo o di uno status (requisito della decisorietà), all’esito di un model-lo procedimentale concludentesi con un provvedimento non altrimenti impugnabile (requisito della definitività).

Per quanto attiene allo specifico settore del diritto proces-suale familiare, particolarmente delicata si presenta la que-stione relativa alla individuazione dei provvedimenti che possono essere qualificati come decisori e definitivi, specie in presenza del minore ed il suo superiore interesse, una posi-zione in conflitto con quella del genitore, titolare della potestà genitoriale e quindi del fascio diritti-doveri previsti dall’art. 30 Cost.5, norma questa che espressamente si riferisce non solo al dovere, ma anche al diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i propri figli, e che consentirebbe di attri-buire consistenza di diritto soggettivo alla situazione giuridica del genitore esercente la potestà.

La giurisprudenza antecedente alla sentenza in commento, stante la marcata instabilità degli effetti dei provvedimenti camerali (sancita da quanto dispone l’art. 742 c.p.c. per cui i decreti camerali possono essere in ogni tempo modificati o revocati), riteneva non ammissibile il ricorso straordina-rio per Cassazione, in quanto nei procedimenti de potestate non viene risolto un conflitto fra parti processuali in lite per l’attribuzione di un “bene della vita”, ma viene attuato sola-mente un controllo esterno sulla potestà genitoriale affidato

2 In senso conforme cfr. Cass., 14 maggio 2010, n. 11756.3 Cass., sez. un., 30 luglio 1953, n. 2593, in Foro it., 1953, I, 1248.4 Per un approfondimento della compresenza di tali requisiti con specifico

riferimento ai giudizi de potestate, cfr. Cass., sez. un., 23 ottobre 1986, n. 6220, in Giust. civ., 1987, I, 903; Cass., sez. un., 10 giugno 1988, n. 3931, in Giur. it., 1989, I, 1, 1224; Cass., sez. un., 25 gennaio 2002, n. 911, in Fam. e dir., 2002, 4, 367 ss., con nota di PorcAri, Provvedimenti de potestate e inammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost.: le Sezioni Unite confermano il proprio tradizionale orientamento.

5 Ci si chiede se sia possibile ravvisare in queste posizioni giuridiche altret-tanti diritti soggettivi, ferma restando la difficoltà di individuare con chiarezza, da un punto di vista di teoria generale, i criteri che consentano di distinguere il diritto soggettivo da altre situazioni soggettive: sul punto cfr. grAsso, I proce-dimenti camerali e l’oggetto della tutela, in I procedimenti in camera di consiglio e la tutela dei diritti: Atti del XVII Convegno nazionale, Milano, 1991.

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al giudice ed orientato all’esclusivo e preminente interesse del minore, ragion per cui la revocabilità dei provvedimenti in questione al mutare delle condizioni legittimanti vale a non conferire agli stessi il carattere della definitività6; i procedi-menti de potestate, sarebbero quindi connotati da un caren-za di contrapposizione tra diritti soggettivi, ossia quello dei genitori e quello del minore, dal momento che in essi non si decide una controversia tra parti contrapposte, ma viene esclusivamente attuata una funzione gestoria nel preminente interesse del minore7.

Non solo, ma nella stessa giurisprudenza di legittimità si rinvengono pronunce nelle quali la Corte, pur ammettendo velatamente che i provvedimenti limitativi o ablativi della po-testà genitoriale sono in astratto idonei ad incidere su posizio-ni di diritto soggettivo, sottolinea comunque l’inidoneità di tale “incisione”, a causa delle forme camerali del procedimen-to, ad assumere la stabilità dell’accertamento di quegli stessi diritti che si realizza, invece, all’esito di un procedimento giu-risdizionale contenzioso8.

Quanto, invece, al requisito della definitività quest’ultimo è stato generalmente escluso dalla giurisprudenza di legittimità in ragione del fatto che il decreto pronunciato in sede di recla-mo, in quanto provvedimento riguardante il controllo esterno esercitato dal giudice sulla potestà e suscettibile di revisione col mutare delle condizioni legittimanti, difetta del requisito della stabilità caratteristico, invece, di ogni provvedimento giurisdizionale idoneo al giudicato9.

Peraltro, la Suprema Corte nell’escludere la definitività e la decisorietà dei provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., non ha mancato di rimarcarne le differenze rispetto a quelli (pacificamente ricorribili nelle forme di cui all’art. 111, VII comma, Cost.) concernenti l’affidamento dei figli minori e le relative statuizioni economiche, sottolineando che mentre questi ultimi regolano “l’esercizio” della responsabilità geni-toriale, i primi attengono alla compressione della “titolari-tà” di detta responsabilità, rimessa al controllo esterno del giudice, vendendo assunti nell’interesse del solo minore, a prescindere dalle richieste dei genitori, fatto, questo, che im-pedirebbe agli stessi di acquisire valenza di giudicato rebus sic stantibus10.

3. Le ragioni poste a sostegno del nuovo orienta-mento della Suprema corte

Venendo alle motivazioni che hanno portato ad affermare la ricorribilità in via straordinaria dei provvedimenti de potesta-te, la Corte di Cassazione ha fin da subito rilevato come il consolidato orientamento sopra ricordato meritasse “di essere superato, anche alla luce delle sopravvenute novità legislative”,

6 Cfr. ressAni, Ricorso straordinario per cassazione e provvedimento di decadenza dalla potestà genitoriale ex art. 330 c.c., in Fam. e dir., 2013, 6, 586.

7 Cfr. Cass., sez. un., 23 ottobre 1986, n. 6220, cit.; in senso conf., Cass., sez. un., 10 giugno 1988, n. 3931, cit.; Cass. sez. un., 25 gennaio 2002, n. 911, cit.; Cass., 31 maggio 2012, n. 8778, in Fam. e dir., 2012, 11, 1056; Cass., 4 aprile 2011 n. 7609.

8 Cfr. Cass., 17 ottobre 1980, n. 5594, in Foro it., 1981, I, 69; Cass., 27 marzo 1985, n. 2151, in Giur. it., I, 1, 265; Cass., 7 novembre 1985, 5408, in Giur. it., 1986, I, 1, 1025; Cass.,7 giugno 2002, n. 8279; Cass., 12 luglio 2002, n. 10128, in Fam. e dir., 2003, 2, 153.

9 Cfr. Cass., 13 settembre 2012, n. 15341, in Fam. e dir., 2013, 6, 586.10 Cfr. Cass., 13 settembre 2012, n. 15341, cit., e Cass., 3 aprile 2015, n.

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nonché in considerazione del fatto che i procedimenti in que-stione prevedono la presenza di parti processuali quali i ge-nitori ed il minore.

Infatti, sebbene l’attività giurisdizionale svolta nei giudizi che ci occupano non abbia natura propriamente contenzio-sa, non può nemmeno essere ridotta ad un’attività di mero controllo della responsabilità genitoriale nell’interesse premi-nente del minore, posto che, ai sensi dell’art. 336 c.c., il pro-cedimento si svolge in presenza di parti processuali tra loro in conflitto, dovendo i genitori quanto il minore essere ascoltati, nonché assistiti da un difensore.

Non solo, ma l’aspetto che appare dirimente rispetto alla questione de qua è che tali procedimenti vanno a incidere su diritti di natura personalissima di primario rango costituzio-nale, tanto da poter essere assimilabili, almeno per quanto attiene ad un profilo pubblicistico, a quelli disposti dal Tribu-nale ordinario nei provvedimenti inerenti la separazione dei coniugi (e dei conviventi) e il divorzio.

Altro argomento posto a sostegno del revirement della S.C. è la modifica apportata all’art. 38 disp. att. c.c.11, ad opera della l. 219/201212 la quale avendo attribuendo al Tribunale ordinario la competenza in materia di procedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale nei casi in cui sia già pendente fra le parti stesse un procedimento di separazione personale o di divorzio o un giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c., costituisce un ulteriore argomento volto a parificare il regime processuale dei provvedimenti resi ai sensi degli artt. 337 bis ss. c.c.13 ai provvedimenti pronunciati ex artt. 330 ss. c.c.

Ragion per cui non ha pregio la tesi che pretende di diffe-renziare il regime dei provvedimenti riguardanti l’affidamento e l’esercizio della responsabilità genitoriale in sede di separa-zione o divorzio, notoriamente ritenuti idonei ad un giudica-to c.d. rebus sic stantibus, ed i provvedimenti, come quelli og-getto della sentenza in commento, con i quali si comprime la titolarità di tale responsabilità, poiché, da un lato, “nel più sta il meno”14 e, dall’altro, “anche i primi sono assunti nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole e sono parimenti sottratti

11 Art. 38 disp. att. c.c. 1 comma: “Sono di competenza del tribunale per i mi-norenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 334, 335, e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all’articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provve-dimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. Sono altresì di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 25 e 317 bis c.c.”.

12 La l. 219 del 2012 volta ad eliminare ogni disparità di trattamento fra figli legittimi e figli naturali, contiene anche alcune modifiche alle norme in tema di competenza. In particolare, l’art. 3 interviene per così dire sull’art. 38 disp. att. c.c. limitando la competenza del Tribunale per i minorenni ai soli provvedimenti contemplati dagli artt. 84 (matrimonio del minore), 90 (assistenza del minore nella stipula di convenzioni matrimoniali), 330 (decadenza del genitore dalla potestà sui figli), 332 (reintegrazione nella potestà), 333 (condotta pregiudi-zievole del genitore e allontanamento dalla casa familiare), 334 e 335 (ammini-strazione del patrimonio del minore), 371, ultimo comma (minore ed esercizio dell’impresa) c.c. Per i procedimenti di cui all’art. 333 c.c., inoltre, la disciplina in questione esclude la competenza del Tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia “in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c.” casi questi nei quali provvede il Tribunale ordinario. Inoltre, il successivo art. 4 sancisce l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 3 ai giudizi instaurati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge stessa.

13 Art. 337 bis c.c.: “In caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio si applicano le disposizioni del presente capo”.

14 Cit. Cass., 21 novembre 2016, n. 23633.

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alla disponibilità delle parti, nonché al rispetto del principio di cor-rispondenza tra chiesto e pronunciato”15.

Di conseguenza le medesime conclusioni possono essere tratte in riferimento a provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale emessi dal Tribunale per i minoren-ni, in quanto la disparità di trattamento fra situazioni iden-tiche non può trovare alcuna giustificazione nella speciale competenza attribuita a tale organo giurisdizionale.

Secondo la Suprema Corte, dunque, una volta che, come del resto è avvenuto nel caso di specie, il Tribunale abbia dichia-rato i genitori decaduti dalla responsabilità genitoriale (riser-vandosi comunque di monitorare la situazione dei minori e di stabilire eventualmente nuove condizioni per l’affidamento e/o per il collocamento), il provvedimento assume attitudine di giudicato rebus sic stantibus, non essendo più revocabile né modificabile “salva la sopravvenienza di fatti nuovi”16 potendo essere, dopo che la Corte d’appello lo ha confermato, revo-cato o modificato in sede di reclamo, “anche impugnabile con ricorso per Cassazione”17.

4. conclusioni

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 23633 del 2016, superando il risalente orientamento, ammette la ricorribili-tà in via straordinaria dei provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, in quanto ritenuti decisori e

15 Cit. Cass., 21 novembre 2016, n. 23633.16 Cit. Cass., 21 novembre 2016, n. 23633.17 Cit. Cass., 21 novembre 2016, n. 23633.

sostanzialmente assimilabili ai provvedimenti resi in materia di affidamento dei figli minori.

La sentenza offre l’occasione per tornare a riflettere sulla na-tura dell’attività giurisdizionale svolta nei giudizi de potestate e per affrontare, in chiave critica, il tema dell’ammissibilità del ricorso straordinario in Cassazione anche in questo delicato ambito della tutela giurisdizionale dei diritti rappresentato dal processo familiare.

Tuttavia, non può non essere rilevato come la sentenza de qua presenti, comunque, qualche criticità avuto particolar riguardo ai presupposti relativi all’ammissibilità del ricorso straordinario quali la decisorietà e la definitività: in particola-re, per quanto riguarda il primo requisito, poca attenzione è stata data all’individuazione dell’effettiva natura di questi giu-dizi, essendosi la S.C. solo limitata ad osservare che, se da un lato il procedimento in questione non è propriamente conten-zioso, dall’altro, l’attività ivi svolta non può nemmeno essere degradata a mero controllo in ragione delle forme processuali del giudizio e delle garanzie ivi riconosciute alle parti, mentre per quanto riguarda il requisito della definitività, la sentenza in commento nulla aggiunge, forse valutando sufficiente il parallelo instaurato con i provvedimenti assunti ai sensi degli artt. 337 bis ss. c.c. provvedimenti notoriamente ricorribili in Cassazione, in quanto ritenuti dalla giurisprudenza idonei al giudicato rebus sic stantibus18.

18 Cfr. Donzelli, Sulla natura decisoria dei provvedimenti in materia di abusi della responsabilità genitoriale: una svolta nella giurisprudenza della cassazione, in Fam. e dir., 2017, 3, 225.

La sentenza oggetto di commento si pone all’attenzione del lettore per il superamento del principio ormai pacifico e con-solidato secondo il quale i decreti provvisori dei Tribunali dei Minorenni pronunciati nell’ambito di procedimenti ex art. 330, 333 c.c. non siano reclamabili né ricorribili in Cassazione.

La vicenda. Per quanto desumibile dalla ricostruzione dei fatti opera-ta dalla Suprema Corte, la vicenda oggetto d’esame ha origine da un procedimento pendente avanti il T.M. di Reggio Calabria che con de-creto provvisorio aveva confermato l’affido eterofamiliare dei figli mi-nori di una coppia, aveva disposto misure atte al sostegno psicologico degli stessi minori ed a favo-rire l’incontro con i genitori precisando che restavano ferme per il resto le determinazioni già assunte in preceden-za. Poiché i genitori erano stati dichiarati decaduti dalla potestà genito-riale (ora responsabilità), essi ritenevano che il T.M. avesse impli-cita-mente respinto la loro richiesta di reintegro della potestà (ora respon-sabilità). Da ciò nasceva il reclamo proposto alla Corte d’Appello di Reggio Calabria la quale tuttavia lo dichia-rava inammissibile ribadendo il principio consolidato secondo

il quale i provvedimenti ex art. 330 e 333 c.c., “in tema di affi-damento dei minori possono formare oggetto di impugnazione mediante reclamo esclusivamente nei limiti in cui siano idonei a produrre uno stabile pregiudizio nei confronti del genitore in-teressato e non anche nel caso in cui abbiano natura tempora-nea e sia-no destinati ad essere assorbiti nel decreto conclusivo del procedimen-to”, a parere della Corte ipotesi riscontrabile in fattispecie. I genitori, all’evidenza non soddisfatti della pronun-cia, proponevano quindi ricor-so avanti la Corte di Cassazione sulla base di tre motivi con i quali rile-vano, sotto vari profili, come il provvedimento reclamato non fosse provvisorio ma avesse natura decisoria e definitiva sia perché emesso dal Tri-bunale in composizione collegiale sia perché costituente l’atto conclusivo di un procedimento autonomo idoneo non solo a produrre i suoi effetti per un tempo indeterminato ma altresì ad arrecare uno sta-bile pregiudizio ai genitori.

I precedenti. Come già anticipato, era principio consolidato quello per cui i decreti del T.M. pronunciati nel corso di un procedimento ex art. 330-333 c.c., in quanto provvisori non

NOtA ALLA SeNteNzA N. 23633/16 DeLLA S.c. SuL ricOrSO StrAOrDiNAriO eX Art. 111 cOSt.GRAzIA CASTAuROAvvocato in Brescia e membro dell’Esecutivo di ONDiF

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potessero essere oggetto di reclamo potendo sempre essere modificati, revocati o integrati ad ope-ra dello stesso Giudice che li aveva emessi ove si fossero manifestate nuove esigenze ed emergenze processuali che avessero reso la regola-menta-zione provvisoria non più aderente alla situazione originaria-mente valutata e quindi non più rispondente all’interesse del soggetto da tutelare (Cass. Civ. sez. VI, 20.11.10 n. 23578). Ed allo stesso modo si affermava pacificamente che i prov-vedimenti resi dalla Corte d’Appello in sede di reclamo non fossero ricorribili in Cassazione nemmeno ai sensi dell’art. 111 Costituzione in quanto provvedimenti privi dei caratte-ri della decisorietà e della definitività in senso sostan-ziale. Si precisava in particolare che “il decreto impugnato, sebbe-ne adottato in sede di reclamo, non fosse qualificabile come provvedimen-to definitivo al pari del decreto reso dal T.M. al quale accedeva” (Cass. Civ. sez. I, 12.05.14 n. 10291). Di avviso opposto una risalente sentenza della Suprema Corte (Cassazione Civile sez. 1, 7.05.98 n. 4614) che ha ritenuto ammissibile il ricorso ex art. 111 Costituzione nell’ipotesi in cui avverso le statuizioni del giudice minorile ex art. 333 c.c. la Corte d’Appello aveva dichiarato l’inammissibilità del re-clamo proposto ai sensi dell’art. 739 c.p.c. La Suprema Corte riteneva difatti che il prov-vedimento così emesso, non più impugnabile, in quanto negatorio di un diritto processuale d’azione incidesse in via definitiva su diritti sog-gettivi an-corché di natura processuale. La Suprema Corte, ammetteva dunque il ricorso straordinario per Cassazione pur se poi rite-neva il motivo infondato e confermava la non reclamabilità in fattispecie del provvedimento temporaneo assunto dal T.M.

La riferita possibilità di modifica dei decreti provvisori col-lideva con la realtà dei fatti ove si consideri che la prassi dei T.M. era (ed è) quella di tenere aperti i procedimenti per lungo tempo, emanando più decreti provvisori a seconda delle emer-genze istruttorie. E i provvedimenti as-sunti con detti decreti provvisori sono tali da incidere notevolmente sulla vita dei mi-nori e dei loro genitori. È sufficiente pensare all’ipotesi in cui veniva disposto l’affido eterofamiliare, all’ipotesi in cui vengono limitate le visite genitori-figli o quelle in cui viene previsto che le stesse si svolgano solo in forma protetta o ancora ai prov-vedimenti che pro-nunciano la decadenza dalla responsabilità genitoriale. In tutte dette ipotesi, la cui rilevanza, lo si ribadisce, non è di poco conto, i genitori erano impotenti e potevano solo proporre reclamo presso la competen-te Corte d’Appello nella speranza quest’ultima ritenesse che il provve-dimento assunto, per quanto contenuto in un decreto provvisorio, fosse tale da produrre un autonomo pregiudizio stabile nei confronti del ge-nitore interessato. In mancanza i genitori non potevano far altro che attendere la pronuncia del provvedimento di chiusura del procedimen-to, chiusura che poteva giungere dopo anni ed in alcuni casi al raggiun-gimento della maggiore età del minore, il tutto dopo che il rapporto con i figli necessariamente aveva su-bito le conseguenze dei provvedimento provvisori assunti e pur nell’ipotesi in cui gli stessi fossero fondati su presupposti errati.

Motivo della decisione. Già prima della decisione oggetto d’esame vi era stato il sentore di un mutamento d’orienta-mento. Con la senten-za Cassazione Civile 29.01.16 n. 1746, pur avendo la Corte ritenuto inammissibile nella fattispecie il ricorso proposto, aveva difatti affer-mato in motivazione che i provvedimento ex art. 330 e 333 c.c. in rela-zione al loro con-tenuto, potessero divenire “irrevocabili”, rebus sic stantibus e

come tali suscettibili di ricorso in Cassazione. Ma è solo con la sentenza in esame che la Suprema Corte ritiene espressa-mente di dover superare il precedente orientamento ritenuto incongruo anche alla luce delle novità legislative intervenute. La Corte rileva prima di tutto come debba escludersi che i provvedimenti cd de potestate pre-vedano preminentemente o esclusivamente attività di controllo del giudice sull’eserci-zio della responsabilità genitoriale, con esclusione di parti in conflitto. La Suprema Corte difatti osserva come l’art. 336 c.c. preveda quali siano i soggetti legittimati a promuovere il ri-corso, pre-veda che i genitori ed i minori siano assistiti da un difensore, sancisca l’obbligo di audizione del genitore contro il quale il procedimento è promosso. Ma a parere della Supre-ma Corte l’argomento dirimente per ritenere che il provvedi-mento adottato dal giudice sia immediatamente reclamabile è che esso, disponendo la limitazione o la decadenza dalla responsabilità genitoriale incida su diritti di natura persona-lissima di primario rango costituzionale.

La Suprema Corte ritiene altresì criticabile la tesi che esclu-de l’attitudine dei provvedimenti di cui si discute ad assumere valenza di giudicato rebus sic stantibus poiché non attinen-ti all’esercizio della re-sponsabilità genitoriale ma alla com-pressione della titolarità ed in ra-gione della loro assunzione nell’esclusivo interesse del minore. Osserva la Suprema Corte come il primo argomento non tenga conto del fatto che l’eser-cizio della responsabilità possa essere regolato anche attra-verso la sua compressione mentre il secondo argomento non consideri che nei procedimenti di separazione, divorzio ovve-ro ex art. 316 c.c. i provvedimenti relativi ai figli sono assunti nell’esclusivo interesse della prole tanto è vero che sono sot-tratti alla disponibilità delle parti ed al rispetto del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato.

Da ultimo la Suprema Corte osserva come la l. 219/12 nel modificare l’art. 38 disp. att. c.c. abbia attributo al Giudice Ordinario i procedi-menti ablativi e limitativi della responsa-bilità genitoriale qualora tra le parti penda un procedimento di separazione, divorzio ovvero tra geni-tori non coniugati. In ragione di ciò la Suprema Corte ritiene contrad-dittorio conti-nuare ad operare la distinzione tra i provvedimenti assun-ti in sentenza dal Giudice ordinario ai sensi dell’art. 337 bis e segg. e quelli assunti dallo stesso Giudice ai sensi dell’art. 330 e 333 c.c. attri-buendo solo ai primi e non ai secondi attitudine di giudicato rebus sic stantibus.

La Suprema Corte conclude facendo presente come ad ana-loghe con-clusioni debba giungersi con riguardo ai provve-dimenti ablatori o limi-tativi della responsabilità genitoriale emessi dal tribunale dei minori non potendo la disparità di trattamento tra situazione identiche essere giustificata dalla speciale competenza del T.M.

Quindi viene affermato l’innovativo principio di diritto per cui una vol-ta che il Tribunale per i Minorenni abbia dichiara-to decaduti i genitori dalla responsabilità il provvedimento as-sume attitudine di giudicato rebus sic stantibus, non sia revo-cabile o modificabile, salva la soprav-venienza di fatti nuovi e sia pertanto, dopo che la Corte d’Appello l’abbia confermato, revocato o modificato in sede di reclamo, anche impugnabile con ricorso in cassazione.

Conclusioni. Deve accogliersi con soddisfazione il principio enuncia-to dalla Suprema Corte poiché viene in tal modo data tutela a situazioni che in precedenza ne erano sprovviste.

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corte cost., 14 luglio 2017, n. 193, grossi Pres., carosi rel.

È costituzionalmente illegittimo l’art. 5 della legge della Provin-cia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al te-sto unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla legge provinciale 9 novembre 1974, n. 22), riprodotto dall’art. 18 del decreto del Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del testo unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall’art. 3 della legge della Provincia au-tonoma di Bolzano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provin-ciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazio-ni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), nella parte in cui prevede che, tra i chiamati alla successio-ne nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

(omissis) nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla legge provinciale 9 novembre 1974, n. 22), riprodotto dall’art. 18 del decreto del Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del te-sto unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazioni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), promosso dal Tribunale ordinario di Bolzano nel procedimento vertente tra A.R. e M.L., con ordinanza del 17 maggio 2016, iscritta al n. 256 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Re-pubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Udito nella camera di consiglio del 21 giugno 2017 il Giudice relatore Aldo Carosi.

1. Nel corso di un giudizio per la determinazione dell’assun-tore del maso chiuso e del prezzo di assunzione − ai sensi dell’art. 22 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 (legge sui masi chiusi) − il Tribuna-le ordinario di Bolzano ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità co-stituzionale dell’art. 5 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbra-io 1962, n. 8, e alla L.P. 9 novembre 1974, n. 22), trasfuso nell’art. 18 del decreto del Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del te-sto unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche

ed integrazioni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), nella parte in cui prevede che tra i chiamati alla successione nello stesso grado ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

1.1. Il rimettente, investito del ricorso di A.R., premette in fatto che l’originario proprietario del maso chiuso “Sargan-thof”, sito in Novacella/Varna (BZ), era deceduto ab intestato il 12 agosto 2001, lasciando due figli naturali: la ricorrente A.R., nata il […], e M.L., nato il […]; che, in base ai certificati ereditari del 2 febbraio 2005, i figli erano stati intavolati quali proprietari per la metà indivisa del maso; che la ricorrente aveva interesse ad essere dichiarata assuntrice del maso; che al momento dell’apertura della successione vigeva l’art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, che riproduceva l’art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978, in base al quale, tra i chiama-ti alla successione nello stesso grado, la preferenza spettava ai maschi rispetto alle femmine, mentre tra gli appartenenti allo stesso sesso era preferito il più anziano; che tale norma era stata sostituita con la legge prov. Bolzano n. 17 del 2001, entrata in vigore il 26 dicembre 2001; che, secondo la ricor-rente, la norma previgente, applicabile al caso di specie, era costituzionalmente illegittima, essendo discriminatoria nei confronti delle donne; che la ricorrente esponeva di aver tra-scorso gran parte della sua vita sul maso in questione, men-tre il fratello unilaterale vi aveva trascorso solamente quattro anni; che la ricorrente fin da giovane riteneva di poter assu-mere il maso, essendo la persona più idonea e di aver studiato giurisprudenza mantenendosi da sola.

Previa disapplicazione del citato art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, ovvero previa declaratoria di incostituzionalità di tale norma, la ricorrente ha chiesto di essere dichiarata assuntrice del maso “Sarganthof”, e di fissarsi il prezzo di detta assunzione.

Costituitosi in giudizio, il convenuto ha chiesto, in via ri-convenzionale, previo rigetto dell’istanza di declaratoria di incostituzionalità della norma citata, di accertare il proprio diritto di assunzione del maso, affermando di avere vissuto sul maso insieme alla madre ed al padre, dal febbraio 1997 fino a poco prima della morte di costui; che era desiderio del padre designarlo come assuntore del maso; di aver conseguito il diploma alla scuola agraria finalizzato alla conduzione di un’azienda agricola.

1.2. Ai fini della rilevanza, il Tribunale rimettente espone di dover applicare il diritto sostanziale vigente al momento dell’apertura della successione, in virtù degli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, che prevedono che una norma non ha effetto retroattivo, salvo contraria espres-sa disposizione. Tale principio risulta, peraltro, codificato nel diritto internazionale privato dall’art. 46, comma 1, della l. 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), secondo cui le successioni per cau-sa di morte sono regolate dalla legge nazionale del de cuius al momento della morte, nonché dall’art. 23 delle medesime disposizioni sulla legge in generale, collocato nel Capo II inti-tolato “Dell’applicazione della legge in generale”.In tal senso si era già espressa precedentemente anche la giu-risprudenza di legittimità, che ha ritenuto applicarsi la nor-

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mativa vigente alla data di apertura della successione anche se successivamente modificata (ex multis, Corte di cassazio-ne, sezione seconda civile, sentenza 16 aprile 1981, n. 2305; Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 2 aprile 1992, n. 4012).Nella fattispecie in esame, J.L. è deceduto ab intestato il 12 agosto 2001 a Salorno (BZ), e quindi pochi mesi prima dell’entrata in vigore della legge prov. Bolzano n. 17 del 2001, con apertura della successione legittima in favore dei suoi due unici eredi, vale a dire i figli, parti in causa nel giudizio a quo. Alla data di apertura della successione era, dunque, in vigore l’art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978, tra-sfuso nell’art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, come modificato dall’art. 3 della legge prov. Bolzano n. 5 del 1993, che, per la parte che qui interessa, dispone che: “Tra i chiamati alla suc-cessione nello stesso grado ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine. Tra gli appartenenti allo stesso sesso è preferito il più anziano”.Il Tribunale rimettente espone che dalle prove assunte è emer-so che nessuno dei due figli è cresciuto nel maso e, poiché entrambi i chiamati alla successione rivestono lo stesso gra-do, quali figli naturali del de cuius, la legge provinciale citata imporrebbe l’applicazione del criterio basato sulla preferenza accordata al sesso maschile.

1.3. In punto di non manifesta infondatezza, l’art. 5 della leg-ge prov. n. 33 del 1978, riprodotto nell’art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, nella parte in cui accorda la preferenza, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi rispet-to alle femmine, si porrebbe in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., violando il principio di pari dignità sociale e di eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge, senza distinzione di sesso. Per i chiamati all’assunzione del maso, difatti, tale norma prevede un criterio di preferenza basato esclusivamen-te sul sesso, operando in modo irragionevole una discrimina-zione in danno delle donne.

Né sarebbe possibile, secondo il rimettente, operare una inter-pretazione costituzionalmente conforme di tale disposizione, risultando “chiarissima ed univoca” nel preferire l’uomo rispet-to alla donna, a parità di vincolo di parentela con il de cuius.

Motivi della decisione1. Il Tribunale ordinario di Bolzano dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dell’art. 5 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, ap-provato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla legge provinciale 9 novembre 1974, n. 22), riprodotto dall’art. 18 del decreto del Presiden-te della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del testo unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazioni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), nella parte in cui prevede che, tra i chiamati alla successione nello

stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

1.1. Secondo il rimettente, l’art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978, riprodotto dall’art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, nella parte in cui accorda la preferenza, tra i chiama-ti alla successione nello stesso grado, ai maschi rispetto alle femmine, si porrebbe in contrasto con l’art. 3, primo com-ma, Cost., che sancisce il principio di pari dignità sociale e di eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge, senza distinzione di sesso.

Per i chiamati all’assunzione del maso la disposizione censura-ta prevederebbe un criterio di preferenza basato sul sesso, ope-rando così una discriminazione irragionevole in danno delle donne. Non sarebbe, peraltro, possibile operare un’interpreta-zione costituzionalmente conforme di tale disposizione, risul-tando “chiarissima ed univoca” nel preferire l’uomo rispetto alla donna, a parità di vincolo di parentela con il de cuius.

2. In punto di rilevanza, il Tribunale rimettente espone di dover applicare il diritto sostanziale vigente al momento dell’apertura della successione − nel caso in esame il 12 ago-sto 2001 − in virtù degli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, che prevedono che una norma non ha effet-to retroattivo, salvo contraria espressa disposizione. Tale prin-cipio risulterebbe, peraltro, codificato nell’art. 46, comma 1, della l. 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italia-no di diritto internazionale privato), che ha sostituito l’art. 23 delle disposizioni sulla legge in generale. Sarebbe quindi inapplicabile la successiva legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 (legge sui masi chiusi), che ha abrogato la preferenza in discussione, alle successioni apertesi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, come quella del giudizio a quo: sia in base al principio generale di irretroattività della legge (art. 11 delle preleggi), sia in base al fatto che, venendo in rilievo un’ipotesi di successione legit-tima a causa di morte, al fine di stabilire la disciplina appli-cabile bisogna fare riferimento a quella vigente al momento della morte del de cuius, perché la successione mortis causa, per il principio tempus regit actum, è disciplinata dalle nor-me operanti al momento dell’apertura della successione (ex multis, Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 25 maggio 2009, n. 12060; Corte di cassazione, sezione se-conda civile, sentenza 25 settembre 1998, n. 9636; Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 11 maggio 2005, n. 9849; Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 13 aprile 2006, n. 8655).L’assunto è condivisibile in ragione dell’applicabilità al caso di specie della norma impugnata − ancorché abrogata dalla legge prov. Bolzano n. 17 del 2001 − in quanto vigente al momento dell’apertura della successione.

3. Per inquadrare la peculiare fattispecie in esame è necessario un breve excursus storico-normativo riguardante l’istituto del maso chiuso e la sua introduzione nell’ordinamento italiano.

3.1. Il “maso chiuso” trae origine da antichissime tradizioni diffuse nelle zone alpine orientali, regolate dalla legislazione austriaca fino alla legge della Provincia autonoma di Bolzano

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29 marzo 1954, n. 1 (Ordinamento dei masi di chiusi nella Provincia di Bolzano), emanata in virtù dell’attribuzione sta-tutaria della potestà legislativa (esclusiva o primaria) in ma-teria di “ordinamento dei ‘masi chiusi’” (art. 11, n. 8, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, recante “Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige”; e successivamente art. 8, n. 8, d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante “Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige”).

Detto istituto fu “introdotto in Alto Adige fin dai primi secoli del Medio Evo in corrispondenza ad antiche consuetudini germaniche, si affermò nel tempo e formò oggetto, verso l’età moderna, di disciplina legislativa formale, quale quella delle Patenti imperiali dell’11 agosto 1770 e del 9 ottobre 1795, di una legge dell’Impero del 1 aprile 1889 che attribuì alla legislazione provinciale il compito di disciplinare la materia, e della legge provinciale del 12 giugno 1900, n. 47, “con-cernente i rapporti giuridici speciali dei masi chiusi valevole per la Contea principesca del Tirolo”. Dopo che il territorio dell’Alto Adige entrò a far parte del territorio italiano, l’isti-tuto rimase in vita fino a quando con r.d. del 4 novembre 1928, n. 2325 fu estesa alle nuove Provincie la legislazione nazionale. Sennonché, anche dopo il suo disconoscimento legale, la popolazione dell’Alto Adige continuò a dimostrarsi attaccata all’istituto. E non mancarono apprezzamenti favo-revoli che anche giuristi particolarmente esperti in diritto agrario espressero in riguardo ad esso, considerandolo utile dal punto di vista economico, per la remora che pone allo smembramento dei fondi, e dal punto di vista sociale, per l’apporto che può dare al mantenimento della compagine familiare e alla esistenza di una sana classe rurale. È inte-ressante rilevare che già durante l’impero della legislazione austriaca, nonostante l’abrogazione di ogni norma speciale in materia di fondi rustici appoderati disposta con la legge austriaca 27 giugno 1868, l’istituto restò eccezionalmente in vigore nel Tirolo. Ma fu essenzialmente per andare incon-tro alle aspirazioni chiaramente manifestate dagli esponenti della popolazione alto-atesina in riguardo al riconoscimento formale dell’antico istituto, che il legislatore costituzionale si indusse a dettare il disposto del n. 9 dell’art. 11 dello Statuto per il Trentino-Aldo Adige, col quale attribuì alla Provincia la facoltà di emanare norme legislative “per le seguenti mate-rie… n. 9: ordinamento delle minime unità culturali, anche agli effetti dell’art. 847 del Codice civile; ordinamento dei ‘masi chiusi’ e delle comunità familiari rette da antichi statuti e consuetudini” (sentenza n. 4 del 1956).

In sintesi, prima dell’accesso nel nostro ordinamento, il “maso chiuso” è stato disciplinato dalla l. 12 giugno 1900, n. 47 del-la Contea Principesca del Tirolo; successivamente fu abolito con r.d. 4 novembre 1928, n. 2325 (Disposizioni per l’unifi-cazione legislativa nei territori annessi al Regno), che estese anche all’Alto Adige la legislazione italiana (sopravvivendo peraltro, di fatto, nelle abitudini di vita delle popolazioni alto-atesine); infine fu reintrodotto ad opera dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.Il susseguirsi di alcune modifiche legislative dopo il forma-le ripristino ha reso necessaria l’emanazione del decreto del Presidente della Giunta provinciale 7 febbraio 1962, n. 8

(Approvazione del testo unico delle leggi provinciali sull’or-dinamento dei masi chiusi nella Provincia di Bolzano), attra-verso la procedura di cui all’art. 38 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 dicembre 1959, n. 10 (Norme mo-dificatrici, interpretative ed integrative delle leggi provinciali 29.3.1954, n. 1 e 2.9.1954, n. 2 contenenti le norme fonda-mentali sull’ordinamento dei masi chiusi).A seguito delle ulteriori modifiche introdotte dalla legge del-la Provincia autonoma di Bolzano 9 novembre 1974, n. 22 (Emendamenti, integrazione ed ulteriore finanziamento alla legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4 - Provvedimenti di assistenza creditizia a coltivatori diretti assuntori di masi chiu-si) e dalla legge prov. Bolzano n. 33 del 1978 fu poi compilato un nuovo testo unico, approvato con d.P.G.P. n. 32 del 1978.Nuove modifiche furono apportate dalle leggi provinciali 26 marzo 1982, n. 10 (Modifica del testo unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, della legge pro-vinciale sull’assistenza creditizia per assuntori di masi chiusi e della legge provinciale sull’amministrazione dei beni di uso civico) e 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provin-ciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazio-ni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi).Oggi l’istituto è disciplinato dalla legge prov. Bolzano n. 17 del 2001, che ne ha mantenuto la struttura ed i principi ispi-ratori, rivisitandolo in più punti, ed in particolare – per quel che qui interessa – rimodulando i criteri di successione ed assunzione del maso. In tale contesto è stata eliminata la pre-valenza della linea maschile su quella femminile.

3.2. Dall’illustrata evoluzione normativa si evince che i ca-ratteri originari e pregnanti dell’istituto, che ne giustificano la conservazione attraverso una peculiare disciplina, sono le modalità di gestione, intestate ad una comunità familiare e ad una azienda agricola autosufficiente, ed un regime giuridi-co funzionale alla conservazione di dette modalità, costituito dall’indivisibilità del maso e dalla sua destinazione familiare, realizzata mediante un particolare sistema successorio, volto a designare un solo assuntore (Anerbe), il quale diviene debito-re della massa ereditaria per l’ammontare del valore del maso.In definitiva, l’analisi delle norme succedutesi nel tempo fino alla vigente legge provinciale n. 17 del 2001 consente di af-fermare la persistenza del nucleo funzionale dell’istituto del maso chiuso consistente nell’indivisibilità del fondo, nella sua connessione con la compagine familiare e nella “assunzione” del fondo stesso da parte di un unico soggetto, cui un sistema particolare – anche relativo al procedimento di assegnazione e di determinazione del valore del fondo nel caso di pluralità di eredi – permette di perpetuare e garantire nel maso stesso il perseguimento delle finalità economiche e sociali proprie dell’istituto.Al contrario, alcune modalità normative poste originariamen-te a corredo del peculiare istituto sono state progressivamente superate: tra queste va senz’altro ricordata la regola di devo-luzione del maso chiuso per successione a causa di morte in vigore fino al 2001, la quale seguiva i criteri della prelazio-ne maschile e del maggiorascato, dal momento che il fondo veniva attribuito, allo scopo di evitarne il frazionamento, ad un unico erede, con prevalenza della linea maschile su quella

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femminile. L’art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, come suc-cessivamente abrogato dalla l. prov. Bolzano n. 17 del 2001, prevedeva per la successione legittima il seguente ordine: l) discendenti del de cuius ed a questi equiparati che siano cresciuti o che crescono e risiedono nel maso;·2) discendenti delle persone indicate al punto l; 3) il coniuge; 4) gli ascen-denti; 5) i fratelli e le sorelle; 6) i discendenti di fratelli e sorel-le; 7) i parenti più prossimi non oltre il sesto grado.La prevalenza della linea maschile era affermata esplicitamen-te riguardo alla successione legittima dall’art. 18, comma 2, che stabiliva la preferenza tra i chiamati a favore dei maschi e, con riferimento alla successione per rappresentazione, dal successivo comma 6, in base al quale “i discendenti di figli premorti sono preferiti ai discendenti di figlie premorte”.Successivamente, la novella del 2001 ha previsto, in caso di successione ab intestato, che gli eredi legittimi possono trovare un accordo sulla designazione dell’unico assuntore e/o sul prezzo di assunzione (artt. 14, primo comma, e 20, primo comma); in mancanza di accordo, l’unico assuntore è determinato dall’autorità giudiziaria. Non è più riconosciuta alcuna preferenza alla linea maschile rispetto a quella fem-minile. La preferenza è invece accordata ai coeredi che cre-scono o sono cresciuti nel maso, e, tra di essi, a coloro che nei due anni antecedenti all’apertura della successione hanno partecipato abitualmente alla conduzione e alla coltivazione del maso, e, tra di essi, a coloro che sono in possesso di un diploma di una scuola professionale ad indirizzo agrario o di economia domestica riconosciuta dallo Stato o dalla Provin-cia, o di un’altra adeguata formazione riconosciuta dalla Pro-vincia con l’apposito regolamento di esecuzione della Giun-ta provinciale di cui all’art. 49, secondo comma, della legge prov. Bolzano n. 17 del 2001. È inoltre previsto, come criterio residuale, rispetto ad ulteriori regole preferenziali, che l’auto-rità giudiziaria, sentiti i coeredi e la commissione locale per i masi chiusi, scelga colui che dimostri di possedere i migliori requisiti per la diretta conduzione del maso chiuso (art. 14, secondo comma).

4. Alla luce del descritto contesto normativo, occorre verifi-care se l’art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978, oggi abrogato dalla sopravvenuta l. n. 17 del 2001, ma applica-bile alla fattispecie del giudizio a quo in quanto vigente al momento dell’apertura della successione, sia in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., nella parte in cui prevede che tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

4.1. La questione è fondata.Questa Corte non ignora che, con propria precedente pro-nunzia n. 40 del 1957, in relazione a questioni sostanzial-mente analoghe aventi ad oggetto gli allora vigenti artt. 16 e 18 della legge prov. Bolzano n. 1 del 1954, fu ritenuto che il contestato criterio di preferenza non collidesse con i principi generali dell’ordinamento giuridico, stabiliti nel codice civi-le in materia di successione legittima e divisione ereditaria e richiamati dall’art. 11 dello statuto speciale, adottato con la legge cost. n. 5 del 1948, né con il principio di eguaglianza, sancito dall’art. 3 Cost.Detta pronuncia seguiva la linea interpretativa già tracciata dalla precedente sentenza n. 4 del 1956, secondo cui il legi-

slatore costituzionale ritenne di introdurre nell’ordinamento nazionale questo istituto perché fortemente espressivo della tradizione sudtirolese. Tale istituto, non trovando “precedenti nell’ordinamento italiano, non può qualificarsi né rivivere se non con le caratteristiche sue proprie derivanti dalla tradi-zione e dal diritto vigente fino alla emanazione di quel r.d. 4 novembre 1928, n. 2325, sopra citato, in base al quale esso istituto cessò temporaneamente di avere formalmente vita” (sentenza n. 4 del 1956).In tale contesto si ebbe ad affermare che “le esigenze della mi-gliore produzione e gli scopi di natura familiare, di cui il legislatore costituzionale, con il maso chiuso, ha permesso il riconoscimento e la tutela per soddisfare le istanze della popolazione alto-atesina”, giustificavano la preferenza per il primogenito maschio previ-sta dagli artt. 16 e 18 dell’allora legge provinciale vigente. Ciò “sulla base di una presunzione tratta da un fatto normale se non costante” secondo cui l’assuntore preferito può conoscere dell’azienda familiare “meglio di altri il più efficace sistema di conduzione e può avere un maggiore attaccamento al fondo avito” (sentenza n. 40 del 1957).E sono proprio tali conclusioni in tema di preferenza maschile che in questa sede devono essere superate.La fattispecie all’esame di questa Corte si inquadra in una par-ticolare ipotesi normativa in cui è l’assetto giuridico a doversi conformare a quello sociale e alla sua evoluzione, anche alla luce delle evidenze storiche che registrano il fallimento del precedente tentativo del legislatore statale del 1928 di tra-sformare il regime giuridico dei masi con un atto di imperio. L’evoluzione dell’antica usanza sudtirolese in un peculiare istituto giuridico dell’ordinamento italiano trova la sua cor-rispondenza nei perduranti bisogni ed esigenze di una col-lettività locale che si è attribuita tali regole ab immemorabili.D’altronde, la recezione del maso chiuso attraverso il più ele-vato livello normativo del nostro ordinamento (la legge costi-tuzionale) costituisce fenomeno emblematico del pluralismo economico, sociale e giuridico che permea la Carta costitu-zionale, tanto più significativo in quanto di questo istituto prestatuale è stata più volte messa in dubbio la compatibilità rispetto all’ordinamento civile italiano, con il quale tuttavia convive da sempre nel limitato ambito territoriale della sua operatività.Ciò non toglie che l’ordinamento del maso chiuso non possa contenere specifiche regole che nel tempo acquistano un signi-ficato diverso in virtù della interpretazione evolutiva, la quale può condurre – come nel caso in esame – ad una loro diversa valutazione di compatibilità con i parametri costituzionali.Proprio la persistenza dell’istituto ne comporta una evoluzio-ne, nel cui ambito alcuni rami possono divenire – come la disposizione impugnata – incompatibili con l’ordinamento nazionale e – conseguentemente – suscettibili di recisione senza che il maso chiuso sia scalfito nella sua identità conti-nuativa e durevole.

Sotto tale profilo va, peraltro, osservato come sia costante l’orientamento di questa Corte nel senso che la tutela accorda-ta a particolari istituti come il maso chiuso non giustifica qual-siasi deroga ai principi dell’ordinamento, ma soltanto quelle che sono funzionali alla conservazione dell’istituto nelle sue essenziali finalità e specificità (sentenze n. 173 del 2010, n. 340 del 1996, n. 40 e n. 5 del 1957, n. 4 del 1956, nonché,

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sia pure a contrario, n. 691 del 1988) e che comunque non comportano la lesione di principi fondamentali dell’ordina-mento costituzionale, quale la parità tra uomo e donna.

4.2. In tale prospettiva, l’orientamento risalente non può es-sere oggi condiviso alla luce del principio di parità tra uomo e donna, il quale assume primazia indefettibile nella valuta-zione degli interessi di rango costituzionale sottesi all’esame della presente questione.L’evoluzione sociale e normativa intervenuta dopo la richia-mata sentenza n. 40 del 1957 è inequivocabile, così da ritene-re irreversibilmente superata l’applicazione del maggiorascato e – quel che qui più interessa – della prelazione maschile alla successione nell’assunzione del maso chiuso, la quale risulta quindi in contrasto con l’art. 3 Cost.Dette regole, non a caso abrogate dalla legge provinciale n. 17 del 2001, fanno capo ad un contesto inattuale nel quale, all’esigenza obiettiva di mantenere indiviso il fondo, si asso-ciava una ormai superata concezione patriarcale della famiglia come entità bisognosa della formale investitura di un capo del gruppo parentale (in tal senso, sentenza n. 505 del 1988). La desuetudine della visione patriarcale della famiglia e del principio del maggiorascato, l’evoluzione normativa in mate-ria di parità tra uomo e donna – si possono citare, tra le più importanti, le leggi 9 febbraio 1963, n. 66 (Ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni); 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia) e 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) – hanno dunque profondamente mutato sia il conte-sto sociale che quello giuridico di riferimento.

4.3. D’altronde, già in passato, relativamente a questioni di minore rilevanza della presente, questa Corte aveva ritenuto, in alcuni casi, compatibili e, in altri, viziate e non più rispon-denti alla ratio originaria, alcune norme che, rispettivamente, erano state introdotte o facevano parte dell’ordinamento del maso chiuso.Così, per quanto riguarda l’introduzione di nuove norme, ebbe a dichiarare non fondata la questione di legittimità co-stituzionale – sollevata in riferimento all’art. 8, numero 8), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) – dell’art. 35, comma 2, della l. 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministra-tivi – legge di semplificazione 1999), come sostituito dall’art. 22, comma 1, della l. 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione – legge di semplificazione 2001), che inseriva l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 46 della l. 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), per chi intendesse proporre in giudizio una domanda relativa all’ordinamento dei masi chiusi.

In quella sede fu precisato “che la peculiare dilatazione della competenza legislativa provinciale trova esclusiva giustifica-zione nella circostanza che essa sia funzionale ‘alla conserva-zione dell’istituto nelle sue essenziali finalità e specificità’ (sen-

tenza n. 340 del 1996) cosicché ogni qualvolta la predetta finalità non sia riscontrabile, da un lato, riemergono gli ordi-nari impedimenti alla competenza legislativa primaria della Provincia autonoma in materia di diritto privato e di esercizio della giurisdizione (sentenza n. 405 del 2006) e, dall’altro, la competenza nelle predette materie del legislatore statale, simmetricamente, conserva l’abituale estensione”, per cui, ap-plicando “i suddetti principi anche alla fattispecie ora all’esame di questa Corte, si rileva che la disposizione oggetto di censura… non opera alcuna, sia pur marginale, trasformazione della disci-plina sostanziale dell’istituto stesso rispetto ai suoi contenuti fissati nella tradizione giuridica”; pertanto “gli ambiti di competenza legislativa provinciale risultano, per come sopra dimostrato, inviolati dalla norma censurata” (sentenza n. 173 del 2010).Per quanto concerne la sopravvenuta non conformità a Co-stituzione, fu dichiarata l’illegittimità – in riferimento all’art. 3 Cost. – dell’art. 30 della legge prov. Bolzano n. 1 del 1954, nella parte in cui non prevedeva che pure in caso di trasfe-rimento coattivo del maso chiuso in un procedimento di esecuzione forzata l’assuntore è tenuto a versare alla massa ereditaria, per la divisione suppletoria, l’eccedenza del rica-vo dalla vendita o del valore di assegnazione sul prezzo di assunzione. In quella sede è stato chiarito, tra l’altro, che la norma scrutinata, se era in origine giustificata da una ratio legis orientata a coniugare una misura di equità con una mi-sura sanzionatoria del comportamento dell’assuntore, non era più assistita da “una giustificazione sostanziale che valga a legittimare la disparità di trattamento dei coeredi al cospetto del principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.” (sentenza n. 505 del 1988).

5. L’art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978 va dichia-rato, pertanto, costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui prevedeva che, tra i chiamati alla successione nello stes-so grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge del-la Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Mo-difiche al testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla legge pro-vinciale 9 novembre 1974, n. 22), riprodotto dall’art. 18 del decreto del Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del testo unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi), come mo-dificato dall’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Bol-zano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazioni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), nella parte in cui prevede che, tra i chiamati alla suc-cessione nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine. (omissis)

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1. Nozione di maso chiuso

A fronte di una sacralità del principio di autonomia testamen-taria e di una particolare attenzione agli interessi familiari, nonché di regole anelastiche preposte alla disciplina della vi-cenda successoria e di schemi legali di apprezzabile rigidità in merito imposti dall’ordinamento interno per la soluzione della dialettica interesse proprietario - interessi familiari, il legislatore, in ragione delle ricordate esigenze, ha più di una volta superato il principio di unità del regime successorio, rendendo possibile per parte del patrimonio ereditario la sot-trazione dello stesso all’ordinaria regolamentazione.

Si parla in proposito di vocazioni anomale, distinguendole dalle vocazioni speciali, relative a casi in cui v’è un discosta-mento da altri principi generali in merito, e dalle assegnazioni preferenziali, utili ad individuare quelle ipotesi in cui, inter-venuto lo stato di comunione tra i coeredi, sia prevista una deroga al principio posto nell’art. 718 c.c. in ordine al diritto a conseguire beni in natura da parte di ciascun condividente.

Le fattispecie normativamente previste, con difficoltà ricon-ducibili a categorie unitarie, delle quali peraltro si potrebbe discutere la stessa titolazione, presentano in linea di massima a volte particolarità relative all’aspetto oggettivo della vicen-da, altre volte specificità relative ai soggetti coinvolti nell’attri-buzione dei beni, altre volte ancora peculiarità con riferimen-to ad entrambi i profili menzionati.

È il caso della disciplina del c.d. maso chiuso per la provin-cia di Bolzano.

La disciplina sul maso chiuso è data dalla legge provinciale di Bolzano 28 novembre 2001, n. 171, il quale lo definisce come “il complesso di immobili, compresi i diritti connessi, iscritto nella sezione I (masi chiusi) del libro fondiario”2.

Dev’essere compresa in esso una casa di abitazione con rela-tivi annessi rustici (intendendosi per tale ogni edificio, vano o gruppo di vani destinato alle scorte vive o morte, al deposito, lavorazione e commercializzazione dei prodotti del maso.

Secondo quanto stabilito dall’art. 12 della legge, rubricato “pertinenze del maso”, di esso fanno parte “in ogni caso” le scorte vive e morte, in quanto necessarie per la sua regolare conduzione, nonché i diritti e i fattori di produzione connessi alla conduzione del maso. Già sulla scorta di tali previsio-ni normative può concludersi che i beni costituiti in maso chiuso sono qualificabili in termini di compendio aziendale,

1 Per un commento alla legge, cfr. Ferrucci, La nuova legge provinciale sul maso chiuso: spunti per una riviviscenza dell’istituto, in r.d.agr., 2003, I, 86 ss., riportante in appendice il testo della legge.

2 Cfr. art. 1 della legge provinciale n. 17 del 2001.

dal momento che esso comprende tutto quanto occorre per l’esercizio dell’attività agricola sul e con i beni del maso.

Il maso incontra dei limiti quantitativi, poiché esso dev’esse-re di dimensioni tali da assicurare un reddito medio sufficien-te per un adeguato mantenimento di almeno quattro persone, senza, tuttavia, poter superare il triplo di tale reddito; qualora venga ad essere superato tale limite massimo, si procede allo scorporo di una parte dei beni.

2. Le principali novità della legge sul maso chiuso

La legge provinciale 28.11.2001, n. 17 disciplina oggi l’istitu-to del Maso chiuso e si configura quindi come l’ultimo sforzo legislativo in materia.

Diverse sono le innovazioni introdotte dal legislatore pro-vinciale, alcune delle quali toccano aspetti di non secondaria importanza.

In questa sede, preme sottolineare le modifiche relative al diritto successorio:

1. nella successione legale vengono determinati nuovi criteri per la scelta dell’assuntore del Maso: scompare il riferimento al sesso dell’erede, mentre diventa decisivo l’essere cresciuti ed avere contribuito allo sviluppo del Maso, o l’essere profes-sionalmente qualificati;

2. regolamentazione dell’entità del necessario per la sussi-stenza del coniuge sopravvissuto: quest’ultimo acquisisce il diritto di continuare a vivere sul maso e di essere mantenuto in modo adeguato. È questa un’eccezione al principio della non applicabilità di limitazioni al godimento della casa fa-miliare prevista dalla normativa speciale in materia di maso chiuso.

In sintesi, la successione mortis causa nel Maso segue la regola secondo cui l’intera unità poderale è attribuita ad un unico assuntore. Se questi non è il coniuge superstite, i suoi diritti di abitazione e di uso dovranno essere esercitati tenen-do conto della razionale conduzione del maso e delle esigenze familiari dell’assuntore

La nuova legge sui masi chiusi non va a toccare il princi-pio dell’indivisibilità del maso e l’art. 11 ribadisce che “nel-la divisione del patrimonio ereditario il maso chiuso, comprese le pertinenze, va considerato unità indivisibile e non può essere assegnato che ad un unico erede o legatario oppure ad un’unica erede o legataria”. Tale principio, assieme a quello dell’erede unico, rappresenta un elemento fondamentale del sistema del Maso chiuso; ne consegue che una sua eventuale modifica o eliminazione andrebbe a compromettere l’efficacia dell’or-dinamento in questione, che a quel punto non avrebbe più

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Sommario: 1. Nozione di maso chiuso. - 2. Le principali novità della legge sul Maso chiuso. - 3. Il maso chiuso e la questione di genere. - 4. La sentenza n. 193 del 2017 della Corte Costituzionale.

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motivo di essere mantenuto3. Il maso è indivisibile anche in caso di successione mortis causa e può essere assegnato solo ad un unico erede o legatario.

Si distingue a seconda che la successione si apra ab intestato o con testamento: nel primo caso, in mancanza di accordo tra i chiamati l’assuntore è determinato dall’autorità giudiziaria secondo criteri di preferenza indicati dalla legge4. L’assuntore, ai sensi dell’art. 15, diventa debitore nei confronti della massa ereditaria per l’ammontare del valore del maso, concordato o determinato ex art. 20, il quale stabilisce la procedura da seguire per la determinazione giudiziale del valore del maso.

Nel caso di successione testamentaria, è possibile la desi-gnazione dell’assuntore con la scheda testamentaria ed è al-tresì consentito al testatore di fissare il prezzo di assunzio-ne (peraltro, se il prezzo fissato dal testatore non è accettato dall’assuntore o dagli altri coeredi, esso è determinato con la procedura di cui all’art. 20, di cui si è detto poc’anzi).

Mette conto rilevare una previsione di particolare interes-se in questa sede, contenuta nella legge regolatrice dei masi chiusi: in caso di donazione del maso, al momento della mor-te del donante il donatario può tenere il maso chiuso, salva reintegrazione in denaro della quota riservata ai legittimari (art. 17): la tutela dei diritti di legittima avviene, dunque, me-diante attribuzione di denaro e non anche mediante la pos-sibilità di esperire azione di riduzione avente ad oggetto il bene donato.

Per non svuotare di significato la previsione in tema di legit-tima, si prevede, inoltre, che anche la collazione, in tale ipo-tesi, debba farsi in denaro e sulla base del prezzo determinato ex art. 20 (art. 31).

3. il maso chiuso e la questione di genere

Il fatto che un tempo il figlio maschio maggiore ereditasse l’azienda per intero poteva sembrare un’ingiustizia, ma ciò rappresentava una realtà inderogabile per la conservazione del maso.

Fortunatamente, vi è stata una presa di coscienza dell’ugua-glianza tra uomo e donna.

Storicamente la prevalenza degli uomini sulle donne era giustificata, sul piano pratico, dal fatto che i primi erano più adatti a svolgere il lavoro agricolo rispetto alle seconde.

Il dibattito in merito a questa disposizione ha visto in passa-to il contrapporsi di posizioni assai distanti. Per lungo tempo

3 Non esiste d’altronde alcun giustificato motivo per prendere in considera-zione una tale ipotesi. Innanzitutto perché l’istituto del Maso chiuso declina a livello locale un principio che è previsto dal codice civile all’art. 846, quello della minima unità colturale: “nei trasferimenti di proprietà, nelle divisioni (713, 1116) e nelle assegnazioni a qualunque titolo, aventi per oggetto terreni destinati a coltura o suscettibili di coltura, e nella costituzione o nei trasferimenti di diritti reali sui terreni stessi non deve farsi luogo a frazionamenti che non rispettino la minima unità coltura-le. S’intende per minima unità colturale l’estensione di terreno necessaria e sufficiente per il lavoro di una famiglia agricola e, se non si tratta di terreno appoderato, per esercitare una conveniente coltivazione secondo le regole della buona tecnica agraria”.

4 Nell’ordine, i coeredi che sono cresciuti nel maso; quelli che nei 2 anni antecedenti l’apertura della successione hanno partecipato abitualmente alla conduzione e alla coltivazione del maso; quelli in possesso di diploma di scuola professionale o di altra adeguata formazione riconosciuta dalla provincia; ecc. (l’elenco dei chiamati a succedere nella proprietà del maso si trova nell’art. 14 della legge). Mette conto rilevare che nell’attuale formulazione della norma sono scomparse le differenziazioni precedentemente esistenti date dal sesso, in forza delle quali si disponeva che “tra i chiamati alla successione nello stesso grado ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine” (così il previgente art. 18 del testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi).

la normativa sul maso chiuso ha riconosciuto la prevalenza, ai fini della successione nella conduzione del maso, della linea maschile su quella femminile. Tale elemento era apparso in contrasto con i principi costituzionali, ma si osservava anche che i maschi erano “preferiti perché chiamati al duro lavoro della terra”. Trabucchi non vedeva in tale preferenza alcuna lesio-ne al principio costituzionale dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, mentre Romagnoli sosteneva che “qualche dubbio potrebbe sollevarsi sulla conformità ai nostri principi della preferenza accordata al maschio, con riguardo al sesso anziché alle capacità tecniche”5.

Anche Porru6 era dell’opinione che la preferenza accordata agli uomini nella scelta dell’assuntore non fosse pienamente conforme ai principi costituzionali italiani e che soprattutto fosse oramai obsoleta.

La Corte Costituzionale ha costantemente giudicato legitti-ma la disposizione in questione.

Tale posizione appare assai discutibile per diversi motivi.In primo luogo perché l’abolizione di tale principio non

avrebbe certamente portato allo snaturamento dell’istituto del Maso chiuso, cosa che sarebbe invece successa se fossero stati modificati altri principi cardine dell’istituto, quali quel-lo dell’indivisibilità dell’azienda agricola o quello dell’erede privilegiato7. L’abolizione del principio di preferenza degli uomini è sicuramente possibile senza che per questo l’ordina-mento masale cessi di funzionare correttamente. L’introduzio-ne della meccanizzazione in agricoltura ha infatti agevolato l’esecuzione di quei lavori pesanti per i quali, in altri tem-pi, esisteva la presunzione che fosse necessaria la forza fisica dell’uomo.

A questo proposito bisogna inoltre sottolineare che la nor-mativa sul Maso chiuso, a partire dalla legge tirolese del 1900, ha sempre previsto fra i motivi di esclusione dall’assunzione del Maso la “mancanza di qualifica a condurre personalmente il maso”.

Con questa espressione non si è però, mai inteso che un requisito essenziale per poter ereditare il Maso fosse la capa-cità di coltivare manualmente, personalmente il Maso stesso. Quindi, non solo il principio in questione non risulta indi-spensabile per il “funzionamento corretto” dell’istituto masale, ma appare inoltre in palese contraddizione con il principio di uguaglianza dettato dall’art. 3 della nostra Costituzione e con le varie e numerose norme di diritto del lavoro o del diritto di famiglia che riconoscono alla donna capacità pari a quelle dell’uomo.

Queste circostanze hanno indotto la Provincia di Bolzano a modificare i criteri per la determinazione dell’assuntore.

L’art. 14 della nuova legge sui Masi Chiusi8 prevede che in

5 trABucchi, Il rinnovato riconoscimento legislativo del “maso chiuso”, in Riv. dir. agr., 1954, I, 437; romAgnoli, La tutela dell’unità aziendale, Giuffrè, 1957.

6 Porru, Profili storici della successione speciale del maso chiuso: la designazione dell’assuntore, in Giur. agr. it., 1979, I, 145, 2.

7 Il fatto che nell’art. 11 n. 9 dello Statuto del Trentino Alto Adige (che assegna alla provincia di Bolzano la potestà legislativa in materia di Masi chiusi) il nome dell’istituto sia scritto fra virgolette, sta sì a significare che il legislatore si riferiva a quel particolare ordinamento con tutte le sue peculiarità fondamentali; non significa però che la modifica di alcune di tali caratteristiche porti allo stra-volgimento dell’istituto stesso.

8 Cass. civ. Sez. II, 22/04/2016, n. 8208: “Ai fini del riconoscimento del diritto all’assunzione del maso chiuso per successione legittima, il requisito dell’‘abitualità’ della conduzione e della coltivazione dello stesso, previsto dall’art. 14, comma 1, lett. b, della l.p. Bolzano n. 17 del 2001, va interpretato nel senso per cui essa non è esclu-

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208 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-dicembre 2017

LA giuriSPruDeNzA ANNOtAtA

caso di successione legittima l’assuntore del Maso sia deter-minato dall’autorità giudiziaria in base al seguente ordine di preferenza:

1. i coeredi o le coeredi che crescono o sono cresciuti/e nel Maso sono preferiti/e agli altri coeredi e alle altre coeredi;

2. tra più coeredi che crescono o sono cresciuti/e nel Maso sono preferiti/e coloro che nei due anni antecedenti l’apertura della successione hanno partecipato abitual-mente alla conduzione e alla coltivazione del Maso9;

3. tra più coeredi che adempiano ai presupposti previsti nelle lettere a) e b) sono preferiti/e coloro che sono in possesso di un diploma di una scuola professionale ad indirizzo agrario o di economia domestica riconosciuta dallo Stato o dalla Provincia, o di un’altra adeguata for-mazione riconosciuta dalla Provincia.

In ogni caso vale il principio per cui tra più coeredi di pari preferenza è preferito/a il più anziano o la più anziana.

I discendenti e le discendenti di cui sopra sono preferiti/e al coniuge superstite.

Quest’ultimo o quest’ultima è però preferito/a a tutti gli altri parenti se ha collaborato alla conduzione del maso da almeno cinque anni (il lavoro domestico svolto nel Maso viene consi-derato quale collaborazione alla sua conduzione).

4. La sentenza n. 193 del 2017 della corte costitu-zionale

Con la sentenza n. 193 del 2017 il Giudice delle leggi ha ritenuto costituzionalmente illegittima la norma della Provin-cia autonoma di Bolzano, ormai abrogata ma vigente ratione temporis, nella parte in cui prevede che, tra i chiamati alla successione nello stesso grado del maso chiuso, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine, in ragione della primazia del principio di parità tra uomini e donne, dovendosi l’assetto giuridico dell’istituto conformare a quello sociale e alla sua evoluzione, alla stregua del quale è ormai superata la concezione patriarcale della famiglia come enti-tà bisognosa della formale investitura di un capo del gruppo parentale, senza che peraltro detta previsione sia funzionale alla conservazione dell’istituto nelle sue essenziali finalità e specificità e alla conseguente esigenza obiettiva di mantenere indiviso il fondo.

Il Tribunale di Bolzano sollevava questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dell’art. 5 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla legge provinciale 9 novembre 1974, n. 22), riprodotto

sa dalla stagionalità del lavoro svolto dall’aspirante assuntore nel maso (consistente, nella specie, nella concimazione e nella fienagione annuale), che può dipendere dalle caratteristiche del fondo, mentre richiede che l’attività sia replicata ciclicamente, con continuità, nel tempo”.

9 Cass. civ. Sez. II, 22/04/2016, n. 8208: “In caso di successione legittima, nell’individuazione dell’assuntore del maso chiuso, tra più coeredi che vi crescono o che vi sono cresciuti, si preferisce quello che nei due anni precedenti all’apertura della successione ha partecipato abitualmente alla conduzione e alla coltivazione del maso, con lavoro anche stagionale purché essenziale, imprescindibile e regolarmente ripetuto nel tempo”, in Foro it., 2016, 9, 1, 2825.

dall’art. 18 del decreto del Presidente della Giunta Provin-ciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del testo unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica del-le leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed inte-grazioni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), nella parte in cui prevede che, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

I rilievi del rimettente si incentravano sul fatto che la nor-ma censurata si sarebbe posta in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., che sancisce il principio di pari dignità sociale e di eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge, senza distin-zione di sesso. Sicché la disposizione avrebbe previsto un cri-terio di preferenza basato sul sesso, avendo così operato una discriminazione irragionevole in danno delle donne.

Al riguardo, il giudice a quo evidenziava la necessità di ap-plicare il diritto sostanziale vigente al momento dell’apertura della successione, in virtù degli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, che prevedono che una norma non ha effetto retroattivo, salvo che vi sia contraria espressa di-sposizione. Tale principio risulta, peraltro, codificato nell’art. 46, primo comma, della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Ri-forma del sistema italiano di diritto internazionale privato), che ha sostituito l’art. 23 delle disposizioni sulla legge in gene-rale. Sarebbe stata, quindi, inapplicabile la successiva legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 (legge sui masi chiusi), che ha abrogato la preferenza in discussione, alle successioni apertesi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore.

La sentenza deve confrontarsi con la norma di rango co-stituzionale dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige (art. 11, n. 9), la quale stabilisce il principio secondo cui è rimesso alla potestà legislativa della provincia “l’ordinamento dei ‘masi chiusi’”.

Vi è da osservare che il problema della violazione in materia di successione del principio di uguaglianza, oggi non si pone più, in forza della l. prov. di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 attualmente in vigore. Il problema riguarda il passato, in base al principio secondo cui occorre sottoporre allo scrutinio di costituzionalità – per contrasto con l’art. 3, 1º comma, Cost., nella parte in cui prevede che tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine – la norma in vigore al momento dell’apertura della successione (nel caso oggetto della sentenza il 12 agosto 2001), e cioè l’art. 5 l. prov. di Bolzano n. 33/1978, che sep-pure oggi è stato abrogato dalla sopravvenuta l. 28 novembre 2001, n. 17, deve tuttavia ritenersi applicabile alla fattispecie del giudizio rimesso alla Corte.

La costituzionalizzazione della disciplina del maso chiuso, mediante la rimozione del vincolo alla preferenza nella suc-cessione maschile, ferme restando le sue originarie caratteri-stiche, rappresenta nella prospettiva ermeneutica della Corte un “fenomeno emblematico del pluralismo economico, sociale e giuridico che permea la Carta costituzionale”.

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trib. milano, 18 gennaio 2017, cattaneo pres., gen-nari rel.

Per essere causa di addebito nella separazione giudiziale, i com-portamenti contrari ai doveri del matrimonio e che causino l’in-tollerabilità della prosecuzione della convivenza, devono essere volontari e posti in essere con consapevolezza; consapevolezza che deve ritenersi esclusa, qualora proprio il coniuge richiedente l’ad-debito, abbia dichiarato che si sia trattato di agìti non voluti da chi li ha posti in essere.(Omissis)

FATTOPREMESSO

che l’odierna decisione è redatta in modo sintetico, anche nel rispetto dell’art. 16-bis, comma 9-octies, decreto-legge 18 ot-tobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 (“z provvedimenti del giudice […] sono redatti in maniera sintetica”; comma aggiunto dall’art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2015, n. 132);

(omissis)hanno contratto matrimonio con rito concordatario in Mila-no il OMISSIS. Dall’unione sono nati due figli: OMISSIS oggi entrambe maggiorenni.

che, con ricorso depositato in data 24 febbraio 2015, la OMISSIS ha chiesto la separazione giudiziale con addebito al marito, l’assegnazione della casa coniugale, un contributo di Euro 800,00 complessivi per il mantenimento dei figli mag-giorenni e non autosufficienti e di Euro 600,00 per il proprio mantenimento;

che il sig. OMISSIS con memoria depositata nei termini di legge, ha aderito alla domanda di separazione chiedendo, pe-raltro, l’addebito a carico della moglie. Il resistente ha chiesto, altresì, l’assegnazione della casa coniugale e la determinazione in Euro 250,00 mensili del contributo per il mantenimento della moglie;

che all’udienza presidenziale del 7 maggio 2015, il Tribunale di Milano, in persona del presidente ff. dott. O. C., autorizzava i coniugi a vivere separati con l’obbligo del mutuo rispetto e assumeva i provvedimenti provvisori con i quali assegnava la casa coniugale al marito e poneva a carico dello stesso la som-ma di Euro 650,00 mensili per il mantenimento della moglie;

che, assegnati i termini di cui all’art. 183 comma 6 n. 1, 2 e 3 c.p.c., il G.I. ammetteva le prove orali dedotte come da ordi-nanza del 23 marzo 2016. L’istruttoria veniva svolta davanti al GOT delegato alle udienze del 27 maggio e 23 giugno 2016;

che, con provvedimento del 8 aprile 2016 ex articolo 709 u.c. c.p.c., il G.I. respingeva la reciproca richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento per la ricorrente;

che, all’udienza del 22 settembre 2016 precisate le conclusio-ni richiamate in epigrafe, la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione, previa assegnazione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica;

Nel MERITO, rilevato che,

- la domanda diretta ad ottenere la pronuncia di separazione giudiziale va accolta perché i fatti desunti dalla trattazione della causa e il comportamento processuale delle parti dimo-strano in modo inequivocabile che la prosecuzione della con-vivenza è divenuta ormai da tempo intollerabile ex art. 151, primo comma, cc; peraltro, ove nel rapporto di coppia si svi-luppi in modo irretrattabile una situazione di intollerabilità, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto a chiedere la separazione (Cass. Civ., 30 gennaio 2013 n. 2183). Nel caso di specie, la pronuncia risponde alle richieste di entrambi i coniugi ed è conforme alle conclusioni dell’Ufficio di Procura. In particolare, è pacifico e incontestato che la OMISSIS ha lasciato l’abitazione coniugale il giorno 15 settembre 2013, per non farvi più rientro. Da quella data i due coniugi hanno vissuto separati – sostanzialmente per reciproca volontà – senza mai più ricostituire l’unione coniu-gale;

- la domanda di addebito svolta dal signor OMISSIS (da que-sta si parte per ordine logico di esposizione) va respinta. Il resistente fonda la propria domanda sul fatto che, a partire dal gennaio 2007, la signora avrebbe “inscenato devastanti com-portamenti compulsivi, frutto di ossessione religiosa”. Il cam-pionario di questi comportamenti, ascritto dichiaratamente a possessione demoniaca, è ampiamente riferito negli atti di parte, ai quali si fa rinvio. Per inciso, si parla di comporta-menti continui caratterizzati da violenta convulsione motoria, ore e ore di preghiera, frequentazione sistematica di un frate cappuccino (tale OMISSIS), continui pellegrinaggi, uso di un saio anche per occupazioni domestiche. Inoltre, la signora avrebbe preso il triplice voto di castità, povertà e obbedienza.

Inutile dire che, nella prospettazione del ricorrente, questa situazione ininterrottamente protratta fino al 2013, avrebbe costituito grave inadempimento agli obblighi coniugali, aven-do alfine la resistente totalmente trascurato i suoi doveri di moglie.

Ora, va chiaramente detto che i fatti descritti hanno trovato sostanziale conferma nella istruttoria processuale. Già in sede presidenziale la signora OMISSIS lungi dal respingere i fatti descritti dal marito, ha dichiarato che gradiva non parlarne, peraltro confermando la veridicità materiale di alcuni di essi e di avere più volte chiesto di parlarne con monsignor OMIS-SIS esorcista della diocesi di Milano. Aggiungeva la signora di avere avuto, per lungo tempo, padre OMISSIS come padre spirituale. Rapporto – si noti – che la signora dice essere ces-sato solo perché il OMISSIS fu allontanato da lei per volontà dei suoi superiori.

Nel corso del processo venivano altresì sentiti numerosi testi.

OMISSIS, figlia della ricorrente, confermava che – dal 2007/08 – detto padre OMISSIS veniva introdotto, inizial-mente da entrambi i coniugi, nella vita familiare e domestica. Dice OMISSIS che la madre, per un certo periodo, “non stava tanto bene”, che effettivamente indossava un saio, come sorta di scudo spirituale, quando si recava a pregare o in pellegri-

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naggio e che aveva fatto voto di obbedienza all’ordine france-scano secolare.

OMISSIS figlio della signora, ha confermato la costante pre-senza di OMISSIS ad un certo punto accusato dal padre di “rovinare la famiglia”. Dice OMISSIS e la madre indossava fre-quentemente il solito saio, generando curiosità e imbarazzo nei suoi amici OMISSIS parla anche di frequenti gite spirituali della madre, in Umbria e in altri posti. Inoltre persone che frequentavano la casa si presentavano ogni mattina per cele-brare la Comunione, intrattenendosi anche due ore.

OMISSIS sorella della ricorrente e teste considerato certa-mente “a favore” della stessa, conferma pudicamente che, dal 2007, la sorella a cominciato a stare male; un male che la teste non descrive nei dettagli, ma che dice che generava fenome-ni “esterni e non dipendenti dalla sua volontà”, “disturbi di carattere spirituale” di cui la teste non conosce e non sa dire la natura.

Infine, il più volte citato padre OMISSIS, ha dettagliatamente descritto fenomeni definiti “poltergeist” che avrebbero colpito la casa della signora OMISSIS. Il cappuccino ha detto che, dal gennaio 2007 e fino al giugno, ha frequentato assiduamente casa OMISSIS inizialmente su invito anche del marito, im-pressionato dagli accadimenti che si verificavano sotto i suoi occhi. Il frate si fermava anche di notte ed aveva la disponibi-lità della chiavi di casa della coppia. Per quanto noto a OMIS-SIS la signora OMISSIS sarebbe stata seguita per diversi anni da sacerdoti investiti ufficialmente della funzione di esorcista. Infine, M. – pur dichiarandosi estraneo – ha detto di avere saputo che la signora OMISSIS aveva preso i voti con tale padre OMISSIS Anche don OMISSIS, parroco della chiesa fre-quentata dalla coppia, ha riferito di avere assistito a fenomeni di irrigidimento e scuotimento della signora OMISSIS, che richiedevano l’intervento di terze persone in funzione conte-nitiva. In buona sostanza, tutte le testimonianze convergono nel confermare comportamenti parossistici da parte della si-gnora OMISSIS che l’hanno indotta ad orientare la propria vita quotidiana quasi esclusivamente attorno all’elemento catalizzatore della religione. La presenza costante – giorno e notte – del padre spirituale, le messe casalinghe quotidia-ne, i pellegrinaggi, i voti sono comportamenti difficilmente compatibili con i doveri nascenti dal matrimonio. E sono stati comportamenti che hanno compromesso indubbiamente l’ar-monia coniugale. Ed allora perché la separazione non può essere addebitata alla signora OMISSIS? Perché difetta – per stessa ammissione del marito – il requisito della imputabilità soggettiva di questi comportamenti. La cassazione è chiara nel dire che “La dichiarazione di addebito della separazione implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volon-tariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matri-monio” – Cass. n. 25843/13. Qui la signora OMISSIS è altret-tanto chiaramente “agita”; ella non agisce consapevolmente. A prescindere dalla causa del suo malessere – di natura organica o meno – è la stessa difesa del resistente a dire che il malessere spirituale ha sicuramente provocato atroci sofferenze alla si-gnora OMISSIS, tormenti che “non vi è dubbio che non siano stati direttamente voluti dalla nostra controparte come con-seguenza diretta delle proprie scelte di vita”. Gli inspiegabili

– così li definisce il resistente – fenomeni subiti dalla signora OMISSIS sono la causa e non la conseguenza del suo atteggia-mento di esasperata spiritualizzazione. Sia il signor OMISSIS che la signora OMISSIS sono, chiaramente, ferventi fedeli. In un primo momento – di fronte ai primi episodi “singolari” – è lo stesso marito a chiedere l’aiuto del padre (entrambi i figli e lo stesso OMISSIS lo dicono). Poi la signora OMISSIS scivola rapidamente in una situazione ossessiva dalla quale, in perfetta buona fede, ella crede di potere uscire curando-si attraverso la “medicina” spirituale. La signora OMISSIS fa quello che può per “guarire”. Ella, si reca anche da un clinico medico (doc. relazione OMISSIS per sottoporsi ad una valu-tazione psichiatrica accurata. Sottoposta a noti test (MMPI, Rorschach), la signora non risulta affetta da alcuna conclama-ta patologia tale da potere spiegare i fenomeni da lei riferiti e, in parte, osservati dal medico.

In definitiva, la signora OMISSIS non ha colpa.

- La domanda di addebito, svolta dalla signora OMISSIS, va ugualmente respinta. Adduce la ricorrente, a sostegno di essa, una serie di circostanze. Dice la signora che ella avrebbe su-bito violenza economica, avendo il marito gestito in modo autoritario ed esclusivo le risorse di casa. La signora OMISSIS ha lavorato dal 1986 e fino al 2005, producendo un reddito proprio. I denari della famiglia – lo dice la ricorrente – veniva-no versati in un conto cointestato del quale la signora avrebbe potuto avere la piena disponibilità. È veramente difficile so-stenere che, in oltre venti anni di matrimonio sostanzialmente “normale”, la signora avrebbe subito sistematicamente scelte economiche da lei non volute. Dunque, se è sicuramente vero che la gestione economica della famiglia fosse, per lo più, ri-servata al marito – e questo lo dicono anche i figli e soprattut-to la sorella della ricorrente – è meno facile sostenere che que-sto non fosse l’effetto di una modalità organizzativa condivisa da entrambi i coniugi. Parte ricorrente individua un momento di stacco alla fine del 2005, quando la signora avrebbe deciso – non sostenuta dal marito – di cessare l’attività lavorativa. A quel punto il marito avrebbe cominciato ad attuare una sorta di ritorsione economica. Peraltro, va considerato che già nel gennaio del 2007 la signora OMISSIS cade in quella situazio-ne di grave compromissione dell’equilibrio psicofisico prima descritta. Dunque, corre sostanzialmente un anno tra la scelta di cessare il lavoro – le cui cause sono peraltro controverse – è l’inizio della crisi che, obiettivamente, legittimerà in capo al marito una serie di reazioni (anche di controllo sull’operato della moglie) più che comprensibili. Per esemplificare, il doc. 101 di parte resistente – contestato negli importi ma non nel-la causale – dimostra 45 trasferte di preghiera in giro per l’Ita-lia, nell’arco di sei anni e mezzo. Ora, se è ossessivo il marito a tenere traccia di tutto è anche del tutto anomalo il comporta-mento della moglie, che si allontana sistematicamente da casa per esigenze spirituali, in compagnia del suo padre spirituale. Ecco, in questa situazione è impossibile censurare il compor-tamento del marito, addebitandogli una violenza economica causa della rottura coniugale.

Dice ancora la ricorrente che, specialmente a partire dal 2006, ella avrebbe subito e patito violenze morali, psicologiche e fisiche. In particolare, OMISSIS avrebbe vietato alla moglie

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di frequentare certe persone (amiche catechiste o altre non meglio individuate) ed avrebbe visto con ostilità anche la fre-quentazione tra la moglie e la di lei sorella. Inoltre, il marito avrebbe subissato la moglie con una sorta di interrogatori a “mezzo” questionario di carta. Questi fatti sono sicuramente veri. Parlano da soli, al di là dei testi, i documenti da n. 8 a 12 di parte ricorrente. Tuttavia, sono comportamenti che devo-no necessariamente essere contestualizzati. Essi palesemente nascono dagli atteggiamenti anomali che la signora OMISSIS aveva cominciato ad avere. La volontà di escludere persone terze dall’ambito familiare sorge dalla costante presenza di estranei alla mattina, a pranzo e a cena (incluso padre OMIS-SIS) che legittimamente OMISSIS vedeva come circostanza nefasta e causa dei comportamenti della moglie. Lo dice chia-ramente OMISSIS “che mio padre non volesse vedere queste persone è accaduto dopo che mia madre ha iniziato a colti-vare la sua responsabilità. Mia madre ha continuato a vedere queste stesse persone. Gli amici che mio padre non voleva vedere erano quelli che mia madre frequentava per motivi spirituali e che la aiutavano in questa fase. Per quel che ne so io mio padre non gradiva, tra i parenti, solo la presenza di mia zia L., ma non ne conosco il motivo. Queste persone venivano a casa ogni mattina… È vero, mia madre vedeva le persone sgradite a mio padre quando lui si trovava al lavoro. Confermo che mio padre, quando veniva a sapere che mia madre aveva visto persone a lui non gradite, si adirava con mia madre”. Dunque, pur rimanendo non chiarita (e quindi non si sa se giustificata o meno) l’antipatia di OMISSIS per la sorella della moglie, i comportamenti del marito non possono certe essere interpretati come violenze morali in danno della moglie. Egli cerca di limitare i contatti con quelle persone che – a ragione o no – individua come responsabili della deriva chiaramente ossessiva della moglie. Lo stesso deve dirsi per i famosi questionari. Il documento n. 10 è tutto incentrato sul ruolo di OMISSIS nella vita della signora OMISSIS. Rimane certamente singolare lo strumento con cui il signor OMISSIS cerca risposte dalla moglie. Ma le domande che il marito pone sono tutte assolutamente legittime.

Quanto agli episodi di violenza fisica, è estremamente vero-simile che si siano verificate – la termine della convivenza – liti con vie di fatto. Di nuovo, tuttavia, esse devono essere contestualizzati.

In realtà la ricorrente documenta e prova un solo episodio, per il quale viene fatto referto in P.S. Il fatto si verifica in data 22 dicembre 2012. Siamo, dunque, in una fase in cui ormai da anni il rapporto coniugale si è disgregato. Non è certo quel litigio violento che consente di addebitare la separazione. Se e nei termini in cui verrà provata la responsabilità del OMIS-SIS, egli potrà risponderne in sede penale. Tuttavia, manca qualsiasi correlazione causale tra la singola lite e la separazio-ne. Vi è effettivamente un secondo certificato di 118 ancora successivo e precisamente del 19 agosto 2013. In questo caso il referto non attesta alcuna percossa, ma uno stato di forte

agitazione psicomotoria conseguente a litigio familiare. Em-blematica la circostanza per cui la signora OMISSIS ritrova la calma solo dopo l’arrivo del solito padre OMISSIS. Di li pochi giorni la signora OMISSIS abbandonerà il tetto coniugale. Di ciò – è ormai chiaro – non può responsabilizzare esclusiva-mente il marito.

- In ordine alla casa coniugale, va confermata l’assegnazione – già disposta dal presidente ff. – in favore del marito. Fermo restando che i figli della coppia sono maggiorenni ma non autosufficienti, entrambi vivono in compagnia del padre, da quando la madre ha – di fatto – deciso di andarsene nel 2013. Questo assetto è ben consolidato e pare funzionare. Dunque, non si vede per quale ragione mutare lo stato delle cose. Pe-raltro, la figlia Linda ha riferito che – qualche tempo prima dell’udienza presidenziale –, vi era stata una sorta di riunione casalinga. In quella occasione il signor OMISSIS aveva pro-posto alla moglie di rientrare, vivendo un po’ da “separati in casa”. Questa possibilità è stata respinta dalla stessa signora

Il mantenimento dei figli non autosufficienti va posto a carico integrale del padre, come già è e come già disposto anche con ordinanza presidenziale. Peraltro, lo tesso resistente nulla chiede da questo punto di vista.

- In ordine all’assegno di mantenimento dovuto per la signora OMISSIS di nuovo vanno confermate le statuizioni presiden-ziali. Il presidente ff. aveva ampiamente valutato la disparità economica esistente tra le parti, traendone le ragionevoli con-seguenze alla luce di tutte le circostanze del caso. Il signor OMISSIS dichiara, nel 2014, un reddito netto mensile di Euro 3.493,00. La signora OMISSIS non lavora, pur avendo una qualificazione professionale come segretaria di direzione ed avendo lavorato fino al 2005. L’importo di Euro 650,00 men-sile teneva giustamente conto del fatto che i figli rimangono tutti integralmente a carico del padre e che la signora OMIS-SIS può e deve mettere a frutto le sue competenze.Rispetto all’assetto presidenziale, nulla è mutato. Il signor OMISSIS afferma che il reddito 2014 fu dovuto ad un premio di produzione concesso di anno in anno. Tuttavia, la parte ha mancato di dimostrare che il reddito sia concretamente ed ef-fettivamente sceso. Al di là di una busta paga isolata del mese di aprile 2015, il signor OMISSIS non ha aggiornato in alcun modo la propria documentazione fiscale. Ancora, il signor OMISSIS sostiene che la moglie avrebbe trovato lavoro. An-che questa circostanza è priva di dimostrazione. A sostegno, parte resistente porta il fatto che, da agosto 2015, la signora OMISSIS si sarebbe trasferita (dall’abitazione familiare, ove era tornata nel 2013) in un appartamento locato. Null’altro si sa di questa locazione o di chi ne sostenga gli oneri e dalla quale potrebbe, anzi, inferirsi un accresciuto bisogno econo-mico da parte della Per quanto concerne la signora OMISSIS sostiene che oggi i figli lavorerebbero stabilmente e quindi non rappresenterebbero più un costo per il padre. Pure que-sta circostanza è meramente asserita e indimostrata.

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212 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-dicembre 2017

LA giuriSPruDeNzA ANNOtAtA

Ha destato molto clamore nel circuito mediatico e nei social network, la recente Sentenza del Tribunale di Milano - Sez. IX Famiglia, emessa il 18.01.2017 in composizione collegia-le (G.E. Dott. Gennari - Presidente Dott.ssa Cattaneo), con cui è stato definito un giudizio di separazione giudiziale tra coniugi.

Le perplessità e le critiche, non solo degli utenti della giu-stizia ma anche di alcuni esponenti del mondo della scienza medica-psichiatrica e di alcuni operatori del diritto, scaturi-scono dalle motivazioni in base alle quali il Collegio meneghi-no sembra aver escluso l’addebito della separazione chiesta da un marito nei confronti della moglie, nonostante le prove addotte ed emerse in sede istruttoria.

C’è da dire che anche la moglie, nel caso di specie, ha for-mulato richiesta di addebito in capo al marito per condotte contrarie ai doveri coniugali, tra cui violenza economica, vio-lenze morali, psicologiche e fisiche, ma anche tale richiesta viene rigettata dal Collegio meneghino, sulla base però di motivazioni sicuramente meno interessanti di quelle poste a base del rigetto della richiesta di addebito nei confronti della donna e su cui ci si vuole soffermare.

Ed infatti, le violazioni dei doveri matrimoniali evidenziate dal marito quali cause del fallimento irreversibile dell’affectio coniugalis e della comunione di vita morale e materiale con la moglie, vengono ricondotte a comportamenti a dir poco inspiegabili, insopportabili e tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza tra marito e moglie (nella spe-cie: violente convulsioni motorie, ore ed ore di preghiere, frequentazione sistematica di un frate cappuccino, continui pellegrinaggi – circa 45 nell’arco di sei anni –, uso di un saio anche per occupazioni domestiche, triplice voto di povertà, castità ed obbedienza, necessità di sottoporsi a pratiche di esorcismo). Ma secondo il Collegio, tali condotte non sareb-bero state poste in essere con coscienza e volontà dalla don-na e quindi alla stessa imputabili, in quanto causate da una coartazione esterna o estranea alla sua persona e quindi non volute e non intese nei loro effetti dalla donna.

In altri termini, come si legge nel testo della motivazione, la donna sarebbe stata “agita”, per cui le numerose manifestazio-ni di “ossessione religiosa e i comportamenti compulsivi” “disturbi di carattere spirituale”, sarebbero state frutto, come dichiarato dai testimoni escussi, da “fenomeni esterni e non dipendenti dal-la sua volontà”.

Come affermano i Giudici del Tribunale di Milano, queste strane ed inspiegabili condotte, risultano tutte confermate dall’istruttoria processuale ma anche dalla stessa signora che “lungi dal respingere i fatti descritti dal marito, ha dichiarato che non gradiva parlarne, peraltro confermando la veridicità mate-riale di alcuni di essi”, oltre che dalle numerose testimonianze tra cui i figli e la sorella della donna e un padre spirituale, il quale avrebbe riferito addirittura di fenomeni di poltergeist, verificatesi nella casa familiare.

Per il Collegio giudicante, questo vasto campionario di con-dotte è “difficilmente compatibile con i doveri nascenti dal matri-monio” e tale quindi da compromettere “l’armonia coniugale”. Sussistono pertanto le invocate violazioni dei doveri matri-moniali, ma nonostante ciò, la separazione non può essere addebitata alla signora, come chiede il marito.

Sono gli stessi Giudici che nel testo della motivazione si pongono esplicitamente la domanda, quasi immaginando gli interrogativi che si sarebbero propagati come cerchi concen-trici, all’esito della pubblicazione del provvedimento giudi-ziario: “Ma perché la separazione non può essere addebitata alla signora?”

Questa la risposta del Collegio: “perché difetta – per stessa ammissione del marito – il requisito della imputabilità soggetti-va di questi comportamenti”. E d’altronde, la Cassazione è chiara nel dire: “La dichiarazione di addebito della separazione, implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio” (Cass. n. 2584372013).

Prosegue il Tribunale meneghino: “qui la signora è altrettanto chiaratamente ‘agita’; ella non agisce consapevolmente. A prescin-dere dalla causa del suo malessere – di natura organica o meno – è la stessa difesa del resistente (n.d.r. ossia del marito) a dire che il malessere spirituale ha sicuramente provocato atroci sofferen-ze alla signora, tormenti che ‘non vi è dubbio che non siano stati direttamente voluti dalla nostra controparte come conseguenza diretta delle proprie scelte di vita’”.

Risultano inoltre allegati agli atti di parte della signora, attestazioni mediche (relazione psichiatrica e test specifici - MMPI e Rorschach), da cui si evince che “la signora non risulta affetta da alcuna conclamata patologia tale da poter spiegare i fe-nomeni da lei riferiti e, in parte osservati dal medico. In definitiva la signora non ha colpa”.

La conseguenza dell’esclusione dell’addebito e del rigetto della domanda formulata dal marito, è quindi il riconosci-mento del diritto della donna alla percezione di un assegno di mantenimento posto a carico del coniuge e quantificato in € 650,00 mensili, determinato tenendo conto della capacità economico-reddituale del marito e dello stato di disoccupa-zione della signora.

Tanto precisato, occorre interrogarsi sul perché la sentenza abbia destato cosi tanto scalpore nell’opinione pubblica e se soprattutto, tale scalpore sia fondato.

A parere di scrive, i primi commenti a caldo peraltro nem-meno troppo tecnici, sembrano essere stati alquanto fretto-losi, in quanto si è voluto trarre dalla sentenza e forse da un lemma in particolare, ossia dalla parola “agita” una conclu-sione ad effetto, molto suggestiva ma tecnicamente fuorvian-te: si è voluto far dire ai Giudici di Milano che la colpa della separazione sarebbe, della “fiera con coda aguzza” (Dante Inf. XVII) che tanto inquieta per ragioni diverse, sia i credenti che i laici!

NOte SuLL’ADDebitO: quANDO iL DiAvOLO teNtA Di mettere LO zAmPiNO… ANche NeLLe AuLe Di giuStiziALuCIA MAFFEIAvvocato in Matera e membro del Consiglio della Scuola di ONDiF

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LA giuriSPruDeNzA ANNOtAtA

Sulla base di una lettura disancorata dagli atti processuali e dall’analisi stringente della parte motiva, si è quasi voluto attribuire alla sentenza in esame, un ragionamento sillogisti-co del tipo: i comportamenti strani e inspiegabili non ricol-legabili a vizi mentali (fenomeni di poltergeist, convulsioni parossistiche ecc.) sono espressione di forze demoniache; la donna in questione, immune da vizi mentali, ha posto in esse-re condotte di tale specie; la colpa della separazione è quindi del diavolo!

Francamente una tale costruzione logica appare una gros-sa forzatura se ci si sofferma ad analizzare i criteri giuridico-processuali su cui la sentenza si è basata ed è stata motivata, seppur in maniera poco approfondita.

A sommesso parere di chi scrive, la risposta alla domanda sul perché la separazione non sia addebitabile alla donna, no-nostante lo strepitus fori che la pronuncia ha suscitato, è molto più semplice e meno fantasiosa di quanto si possa pensare, in quanto logica conseguenza dell’applicazione di determinati principi che sovrintendono e regolamentano il processo e il libero convincimento del Giudice.

I Giudici milanesi, nonostante la particolarità della vicenda, hanno applicato alcuni dei criteri che normalmente guidano il Giudice nell’adozione di un provvedimento giudiziale:

a) il principio dell’onere della prova ex art. 2697 1°comma c.c., secondo cui “Chi vuol fare valere un diritto in giudizio, deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.

In base a tale irrinunciabile principio, il marito richiedente l’addebito, aveva l’onere di provare i comportamenti costi-tuenti la violazioni dei doveri coniugali da parte della moglie e, ovviamente, il nesso causale tra tali condotte e la intollera-bilità della prosecuzione della convivenza (Cassazione civile sez. VI, 24 agosto 2016 n. 17317).

Su questo punto il marito, secondo quanto è dato compren-dere dalla motivazione della sentenza, ha fornito sì la prova dell’esistenza di condotte lesive dei doveri coniugali ex art. 143 c.c. ma nello stesso tempo ha fornito una ricostruzione insufficiente e soprattutto contraddittoria, riferendo al con-trario di condotte e fatti inspiegabili, molto dolorosi e non direttamente voluti dalla stessa moglie.

Infatti in più punti della difesa, l’uomo rende dichiarazioni contrarie alle sue stesse tesi (afferma che la moglie subisce tormenti che “non vi è dubbio non siano stati direttamente voluti come conseguenza diretta delle proprie scelte di vita”, afferma di aver assistito a fenomeni inspiegabili e impressio-nanti ecc.).

Da quanto è dato comprendere, sembra che egli non ab-bia nemmeno contestato la documentazione medica allegata dalla donna, attestante l’insussistenza di una patologia psi-chiatrica. E d’altronde, probabilmente il marito non ne ha ravvisato nemmeno l’utilità processuale, in quanto, seppur fosse stata ammessa una CTU medico-psichiatrica (che inve-ce pare non sia stata né richiesta né disposta dal Tribunale), i risultati non sarebbero stati più vantaggiosi da un punto di vista processuale.

Ed invero:– ove si fosse accertata una patologia mentale della donna,

il risultato sarebbe stato il riconoscimento di una pie-na o semi-infermità mentale, che molto probabilmente avrebbe escluso l’imputabilità di tali condotte e quindi l’addebito alla moglie;

– se al contrario, fosse stata ribadita l’assoluta capacità di intendere e di volere della donna, il risultato non sarebbe stato probabilmente diverso da quello verificatosi, visto che già la documentazione medica prodotta dalla donna ne affermava la piena capacità di intendere e di volere e, nonostante ciò, la decisione del Collegio ha ritenuto la donna non imputabile.

Ciò che ha inciso quindi in modo rilevante sulla decisione del Tribunale, al fine di rigettare la domanda di addebito in capo alla donna, è stata invece propria una contra se pronun-tiatio del marito, il quale pur avendo avanzato richiesta di ad-debito nei confronti della moglie, in modo contraddittorio e sfavorevole a sé stesso, ne ha riconosciuto la mancanza di col-pa, la sofferenza non auto-provocata, l’inspiegabilità di certe condotte, peraltro tutto suffragato dalle numerose testimo-nianze e dalle altre risultanze processuali. A ciò si è aggiunto anche il comportamento processuale della stessa donna che: “lungi dal respingere i fatti descritti dal marito, ha dichiarato che non gradiva parlarne, peraltro confermando la veridicità materia-le di alcuni di essi”.

Quindi, in base al principio di cui all’art. 2735 c.c., il Col-legio meneghino ha dato rilevanza alle c.d. ammissioni con-tenute negli scritti difensivi e sottoscritte dal procuratore ad litem con la precisazione che:

– ove sottoscritte anche dalla parte assumono il valore di dichiarazioni confessorie;

– ove al contrario risultano essere sottoscritte unicamente dal procuratore (come forse accaduto nel caso di spe-cie), sono pur sempre elementi liberamente valutabili ed apprezzabili dal Giudice per la formazione del proprio convincimento (per tutte, Cass. n. 20701/2007) od inte-granti il principio di non contestazione.

Ragion per cui le dichiarazioni del marito, sia se rese nel’am-bito dell’udienza presidenziale ex art. 707 c.p.c., sia se versate in atti tramite le deduzioni del proprio legale, hanno proba-bilmente costituito se non una vera e propria ammissione del richiedente l’addebito in ordine alla non riferibilità di certe inspiegabili condotte “poltergeist” alla coscienza e volontà della moglie, quanto meno un argomento per fondare il libero convincimento del Giudice in materia di prove libere, secon-do quanto previsto in chiave generale dall’art. 116 comma 2 c.p.c. (es. le risposte rese dalle parti in sede di interrogatorio libero ex art. 117 c.p.c. e quindi le dichiarazioni dei coniugi rese in sede di udienza presidenziale ex art. 707 c.p.c. che, pur non avendo valore confessorio, possono fornire al giudice elementi di convincimento).

D’altronde per pacifica giurisprudenza, anche l’argomento di prova può da solo essere sufficiente a fondare il convin-cimento del Giudice (tra le tante, cfr. Cass. nn. 20819/2009 e 12145/2002). E tra l’altro, per il principio di acquisizione, tutte le risultanze istruttorie, qualunque sia la parte ad ini-ziativa della quale sono state assunte, concorrono indistinta-mente alla formazione del libero convincimento del Giudice (ex pluribus e tra le ultime, cfr. Cass. n. 21909/2013), senza che la loro provenienza possa condizionare la decisione in un senso o nell’altro, e senza che possa escludersi l’utilizzabilità di una prova fornita da una parte per trarne argomenti favo-revoli alla controparte.

b) il ricorso alle presunzioni ex art. 2729 c.c., la sussistenza dei cui presupposti è riservata al Giudice di merito, ossia quei

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LA giuriSPruDeNzA ANNOtAtA

ragionamenti logici che consentono di desumere l’esistenza di un fatto ignoto muovendo da un fatto noto, ragionamenti lasciati al libero apprezzamento del Giudice.

Non si può escludere che nel caso di specie, i Giudici abbia-no potuto far ricorso alle presunzioni, quale possibile ulterio-re criterio di decisione per escludere la capacità della donna di intendere e di volere gli effetti di quei comportamenti e quindi la non riferibilità alla stessa delle condotte lesive dei doveri coniugali. Ed infatti, muovendo dai risultati dall’istrut-toria ossia dal fatto noto che la donna non risultava affetta da patologie mentali, dal fatto noto che gli strani comportamen-ti provocavano comunque atroci sofferenze e conseguenze negative anche per la stessa autrice, è ragionevole desumere che i Giudici siano giunti al fatto ignoto: quindi a ritenere, id quod plerumque accditi, che si fosse in presenza di una totale mancanza di autodeterminazione e/o di libero arbitrio da parte della donna con la conseguenza che non vi fosse l’im-putabilità, pur essendo la stessa priva di patologie mentali.

D’altronde è pacifico che quanto alla domanda di addebito … omissis… non è richiesto l’intento lesivo nella condotta del coniu-ge cui la separazione è addebitabile, ma è sufficiente la consape-volezza da parte sua della violazione dei doveri coniugali (Cass. 25843/2013).

Ebbene questa assenza di consapevolezza della violazione dei doveri coniugali, è proprio ciò che hanno ravvisato i giu-dici milanesi, in conformità a quanto richiesto dall’art. 151 c.c. ove si prevede che “la separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzio-ne della convivenza”.

La norma citata contempla quindi, quali fatti che possono rendere intollerabile la convivenza, anche fatti assolutamente indipendenti dalla volontà dei coniugi.

In tal caso il richiamo è al principio dell’imputabilità sogget-tiva ex art. 2046 c.c., ossia il requisito giuridico che assolve alla funzione preliminare di verificare se l’agente possa esse-re tenuto a rispondere delle conseguenze dannose della sua eventuale condotta colpevole. L’imputabilità è regolata, nel codice civile, all’art. 2046 che esclude la responsabilità di co-lui che, al momento in cui ha commesso il fatto, era incapace di intendere e di volere, salvo che l’incapacità non sia stata de-terminata da sua colpa. La definizione dell’imputabilità pre-sente nell’art. 2046 c.c. ricalca quella presente nell’art. 85 del c.p. e, tuttavia, diversamente dal codice penale non vengono, poi, puntualmente individuate le fattispecie di incapacità di intendere e di volere.

In sede civilistica, è dunque compito del Giudice quello di individuare, di volta in volta, se sussista l’incapacità di inten-dere e di volere dell’agente ai fini dell’imputabilità dell’evento dannoso.

Ceto, ci si potrebbe interrogare sul se i criteri sin qui ana-lizzati, che hanno condotto i Giudici ad una tale decisione, avrebbero potuto essere richiamati in modo più chiaro e con-vincente, anche perché un volta volta formatosi, il convinci-mento del Giudice va esplicitato in motivazione, dando con-to del perché sono stati ritenuti più attendibili o comunque preferibili alcuni elementi probatori rispetto ad altri, anche se non è necessaria una comparazione analitica di tutte le prove raccolte, essendo sufficiente il riferimento alle prove poste alla base della decisione, senza necessità di specifica confutazione

espressa di ogni argomentazione e rilievo contrari (fra le tan-te, Cass. n. 17097/2010), in quanto “non si richiede al Giu-dice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire un’adeguata motivazione logica dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse” (Cass. Sez. Un. n. 7930/2008).

Ci si può chiedere inoltre se, nel dubbio circa l’obiettivi-tà e fondatezza della valutazione medica fornita solo come produzione di parte dalla donna, attestante la sua capacità di intendere e di volere, il Collegio non avrebbe fatto me-glio a disporre in conformità al combinato disposto degli artt. 191 c.p.c. e 61 c.p.c., la consulenza tecnica d’ufficio che, per dottrina e giurisprudenza unanimi, è un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria), sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito (Cass. civ., sez. lavoro 4 febbraio 1999, n. 996), il quale vi ricorre quando risulta necessario, per accertare i fatti del procedimento, l’impiego di conoscenze tecniche o scientifiche particolari che vanno al di là della cultura media, e delle quali non dispone (tAruFFo, Lezioni sul processo civi-le, Comoglio-Ferri-Taruffo, il Mulino, Bologna, 2a edizione, 1995, pag. 679).

In tal caso e pur in assenza di una esplicita richiesta del-le parti, una CTU specialistica medico-psichiatrica, avrebbe potuto condurre ad un accertamento del perito super partes, nominato dal Tribunale, circa la veridicità e fondatezza della documentazione versata in atti dalla donna, in modo da avere un riscontro obiettivo sull’assenza di patologie mentali della

donna oppure se le sue capacità (di intendere e/o di volere) erano totalmente o grandemente scemate, come di solito si legge nei quesiti posti in sede giudiziale agli psichiatri.

D’altronde il fine della perizia psichiatrica, per evitare di introdurre elementi di eccessiva ambiguità all’interno del processo, è quello di valutare il grado di consapevolezza del soggetto rispetto ai fatti commessi e le eventuali interferenze patologiche che possano aver influito su tale consapevolezza. Il Giudice poi, cui spetta poi l’ultima parola da un punto di vista sia formale che sostanziale nel processo, deve valutare le risultanze peritali alla luce di ogni altra risultanza processua-le, verificando così la coerenza e, di conseguenza, l’utilità del contributo psichiatrico alla decisione finale.

Se fosse stata ammessa una tale indagine peritale, proba-bilmente si sarebbe eliminato o ridotto significativamente il dubbio sulla reale capacità o incapacità di intendere e di vole-re della donna o sul grado di capacità di autodeterminazione, o sulla sua reale volontà di produrre gli effetti di quei deter-minati comportamenti ecc., con la conseguenza che la deci-sione del Tribunale avrebbe ricevuto un crisma di maggior evidenza obiettiva e solidità. In tal caso l’istruttoria sarebbe stata completa e se all’esito, la diagnosi del perito d’ufficio fosse stata identica a quella di parte, ossia avesse escluso qua-lunque forma di patologia psichiatrica in danno della signora escludendo vizi mentali o alterazioni della capacità intellettiva o volitiva, il Tribunale avrebbe potuto comunque, nell’eserci-zio del suo potere discrezionale, disattendere le conclusioni peritali, seppur motivando sulla base di tutti i principi in-nanzi richiamati o appellandosi proprio al principio dell’in-sufficienza della prova circa la piena riferibilità alla donna dei

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suoi comportamenti, potendo quindi comunque rigettare la domanda di addebito.

D’altronde, il principio dell’onere della prova in senso og-gettivo, consente al Giudice di emettere in ogni caso una pronuncia di accoglimento o di rigetto della domanda, an-che quando nonostante l’attività probatoria svolta dalle parti – oppure in sua mancanza – egli sia rimasto nel dubbio circa la verità dei fatti.

Ma si può ragionevolmente pensare, che il Collegio milane-se non abbia ritenuto necessario ricorrere ad un tale mezzo istruttorio, a fronte di una corposa documentazione medica prodotta dalla stessa donna e chiaramente contraria al suo stesso interesse. Ed infatti, sarebbe stato molto più dubbia e sospetta, una documentazione medica che avesse attestato la presenza di patologie mentali o psichiatriche in capo alla donna, al fine di escluderne in nuce la capacità di intendere e di volere onde sottrarsi alla pronuncia di addebito, piuttosto

che affermare e provare pacificamente la sua piena capacità di intendere e di volere, come accaduto nel caso in questione. Questa considerazione ha probabilmente indotto i Giudici a non ammettere la CTU specialistica, ritenendola frustranea e superata dalla stessa prova contra se offerta dalla parte.

Certo, in attesa del passaggio in giudicato della sentenza o piuttosto di un suo gravame, la mancanza di una motivazio-ne che renda ben tracciabili questi passaggi logico-giuridici, lascia qualche dubbio in chi ne legge il decisum, non essendo stata chiarita la causa dei comportamenti inspiegabili (testual-mente nella sentenza “a prescindere dalla causa del suo males-sere, di natura organica o meno”) anche se, lungi da quanto si è voluto leggere tra le pieghe della motivazione, si ha motivo di ritenere che le suggestioni mefistofeliche siano rimaste al di fuori del perimetro motivazionale del Collegio milanese e che il diavolo… pur avendo tentato di metterci lo zampino, non ci sia riuscito!

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LA giuriSPruDeNzA ANNOtAtA

Le modifiche introdotte dal decreto legislativo 154/2013, a mezzo delle quali il legislatore delegato ha innovato, tra l’al-tro, gli artt. 147 e 148 del codice civile, in materia di doveri verso i figli e di concorso nell’onere di mantenimento, im-pongono un importante riflessione. Tale riflessione è diretta scaturigine di alcuni ultimi provvedimenti di Tribunali di merito tra cui quelli di un illuminato giudice tarantino, (in questo ambito in funzione di Giudice delegato dal Presidente del Tribunale), formatosi alla scuola pisana del diritto Dott.ssa Stefania D’Errico, che occupandosi presso la prima sezio-ne civile di Taranto da molti anni della materia specifica può essere definita per antonomasia un Giudice della famiglia. Nel caso de quo parliamo di due decreti resi in data 29.09.2015 e 14.04.2016 sollecitati su ricorsi ex art. 148 c.c. Occorre in primis evidenziare che l’attuale art. 147 c.c. recita così: “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel ri-spetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, se-condo quanto previsto dall’articolo 315-bis”. Ed invece l’art. 148 c.c. così: “I coniugi devono adempiere l’obbligo di cui all’articolo 147, secondo quanto previsto dall’articolo 316-bis”; la revisione del codice civile ad opera della citata normativa ha determi-nato l’effetto per cui la norma fondamentale in materia di doveri dei genitori nei confronti dei figli non è più rappresen-tata dall’art. 147 c.c., ma dall’art. 315 bis c.c., attualmente richiamato dalla disciplina dettata in materia di diritti ed ob-blighi scaturenti dal rapporto di coniugio, ciò proprio al fine di sancire l’unità del corpus normativo in materia di filiazione, superando ogni residua discriminazione tra figli nati nel ma-trimonio e figli nati fuori dal matrimonio; quanto all’adempi-mento degli obblighi scaturenti dalla responsabilità genito-riale, è da rilevare come la disciplina dell’art. 148 c.c., è stata integralmente trasfusa nell’art. art. 316-bis del codice civile (Art. 316-bis. Concorso nel mantenimento. I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professio-nale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli. In caso di inadempimento il presiden-te del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l’inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole. Il de-creto, notificato agli interessati ed al terzo debitore, costituisce ti-tolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica. L’opposizio-ne è regolata dalle norme relative all’opposizione al decreto di in-giunzione, in quanto applicabili. Le parti ed il terzo debitore pos-sono sempre chiedere, con le forme del processo ordinario, la mo-dificazione e la revoca del provvedimento); Il nuovo art. 316 bis

cod. civ. conferma pertanto, l’obbligo di natura sussidiaria che incombe sugli ascendenti nell’eventualità che i genitori non dispongano di mezzi sufficienti a provvedere al manteni-mento dei figli; Lo speciale procedimento monitorio ex art. 148 c.c. (oggi trasfuso nell’art. 316 bis c.c.) e l’evoluzione giurisprudenziale che ne è seguita ha ampliato notevolmente le potenzialità offerte da tale disposizione legislativa. La pre-visione normativa ha, infatti, natura composita, contenendo disposizioni sia di carattere sostanziale che processuale, tutte finalizzate all’attuazione dei principi enunciati dall’art. 30 Cost., in particolare, mentre il primo periodo del primo com-ma specifica le modalità del concorso dei genitori all’adempi-mento dell’obbligo di mantenimento dei figli, già posto dal precedente art. 147 c.c., il secondo periodo del medesimo comma, con una previsione del tutto peculiare, estende l’am-bito soggettivo degli obbligati, ponendo a carico degli ascen-denti l’obbligo di fornire ai genitori, che ne siano privi, i mez-zi necessari affinché questi stessi possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli; le statuizioni contenute nei suc-cessivi commi apprestano, infine, un efficace rimedio all’ipo-tesi di inadempimento, consentendo che attraverso l’agile strumento del decreto presidenziale, adottato previa audizio-ne dell’inadempiente e sulla base di sommarie informazioni, si ottenga il risultato del versamento diretto di una quota dei redditi dell’obbligato al coniuge o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole; la genericità delle espressioni contenute nella disposizione nor-mativa in argomento, ove non è specificato se il soggetto che viene meno ai propri obblighi sia il genitore o l’ascendente, essendo menzionato solo l’inadempiente e l’obbligato, ha consentito, invero, alla giurisprudenza un’applicazione estensiva, confermata anche in sede di giudizio di legittimità (v. Corte Cost., sent. n. 236 del 14.6.2002, in Banca dati De Jure); la norma può, pertanto, secondo la più recente inter-pretazione, essere utilizzata sia come mero strumento di di-strazione dei redditi, mediante il trasferimento coatto del credito attuato con l’ordine al terzo debitore dell’obbligato di versare quanto dovuto direttamente all’altro coniuge o a chi sopporta le spese di mantenimento, sia per ottenere la con-danna del coniuge o degli ascendenti al pagamento delle somme necessarie al mantenimento dei minori, indipenden-temente dall’esistenza di crediti verso terzi, poiché la ratio della disposizione normativa è fondamentalmente quella di assicurare alla prole con la dovuta celerità i mezzi necessari al suo mantenimento ed il predetto fine può essere raggiunto mediante le due indicate modalità, una volta individuati i soggetti obbligati; lo strumento processuale in esame, appli-cabile anche nei confronti dei genitori e ascendenti naturali ed esperibile anche direttamente nei confronti del solo obbli-gato (coniuge, genitore naturale o ascendente) inadempiente agli obblighi di mantenimento nei confronti della prole, o dei discendenti, consente, quindi, di imporre all’obbligato il pa-

LetturA OrieNtAtA DeLL’Art. 316 biS c.c., NOtA A Due Decreti DeL 2015 e 2016 DeL tribuNALe Di tArANtOMARIA BEATRICE MARAnòRappresentante della Sezione di Taranto di ONDiF

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gamento di una somma a favore dell’altro genitore o comun-que di chi sopporta le spese per il mantenimento ed educa-zione della prole (v. Trib. Messina, 10.5.1991 in Banca dati De Jure); infine, poiché l’obbligo di mantenimento dei figli minori, matrimoniali e non matrimoniali, che spetta fonda-mentalmente ai genitori in solido tra loro, nel caso in cui ciò non sia possibile grava sugli ascendenti, in ordine di prossi-mità (cfr. Cass. 23.3.1995, n. 3402in Banca dati De Jure), al fine di determinare in concreto la misura del contributo do-vuto è necessario procedere ad una valutazione comparativa della situazione patrimoniale e reddituale degli obbligati; sul-la scorta di tale ricostruzione, e segnatamente individuata la ratio della norma nell’esigenza di assicurare alla prole i mezzi necessari al suo mantenimento in modo il più possibile celere e effettivo, è evidente che, una volta positivamente accertato l’inadempimento dell’obbligato principale, alcun impedi-mento, sotto il profilo tecnico-giuridico, sussiste acché l’avente diritto pretenda l’adempimento, in luogo del genito-re che non intende ovvero non è in grado di adempiere all’obbligo di mantenimento, dagli obbligati in via sussidiaria di ogni ramo genitoriale, di norma i nonni, senza che sia pos-sibile distinguere, per evidenti ragioni di eguaglianza sostan-ziale, tra figli di genitori conviventi, separati e divorziati; in buona sostanza, in caso di impossibilità oggettiva di provve-dere al mantenimento della prole da parte dei genitori (man-canza di disponibilità finanziaria, per disoccupazione o as-senza di ogni risorsa economica); ma anche in caso di omis-sione volontaria (e dunque rifiuto) da parte di entrambi i genitori; anche solo di uno dei genitori, qualora l’altro non abbia i mezzi per provvedere da solo al mantenimento dei figli, la legge prevede la regola della sussidiarietà sancita dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20509 del 30 settem-bre 2010 (in Banca dati De Jure) secondo cui l’obbligo di mantenere i propri figli, grava sui genitori in senso primario ed integrale, sicché qualora l’uno dei due genitori non voglia o non possa adempiere, l’altro deve farvi fronte con tutte le sue risorse patrimoniali e reddituali e deve sfruttare la sua capacità di lavoro, salva comunque la possibilità di agire con-tro l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle sue condizioni economiche. Tra gli ascendenti, l’onere di mantenimento dei nipoti può poi essere ripartito in propor-zione alle rispettive capacità economico patrimoniali; e può assolvere valore anche il mantenimento “indiretto” fornito ai nipoti, ad esempio il fatto di averli accolti in casa a vivere insieme al genitore. Sintonica e molto esplicativa è l’ordinan-za di Cassazione n. 16296 del 03.08.2015 (in Banca dati De Jure). In questa sentenza la Cassazione è stata granitica nel confermare che l’onerato, papà di 35 anni ed ancora studente universitario, può benissimo ottemperare vendendo i cespiti di sua proprietà o, meglio, ricorrendo all’aiuto dei propri ge-nitori che, in quanto ascendenti, sono tenuti a mantenere il

nipote. Infatti il papà universitario risultava essere proprieta-rio di un immobile che potrebbe benissimo alienare, e può usufruire altresì degli aiuti dei propri familiari dotati, peral-tro, di buona posizione economica. Il procedimento monito-rio da utilizzare è quello dell’art. 316-bis c.c., in base al quale chiunque vi abbia interesse può chiedere che il presidente del tribunale, sentito il coniuge inadempiente e assunte somma-rie informazioni ordini che una quota dei redditi dell’obbli-gato siano versati direttamente all’altro coniuge o a chi sop-porta le spese per il mantenimento l’istruzione e l’educazione per la prole. Il presidente del tribunale deve accertare l’ina-dempimento anche solo sommariamente. Legittimato a pro-porre l’istanza è chiunque vi ha interesse e quindi, il coniuge, il genitore naturale, la comunità presso cui il minore sia rico-verato, le persone cui sia temporaneamente affidato, lo stesso figlio maggiorenne, nonché l’avo che contribuisca al mante-nimento: son così legittimati anche i nonni affidatari nei con-fronti della prole minorenne (Trib. min. Bari 9.06.2010 in Banca dati De Jure). Legittimato passivo è il coniuge o l’avo inadempiente (Trib. Taranto 4.02.2005, F.it. 05, I, 1599). Il rimedio di cui all’articolo 148 c.c. può essere legittimamente esperito anche laddove si lamenti la mera insufficienza delle somme corrisposte, posto che la disposizione normativa non contempla la necessità della ricorrenza di un inadempimento integrale (Trib. Trieste 21.03.2005, Fam., Pers. e Succ. 05, 323). Oggetto dell’ordine giudiziale di pagamento sono non solo i redditi di lavoro o di capitale ma anche quelli derivanti da trattamenti di quiescenza, rendite di vario tipo, canoni periodici – quali, ad esempio, il corrispettivo di locazioni – anche se dovuti una tantum. Per quel che concerne l’entità di pignoramento di salari o stipendi, si ritiene che sia rimesso apprezzamento del giudice. In relazione al regime delle ecce-zioni, potranno essere opposte tutte le eccezioni fondate sul rapporto di provvista, fra obbligato principale e terzo debito-re, e quelle connesse al rapporto di valuta, tra beneficiario e obbligato principale, relativamente all’esistenza e all’ammon-tare del credito. L’istanza per ottenere il pagamento si propo-ne al presidente del tribunale ordinario. La competenza per territorio compete al giudice del luogo in cui l’inadempiente ha la residenza, la dimora o il domicilio. Non sussiste, invece, alcuna competenza del tribunale dei minori. La forma dell’istanza è un ricorso a seguito del quale il giudice sente l’inadempiente, assume sommarie informazioni: non risulta, invece, necessaria la partecipazione del terzo debitore. All’esi-to del procedimento il presidente emette un decreto, conte-nente l’ordine di pagamento, che deve essere notificato al debitore e al beneficiario. Avverso questo decreto è possibile proporre opposizione secondo le norme che disciplinano l’opposizione al decreto ingiuntivo. Ulteriore sanzione del mancato mantenimento può essere la decadenza dalla potestà parentale.

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Questa non è la storia di una collaboratrice di giustizia, di una donna pentita, ma di una testimone di giustizia. La distinzio-ne è importante. Il suo incontro con la Legge ha condizionato ontologicamente la sua vita traghettandola verso una definiti-va mutazione identitaria. È difficile trovare le parole che spie-ghino cosa abbia subito questa bambina, donna, madre, nello svolgersi veloce e senza remissione di una esistenza priva di luce che percorre il solco segnato da un destino senza scam-po. Questa intervista è la memoria di tante altre donne che hanno subito vicende più o meno drammatiche, ma sono co-munque inesorabilmente prive di libero arbitrio. Non ci sarà mai happy end in queste esistenze prive di senso e quindi di parola. Trascinati dal ritmo sostenuto del libro e nel tentativo, non sempre possibile, di seguire un pensiero svincolato dalla emozione, l’attenzione si sofferma su alcune parole chiave il cui significato disvela, in realtà, una trama di irreversibile vio-lenza, cui è, in certi contesti, impossibile sottrarsi. Meridione, malavita, tradimento, vendetta.

Il contesto territoriale è il sud e quello ambientale è la “ma-fia”. Questo vocabolo, che ha origini arabe, indica il luogo della riunione e dell’adunanza. Il rimando è al vincolo tra uomini che vivono otto l’égida di “una grande famiglia”, ge-rarchicamente organizzata con un “capo”, in cui le donne ed i bambini – gli adolescenti sono già adultizzati – stazionano sempre inamovibili nell’ultimo gradino di una scala che irri-gidisce i ruoli. Tuttavia per la mafia, sotto il profilo simbolico, la donna-madre svolge un compito che ha un tema atavico e patriarcale: la generatività. La madre è la trasmissione del-la cultura mafiosa, è la prosecuzione, la generatrice di vita, l’eredità generazionale. Infatti il capo mafia è sedicente “mam-masantissima”, poiché lo stereotipo della “madre” è altro da quello della donna compagna-donna moglie.

A Maria, la protagonista del libro, non è permesso (a suon di botte) di diventare madre perché deve permanere nella subalternità. Non è rispettata, non ha individualità, non ha un’anima è in ombra, ha luce solo quando è un utile strumen-to per il suo prevaricatore. Questa donna senza parola è senza rispetto in quanto il suo aguzzino (Vito il malavitoso) non è in grado di empatizzare con lei e le infligge solo sofferenza. È paradigmatica l’esortazione del “compare di malaffare” di Vito – il mafioso senza scrupoli compagno di Maria – che, assistendo alla efferata violenza esercitata su di lei, pronuncia le seguenti parole: “o la ammazzi o la lasci stare, ma non la picchiare così”. Il racconto sottolinea l’emblema della inutilità di una vita. Maria non riesce a sfuggire al proprio destino, che è il susseguirsi degli eventi considerati come già stabiliti e determinati da una forza superiore alla volontà e al potere umani. Il “destino” diventa, in questa storia, sinonimo di fa-talità ed inevitabilità. Quella di Maria e di tante altre donne è una vita dimentica di se stessa. Ella viene trasportata dalla sponda dello stupro, potremmo dire, quasi inevitabile (se sei donna, se sei meridionale, se sei povera e se vivi in un am-

biente in odore di malavita) alla sponda della violenza fisica e psicologica durante una convivenza fatta di segmenti dolorosi in assenza di amore e in assenza di desideri. Questa è una esi-stenza fatta di mancanze ed è condizionata dall’incontro di-struttivo con la criminalità. Torna alla mente un difficile caso affrontato nel corso della professione. Una ragazzina, poco più che adolescente, si era innamora del balordo malavitoso del suo paese, da questa relazione era nata una bambina. La “love story” era stata, ovviamente, osteggiata dai genitori pre-occupati per le sorti della figlia e della nipote. Dopo numerose denuncie, senza esito – anche il padre della ragazza era stato violentemente percosso dal ragazzo – il nucleo familiare ave-va spostato il domicilio segretamente in un altro quartiere. Il giovane papà, che non aveva accettato tale “ingiusto” affronto, aveva pedinato la madre della ex compagna all’uscita dall’abi-tazione presso cui la stessa prestava attività di domestica, sca-ricandole contro un intero caricatore della pistola. La signora (poco più che quarantenne all’epoca), era stata sottoposta a numerosi e dolorosissimi interventi chirurgici che le avevano salvato la vita ma non le ferite dell’anima. Tuttavia la profonda incapacità della bambina/madre – segnata da una prospettiva futura di assoluta inconsapevolezza di sé - a discernere il bene dal male ed il giusto dall’ingiusto era apparsa evidente quan-do, ai poliziotti che inizialmente avevano deciso di metterla sotto protezione, aveva chiesto di essere accompagnata a casa per recuperare i vestiti nuovi ed un nuovo e costoso telefono cellulare. Sua madre era tra la vita e la morte. Il desiderio della “materia” aveva sopraffatto il dolore e la pietas filiale. La stessa inconsapevolezza porta la protagonista del libro a credere di aver trovato il “principe azzurro” per salvarsi da un vissuto già provato dall’angoscia.

Le crude parole di Maria, racchiudono quasi totalmente l’in-finita gamma delle possibili violenze sulle donne, nel suo caso è la vita di una donna sola che le contiene tutte. Lo stupro, l’umiliazione, lo sfruttamento sul lavoro, l’indifferenza per la sofferenza, la trappola del finto amore iniziale, le botte massa-cranti, la dipendenza economica, la segregazione, l’induzione all’aborto, la negazione della maternità, la dignità negata, la paura. Come evitare che queste strade perdute siano di non ritorno? Quale è la via di fuga possibile? Quale è l’eredità di valori trasmissibile ai figli? Vi sono nelle cronache numerose testimonianze di donne che hanno rotto il cordone ombeli-cale con la famiglia mafiosa ed hanno iniziato a parlare, ma spesso ad un prezzo altissimo. Infatti le donne “appartengo-no” al regime mafioso, non ne fanno parte. Qualcosa, tuttavia, è cambiato, infatti recentemente si sostiene la centralità della figura femminile nella struttura mafiosa. Vi sono le donne che si sostituiscono ai boss (questo fenomeno è esploso con le carcerazioni in massa di capi clan), che non possono essere formalmente affiliate e non partecipano ai riti di iniziazione. Tale criminalità al femminile è emerso in concomitanza col fenomeno del pentitismo maschile.

NON LA PicchiAre cOSì, SOLA cONtrO LA mAFiAdi Francesco minerviniMIChELA LABRIOLAAvvocato del foro do Bari e membro dell’esecutivo di ONDiF

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Ma Maria, che riesce a scappare in modo a dir poco rocam-bolesco – degno di un film di azione, ma questa è realtà -, incontra ancora una violenza, più sottile, da cui è più difficile difendersi, che è la diffidenza della diversità (quando si è sot-to il programma di protezione non ci si può esporre e bisogna mentire su se stessi, ingenerando dubbi di “doppiogiochi-smo”) ed è la vita scippata della propria identità. Ella si guar-

da allo specchio e non trova il riflesso della propria immagi-ne, ma una assenza definitiva, questa nuova condizione le ha precluso la normalità di una nuova relazione sentimentale. In conclusione l’assenza di sguardo prospettico è l’essenza della fine della nostra vita. Questi esempi eroici di esistenze, posso essere la nascita di un mondo nuovo.

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“Dove si è decretato che è vergognoso concedersi agli amanti, ciò viene stabilito per la bassezza dei legislatori, per l’arrogan-za dei dominatori, per la viltà dei sudditi” parole di Platone, con le quali, nel Simposio criticava la decisione di alcune zone dell’antica Ionia di bandire la pederastia. Ebbene si, purtrop-po, al pari di furto ed omicidio, la pedofilia, uno dei reati più abominevoli, attraversa la storia di tutta l’umanità. Possiamo trovare radici di questo fenomeno, e più in generale della vio-lenza sui bambini, anche nella mitologia greca: la storia di Pelope, il mito di Laio e Crisippo e quello di Zeus e Ganimede ne sono solo gli esempi più noti. Sul piano più propriamente storico, in genere, si fissa con Sparta l’ufficializzazione della relazione pedofila che, secondo le testimonianze di Plutarco, interessava gli adulti e i dodicenni. Perché questo riferimento storico così inquietante, prendendo carta penna e calamaio, una domenica pomeriggio di marzo? Ho terminato di leggere l’ultima fatica letteraria di Paolo Cendon “L’Orco in Canoni-ca”: un tema difficile ma trattato con profonda delicatezza, senza mai fermarsi, troppo, dietro il buco della serratura nei particolari morbosi, ma calandosi “ad inferos” nei meandri dell’animo di Anna che da bambina diventa donna, portan-dosi dietro durante tutto il percorso della adolescenza e di parte della giovinezza, i ricordi o meglio gli incubi rimossi e riemersi sotto forma di nevrosi, ansie, patologie psicofisiche, di abusi subiti in canonica ad opera di un sacerdote cosid-detto irreprensibile. Quello che colpisce in tutto il roman-zo è il ritmo della narrazione… lentissimo nei primi capitoli quando, la piccola protagonista, nell’indulgere del racconto in un susseguirsi di astuti e persuasivi adescamenti favoriti dall’orgoglio di essere stata scelta dal sacerdote per svolgere mansioni da privilegiata all’interno della parrocchia, affronta un costante combattimento interiore tra due Anna: la mag-giore quella della coscienza profonda, “la Sapientina” e quella invece che “viveva le cose reali con Don Fulvio, Annetina”; “Attenta mi raccomando” cominciava la prima; “Vediamo che intenzioni ha” era cauta la seconda… Le stesse due Anna che riemergeranno molti anni dopo quando, dopo aver rimosso il suo passato nei ricordi, la protagonista, incomincerà una psicoterapia (a causa di infinite e drammatiche conseguen-ze psicofisiche che quelle violenze le avevano lasciato, sen-za che potesse in qualche modo riuscire a risalire alla causa che aveva occultato nella sua mente), che rappresenterà una discesa “ad inferos” per risalire “ab inferiis” incontaminata e libera dal profondo peso dei suoi lutti passati. Un percorso simile a quello di Umberto Saba e trasposto nelle sue poesie, guarda caso proprio di Trieste, città adottiva dell’autore Paolo Cendon. E con quelle due Anna il terapeuta del romanzo si era imbattuto, e si era reso conto che erano come “due co-marette inclini a chiacchierare”… una l’Annettina che “viveva le cose del mondo… belle o brutte che fossero” ed “il grillo parlante… la Sapientina che incitava la prima a non fidarsi”. La narrazione cambia poi ritmo nella fase della adolescenza,

successiva agli abusi e diventa più incalzante e ancora più ve-loce nella fase della terapia ed in quella saliente dei processi, per ritornare poi lenta nel dolcissimo epilogo finale.

Il Virgilio che accompagna Anna in questo viaggio dentro se stessa ripercorrendo la commedia dantesca, nella stessa sequenza prima l’inferno, poi il purgatorio ed infine il para-diso, è il narratore del romanzo, un professore di Istituzioni di diritto privato di Pavia (l’autore è stato docente a Pavia), a cui Anna chiede la tesi di laurea su un particolare argomen-to: “Responsabilità da fatto illecito con particolare riferimen-to al danno non patrimoniale da molestie sessuali”; con lui e attraverso di lui, con una modalità narrativa di inizio che è antichissima (la ritroviamo nell’Eneide), e cioè in “medias res”, Anna ripercorre il suo dramma. Un viaggio dentro di sé che, a prescindere dalla causa specifica (abusi sessuali), può percorrere ognuno di noi, per comprendere piccole o grandi nevrosi, difficoltà relazionali e angosce esistenziali che spesso concretizzano un profondo “male di vivere”, che accompa-gna la nostra vita. Un percorso che un po’ quello del γνῶθι σεαυτόν, (“conosci te stesso”) socratico il cui filo di Arianna è la stessa volontà di Anna… Una bambina che sembra nata già donna…: “ho fatto sempre in modo di cavarmela da sola” dice nell’interrogatorio durante il processo: “i segreti con Don Fulvio meglio non uscissero dalla canonica. Fuori doveva re-stare l’Anna di sempre”. Ma la domanda inquietante è cosa fosse scattato nella testa della piccola Anna, anzi di “Annetti-na” per non ascoltare l’altra Anna “la Sapientina”…: “mi ero sentita capita; non sapevo cosa cercavo, pensavo lì di trovar-lo”, riferisce Anna durante l’interrogatorio al processo, precisa il narratore: “Si era spalancata una porta quello che vedeva era invitante”; pensava Anna: “Uno in grado di prendersi cura di una bambina irrequieta”; continua il narratore: “Aveva let-to tremila libri più di lei”, prosegue Anna: “La stima verso il predicatore non è finita mai, in un certo senso come se i due lati del cappellano, quello spirituale e quello animalesco, si fossero intrecciati tra loro. Non più Don Fulvio che amplia-va i miei orizzonti, da una parte, e quello che mi insidiava, dall’altra. Un tutto unico ormai”. La famiglia di Anna quasi in ombra durante tutto il romanzo evidenzia la presenza di due splendide persone. Così dice ad Anna il professore di Pavia che raccoglie le sue confessione, narratore e deus ex machina di tutto il romanzo: “Sua madre per prima le è stata vicina in ogni frangente, lo è anche oggi. Può voltarsi indietro, sempre la ritrova: chi c’è lì all’uscita dell’asilo, a quattro anni? Chi le aveva cucito quel vestitino rosso a sette anni, per la festa di compleanno? Ed i cerotti, le svendite, il talco le sorprese?… Suo padre lo stesso… nove anni quattordici, quando mai non era là? Alberi di ciliegie, visite ai poveri, estati all’aria aperta, fotografie da sviluppare…”. Splendide persone ma forse poco un unicum, forse poco famiglia e ciò si intravede in quella strana separazione a causa della condotta dello zio. Un’amica ottima terapeuta guarda caso dal nome “Paola” come Cendon

“L’OrcO iN cANONicA”: uN viAggiO DeNtrO Se SteSSiLettura del romanzo verità scritto dal prof. Paolo cendonMARIA BEATRICE MARAnòRappresentante della sezione di Taranto di ONDiF

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ebbe a dirmi, una volta, per un bambino non è tanto impor-tante l’amore che riceve dalle singole persone quanto quello che respira dal contesto familiare: è questo ciò che è famiglia. Forse Anna pur avendo avuto due splendidi genitori non ave-va una vera famiglia intorno a sé: è questo lo ha resa fragile desiderosa di essere ascoltata. E Dio in tutto questo? “Non mi ha aiutata, poteva farlo, mi ha abbandonata al mio destino”, dice al professore: “Da anni continuo a dirmelo. Gesù aveva trentatré anni quando è stato lasciato solo dal Padre, per breve tempo poi; io poco più di otto anni, ero indifesa, sono rimasta così fino alla terza media… Se una reazione manca vuol dire che non ci sei là in alto, comunque che non te ne importa; il che significa che non sei un vero Dio”.

Di grande spessore è Luca, il fidanzato della piccola pro-tagonista, instancabile nella pazienza e nella dedizione di-mostrata che le regalerà la sorpresa finale del romanzo… la sorpresa della redenzione… forse Anna non lo ama (imparare ad amare è una luce che nel romanzo si intravede, ma solo in lontananza… tante urgenze necessarie alla vita prima di poter imparare ad amare dal profondo dell’anima). Combattive le due donne giuriste: il P.M. e l’Avvocato, sulla stessa lunghezza d’onda. Squallide le figure di secondo piano che con l’omertà coprono la condotta del sacerdote. Un uomo, Don Fulvio, che è rappresentato con una metafora fortemente evocativa: come un gabbiano (attenzione non un’aquila, palesemente rapace ma un candido gabbiano che, innocuo, rapisce un passero): “Mentre stava lì al sole, su una panchina, ecco la scena. Un grosso volatile era planato dall’alto, un gabbiano le sembrava scendendo dietro un gruppo di passeri che beccavano assorti fra le pietre: piano piano si era avvicinato. Con uno scatto aveva allungato il collo, afferrando uno degli uccellini nel becco stringendolo in una morsa senza uscita; pago del bot-tino si era volto ad aprire le ali, sbattendole lentamente nel prendere l’aria. Anna a distanza di pochi metri, c’era stato appena il tempo di scorgere il capo del passero, vivo ancora, che ricambiava il suo sguardo, da dentro la tenaglia in cui era imprigionato, mentre il volo del predatore già saliva, era come se dicesse: “cos’è andata, mi porterà in alto adesso, sarò pre-sto inghiottito, qui la mia vita finisce”; Don Fulvio, tuttavia, è nello stesso tempo un sacerdote capace di leggere pagine come l’Epitaffio di George Gray dall’Antologia di Spoon River (Edgar Lee Masters): “Molte volte ho studiato la lapide che mi hanno scolpito: una barca con vele ammainate, in un porto. In realtà non è questa la mia destinazione, ma la mia vita. Poiché l’amore mi si offrì ed io mi ritrassi dal suo inganno; il dolore bussò alla mia porta ed io ebbi paura; l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti. Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita. E adesso so che bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino, dovunque spingano la barca. Dare un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è tortura dell’in-quietudine e del vano desidero; è una barca che anela al mare eppure lo teme”. Don Fulvio in fondo è una vittima esso stesso come tutti coloro che si macchiano di colpe così indicibili, sono persone malate e la loro malattia è come nell’Edipo re “ρίζες αιματηρή”: una radice insanguinata… le colpe dei padri che ricadono sui figli.

Ho conosciuto il prof. Cendon ai tempi dei miei studi uni-versitari in occasione di una trasferta da Siena a Firenze e nel corso della professione ha spesso accompagnato i miei appro-fondimenti in materia di danno. La sua borsa di “Miss Flite”,

parafrasando un noto romanzo di Bruno Cavallone, scritto ricordando la simpatica signora di Dickens in “Bleak House”, è ricca di carte scritte con la penna del giurista che nasconde il cuore del letterato e che, scavando nei meandri del processo, chiacchiera con i mostri sacri della letteratura. Lo ricordo in uno scritto di un po’ di anni fa pubblicato in una nota rivi-sta giuridica in cui, per evidenziare l’incapacità dei “baremes” sul danno esistenziale di risarcire, con pienezza, il danno ad un seno, si addentrò nel racconto di una novella di Guy de Maupassant, “Idillio” che narrava la storia di un soldato salito sulla carrozza di un treno che, affamato, incontra una balia e si sfama con avido desiderio collegato al bisogno ancestrale di fame, ma forse anche di affetto, al seno di quella donna. E Maupassant legge pure Anna, la protagonista del romanzo, proprio nel suo viaggio di ritorno finale. “L’Orco in Canonica” a prescindere dal tema è un viaggio per riflettere su quanto la nostra storia e la nostra famiglia detti le regole del nostro fu-turo… e per quanto la vita ci faccia cadere… spesso ci aspetta (parafrasando una canzone di moda in questi giorni) per rial-zarci e proseguire più forti e coraggiosi di prima. Insieme ad Anna, su suggerimento dal narratore, per tutti gli avvenimenti che ci procurano dolore impariamo a perdonare ma soprat-tutto a perdonare noi stessi, a fare la pace con noi stessi e a chiederci: “se accanto ai lati brutti, di una certa presenza, ce ne sono anche di belli, numerosi abbastanza da bilanciare i primi”… cercando di “distinguere tra compensazione di tipo interno e compensazione di tipo esterna… la prima è quando uno dice: hai qualche qualità, accanto ai difetti quindi non ti butto giù dalla torre. La seconda, invece: virtù ne hai poche, nessuna anzi, per ragioni mie però che non c’entrano con te, faccio tornare i conti lo stesso: e non ti butto”. Impariamo a guardare avanti, come ci insegna Cendon, accorgendoci dei gorghi che si formano lungo il fiume della nostra vita… “al centro della corrente ogni cosa è trascinata verso il fondo: l’acqua più torbida fra i piloni, scura e limacciosa, il rumore è quello di un risucchio, frshhh…”. Guarda caso nel 1982, nei racconti di “Comme l’eau qui coule”, in cui si narra (in parti-colare nei primi due: Anna Soror e Un uomo oscuro), di amori malati, Marguerite Yourcenar aveva proprio scritto: “Strana condizione è quella dell’intera esistenza, in cui tutto fluisce come l’acqua che scorre, ma in cui, soli, i fatti che hanno con-tato, invece di depositarsi sul fondo, emergono alla superficie e raggiungono con noi il mare”. Anna come Marianna nel “La lunga vita di Marianna Ucria” di Dacia Maraini e come Usep-pe del “La storia” di Elsa Morante, è vittima di violenza ma, a differenza di Useppe che morirà stroncato da una grave forma di epilessia, tanto Anna che Marianna trasformano la loro me-nomazione in una fonte di affinamento fisico ed intellettuale: “che”, scrive la Maraini per Marianna: “vorrebbe tornare in-dietro ma ha anche troppo voglia di riprendere il camino, di percorrere la strada del suo destino fino alla fine interrogando i suoi silenzi… interrotti solo una notte da un assurdo grido agghiacciante che traduce finalmente la memoria di ciò che fu…”. Per Anna le violenze sono ripetute ed iniziano molto tempo prima dei suoi tredici anni(come invece accade per Marianna) e quest’ultima prima di Marianna si assolda dalla dipendenza emotiva del suo “Orco”. In questo viaggio, in cui la razionalità del giurista cede il passo alla sensibilità dell’uo-mo, Paolo Cendon è il notaio di Anna, come lo definisce lei stessa, ma diventa il notaio di ognuno di noi perché ogni

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qualvolta passiamo in mezzo all’Inferno (e spesso lo facciamo senza la fortuna di una guida come Virgilio), al termine del viaggio ad inferos per risale ab inferiis incontaminati e liberi, dobbiamo e possiamo come dice il narratore (lo fa dire ad Anna, ma lo dice al lettore), impartire ordini alla nostra ani-ma: “Tu lieve che sei come pensiero rimani pure. Tu vedremo, tu scompari. Tu che sei fresco entra un po’ meglio e allargati”.

L’esortazione finale è quella del titanismo leopardiano, esortazione a vivere come Prometeo e come la ginestra ed è l’augurio dell’Esterina di Montale, nel “Falsetto” a tuffarsi, comunque sia andata, nel mare della vita perché “un pezzo di suolo non erbato” si possa spaccare per far nascere una margherita.

Lettura altamente consigliata.

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Il punto di partenza della monografia di Barbara Poliseno, studiosa del processo civile della Scuola barese, allieva del Prof. Giorgio Costantino, muove dalla constatazione che la tutela nel processo civile del minore, quale “soggetto debole della vita di relazione”, varia a seconda della situazione so-stanziale tutelanda: difatti, mentre nei processi in materia di status, il minore è parte in senso sostanziale e processuale, nei processi diretti ad incidere (anche) su suoi diritti o sull’eser-cizio degli stessi, egli riveste, invece, un ruolo di parte sui generis.

In entrambe le categorie di controversie, ma con particola-re riguardo alla seconda, ove il mancato riconoscimento ex lege della qualità di parte al minore ne depaupera, quanto-meno formalmente, i relativi poteri, l’esigenza di equilibrare le posizioni soggettive coinvolte e di garantire comunque al minore, quale soggetto giuridico processuale, la salvaguardia della sua sfera sostanziale, introduce la riflessione sul quomo-do di una tutela per quanto possibile effettiva. Sennonché, la difficoltà di segnalare le criticità all’interno della pluralità di processi minorili e di individuarne per ognuno di essi i correttivi astrattamente ipotizzabili, conduce l’indagine verso l’individuazione di quelle che l’Autrice definisce le tecniche processuali “minime” al fine di garantire al minore la “giusta” partecipazione al processo.

La concentrazione delle tutele in capo ad un unico giudice costituisce, in astratto, un utile espediente per una soluzione del conflitto familiare nel suo complesso e per l’attuazione dei provvedimenti, di natura personale o economica, resi a tutela del minore in via provvisoria o definitiva.

Nei processi in cui il minore è parte, l’esercizio della rap-presentanza legale di coloro i quali ne esercitano la respon-sabilità genitoriale, ovvero dei soggetti chiamati a sostituirli, rappresenta un segmento essenziale a fronte dello stato di soggezione in cui versa il minore nei confronti dell’adulto, e, al contempo, ne configura i margini di una tutela autonoma rispetto ai diversi e molteplici diritti o status sui quali il pro-cesso incide.

La salvaguardia del diritto alla difesa tecnica, costituzional-mente garantito, impone, inoltre, di calibrarne la portata ri-spetto al soggetto minore di età che, pur investito del conflitto familiare, resta privo della capacità di agire.

Infine, l’approfondimento dell’istituto dell’ascolto, finalizza-to ad adeguare la decisione del giudice al benessere reale ed effettivo del bambino, consente di individuarne i profili di tutela anche là dove il minore non abbia formalmente preso parte al processo.

A causa della frammentazione e della evanescenza del tes-suto normativo, il quadro di riferimento complessivo appare

assai lacunoso e presenta molteplici profili di incerta inter-pretazione anche con riferimento alle tecniche di attuazione dei provvedimenti del giudice volti a incidere sulla sua sfera sostanziale.

Se per i provvedimenti a contenuto patrimoniale le forme processuali della esecuzione forzata e le tecniche di tutela privilegiata del credito sembrano soddisfare le garanzie poste alla base del principio di effettività giurisdizionale, per i prov-vedimenti a contenuto non patrimoniale, l’opera si propone di condurre a unità sistematica i punti di arrivo del legislato-re, della dottrina e della giurisprudenza al fine di predeter-minare un impianto attuativo “prosecutorio” della cognizione processuale ove sia lo stesso giudice del merito chiamato a provvedere e a regolarne la dovuta duttilità.

Claudio Cecchella

BarBara Poliseno PRofiLi Di tuteLa DeL minoRe neL PRoCeSSo CiviLeNapoli, 2017, pp. XIII-513, € 58,00

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