Io sono il mio grido dmag

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La mostra "Io sono il mio grido" dedicata alla violenza sulle donne raccontata da me

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Io sono il mio GridoArtisti contro la violenza alla Pinacoteca Albertina

di Irene Perino

Un richiamo. Un grido d’aiuto. Nella rumorosa Torino illuminata e riscaldata dal sole di agosto una voce femminile ha cercato disperatamente di

attirare la mia attenzione.

Là, nel tempio della pittura e della scultura voluto da Vittorio Amedeo III nel 1778 – la meravigliosa Pinacoteca Albertina – mi ritrovo donna tra le

donne. Io sono il mio grido – Artisti contro la violenza sulle donne è la mostra proveniente dalla Sala delle Capriate di Palazzo Sant’Elia di Palermo,

a cura della Fondazione Sant’Elia, della Provincia di Palermo e con il patrocinio dell’Arma dei Carabinieri, presentata nel marzo del 2014.

La collettiva tutta al femminile mi ha adulata e sedotta, con le sue forme sinuose e i suoi colori vibranti. Ma poi mi ha colpito alle spalle, ancora e

ancora, quando meno me lo sarei aspettata.

E quando mi sono di nuovo fidata di lei, delle sue immagini e delle sue forme, donandole la mia più sincera attenzione, ecco che mi ha ancora offesa,

derisa, colpita.

Come in un rapporto d’amore che poi tale non è, Io sono il mio grido è un viaggio nel vortice della distruzione dell’oggetto amato. Nelle sale della

Pinacoteca Albertina si narrano, prendendo a prestito le parole di Laura Oddo, “Storie tracciate da passioni inconfessabili, declinate dalla bramosia

del possesso che annienta ogni sentimento d’amore” verso la donna che è mero oggetto del desiderio del suo amico e nemico: l’uomo.

Che sia padre, amante, fratello o amico, il maschio predatore è un cacciatore senza scrupoli che dilania la sua vittima per la sola paura di perderla.

La distruzione come metafora dell’immortalità dell’Amore è il tema di questa dolorosamente splendida mostra curata da Laura Oddo, Liliana

Paganini e Francesca Taormina.

Venti artiste, di varia provenienza e diversi linguaggi artistici, si sono coraggiosamente calate nel baratro della violenza alle loro simili.

Scrisse Lev Tolstoj che l’arte deve sopprimere la violenza. Ed è forse questo il fine di questa mostra, allestita all’interno della culla di molti artisti

torinesi e non che riveste così un ruolo ancora più importante ed educativo.

Può l’arte denunciare la violenza e lanciare un grido d’aiuto? Può. E lo fa nelle sale che ospitano i capolavori del Quattro e Cinquecento di scuola

fiorentina e piemontese appesi – sembra quasi uno scherzo del destino – su pareti di colore rosso, il colore del sangue di cui raccontano le opere

ospiti fino al 30 agosto 2014.

All’interno di cornici in cartone, quasi ad intralciare il cammino di chi passeggia tra le sale della Pinacoteca e vorrebbe, forse, far finta di non vedere,

le opere gridano e ci chiamano, mettendoci come di fronte ad uno specchio.

Io sono il mio grido, dicono. E nel fissarle, quasi riflettendoci in esse, ecco che diventiamo amplificatori di quel grido così forte.

“Voglio fuggire ma non riesco. Voglio piangere. Voglio morire”.

Mi viene un groppo in gola nel leggere i desideri di Laura Valle e la sua opera, Voglio. Ma se le cose devono cambiare, dobbiamo imparare a fare quel

che ci consiglia Claudia Tamburelli, prendendo in prestito le parole del Mahatma Gandhi: “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”-

Nel quadro, la figura fiera e definita di una donna si staglia sullo sfondo rosso sangue. L’ombra di lei, la sua immagine nel passato, appare ormai

lontana. La donna ha iniziato il suo cambiamento e la sua rivoluzione.

Perché negare non è la soluzione. Nel quadro di Anna Lei Santarcangeli i colori accesi non bastano a celare il buio. Il nero si mangia tutto. Allo

stesso modo, forse, un sorriso è il patetico tentativo di nascondere il nero che come la notte si mangia la nostra esistenza, dilaniata dalla violenza.

La paura infatti mangia l’anima, come ci racconta Agnese Ricchi nella sua opera, un collage di disegni e tempere infantili. Nessuno meglio di un

bambino sa rappresentare con così pochi tratti la Paura. Immagini nere si affacciano minacciose da un candido foglio bianco. Al centro c’è un vortice

arancione in cui sembra intravedersi un teschio, presagio di morte.

“Ogni singola forma è memoria sospesa di un tempo che è stato violenza”, scrive Kali Jones. E la sua installazione, così fragile eppur così potente, mi

commuove.

A chiudere la mostra, i monologhi scritti per la mostra di Palermo, riuniti in un video che ferma il cuore.

A parlare è il dolore di donne diverse: la bambine abusate dal padre, la compagna accusata di tradimento ed uccisa, l’amante incinta che deve essere

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eliminata, la madre di uno stupratore schiacciata dai sensi di colpa.

E poi l’omaggio la leggiadra opera di Ugo Li Puma, Las Mariposas, una scultura dinamica in cartone che omaggia tutte le donne del mondo

ricordando le sorelle Mirabal, torturate e uccise a Santo Domingo il 25 Novembre del 1960.

Una data in cui, oggi, si celebra la Gionata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

DMAG è un periodico quattordicinale on line registrato al Tribunale di Torino con il n° 6 del 4 gennaio 2011 | Contact Us