IO, IL DESERTO, IL SILENZIO E LE MIE GAMBE · 2018. 11. 5. · gi¿ nelle gambe i chilometri ne -...

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Insieme a lei Arianna Bian- chini, Eleonora Suizzo, France- sca Valassi, Federica Verdoya. Un’esperienza unica – mai nes- suna corsa era stata organizzata prima nel deserto del Negev -, che per le cinque ragazze non è stata solo sportiva ma anche, e soprattutto, umana. Elisa, come ti sei preparata a questa avventura? Non ho pensato ad una prepa- razione particolare e non vo- levo forzare, perché il mio gi- nocchio ultimamente mi ha da- to un po’ di problemi; più che alla velocità ho pensato a met- tere un po’ di chilometri nelle gambe, così ogni giorno corre- vo 10-15 km, senza recupero. In più ho fatto molti esercizi di yoga e pilates per allentare le tensioni muscolari. E in effetti la scelta ha pagato. Tu ami correre in monta- gna, ma il deserto non era per te un ambiente total- mente nuovo. E’ vero. Anni fa, appena laurea- ta, ho vissuto e lavorato per un anno a Damasco, negli scavi ar- cheologici. Ho ritrovato un’at - mosfera molto simile e paesag- gi quasi identici, anche se al- l’epoca, per ovvi motivi, non avevo potuto correre granché. E queste quattro tappe nel deserto del Negev come sono state? La prima è servita per capire in che tipo di ambiente avremmo dovuto correre, non sapevamo bene cosa aspettarci. Faceva molto caldo, c’era un vento paz- zesco e un’aria molto asciutta, quindi si respirava a fatica. Si- curamente un clima molto di- verso da quello in cui sono abi- tuata a correre. Dalla seconda tappa abbiamo corso separate, ognuna con il suo tempo, io e Federica davanti, ma cercando di restare sempre a vista per le altre. In fondo eravamo nel de- serto, in autosufficienza, vole- vamo comunque restare unite, per quanto possibile, e farci co- raggio a vicenda. La terza tappa è stata in assoluto la più dura, con 8 km di salite continue. E io di solito amo le salite! Dopo quella, non sapevamo cosa aspettarci. Invece l’ultima tap- pa di è rivelata molto più fat- tibile: l’abbiamo affrontata in scioltezza ed è volata via senza pensieri. A pochi km dall’arrivo ci siamo addirittura messe a ballare! Abbiamo deciso di cor- rerla tutte insieme, e arrivare insieme al traguardo. Alla fine nessuna correva contro le altre, per tutte è stata una sfida con noi stesse. Qual è stato il momento più difficile? La terza tappa, quando mi sono trovata sola e con pochissima acqua. Ma alla fine mi è basta- ta. E il più emozionante? La seconda tappa, con l’arrivo al tramonto. Uno scenario spet- tacolare. Una volta arrivate ab- biamo aspettato Eleonora e l’abbiamo abbracciata: lei si è messa a piangere e noi eravamo felicissime di averla in qualche modo trascinata fino al tra- guardo. Tutta questa avventu- ra, comunque, è stata bellissi- ma e l’organizzazione perfetta. Ritrovarsi a tu per tu con i co- lori del deserto, nel silenzio più assoluto… Qualunque cosa suc- ceda, è un’esperienza incredi- bile che nessuno potrà mai to- glierci e che ci accompagnerà sempre. E tornare alla realtà sa- rà stranissimo! Per quanto mi riguarda, avendo ormai avviato la mia carriera professionale nel mondo dell’attività sportiva, spero che sia so- lo la prima di tante oppor- tunità legate a questo set- tore». Di certo questa esperienza l’ha portata a guardare avanti, verso nuovi obiettivi. Quali? «Correre la mia prima mara- tona. Lo dico piano, perché ogni volta che ho provato a pre- pararne una ho finito con il far- mi male. Però dopo 80 km in quattro giorni, credo di avere già nelle gambe i chilometri ne- cessari per provarci. Non so an- cora quale, ma mi piacerebbe correrla con Eleonora, una del- le ragazze con cui ho corso nel deserto. Farla con lei sarebbe bellissimo. Ecco, una cosa che ho imparato da questa esperienza è che le donne sanno fare squadra e correre insieme senza compe- tizione, ma sostenendosi a vi- cenda. © RIPRODUZIONE RISERVATA Reduce dal Donna Moderna Negev Adventure: «Le donne sanno fare squadra e correre sostenendosi a vicenda» Chi è Doppia laurea, sogna la maratona p Elisa Adorni, 37 anni, è dot- toressa in Architettura e lau- reata in Scienze Motorie, col- labora con il reparto di Geria- tria dell’Ospedale Maggiore per la riabilitazione dei pazienti anziani, e inoltre fa parte del gruppo degli Asics Frontrunner italiani. Atleta del Circolo Mi- nerva, sogna di correre presto la sua prima maratona. p Io sono Una (Una, Add Editore, 208 pagine). È lo struggente me- moir dell’arista inglese Una che, grazie alla forza dell’arte, ci con- segna una potente denuncia della violenza di genere: un acclamato manifesto grafico per la dignità femminile, un urlo per conto di tutte le donne del mondo e... un pugno nello stomaco ai maschi violenti! La storia: siamo nel 1977 e Una ha dodici anni. In quel pe- riodo, nello Yorkshire, un inaffer- rabile Squartatore miete vittime occupando le prime pagine dei gior- nali. Alle ragazze si consiglia «di ve- stire in modo non appariscente» e «di comportarsi in modo consono», in un cortocircuito secondo cui le vittime sono colpevoli della violenza subita. Vittima essa stessa di un abuso, Una, da ragazza sicura di sé, impara ad abbassare lo sguardo e, sola, impo- tente e piena di vergogna tanto da credere di essere «guasta», è costretta a fare i conti prima con il mondo che non sa ascoltare, poi con le proprie ferite. La storia di Una - «il mio nome è Una, una di molte» - si inserisce in un contesto di desolante misoginia, esplorando la responsabilità sociale di una cultura in cui l’arroganza ma- schile rimane incontrastata, mentre la solitudine alla quale è condannata la vittima si trasforma in ulteriore violenza. m.r. p Secondo l’Asso - ciazione Nazionale Di.Te, che si occupa di dipendenze tec- nologiche e cyber- bullismo, in Italia sono distratti dal cellulare quattro ge- nitori su dieci: intenti a smanettare con lo smartphone, prestano poca attenzio- ne ai figli. Tra le tante distrazioni, anche le amate, odiate, tollerate, abusate o si- lenziate da qui all’eternità... chat di clas- se! Gioia e dolore dell’era dei social, non c’è quasi mamma che non debba farci i conti. Sono poche, infatti, le coraggiose che ne rifiutano l’uso, accettando di rimanere felicemente distaccate dalle manie e dai tormenti delle altre mam- me. Ultima moda tra le madri contem- poranee, possono trasformarsi però in un incubo per chi non sa sottrarsi alla pioggia di notifiche. E, parimenti, pos- sono essere la fonte di dissidi: ragion per cui i presidi di alcune scuole ne hanno chiesto l’abolizione. Cancellar- ne l’esistenza, tuttavia, sarebbe ana- cronistico ed è il motivo per cui in ogni dove proliferano i consigli per usarle correttamente e per resistere alla ma- nia complusiva del rispondere sempre e comunque, con ripercussioni sul rapporto mamma-bimbo. Non a caso, oggi sono i piccoli a chiedere alle loro mamme di limitarne l’uso: a rivelarlo uno studio dell’inglese «Digital Awa- reness UK». m.r. Comunicazione comune di Parma il 22/09/2018 CHIUDE SVENDE TUTTO SCONTI REALI FINO AL 80% VASTO ASSORTIMENTO TAGLIE COMODE Via Carducci 14/B Parma Tel. 0521 281373 Donna Luisa Viola Katia Ricciarelli Carla Ferroni Donna Futura Donna Amica El Internationale Isanna Le Morbide Ellei Gabriella Rossignoli Maglificio MG

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50 SFUMATURE DI MAMMA

Le chat di classe,gioia e dolore delle mammeUn servizio o un incubo?

IL LIBRO

«Io sono Una»,un urlo per conto di tuttele donne del mondo

L'intervista pELISA ADORNI

IO, IL DESERTO,IL SILENZIOE LE MIE GAMBE

LAURA UGOLOTTI

pUna corsa nel deserto del Ne-gev: 80 km, in quattro tappe. Trale cinque donne selezionate peril progetto «Donna modernaNegev Adventure», organizzatodal magazine Donna Modernainsieme all’Ufficio Nazionaleisraeliano del Turismo, c’e raanche la parmigiana Elisa Ador-ni, atleta del Circolo Minerva,selezionata tra oltre 320 richie-ste. Insieme a lei Arianna Bian-chini, Eleonora Suizzo, France-sca Valassi, Federica Verdoya.Un’esperienza unica – mai nes-suna corsa era stata organizzataprima nel deserto del Negev -,che per le cinque ragazze non èstata solo sportiva ma anche, esoprattutto, umana.

Elisa, come ti sei preparata aquesta avventura?Non ho pensato ad una prepa-razione particolare e non vo-levo forzare, perché il mio gi-nocchio ultimamente mi ha da-to un po’ di problemi; più chealla velocità ho pensato a met-tere un po’ di chilometri nellegambe, così ogni giorno corre-vo 10-15 km, senza recupero. Inpiù ho fatto molti esercizi diyoga e pilates per allentare letensioni muscolari. E in effettila scelta ha pagato.

Tu ami correre in monta-gna, ma il deserto non eraper te un ambiente total-mente nuovo.E’ vero. Anni fa, appena laurea-ta, ho vissuto e lavorato per unanno a Damasco, negli scavi ar-cheologici. Ho ritrovato un’at -mosfera molto simile e paesag-gi quasi identici, anche se al-l’epoca, per ovvi motivi, nonavevo potuto correre granché.

E queste quattro tappe neldeserto del Negev come sonos tate?La prima è servita per capire inche tipo di ambiente avremmodovuto correre, non sapevamobene cosa aspettarci. Facevamolto caldo, c’era un vento paz-zesco e un’aria molto asciutta,quindi si respirava a fatica. Si-curamente un clima molto di-verso da quello in cui sono abi-tuata a correre. Dalla secondatappa abbiamo corso separate,ognuna con il suo tempo, io eFederica davanti, ma cercandodi restare sempre a vista per lealtre. In fondo eravamo nel de-serto, in autosufficienza, vole-vamo comunque restare unite,per quanto possibile, e farci co-raggio a vicenda. La terza tappaè stata in assoluto la più dura,con 8 km di salite continue. E iodi solito amo le salite! Dopoquella, non sapevamo cosaaspettarci. Invece l’ultima tap-pa di è rivelata molto più fat-tibile: l’abbiamo affrontata inscioltezza ed è volata via senzapensieri. A pochi km dall’a r r ivoci siamo addirittura messe aballare! Abbiamo deciso di cor-rerla tutte insieme, e arrivareinsieme al traguardo. Alla finenessuna correva contro le altre,per tutte è stata una sfida connoi stesse.

Qual è stato il momento piùd i f f ic i l e?La terza tappa, quando mi sonotrovata sola e con pochissimaacqua. Ma alla fine mi è basta-ta .

E il più emozionante?La seconda tappa, con l’a r r ivoal tramonto. Uno scenario spet-tacolare. Una volta arrivate ab-biamo aspettato Eleonora el’abbiamo abbracciata: lei si èmessa a piangere e noi eravamofelicissime di averla in qualchemodo trascinata fino al tra-guardo. Tutta questa avventu-ra, comunque, è stata bellissi-ma e l’organizzazione perfetta.Ritrovarsi a tu per tu con i co-lori del deserto, nel silenzio piùa s s o luto… Qualunque cosa suc-ceda, è un’esperienza incredi-bile che nessuno potrà mai to-glierci e che ci accompagneràsempre. E tornare alla realtà sa-rà stranissimo! Per quanto miriguarda, avendo ormai avviatola mia carriera professionale

nel mondo dell’att iv i tàsportiva, spero che sia so-lo la prima di tante oppor-

tunità legate a questo set-to re » .

Di certo questa esperienzal’ha portata a guardare avanti,verso nuovi obiettivi. Quali?«Correre la mia prima mara-tona. Lo dico piano, perchéogni volta che ho provato a pre-pararne una ho finito con il far-mi male. Però dopo 80 km inquattro giorni, credo di averegià nelle gambe i chilometri ne-cessari per provarci. Non so an-cora quale, ma mi piacerebbecorrerla con Eleonora, una del-le ragazze con cui ho corso neldeserto. Farla con lei sarebbeb e l l i s s i m o.Ecco, una cosa che ho imparatoda questa esperienza è che ledonne sanno fare squadra ecorrere insieme senza compe-tizione, ma sostenendosi a vi-cenda.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Reduce dal Donna Moderna Negev Adventure: «Le donnesanno fare squadra e correre sostenendosi a vicenda»

Chi èDoppia laurea,sogna la maratona

pElisa Adorni, 37 anni, è dot-toressa in Architettura e lau-reata in Scienze Motorie, col-labora con il reparto di Geria-tria dell’Ospedale Maggioreper la riabilitazione dei pazientianziani, e inoltre fa parte delgruppo degli Asics Frontrunneritaliani. Atleta del Circolo Mi-nerva, sogna di correre prestola sua prima maratona.

pIo sono Una (Una, Add Editore,208 pagine). È lo struggente me-moir dell’arista inglese Una che,grazie alla forza dell’arte, ci con-segna una potente denuncia dellaviolenza di genere: un acclamatomanifesto grafico per la dignitàfemminile, un urlo per conto ditutte le donne del mondo e... unpugno nello stomaco ai maschiviolenti! La storia: siamo nel 1977e Una ha dodici anni. In quel pe-riodo, nello Yorkshire, un inaffer-rabile Squartatore miete vittime

occupando le prime pagine dei gior-nali. Alle ragazze si consiglia «di ve-stire in modo non appariscente» e «dicomportarsi in modo consono», in uncortocircuito secondo cui le vittimesono colpevoli della violenza subita.Vittima essa stessa di un abuso, Una,da ragazza sicura di sé, impara adabbassare lo sguardo e, sola, impo-tente e piena di vergogna tanto dacredere di essere «guasta», è costrettaa fare i conti prima con il mondo chenon sa ascoltare, poi con le proprieferite. La storia di Una - «il mio nome èUna, una di molte» - si inserisce in uncontesto di desolante misoginia,esplorando la responsabilità socialedi una cultura in cui l’arroganza ma-schile rimane incontrastata, mentrela solitudine alla quale è condannatala vittima si trasforma in ulteriorev io l e n za . m.r.

pSecondo l’Asso -ciazione NazionaleDi.Te, che si occupadi dipendenze tec-nologiche e cyber-bullismo, in Italia

sono distratti dal cellulare quattro ge-nitori su dieci: intenti a smanettare conlo smartphone, prestano poca attenzio-ne ai figli. Tra le tante distrazioni, anchele amate, odiate, tollerate, abusate o si-lenziate da qui all’eternità... chat di clas-se! Gioia e dolore dell’era dei social, nonc’è quasi mamma che non debba farci i

conti. Sono poche, infatti, le coraggioseche ne rifiutano l’uso, accettando dirimanere felicemente distaccate dallemanie e dai tormenti delle altre mam-me. Ultima moda tra le madri contem-poranee, possono trasformarsi però inun incubo per chi non sa sottrarsi allapioggia di notifiche. E, parimenti, pos-sono essere la fonte di dissidi: ragionper cui i presidi di alcune scuole nehanno chiesto l’abolizione. Cancellar-ne l’esistenza, tuttavia, sarebbe ana-cronistico ed è il motivo per cui in ognidove proliferano i consigli per usarlecorrettamente e per resistere alla ma-nia complusiva del rispondere sempree comunque, con ripercussioni sulrapporto mamma-bimbo. Non a caso,oggi sono i piccoli a chiedere alle loromamme di limitarne l’uso: a rivelarlouno studio dell’inglese «Digital Awa-reness UK». m.r.

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