Download - IO, IL DESERTO, IL SILENZIO E LE MIE GAMBE · 2018. 11. 5. · gi¿ nelle gambe i chilometri ne - cessari per provarci. Non so an - cora quale, ma mi piacerebbe correrla con Eleonora,

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Page 1: IO, IL DESERTO, IL SILENZIO E LE MIE GAMBE · 2018. 11. 5. · gi¿ nelle gambe i chilometri ne - cessari per provarci. Non so an - cora quale, ma mi piacerebbe correrla con Eleonora,

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50 SFUMATURE DI MAMMA

Le chat di classe,gioia e dolore delle mammeUn servizio o un incubo?

IL LIBRO

«Io sono Una»,un urlo per conto di tuttele donne del mondo

L'intervista pELISA ADORNI

IO, IL DESERTO,IL SILENZIOE LE MIE GAMBE

LAURA UGOLOTTI

pUna corsa nel deserto del Ne-gev: 80 km, in quattro tappe. Trale cinque donne selezionate peril progetto «Donna modernaNegev Adventure», organizzatodal magazine Donna Modernainsieme all’Ufficio Nazionaleisraeliano del Turismo, c’e raanche la parmigiana Elisa Ador-ni, atleta del Circolo Minerva,selezionata tra oltre 320 richie-ste. Insieme a lei Arianna Bian-chini, Eleonora Suizzo, France-sca Valassi, Federica Verdoya.Un’esperienza unica – mai nes-suna corsa era stata organizzataprima nel deserto del Negev -,che per le cinque ragazze non èstata solo sportiva ma anche, esoprattutto, umana.

Elisa, come ti sei preparata aquesta avventura?Non ho pensato ad una prepa-razione particolare e non vo-levo forzare, perché il mio gi-nocchio ultimamente mi ha da-to un po’ di problemi; più chealla velocità ho pensato a met-tere un po’ di chilometri nellegambe, così ogni giorno corre-vo 10-15 km, senza recupero. Inpiù ho fatto molti esercizi diyoga e pilates per allentare letensioni muscolari. E in effettila scelta ha pagato.

Tu ami correre in monta-gna, ma il deserto non eraper te un ambiente total-mente nuovo.E’ vero. Anni fa, appena laurea-ta, ho vissuto e lavorato per unanno a Damasco, negli scavi ar-cheologici. Ho ritrovato un’at -mosfera molto simile e paesag-gi quasi identici, anche se al-l’epoca, per ovvi motivi, nonavevo potuto correre granché.

E queste quattro tappe neldeserto del Negev come sonos tate?La prima è servita per capire inche tipo di ambiente avremmodovuto correre, non sapevamobene cosa aspettarci. Facevamolto caldo, c’era un vento paz-zesco e un’aria molto asciutta,quindi si respirava a fatica. Si-curamente un clima molto di-verso da quello in cui sono abi-tuata a correre. Dalla secondatappa abbiamo corso separate,ognuna con il suo tempo, io eFederica davanti, ma cercandodi restare sempre a vista per lealtre. In fondo eravamo nel de-serto, in autosufficienza, vole-vamo comunque restare unite,per quanto possibile, e farci co-raggio a vicenda. La terza tappaè stata in assoluto la più dura,con 8 km di salite continue. E iodi solito amo le salite! Dopoquella, non sapevamo cosaaspettarci. Invece l’ultima tap-pa di è rivelata molto più fat-tibile: l’abbiamo affrontata inscioltezza ed è volata via senzapensieri. A pochi km dall’a r r ivoci siamo addirittura messe aballare! Abbiamo deciso di cor-rerla tutte insieme, e arrivareinsieme al traguardo. Alla finenessuna correva contro le altre,per tutte è stata una sfida connoi stesse.

Qual è stato il momento piùd i f f ic i l e?La terza tappa, quando mi sonotrovata sola e con pochissimaacqua. Ma alla fine mi è basta-ta .

E il più emozionante?La seconda tappa, con l’a r r ivoal tramonto. Uno scenario spet-tacolare. Una volta arrivate ab-biamo aspettato Eleonora el’abbiamo abbracciata: lei si èmessa a piangere e noi eravamofelicissime di averla in qualchemodo trascinata fino al tra-guardo. Tutta questa avventu-ra, comunque, è stata bellissi-ma e l’organizzazione perfetta.Ritrovarsi a tu per tu con i co-lori del deserto, nel silenzio piùa s s o luto… Qualunque cosa suc-ceda, è un’esperienza incredi-bile che nessuno potrà mai to-glierci e che ci accompagneràsempre. E tornare alla realtà sa-rà stranissimo! Per quanto miriguarda, avendo ormai avviatola mia carriera professionale

nel mondo dell’att iv i tàsportiva, spero che sia so-lo la prima di tante oppor-

tunità legate a questo set-to re » .

Di certo questa esperienzal’ha portata a guardare avanti,verso nuovi obiettivi. Quali?«Correre la mia prima mara-tona. Lo dico piano, perchéogni volta che ho provato a pre-pararne una ho finito con il far-mi male. Però dopo 80 km inquattro giorni, credo di averegià nelle gambe i chilometri ne-cessari per provarci. Non so an-cora quale, ma mi piacerebbecorrerla con Eleonora, una del-le ragazze con cui ho corso neldeserto. Farla con lei sarebbeb e l l i s s i m o.Ecco, una cosa che ho imparatoda questa esperienza è che ledonne sanno fare squadra ecorrere insieme senza compe-tizione, ma sostenendosi a vi-cenda.

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Reduce dal Donna Moderna Negev Adventure: «Le donnesanno fare squadra e correre sostenendosi a vicenda»

Chi èDoppia laurea,sogna la maratona

pElisa Adorni, 37 anni, è dot-toressa in Architettura e lau-reata in Scienze Motorie, col-labora con il reparto di Geria-tria dell’Ospedale Maggioreper la riabilitazione dei pazientianziani, e inoltre fa parte delgruppo degli Asics Frontrunneritaliani. Atleta del Circolo Mi-nerva, sogna di correre prestola sua prima maratona.

pIo sono Una (Una, Add Editore,208 pagine). È lo struggente me-moir dell’arista inglese Una che,grazie alla forza dell’arte, ci con-segna una potente denuncia dellaviolenza di genere: un acclamatomanifesto grafico per la dignitàfemminile, un urlo per conto ditutte le donne del mondo e... unpugno nello stomaco ai maschiviolenti! La storia: siamo nel 1977e Una ha dodici anni. In quel pe-riodo, nello Yorkshire, un inaffer-rabile Squartatore miete vittime

occupando le prime pagine dei gior-nali. Alle ragazze si consiglia «di ve-stire in modo non appariscente» e «dicomportarsi in modo consono», in uncortocircuito secondo cui le vittimesono colpevoli della violenza subita.Vittima essa stessa di un abuso, Una,da ragazza sicura di sé, impara adabbassare lo sguardo e, sola, impo-tente e piena di vergogna tanto dacredere di essere «guasta», è costrettaa fare i conti prima con il mondo chenon sa ascoltare, poi con le proprieferite. La storia di Una - «il mio nome èUna, una di molte» - si inserisce in uncontesto di desolante misoginia,esplorando la responsabilità socialedi una cultura in cui l’arroganza ma-schile rimane incontrastata, mentrela solitudine alla quale è condannatala vittima si trasforma in ulteriorev io l e n za . m.r.

pSecondo l’Asso -ciazione NazionaleDi.Te, che si occupadi dipendenze tec-nologiche e cyber-bullismo, in Italia

sono distratti dal cellulare quattro ge-nitori su dieci: intenti a smanettare conlo smartphone, prestano poca attenzio-ne ai figli. Tra le tante distrazioni, anchele amate, odiate, tollerate, abusate o si-lenziate da qui all’eternità... chat di clas-se! Gioia e dolore dell’era dei social, nonc’è quasi mamma che non debba farci i

conti. Sono poche, infatti, le coraggioseche ne rifiutano l’uso, accettando dirimanere felicemente distaccate dallemanie e dai tormenti delle altre mam-me. Ultima moda tra le madri contem-poranee, possono trasformarsi però inun incubo per chi non sa sottrarsi allapioggia di notifiche. E, parimenti, pos-sono essere la fonte di dissidi: ragionper cui i presidi di alcune scuole nehanno chiesto l’abolizione. Cancellar-ne l’esistenza, tuttavia, sarebbe ana-cronistico ed è il motivo per cui in ognidove proliferano i consigli per usarlecorrettamente e per resistere alla ma-nia complusiva del rispondere sempree comunque, con ripercussioni sulrapporto mamma-bimbo. Non a caso,oggi sono i piccoli a chiedere alle loromamme di limitarne l’uso: a rivelarlouno studio dell’inglese «Digital Awa-reness UK». m.r.

Comunicazione comune di Parma il 22/09/2018

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