INVESTIRE NELLA RIVOLUZIONE - Fondiesicav Magazine · 2017. 10. 9. · peraltro rimane a livelli...

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anno 10 - numero 98 - ottobre 2017 L’AUTO DI OGGI E QUELLA DI DOMANI, INVESTIRE NELLA RIVOLUZIONE

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  • anno 10 - numero 98 - ottobre 2017

    L’AUTO DI OGGI E QUELLA DI DOMANI,INVESTIRE NELLA RIVOLUZIONE

  • I Fondi sono comparti di Investec Global Strategy Fund, un fondo OICVM strutturato come una società di investimento a capitale variabile (Société d’Investissement à Capital Variable) ai sensi delle leggi lussemburghesi. La presente comunicazione non è un invito all’investimento e non costituisce un’offerta di vendita. Prima di eventuali decisioni di investimento si consiglia di visionare il Prospetto informativo e il KIID, documento contenente le informazioni chiave per l’investitore, dove sono specificati gli eventuali rischi. I prezzi del Fondo e copie in lingua inglese del Prospetto, delle relazioni e conti semestrali e annuali e dell’atto costitutivo, e copie in lingua italiana del KIID sono disponibili presso www.investecassetmanagement.com e possono essere richieste gratuitamente a: BNP Paribas Securities Services, Via Ansperto 5, 20123 Milano. Investec Global Multi-Asset Income Fund può investire oltre il 35% dei propri asset in valori mobiliari emessi o garantiti da uno Stato membro SEE.

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    EDITORIALE

    Se dobbiamo guardare il dollaro, che in po-chi mesi dalla quasi parità con l’euro è arri-vato oltre 1,20 sulla moneta unica, salvo poi guadagnare tre figure alla fine di settembre, gli Stati Uniti appaiono in crisi nera, soprat-tutto per i forti dubbi nei confronti dell’am-ministrazione Trump. Ma, se osserviamo i mercati, gli Usa sono una specie di paradiso terrestre: dopo un ciclo positivo durato qua-si un decennio, l’S&P 500 ha sfondato quota 2.500, con l’ennesimo record storico, men-

    tre l’obbligazionario, con i rendimenti del Treasury in discesa, dimostra, pur con una Fed che rialza i tassi, una vitalità incredibile.A questo punto chi sbaglia? I pessimisti che vendono dollari o gli ottimisti che acquista-no azioni e obbligazioni? La risposta ovvia-mente non è facile, ma un’osservazione si può sicuramente fare: per quanto un cittadi-no americano sia potente, per quanto abbia in mano leve di potere immense come quel-le della presidenza Usa, resta sempre un sin-golo cittadino. Dalla parte del mercato c’è una struttura industriale possente, una capa-cità di ricerca enorme, un livello tecnologico altissimo, un dinamismo da parte di un inte-

    ro popolo semplicemente inimmaginabile da noi. Tutto ciò difficilmente può essere ferma-to da un’amministrazione politica, anche se scellerata. Inoltre non è da dimenticare che in un paese avanzato e di grandi dimensioni i centri di potere sono moltissimi e spesso del tutto indipendenti tra loro.È vero che Wall Street è cara, è probabile che possa momentaneamente scendere, magari anche in maniera drammatica, ma credere nell’enorme potenziale industriale e tecnologico americano in una fase di diso-rientamento come l’attuale potrebbe conti-nuare a essere la mossa giusta. Anche se c’è Trump.

    DALLA GERMANIA UNA SFIDA PER I GESTORI di Giuseppe Riccardi

    ANCHE SE C’È TRUMP di Alessandro Secciani

    Domenica 24 settembre, dopo un’elezione tedesca che i commentatori avevano de-finito nei giorni precedenti ”noiosa”, molti hanno cominciato a chiedersi cosa sarebbe successo dopo la piccola rivoluzione teu-tonica. Non soltanto si dà il benvenuto alla Germania nel club dei paesi ingovernabili (il sistema tedesco non garantiva sempre la go-vernabilità?), ma si aprono scenari impreve-dibili per l’Europa. Se le minacce più gravi si pensava che arrivassero dal populismo fran-cese, in realtà a fare saltare le carte in tavola sono stati i tedeschi.Infatti l’affermazione dei partiti anti-euro-

    peisti costringerà la Merkel a correre die-tro la chiara richiesta di una politica sempre più centrata sulla Germania, sugli interessi della locomotiva del continente. In pratica un risultato opposto a quello uscito dalle elezioni francesi, che hanno mandato all’E-liseo un convinto europeista. La politica di buon senso della cancelliera, che è riuscita a ricomporre le fratture tra sud e nord Eu-ropa, rischia di essere messa pesantemente in gioco.Nei primi giorni dopo i risultati le borse eu-ropee di fatto non si sono mosse: solo l’euro ha interrotto la sua corsa al rialzo sul dol-

    laro. Ma è probabile che non proseguireb-be così, se la politica di Berlino cambiasse. E se la Germania dovrà diventare più dura e meno conciliante, se la Bce vedrà erosi i suoi margini di manovra, le borse europee rischieranno di perdere lo slancio che le ha finora caratterizzate. Se sarà davvero così, per i gestori si aprirà una fase in cui operare sui mercati non sarà per nulla facile, anzi si rivelerà una vera e propria sfida. E sarà inte-ressante vedere chi la vincerà.

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    SOMMARIO

    EDITORIALE

    DIETRO I NUMERIIndia, non è ancora vittoria

    FACCIA A FACCIA CON IL GESTOREJeff Meys

    senior portfolio manager Nn (L) Food & Beverages di Nn Investment Partners

    Come cambiano le abitudini di consumo

    FACCIA A FACCIA CON IL GESTOREJames Dudnick

    gestore del comparto Allianz di Us Short Duration High Income Bond

    High yield, ma con rischio al minimo

    GESTORI OROSpinto dal dollaro in crisi

    GESTORI OROAmato soprattutto dal retail

    ATTUALITÀ HIGH YIELD A CONFRONTOEuropa per i prudenti, Usa per chi rischia

    ATTUALITÀ EUROPA DELL’ESTA Varsavia regna il boom

    22Auto,in attesa della rivoluzione

    L’AUTO DI OGGI E QUELLA DI DOMANI

  • Numero 98ottobre 2017 anno 10

    direttoreGiuseppe Riccardi

    coordinamento redazionale e direttore responsabileAlessandro Secciani

    vicedirettoreMassimiliano D’Amico

    ufficio studiBoris Secciani

    progetto grafico e impaginazioneStefania Sala

    collaboratoriMassimo Avella, Stefania Basso, Rocki Gialanella, Paola Sacerdote

    redazione e pubblicitàViale San Michele del Carso 1

    20144 MIlano, T. 02 320625567

    pubblicitàAlessandro Cervieri

    [email protected]

    casa editrice GMR

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    stampa PINELLI PRINTING sede legale

    Via Redipuglia 9,20060 Gessate (MI)sede operativa Via E. Fermi 8 20096

    Seggiano di Piotello (MI)

    Autorizzazione n.297 dell’8 maggio 2008 del Tribunale di Milano

    immagini usate su licenza di Shutterstock.com

    CONSULENTI RETI

    VOCI DAI MERCATIFabio Brambilla

    partner Controlfida

    Trump spinge il super-ciclo,

    ma l’Europa è sempre al top

    ETPSempre più Italia

    CERTIFICATETop Bonus Doppia Barriera

    ATTUALITÀ HIGH YIELD A CONFRONTOEuropa per i prudenti, Usa per chi rischia

    ATTUALITÀ EUROPA DELL’ESTA Varsavia regna il boom

    Sergio Albarelli

    amministratore delegato

    gruppo Azimut

    Rotta su Francia, Germania e nord Europa

    I CONSIGLI DELLE SUPER-PORTAFOGLISTEAltro che sesso debole!

    EFPAMario Ambrosi

    presidente Efpa Italia

    Il valore della formazione costante

    APPROFONDIMENTOUN TEST SUL BENE RIFUGIO PER ECCELLENZAOro, luci e ombre

    LIFESTYLE FONDAZIONIFai a tutela dell’Italia da riscoprire

    LIFESTYLE TOULOUSE-LAUTREC IN MOSTRAIl mondo di Montmartre a Milano

    LIFESTYLEOROLOGI La linea e la forma perfetta di Jaeger Le Coultre

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    Quattro-cinque anni fa, prima dell’avvento dell’era Modi e agli albori di una prolungata crisi degli emergenti, l’India era finita, nel costante gioco di acronimi che caratterizza l’industria dell’asset management, nel poco desiderabile gruppo dei cosiddetti fragile five, in compagnia di Brasile, Indonesia, Sudafrica e Turchia. Con quel termine si intendevano gli emerging market più a rischio per via di una combinazione di scarsa competitività industriale, forti disavanzi nel saldo di partite correnti, alto debito pubblico, inflazione e tutti quegli elementi tipici delle nazioni in via di sviluppo in situazione di crisi. Indubbiamente l’arrivo di Modi al potere ha quasi ribaltato questo paradigma, iniettando nel sistema locale non solo una serie di riforme assolutamente necessarie, ma anche un elevato grado di fiducia. Ai tempi dei fragile five, infatti, l’India spesso veniva sfavorevolmente paragonata alla Cina, con quest’ultima che sembrava irraggiungibile sotto ogni punto di vista: le infrastrutture, lo sviluppo industriale, le capacità tecnologiche e la governance pubblica. Nell’ultimo biennio, invece, per la prima volta da decenni, il subcontinente ha messo a segno un tasso di crescita più elevato rispetto a un Dragone di cui sono esplose all’improvviso le fragilità.Il problema è che anche il definitivo decollo dell’India, il cui Pil pro capite peraltro rimane a livelli infimi, non è da dare per scontato, visto l’enorme lavoro ancora da fare. Innanzitutto in un anno di generale accelerazione globale, quella che era l’economia di dimensioni rilevanti a maggiore crescita del mondo ha piuttosto deluso: il Pil del primo trimestre è salito solo del 6,1%, mentre nel secondo si è limitato a un +5,7%. In entrambi i casi si è trattato di valori ben al di sotto delle aspettative e molto lontani da quelli dell’ultimo biennio. A questo raffreddamento si è accompagnata anche una discesa nell’andamento dei prezzi senza precedenti nella storia indiana: a giugno, infatti, l’inflazione ha registrato +1,46%, il livello più basso di sempre. A luglio il Cpi indiano è risalito fino al 2,36% a causa della componente alimentare, che vanta un peso non da poco in una nazione ancora povera. È impressionante, però, notare che solo quattro anni fa si era sopra

    a cura di Boris Secciani

    L’INDIA AL MISCROSOPIO

    DIETRO I NUMERI

    Non è ancora vittoria

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    Brasile, Russia e Cina e del 7-8% nei paesi sviluppati». Va da sé, però, che una nuova tassazione, che va dallo zero al 28% a seconda dei beni e che si accompagna a un giro di vite sull’enorme sommerso della struttura indiana, per quanto generi una semplificazione, non sorprendentemente ha avuto un effetto depressivo sull’economia, come ricorda Craig Botham, emerging markets economist di Schroders: «I Pmi segnalano un impatto negativo considerevole, sia sul lato manifatturiero, sia dei servizi. Anche la produzione industriale a giugno ha registrato una contrazione, la prima negli ultimi quattro anni, in vista della nuova tassazione. In ogni caso, ci aspettiamo che l’effetto sia transitorio, quindi il nostro outlook per il 2018 è meno influenzato da questo fattore».L’anno prossimo, dunque, risulterà fondamentale per capire se il rallentamento attuale è dovuto a semplici spasmi di un sistema che sta diventando adulto e sta entrando nella modernità o se si tratta di

    la soglia dell’11%. Alla base del risultato indiano vi è un mix di elementi positivi e negativi. Fra i primi non si può non ricordare una maggiore efficienza agricola, che sta rendendo più stabili i corsi delle derrate in una realtà in cui, come abbiamo visto, essi contano parecchio. Dall’altra parte, però, si nota la debolezza della produzione industriale che è calata dello 0,1% a giugno (ultimo dato disponibile) su base annuale, a fronte di attese che vedevano +0,6%. A maggio il dato era stato +2,8%, comunque in netta discesa rispetto agli aumenti intorno al 5% comuni l’anno passato.

    FASE DI MALESSEREInsomma l’India si trova in una fase di relativo malessere, con caratteristiche comuni a quelle di economie ben più avanzate. Va detto che però stiamo anche assistendo a una transizione verso una maggiore modernità, guidata dalle riforme del premier che hanno lo scopo di superare le rigidità burocratiche e le inefficienze ataviche del sistema. L’ultima e forse la più importante è stata l’introduzione di una tassa su consumi e servizi entrata in vigore lo scorso primo luglio, il cui carattere rivoluzionario viene ben descritto da Avinash Vazirani, gestore del fondo Jupiter India Select di Jupiter Asset Management: «La nuova Gst (Goods and services tax) caratterizza la fase successiva del piano di modernizzazione e razionalizzazione del sistema finanziario indiano da parte dell’amministrazione Modi, semplificando il complesso sistema di tasse regionali. L’India è composta da 29 stati e, prima della Gst, ogni qual volta un’impresa locale vendeva beni o servizi oltre i confini di più stati doveva pagare diverse tasse: la nuova normativa si sostituisce alle imposte federali e a quelle di 17 stati». Uno degli effetti immediati di questo cambiamento epocale è la riduzione dei costi di logistica e trasporto, che in India sono particolarmente gravosi, come ricorda sempre Vazirani: «La complessità del sistema precedente rendeva la logistica di per sé molto onerosa e costosa e i pagamenti sottobanco erano la norma. Come risultato, gli oneri della logistica in India erano tra i più elevati al mondo, attestandosi al 13-14% del Pil rispetto alla media del 9-10% in

    un’ennesima falsa partenza per l’India. Nel frattempo, comunque, il lavoro da fare è tanto: ad anni dal picco della crisi, infatti, molti pilastri nazionali, come il settore pubblico, che pesa per oltre il 70% del rapporto debito pubblico-Pil, e le banche, rimangono fragili. In particolare sugli istituti di credito vale la pena riportare un numero che deve fare riflettere, sempre secondo Botham: «Nel lungo periodo, la variabile principale che potrebbe rallentare la crescita riguarda il settore bancario domestico, responsabile dell’80% dei finanziamenti. Circa il 12% dei prestiti è non esigibile e una risoluzione non sembra vicina. La ricapitalizzazione potrebbe costare al governo 90 miliardi di dollari e, in assenza di un approccio sistematico, è improbabile che la crescita del credito supporti lo sviluppo nel corso del prossimo anno».Come ben sappiamo in Italia, i disastri del passato possono a lungo termine azzoppare le promesse di un futuro che potrebbe essere grandioso, basandosi sul mero dato del capitale umano.

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    amundi.com(1) Fonte: dati congiunti pro forma di Amundi e Pioneer Investments a fine dicembre 2016 forniti a titolo puramente informativo, soggetti a modifiche senza preavviso. Amundi Asset Management, “Société Anonyme” di diritto francese con capitale di € 1.086.262.605 - Società di gestione del risparmio autorizzata dall’AMF con il n° GP 04000036 - Sede legale: 90 boulevard Pasteur, 75015 Parigi, Francia - 437 574 452 RCS Paris - amundi.com - Agosto 2017. |

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    Con Jeff Meys, senior portfolio manager di Nn (L) Food & Beverages, Fondi&-Sicav ha analizzato le caratteristiche delle società attive nella produzione e distri-buzione di prodotti alimentari, bevande e tabacco, articoli casalinghi e farmaceutici.

    Come selezionate i titoli da inse-rire in portafoglio?«Il processo d’investimento del fondo combina la ricerca fondamentale e quan-titativa con una costruzione del portafo-glio basata su criteri rigorosi di selezione. Il team di analisi sceglie le società con-siderate più interessanti nel settore dei beni di consumo. Si tratta di aziende che possono godere di vantaggi competitivi, quali minori costi di produzione, struttu-ra distributiva più efficiente, brand forti e particolarmente attenti all’innovazione tecnologica e di prodotto con riconosciu-ta capacità impositiva di prezzo. Un’appro-fondita analisi bottom-up delle società e una classificazione quantitativa condotta in conformità a diversi fattori, come mo-mentum, qualità e valutazioni sono alla base delle scelte di portafoglio». All’interno dell’universo food & beverage, quali settori mostrano il maggiore potenziale di crescita?«Health & wellness continuano a raffor-zarsi. I consumatori, specialmente i millen-nial, vogliono prodotti naturali e biologici. Ne risulta che questo tipo di alimenti ha guadagnato quote di mercato e i piccoli marchi sono stati molto rapidi nell’offrire cibo biologico e non Ogm. Le tradizionali società del settore alimentare si stanno dando da fare per dotarsi di fornitori ade-guati per proporre le loro linee di prodot-ti naturali e biologici. Ad esempio, cinque anni fa General Mills ha avuto l’idea di of-frire Cheerios (cereali) senza glutine, ma

    Come cambiano le abitudini di consumoa cura di Massimiliano D’Amico

    FACCIA A FACCIA CON IL GESTORE

    JEFF MEYSSENIOR PORTFOLIO MANAGER NN (L) FOOD & BEVERAGES NN INVESTMENT PARTNERS

  • FONDI&SICAV ottobre 2017 11

    ci è voluto diverso tempo perché si potes-se approvvigionare di abbastanza avena e potesse installare le speciali attrezzature necessarie per questa produzione».

    Le diverse abitudini di consumo quali effetti hanno sulla composi-zione del portafoglio? «Cresce la penetrazione dell’e-commerce. Questo fenomeno impatta negativamente non tanto sui produttori, quanto sui ri-venditori tradizionali che dovranno adat-tare la propria struttura distributiva. Al di fuori di alcune aziende, come ad esem-pio quelle della cosmetica, la penetrazio-ne dell’e-commerce è ancora abbastanza bassa. Per ora, la maggior parte delle im-prese sta ancora lottando con l’impatto potenziale delle tecnologie internet atti-vabili tramite la voce (Alexa con Amazon Echo, ad esempio). Inoltre, l’acquisizione di Whole Foods, sempre da parte di Amazon, è uno dei molti fattori che stanno cam-biando le preferenze dei consumatori ri-guardo a cosa, dove e come mangiare».

    Quali altri fenomeni stanno inte-ressando il food & beverage?«Dal momento che 3G, una società di pri-vate equity, ha avuto successo adottando un deciso taglio dei costi di alcuni grup-pi del settore (Anheuser Busch, Heinz e Kraft), altre aziende ne stanno seguendo l’esempio. Vediamo grandi possibilità di mi-glioramento per le imprese alimentari, con la loro base di costi relativamente elevata. In particolare, un’area su cui ci si concen-tra è la spesa per la promozione, diventata meno efficace e, di conseguenza, soggetta a riduzioni di budget».

    Vi state preparando a gestire un aumento della volatilità, da tem-po ai minimi? «Il settore dei beni di primo consumo ha avuto i ritorni più elevati di tutti nel corso dell’ultimo decennio. Con un rendimento annuo di oltre il 10%, ha doppiato la media di mercato. Inoltre, nello stesso periodo di tempo è stato anche il comparto meno volatile. Sebbene le valutazioni dei titoli di questo segmento siano elevate a livel-lo storico, restano comunque interessanti per gli investitori alla ricerca di rendimen-

    to nell’attuale contesto di tassi bassi. Al momento, sia le società europee, sia quelle statunitensi scambiano su multipli simili. Il recente rafforzamento dell’euro impat-terà sugli utili delle aziende europee. Il Qe e la view “lower for longer” delle banche centrali offrono supporto alle valutazioni. Le attività di fusione e acquisizione contri-buiscono alla tenuta dei prezzi. Tuttavia, il settore potrebbe assistere a una deviazio-ne in seguito a una possibile rotazione set-toriale fuori dal segmento dei consumer staples che potrebbe verificarsi per via di un miglioramento del contesto macro e dei tassi di interesse in aumento».

    Quali sotto-settori contribuisco-no di più alla performance?«I due sotto-settori che hanno contri-buito alla costruzione della performance sono il farmaceutico e il tabacco. Il primo beneficia di trend di domanda in migliora-mento a causa di un andamento demogra-fico positivo. Per il tabacco, invece, il prez-zo è il più grande driver del flusso di cassa; questo comparto è quello in cui le aziende hanno la maggiore capacità di determina-re i prezzi rispetto alle società operanti in altri sotto-settori. Le vendite di prodotti per la cura personale e della casa hanno goduto di una crescita equilibrata e di una marginalità crescente. Inoltre, il segmen-to beneficia di alcune tendenze favorevoli, come, ad esempio, maggiori vendite di pro-dotti per il trucco, guidate da fattori diver-si tra cui l’aumentata influenza dei fashion

    blogger. La prospettiva per i produttori di bevande è contrastante. Sul lato positivo, ci sono opportunità di sinergie derivanti da operazioni di consolidamento a livello mondiale, ad esempio nel settore della bir-ra. Sul lato opposto, si registrano tendenze negative nel consumo di soft drink con gli acquirenti che si orientano verso scelte più salutari. I grandi marchi dell’alimenta-re si trovano ad affrontare venti contrari sul lato dei ricavi, con i consumatori che puntano su alimenti meno sofisticati. Una pressione sempre maggiore viene imposta ai rivenditori dalla crescente competizio-ne dei discount, che stanno continuamen-te espandendo la loro offerta di prodotti alimentari nei loro negozi e soprattutto dall’aumento della concorrenza online».

    La Brexit ha influito sulle vostre scelte di portafoglio?«La Brexit ha avuto un impatto limitato sul nostro portafoglio. La natura internazio-nale delle società attive nella produzione di beni di prima necessità del Regno Uni-to dà loro la possibilità di effettuare un contro-bilanciamento in termini di livelli del profilo di rischio e di revisioni al rialzo degli utili in valuta estera rispetto a una sterlina più debole. Tra gli esempi figurano società come Unilever, British American Tobacco e Diageo. I rivenditori alimentari, da parte loro, sono influenzati negativa-mente dal fatto che i prezzi delle merci importate crescono proprio mentre sem-bra che la domanda si stia indebolendo».

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    Potrebbe definire la vostra filoso-fia e gli obiettivi di investimento?«Il fondo opera nel settore degli high yield americani. Il nostro scopo però non è quel-lo tipico di un money manager di questa asset class, ossia fornire rendimenti elevati e superiori a un benchmark, che difatti noi non abbiamo: investiamo nella parte meno volatile dell’universo high yield americano, allo scopo di minimizzare la volatilità e ot-tenere comunque determinati obiettivi di rendimento. Alla base del nostro approccio vi sono alcune caratteristiche del mercato di riferimento: generalmente in una cri-si economica statunitense circa il 15-20% delle emissioni o va in default o scambia a quotazioni distressed e fra queste ultime molte poi si riprendono. Noi vogliamo in-vece investire in quella porzione il cui ren-dimento non oscilla mai al di fuori del 4-6% di yield to maturity. In pratica offriamo il 70% della performance di quello che è un tipico fondo high yield con però solo il 30% della volatilità e una bassa correlazione con l’andamento del mercato azionario, ele-mento atipico per questa asset class».

    Come riuscite a ottenere questo risultato?«Essenzialmente in ogni obbligazione pos-siamo distinguere tre rischi principali: la duration, quello creditizio e la liquidità. Noi cerchiamo di minimizzarli tutti e tre. Innanzitutto investiamo in emissioni carat-terizzate da bassa duration, che di solito è compresa fra 1,5 e 2, e la scadenza media dei nostri bond è posizionata intorno a 3,5-3,75 anni. Circa un terzo dei nostri as-set scade entro un anno, il che costituisce il sistema di hedging del fondo nei confronti del rischio di tasso di interesse, in quanto un’abbondante porzione del portafoglio è rifinanziata a breve; per il resto non ci tuteliamo assumendo posizioni in deriva-

    High yield, ma conrischio al minimoa cura di Boris Secciani

    FACCIA A FACCIA CON IL GESTORE

    JAMES DUDNICKGESTORE ALLIANZ US SHORT DURATION HIGH INCOME BONDALLIANZ GLOBAL INVESTORS

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    ti sui tassi di interesse. Inoltre basta dare un’occhiata alle caratteristiche in termini di Ytm e carry del nostro portafoglio per rendersi conto di un elemento: la nostra cedola media è intorno al 5,71%, mentre il rendimento è del 5,51%, due valori dunque simili. Non vogliamo infatti investire in ob-bligazioni che quotano eccessivamente al di sopra del livello di par value, anche se dota-te di ricche cedole. Infatti queste emissioni sono caratterizzate da alta duration, che è fonte di volatilità anche a fronte di sca-denze contenute: in una situazione di rialzo dei tassi di interesse questi bond vengono rapidamente liquidati con conseguenze ov-vie. Inoltre il nostro spettro di investimen-to creditizio è principalmente incentrato sui rating Ba3/BB- (attualmente circa il 60% del portafoglio) e possiamo investire fino al 10% del patrimonio in emissioni CCC, ma è una cosa che raramente facciamo: infatti ci concentriamo solamente su aziende dai business solidi e provati, con visibilità degli utili e una storia consolidata di capacità di generarli anche in scenari economici nega-tivi. Vogliamo essere sicuri di riavere i nostri soldi ed evitare, come detto, sia default, sia situazioni distressed».

    A proposito di quest’ultimo aspet-to, come si è comportato il vostro fondo nelle fasi di crisi?«Il nostro peggiore drawdown è stato fra il gennaio del 2015 e quello del 2016 ed è arrivato a -3,81%. Per riprendersi da que-sta perdita ci sono voluti tre mesi. Nel pe-riodo fra il novembre del 2009 e il giugno del 2017 il peggiore calo degli high yield statunitensi nel loro complesso si è avuto anche in questo caso a cavallo fra il 2015 e il febbraio del 2016 con -9,83% e ci sono voluti nove mesi per riprendersi. Inoltre nei circa 20 anni di esistenza del fondo vi sono stati 77 mesi di performance mensili negative dell’S&P 500, con un ribasso me-dio del 3,4%. In tali fasi il nostro portafoglio ha invece guadagnato mediamente lo 0,1%. Come abbiamo visto, le strategie basate su-gli high yield tendono ad avere un’elevata correlazione con il mercato azionario che è invece del tutto assente nel caso di questo prodotto».

    Può fare un esempio di un rischio

    di liquidità che siete riusciti a evi-tare?«Proprio il segmento CCC è un esempio interessante: negli Usa il 25% della liquidità investita sugli high yield arriva dalle assi-curazioni, ma per il legislatore, a livello di capitale richiesto a copertura del rischio, le CCC contano come se fossero azioni, per-tanto i player assicurativi mancano in que-sto segmento del mercato. Ovviamente ciò crea opportunità per un gestore high yield tradizionale di ottenere extra rendimento, ma il nostro scopo però è preservare in primis il capitale per i nostri clienti, offren-do anche una performance positiva. Quin-di ci serviamo di questo tipo di corporate bond, ma con una logica e scopi completa-mente diversi».

    Dove sono oggi i vostri maggiori overweight?«Siamo positivi sul comparto dei servizi telecom wireless. Si tratta di un settore sì ad alto valore aggiunto, ma che rappresenta anche un’infrastruttura stabile e necessaria a un’enorme base di clienti che general-mente continuano a pagare le bollette an-che nei momenti di crisi economica. Inoltre nel 2015 eravamo in forte overweight sul debito delle pipeline di gas e petrolio: in

    America il greggio può venire trasportato su treni appositi, su camion o per l’appunto attraverso tubazioni. Quest’ultima metodo-logia presenta chiari vantaggi di costo e am-bientali, che si intersecano con il fatto che comunque gli Usa continuano a perseguire una politica di indipendenza energetica. Ab-biamo in ogni caso diminuito molto la posi-zione, poiché le quotazioni sono cresciute parecchio al di sopra del par value».

    Infine siete in generale preoccupa-ti per il ritorno di aumento della leva da parte delle aziende Usa?«Pensiamo che questo rischio sia molto più presente nel comparto investment grade. Quest’ultimo è passato, a livello di rating BBB, da circa un trilione di dollari nel 1999 agli attuali 2,5. Una buona parte di questi soldi è stata utilizzata a scopi improdutti-vi, quali il riacquisto di azioni proprie. Ri-teniamo che molti di questi nomi siano a rischio di downgrading e a fronte di una simile situazione i rendimenti sono molto bassi, assolutamente non adatti al profilo di volatilità generato. L’abbiamo ben visto nel-le settimane dopo l’elezione di Donald Tru-mp in cui molti Ig che trattavano a prezzi molto sopra la parità hanno subito perdite notevoli».

  • di Boris Secciani

    Normalmente questo bene rifugio per eccellenza sale nei momenti di grande volatilità dei mercati e quando ci sono forti preoccupa-zioni geopolitiche. Oggi, a parte la Corea del nord, è tutto abbastanza tranquillo e la buona ripresa dell’o-ro negli ultimi mesi si spiega quasi esclusivamente con la debolezza della valuta Usa e con le forti in-certezze manifestate dall’ammini-strazione Trump

    La parabola dell’oro non è stata facile da interpretare: dopo avere toccato i massi-mi storici (in termini nominali) poco sotto 2.000 dollari per oncia nella prima parte del 2012, il prezioso per eccellenza ha fluttua-to in un trading range per qualche mese, per poi crollare nella primavera del 2013 e iniziare un lungo bear market che ha por-tato i corsi poco sopra 1.100 nelle ultime settimane del 2015. Dopodiché i primi sei mesi del 2016 hanno visto il ritorno ruggen-te di questa risorsa naturale fino alle soglie di 1.400 dollari per oncia. Con lo schiarirsi dei mercati nella seconda metà dell’anno scorso, le quotazioni sono tornate di nuovo sotto quota 1.200 per poi riprendersi nuo-vamente quest’anno ben sopra 1.300 con un’ulteriore discesa sotto questo livello nel-la seconda metà di settembre.

    CAMBIATI I FONDAMENTALIIn tutti questi su e giù non si può non no-tare che nel corso del decennio sono cam-biati profondamente i fondamentali dell’oro. Innanzitutto la domanda per gioielleria è esplosa nei mercati emergenti, soprattutto in Cina, dove era molto limitata: questo uti-lizzo rimane forse quello più solido e pro-

    GESTORI

    ORO

    Spinto dal dollaro in crisi

    14 FONDI&SICAV ottobre 2017

  • FONDI&SICAV ottobre 2017 15

    GEORGE CHEVELEYportfolio manager

    Investec Global Natural Resources Fund

    «Prevediamo una media a 1.350 dollari nel 2018»Che cosa prevedete sui flussi pro-venienti dagli Etc, che l’anno scorso tanto hanno contribuito alla ripresa delle quotazioni?«Anche se non raggiungerà gli stessi livelli record del 2016, la domanda di investimenti nell’oro attraverso gli afflussi sugli Etc è desti-nata a proseguire. Questa dinamica appare evi-dente se prendiamo in considerazione l’incre-mento registrato dai prodotti exchange traded globali sull’oro, cioè un ulteriore 9% da inizio anno. Dal punto di vista dei volumi, siamo ancora sotto del 19% rispetto al picco osservato negli Etc sull’oro nel 2012, dopo che il prezzo del metallo giallo era salito a circa 1.900 dollari all’oncia. Prevediamo che il prezzo di questa commodity sia ulteriormente sostenuto da una ripresa nel settore delle vendite di gioielli dopo un 2016 fiacco, segnato dalle modeste vendite di preziosi sul mercato cinese e dall’impatto negativo della svalutazione indiana».

    Avete un obiettivo di prezzo per questa risorsa?«Siamo convinti che la quotazione dell’oro si muoverà intorno a una media di 1.350 dollari all’oncia nel corso del prossimo anno, sostenuta in modo significativo da potenziali shock geo-politici. In qualità di bene rifugio che non offre rendimenti, ma tende a mantenere il suo valore in termini reali, il metallo giallo rimane relativamente attraente rispetto ad altre alternative come le obbligazioni governative, che storicamente danno ritorni reali bassi o anche negativi».

    Che cosa prevedete a livello strutturale per l’oro?«A nostro parere siamo nelle prime fasi di un nuovo mercato rialzista per questa materia prima a livello strutturale, considerate le previsioni attuali sull’inflazione e i tassi di interesse. Le azioni aurifere di solito sovraperformano la risorsa fisica con i mercati dell’oro in crescita».

    Agli attuali corsi, qual è il quadro di profittabilità delle aziende del settore?«La redditività delle aziende che estraggono oro ha visto una grande ripresa con il recente rally del prezzo del metallo giallo. La maggior parte di esse presenta flussi di cassa positivi in questo momento, ma ciò è stato in molti casi ottenuto con tagli della spesa in conto capitale, diminuita fino a livelli storicamente bassi. In generale prevediamo che i produttori di oro continueranno a focalizzarsi sulla generazione di cassa. Concentrandosi sul valore piuttosto che sui volumi, potranno migliorare i ritorni per gli azionisti all’interno del settore nel suo complesso, mentre, al tempo stesso, stanno attuando una riduzione dell’offerta per sostenere ulteriormente il prezzo dell’oro».

    Dove vedete le migliori occasioni nel comparto?«Il 2016 ha evidenziato una significativa sovraperformance dei produttori large cap, sostenuta da forti afflussi nel settore dell’oro: noi vediamo grande valore in molte società mid e small cap. Preferiamo gli investimenti in cui la combinazione di solidi team gestionali e di qualità non viene correttamente prezzata dal mercato. Molti dei nostri investimenti potrebbero anche rappresentare possibili obiettivi di acquisizione, visto che le compagnie che non hanno inve-stito in modo sufficiente nella crescita si stanno orientando sulle acquisizioni per compensare il calo dei loro profili di produzione».

    mettente e nella prima metà dell’anno in corso è cresciuto di circa l’8%, passando da 446,8 tonnellate nel secondo trimestre del 2016 a 480,8 nello stesso periodo del 2017. Si tratta però di un valore ancora parecchio sotto la media dell’ultimo quinquennio (in-torno a 586,2) che riflette lo stato di debo-lezza in cui erano cadute India e Cina. A questo consumo si accompagnano gli ac-quisti delle banche centrali, che continuano a giocare il loro ruolo, e soprattutto quelli degli Etf. Proprio questi ultimi erano stati i grandi protagonisti del rally dei primi sei mesi del 2016, con acquisti netti per 237 tonnellate solamente nel secondo trime-stre del medesimo anno, passati però a 56 nello stesso quarto del 2017. Questo cam-biamento ha fatto sì che la domanda com-plessiva di oro calasse nella prima metà del 2017 a poco più di 2.003 tonnellate, facendo registrare un decremento del 14%.

    REGNA L’OTTIMISMOCiò nonostante, però, l’estate ha visto un’in-versione che, seppure non enorme, appare significativa per le circostanze in cui è andata a formarsi e che in piccolo riflette il boom delle fasi iniziali del 2016. All’epoca sostan-zialmente l’oro era tornato a rappresentare il bene rifugio per eccellenza in una fase di correzione al ribasso disastrosa per i mer-cati. In pratica il prezioso cresceva per timo-re di una nuova crisi finanziaria. Quest’anno invece l’ottimismo sembra regnare, con gli asset di tutto il mondo (Usa, Europa e Asia) che hanno fornito performance ottime. La somiglianza negativa sta però nella crisi, ina-spettata e improvvisa, del dollaro: in pratica il metallo giallo continua a mantenere un suo ruolo di strumento di hedging contro tutto ciò che è negativo. Non importa se le cattive notizie arrivano sotto forma di un crollo del petrolio, dai rischi di una nuova recessione economica o se invece esse de-rivano dalla delusione per la mancanza del-le riforme promesse in Usa, cui si aggiunge probabilmente anche la crisi nord-coreana: se da qualche parte c’è una tensione signi-ficativa al mercato dei preziosi ci si rivolge.Che cosa ci si può aspettare per l’immediato futuro? Secondo Sandra Crowl, membro del comitato investimenti di Carmignac, «l’oro dovrebbe continuare a mantenere la propria correlazione inversa con il dollaro.

  • 16 FONDI&SICAV ottobre 2017

    Oggettivamente l’amministrazione Trump sta mostrando diversi problemi: entro tre mesi bisognerà ridiscutere la questione del tetto del debito pubblico, il che posporrà nel tempo un eventuale piano di riduzione delle imposte, per il quale peraltro non vi è un mi-nimo di consenso bipartisan con i democra-tici, il tutto mentre il presidente si è alienato una buona parte dei deputati repubblicani».Insomma oggi la maggiore fonte di frenata all’andamento dell’economia globale è l’in-capacità degli Usa di fare i compiti neces-sari per accelerare dal 2% al 3% la cresci-ta economica. Ciò ha creato un fenomeno evidente: il calo del dollaro, cui si reagisce comprando moderatamente oro.

    MANCA L’INFLAZIONECome si può capire, nell’analisi complessiva manca del tutto il discorso inflazione che non sembra più un elemento importan-te per le quotazioni di questa risorsa. Ciò che conta è il quadro di volatilità, implicita e realizzata, che è presente sui mercati. Ma in questo ambito i nervosismi estivi comun-que non sono sufficienti a modificare una situazione che Matteo Ramenghi, global chief investment officer wealth management Italy di Ubs, così sintetizza: «Nonostante il quadro geopolitico resti molto incerto, la volatilità si è confermata vicina ai minimi storici anche nelle ultime settimane. Non si ravvisano a oggi cambiamenti di rotta, ma occorre mantenere alta la guardia e, in con-siderazione delle numerose incertezze, do-tarsi della massima diversificazione su asset

    si può solo immaginare quali ghiotte occa-sioni si genererebbero se solo l’oro cresces-se del 10% dai livelli attuali.

    class e aree geografiche».In questo senso vale la pena tentare di capi-re se l’investimento nelle azioni delle azien-de aurifere possa camminare con le proprie gambe, al di là delle striscianti paure in un quadro finanziario di calma piatta, e a quali quotazioni della risorsa di base questa stra-tegia possa avere senso. Infatti le società che estraggono oro vantano un beta decisamen-te elevato nei confronti della materia pri-ma sottostante, anche se comunque molte hanno dimostrato negli ultimi anni di sape-re operare con disciplina e capacità un non facile processo di ristrutturazione a livello di capex. Va aggiunto poi il fatto che all’oriz-zonte si profila un importante processo di consolidamento del settore per via della ne-cessità da parte delle major di rimpinguare i livelli di output dopo anni di tagli. In definiti-va si tratta di un’area dell’equity da guardare con grande attenzione: se già a questi livelli infatti molte aziende del settore prosperano,

    SANDRA CROWLmembro del comitato investimenti Carmignac

    MATTEO RAMENGHIglobal chief investment

    officer wealth management ItalyUbs

  • FONDI&SICAV ottobre 2017 17

    NORMAN MACDONALD portfolio manager team

    Invesco quantitative strategies

    INVESCO

    «A 1.200 dollari sul lungo periodo»Quali sono nell’attuale situazione di mercato i principali driver della doman-da aurifera?«Quest’anno la domanda di oro continua a essere guidata da afflussi positivi negli Etf, nonché da posizioni speculative nette lunghe al Comex e da forti acquisti indiani. In futuro penso che la domanda a scopo di investimento continuerà a essere l’elemento chiave, dato che viviamo in un ambiente caratterizzato da tassi di interesse molto bassi e da un elevato livello di rischi geopolitici».

    Dove pensate che l’oro possa posizionarsi a livello di fair value sul lungo pe-riodo?«Sul lungo termine siamo convinti che il metallo giallo possa addirittura scendere dai livelli attuali per stabilizzarsi intorno a 1.200 dollari all’oncia. Questo valore è per noi ragionevole, in quanto è sufficiente alle aziende per guadagnare con rendimenti accettabili sulla nuova produzione. Nel breve periodo, invece, rimaniamo rialzisti su questa risorsa, anche se non riteniamo che la crescita avverrà in maniera lineare».

    A proposito della struttura dei costi delle aziende, che cosa prevedete? Pensate che con l’attuale dinamica dei corsi ci siano possibilità di mantenere i profitti da parte delle imprese estrattrici?«Dopo l’ultimo mercato ribassista del 2013-2015, la maggior parte delle società del settore ha ridotto la struttura dei costi, processo cui hanno contribuito il taglio della burocrazia aziendale, l’aumento della produttività, il calo dei costi energetici e la forza del dollaro Usa. Quest’ultimo fattore ha portato a spese più contenute, se espresse in valuta locale. Non pensiamo che in futuro vi sarà un’ulteriore diminuzione delle spese, ma non riteniamo neppure che queste ultime vivranno un’escalation al rialzo come abbiamo vissuto nella fase degli eccessi che ha caratterizzato il periodo 2010-2012».

    Dove vedete le migliori opportunità: fra le major o nei gruppi di minori dimensioni?«Tipicamente agli inizi di un rally dell’oro sono le large cap (si intende con questa definizione gruppi che generano almeno un milione di once di produzione annua) a godere di un rerating. Allo stato attuale riteniamo che questo gruppo di aziende scambi a quotazioni elevate, visto il livello di sovraperformance che si è evidenziato quest’anno. Inoltre va aggiunto che, durante il bear market degli scorsi anni, diversi produttori hanno sospeso i propri piani di spesa per l’aumento della produzione e l’esplorazione di nuove miniere, il che sul lungo periodo porterà a una minore produzione. Ciò si va ad aggiungere al problema globale della riduzione della qualità delle miniere esistenti, in cui il materiale migliore è già stato estratto. Pensiamo che tutti questi fenomeni porteranno a un consolidamento nell’industria, dal momento che tutte le aziende del settore cercheranno di mantenere il proprio profilo produttivo. Per questa ragione siamo orientati maggiormente alle mid e small cap o comunque a imprese in grado di sviluppare asset di qualità».

    Può portare alcuni esempi di aziende che avete individuato sulla base del ragionamento che è stato appena espo-sto?«Tra le nostre aziende preferite al momento troviamo Torex Resources e Continental Gold. Torex gestisce la miniera di El Limon-Guajes in Messico e nei prossimi due anni il gruppo dovrebbe riuscire a generare free cash flow positivi anche in uno scenario di prezzi dell’oro intorno a 1.200 dollari. Di recente, nel giro di un anno, ha scoperto e avviato alla produzione una miniera sotterranea, che abbasserà i costi complessivi di produzione. Negli ultimi tre mesi le quotazioni hanno perso il 15% a causa di una variazione negativa in termini di produzione e cash flow tri-mestrali, un fenomeno comune per il tipo di asset minerari, denominati skarn, che posseggono. Questa miniera ha tuttora davanti una lunga vita, con l’azienda che possiede un altro asset a elevata crescita nelle vicinanze, cioè un impianto di estrazione che dovrebbe cominciare a produrre nei primi anni ‘20. Un simile quadro suggerisce agli investitori che è il momento di trarre vantaggio dagli errori dei mercati in termini di prezzo attribuito all’azione di questo gruppo. Continental Gold è un produttore minerario di piccole dimensioni il cui fiore all’occhiello è la miniera di Buritica in Colombia, dall’elevata qualità. Attualmente l’azione scambia intorno a 3,06 dollari canadesi, essa però lo scorso maggio ha ricevuto un voto di fiducia da parte di un colosso come Newport Mining, che ne ha acquisito una quota del 19,99% a 4 dollari canadesi, un premio di oltre il 30% rispetto alle quotazioni attuali. Il management di Newport, infatti, si è espresso con favore sui progetti di Continental e appare decisamente impegnato nel creare comitati tecnici e operativi per assistere la società partecipata nello sviluppo degli asset».

  • 18 FONDI&SICAV ottobre 2017

    Le esposizioni ai fondi settoriali sono ge-neralmente più piccole rispetto alle asset class più classiche. Anche in questo caso, analizzando gli strumenti gestiti che lavora-no nel settore aurifero, si nota che i capitali in prodotti del genere sono una parte re-siduale del portafoglio degli investitori che utilizzano Allfunds Bank, poiché ammontano a circa 120 milioni di euro, di cui 90 detenuti da investitori retail: la propensione a pun-tare su questa categoria è infatti molto più accentuata per questa tipologia di clientela. Meno di 30 milioni di euro sono invece gli asset nei portafogli degli investitori profes-sionali e, tenendo in considerazione che questi ultimi possiedono circa il 92% della masse intermediate dalla piattaforma, si può affermare che i fondi che puntano su azioni aurifere, come molte altre commodity, non hanno un grande interesse in questo perio-do.Infatti, come evidenziato dall’andamento del prezzo dell’oro, in due anni questa commo-dity è rimasta stabilmente intorno a 1.200 dollari all’oncia con una volatilità molto accentuata. Le prospettive della domanda e dell’offerta sembrano per di più stabili, il che giustifica una forte riduzione dell’espo-sizione a questa categoria. I CRITERI DI SCELTAA oggi nella piattaforma sono state attivate circa 25 strategie nell’asset class gold equi-ty, ma a livello pratico solo 10 raccolgono gli investimenti dei clienti. Da parte nostra vengono valutati solo tre strumenti che appartengono alla nostra lista di fondi pre-feriti, la Allfunds Bank insight list. I prodotti che appartengono a questo gruppo devono avere tutti un minimo di tre anni di track record e almeno 50 milioni di patrimonio. I fondi di questa categoria hanno spesso un track record molto lungo, come quelli che analizzeremo e che sono: Investec Gfs Global Gold, Bgf World Gold e Bgf World Mining: gli ultimi due fanno capo

    Yusuf Durmaz

    fund analyst investment research

    Roberto Fenoglio

    head of investment solutions Italy

    Alfunds Banks

    ORO

    GESTORI

    Amato soprattuttodal retail

    TICKER NOME RENDIMENTO VOLATILITÀ SHARPE ACTIVE CORRELAZIONE R2 BETA ALPHA TRACKING INFO RATIO JENSEN ALPHA TREYNOR ANNUALIZZATO PREMIUM ERROR RATIO

    TFTMIGMI FTSE GOLD MINES INDEX TR USD 1,37% 35,56%

    LU0368252358 BGF-WORLD GOLD FUND-USDI2 -0,24% 34,25% 0,11 -1,62% 0,66 0,44 0,64 -1,12% 28,65% -0,06 -0,05 0,06

    LU0368260294 BGF-WORLD MINING-USDI2 -7,53% 27,98% -0,13 -8,90% 0,51 0,26 0,40 -8,08% 32,18% -0,28 -0,11 -0,09

    LU0345780448 INVESTEC GS GLOBAL GOLD-I 0,70% 33,80% 0,14 -0,67% 0,95 0,90 0,90 -0,54% 10,98% -0,06 -0,05 0,05

  • FONDI&SICAV ottobre 2017 19

    TICKER NOME RENDIMENTO VOLATILITÀ SHARPE ACTIVE CORRELAZIONE R2 BETA ALPHA TRACKING INFO RATIO JENSEN ALPHA TREYNOR ANNUALIZZATO PREMIUM ERROR RATIO

    TFTMIGMI FTSE GOLD MINES INDEX TR USD 1,37% 35,56%

    LU0368252358 BGF-WORLD GOLD FUND-USDI2 -0,24% 34,25% 0,11 -1,62% 0,66 0,44 0,64 -1,12% 28,65% -0,06 -0,05 0,06

    LU0368260294 BGF-WORLD MINING-USDI2 -7,53% 27,98% -0,13 -8,90% 0,51 0,26 0,40 -8,08% 32,18% -0,28 -0,11 -0,09

    LU0345780448 INVESTEC GS GLOBAL GOLD-I 0,70% 33,80% 0,14 -0,67% 0,95 0,90 0,90 -0,54% 10,98% -0,06 -0,05 0,05

    1400

    1350

    1300

    1250

    1200

    1100

    1050

    10/2015 03/2016 12/2016 06/2017 09/2017

    TRE ANNI DI ORO

    ultimo prezzo 1.328,00

    a BlackRock. L’indice che viene utilizzato per questa ana-lisi è l’Ftse Gold Mines Index Tr Usd, l’o-rizzonte temporale è sempre di tre anni, mentre la valuta dell’analisi è il dollaro sta-tunitense. Tutti e tre i fondi comprano prin-cipalmente titoli di società che lavorano nel settore aurifero.Come possiamo notare, uno dei prodotti prescelti, Bgf Mining, ha un rendimento mol-to diverso: ciò avviene perché il patrimonio è più differenziato rispetto ai prodotti che investono solo in oro, come è particolar-mente evidente dalla volatilità, il che con-ferma che la strategia è più diversificata. In tre anni solo il fondo di Investec ha dato un risultato minimamente positivo, a dimostra-zione delle difficoltà a investire in questo particolare settore.

    IL MIGLIORE È L’INDICELe due strategie che fanno capo a BlackRock hanno dato un risultato negativo; il rendi-mento migliore, seppure limitato, è quello

    dell’indice con +1,37%. Ciò significa che l’info ratio di tutti i fondi sotto lo zero. I ri-torni negativi del risk-free rate permettono comunque un indicatore di Sharpe positivo. I prodotti di BlackRock, sono quelli con il beta inferiore, quindi più decorrelati rispet-

    to al benchmark.Guardando i singoli anni, si nota che il 2014 e il 2015 sono stati complicati, con rendi-menti medi del -15%, ma il 2016 e 2017 hanno evidenziato un recupero con +50% medio nel 2016 e un positivo Ytd. Vediamo ora nel dettaglio i tre strumenti che sono stati evidenziati all’interno della piattaforma di Allfunds Bank.

    George Cheveley e Hanré Rous-souw di INVESTEC GSF GLOBAL GOLDQuesto prodotto ha come obiettivo l’au-mento del capitale attraverso l’acquisizione di titoli di società che operano nel settore aurifero e si caratterizza per il fatto che per-mette di investire fino a un terzo del patri-monio in aziende coinvolte nell’estrazione di altri metalli preziosi. Il fondo è condotto da quattro manager, due principali e due specialisti del settore. I ge-stori principali sono George Cheveley e Hanré Roussouw e sono subentrati nel 2015 a Bradley George, che era head of the commodities & resource.Il processo di investimento si basa su tre concetti: analisi della domanda e dell’offerta,

    1328

    0.454M

  • 20 FONDI&SICAV ottobre 2017

    previsioni di medio termine e forte cono-scenza delle società e dei fondamentali di mercato. Un primo screening viene effet-tuato attraverso gli indicatori economici di Investec e l’utilizzo di un sistema di score su diversi fattori, come il rapporto domanda/offerta, i flussi, la curva dei costi. Come ul-timo elemento del processo di allocazione, viene effettuata un’analisi dell’equity delle società e dei loro multipli. L’obiettivo è arri-vare quindi a una valutazione corretta degli indici. Il portafoglio è perciò costruito attra-verso un modello bottom-up dai due gestori principali, solitamente definendo un livello di prezzo di entrata e di uscita. In generale le posizioni vengono ridotte considerevolmen-te quando l’upside è troppo limitato. Il portafoglio ha circa 50 titoli, Te limit al 10%, con un massimo del 10% per un singo-lo titolo, e può arrivare, come detto prece-dentemente, a un terzo di investimenti al di fuori del settore aurifero.Il team ha molta esperienza e questo ele-mento lo rende affidabile: il processo è accurato e prende in considerazione tutti gli aspetti più importanti dell’industria. La correlazione con il prezzo dell’oro è ovvia-mente la principale preoccupazione, special-mente in questo periodo.Per tutte queste ragioni, questo fondo è considerato come il più interessante nella sua categoria.

    I PRIMI A UN ANNO DI CITYWIRE

    NOVE UOMINI D’ORO

    1° George Cheveley e Hanré Rossouwdi Investec Gsf Global Gold A Inc Usd

    2° Mark Lacey eJames Lukedi Schroder Isf Global Gold A Acc Usd

    3° Joe Foster di Lo Funds - World Gold Expertise (Usd) P A

    4° Pereshia Berlenbach di Earth Gold Fund Eur I

    5° Emmanuel Painchault di Edmond de Rothschild Goldsphere A

    6° John Hathaway e Doug Groh di Falcon Gold Equity Ucits Fund A Usd

    di 1

    Evy Hambro e Tom Hall di BGF WORLD GOLD

    Questo strumento si pone come obietti-vo la massimizzazione del rendimento in-vestendo almeno il 70% del patrimonio in titoli di società la cui attività principale è dedicata al gold mining, il settore minerario aurifero, senza investire direttamente in oro. Il fondo è gestito da Evy Hambro, che vanta 20 anni di esperienza; oggi è il cio per tutta la parte che riguarda le risorse natu-rali ed è manager principale anche del com-parto world mining. Il co-manager è Tom Hall, che è supportato da tre analisti che lavorano anch’essi sul world mining. Le deci-sioni finali spettano comunque a Evy.Il processo di investimento si basa su un approccio bottom-up e top-down e sulla ricerca di quei titoli che risultano i migliori sotto vari aspetti di valutazione. Anche cri-teri Esg sono considerati nel processo di allocazione. L’universo di investimento prende in consi-derazione circa 300 titoli e il portafoglio è costruito senza particolari vincoli rispetto al benchmark. I pesi sono solitamente >2% rispetto al benchmark quando c’è una forte convinzione negativa o positiva, tra l’1% e il 2% per quelle intermedie e inferiori all’1% per tutte le altre.

    Questa strategia investe solitamente in so-cietà non focalizzate esclusivamente sull’at-tività estrattiva. La ricerca che produce BlackRock rappresenta un grosso vantaggio per i gestori. Inoltre il fondo ha prodotto comunque un rendimento superiore alla media del suo peer e per questo motivo viene considerato una valida second option nell’insight list di Allfunds Bank.

    Evy Hambro di BGF WORLD MI-NINGL’obiettivo del fondo è massimizzare i ren-dimenti investendo in titoli azionari globali legati al settore mining and metals. Questo strumento pone particolare enfasi nella ri-cerca di società coinvolte nella produzione dei metalli e dei minerali di base come il fer-ro e il carbone. Inoltre, è permessa l’esposi-zione ad aziende che producono e raffinano altri metalli preziosi e minerali come l’oro o l’argento. Comunque, è importante eviden-ziare che il fondo non prevede di acquistare una commodity fisica.Il portafoglio ha come benchmark di rife-rimento l’Euromoney Global Mining Con-strained Weights Net Total Return. La com-

  • FONDI&SICAV ottobre 2017 21

    La presente scheda (“il documento”) è una presentazione preparata da Allfunds Bank S.A. (“la Banca”). Le informazioni riprodotte nel presente documento non sono e non devono essere intese come ricerca in materia di investimenti, né una raccomandazione o un suggerimento, implicito o esplicito, rispetto ad una strategia di investimento avente ad oggetto gli strumenti finanziari trattati o emittenti strumenti finanziari, né una sollecitazione o offerta, consulenza in materia di investimenti, legale fiscale o di altra natura. Il documento contiene informazioni sintetiche sulle caratteristiche e sui rischi principali di uno strumento finanziario, ha un mero contenuto informativo e riporta solo le informazioni ritenute più rilevanti per la comprensione degli strumenti finanziari e dei loro rischi. Per una descrizione approfondita dello strumento finanziario e dei suoi rischi si rimanda al KIID ed al Prospetto Informativo. Il presente documento contiene informazioni che possono differire rispetto a quelle indicate nella documentazione ufficiale in tal caso valgono queste ultime. Tutte le informazioni contenute in questo documento sono fornite in buona fede sulla base dei dati disponibili al momento in cui è stata redatta.Questo documento si basa su informazioni e fonti considerate attendibili, ma di cui la Banca non è in grado di assicurare l’esattezza, a tal fine, quindi. la Banca non è responsabile per even-tuali errori, omissioni o inesattezze. È stata adottata la massima diligenza possibile al fine di selezionare le fonti di provenienza dei contenuti. La Banca non offre alcuna garanzia, espressa o implicita, né esprime alcuna dichiarazione in merito all’esattezza, adeguatezza o possibilità di accedere a detti contenuti, alla disponibilità degli stessi o al loro utilizzo. La Banca non sarà pertanto responsabile, di nessuno dei suddetti contenuti. Le informazioni sono fornite unicamente a scopo informativo.Il trattamento fiscale applicato dipenderà dalle circostanze individuali di ciascun investitore e può essere soggetto a cambiamenti in futuro. Si prega di consultare i propri consulenti fiscali, contabili e legali. Gli strumenti finanziari presentati sono soggetti ai rischi di mercato e non c’è alcuna certezza o garanzia che gli obiettivi degli stessi siano raggiunti. Il valore degli investi-menti è soggetto a variazioni anche in virtù delle oscillazioni dei tassi di cambio. Alcuni dei principali rischi dell’investimento sono: rischi associati al territorio, rischi di non liquidità, rischi di portafoglio concentrato, rischi di rendimento del portafoglio, rischi di gestione, rischi sui derivati, rischi di prestito, rischi fiscali e rischi azionari. Questi ed altri rischi sono descritti nel prospetto informativo. I potenziali investitori devono leggere attentamente il prospetto informativo per avere informazioni sui rischi, al fine di stabilire se l’investimento è adatto a loro. I seguenti rischi possono aumentare la volatilità del prezzo del fondo, amplificando gli effetti del mercato. Si prega di tenere conto, al momento di investire, che: (i) Gli investimenti in titoli azionari sono soggetti ai rischi di mercato, alle condizioni economiche e politiche dei paesi in cui si effettuano gli investimenti e, potenzialmente, al rischio legato ai tassi di cambio valuta. (ii) Gli investimenti in titoli obbligazionari sono principalmente soggetti ai rischi sul tasso d’interesse, sul credito e sulla insolvenza e, potenzialmente, al rischio legato ai tassi di cambio valuta. (iii) Gli investimenti in absolute return e strategie alternative sono principalmente soggetti al tasso d’interesse, alla liquidità di mercato, al rischio di credito e insolvenza e,potenzialmente, al rischio legato ai tassi di cambio valuta. L’uso di prodotti finanziari come parte del processo di investimento può inoltre generare rischi relativi a restrizioni di liquidità e leva finanziaria. (iv) Gli investimenti nei mercati emergenti e/o in piccole società possono comportare un più elevato grado di rischio essendo potenzialmente più volatili rispetto a quelli effettuati nei mercati sviluppati o nelle grandi società.Le performance registrate in passato non sono necessariamente indicative di analoghe performance future. I rendimenti sono al lordo degli oneri fiscali. Il valore dell’investimento è soggetto a fluttuazioni. Il presente materiale informativo non è stato soggetto all’approvazione di alcuna autorità degli Stati Membri europei.

    PERFORMANCE ANNUALI

    posizione del portafoglio è generalmente concentrata in circa 50-80 titoli, con un tur-nover basso (strategia buy & hold) e di soli-to ha un approccio fully invested per quanto riguarda la gestione della liquidità. Ciò no-nostante, quando ci sono inflow/outflow da gestire, il livello di liquidità può arrivare fino al 10% del patrimonio. Evy Hambro è il gestore dal 2002.Il fondo investe esaminando i cicli economi-ci delle diverse risorse naturali, combinando un approccio bottom-up, l’analisi fondamen-tale delle società e un approccio top down macroeconomico e industriale. Il team di gestione crede nell’inefficienza dei mercati e punta sulla generazione di alfa sul lungo pe-riodo tramite la ricerca di società sostenibili ed estremamente sottovalutate nei diversi sub-settori.Il prodotto è stato incluso nella nostra in-sight list come second option per i rendi-menti costanti degli ultimi tre anni rispetto ai suoi peer; non solo ha fornito perfor-mance superiori, ma anche una volatilità e un tracking error più bassi. Inoltre questo strumento offre un’opportunità più ampia rispetto al Bgf Equity Gold Fund. Il maggiore rischio si evidenzierebbe in uno scenario in cui i metalli preziosi e i minerali sottoperformassero rispetto all’oro e se la crescita dell’economia rallentasse, special-mente in paesi come la Cina, dove la do-manda di metalli è enorme e assolutamente fondamentale nel determinare i corsi di tut-te le commodity industriali.

    2017 YTD 2016 2015 2014

    PERFORMANCE A TRE ANNI

    INVESTEC GS GLOBAL GOLD-1

    BGF-WORLD MINING -USDI2

    FTSE GOLD MINES INDEX TR USD

    BGF-WORLD GOLD FUND USD12

    130

    110

    90

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    luglio 2014 luglio 2015 luglio 2016 luglio 2017

    INVESTEC GS GLOBAL GOLD-1

    BGF-WORLD MINING -USDI2

    FTSE GOLD MINES INDEX TR USD

    BGF-WORLD GOLD FUND USD12

    60%

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  • 22 FONDI&SICAV ottobre 2017

    In attesadellarivoluzione

    L’AUTO DI OGGI E QUELLA DI DOMANI

    COVER STORY In un mercato che negli ultimi anni ha visto una forte crescita delle vendite di auto in tutto il mondo, il settore appare borsi-sticamente abbastanza depresso, con un P/E globale del maggiore indice, l’Msci Acwi Automobi-les&Components, a 9,1 a fronte di una media mondiale che sfiora 16. Nell’ultimo triennio il rendimen-to annuale del benchmark è stato addirittura negativo (-0,88%) con una standard deviation annualiz-zata di 16,54. Ma i grandi cam-biamenti per il futuro, che sono il motore elettrico, il car sharing e la guida autonoma, rischiano di rivoluzionare l’intero comparto e già oggi è possibile puntare sulle aziende più innovative

    Il settore automobilistico mondiale rap-presenta tuttora uno dei punti nevralgici dell’economia mondiale: lungi dall’essere in declino, ha evidenziato negli ultimi anni un’ascesa produttiva, di vendite e di fattu-rati come mai si era vista prima. La vicenda delle avance di gruppi cinesi nei confronti di Fca ha per di più incrementato l’inte-resse degli analisti per questo comparto, dove da tempo sono in atto grandi mano-vre per cogliere i cambiamenti futuri che dovrebbero rivoluzionare gli attuali equili-bri. Inoltre l’auto rappresenta una cartina tornasole del grado di maturità tecnolo-gica di un paese, sia ad alto reddito, sia emergente. Infatti al mondo non vi è più di una cinquantina di nazioni in cui sono prodotte autovetture e in molte numeri e valore aggiunto sono minimi. Essenzialmente il livello più basso è co-stituito dagli impianti knock down e semi knockdown kits, in cui in pratica viene fat-to l’assemblaggio finale di veicoli prodotti altrove. C’è poi una pletora di economie ad alto-medio reddito che sono specializ-zate nella produzione per conto di grandi gruppi globali, sia per il mercato interno, sia per l’export. Spesso in questi luoghi sono sorte anche fiorenti industrie dei componenti. Infine in cima alla graduato-ria ci sono quelle realtà che sono state in grado di realizzare gruppi dominanti a livello globale: se esaminiamo i primi cin-

    di Boris Secciani

  • FONDI&SICAV ottobre 2017 23

    que del mondo per vendite (Renault-Nissan, Volkswagen, Toyota, Gm e Hyundai-Kia), tro-viamo anche l’elenco delle nazioni di riferi-mento: Usa, Giappone, Germania e l’ultima arrivata Corea del sud, con il caso italiano che è piuttosto particolare. Comunque que-sto segmento produttivo rappresenta una colonna portante del Pil mondiale, di cui fornisce circa il 5-6% (a seconda delle stime dell’indotto, come assicurazioni, carburanti, noleggio, etc.) e negli ultimi anni ha determi-nato anche nelle economie avanzate un bel po’ di fenomeni macroeconomici generali.

    BOOM DI VENDITEBasti pensare alla Germania, dove l’auto rappresenta il 18% delle esportazioni: l’an-damento della produzione locale e di sa-telliti come Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria offre un quadro piuttosto chiaro delle divergenze competitive all’interno dell’Eurozona, specialmente se si mettono a confronto i numeri di questi paesi con quelli di Francia e Italia. Ciò che si può però imme-diatamente evincere è che le vendite sono in boom, con diversi anni d’oro inanellati in Cina e in Usa, cui si sono aggiunte potenze

    che stanno arrivando adesso alla motoriz-zazione, come l’India e il Sud-est asiatico, e l’Europa a partire dal 2014. Al giorno d’oggi si stima che vi siano circa 1,2-1,3 miliardi di auto (inclusi i veicoli commerciali leggeri) sul pianeta, un valore praticamente raddoppiato rispetto alla metà degli anni 2000.

    QUADRO NON TRIONFALISTICODetto ciò, però, il quadro appare molto meno trionfalistico se si analizzano alcu-ni aspetti fondamentali e quantitativi delle performance borsistiche delle aziende che operano in questo settore. Innanzitutto va evidenziato un elemento: nella produzione di autoveicoli sono coinvolte migliaia di player in tutto il mondo, ma un numero relativa-mente scarso di queste è quotato sui listini equity. L’indice più onnicomprensivo in que-sto ambito, l’Msci Acwi Automobiles&Com-ponents, è costituito da 80 titoli per una ca-pitalizzazione complessiva che a fine agosto superava di poco 1,1 trilioni di dollari.Come si può notare, si tratta di un peso bor-sistico piuttosto modesto (il paragone con l’It, anche limitato al solo hardware, è impie-toso) e comprende esclusivamente i maggio-

    ri marchi globali e i giganti della componenti-stica, la cui distribuzione geografica peraltro corrisponde a quella dei colossi del prodot-to finito. Infatti se analizziamo la suddivisione della capitalizzazione per paese, scopriamo che il Giappone rappresenta circa il 36,8%, gli Usa il 19,6%, la Germania il 16,4%, la Fran-cia il 6,2% e la Corea del sud il 5,1%. La capi-talizzazione mediana è 7,8 miliardi di dollari, quella media 13,2. I rispettivi valori sono per l’Msci Acwi 6,9 e 17 e per l’Msci World (il primo dei due indici comprende sviluppati ed emergenti, mentre il secondo solo listini tradizionali) 9,9 e 22,7. Va detto che l’ultimo benchmark citato è distorto da una capita-lizzazione fatta al 59% da aziende Usa, in cui hanno assunto un ruolo preminente i colos-si tecnologici. Infatti, se nell’auto manca un vasto settore di small cap quotate, al tem-po stesso le blue chip non sono in grado di raggiungere il ruolo di mega-cap: sempre a fine agosto Toyota Motor, il leader mondiale, vantava una capitalizzazione inferiore a 147 miliardi di dollari, mentre Daimler si posi-zionava al secondo posto con poco più di 70. Queste due aziende erano le uniche che superavano quota 50 miliardi.

    PROBLEMI STRUTTURALIIn realtà sul settore sembrano incombe-re problemi strutturali e ciclici. Per quanto riguarda il primo aspetto qualche magagna sta emergendo nei due principali mercati planetari, Usa e Cina. Steven Bocamazo, associate director of credit research di Lo-

    STEVEN BOCAMAZOassociate director of credit research

    Loomis Sayles & Co. (Natixis Global Asset Management)

    segue a pagina 26

  • 88,1 milioni

    nuove auto e veicolicommerciali leggeri venduti nel 2016, un record assoluto e in rialzo del 4,8% rispetto al 2015 (fonte: Macquarie Bank)

    93,5 milioni

    la stima delle vendite del 2017 (fonte: Ihs Markit)

    nuove auto elettriche vendute

    globalmente nel 2016, il 40% di queste in Cina

    (fonte: International Eenergy Agency)

    750 mila

    23,9 milioni

    nuove auto e veicoli commerciali leggeri venduti in Cina nel 2016, una cifra mai raggiunta, con un rialzo del 15,9%; 10,9 milioni(+3%) il dato per la prima metà del 2017 (fonte: Caam)

    nuove auto e veicoli commerciali leggeri venduti negli Usa nel 2016, un nuovo record dopo i 17,44 del 2015 (fonte: Caam)

    nuove auto e veicoli commerciali leggeri venduti nell'Ue-28+Efta nel 2016, il massimo degli ultimi nove anni; 8,46 milioni la quantità venduta nei primi sei mesi del 2017 (+4,6%) (fonte: Acea)

    il numero stimato di auto almeno parzialmente a guida autonoma presente sul pianeta nel 2022 (fonte: Ihs Markit)

    lo stock complessivo di auto elettriche nel 2016; erano circa 1,3 milioni nel 2015. Un terzo di esse si trova in Cina, che ha acquisito la leadership assoluta(fonte: International Energy Agency)

    la quota di auto elettriche vendute sul totale di nuovi veicoli in Norvegia, il livello più elevato del mondo (fonte: International Energy Agency)

    29%

    15,1 milioni

    322 milioni

    2 milioni

    17,55 milioni

    Tanti numeripositivi

    L’AUTO DI OGGI E QUELLA DI DOMANI

    COVER STORY

  • 88,1 milioni

    nuove auto e veicolicommerciali leggeri venduti nel 2016, un record assoluto e in rialzo del 4,8% rispetto al 2015 (fonte: Macquarie Bank)

    93,5 milioni

    la stima delle vendite del 2017 (fonte: Ihs Markit)

    nuove auto elettriche vendute

    globalmente nel 2016, il 40% di queste in Cina

    (fonte: International Eenergy Agency)

    750 mila

    23,9 milioni

    nuove auto e veicoli commerciali leggeri venduti in Cina nel 2016, una cifra mai raggiunta, con un rialzo del 15,9%; 10,9 milioni(+3%) il dato per la prima metà del 2017 (fonte: Caam)

    nuove auto e veicoli commerciali leggeri venduti negli Usa nel 2016, un nuovo record dopo i 17,44 del 2015 (fonte: Caam)

    nuove auto e veicoli commerciali leggeri venduti nell'Ue-28+Efta nel 2016, il massimo degli ultimi nove anni; 8,46 milioni la quantità venduta nei primi sei mesi del 2017 (+4,6%) (fonte: Acea)

    il numero stimato di auto almeno parzialmente a guida autonoma presente sul pianeta nel 2022 (fonte: Ihs Markit)

    lo stock complessivo di auto elettriche nel 2016; erano circa 1,3 milioni nel 2015. Un terzo di esse si trova in Cina, che ha acquisito la leadership assoluta(fonte: International Energy Agency)

    la quota di auto elettriche vendute sul totale di nuovi veicoli in Norvegia, il livello più elevato del mondo (fonte: International Energy Agency)

    29%

    15,1 milioni

    322 milioni

    2 milioni

    17,55 milioni

  • 26 FONDI&SICAV ottobre 2017

    omis, Sayles & Co. (Natixis Global Asset Management), sostiene: «Il mer-cato dell’auto ha chiuso un ottimo 2016, gui-dato da solide performance di vendita negli Stati Uniti, in Cina e in Europa occidentale, mentre Sud America e Russia continuano a registrare dati deboli a causa delle difficoltà economiche. Ma se da un lato possiamo at-tenderci una continuità della crescita a livello globale per il 2017, i fondamentali sottostanti sono deboli nelle due aree più importanti: Usa e Cina. Un mercato maturo, una clientela benestante e un sempre maggiore numero di persone abilitate a guidare fanno degli Stati Uniti una zona particolarmente interessante per il settore dell’auto. Ciò è stato evidente tra il 2010 e il 2016, quando i produttori di veicoli operavano in un segmento in costan-te crescita sovraperformando i competitor. I consumatori americani hanno sempre avuto una grande affinità con i truck più costosi e i Suv e negli ultimi anni un prezzo dei carbu-ranti più contenuto e finanziamenti più facili hanno accelerato questo trend. Detto ciò, riteniamo che il mercato Usa dell’auto oggi si sia stabilizzato e che questi numeri di ven-dita potrebbero subire variazioni di diverse centinaia di migliaia di unità ogni anno (sia in positivo, sia in negativo). Elevati incentivi per l’acquisto e la continua disponibilità di finanziamenti a buon mercato possono con-tribuire a mantenere le vendite elevate nel breve e medio termine, ma il rialzo dei tassi di interesse, il valore dell’usato in calo e un crescente numero di veicoli da rottamare potrebbero dimostrarsi ostacoli ai volumi di crescita futuri, nonostante le condizioni

    MIKHAIL ZVEREVhead of global equities Aberdeen Standard Investments

    attuali di supporto all’economia e i prezzi del carburante bassi. Il mercato più grande a livello mondiale, la Cina, continua su un per-corso di crescita in costante rialzo, per quan-to a un tasso più misurato rispetto a qualche anno fa, poiché la domanda di veicoli nelle più importanti città del paese è diminuita. Le prime case automobilistiche a essere entrate sul mercato cinese, come Volkswagen e Ge-neral Motors, sono rimaste leader, ma oggi la maggior parte dei principali produttori a livello globale ha una presenza forte. I brand domestici hanno consolidato la loro posizio-ne competitiva, facendo pressione sui prezzi dei veicoli e diventando una minaccia per le case più importanti».In pratica, se dovessimo sintetizzare, si po-trebbe dire che in America, dove i volumi

    di credito sono aumentati (i finanziamenti all’acquisto di automobili hanno toccato un trilione di dollari nel 2016 a fronte di 840 mi-liardi del 2014) in concomitanza con il dete-rioramento della qualità creditizia (+12% nel 2016 i prestiti subprime), si sta arrivando alla fine di un ciclo. In Cina, in compenso, il mer-

    cato sta maturando con i produttori locali che cominciano a imporre i propri marchi, con conseguenze non indifferenti sui margini di profitto dei maggiori gruppi mondiali. Non sorprende, dunque, che vi siano non pochi investitori istituzionali che sembrano po-chissimo attratti dalle valutazioni fantastiche del settore.

    «NEGATIVI SULL’AUTO»Significativo il parere di Mikhail Zve-rev, head of global equities di Aberdeen Standard Investments: «Siamo negativi sul comparto auto. Sì, le valutazioni limitano i rischi di ribasso, ma non si tratta per noi di un elemento sufficiente; anzi mostrano che gli investitori sono consci delle sfide che attendono il comparto. Infatti vediamo

    una combinazione di minacce di natura sia ciclica in mercati chiave (Usa e Cina), sia strutturale. In America il facile accesso al credito a basso costo ha aumentato i volumi di vendita e spinto i consumatori a fare un salto di qualità verso modelli più costosi e a maggiore valore aggiunto e un’inversione di

  • FONDI&SICAV ottobre 2017 27

    questo processo costituirebbe sicuramente un problema per i margini dei produttori. Vi sono alcuni rischi nel segmento subprime, i cui finanziamenti includono anche garanzie sul valore residuale del veicolo, ma c’è la possibilità che alcuni gruppi specializzati nel finanziamento auto abbiano operato sulla base di stime troppo ottimistiche di questi

    COME INVESTIRE SUL FUTURO?

    Soprattutto componentisticaI tempi della rivoluzione dell’auto, dunque, non sembrano eccessivamente lontani e a questo punto non rimane che scegliere dove posizionarsi per sfruttare almeno il trend dell’elettrificazione a livello borsistico. Da questo punto di vista si possono trovare occasioni, sia fra i nuovi player cinesi, sia tra alcuni colossi relativamente tradizionali, con una precisa preponderanza della componentistica, che ha meno da perdere in termini di brand. Tra coloro che credono nelle aziende del Dragone troviamo Greg Kuhnert, di All China Equity Fund: «Per quegli investitori desiderosi di avere esposizione all’auto elettrica cinese, una delle aziende meglio posizionate è Shenzhen Inovance Technology. Si tratta di un gruppo che è nato come produttore impegnato nel settore dei robot industriali ed è riuscito a guadagnare una buona posizione nel campo degli Ev commerciali, nel ruolo di fornitore di controller integrati. Inoltre il recente piano in partnership con Brusa, un’azienda svizzera di power train elettrici, sembra cementare ulteriormente la sua posizione come fornitore non tradizionale nel mercato elettrico ed è chiaro che le implicazioni del fatto che in futuro i veicoli tradizionali saranno più costosi sono già adesso pertinenti. Se si vuole investire in aziende cinesi del settore auto bisogna tenere conto di tutti i cambiamenti chiave attualmente portati dall’adozione degli Ev (electric vehicle) nel paese. In particolare i profitti e i margini delle aziende tradizionali verranno progressivamente diluiti e i vincitori di domani potrebbero, come Inovance Technology, trovarsi al di fuori della filiera tradizionale».

    NON SOLO CINASe la Cina sembra un mercato ideale per saltare nel futuro, a causa della mancanza di colossi vecchi di un secolo, della presenza di un settore high tech in crescita mostruosa e di un parco auto ancora modesto in termini relativi (attualmente vi è circa un’auto ogni nove abitanti a fronte delle quattro ogni cinque in Usa), non va dimenticato che anche i gruppi industriali occidentali non rimangono a guardare, come ricorda Mikhail Zverev, di Aberdeen Standard Investments: «Le occasioni migliori si trovano identificando quei fornitori in grado di aumentare il contenuto dei propri prodotti per ciascun veicolo, in modo così di compensare il potenziale declino dei volumi. Su questa base Visteon è un titolo che è da tempo nel portafoglio delle nostre strategie Usa e globale. Questa azienda fornisce sistemi di “infotainment” e strumentazione come tachimetri, sistemi di navigazione, audio e altri. La quantità di prodotti della società per veicolo sta crescendo man mano che le macchine diventano sempre più connesse e i consumatori domandano all’interno di esse tecnologie pari a quelle che usano sui propri dispositivi mobili o a casa. Vi è poi Infineon, che fornisce semiconduttori al settore auto e degli applicativi industriali. I prodotti del gruppo aiutano a mantenere un alto voltaggio e un’elevata funzionalità della corrente elettrica nelle automobili. Il processo di elettrificazione è dunque un elemento importante della domanda dei prodotti di Infineon, così come lo è anche la crescita delle tecnologie per la guida automatica o assistita. Questi sviluppi potrebbero portare a un raddoppio della quantità di contenuti di componenti Infineon in ogni veicolo. L’azienda risulterà fra i vincitori qualsiasi sia la tecnologia che si imporrà: auto ibride, ibride plug-in o elettriche pure».

    SCELTE DI PORTAFOGLIO DIFFICILIPer quanto riguarda invece il trend delle auto robot a guida autonoma, potenzialmente il più devastante, appare ancora molto difficile riuscire ad andare oltre generiche aree di interesse e scegliere nomi specifici, come ricorda Wesley Lebeau, global thematic equity portfolio manager di Cpr Asset Management: «L’auto a guida autonoma è il santo Graal che l’industria sta cercando. Per raggiungere il livello 4 (il secondo maggiore grado di automatizzazione, n.d.r.) stabilito negli Stati Uniti dalla Nhtsa (National highway traffic safety administration) per la guida au-tonoma, sono necessarie migliorie sui sensori tecnologici, software, big data, artificial intellingence, cloud analytics e altre apparecchiature, il tutto a costi inferioriı». Il problema è che si tratta di aree di intervento enormi in cui ancora bisogna andare con il lanternino in termini di scelte di portafoglio. Indicativo ad esempio il parere di Mark Oud, di Kempen Capital Management: «La nostra esposizione al tema della guida autonoma è limitata, anche se però stiamo investigando varie opportunità. L’impatto allo stato attuale è potenzialmente enorme, però non è ancora chiaro chi saranno i vincitori di domani. Ciò mal si confà alla nostra strategia di investimento sul lungo periodo. Riteniamo, detenendo Alphabet, di avere guadagnato esposizione a uno dei beneficiari dei trend futuri, grazie alla sua enorme mole di dati e ai suoi programmi di R&D».

    valori residuali. Non riteniamo, però, che si arrivi a una situazione di crisi quanto che il fenomeno si traduca in un effetto depressi-vo sui conti dei produttori. In Cina, invece, è sempre più chiaro che le aziende locali stanno raggiungendo la concorrenza inter-nazionale in termini di qualità e percezione del marchio, aiutate anche dalle politiche di

    sostegno delle autorità locali. Questi svilup-pi rendono il mercato del Dragone ancora più concorrenziale per i player globali, per i quali la Repubblica Popolare tradizionalmen-te è sempre stata decisamente profittevole». A queste considerazioni si può aggiungere il fatto che forse anche l’Europa è già oltre il picco di questo ciclo. Frédéric Labia,

  • 28 FONDI&SICAV ottobre 2017

    di sparire in futuro. Un esempio indicativo di ciò arriva da Mark Oud, senior portfolio manager long-term value creation di Kem-pen Capital Management: «Riteniamo che vi sia valore in alcuni fornitori di compo-nenti non esposti ai cambiamenti strutturali, quali ad esempio i produttori di pneumatici». Resta da rispondere a un quesito: ha senso essere oggi così preoccupati nei confron-ti di cambiamenti che potrebbero avvenire a decenni di distanza, almeno in termini di adozione di massa? Sicuramente le ansie strutturali sono state aumentate dai pro-blemi ciclici, ma queste tensioni sono ormai presenti da anni, quando il party dell’auto era in pieno corso. Certo è che, se le promesse del futuro non dovessero pienamente realiz-zarsi, saremmo di fronte ai maggiori errori in termini di allocazione dei capitali dai tempi della prima bolla di internet.

    DERATING INSENSATOL’auto tradizionale dunque ha visto negli ul-timi anni un ciclo di vendite eccellente, ac-compagnato però da un derating insensato delle quotazioni rispetto ai dati storici del settore e a quelli del resto del mercato, con un P/E che oggi è del 15% inferiore rispet-to alla media storica degli ultimi cinque anni del comparto e del 50% rispetto al mercato, anche in questo caso calcolando su un quin-quennio. Dunque sembra che tutto stia cam-biando: il problema è che ancora non si sa in

    equity analyst di Amundi Asset Mana-gement, specializzato nel settore automo-bilistico, sostiene: «Abbiamo una posizione piuttosto ribassista sul settore automobili-stico. L’industria oggi concentra molti timori. Dal punto di vista ciclico, la domanda è re-lativamente debole: gli Usa hanno raggiunto i massimi livelli e le statistiche mostrano un costante deterioramento dell’andamento dei prezzi. Il mercato cinese è sano, ma la base di confronto sarà molto elevata nella seconda parte dell’anno, nel senso che pos-siamo aspettarci un incremento minimo da qui in avanti. Infine, l’Europa continua a cre-scere, ma il momentum sta perdendo vigo-re a causa dell’attuale recessione nel Regno Unito».

    LA VERA MINACCIALa vera minaccia, però, che incombe sul complesso dell’automobile è costituita dalle trasformazioni tecnologiche in divenire, in particolar modo l’avvento dell’auto elettrica di massa e della guida autonoma. Nel miglio-re dei casi per i colossi attuali ciò significa investire una quantità di capitali enorme, con il rischio di vedere emergere nuovi attori in un mercato in cui poco o nulla sarà più come prima. Nel peggiore potrebbero emergere paradigmi completamente nuovi in grado di fare crollare il possesso privato di automo-bili. Il tutto mentre il quadro legislativo si fa sempre meno tollerante. Ancora Frédéric Labia, di Amundi Asset Management, fornisce una sintesi delle sfide in corso: «Da un punto di vista strutturale, i produttori di automobili affrontano enormi investimenti con l’obietti-

    FRÉDÉRIC LABIAequity analyst Amundi Asset Management

    vo di costruire l’auto del futuro. Chiaramen-te, la corsa verso i motori elettrici e l’auto-mazione è ben avviata. Ciò limiterà la loro leva finanziaria e operativa nei prossimi anni. Oltre a ciò, l’attuale e rapido indebolimen-to della penetrazione del diesel nel mercato europeo accentua la necessità di accelerare gli investimenti nell’elettrificazione. Infine, le recenti accuse di cartello creano un ulterio-re calo delle azioni: il commissario europeo Margrethe Vestager ha dichiarato che saran-no imposte multe “molto alte” se il sospetto di collusione dovesse dimostrarsi vero in tribunale».In pratica le sfide attuali costringono gli in-cumbent a finanziare possibili stravolgimenti tecnologici che rischiano di cancellarli. Ste-ven Bocamazo, di Loomis, Sayles & Co., affer-ma: «L’aumento di servizi di sharing vehicle, come ad esempio Uber, può offrire sfide e opportunità future all’industria dell’automo-bile. Attualmente, l’incremento di ride sha-ring ha un impatto negativo sulla domanda di taxi tradizionali e servizi di limousine, ma non così alto sull’industria dell’auto, conside-rata la continua crescita delle vendite di vei-coli. Però se il ride sharing dovesse diventare un servizio disponibile ovunque, come previ-sto, si potrebbe ridurre significativamente la domanda per auto private, in particolare in aree urbane ristrette dove il costo dei mezzi di proprietà è elevato. Nel tentativo di par-tecipare a questo fenomeno, i produttori au-tomobilistici stanno stipulando partnership con Uber e Lyft su temi quali lo sviluppo di veicoli a guida autonoma. General Motors, ad esempio, ha conquistato la partecipazione di maggioranza di Lyft. Le auto a guida auto-noma sono in fase di test sia in aree control-late, sia su strada».

    FEBBRE DA DISRUPTIONIn pratica il mondo dell’automobile sembra entrato in una febbre da disruption, come se gli esempi passati di stravolgimenti portati dall’It stessero rendendo un intero e impor-tantissimo segmento dell’economia mondia-le un gigantesco punto di domanda. Infatti in-dicative appaiono le scelte di investimento in questo segmento: praticamente gli unici temi che interessano sono quelli legati alle nuove tecnologie. In ambito tradizionale si utilizza un approccio puramente difensivo, incentra-to sul cercare quelle nicchie meno a rischio

  • FONDI&SICAV ottobre 2017 29

    quali termini, con quali tempi e, soprattutto, con quali vincitori e vinti. Dovendo semplificare le grandi trasforma-zioni del futuro a tre temi portanti, in ordine crescente di importanza dovremmo trova-re il car sharing, l’ascesa dei veicoli elettrici e l’auto robotica. Questi tre sotto-settori vengono analizzati con un’efficace sintesi da Mikhail Zverev, di Aberdeen standard in-vestments: «Il car sharing è sicuramente un freno per i produttori di veicoli, ma non è un fenomeno di dimensioni tali da alterare in maniera significativa i trend di possesso delle auto; certo, sicuramente alcuni danni li farà al tasso di crescita del possesso di auto

    MARK OUDsenior portfolio managerlong-term value creation Kempen Capital Management

    LE PERFORMANCE

    Crescono le vendite, ma le borse non se ne accorgonoL’auto è un’industria che distribuisce benessere e lavoro in maniera diffusa ma che, forse proprio per queste ragioni, non genera in cima alla piramide, salvo qualche raro caso, enormi margini di profitto. Non sorprendentemente ciò si è fatto sentire sulle performance borsi-stiche: se consideriamo il rendimento totale