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1 INTRODUZIONE Sebbene incentrata sulla figura di Leonardo, questa mostra cerca di portare all’attenzione dei visitatori l’enorme sviluppo tecnologico che caratterizzò la fine del Medioevo e il Rinascimento. Questo periodo storico che vide la rinascita delle arti, delle lettere, della filosofia, in una parola di tutte le attività culturali dell’uomo, fu testimone anche dell’affermarsi di una “cultura delle macchine” che ai suoi esordi si caratterizzò anch’essa come un recupero delle conoscenze tecniche degli antichi. Attraverso i modelli di macchine che abbiamo qui selezionato è nostra intenzione tracciare un percorso all’interno dell’ingegneria rinascimentale che porti in evidenza come questo periodo sia caratterizzato dalla progressiva presa di coscienza che il sostentamento e lo sviluppo economico delle città e delle campagne passava attraverso lo sfruttamento e l’incremento delle risorse idriche. Per quanto l’idea di sfruttare l’energia posseduta dall’acqua corrente risalga all’antichità, fu a partire dal Quattrocento che si crearono le condizioni per una sua applicazione su larga scala. Grazie allo sviluppo di dispositivi meccanici come il biella–manovella, il pignone–vite senza fine, gli ingranaggi, la camma e il volano, fu possibile applicare l’energia idraulica alle macchine operatrici che, da apparecchiature azionate manualmente, si trasformarono in impianti “automatici” o semiautomatici, che alleggerivano il lavoro dell’uomo e incrementavano la produttività. Ma chi sono gli ingegneri protagonisti di questa rinascita? Perché vengono alla ribalta proprio durante il Rinascimento? Il termine ingenieius, da cui deriva l’odierno “ingegnere”, nel XIII secolo identificava colui che, operando con ingegno, inventava e costruiva macchine. Durante il Rinascimento la figura dell’ingegnere si identificò con quelle dell’architetto e del meccanico, dando luogo a professionisti esperti in tutti gli ambiti delle arti; sia Francesco di Giorgio che Leonardo, ad esempio, erano al contempo pittori, architetti, meccanici e fonditori. La figura dell’ingegnere venne alla ribalta sociale nell’Italia del Quattrocento dove si crearono le condizioni per esaltare le sue molteplici capacità, che furono fondamentali sia sul piano artistico– architettonico che su quelli economico e militare. Questa tradizione di tecnici, fino a quel momento legata essenzialmente alla vita di bottega o di cantiere, fu protagonista di una notevole emancipazione culturale che trovò espressione nella nascita di una tradizione letteraria dove si cercava di andare oltre la dimensione improvvisata del libro di bottega o del quaderno di appunti

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INTRODUZIONE

Sebbene incentrata sulla figura di Leonardo, questa mostra cerca di portare all’attenzione dei

visitatori l’enorme sviluppo tecnologico che caratterizzò la fine del Medioevo e il Rinascimento.

Questo periodo storico che vide la rinascita delle arti, delle lettere, della filosofia, in una parola di

tutte le attività culturali dell’uomo, fu testimone anche dell’affermarsi di una “cultura delle

macchine” che ai suoi esordi si caratterizzò anch’essa come un recupero delle conoscenze tecniche

degli antichi.

Attraverso i modelli di macchine che abbiamo qui selezionato è nostra intenzione tracciare un

percorso all’interno dell’ingegneria rinascimentale che porti in evidenza come questo periodo sia

caratterizzato dalla progressiva presa di coscienza che il sostentamento e lo sviluppo economico

delle città e delle campagne passava attraverso lo sfruttamento e l’incremento delle risorse idriche.

Per quanto l’idea di sfruttare l’energia posseduta dall’acqua corrente risalga all’antichità, fu a

partire dal Quattrocento che si crearono le condizioni per una sua applicazione su larga scala.

Grazie allo sviluppo di dispositivi meccanici come il biella–manovella, il pignone–vite senza fine,

gli ingranaggi, la camma e il volano, fu possibile applicare l’energia idraulica alle macchine

operatrici che, da apparecchiature azionate manualmente, si trasformarono in impianti “automatici”

o semiautomatici, che alleggerivano il lavoro dell’uomo e incrementavano la produttività.

Ma chi sono gli ingegneri protagonisti di questa rinascita? Perché vengono alla ribalta

proprio durante il Rinascimento?

Il termine ingenieius, da cui deriva l’odierno “ingegnere”, nel XIII secolo identificava colui che,

operando con ingegno, inventava e costruiva macchine. Durante il Rinascimento la figura

dell’ingegnere si identificò con quelle dell’architetto e del meccanico, dando luogo a professionisti

esperti in tutti gli ambiti delle arti; sia Francesco di Giorgio che Leonardo, ad esempio, erano al

contempo pittori, architetti, meccanici e fonditori.

La figura dell’ingegnere venne alla ribalta sociale nell’Italia del Quattrocento dove si crearono le

condizioni per esaltare le sue molteplici capacità, che furono fondamentali sia sul piano artistico–

architettonico che su quelli economico e militare. Questa tradizione di tecnici, fino a quel momento

legata essenzialmente alla vita di bottega o di cantiere, fu protagonista di una notevole

emancipazione culturale che trovò espressione nella nascita di una tradizione letteraria dove si

cercava di andare oltre la dimensione improvvisata del libro di bottega o del quaderno di appunti

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per organizzare in maniera organica le proprie conoscenze sotto forma di trattato. Compilando

pregiati volumi manoscritti corredati da nutriti apparati iconografici pieni di sontuosi palazzi e di

macchine belliche potentissime, gli ingegneri, assecondarono gli interessi tecnologici di mecenati

come gli Sforza a Milano, i Medici a Firenze, i Montefeltro ad Urbino e i Malatesta a Rimini, i

quali, dal canto loro, si fecero promotori di un rinnovamento tecnologico sia sul piano militare che

civile.

Nelle corti di questi signori “illuminati” l’ingegnere accrebbe così tanto il proprio prestigio da

entrare in competizione persino con i raffinati Umanisti che, con le loro orazioni e la loro capacità

di leggere e tradurre i testi greci e latini, erano in quel periodo gli esponenti ufficiali della cultura,

vanto di tutte le corti rinascimentali. Il caso più emblematico è certamente quello di Leonardo che,

nell’ultima parte della sua vita, fu ospitato in Francia da re Francesco I, il quale gli mise a

disposizione il castello di Cloux presso Amboise per poter dar sfogo alla sua genialità artistica,

tecnologica e scientifica.

Anche se Leonardo resta il protagonista principale del sapere tecnico rinascimentale, dobbiamo

tenere presente che egli non fu, come si è pensato per tanti anni, un caso isolato, ma piuttosto

l’erede di una tradizione ormai consolidata nella quale, durante il Quattrocento, era avvenuto il

recupero di alcuni trattati tecnici dell’antichità, come il De architectura di Vitruvio o gli Spiritalia

di Erone Alessandrino, ed erano state realizzate importanti opere architettoniche e idrauliche, come

la rete dei bottini dell’acquedotto sotterraneo di Siena, la cupola del Duomo di Firenze e i navigli in

Lombardia.

I protagonisti principali di questa mostra sono Mariano di Iacopo detto il Taccola, Francesco di

Giorgio e soprattutto Leonardo. Nelle loro opere, che complessivamente abbracciano un arco

temporale che va dagli anni trenta del XV secolo fino ai primi venti anni del XVI, è possibile

vedere il progressivo sviluppo della “tecnologia dell’acqua” e la definitiva affermazione del motore

idraulico che, specialmente con l’opera di Francesco di Giorgio, viene perfezionato nel disegno e

classificato nelle sue diverse tipologie.

Mariano di Iacopo, detto il Taccola (Siena 1382 – 1458?)

Artista e ingegnere senese, Taccola, così soprannominato forse per il profilo aquilino del suo naso,

si autodefinisce “l’Archimede di Siena”. Con questa autocelebrazione egli, molto probabilmente,

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voleva rivendicare il proprio ruolo di inventore e sottolineare la propia capacità di ideare dispositivi

eccezionali come quelli realizzati dallo scienziato di Siracusa durante l’assedio dell’armata romana

di Marcello del 212 a. C.

Taccola è un notaio che non esercita la professione, la cui formazione artistica e tecnica è da

attribuirsi alla frequentazione della bottega di Iacopo della Quercia. Vissuto a contatto sia col

mondo delle arti che con quello degli umanisti dello Studio di Siena, sviluppò un interesse per la

tecnica che si realizzò tanto sul piano antiquario che su quello delle invenzioni. Uno dei contributi

principali dell’opera di Taccola è, infatti, quello di restituire ai trattati tecnici dell’antichità le

illustrazioni che nelle trascrizioni medievali erano andate perdute. A partire da questo tentativo, che

possiamo definire di “filologia macchinale”, inizia il rinnovamento della figura professionale

dell’ingegnere che, con Taccola, diventa autore di testi tecnologici nei quali l’immagine è concepita

come il veicolo principale per la comunicazione dell’informazione tecnica.

L’opera manoscritta di Taccola è composta essenzialmente da due trattati, il De ingeneis e il De

machinis. Il primo è diviso in quattro libri: nei primi due, stesi tra il 1419 e il 1450, custoditi a

Monaco di Baviera, sono contenuti disegni di ingegneria militare e civile, impianti idraulici e

citazioni di autori classici, nel terzo e quarto, composti tra il 1431 e il 1433, conservati a Firenze,

sono contenuti disegni che si occupano prevalentemente di idraulica.

Il De Machinis, custodito anch’esso a Monaco di Baviera, è composto tra il 1430 e il 1449 e

contiene prevalentemente disegni di natura militare.

Francesco di Giorgio (Siena 1439 – 1502)

Francesco di Giorgio è un altro ingegnere senese che esercita la sua attività nella seconda parte del

XV secolo. Erede dell’opera di Taccola, del quale probabilmente fu allievo, incarna pienamente la

figura dell’artista ingegnere sviluppatasi nel Rinascimento. Animato da una curiosità e da interessi

che spaziano in tutti gli ambiti delle arti, egli fu pittore, scultore, ingegnere militare, meccanico e

soprattutto architetto. Legato professionalmente al Duca di Urbino, Federico da Montefeltro, e

membro attivo della Camera del Comune di Siena, fu uno dei principali protagonisti che animarono

la rinascita dei saperi tecnici.

Numerose sono le sue opere di Architettura, tra le quali, una delle più importanti fu il

completamento del Palazzo Ducale di Urbino, per il quale concepì il fregio esterno formato da 72

formelle in pietra a bassorilievo rappresentanti macchine da guerra e civili. Fu inoltre ideatore e

costruttore di numerose rocche nel Montefeltro, concepite con la caratteristica forma arrotondata

appositamente pensata per ridurre l’effetto dei colpi delle artiglierie.

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La Biografia di Francesco è caratterizzata da numerosi viaggi al servizio di vari signori italiani. Nel

1490 è a Milano dove presentò un modello per il tiburio del Duomo che gli valse la collaborazione

con gli architetti Amedeo e Docebuono per la costruzione del modello definitivo. In questa

occasione ebbe luogo anche l’incontro con il giovane Leonardo da Vinci, il quale rimase vivamente

impressionato dal più esperto collega e si cimentò nello studio del suo Trattato di architettura, sul

quale depositerà in seguito alcune note autografe.

Francesco ci ha lasciato quattro opere manoscritte: il Codicetto, assegnabile al 1465–70,

l’Opusculum de architectura, risalente al periodo 1475–80, e il Trattato di Architettura, che

possediamo in due stesure diverse: una attribuibile al 1480 e l’altra agli anni novanta dello stesso

secolo. Un contributo rilevante dell’opera manoscritta di Francesco, oltre ai vari modelli di

macchine che nei loro tratti essenziali appaiono già definiti ai tempi del Codicetto, consiste

nell’introduzione di una nuova tecnica di rappresentazione che, attraverso delle strutture a forma di

scatola, riusciva a illustrare i cinematismi delle macchine rispettando rigidamente le relazioni

spaziali tra le varie parti. Le opere della maturità, inoltre, sono caratterizzate da un costante sforzo

teso ad organizzare i vari tipi di macchine in maniera razionale, classificandole secondo i loro

principi di funzionamento. La seconda stesura del Trattato rappresenta l’espressione più alta della

letteratura tecnica quattrocentesca e sarà presa come modello dalle generazioni di ingegneri

successive.

Leonardo da Vinci (Vinci 1452 – Amboise 1519)

Leonardo è l’artista–ingegnere più famoso del Rinascimento, che a più riprese è stato osannato

come uno dei massimi geni della storia dell’umanità. Oggi, dopo gli studi pionieristici dello storico

francese Bertrand Gille sugli ingegneri del Rinascimento e dopo quelli condotti e coordinati da

Paolo Galluzzi negli anni Novanta del secolo scorso, la figura di Leonardo è stata oculatamente

ridimensionata e ricondotta a quella degli uomini del suo tempo. Tuttavia, anche se la gran parte

delle macchine disegnate da Leonardo trova un corrispettivo nelle opere degli ingegneri suoi

contemporanei, è doveroso riconoscere che Leonardo è l’ingegnere che più di ogni altro ha saputo

dar voce e visibilità grafica ai “sogni tecnologici” condivisi dalla maggioranza degli artisti

ingegneri del Quattrocento. La sua maestria nell’uso del chiaroscuro carica le macchine da lui

disegnate di una forza espressiva tale che esse sembrano volersi staccare dal foglio per compiere il

proprio lavoro. Nei disegni di Leonardo la macchina non è più un soggetto statico ma diventa un

processo dinamico che ci trasmette la forza viva del motore.

Come per molti altri ingegneri anche la vita di Leonardo è caratterizzata da numerosi viaggi al

servizio di vari signori italiani. Dopo l’infanzia trascorsa a Vinci, la sua carriera di artista inizia a

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Firenze dove a partire dal 1469, diventa apprendista nella bottega del Verrocchio. Durante questo

periodo, oltre ad affermarsi come pittore, ebbe modo di apprendere indirettamente la tecnologia di

Brunelleschi. Nel 1472 partecipò alla collocazione dell’enorme sfera di rame che sovrasta la cupola

di S. Maria del Fiore e in quest’occasione venne in contatto direttamente con le macchine progettate

da Brunelleschi per il cantiere. Nei suoi primi progetti di macchine, l’elemento predominante è la

vite, che diventerà un tema ricorrente della sua tecnologia specialmente nei dispositivi idraulici per

il sollevamento dell’acqua (coclee). Le macchine sono associate alle forze vive della natura e la vite

è vista come il corrispettivo artificiale dei moti spiraliformi dell’acqua corrente.

Nel 1482 si trasferisce a Milano al servizio di Ludovico il Moro, dove rimane per quasi venti anni.

Questo periodo è caratterizzato, oltre che dall’attività di pittore, anche dai preparativi e dagli studi

per la fusione del monumento equestre a Francesco Sforza che, come è noto, a causa della caduta

del Moro, non fu mai portato a termine. Durante questi anni Leonardo si impegna anche in molti

studi di natura tecnologica e architettonica. Intorno al 1487 sembrano risalire i disegni e le note

relative alla città su due livelli, progetto con cui intendeva far fronte ai problemi di sovraffollamento

urbano e organizzare gli spazi della città in maniera razionale separando le zone destinate all’attività

produttiva e commerciale da quelle destinate alla vita sociale. A questo periodo risale anche il suo

progetto di scrivere un “trattato dell’acqua”, cosa questa che denota come egli avesse già maturato

l’idea che la risoluzione dei problemi di ingegneria idraulica, come la costruzione e la

manutenzione dei canali, sarebbe stata possibile solo dopo uno studio approfondito dei moti

dell’acqua e di fenomeni come quello l’erosione.

Nel 1499, a causa dell’invasione francese, è costretto a lasciare Milano e dopo un soggiorno a

Venezia insieme a Luca Pacioli, nel 1501 torna a Firenze dove si dedica principalmente a studi di

Geometria. L’anno successivo è assunto come ingegnere militare da Cesare Borgia, il famigerato

Valentino, che in quel periodo stava conducendo una campagna militare nell’Italia centrale. A

questo periodo risale lo splendido disegno della pianta di Imola realizzato per scopi strategici

militari.

Nel 1503 è nuovamente a Firenze dove assume degli incarichi come ingegnere militare nella guerra

per la conquista di Pisa. Leonardo, forte dell’esperienza idraulica maturata in Lombardia, studia la

possibilità di una deviazione del corso dell’Arno per tagliare fuori dal corso del fiume la città

nemica, ma il progetto risulterà inattuabile.

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Nel 1508 lascia definitivamente Firenze per tornare a Milano, dove prende servizio presso il

Governatore francese Carlo d’Amboise che gli conferisce il titolo di “paintre et ingénieur

ordinaire”. Nel periodo della reggenza francese Leonardo torna ad occuparsi di idraulica studiando

il sistema idrico lombardo ed in particolare la canalizzazione dell’Adda. Dal 1513 al 1516 è a Roma

dove si dedica prevalentemente agli studi di anatomia, ma anche qui ha modo di mettere a frutto la

sua esperienza di ingegnere idraulico realizzando progetti per la bonifica dell’Agro Pontino e per il

porto di Civitavecchia.

Nel 1516 viene chiamato in Francia dal re Francesco I dove resterà fino alla morte.

Durante l’arco della sua vita Leonardo ha riempito migliaia di pagine di disegni, annotazioni e

riflessioni filosofiche sulla natura, sull’uomo e sulla tecnica, raccolti in quaderni di vario formato

che vanno da quello tascabile dei taccuini a quello “atlantico”, dal quale prende il nome uno dei

suoi codici più famosi, il Codice atlantico appunto, conservato a Milano presso la Biblioteca

Ambrosiana.

Baldassarre Peruzzi (Siena 1481, Roma 1536)

Pittore e architetto senese, fu collaboratore di Francesco di Giorgio dal quale mutuò i principi

dell’architettura che raccolse in un trattato. Attivo prevalentemente a Roma e a Siena, è ricordato

principalmente per la sua opera pittorica e per il progetto del palazzo romano della Farnesina, oggi

proprietà dell’Accademia dei Lincei. A Siena rivestì la carica di architetto e capomastro dell’Opera

del Duomo. Al periodo intorno al 1530 risalgono i suoi undici disegni per la ricostruzione della diga

sul fiume Bruna, in Maremma, oggi conservati al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi di

Firenze. Questi disegni illustrano undici modi diversi di costruire uno sbarramento fluviale e si

distinguono oltre che per la modernità delle soluzioni adottate nei contrafforti e nei canali di scolo

delle acque, anche perché mostrano come egli avesse già chiara la differenza tra le dighe a gravità e

quelle ad arco–gravità.

Vannoccio Biringuccio (Siena 1480 – Roma 1537)

Biringuccio è un altro ingegnere senese che si è occupato prevalentemente di metallurgia e

pirotecnica. La sua biografia, come quella di tutti gli altri ingegneri, fu caratterizzata da molti

viaggi. Importanti sono i suoi soggiorni nelle miniere del Tirolo e della Bassa Germania, durante i

quali apprese le tecniche metallurgiche della tradizione mineraria tedesca che a quel tempo erano le

più all’avanguardia d’Europa. Rientrato a Siena dopo il 1508 diresse le miniere di ferro di

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Boccheggiano, nelle quali cercò di mettere a frutto le tecniche apprese in Germania e nel Nord

Italia. Importante fu il suo tentativo di automatizzarne i cantieri, per i quali fece costruire grossi

impianti di fusione, alimentati da soffierie idrauliche a motore centralizzato. Fu anche un famoso

fonditore di cannoni e capitano di artiglieria che prestò i suoi servizi oltre che per la città di Siena

anche per la Repubblica fiorentina e per l’esercito del Papa Paolo III. La sua fama è legata al

trattato De la pirotechnia, pubblicato postumo a Venezia nel 1540, dove Biringuccio compendia

tutta l’esperienza maturata nella sua attività di tecnico minerario, fonditore e capitano di artiglieria.

L’elemento acqua

“Che cos’è acqua.

Acqua è infra i quattro elementi il secondo men grieve e di seconda volubilità. Questa non ha mai

requie insino che si congiunge al suo marittimo elemento, dove, non essendo molestata dai venti, si

stabilisce e riposa con la sua superficie equidistante al centro del mondo”.

Leonardo, Ms. C (IFP), f. 26v

La fisica di Leonardo

Per comprendere la definizione che Leonardo dà dell’elemento acqua dobbiamo dimenticare le

nostre conoscenze scientifiche e assumere la visione del mondo comunemente accettata dagli

uomini del Rinascimento. Il Cosmo, con la Terra al centro, era diviso in due parti separate dalla

sfera orbitale della Luna. Al disopra di questa, erano i pianeti, compreso il Sole, che ruotavano di

moto circolare, al disotto erano i quattro elementi, terra, acqua, aria e fuoco, cioè i costituenti del

nostro mondo, che si muovevano di moto rettilineo. Gli elementi della terra e dell’acqua erano corpi

pesanti e in virtù del loro peso avevano il proprio luogo naturale in basso, cioè nel centro

dell’universo. L’aria e il fuoco, invece, erano considerati corpi leggeri e quindi avevano il loro

luogo naturale in alto, dove si disponevano, secondo il loro grado di leggerezza, nelle regioni più

periferiche del mondo sublunare. Il mondo oltre la Luna era caratterizzato dalla perfezione ed era

quindi incorruttibile, lì non succedeva mai niente tranne il perpetuo ruotare dei pianeti. Il mondo al

disotto della Luna, invece, era il regno del mutamento, qui gli elementi erano soggetti a moti che li

allontanavano dai loro luoghi naturali, verso i quali essi tendevano sempre a ritornare.

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Condividendo questa fisica degli elementi elaborata dal filosofo dell’antica Grecia Aristotele,

Leonardo spiega fenomeni come lo scorrere dei fiumi, la pioggia, o la naturale tendenza a salire

verso l’alto del fuoco e delle bolle d’aria imprigionate sott’acqua. L’elemento acqua, così come la

terra, il fuoco e l’aria, una volta fuori dal proprio luogo naturale, tende sempre a ritornarci e a

disporsi in maniera equidistante dal centro dell’universo.

La nascita dei fiumi

“Il corpo della terra, a similitudine de’ corpi delli animali, è tessuto di ramificatione di vene, le

quali son tutte insieme congiunte, e son costituite a nutrimenti e vivificatione d’essa terra e de’ sua

creati. Essi partono dalla profondità del mare e a quelle, dopo molta revolutione, hanno a tornare

per li fiumi creati dalle alte rotture d’esse vene”.

Leonardo, Cod. Hammer, c. 4A, f. 33v

Per Leonardo la terra è un organismo vivente animato dalla circolazione sotterranea delle acque che

permettono la crescita delle piante e la vita degli animali. Nei punti dove queste vene scorrono più

in superficie, si possono creare delle fratture dalle quali l’acqua fuoriesce dando luogo ai fiumi che,

seguendo la conformazione della crosta terrestre, conducono l’acqua al mare.

Il mare è il luogo naturale dell’acqua. Qui, lontano dalla superficie increspata e mossa dai venti,

ogni particella d’acqua resta in quiete, disponendosi in maniera equidistante dal centro del mondo.

Solo l’azione di forze esterne come i venti o il calore dei raggi solari possono sollevare l’acqua dal

proprio luogo naturale, ma quando l’azione di queste forze si esaurisce, come quando, ad esempio,

le gocce d’acqua vaporizzate raggiungono i luoghi più alti e freddi dell’atmosfera, queste

riacquistano la loro forma originaria e sotto forma di pioggia cadono verso il basso fintanto che non

riconquistano il loro posto nel mare.

Il trionfo dell’acqua

In conclusione del Codice Hammer, dove sono raccolti gli appunti e le riflessioni di Leonardo per

scrivere un trattato sulle acque, si prospetta uno scenario apocalittico dove le acque finiranno per

sommergere la sfera terrestre. Quale sarà il destino della macchina del mondo? La risposta a questo

interrogativo angosciante secondo la concezione del mondo aristotelica sviluppata da Leonardo è

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catastrofica: “I monti dalle acque sieno alfine spianati, perché lavan la terra che li veste e

scoprano li sassi, i quali si marciscano e si convertono al continuo in terra, vinti dal caldo e dal

diaccio, e le acque consumano le loro radici, e i monti ruinano a parte a parte sopra i fiumi

consumatori delle lor basi, e l’acque da tali ruine ringorgate fanno gran pelaghi” (Cod. Hammer,

c. 17B, f. 17v).

La fine del mondo è inevitabile.

Leonardo riflette sulla forma della terra e si accorge che il fondo marino non ha una conformazione

uniforme, ma al contrario ci sono montagne e valli simili a quelle delle terre emerse. Se accostiamo

quest’immagine del mondo all’azione erosiva dei fiumi, le conclusioni sono drammatiche: le acque

consumeranno le montagne e trasportando continuamente i residui terrosi verso il mare si avrà il

graduale riempimento delle valli marine fino a quando la terra si farà sperica e tutta coperta

dall’acque, e sarà inabitabile [Ms. F (IFP), f. 52v].

Queste riflessioni di tono apocalittico sono il frutto di molti anni di studi ed esperimenti che

Leonardo ha condotto nel tentativo di sviluppare una “tecnologia dell’acqua”. Durante questi anni

egli si era convinto dell’impossibilità, per l’uomo, di contrastare la forza dell’acqua che, con la sua

incessante opera di erosione, costringeva alla continua manutenzione delle strutture e delle

macchine costruite per il suo controllo. Tuttavia, lo sviluppo e il benessere degli insediamenti umani

passano attraverso lo sfruttamento delle risorse idriche, quindi l’uomo non può fare a meno di

confrontarsi continuamente con l’elemento acqua per cercare di controllarne la forza.

Per Leonardo, così come per i principali ingegneri del Rinascimento, il controllo dell’acqua era alla

base dello sviluppo di tutte le attività umane: agricole, commerciali, industriali e militari. Grazie ai

progetti e al lavoro degli ingegneri che seppero interpretare le ambizioni delle Corti e delle Camere

dei Comuni delle principali città italiane, a partire dal tardo Medioevo, si assistette alla progressiva

trasformazione di molte città che diventarono delle vere e proprie città idrauliche.

Il controllo delle acque

“Et assomiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s'adirano, allagano e' piani,

ruinano li arberi e li edifizii, lievono da questa parte terreno, pongono da quell'altra: ciascuno

fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare. E, benché

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sieno cosí fatti, non resta però che li uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare

provvedimenti, e con ripari et argini, in modo che, crescendo poi, o andrebbono per uno canale, o

l'impeto loro non sarebbe né si licenzioso né si dannoso”.

Niccolò Machiavelli (Il Principe cap. XXV)

Nei secoli XV e XVI le vie d’acqua erano molto più importanti di quanto lo siano oggi. Il pessimo

stato della rete stradale e soprattutto la lentezza dei veicoli su ruote, rendevano il trasporto fluviale

di estrema importanza per far giungere in città le merci e i materiali necessari per il sostentamento e

lo sviluppo. I signori e gli amministratori delle principali città italiane dell’interno, come Milano e

Firenze, vedevano nella navigazione fluviale e nella realizzazione di una fitta rete di canali un

passaggio necessario per lo sviluppo della loro economia.

Con le vie d’acqua si irrigavano i campi e si facevano funzionare le macchine operatrici. Per gli

uomini del Rinascimento riuscire a controllare la forza dell’acqua significava sviluppo

dell’agricoltura, dei centri urbani, della tecnologia.

L’acqua in movimento attivava: macine, seghe, mantici, magli per battere il ferro, gualchiere per

battere la stoffa. Lo sviluppo del motore idraulico e la sua integrazione con le macchine operatrici

segnano l’avvio dell’era dell’automazione. La forza dell’acqua alleviava le fatiche dell’uomo e

consentiva una maggiore produttività.

Durante il periodo milanese al servizio di Ludovico il Moro, Leonardo iniziò a studiare i moti delle

acque e la loro azione erosiva lungo le sponde dei fiumi e nelle chiuse, realizzando anche splendidi

disegni di dispositivi idraulici come i complessi sistemi di pompaggio per portare l’acqua nelle

abitazioni o le porte a battenti delle “conche” che permettono di controllare il livello dell’acqua

consentendo alle imbarcazioni di superare i dislivelli fra i canali. A questo periodo risalgono anche i

disegni della “città ideale”, la quale doveva essere costruita sopra una fitta rete di canali destinati a

favorire i trasporti, il funzionamento dei motori idraulici e a permettere l’evacuazione degli scarichi

delle abitazioni.

Le dighe

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Nel Medioevo il pesce era un alimento base nella dieta delle persone e le città lontane dal mare, dai

laghi e dai fiumi, erano costrette ad importarne grosse quantità con un notevole esborso di denaro.

A partire dal 1468 la città di Siena, avviò un ambizioso progetto per realizzare un lago artificiale

sbarrando il corso del fiume Bruna mediante una diga nei pressi di Giuncarico, in Maremma. In

questo modo si voleva realizzare un allevamento di pesci per far fronte alle richieste della città, che

era costantemente indebitata con i pescatori del lago Trasimeno che la rifornivano. I lavori presero

il via probabilmente basandosi su progetti di Taccola, il famoso “Archimede senese”, il quale, nei

suoi manoscritti, ha lasciato testimonianza di sbarramenti fluviali e di tecniche per la costruzione in

acqua, così come alcune rappresentazioni di scene di pesca tecnologica che sembrano alludere a

questo progetto. Intorno agli anni Novanta del Quattrocento il bacino doveva essere concluso, ma

prima ancora che iniziasse lo sfruttamento della riserva ittica, si verificarono alcuni cedimenti che

spinsero la Repubblica senese a rivolgersi al suo ingegnere più famoso, Francesco di Giorgio, che

per l’occasione fu fatto rientrare con urgenza da Napoli, dove si trovava al servizio del Duca di

Calabria. A niente valsero gli interventi dell’autorevole ingegnere e le speranze di Siena di poter

allevare il pesce per sfamare i propri cittadini si spensero nel dicembre del 1492 quando la diga

crollò. Anche se la diga non fu più ricostruita, i senesi continuarono a lavorare a questo progetto e

intorno al 1530, l’allora architetto del Comune Baldassarre Peruzzi, presentò una serie di tavole

raffiguranti vari sistemi di sbarramento fluviale, che ci impressionano per la loro modernità.

Diga “primo modo” (GDSU 584A)

Questa diga presenta uno sbarramento concavo verso le acque. Di notevole interesse è la sezione

della muratura e della volta: “io lo giudico forte quanto se fusse sodo muro per la pendentia sua et

in oltre onde l’acqua sarà più alta lì sarà la volta più gagliarda perché muore in terra. L’acqua è

fatta defluire dal bacino attraverso due porte nella parte superiore e un canale di moderata

inclinazione per evitare i problemi di erosione dovuti all’impatto dell’acqua in caduta.

Diga “secondo modo” (GDSU 585A)

Questa è un’altra soluzione che prevede la costruzione di uno sbarramento lineare sorretto da

contrafforti che si uniscono nella parte posteriore. Anche qui per lo scarico dell’acqua è previsto un

canale a bassa inclinazione.

I ponti

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Ponti leggerissimi e forti atti a portare facilissimamente, e con quelli seguire e alcune volte fuggire

li nemici, e altri securi e inoffensibili da foco di battaglie, facili e comodi da levare e ponere”

[Lettera a Ludovico il Moro, Cod. Atlantico (BAM), f. 1082r]

I corsi d’acqua costituiscono una fonte energetica alla quale non si può rinunciare, ma al contempo

essi costituiscono sia un ostacolo per il transito terrestre sia una difesa contro gli attacchi militari.

Nelle migliaia di pagine scritte e disegnate da Leonardo troviamo molti modelli di ponti, per

soddisfare le esigenze sia civili che militari: dai leggerissimi ponti di legno pratici per l’uso militare,

ai ponti girevoli che permettono il passaggio di imbarcazioni troppo alte o l’isolamento di una

sponda del fiume o del canale.

Il ponte autoportante [Cod. Atlantico (BAM), ff.69ar e 71v]

La speciale struttura di questo ponte, dove ogni modulo è sorretto e sostiene gli altri moduli, fa sì

che esso stia in piedi da solo, anche senza nessuna legatura.

Il ponte autoportante arcuato è un modello leggero e forte che sta in piedi grazie alla geniale tecnica

di incastro pensata da Leonardo. Costruito con travi di legno, grazie alla sua forma arcuata,

distribuisce le forze in gioco in modo che i pezzi longitudinali si stringano a forbice su quelli

trasversali, mantenendo in piedi l’intera struttura.

Il disegno di questo ponte risale al primo periodo milanese ed è da mettere in relazione con i ponti

leggerissimi e forti atti a portare facilissimamente, ai quali Leonardo fa riferimento nella lettera

scritta al Moro, per essere assunto come ingegnere. La facilità di trasporto e la semplicità di

montaggio, rendevano questo ponte, almeno sulla carta, un equipaggiamento militare molto efficace

che riscontrava certamente i favori di un Principe rinascimentale sempre alle prese con le azioni

militari. Tuttavia, se in linea di principio è possibile costruirlo senza l’apporto di nessun tipo di

legatura, la sua messa in opera non è così facile, basta un pezzo fuori posto, infatti, per vedere

cascare tutta l’impalcatura come se fosse un castello di carte.

Alla geniale struttura di questo ponte in realtà corrisponde una scarsa utilità pratica. Provate ad

immaginarvi all’opera sul greto di un fiume e vi accorgerete presto che il ponte non può essere

montato direttamente sul corso d’acqua e, anche ammesso di montarlo lungo la sponda, la sua

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messa in opera richiede complesse manovre di varo che vanificano la sua stessa caratteristica

principale che dovrebbe essere la velocità di montaggio.

Il ponte su cavalletti [Cod. Atlantico (BAM), f. 55r]

Anche il ponte su cavalletti rientra nella categoria dei ponti leggerissimi e forti per consentire rapidi

spostamenti delle truppe e, pur essendo una soluzione meno geniale di quello autoportante, si

caratterizza per la maggiore praticità esecutiva.

Costruito con pertiche di legno facilmente reperibili, viene montato lavorando a sbalzo, di campata

in campata, fino a raggiungere l’altro argine.

Dopo aver ancorato le prime due pertiche sul greto del fiume, il montatore si porta sull’estremità di

una di esse, posizionando i supporti verticali a forbice, i quali, una volta legati con le traverse

orizzontali, costituiscono un solido punto d’appoggio per montare la campata successiva. Il

livellamento delle travi è garantito da un martinetto a cremagliera che sostiene la struttura in fase di

montaggio.

Ponte girevole [Cod. Atlantico (BAM), c. 855r]

Questo ponte, costruito di una sola campata, è fissato ad una delle sponde su un perno verticale che

ne consente la rotazione. Per mezzo di un sistema di corde ed argani e mediante una serie di rulli

per favorire lo scorrimento, il ponte viene fatto ruotare di 90° permettendo il passaggio di

imbarcazioni o l’isolamento di uno dei versanti del fiume. Per favorire la manovra di apertura

Leonardo prevede la costruzione di un cassone di pietre che serve da contrappeso quando il ponte si

trova ad essere sospeso prima di poggiare sull’altra sponda.

Il disegno di questo ponte risale al primo periodo milanese di Leonardo, e probabilmente, come gli

altri, rientra tra quei progetti che egli menzionava nella lettera di presentazione al Moro con i quali

promuoveva le sue capacità di ingegnere sia civile che militare. La caratteristica principale di

questo ponte era la velocità di chiusura e di apertura che ne faceva uno strumento efficace per

fermare l’avanzata del nemico.

Ponte girevole su barche [Cod. Atlantico (BAM), f. 857r]

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Il ponte di barche è una soluzione pensata per l’attraversamento di fiumi con acque tranquille.

Costruito sopra una fila di barche o botti, per mezzo di un argano, il ponte può essere fatto ruotare

fino a farlo alloggiare in un’apposita nicchia ricavata sull’argine. Anche il progetto di questo ponte

risale al primo periodo milanese e fu probabilmente uno dei modelli presentati al Moro nel 1482–

83.

Questa soluzione, nella versione fissa, cioè con ogni barca saldamente ancorata con dei cavi sul

fondale del fiume ha trovato applicazione in ambito sia civile che militare e ancora oggi, oltre ad

essere una soluzione usata dal Genio pontieri degli eserciti, è possibile trovare qualche vecchio

ponte a barche lungo i nostri fiumi. Se percorrete il parco del Ticino tra Milano e Pavia, in località

Bereguardo potete attraversare un ponte simile a questo.

Ponte a due piani [Ms. B (IFP), f. 23r]

Il disegno del ponte a due piani presentato da Leonardo è espressione di quell’esigenza di

pianificazione della viabilità che è uno dei presupposti della nuova visione urbanistica

rinascimentale.

Con questa soluzione, che permette l’attraversamento di un corso d’acqua su due livelli diversi, è

possibile separare i sensi di circolazione di entrata e di uscita dalla città, oppure, destinare il livello

superiore all’attraversamento pedonale e quello inferiore alla circolazione dei veicoli. Questa

seconda soluzione riflette pienamente le idee urbanistiche di Leonardo sviluppate in relazione ai

suoi studi sulla città ideale, le quali prevedevano la separazione delle strade e degli ambienti

riservati alle attività commerciali e artigiane da quelli riservati alla vita sociale degli omini gentili.

Per la costruzione di questo ponte è necessario realizzare due rampe di accesso sulle sponde del

corso d’acqua in modo che la strada superiore scavalchi le due vie che costeggiano gli argini, le

quali, a loro volta, sono messe in comunicazione dal piano inferiore del ponte.

Il ponte da assalto [Cod. Atlantico (BAM), f. 1074r]

Questa speciale macchina, che assomiglia molto ad un mezzo da sbarco anfibio o ad un getta ponte,

prevedeva una copertura per proteggere i soldati dai proiettili e dalle frecce del nemico durante

l’attraversamento di un fiume o del fossato di un castello. Per il funzionamento di questo ponte era

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necessario che una squadra di sommozzatori attraversasse il fiume per andare a costruire un

passante per le corde dell’argano posto nella parte posteriore della piattaforma che, una volta

azionato, avrebbe fatto scivolare il ponte sul fiume.

Le ruote poste sui lati del ponte fanno pensare ad un vero e proprio carroponte anfibio, capace di

portare i soldati fino in prossimità delle linee nemiche coperti dalle protezioni, per poi sferrare un

attacco ravvicinato e improvviso. Per raggiungere le postazioni nemiche si potevano usare come

perno, intorno al quale girare la corda, anche soluzioni di fortuna come un albero o una colonna,

posti ad una certa distanza dall’argine del fiume.

Leonardo pensò anche ad una variante di questo ponte illustrandone l’integrazione con un

dispositivo di trazione delle ruote a manovella e ingranaggi, che avrebbe permesso al “carroponte”

di muoversi autonomamente anche sulla terraferma. In questo caso, l’argano necessario per

l’attraversamento del fiume doveva essere posto sull’argine e, probabilmente, la corda, una volta

raggiunta la sponda opposta, doveva essere sganciata per non ostacolare il movimento del

“carroponte”.

Anche questo dispositivo, per quanto di non facile istallazione e facilmente intercettabile tagliando

la corda dell’argano, fu probabilmente uno dei dispositivi militari con i quali Leonardo cercò di

impressionare il Moro al fine di essere assunto come ingegnere al suo arrivo a Milano.

Il ponte canale [Cod. Atlantico (BAM), f. 126v]

Il ponte canale permette il superamento di un fiume grazie ad una conca di navigazione che, per

mezzo di due chiuse a doppio battente, consente alle imbarcazioni di superare il dislivello

dell’acqua.

L’idea originaria di questo ponte risale al primo periodo milanese di Leonardo e può essere messa

in relazione ad un punto della lettera al Moro dove Leonardo fa riferimento alla sua capacità di

saper “conducer le acque da un loco ad un altro”.

Il foglio che contiene lo schizzo di questo ponte è molto più di un disegno e dimostra come

Leonardo avesse preso seriamente in considerazione la possibilità di realizzarlo. Oltre a specificare

che si trattava di un’opera per la città di Firenze, vengono qui fornite indicazioni sulla costruzione

degli argini e alcune note relative ai tempi e ai costi di attuazione; Leonardo precisa che ogni

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operatore debba essere pagato quattro soldi al dì e il tempo per la realizzazione dell’opera sia tra la

metà di marzo e la metà di giugno, perché in questo periodo i villani sono poco impegnati nei lavori

dei campi e quindi reperibili a buon mercato.

Questo progetto probabilmente rientra in quello più ambizioso, da lungo tempo nella mente dei

fiorentini, di costruire un canale che permettesse alla città di Firenze di raggiungere il mare. Nei

primi anni del Cinquecento, in occasione della guerra tra Firenze e Pisa, quest’idea fu seriamente

presa in considerazione e, a Leonardo, appena rientrato dal Nord Italia, fu affidato il compito di

studiare il progetto per la deviazione del corso del fiume che, come risultato immediato, avrebbe

tagliato fuori dal corso dell’Arno la città nemica. Gli enormi sforzi economici e i lunghi tempi di

realizzazione, che prevedevano anche la costruzione di un canale sotterraneo che attraversasse la

Sella di Serravalle presso Pistoia, fermarono il progetto, ma l’audacia dell’impresa testimonia come

durante il soggiorno milanese Leonardo avesse sviluppato notevoli competenze nel settore

dell’ingegneria idraulica.

I canali

La possibilità di sfruttare l’acqua sia come risorsa energetica sia come via di comunicazione

dipende oltre che dalla costruzione di macchine che trasformano l’energia idraulica in energia

meccanica, anche dalla costruzione di canali e dighe che permettano il funzionamento di queste

macchine.

La fine del XV secolo in Lombardia segnò una nuova epoca nella costruzione dei canali. Il Naviglio

Grande, che era stato costruito sul finire del XII secolo per collegare Milano con il Ticino, fu prima

allargato e poi, grazie alla costruzione di un passante idroviario, fu messo in comunicazione con il

vecchio canale di cinta della città, che era stato inglobato dall’espansione urbanistica del periodo

tardo medievale. Questo collegamento idrico permise alle imbarcazioni che trasportavano i

materiali per la costruzione della cattedrale, di giungere dal Lago Maggiore fino nei pressi del

cantiere.

A causa del dislivello esistente tra i due canali, però, tutte le volte che la chiusa di comunicazione

veniva aperta per il transito delle imbarcazioni, l’acqua defluiva fuori dal canale interno, rendendo

necessario il suo successivo riempimento. Questo inconveniente fu in parte risolto nel 1438 quando

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i tecnici Filippo da Modena e Fioravante da Bologna costruirono una seconda porta nel canale di

collegamento lungo la via Arena, creando così la prima conca esistente in Italia.

Nel 1457 venne progettato il canale della Martesana che avrebbe dovuto unire Milano al fiume

Adda. Questo canale, che venne costruito tra il 1462 e il 1470, prende le acque dall’Adda presso

Trezzo dove venne costruita una grande diga di contenimento. Il canale procede parallelamente al

fiume per circa otto chilometri, separato da esso da un’imponente opera muraria presente ancora

oggi, prima di svoltare e attraversare la pianura fino a Milano. I progetti ed i lavori del canale

furono realizzati dall’ingegnere Bertola da Novate (c. 1410–1475), il quale riuscì a compiere

l’intero tragitto, circa 39 chilometri, con soltanto due conche di navigazione. Lungo il tragitto,

inoltre, si rese necessario scavalcare il torrente Molgora con un “ponte canale”, mentre il fiume

Lambro fu convogliato in una condotta sotterranea.

Un’innovazione molto importante per la navigazione e la gestione dei canali fu la sostituzione delle

porte a saracinesca con quelle a doppio battente ed apertura controcorrente, delle quali abbiamo il

primo disegno nel Codice Atlantico (f. 656a r) di Leonardo. Sembra che Leonardo abbia lavorato ai

Navigli di Milano già nel primo soggiorno milanese, ma fu all’epoca del dominio francese, durante

il suo secondo soggiorno (1506–1513), che ebbe modo di studiare la conca del naviglio S. Marco

per allacciarlo al canale della Martesana e non è da escludere che sia lui l’autore del progetto del

passante idroviario costituito dalle chiuse di S. Marco e dell’Incoronata.

Le macchine per fare i fiumi

L’intaglio di un canale, la costruzione di una chiusa o di un ponte, erano grandi opere che

richiedevano l’impiego di un numero enorme di operai, i quali erano costretti a scavare la terra e la

pietra a braccia, per mezzo di picconi, zappe e pale. Tuttavia potevano almeno contare su ingegnose

macchine che li aiutassero nel sollevamento e nel trasporto del materiale.

La gru a saliscendi [Cod. Atlantico (BAM), f. 4r]

Leonardo progetta questa gru che lavora frontalmente all’interno del canale, la quale è in grado di

spostarsi sopra ad un ingegnoso sistema di rotaie e viti per seguire l’avanzamento dei lavori. Si

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tratta di un’enorme gru a doppio braccio azionata da una sola corda che funziona sul principio del

saliscendi: le squadre di scavatori lavorano su tre livelli sincronizzando le loro operazioni in modo

che ogni volta che un contenitore di terra è pieno viene sollevato rispedendo in basso il contenitore

scarico per mezzo del peso dei lavoratori, che lo utilizzano come ascensore per tornare sul posto di

lavoro.

Il lavoro era organizzato nel seguente modo: mentre una squadra di scavatori riempiva il cassone in

basso, un’altra squadra scaricava il cassone legato all’altro capo della corda fuori dal canale.

Quando il cassone in basso era riempito, la squadra all’esterno, che nel frattempo aveva recuperato

energie, saltava dentro il cassone raggiungendo il proprio posto di lavoro, mentre gli operai in basso

uscivano dal canale e andavano a scaricare il cassone pieno di terra.

Il Battipalo galleggiante [Ms. 197.b.21 (BML), f. 48v]

Il battipalo galleggiante serve per piantare grossi pali sul fondo dei fiumi e dei laghi, trovando un

impiego in operazioni come il consolidamento degli argini, la costruzione degli sbarramenti fluviali

e dei ponti.

La tecnologia di queste macchine, conosciuta fin dall’antichità, si è sviluppata attraverso i secoli

fino a dar vita alle navi battipali attuali, le più grandi delle quali permettono di piantare sul fondale

marino i pali di sostegno delle piattaforme petrolifere. Il disegno del progenitore rinascimentale di

questi moderni battipali che possono arrivare a battere colpi da 300 tonnellate l’uno, lo troviamo

nell’Opusculum de Architettura di Francesco di Giorgio.

Questa macchina è essenzialmente una piattaforma costruita sopra due barconi, sulla quale è

montato il motore per l’azionamento e l’incastellatura verticale dove scorre il battipalo.

La particolarità di questo battipalo consiste nel fatto che il maglio è messo in movimento da un

dispositivo ruota–cremagliera: grazie ad una serie di denti ricavati su una porzione della

circonferenza della ruota, ad ogni giro la cremagliera trascina il peso in alto per poi lasciarlo

ricadere sul palo. Il disegno di Francesco di Giorgio presenta alcune soluzioni interessanti come

l’inserimento di un ingranaggio tra la cremagliera e la ruota, il quale, avendo l’asse di rotazione

scorrevole all’interno di un’asola, compensa le eventuali irregolarità nelle dentature della ruota e

della cremagliera che potrebbero comprometterne il funzionamento. La manovella in basso serviva

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per operazioni di manovra che prevedevano il sollevamento parziale del peso senza il bisogno di

salire nella ruota.

Il cavapalo galleggiante [Ms. Palatino 766 (BNCF), f. 35r]

Si tratta di un semplice dispositivo a leva montato su una barca che un uomo o più uomini possono

azionare facendo da contrappeso ad una pinza autobloccante che, quando è messa in trazione si

chiude sul palo estraendolo, ad esempio, dal fondo di un lago.

La barca cavafango

Le piene invernali e le mareggiate depositano sui fondali dei fiumi e dei porti fango e detriti di varia

natura che, col tempo, ostacolano la navigazione. Per far fronte alle non facili operazioni di

dragaggio gli ingegneri misero a punto speciali imbarcazioni che consentivano di evacuare i fondali.

Il cavafango disegnato da Francesco di Giorgio nel Trattato di Architettura [Ms. Saluzziano 148

(BRT), f. 64v] è composto da due barche parallele che centralmente ospitano una grossa ruota a

cucchiai che scarica il materiale raccolto sul fondo del fiume su di una chiatta. I cucchiai sono

montati su quattro bracci regolabili in altezza e possono essere adattati per lavorare a diverse

profondità. L’azionamento della draga avviene per mezzo di una trasmissione ad ingranaggi messa

in moto manualmente da uno o due operai nella postazione ricavata nella parte posteriore

dell’imbarcazione.

La draga disegnata da Leonardo nel Ms. E (f. 75v) ripropone una struttura simile al cavafango di

Francesco di Giorgio, differenziandosi solo per il sistema di azionamento. Il modello di Leonardo

prevede una manovella montata direttamente sull’asse della ruota a cucchiai, la quale, ruotando,

avvolge sul mozzo una corda che essendo ancorata sulla sponda del fiume permette l’avanzamento

della lavorazione.

Il cassone per fondare in acqua [Ms. Lat. 7239 (BNP), f.13r; Ms. Spencer 136 (NYPL), f. 9r]

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L’ingegnere senese Mariano di Iacopo, detto il Taccola, rivendica l’autorità dell’invenzione di

questa attrezzatura semplice ed efficace con la quale si potevano realizzare le fondamenta in acqua

dei ponti e delle dighe.

Questa macchina non è altro che una piattaforma galleggiante con un’apertura centrale attraverso la

quale si cala in acqua un cassone di legno impermeabilizzato che successivamente viene riempito di

pietre.

Taccola non spiega bene l’utilizzo di questo cassone, ma possiamo fare due ipotesi: 1) il cassone

viene riempito di pietre e lasciato sottacqua come parte costituente delle fondamenta 2) il cassone

viene utilizzato come armatura all’interno del quale viene costruita la fondazione in muratura e

dopo il consolidamento della calcina viene rimosso.

Se prendiamo per buona la seconda ipotesi possiamo pensare che il cassone venisse interrato sul

fondo del fiume o del lago e dopo averlo svuotato si poteva procedere alla “gettata” cioè al suo

riempimento con pietre e cemento.

L’energia idraulica

La corsa tumultuosa dei ruscelli di montagna e lo scorrimento lento dei fiumi della pianura sono

portatori di energia e fin dall’antichità l’uomo ha escogitato il modo per utilizzare questa energia

inventando i motori ad acqua. Questi dispositivi, che trasformano il movimento dell’acqua corrente

nel movimento meccanico di un albero motore, costituivano il sistema principale di alimentazione

di quasi tutte le macchine fino all’invenzione della macchina a vapore di James Watt.

Il lento diffondersi delle macchine a vapore, il cui pregio principale era quello di svincolare le

macchine dalla presenza di corsi d’acqua, non soppiantò completamente il motore idraulico che

continuò ad alimentare i mulini, i frantoi e le segherie, specialmente nelle regioni meno progredite

come quelle montane. Ancora oggi, nell’epoca dell’energia nucleare, la turbina idraulica, versione

moderna dei motori idraulici del passato, è utilizzata nella produzione di parte dell’energia elettrica

che accende le lampadine delle nostre case, ci permette di ascoltare la musica e ci consente di

spostarci da un capo all’altro della città con il tram o la metropolitana.

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I motori idraulici, che oggi sono rinchiusi all’interno delle centrali idroelettriche o in mulini e

segherie abbandonate, fino agli inizi del XIX secolo avevano una diffusione sul territorio che può

essere paragonata a quella degli odierni elettrodotti.

I complessi industriali erano attraversati da canali con forte pendenza dove erano collocati i motori

idraulici dai quali, per mezzo di un sistema ad alberi, pulegge e cinghie, venivano messi in

movimento vari utilizzatori.

Lo sviluppo dell’ingegneria dei motori idraulici e la loro applicazione su vasta scala risale al

periodo tardo medievale e rinascimentale. Negli scritti di Francesco di Giorgio, in modo particolare

nel suo Trattato di architettura (1480 circa), emergono chiaramente alcune intuizioni sulla diversa

natura delle ruote e sulla loro diversa destinazione d’uso a seconda delle caratteristiche del corso

d’acqua. Mentre nei trattati minerari della prima metà del XVI secolo, come il De la pirotechnia

(1540) del senese Vannoccio Biringuccio e il De re metallica (1556) del tedesco Giorgio Agricola,

troviamo le prime descrizioni di un utilizzo centralizzato di questi motori per l’alimentazione di più

utilizzatori.

I motori ad acqua.

I motori idraulici nella loro versione più semplice sono delle grosse ruote ad asse orizzontale o

verticale con delle palette ricavate lungo la loro circonferenza, che sfruttano la forza dell’acqua

corrente per la generazione di un moto rotatorio continuo.

I motori idraulici più antichi sono le ruote orizzontali. Esse venivano usate per azionare le macine

dei mulini, dapprima immergendole direttamente in veloci corsi d’acqua come i ruscelli montani e,

successivamente, alimentandole attraverso condutture forzate che orientavano l’acqua sulle palette.

Queste ruote che alimentavano i mulini ad asse verticale, sono le progenitrici delle moderne turbine

orizzontali a reazione impiegate nelle centrali idroelettriche di grande potenza.

Le ruote verticali sono di tre tipi e si differenziano secondo il modo con cui sono alimentate: ruote

ad impatto inferiore, ad impatto laterale, ad impatto superiore.

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Le ruote ad impatto inferiore sono le più lente e per il loro funzionamento richiedono una

notevole portata d’acqua. Queste funzionano immergendo la parte inferiore della ruota direttamente

nel corso d’acqua e per questo motivo furono impiegate nei mulini galleggianti che lavoravano

ormeggiati lungo i grandi fiumi.

L’ingegnere senese Francesco di Giorgio, che più di ogni altro si è dedicato allo studio di questi

motori, ha sviluppato la palettatura di queste ruote conferendole una forma a cucchiaio simile a

quella delle “norie”, ma con un disegno appuntito in modo da ridurre la loro resistenza

all’avanzamento nella corrente fluida. [Ms. Saluzziano 148 (BRT), f. 39v]

Le ruote ad impatto laterale, dette anche alimentate alle reni, prendono l’acqua da dietro,

attraverso una conduttura fortemente inclinata che amplifica la velocità dell’acqua aumentando

l’impatto sulle palette della ruota. Questo motore si lascia preferire a quello alimentato dal basso

perché, grazie al sistema di accelerazione dell’acqua, raggiunge un numero di giri maggiore.

Lo sviluppo di questo tipo di ruote idrauliche in età moderna ha portato alla costruzione delle

turbine idrauliche verticali che vengono utilizzate quando sono disponibili alti dislivelli.

Le ruote ad impatto superiore sono dette anche a contrappeso, perché il loro funzionamento non

dipende esclusivamente dall’impatto dell’acqua sulle palette, ma anche dallo sbilanciamento della

ruota dovuto al riempimento di contenitori posti lungo la sua circonferenza. Le palette in questo tipo

di ruota sono sostituite da “secchie” o “cassette” che sono riempite dalla corrente d’acqua che arriva

“dall’alto” sul fronte anteriore della ruota. Combinando energia idraulica e energia meccanica le

ruote alimentate dall’alto consentono un rendimento maggiore, ma il salto d’acqua necessario per il

loro funzionamento rende difficile la loro applicazione nelle città di pianura attraversate da fiumi

lenti e di grande portata. Per questo motivo le ruote ad impatto superiore furono impiegate

prevalentemente in zone montuose e collinari dove erano presenti ruscelli con forte pendenza le cui

acque potevano essere convogliate direttamente sulla parte superiore della ruota.

Il problema del salto d’acqua necessario per azionare questo tipo di motori stimolò notevolmente

l’immaginazione degli ingegneri rinascimentali, i quali progettarono complesse macchine idrauliche

che prevedevano serbatoi soprelevati riempiti per mezzo di pompe a stantuffo, arrivando persino ad

immaginare improbabili sistemi di pompaggio dove il motore che azionava la pompa era alimentato

grazie all’acqua sollevata dalla stessa pompa. [Francesco Di Giorgio, Ms. Ashburnham 361

(BMLF), f. 36r]. La messa a punto di macchine funzionanti per “moto perpetuo” fu uno dei “sogni

tecnologici” che stimolò l’immaginazione degli ingegneri rinascimentali, i quali presto dovettero

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rendersi conto della differenza che passava tra il piano ideale, dove era possibile immaginare

macchine che in assenza di attriti funzionavano ininterrottamente, e quello reale, dove il

funzionamento di una macchina richiede sempre un dispendio di energia.

I sistemi di sollevamento dell’acqua

“Farassi mediante il mulino molti condutti d’acqua per casa e fonti in diversi lochi e alcuno

transito, dove, chi vi passerà, per tutte le parte di sotto salterà l’acque allo in su, e così farà a

posta di chi vorrà bagnare sotto alle femmine o altri che di lì passerà”.

[Leonardo, Codice Atlantico (BAM), f. 732b r]

I dispositivi per sollevare l’acqua o per scavalcare ostacoli tra la presa d’acqua e il luogo dove si

intende condurla assumono particolare importanza per l’ingegneria rinascimentale.

L’approvvigionamento dei centri urbani, lo svuotamento di conche e terreni paludosi, la necessità di

creare i “salti d’acqua” necessari ad alimentare le ruote idrauliche delle varie macchine operatrici,

sono problematiche che impegnarono a più riprese gli ingegneri rinascimentali, i quali prendendo

ispirazione l’uno dall’altro fecero progredire notevolmente queste tecnologie.

La pompa a stantuffo

Oggi giorno è difficile vedere qualcuno attingere acqua da un pozzo per mezzo di una pompa a

stantuffo manuale, ma prima che le condutture dell’acquedotto raggiungessero le nostre case, questa

era un’operazione comune.

La pompa a stantuffo è una macchina che opera aspirando e comprimendo e il suo funzionamento è

garantito da una valvola che nella fase di aspirazione si solleva lasciando entrare l’acqua dentro la

pompa e nella fase di compressione si chiude costringendo l’acqua ad uscire per un condotto,

anch’esso regolato da una valvola. Le pompe pneumatiche che spesso ci sono date in dotazione con

le biciclette hanno un funzionamento analogo solo che al posto dell’acqua pompano l’aria.

Durante il Medioevo, la pompa a stantuffo era un dispositivo d’uso comune e con l’introduzione

della manovella fu possibile costruire modelli a corpo multiplo che, azionati alternativamente da un

albero a gomito o a camme, permisero di aumentare notevolmente la portata dell’acqua. Nei

manoscritti di Taccola, di Francesco di Giorgio e di Leonardo, sono molteplici gli esempi di queste

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attrezzature che vennero anche utilizzate in impianti per creare i salti d’acqua necessari ad azionare

le ruote idrauliche alimentate dall’alto.

La pompa a catena

La pompa a catena è un altro sistema per il sollevamento dell’acqua composto da una serie di

contenitori collegati l’uno all’altro e posizionati ad intervalli regolari in modo da formare un anello.

Una volta messa in rotazione, questa catena di secchi permette di attingere l’acqua all’interno di un

pozzo e portarla in superficie.

I modelli più evoluti di queste pompe, disegnati da Taccola [Ms. Palatino 766 (BNCF), f. 4r],

Francesco di Giorgio [Ms. Ashburnam 361 (BMLF), f. 43v] e Leonardo [Ms B (IFP), f. 45v],

sostituiscono i contenitori con dei dischi, i quali, nella fase ascendente, scorrono dentro un tubo

trascinando in superficie l’acqua per alimentare una fonte. Nei manoscritti degli ingegneri

rinascimentali troviamo questi dispositivi azionati tramite manovelle o motori ad energia animale

come la ruota calcatoria e la giostra.

La vite d’Archimede: l’acqua che sale scendendo.

Questo dispositivo conosciuto anche con il nome di coclea, perché la sua forma ricorda quella della

chiocciola, è costituito da un tubo avvolto a spirale lungo un cilindro che pesca in una conca piena

d’acqua. Per funzionare, la coclea, deve avere un’inclinazione inferiore a quella della spirale

descritta dal tubo avvolto sul cilindro. Facendo ruotare il cilindro intorno al proprio asse, la bocca

del tubo per metà rotazione resta immersa facendo entrare l’acqua che rimane imprigionata nella

spira più bassa. Con le successive rotazioni del tubo, l’acqua passa di spira in spira fino ad uscire

dalla parte superiore.

Siamo sicuri che l’acqua stia realmente salendo? Se guardiamo il risultato finale dobbiamo dare

certamente una risposta affermativa, ma se immaginiamo di fare una radiografia a questo

dispositivo e ci concentriamo sull’inclinazione del tubo, vediamo che durante la rotazione, l’acqua

percorre sempre la parte discendente della spirale, quindi, è proprio il caso di dire che l’acqua passa

dalla spira più bassa a quella più alta scendendo.

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Oggi giorno i dispositivi comunemente usati per il sollevamento dell’acqua sono le pompe, ma le

coclee continuano ad essere impiegate in molti settori dell’industria e dell’agricoltura per lo

spostamento dei materiali granulari, in polvere o macinati come, ad esempio: la segatura, i trucioli

dei metalli, le farine, i cereali e le olive.

La macchina che porta l’acqua sulla sommità di una torre. [Cod. Atlantico (BAM), f. 1069r]

Per portare l’acqua in tutte le stanze della casa è necessario sollevarla sulla sommità dell’edificio e

sfruttandone la forza di caduta si possono facilmente costruire fonti per uso domestico e zampilli

d’acqua per fare scherzi e stupire gli ospiti. Leonardo disegna tanti dispositivi per il sollevamento

dell’acqua, ma uno dei più interessanti è certamente quello che prevede l’integrazione di un mulino

alimentato dal basso e due coclee che permettono di sollevare l’acqua fino alla sommità di una

torre.

Questo progetto, che rientra certamente nella categoria dei sogni tecnologici, ci induce a credere

che Leonardo stesse pensando ad un acquedotto centralizzato che attingesse l’acqua dal fiume che

attraversava la città, senza ricorrere ai chilometrici acquedotti che si alimentavano direttamente ai

ruscelli d’alta quota. La torre, infatti, è l’edificio più alto della città e se si riesce a sollevare l’acqua

in un serbatoio posto sulla sua sommità o, come voleva Leonardo, a riempirla completamente, è

possibile distribuire l’acqua per caduta a tutti gli edifici più bassi.

L’aspetto più interessante di questo progetto è sicuramente l’integrazione, per mezzo di ingranaggi,

delle viti d’Archimede con il motore idraulico che permette la completa automazione del

sollevamento dell’acqua.

L’idea di distribuire l’acqua per caduta da serbatoi soprelevati, ha portato alla costruzione delle

odierne “torri piezometriche” che svettano in moltissimi acquedotti e in tutti i complessi agricoli e

industriali che fanno affidamento su un’erogazione continua dell’acqua.

Il Lavoro dell’acqua

L’acqua che alimenta il fuoco

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Fin dall’antichità l’uomo aveva capito che la potenza del fuoco nei forni e nelle fucine aumentava

se si favoriva la ventilazione. Per questo motivo i forni furono equipaggiati con sistemi di

pompaggio dell’aria che ne migliorarono il tiraggio aumentando la temperatura interna. In origine la

combustione era alimentata da dispositivi soffianti a forma di otre, o da primitive pompe a forma di

botte con una superficie in pelle mobile azionata da aste manuali, ma molto presto questi dispositivi

furono sostituiti dai mantici. I primi sistemi meccanici per regolare il flusso d’aria immesso nei

forni erano manuali e in genere erano composti da una leva e un bilanciere che muoveva

alternativamente una coppia di mantici. Fu grazie all’introduzione del sistema biella–manovella

che il movimento dei mantici venne completamente automatizzato per mezzo delle ruote

idrauliche.

Grazie a questo dispositivo l’energia dell’acqua, che fin dall’antichità muoveva le macine dei

mugnai, veniva posta anche al servizio dei fabbri aprendo così una nuova era per la lavorazione dei

metalli. Gli effetti più considerevoli, anche se non immediati, furono nella lavorazione del ferro.

Fino a quel momento il ferro, a causa del suo elevato punto di fusione (oltre 1500°), era estratto dal

minerale allo stato pastoso per poi essere lavorato sull’incudine con il martello. Con l’abbinamento

del motore idraulico ai mantici e l’aumento dell’altezza dei forni furono rese possibili quelle

reazioni chimiche che trasformano il ferro in ghisa, la quale, grazie al suo punto di fusione più

basso (circa 1200°), poteva essere colata in degli stampi.

La scoperta della ghisa apriva la strada allo sviluppo dell’industria siderurgica e avviava così il

cammino verso la “rivoluzione industriale”. Tra la seconda metà del XVIII secolo e la prima di

quello successivo, la possibilità di realizzare colate in ghisa di grosse dimensioni, favorì

l’applicazione di questa nuova lega sia nell’industria meccanica, nella quale i risultati più importanti

furono l’invenzione della macchina a vapore e del treno, sia nell’edilizia, dove furono realizzati

grossi complessi edili come ponti, grattaceli, stazioni e mercati coperti. Per quanto riguarda l’epoca

rinascimentale, la ghisa, che non era ancora conosciuta come una lega distinta dal ferro, fu

impiegata prevalentemente nella costruzione di artiglierie, ma la sua fragilità ancora per molto

tempo la rese inadeguata a questa applicazione lasciando preferire le più costose artiglierie in

bronzo.

Soffierie idrauliche

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Il disegno della soffieria a doppio mantice mossa da un albero a camme alimentato da una ruota

idraulica, realizzato dall’ingegnere senese Mariano di Iacopo detto il Taccola nel De machinis [Cod.

Lat. Monacensis 28800 (BSBM), f. 43v], è la testimonianza iconografica più antica che abbiamo

riguardo a questo sistema per l’aerazione forzata dei forni.

Le camme, ruotando, alzano le tavole superiori dei mantici le quali, sotto la pressione del proprio

peso, si richiudono generando una corrente d’aria.

Lo sviluppo immediatamente successivo di questa macchina, disegnato anche dallo stesso Taccola

[Cod. Lat. Monacensis 197 II (BSBM) f. 30v], prevede il raddoppiamento delle camme, che da due

diventano quattro, montate a coppie ortogonali tra loro.

Raddoppiando le camme raddoppiano anche le corse dei mantici ad ogni giro della ruota e in questo

modo si ottiene un flusso d’aria continuo.

La messa a punto definitiva di questo tipo di soffieria idraulica la troviamo nell’opera di Vannoccio

Biringuccio che nel suo De la pirotechnia (p. 110r), pubblicato a Venezia nel 1540, descrive questa

macchina con un rinnovato sistema di ancoraggio dei mantici, i quali sono ora montati in modo da

far lavorare le camme sotto le tavole inferiori.

Questa semplice modifica nel sistema di azionamento dei mantici, cambia in maniera radicale la

natura della pompa che da aspirante diventa premente trasformandosi così in un vero e proprio

compressore.

Un altro modello di soffieria idraulica che presenta le caratteristiche del compressore è disegnato da

Francesco di Giorgio nel Trattato di Architettura [Ms. Ashburnham 361 (BMLF), f. 43r]. In questo

modello le camme agiscono sui mantici in maniera indiretta per mezzo di un sistema di trasmissione

ad aste, bilancieri e contrappesi.

L’acqua che schiaccia il ferro: la trafilatrice idraulica

Alla fine del Quattrocento sparare dritto non era per niente facile specialmente se si utilizzavano

armi da fuoco realizzate a partire dall’assemblaggio di verghe di ferro saldate e cerchiate insieme in

modo da formare un tubo.

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Le verghe di ferro dovevano essere dritte ed avere una sezione costante in modo da farle

combaciare perfettamente ed ottenere il foro interno di un diametro costante. Questa lavorazione,

che veniva realizzata sull’incudine a colpi di martello, non era per niente facile e i risultati erano

artiglierie imprecise e pericolose che talvolta esplodevano mettendo in serio pericolo la vita dei

bombardieri.

Anche se questo tipo di artiglierie venne abbandonato agli inizi del XVI secolo, alla fine del

precedente fu oggetto di un notevole miglioramento grazie all’introduzione di macchine che,

tirando le doghe di ferro attraverso una trafila, o comprimendole con dei rulli, ne rendeva il profilo

uniforme.

Senza precedenti è la macchina disegnata da Leonardo nel Codice atlantico [Cod. Atlantico (BAM),

f. 10r], nella quale sono integrate la soluzione a rullo, propria del laminatoio, con quella a trafila.

Questi dispositivi sono adattati attraverso un complesso sistema di ruote ed alberi che distribuiscono

la potenza sviluppata dal motore idraulico, in parte al dispositivo di trazione della doga e in parte al

rullo che la comprime sulla trafila. Gli ingranaggi sono calcolati in modo che con la completa

rotazione del rullo, la doga sia completamente passata attraverso la trafila.

Il rullo ha il profilo a forma di camma in modo che le verghe riducano progressivamente la loro

sezione, come diceva Leonardo, uniformemente disforme. Le ragioni di questa differenza di

spessore sono da ricercare nel fatto che le armi da fuoco dovevano offrire una maggiore resistenza

all’altezza della camera di scoppio dove l’esplosione della polvere da sparo sviluppava la pressione

maggiore.

Sega idraulica

La sega idraulica era un dispositivo molto diffuso e veniva utilizzato per la riduzione dei grossi

tronchi d’albero in tavole. Il disegno di questa macchina, che per la prima volta è presentato nel

taccuino medievale di Villard de Honnecourt (1270), è ripreso e sviluppato nei dettagli anche nei

manoscritti dei principali ingegneri rinascimentali.

Nel modello disegnato da Francesco di Giorgio [Ms. Ashburnam 361 (BMLF), f. 43v] e poi da

Leonardo [Cod. Atlantico (BAM), f. 1078a r] l’elemento più interessante è il meccanismo per

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l’avanzamento del carrello dove è posto il tronco da tagliare. Attraverso un sistema di leve azionato

dalla stessa ruota idraulica che mette in movimento anche la sega, viene messo in rotazione un

ingranaggio solidale a un tamburo sul quale si avvolge una corda che fa avanzare il carrello porta

tronco.

I denti dell’ingranaggio hanno un profilo asimmetrico in modo che il lato perpendicolare al centro

della ruota fa da battuta per l’asta di avanzamento, che, azionata da un albero a gomito, fa ruotare

l’ingranaggio spingendolo dente dopo dente. Un gancio, che sfrutta anch’esso l’asimmetria dei

denti, impedisce alla ruota di retrocedere durante la fase passiva quando l’asta passa sul dente

successivo da spingere.

Trivella idraulica

L’energia idraulica poteva essere impiegata anche per mettere in movimento le potenti trivelle con

le quali si realizzavano le tubazioni modulari in legno che trasportavano l’acqua. In un foglio del

Codice di Madrid I (f. 25v) Leonardo ferma sulla carta l’idea di questa macchina concentrandosi

soltanto sugli elementi essenziali: trivella, ruota idraulica e tronco di legno da forare.

Il telaio della macchina costituiva un elemento secondario rispetto all’impiego del motore ad acqua,

la cosa importante era fermare l’idea, per la sua effettiva realizzazione, poi, sarebbe bastato

riadattare il telaio di un trapano verticale manuale, come quello disegnato dallo stesso Leonardo nel

Ms. B [Ms. B (IFP), f. 47v]. È facile immaginare come questa macchina costruita sopra una

piattaforma a ridosso di un corso d’acqua, possa essere equipaggiata con un motore idraulico

prolungando l’albero di rotazione della trivella fino al mozzo della ruota.

La farina e l’acqua

“La vostra mano non resterà a lungo sulla pietra, o donne che girate il macinatoio. Cerere ha

ordinato alle sue ninfe di compiere il lavoro delle vostre braccia, e le ninfe si getteranno sulla

ruota, costringeranno l’asse a girare, ne muoveranno i raggi, azioneranno quattro macine

concave.”

Antipatro di Tessalonica (I secolo a.C.)

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Il mulino per macinare il grano è la prima macchina operatrice alla quale è stata applicata l’energia

idraulica. I modelli più antichi erano ad asse verticale sulla quale erano montati sia la “ruota a

palette”, che la macina. Con l’introduzione degli ingranaggi fu possibile trasmettere il moto tra

alberi di trasmissione perpendicolari, il che voleva dire svincolare la ruota idraulica dall’albero della

macina e consentire l’utilizzo anche delle ruote verticali.

Furono costruiti mulini di varia fattura che potevano lavorare nelle più svariate condizioni

ambientali: da quelli galleggianti, ormeggiati lungo i grandi fiumi della pianura, a quelli “in acqua

morta”, che funzionavano in combinazione con sistemi di sollevamento dell’acqua, come le coclee

o le pompe a stantuffo, per creare i salti d’acqua necessari a farli funzionare. Lungo i torrenti

montani si costruivano mulini con le ruote alimentate dall’alto o “alle reni” messi in moto dalla viva

forza dell’acqua corrente.

Mulino galleggiante a ruota orizzontale [Ms. Ashburnam 361 (BMLF), f.35v]

L’impiego della ruota orizzontale nel mulino galleggiante pone un problema di natura meccanica e

uno di natura idraulica: il primo prevede la costruzione di un supporto per l’albero motore sul

fondale del fiume, il secondo la canalizzazione della corrente d’acqua sulle palette della ruota.

Come vediamo nel disegno di Francesco di Giorgio, l’albero ha uno dei poli alloggiato in una sede

ricavata su un cassone di legno che, riempito di pietre, è affondato nel fiume sotto le imbarcazioni,

mentre l’altro, passando attraverso la piattaforma centrale, è ancorato direttamente alla macina.

I due barconi sono uniti da una piattaforma in maniera sfalsata per creare una zona al riparo dalla

corrente dove collocare la ruota, la quale, in questo modo, è esposta al flusso dell’acqua soltanto

nella parte dove sono collocate le palette. Francesco prevede anche una paratia da porre davanti alla

ruota per convogliare la corrente sulle palette.

Per agevolare la rotazione Francesco prevede l’utilizzo di palette snodate, le quali, una volta fuori

dall’acqua corrente, per effetto dell’azione frenante dell’acqua sulla parte della ruota che gira

controcorrente, si chiudono diminuendo la superficie di impatto.

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Senza questi artifici pensati per creare uno squilibrio di forze sulla circonferenza, il mulino non

potrebbe funzionare. Per mettere in rotazione la ruota, infatti, bisogna che la parte che gira in senso

concorde alla corrente, sia sottoposta ad una forza maggiore rispetto a quella che gira in senso

discorde. La canalizzazione dell’acqua corrente sulla parte esterna della circonferenza e le palette

autochiudenti sono pensate a questo proposito.

Mulino galleggiante a ruota verticale [Ms. Palatino 766 (BNCF), ff. 29r, 39r]

Il mulino galleggiante costituisce una soluzione al problema dei salti d’acqua necessari per

alimentare le ruote motrici e inoltre ha il vantaggio di potersi spostare lungo i fiumi in modo da

soddisfare le richieste di più aree.

Il Mulino galleggiante a ruota verticale è costituito essenzialmente da due barconi sui quali si

trovano i supporti dell’albero motore, il quale, grazie ad un pignone a dentatura frontale e una ruota

a lanterna, trasmette il movimento generato dalla ruota all’asse verticale della macina, anch’essa

montata su uno dei barconi. Nel disegno di Taccola il mugnaio è assopito, il che mostra come

l’autore fosse consapevole del fatto che l’automazione libera l’uomo dalla fatica.

Mulini in acqua morta

Questa categoria di mulini svincola la macchina operatrice dai torrenti e dai fiumi rendendola però

dipendente dai dispositivi per il sollevamento dell’acqua che generano il dislivello necessario

all’azionamento della ruota idraulica. Grazie al serbatoio soprelevato gli impianti ad acqua morta

permettono di alimentare la ruota idraulica con un flusso d’acqua regolare e di imprimerle, quindi,

una velocità di rotazione costante.

Il mulino “in acqua morta” di Taccola [Ms. Palatino 766 (BNCF), ff. 18v–19r] è costituito da una

conduttura circolare che mette in comunicazione uno stagno con una vasca soprelevata attraverso

quattro pompe a stantuffo azionate manualmente. Da questa vasca l’acqua cade sulle palette della

ruota verticale attivando il mulino per poi tornare allo stagno da dove è partita.

Un dispositivo analogo presentato da Francesco di Giorgio [Ms. Asburnham 361 (BMLF), f. 35r]

sostituisce la pompa a stantuffo con una pompa a tazze, la quale può essere azionata manualmente o

per mezzo di una giostra d’animali.

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La necessità di sollevare l’acqua in un serbatoio stimolò l’immaginazione degli ingegneri, i quali

arrivarono a proporre improbabili impianti a ricircolo dell’acqua, dove la tramoggia che alimenta la

ruota verticale era riempita da una pompa, a sua volta azionata dalla stessa ruota verticale. Se questa

soluzione è possibile sul piano ideale, in pratica non è realizzabile a causa degli attriti che

provocano inevitabilmente una perdita di energia. Restano tuttavia gli splendidi disegni di

Francesco di Giorgio dove al motore idraulico del mulino sono abbinate vari tipi di pompe come

quelle a stantuffo o le ruote a tazze.

Le barche per il trasporto fluviale

La navigazione nei fiumi e nei canali artificiali pone problematiche diverse da quella in mare.

Anzitutto le barche dovevano avere un fondo piatto, o comunque di poca immersione, per navigare

anche in quelle parti dove l’acqua era molto bassa, poi, una volta risolto il problema del

galleggiamento, l’imbarcazione doveva essere dotata di un sistema di propulsione che consentisse

di risalire la corrente dei fiumi e di muoversi velocemente nell’acqua lenta dei canali. Anche in

questo caso fu determinate l’impiego della ruota a pale che venne a costituire un’alternativa all’uso

dei remi.

L’idea che sta alla base di questa innovazione è quella di sostituire i remi con delle ruote sfruttando

il principio di funzionamento inverso a quello dei mulini: non più lo sfruttamento della forza

dell’acqua per far muovere la ruota, ma al contrario, la ruota viene azionata manualmente in modo

che l’impatto delle pale con l’acqua faccia avanzare l’imbarcazione. Questa soluzione nel

Rinascimento fu applicata ad imbarcazioni di vario genere, sia a scopo militare che civile.

A partire dal Texaurus di Guido da Vigevano (1348), che presenta una barca smontabile costituita

di più sezioni componibili, ognuna recante due ruote a pale laterali azionate da un albero a gomito,

il tema della propulsione a ruota ripercorre la storia della navigazione fino a tempi relativamente

recenti, quando la ruota è stata sostituita definitivamente dall’elica.

Gli ingegneri del Rinascimento svilupparono questo sistema di propulsione abbinando alla ruota a

pale motori a ruota calcatoria e sistemi per amplificarne il numero di giri, che rimasero

sostanzialmente immutati fino al 1783 quando, prima il Francese Jouffroy e successivamente, nel

1807, l’americano Fulton, installarono su un battello una macchina a vapore che alimentava una

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ruota a pale. Alla metà del XIX secolo anche sul Po era possibile vedere passare i vaporetti che

trasportavano sia le merci che le persone.

La barca che va contro corrente arrotolando e srotolando una fune Uno dei primi tentativi di rendere automatico il movimento di una barca è quello presentato da

Taccola nel De ingeneis I–II [Cod. Lat. Monacensis 28800 (BSBM) f. 83r], dove una coppia di

ruote a palette montate sullo stesso albero, viene utilizzata come se fosse un “argano idraulico”.

L’impatto dell’acqua sulle palette mette in rotazione il verricello che avvolge sul proprio albero la

corda, l’altra estremità della quale è fermamente ancorata nel punto di attracco lungo l’argine.

L’avvolgimento della corda permette alla barca di andare controcorrente.

In un altro disegno della stessa barca, sempre di Taccola [Ms. Palatino 766 (BNCF), ff. 43v–44r],

vediamo risolto anche il problema dell’avvolgimento del filo. Se nel primo caso, infatti, un

operatore doveva ammatassare la corda al procedere della barca, qui, il capo della corda passante

attraverso il verricello, è ancorato ad una sorta di “galleggiante zavorra”, che trasportato dalla

corrente in senso contrario alla barca tiene in tensione il cavo.

Navigare correndo

La nave a pale descritta da Francesco di Giorgio nell’Opusculum de architectura (1475–1478) [Ms.

197.b.21 (BML) f. 43v] è azionata da una grossa ruota calcatoria montata sotto l’albero maestro.

All’interno di questa ruota uno o più marinai corrono incessantemente generando il movimento

necessario ad azionare sei ruote a pale.

Il motore è dotato anche di un ingranaggio a lanterna che si innesta nella parte bassa della ruota, il

quale, attivato da una manovella, doveva forse essere in grado di far ruotare le palette senza il

bisogno di salire sulla ruota.

L’introduzione di questo dispositivo ausiliario che agisce sulla parte inferiore della ruota ci porta ad

ipotizzare che questa imbarcazione fosse stata progettata per scopo militare. Ammesso, infatti, che

si riuscisse a sviluppare la forza necessaria per azionare la manovella era possibile far compiere alla

nave degli spostamenti rimanendo al coperto dietro le paratie senza esporsi ai colpi dei nemici.

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Navigazione a manovella

Quando sarà avviata i remi non aràn fatica.

[Cod. Atlantico (BAM), f. 1063r]

Anche Leonardo si pone il problema di come migliorare la navigazione e il controllo delle

imbarcazioni, progettando a tal proposito scafi sul modello della forma affusolata dei pesci. Tali

scafi possono essere equipaggiati con dispositivi a pale mossi da manovelle o pedali, ma la

soluzione tecnica più interessante è il suo tentativo di integrare i sistemi per la generazione del moto

con dei volani che, essendo accumulatori di energia, rendono più uniforme la rotazione

alleggerendo il lavoro degli operatori.

La guerra marina

“Et quando accadesse essere in mare, ho modi di molti strumenti actissimi da offender e defender,

et navili che faranno resistenzia al trarre de omni grossissima bombarda,e polver e fumi”

[Lettera a Ludovico il Moro, Cod. Atlantico (BAM), f. 1082r]

Il sottomarino [Cod. Atlantico (BAM), f. 881r, Ms. B (IFP), f. 11r]

Ispirato forse dall’esperienza di Cesare Cesariano, che aveva costruito e provato un sottomarino nel

fosso perimetrale del Castello di Milano, Leonardo sembra essersi impegnato nella progettazione di

una macchina per navigare sott’acqua.

Le fonti in nostro possesso non ci consentono una visione chiara delle vicende relative a questo

progetto, tuttavia è Leonardo stesso che si attribuisce questa invenzione dichiarando la sua

intenzione di non divulgarla ritenendo il suo impiego nelle battaglie marine sleale: “E questo non

pubblico o divolgo per le male nature delli omini, li quali userebono le assassinamenti nel fondo

de’ mari col rompere i navili in fondo e sommergeli insieme con li omini che vi sono dentro” (Cod.

Hammer c. 15A, f. 22v) . Queste parole, che provano la statura morale di Leonardo, ci portano a

credere che egli avesse realmente costruito e collaudato un sottomarino rendendosi conto della sua

potenzialità militare, che tuttavia riteneva un applicazione sleale.

In un foglio del Codice Atlantico (f. 881r) risalente ai primi anni del soggiorno milanese, Leonardo

accenna ad un battello sommergibile che sembra azionato da un sistema a pedali. In un altro

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riferimento risalente allo stesso periodo, contenuto nel Manoscritto B (f. 11r), è presente lo schizzo

di un’imbarcazione accompagnata da una nota che sembra riferirsi ad un sistema di

pressurizzazione. Sicuramente Leonardo aveva le conoscenze di idrostatica per concepire un

battello del genere, più problematico è invece il sistema di propulsione, poiché la ruota a pale non

funziona se immersa completamente nell’acqua. La soluzione di questo problema era comunque

alla portata di Leonardo, il quale, ad esempio, avrebbe potuto equipaggiare il sottomarino con un

impianto a pinne, azionato a pedali. Nel Codice di Madrid I (f. 17r) si trovano splendidi disegni di

“elementi macchinali” che illustrano sistemi di trasformazione del movimento da rotatorio in

rettilineo alternato che potevano essere utilizzati a questo scopo.

Non possediamo un disegno accurato del sommergibile, tuttavia basandosi sulle note di Leonardo

possiamo immaginare che questa macchina per navigare sott’acqua fosse costituita da uno scafo

doppio, nelle cui intercapedini veniva collocata la zavorra necessaria per immergersi e stabilizzarsi.

L’emersione sarebbe stata poi possibile liberandosi della zavorra e riempiendo d’aria le

intercapedini. Per spostarsi sott’acqua sarebbe stato sufficiente dotare lo scafo con un sistema di

propulsione a pinne.

Il circumtronico, la barca che spara a ripetizione

Circumfulgore è una macchina navale, fu invenzione di quelli di Maiolica, e fassi uno circulo di

bombarde di quanto numero a te piace, pure che non sia dispari, imperò che, a ciò che’l colpo sia

valido e che il navilio non fugga, bisogna che l’una bombarda sia ispalla e ostaculo de l’altra. E

per fare questo bisogna dare a uno medesimo tempo foco a due bombarde contrarie, a ciò che se

l’una vuò fuggire per uno verso, che l’altra le contraddica [Ms. B (IFP), f. 82v]

Tra i tanti disegni di Leonardo che presentano fantasiose macchine belliche, il circumtronico o

circumfolgore, mette in risalto il suo impegno nell’automazione delle armi da fuoco. La

caratteristica principale di questa macchina da guerra è infatti quella di sparare colpi a ripetizione in

due direzioni contrapposte.

L’idea scientifica che sta dietro a questa macchina è quella di neutralizzare il contraccolpo di

un’artiglieria, con una forza uguale e contraria prodotta per mezzo di un’altra artiglieria che spara in

direzione opposta. Sincronizzando gli spari di due artiglierie contrapposte, infatti, le forze prodotte

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nelle esplosioni si equilibrano e vengono neutralizzati gli effetti devastanti dei contraccolpi che

specialmente sulle imbarcazioni creavano gravi problemi di stabilità.

Per quanto sia immaginabile un impiego di questa barca da combattimento in mezzo a due fuochi

contrapposti, non possediamo prove sul suo effettivo utilizzo e siamo più propensi, quindi, a

considerare quest’imbarcazione come un esperimento, frutto di studi mirati a risolvere il problema

dell’istallazione e dell’utilizzo delle artiglierie sulle imbarcazioni, che costituiva un problema di

prima necessità per gli ingegneri militari del Rinascimento.

Barca corazzata armata di bombarda [Cod. Atlantico (BAM), f. 172r]

Questa speciale barca da assalto rientra, probabilmente, in quella serie di progetti che Leonardo

presenta al Moro per ottenere un incarico da ingegnere. Si tratta del disegno di un’imbarcazione

leggera con la prua corazzata in metallo, che funge da sfonda carene, e una protezione ruotante, che

si apre nel momento dell’arrembaggio. Il sistema di propulsione non è disegnato, ma possiamo

immaginare un dispositivo a pale ruotanti.

Molto probabilmente anche la barca corazzata è uno dei tanti sogni tecnologici di Leonardo e in

quanto sogno, quindi, possiamo lavorare di immaginazione sul modo in cui poteva essere impiegata

nell’attacco.

Una tecnica di arrembaggio poteva essere quella di lanciare la barca a tutta velocità fino a scontrarsi

con la nave nemica e dopo l’impatto spalancare la copertura e terrorizzare il nemico mostrando

l’enorme bombarda in procinto di aprire il fuoco e gli uomini pronti all’arrembaggio.

Un’altra tecnica poteva essere quella di utilizzare la bombarda per creare una falla sulla fiancata

della nave nemica, verso la quale poi indirizzare l’attacco. Questa seconda tecnica di arrembaggio è

certamente più efficace della prima, perché per sfondare la fiancata di una nave occorreva una

notevole forza d’urto, non raggiungibile con un sistema di propulsione a ruota o a remi . Diverso è il

discorso se ci si apre la strada a colpi di cannone.

La città ideale è una città idraulica

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La città ideale fa parte della mitologia del Rinascimento. Essa è concepita come una città perfetta,

con un’organizzazione degli spazi razionale, realizzata attentamente con riga e compasso. Il

progetto di questa città fu l’ambizione dei principali ingegneri del Quattrocento e del Cinquecento,

che nei loro fogli hanno lasciato splendidi disegni di piante di città rigorosamente geometriche,

prospetti di chiese magnifiche e palazzi raffinati che dovevano esaltare la grandezza e la

magnificenza dei Principi committenti. L’arditezza di questi progetti, però, trovò un ostacolo

insormontabile nei costi eccessivi e nei tempi lunghi di realizzazione, e il prodigioso lavoro degli

ingegneri fu quindi destinato a rimanere sulla carta, trovando applicazione soltanto nel

miglioramento dei centri urbani già esistenti.

Il tema della città ideale affascinò anche Leonardo, il quale cominciò ad occuparsene durante il suo

primo soggiorno milanese (1482 – 1499), quando era al servizio di Ludovico il Moro. L’idea di

Leonardo era quella di progettare una nuova capitale per il ducato degli Sforza, funzionale alle

esigenze della vita cittadina e che risolvesse le carenze igieniche proprie delle città medievali, dove

le vie strette e tortuose con gli scarichi delle abitazioni a cielo aperto favorivano la diffusione delle

epidemie.

La città ideale di Leonardo, che doveva sorgere nei pressi dell’odierna Vigevano, era progettata su

una pianta a scacchiera, con edifici a due piani, tutti contornati da portici, in modo da permettere le

attività degli abitanti anche nei giorni di cattivo tempo. La caratteristica principale di questo

progetto era la fitta rete di canali che costituivano la linfa vitale della città. Queste vie d’acqua,

infatti, trasformavano la città in un vero e proprio porto fluviale permettendo alle imbarcazioni che

risalivano i fiumi di arrivare nel cuore delle attività economiche.

Grazie ad ingegnosi sistemi di sollevamento dell’acqua era possibile creare i salti necessari per

mettere in movimento i motori idraulici che alimentavano le macchine operatrici delle industrie

cittadine.

I canali sotterranei che attraversavano la città costituivano un’efficiente rete fognaria pensata per

risolvere il problema degli scarichi delle abitazioni e migliorare così le condizioni igieniche della

città.

Quanto costa un giro d’acqua?

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Il contatore per l’acqua è l’unica macchina inventata da Leonardo per il quale esistono le prove di

una sua effettiva realizzazione. Questa fu fatta costruire da un artigiano di Domodossola intorno al

1510 e inviata al mercante e umanista fiorentino Bernardo Rucellai, probabilmente per la sua tenuta

di Quaracchi.

La macchina è costituita da una ruota con una serie di serbatoi di uguale volume ricavati in maniera

contigua lungo la sua circonferenza. Questi serbatoi hanno un foro laterale che durante la fase di

risalita della ruota rimane nella parte superiore impedendo lo svuotamento. In questo modo la ruota

pesca l’acqua nella vasca in basso e la solleva fino alla conduttura sovrastante, dove i serbatoi si

scaricano. Anche se il risultato, immaginando le notevoli perdite d’acqua, doveva essere molto

approssimativo, conoscendo il numero e il volume dei serbatoi, era possibile calcolare il volume

complessivo dell’acqua scaricato nella conduttura ad ogni giro della ruota.

Non sappiamo se Bernardo Ruscellai vendeva o no l’acqua, ma l’esigenza di quantificarla ci porta a

pensare o ad un avanzato sistema di irrigazione per un orto le cui colture richiedevano un preciso

dosaggio dell’acqua, o ad un tentativo di commercializzazione dell’acqua stessa, applicando una

tariffa a “giri d’acqua” .

La fonte a termine

La denominazione di questo tipo di fontana viene dal fatto che dopo un certo periodo lo zampillio

dell’acqua si arresta, mentre la sua particolarità, che suscitava la curiosità degli ingegneri e lo

stupore degli osservatori, consiste nell’ottenere un getto d’acqua più alto della vasca da cui è attinta.

Il disegno fornitoci da Francesco di Giorgio nel Codice Ashburnham 361 (f. 41r) non è chiaro

perché manca di due elementi essenziali per il funzionamento della fontana: un serbatoio

intermedio, posto tra la vasca superiore e il serbatoio inferiore, contenente l’acqua che genera lo

zampillo, e il sifone che permette all’aria proveniente dal serbatoio inferiore di entrare in questo

serbatoio impedendo al contempo il suo svuotamento.

Per funzionare, questo tipo di fontana, che è stata menzionata per la prima volta da Erone

Alessandrino, deve essere costruita secondo la seguente architettura: da una vasca superiore, la

quale viene riempita d’acqua al momento dell’attivazione, partono uno o due condotti che mettono

in comunicazione questa vasca con un serbatoio a tenuta stagna riempito di sola aria e posto in

basso. Da questo serbatoio deve partire un condotto che, attraverso un sifone, si immette in un

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serbatoio intermedio riempito di acqua. Da questo serbatoio intermedio parte infine un condotto

verticale che passa attraverso la vasca di attivazione superiore e che è quello dal quale uscirà lo

zampillio dell’acqua.

L’attivazione si ha con il riempimento della vasca superiore, dalla quale l’acqua scende nel

serbatoio in basso, spingendo l’aria in esso contenuta attraverso il condotto di uscita che, tramite il

sifone, mette in comunicazione questo serbatoio con quello intermedio riempito di acqua. Qui, la

pressione dell’aria spinge l’acqua nel condotto di uscita che passa attraverso la vasca superiore

generando lo zampillio. La fontana continuerà a funzionare fintanto che il livello dell’acqua

contenuto nel serbatoio intermedio sarà al disopra del pescaggio del tubo di uscita.

Il vapore

Fin dall’antichità l’uomo si era interessato alle proprietà del vapore. Nell’opera del matematico e

ingegnere Erone Alessandrino troviamo la prima descrizione di uno strumento capace di generare

movimento per mezzo del vapore: l’eolipila o mulinello a vapore. Si tratta di una sfera cava

sostenuta da due condotti che la collegano ad un recipiente in cui veniva fatta bollire l’acqua.

Quando il vapore riempiva la sfera, trovava sfogo verso l’esterno attraverso due tubicini ad angolo

retto montati in maniera contrapposta e i getti di vapore che uscivano in direzione contraria la

facevano ruotare. Un altro soffiatore a vapore si trova menzionato nell’opera dell’ingegnere latino

Vitruvio (Dell’architettura I, IV, 2). Si tratta essenzialmente di un coperchio di bronzo plasmato a

forma di testa d’uomo, che quando veniva posto sopra una pentola d’acqua bollente faceva uscire

un getto di vapore dalla bocca. Questo strumento fu preso in considerazione anche nel

Rinascimento e una sua descrizione precisa la possiamo trovare nel IX libro del Trattato di

Architettura di Filarete. Un reperto di questo soffiatore a vapore risalente al Quattrocento veneziano

denominato il Moro che soffia, si trova al Museo Correr di Venezia.

Questo dispositivo a vapore ha incuriosito anche Leonardo, che nel Codice Hammer prende in

considerazione l’idea di impiegarlo come motore per far girare uno spiedo: L’acqua che spira nel

piccolo spiraculo del vaso ov’ella bolle soffia con furia e tutta si converte in vento; con questa si

volta l’arrosto” (Cod. Hammer, c. 9A, f. 28v).

L’architronico o cannone a vapore

“Architronico è una macchina di fine rame, invenzione di Archimede, e gitta ballotte di ferro con

grande strepitio e furore”

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[Ms. B (IFP), f. 33v]

L’attribuzione ad Archimede dell’invenzione del cannone a vapore è da leggersi come un tentativo

di conferire maggiore autorevolezza all’invenzione. Nel Rinascimento, infatti, ciò che era antico

appariva come venerabile e per questo acquisiva più valore.

Leonardo si è occupato di vari aspetti dell’energia termica e il cannone a vapore è la sua

applicazione più spettacolare. La culatta del cannone veniva riscaldata con un braciere fino a

renderla incandescente e a questo punto, attraverso un rubinetto, si faceva entrare dentro il cannone

dell’acqua che, tramutandosi immediatamente in vapore, si dilatava generando così la spinta per

lanciare il proiettile.

Non abbiamo prove se Leonardo abbia sperimentato o no questo cannone, ma l’idea di usare il

vapore come propellente per lanciare i proiettili ha avuto un seguito fino ad essere effettivamente

applicata nel XIX secolo durante la Guerra civile americana.

Elevatore d’acqua a bilanciere [Cod. Atlantico (BAM), f. 156r]

La Gru girevole [Cod. Atlantico (BAM), f. 146r]

GLOSSARIO

Biella–manovella È un dispositivo meccanico che permette di trasformare il moto circolare di una ruota nel moto rettilineo alternato di una biella e viceversa. La macchina oggi a noi più familiare dove possiamo vedere questo dispositivo all’opera è la bicicletta: le nostre gambe sono le bielle mentre le pedivelle con i pedali sono la manovella. Questo dispositivo è anche il cuore pulsante dei motori a scoppio che trasforma il movimento di “vai e vieni” del pistone nel moto rotatorio dell’albero motore. Pignone–vite senza fine La vite senza fine non ha una lunghezza infinita! Essa non è altro che un cilindro, non troppo lungo, con un solco elicoidale di dimensioni e inclinazione pari a quelle del pignone che in esso deve ingranare. Quando questa vite viene messa in rotazione i denti del pignone uno dopo l’altro, “senza

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fine”, sono trascinati dalla spira e l’albero, sul quale il pignone è montato, si mette a ruotare. Questo dispositivo consente la trasmissione del moto rotatorio anche tra alberi non paralleli. Ingranaggi Gli ingranaggi sono ruote con la circonferenza dentata che in meccanica servono per trasmettere il movimento da un albero ad un altro. Camma La camma non è altro che un pezzo di materiale duro con il profilo variabile che ruotando trasmette il moto rotatorio dell’albero sul quale è montata ad un’asta che, seguendo il profilo della camma, si muove di moto rettilineo alternato. Nella sua versione più arcaica la camma poteva essere un pezzo di legno montato su un albero che ad ogni rotazione faceva sollevare e richiudere, ad esempio, la tavola di un mantice, mentre nella sua versione moderna è un disco eccentrico di materiale durissimo, come quelli che ruotando regolano l’apertura e la chiusura delle valvole nei motori a scoppio. Volano Il volano è una massa metallica circolare che ruotando accumula energia e consente di regolare la velocità degli alberi soggetti a regimi di rotazione non costanti come nel caso del movimento generato dal dispositivo biella–manovella. Libro di bottega Il libro di bottega è il quaderno dove i maestri artigiani annotavano i segreti delle loro professioni. Filologia macchinale La filologia è una scienza che ha come fine la ricostruzione dei testi antichi nella forma più vicina all’originale. Con filologia macchinale si intende un’attività simile a questa che, però, al posto del testo scritto, cerca di ricostruire i disegni delle macchine antiche delle quali ci è pervenuta soltanto la descrizione verbale o per le quali possediamo illustrazioni grafiche parziali o poco chiare. Molti disegni di Taccola e Francesco di Giorgio sono di questo tipo e anche tutti i modelli di questa mostra, per quanto esista il disegno manoscritto originale, si possono considerare esperienze di filologia macchinale. Tiburio Il tiburio è il rivestimento esterno di una cupola e può avere forma cilindrica o prismatica. Strutture a forma di scatola

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Si tratta di un espediente grafico che consiste nel disegnare le parti interne di una macchina in uno spazio rigidamente determinato da pareti verticali e orizzontali. Questa tecnica di rappresentazione ha permesso a Francesco di Giorgio di realizzare disegni di macchine molto accurati. Sogni tecnologici Si tratta di progetti curati nei minimi particolari ma che erano destinati a rimanere sulla carta perché non si possedevano le conoscenze e gli strumenti per poterli realizzare. Il sogno tecnologico più spettacolare al quale Leonardo ha lavorato moltissimi anni è la macchina volante. Formato atlantico È la misura massima che può raggiungere la pagina di un libro, si chiama atlantico perché è il formato proprio degli Atlanti geografici. Sbarramento concavo Su tratta di una diga di forma arcuata. Se la concavità è rivolta verso l’esterno della diga, la diga si chiama spingente perché la pressione dell’acqua viene scaricata sui fianchi della valle. In questo disegno la concavità è diretta verso l’acqua quindi ha il solo scopo di aumentare la capienza della diga. Martinetto Il martinetto è una macchina per il sollevamento di grossi pesi che esercita forze enormi per corse limitate. Il modello che si intravede nel disegno di Leonardo è di tipo meccanico, ma oggi giorno ne esistono anche di idraulici. Genio pontieri É un gruppo di tecnici militari o civili che si occupano della progettazione e costruzione dei ponti. La conca di navigazione

La conca di navigazione è un’enorme vasca delimitata da chiuse che consente di collegare due

canali posti a livelli diversi e permettere il passaggio delle imbarcazioni. Una volta che la barca è

entrata tra le due chiuse la conca viene riempita o svuotata d’acqua fino al raggiungimento del

livello dell’altro canale in modo da permettere l’attraversamento dell’imbarcazione.

Salto d’acqua È il dislivello necessario dal quale far cadere l’acqua per l’azionamento di una ruota idraulica.

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Giostra In ambito prettamente tecnico, la giostra è un dispositivo meccanico composto da un perno verticale al quale è fissata una sbarra trasversale. Quando la sbarra viene spinta da un uomo o da un animale fa ruotare il perno e questo movimento può essere utilizzato per azionare la macina di un mulino o per avvolgere la corda di una gru. Torri piezometriche Piezometrico è un termine composto, di origine greca (da Piézein: ‘premere, stringere’ e da métron: ‘misura’), che, nel caso dell’acqua, può essere tradotto come “pressione data dall’altezza dell’acqua”. In altre parole se solleviamo l’acqua in un serbatoio posto ad una certa altezza, attraverso un condotto di tubi è possibile portarla a vari utilizzatori (mulini, rubinetti delle abitazioni, fontane etc.) posti a livelli più bassi. La torre piezometrica, quindi, non è altro che un serbatoio sopraelevato dal quale l’acqua, per caduta, raggiunge tutti gli utilizzatori. Lega È il prodotto dell’unione di due metalli o di un metallo con altri elementi chimici, ottenuta per fusione. Il bronzo, ad esempio, è una lega composta di rame e stagno, mentre la ghisa e l’acciaio sono leghe composte di ferro e carbonio, in diversa percentuale. Testimonianza iconografica Non è altro che un’immagine: disegno, stampa o fotografia, che testimonia qualcosa. Tutti i disegni di macchine di Leonardo ad esempio, sono testimonianze iconografiche. Laminatoio È una macchina composta da almeno due rulli di acciaio, attraverso i quali viene fatta passare una barra metallica per ridurla in una lamina. Trafila È un utensile costituito da una piastra di acciaio sulla quale è ricavata una serie di fori di diametro decrescente, attraverso i quali viene fatto passare il filo metallico per ridurne la sezione. Tramoggia È un recipiente a forma di cono o di piramide capovolta, aperta in alto e in basso, che serve per alimentare mulini, frantoi, forni e simili. Ruota calcatoria

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È una ruota di grandi dimensioni azionata da uomini che corrono al suo interno o sulla circonferenza esterna. Nel Rinascimento veniva usata come motore delle macchine operatrici. Argano idraulico È una macchina che serve per sollevare carichi o esercitare sforzi di trazione, costituita da un cilindro sul quale si avvolge una corda o una catena. Il suo azionamento può essere manuale per mezzo di una manovella o tramite un motore. Se il motore è una ruota ad acqua, è detto argano idraulico. Ingranaggio a lanterna È una specie di gabbia cilindrica a sbarre verticali che ingranano con i denti di un ingranaggio. Elementi macchinali Secondo Leonardo per “elemento macchinale” dobbiamo intendere ogni singolo dispositivo meccanico per la trasmissione e trasformazione del moto. In altre parole, ogni singolo organo che costituisce una macchina.

Letture di approfondimento AA. VV., Laboratorio su Leonardo, Milano, 1983. AA. VV., Leonardo e le vie dell’acqua, Giunti Barbèra, 1982. Cianchi M., Le macchine di Leonardo da Vinci, Firenze, Becocci, 1988. Galluzzi P., Prima di Leonardo. Cultura delle macchine a Siena nel Rinascimento, Electa, Milano, 1991. Galluzzi, P., Gli ingegneri del Rinascimento. Da Brunelleschi a Leonardo da Vinci, Giunti, Firenze, 1996, 2001. Gille B., Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento, Feltrinelli, Milano, 1972. Laurenza D., Leonardo: la scienza trasfigurata in arte, in “I grandi della scienza, A. 2, n.9 (giugno 1999). Pedretti C., Leonardo Architetto, Electa, Milano, 1978. Pedretti C., Leonardo: le macchine, Giunti, Firenze, 1999. Sutera S., Leonardo. Le macchine, Skira, Milano, 2001.

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Sigle e abbreviazioni c. = Carta Cod. = Codice f. = Foglio Lat. = Latino Ms. = Manoscritto BAM = Biblioteca Ambrosiana, Milano BML = British Museum Library, Londra BMLF = Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze BNCF = Bibliotaca Nazionale Centrale, Firenze BNM = Biblioteca Nacional, Madrid BRT = Biblioteca Reale, Torino BSBM = Bayerische Staatsbibliothek, Monaco di Baviera GDSU = Gabinetto Disegni e Stampe, Galleria degli Uffizi, Firenze IFP = Institut de France, Parigi NYPL = New York Public Library, New York