INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI E TRASFERIMENTOTECNOLOGICO: IL CASO DEL VIETNAM
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INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI E TRASFERIMENTO
TECNOLOGICO: IL CASO DEL VIETNAM
Massimiliano Riva
Giugno 2003
ISESAO - UNIVERSITÀ BOCCONI
2
Introduzione 3
Il trasferimento di tecnologia e gli investimenti esteri 4
L’esperienza del Vietnam: IDE e tecnologia 11
Alcuni rilievi empirici 26
Conclusioni 30
Bibliografia 33
3
Introduzione
In questo breve lavoro si intende evidenziare il ruolo ricoperto dagli investimenti
esteri nel trasferimento tecnologico. Il discorso si inserisce tuttavia nel più grande dibattito
su come la globalizzazione, a determinate condizioni, possa promuovere uno sviluppo
sostenibile e ridurre la povertà nei Paesi in via di sviluppo.
Il presente lavoro fa riferimento ad un caso concreto: l’esperienza del Vietnam negli
anni ‘90. La scelta del Vietnam risponde a diversi criteri. Sappiamo che il paese ha avuto
una performance a dir poco straordinaria nella lotta alla povertà e questo è accaduto in
contemporanea con la, seppur lenta, apertura del Paese verso il mondo esterno ed in
particolare verso i mercati internazionali. Dal 1986, a piccoli passi, le autorità vietnamite
hanno adottato una politica della “porta aperta”, simile a quella sperimentata dalla vicina
Cina. Il Vietnam offre perciò un’occasione interessantissima per studiare i rapporti fra
sviluppo ed apertura economica. Gli investimenti esteri hanno inoltre giocato una parte
essenziale nella crescita economica del paese e, rappresentando sia un importante elemento
della globalizzazione sia uno strumento per il trasferimento tecnologico, ci permettono di
effettuare un’analisi approfondita.
La trasmissione e la diffusione della tecnologia verso le economie emergenti
vengono tradizionalmente annoverati tra i principali contributi allo sviluppo. Data questa
premessa ci siamo quindi concentrati sul canale principale in cui avviene tale trasferimento:
gli investimenti diretti esteri. Di seguito proponiamo un inquadramento teorico che fa da
necessaria premessa alla nostra ricerca.
Per ultimo dobbiamo evidenziare le difficoltà nel reperimento dei dati e la non sicura
affidabilità di questi. Il Vietnam, nonostante i recenti successi, rimane un paese in via di
sviluppo, dove gli istituti statistici e di ricerca non hanno ancora raggiunto buoni livelli di
affidabilità ed accuratezza. Questa situazione critica ha fatto propendere verso un’analisi
prevalentemente qualitativa, con la sottolineatura di alcuni studi del caso e di un’analisi
ragionata dei dati a disposizione.
4
Il trasferimento di tecnologia e gli investimenti esteri
La letteratura economica identifica i trasferimenti di tecnologia come il più
importante canale attraverso il quale le imprese multinazionali (IMN) producono esternalità
positive nei paesi in via di sviluppo (PVS). Le IMN sono la fonte più importante di attività
di Ricerca e Sviluppo non pubblica nei paesi avanzati e a maggior ragione nei PVS. Le
IMN, possedendo le tecnologie più moderne e le capacità per usarle efficientemente,
possono generare spillovers tecnologici. In ultima analisi, non solo possiamo parlare di un
trasferimento, ma anche di un adattamento della tecnologia alle condizioni trovate nei PVS.
La dimensione ed il contenuto di tali trasferimenti può però variare ampiamente in
funzione delle caratteristiche del paese beneficiario, dell’impresa multinazionale che lo
effettua e quindi del settore in cui questo avviene.
Figura 1: Determinanti nel trasferimento tecnologico
Fonte: rielaborazione personale da UNCTAD 2000
Trasferimento Tecnologico
Natura della tecnologia
• Complessità, velocità del cambiamento, innovazione
• Grado di centralizzazione per la R&S • Tecnologia basata sul prodotto o sul
processo
Strategia venditore
• Dimensioni e strategie • Concentrazione su un determinato prodotto
e importanza del brand. • Esperienze nel trasferimento di tecnologia.
Capacità compratore
• Capacità tecnologiche e d’impresa • Ottenibilità di informazioni • Supporto delle istituzioni
Politiche del Paese Ospite
• Regole su IDE e proprietà intellettuale • Politiche di supporto alle imprese locali • Capacità di negoziazione e di regolazione
5
Quattro sono le vie attraverso cui procede il trasferimento di tecnologia:
1. Link verticali (“backward” e “forward”) con fornitori e consumatori locali.
2. Link orizzontali (ossia nel medesimo mercato/settore) con imprese concorrenti
(imitazione) o complementari. Maggiore competizione significa, date alcune
precondizioni, maggiore efficienza.
3. Trasferimento di personale specializzato verso i PVS, training del personale locale.
4. Internazionalizzazione delle attività di R&S. Le IMN possono inoltre provvedere ad
adattare alle condizioni locali le tecnologie esportate con gli IDE.
L’evidenza empirica mostra che sono i link verticali, in particolar modo i “backward
linkages”, gli strumenti più efficaci per il trasferimento di tecnologia. Le imprese
multinazionali spesso forniscono assistenza, training e informazioni ai fornitori locali,
rendendoli capaci di rispondere adeguatamente alle loro richieste.
Questa collaborazione può prevedere anche supporto finanziario e assistenza
nell’acquisto di beni primari, con l’obiettivo di modernizzare la capacità produttiva dei
partner locali. Le IMN richiedono infatti prodotti di una qualità maggiore rispetto allo
standard prevalente nei PVS. Più difficile è invece la prova riguardo agli effetti dei link
orizzontali. L’ingresso di IMN nei PVS può originare ristrutturazioni di mercato
difficilmente misurabili. Inoltre i pochi studi che hanno cercato di far luce su questa
dinamica hanno dato risultati contrastanti. In particolare il ruolo dell’imitazione da parte dei
concorrenti locali richiederebbe maggiore attenzione; le caratteristiche del mercato del
Paese destinatario degli IDE sono in questo caso determinanti, poiché difficilmente
un’impresa offre vantaggi competitivi ai suoi diretti concorrenti. Più facile è invece la
trasmissione di Know-how ad imprese operanti in settori non direttamente correlati.
Per generare spillovers ed esternalità, le tecnologie trasferite devono essere rilevanti
ed innovative per l’economia ricevente. Il livello tecnologico del paese ospitante è dunque
importante. Il trasferimento tecnologico nei PVS segue generalmente la linea Nord-Sud.
Ricerche sul campo suggeriscono tuttavia che il “gap” tecnologico non debba essere troppo
elevato: in quest’ultimo caso le imprese locali non avrebbero ancora le capacità necessarie
per assorbire la nuova tecnologia, che resterebbe di conseguenza confinata negli stabilimenti
delle IMN. Nel 1978 Findlay affermò che la rapidità del “catching up” tecnologico di
6
un’economia arretrata è positivamente correlata con l’ampiezza iniziale del gap, sempre che
lo stesso non sia troppo elevato.
Se è consolidato che sono le IMN ad essere le maggiori responsabili del
trasferimento tecnologico, e anche se sono stati prima individuati i canali di trasmissione,
l’analisi di come tutto ciò avvenga non è stata ancora affrontata in modo approfondito. Di
certo sappiamo che le attività di ricerca sono concentrate nei Paesi avanzati: per esempio
solo il 10% spesa per R&S delle multinazionali americane avviene all’estero, di questo dieci
per cento la metà è riferibile a sussidiarie nel Regno Unito e in Germania. Inoltre il concetto
stesso di tecnologia risulta difficilmente definibile essendo più un’idea astratta che un valore
economico preciso.
Nella discussione riguardo alle proprietà della conoscenza (e quindi della tecnologia)
come bene economico, Romer (1990) ha offerto un contributo interessante: la tecnologia,
afferma, è un bene non rivale, ossia può essere utilizzata contemporaneamente da soggetti
differenti; questo chiaramente non implica che la tecnologia possa essere trasferita senza
costi, ma significa che se due imprese intendono pagare il costo di nuova tecnologia
possono farlo senza interferire l’una con le decisioni dell’altra. Nella realtà empirica i costi
di trasferimento possono anche rilevarsi molto elevati (Teece 1976, Mansfield e Romeo
1980 e Ramachandran 1993). Markusen e Maskus (1999) hanno proposto una teoria per cui
lo sviluppo delle multinazionali negli ultimi decenni sarebbe legato ad un nuovo paradigma
tecnologico chiamato modello di “capitale-conoscenza”: questo dipende dal fatto che la
conoscenza ha la caratteristica della non-rivalità prima accennata da Romer (caratteristica
tipica dei beni pubblici). Le innovazioni tecnologiche possono dunque essere sfruttate
contemporaneamente in molteplici strutture dislocate nel globo. Questa conclusione
andrebbe a spiegare lo sviluppo orizzontale delle IMN. Da ciò si può trarre un’altra
conferma del ruolo degli IDE: le IMN sono concentrate in quei settori che mostrano i più
alti livelli di R&S in relazione al fatturato e spesso impiegano personale altamente
specializzato (per esempio l’industria farmaceutica). Le IMN si basano sui beni immateriali
e sul primato tecnologico per competere con le imprese locali, che invece hanno un
vantaggio informativo riguardo al mercato in cui operano. Le IMN sono dunque in
condizione di trasferire tecnologia, ma, naturalmente devono trarre benefici da ciò. Nel caso
in cui le IMN si trovino ad operare in mercati altamente dinamici, dove l’innovazione è
7
continua, possono anche trovare conveniente dare in licenza la propria tecnologia in quanto
i benefici offerti sarebbero comunque di breve periodo.
Un interessante corollario: gli IDE garantiscono una maggiore protezione rispetto alla
diffusione di tecnologia e questo deve essere considerato come un interesse legittimo per
molte multinazionali. Le IMN potrebbero dunque porre ostacoli al trasferimento
tecnologico, mentre i Paesi ospitanti potrebbero legare al permesso di investimento clausole
volte a favorire la diffusione della tecnologia. I governi dei PVS vogliono non solo
importare tecnologia, ma anche fare in modo che le imprese locali possano beneficiarne
direttamente. Il discorso è in effetti complesso e la mancanza di prove empiriche non aiuta.
Si può partire evidenziando la mancanza di prove certe: non sappiamo nemmeno se la
costituzione di Joint Ventures o il conferimento licenze garantiscano un migliore
trasferimento rispetto agli IDE (Saggi, 2000). Il fatto che nel 1995 l’80% delle royalty fosse
diretto a filiali di IMN, è una prova del prevalere del canale degli investimenti per la
diffusione di tecnologia e giustifica l’attenzione verso quest’ultimi.
La spesa per la R&S, il numero di brevetti, il flusso di pagamenti per licenze e lo
stock di capitale non comprendono che una parte del potenziale tecnologico. Il ruolo dei
canali informali, cioè delle transizioni al di fuori del mercato, è essenziale: la capacità di
imitazione ne è un esempio. La tabella seguente collega il ruolo delle multinazionali (attivo
o passivo) al tipo di transazione (formale o informale):
Tabella 1: Tipo di transazioni e ruolo delle IMN
Ruolo delle IMN
Tipo di Transazione ATTIVO PASSIVO
FORMALE Joint Ventures, licenze
Commercio
INFORMALE Link (verticali/orizzontali) Scambio scientifico, trade journals
Fonte: Blomström Magnus e Kokko Ari (1996)
Anche se non sono stati inclusi direttamente gli IDE (se non come JV), il
collegamento con gli argomenti trattati è evidente: le licenze sono trasferite dalle IMN
principalmente alle loro stesse filiali o ad imprese partecipate, i link sono inoltre più efficaci
e duraturi se avvengono nel medesimo paese (quindi fra filiali di IMN e imprese locali) e
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sono poi da tenere presenti le dimensioni del commercio intra-firm (sempre fra appartenenti
al gruppo multinazionale). Le multinazionali sono infatti particolarmente gelose delle loro
scoperte e difficilmente permettono una libera diffusione di quelle che considerano
fondamentali. La presenza di barriere fra i paesi, le differenze nelle condizioni di mercato e
le differenze nei regimi istituzionali favoriscono i processi di trasferimento all’interno di un
paese piuttosto che attraverso i mercati globali. Gli IDE non sono però l’unico canale per il
trasferimento di tecnologia: anche semplici transazioni commerciali possono favorire
spillovers, così come i contratti di licenza. Sia Taiwan che la Corea del Sud sono riuscite a
modernizzarsi principalmente attraverso questi ultimi strumenti. Il reverse engeneering,
ossia la pratica di analizzare i prodotti finiti per scoprire la tecnologia ivi contenuta, è stato
uno dei canali di trasferimento informale più importanti e richiede solo l’export di prodotti
tecnologicamente avanzati.
Sono individuabili due diversi approcci nei tentativi di misurazione empirica degli
spillover di tecnologia originati dagli IDE. Il primo cerca di legare la presenza di imprese
estere in un settore alle variazioni nella produttività delle imprese locali. Il secondo osserva
prevalentemente, usando funzioni di produzione, singoli casi o progetti; la diffusione di
tecnologia è esaminata in riguardo alle variazioni della produttività, ai collegamenti verticali
(e orizzontali in maniera minore) e alla mobilità del personale.
Nel primo gruppo rientrano i primi studi sugli IDE di Caves (Australia 1974),
Globerman (Canada 1979), Blomstrom e Hakan (Messico 1983) e Blomstrom (1986); tali
autori evidenziano che i settori dove le imprese estere sono maggiormente presenti sono
anche quelli dove si registra maggiore produttività o crescita della produttività o entrambe.
Il problema è che tale relazione non prova l’esistenza di una causalità (Aitken e Harrison
1999): gli IDE sono infatti concentrati nei settori più produttivi. In presenza di regimi
commerciali aperti e di IDE si avrà un’allocazione più efficiente del capitale (secondo la
teoria economica classica), ma ciò non si tradurrà necessariamente in diffusione di
tecnologia all’interno del Paese ospite.
Gli studi microeconometrici a livello aziendale offrono maggiori spiegazioni alle
modalità di trasferimento tecnologico. Haddad e Harrison (1993) utilizzano dati provenienti
dalle imprese manifatturiere in Marocco (anni 1985-1989), per studiare gli spillovers degli
IDE. Il risultato fu che le imprese estere mostravano un livello di produttività maggiore di
quelle locali, ma che quest’ultime esibivano una crescita della produttività più alta. Non
9
bisogna tuttavia considerare tali risultati come prova di una convergenza della produttività
fra IDE e imprese locali. Gli autori spiegarono solo un effetto di livello degli IDE sulla
produttività totale, mentre il collegamento fra presenza di imprese straniere e crescita della
produttività non fornì prove statisticamente significative. Un’ulteriore analisi mostrò che, se
i settori venivano suddivisi a seconda del livello tecnologico (basso o alto), l’effetto degli
IDE prevaleva nei settori a bassa tecnologia; la giustificazione secondo i due autori era la
mancanza di capacità di assorbimento delle imprese marocchine nei settori ad alta
tecnologia.
Aitken e Harrison e Lipsey (1996) studiarono invece il caso delle imprese
Venezuelane e Messicane attraverso la rilevazione dell’aumento di produttività del fattore
lavoro (osservato come incremento del salario). In particolare risultava che i lavoratori nelle
imprese straniere godessero di salari più elevati (e che quindi ci fosse maggiore produttività)
rispetto ai lavoratori occupati in imprese locali; non è stato riscontrato alcun aumento dei
salari di quest’ultimi.
Sempre Aitken e Harrison (1999) hanno condotto uno studio su 4000 imprese
venezuelane. Gli autori hanno individuato una relazione positiva fra partecipazione al
capitale di investitori esteri e performance delle imprese; tale relazione era rilevante però
solo per le imprese con meno di 50 dipendenti. Inoltre è emersa una correlazione negativa
fra crescita degli IDE e produttività nelle imprese domestiche di grandi dimensioni. La
spiegazione offerta giustifica tale perdita di competitività come riduzione delle economie di
scala dovute all’aumentata competizione con le imprese estere e alla conseguente
diminuzione nella produzione. L’impatto degli IDE sulla produttività dell’intera industria è
stato definito come debolmente positivo.
Un legame fra IDE e produttività è stato evidenziato da Blomström (1998) per
l’Indonesia. È stata in particolare individuata una relazione positiva fra proprietà azionaria
estera ed incremento di produttività, ma non sembra esserci proporzionalità tra percentuale
azionaria di proprietà straniera e produttività. Anche Sjöholm (1999), studiando il caso
dell’Indonesia, conclude che esistono spillovers originati dagli IDE e che questi sono più
forti nei settori dove c’è maggiore competizione; Sjöholm, a differenza di Kokko (1994 e
1996), afferma che il trasferimento tecnologico è stato maggiore nei settori caratterizzati da
gap tecnologico e minore nei settori ad alta intensità di lavoro come l’abbigliamento ed il
tessile.
10
Altri autori non trovano correlazioni precise fra IDE e produttività, o comunque non
statisticamente rilevanti: Konings (2000) non trova prove di spillover di tecnologia
studiando i Paesi dell’Est Europeo. Jha (1999) afferma che gli IDE in India non hanno
contribuito a migliorare la tecnologia o la competitività dell’export.
L’esistenza di una soglia di capacità tecnologica al di sotto della quale i benefici del
trasferimento tecnologico non possano essere sfruttati è una spiegazione comune a tali
diversi e complessi risultati. Kokko (1994), De Mello (1997), Kinoshita (1999) e
Blomström e Globerman (2000) individuano l’esistenza di tale soglia nelle loro ricerche
empiriche. Kinoshita, studiando le imprese in Cina, ha notato che gli spillover sono stati
possibili in quanto le imprese locali hanno investito in formazione e training. De Mello ha
studiato le EPZ per dimostrare l’esistenza di gap tecnologici tali da impedire la creazione di
collegamenti tra economia locale e IDE.
Dai casi di studio viene mostrato che le IMN possono (Blomström e Kokko 1996):
• Incrementare l’efficienza superando colli di bottiglia presenti nel lato
dell’offerta;
• Introdurre Know-how attraverso l’imitazione e la mobilità dei lavoratori dalle
IMN verso le imprese locali;
• Sia eliminare monopoli e aumentare la competizione, sia aumentare la
concentrazione e diminuire la concorrenza secondo le caratteristiche
dell’economia ospite.
• Trasferire conoscenza, controlli di qualità e standardizzazione ai fornitori e
distributori locali.
• Spingere le imprese locali a migliorare le tecniche di gestione e ad adottare le
strategie (ad esempio il marketing) usate dalle IMN.
Diversi studiosi, non soddisfatti dalle deboli verifiche dell’impatto degli IDE sulla
produttività (e quindi del trasferimento di tecnologia), stanno cercando di spiegare la
discrepanza tra teoria e dati empirici. Saggi (2000) suggerisce un orizzonte più lungo per le
ricerche, mentre Kugler (2000) fa dipendere i risultati poco confortanti alla mancata analisi
11
dei collegamenti verticali (intra-industriali). L’unico risultato certo è che processi e
dinamiche di trasferimento tecnologico variano in funzione del Paese oggetto di studio.
Anche se non sono chiari i vantaggi legati agli IDE, bisogna ricordare alcune realtà
oggi non contestabili. Il trasferimento di tecnologia potrebbe essere limitato dagli stessi
possessori, ossia le IMN, agli IDE. Inoltre, anche se fosse possibile acquistare tecnologia sul
mercato, il trasferimento interno (ossia gli IDE) è generalmente meno costoso e più veloce.
Ma ancora, il maggiore effetto positivo degli IDE è rappresentato dal pacchetto completo
che viene offerto: le IMN, cosa più importante, trasferiscono capacità organizzative e
manageriali, ossia una conoscenza tacita che le ricerche finora condotte, per ammissione
degli stessi studiosi, non possono o non riescono a misurare. Certo lo “svantaggio” è
rappresentato dalla proprietà della tecnologia, che non appartiene alle imprese locali.
L’esperienza del Vietnam: IDE e tecnologia
Gli IDE sono uno strumento importantissimo per il trasferimento di tecnologia ed il
Vietnam ha saputo beneficiarne. Oggi il dibattito nel Paese, una volta assodato il ruolo delle
imprese estere quale motore del progresso tecnologico, si concentra su come velocizzare e
rendere efficiente questo trasferimento. In un recente workshop organizzato dal FMI e dalla
SBV (State Bank of Vietnam), diversi analisti hanno valutato in modo negativo il
trasferimento di tecnologia, in quanto limitato e non corrispondente alle necessità del Paese.
I relatori vietnamiti hanno inoltre lamentato la mancanza di investimenti esteri in settori
tecnologicamente avanzati.
Prima del 1987 la quasi totalità della tecnologia proveniva dai Paesi socialisti e si
concentrava prevalentemente nelle infrastrutture e nell’industria pesante. Questi contributi
furono marginali per la crescita del prodotto industriale negli anni novanta, ma servirono
come base e fondamenta per lo sviluppo industriale dell’ultimo decennio: si crearono infatti
industrie in un Paese che sopravviveva solo grazie all’agricoltura e si formarono tecnici ed
ingegneri (rivelatisi poi molto importanti per il Vietnam). Oggi tale tecnologia è ancora
diffusa (soprattutto nelle aziende di stato) e solo recentemente si sono realizzati i maggiori
progetti di ammodernamento e ricambio. Dalla fine degli anni ’80 sono stati gli IDE a
diventare la maggiore fonte di tecnologia nel settore industriale.
12
La contribuzione al capitale da parte degli investitori esteri è ed era prevalentemente
composta da macchinari e forniture. Nel 1998, il valore totale della tecnologia (“hardware”)
importata da imprese estere, risulta superiore ai 637 milioni di dollari e cioè vale il 31% del
flusso verso il Paese. Tale peso è cresciuto durante gli anni novanta: solo nel 1995 la
tecnologia importata dagli IDE era valutata intorno al 12,7% del totale. Questi dati, che non
contengono nemmeno il conto della tecnologia “soft”, ci mostrano il ruolo predominante
delle imprese estere. Addiciamo inoltre come prova l’elevato valore dell’import nelle
aziende straniere: le importazioni comprendono principalmente i macchinari necessari a
modernizzare il settore produttivo vietnamita e sono una componente importante del
trasferimento di tecnologia. Si può prevedere un aumento progressivo delle importazioni
legato non solo alle imprese estere, ma anche allo sviluppo delle imprese locali e alla
riorganizzazione del settore pubblico.
Il Governo è sempre stato consapevole del gap che divide il Vietnam dai più avanzati
cugini del sud-est asiatico. Pragmaticamente le industrie di stato più efficienti sono state
incoraggiate a sviluppare JV nei settori in cui il Paese non sarebbe stato in grado di
muoversi da solo. Le autorità hanno sempre cercato di importare lo stato dell’arte della
tecnologia ed hanno impedito al Paese di diventare una discarica dei prodotti scartati dal
primo mondo. Il settore delle telecomunicazioni è un buon esempio: il monopolista del
settore, VNPT (Vietnam Post and Telecommunication Corp.), ha costituito con grandi
leader internazionali (Alcaltel e LG per esempio) diverse JV nel settore della
componentistica; nel settore dei servizi di telecomunicazione, essendo la regolamentazione
più ferrea, il trasferimento di tecnologia è stato regolato dai BCC (Business Cooperation
Contract) siglati con corporation internazionali. Fra i più importanti si menziona il BCC fra
VMS (Vietnam Mobile Systems, sussidiaria di VNPT) e la Comvik per la creazione del
primo operatore di telefonia mobile. La stessa VNPT, pochi anni dopo, farà nascere quello
che è oggi il principale operatore di telefonia mobile. La società pubblica, dopo aver
acquisito le conoscenze necessarie, è stata capace di “inventare” da zero un moderno gestore
di servizi telefonici.
Si evidenzia ora un paradosso: il Vietnam oggi è sì in grado di offrire servizi come
l’ISDN o l’ADSL ad Hanoi e HCMC, ma buona parte delle industrie nazionali mantiene
macchinari obsoleti risalenti al periodo sovietico.
13
Il problema dell’adeguatezza della tecnologia trasferita è determinante per lo
sviluppo di un’economia emergente. Il dibattito è aperto sia nel paese che nella comunità
internazionale: le autorità vietnamite stanno concentrandosi sul settore IT (seguendo il
modello indiano) e conseguentemente hanno deciso sia incentivi per favorire la diffusione
del Know-How fra le imprese locali sia l’apertura di diversi parchi tecnologici. Alcuni
autori fanno notare che le stime più ottimistiche per il 2005 calcolano il numero di nuovi
posti di lavoro creati nell’IT in 50.000 unità. Se confrontiamo quest’ultimo dato con il
milione di Vietnamiti che ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro non possiamo che
preoccuparci. Il settore tessile/abbigliamento, che è una delle fonti principali di occupazione
nel paese, avrebbe ugualmente bisogno di incentivi ed aiuti pubblici per incrementare la
propria competitività e quindi per sostituire i macchinari più obsoleti.
Le multinazionali che investono in Vietnam possiedono sì tecnologie avanzate, ma
queste sono difficilmente trasferibili attraverso gli strumenti tradizionali di mercato a causa
delle limitate risorse economiche delle imprese vietnamite e alle difficoltà di
implementazione ed adattamento.
Il contesto vietnamita
Le survey condotte dall’IE (Institute of Economics) – IWE (Institute of World
Economics) ci offrono alcuni dati interessanti in merito al trasferimento di tecnologia. Come
da previsione, si nota che le imprese estere non conducono attività di ricerca e sviluppo in
Vietnam.
Grafico 1: Spesa dedicata alla R&S esterna sui costi totali nel settore tessile abbigliamento (2000)
Fonte: rielaborazione personale da IE-IWE 2002
0 0,02 0,04 0,06 0,08 0,1
Percentuale
IDE
Settore Privato
SOE
Tessile/Abbigliamento
14
La spesa nella ricerca è trascurabile per l’intero settore tessile/abbigliamento: gli IDE
non hanno nessun ruolo, mentre le imprese di stato non dedicano più dello 0,1% della spesa
totale alla R&S. Ciò significa che le imprese estere si limitano ad importare tecnologia dalle
proprie imprese madri. Simili percentuali sono riscontrate nei settori alimentari e di
assemblaggio delle automobili. Parziale eccezione per gli IDE nell’elettronica, dove la spesa
esterna per la ricerca raggiunge il 3,8% del totale.
i dati sui contratti di R&S siglati dagli IDE confermano ancora la tesi per cui le
imprese a capitale estero non sono interessate a condurre attività di ricerca e sviluppo in
Vietnam.
Grafico 2: Percentuale di IDE che hanno contratti di R&S con altre imprese/organizzazioni
10%
11%
13%
25%
0% 5% 10% 15% 20% 25%
Percentuale
Tessile/Abbigliamento
Auto
Elettronica
Alimentare
Fonte: rielaborazione personale da IE-IWE 2002
Un’eccezione è il settore alimentare dove quasi un quarto delle imprese estere
studiate ha concluso contratti per la R&S.
Nel grafico (3) sono mostrate le spese per il Design e la Ricerca nel nostro campione
di imprese. In questo caso i risultati sono più significativi: un numero considerevole di
imprese estere nei settori dell’auto, elettronica e alimentari investe risorse nel Design.
Importante a questo punto ricordare che, mentre il settore tessile/abbigliamento è export-
oriented, i settori dell’auto e dell’elettronica sono concentrati sul mercato domestico
vietnamita. Le spese di Design e Ricerca (D&R) rappresentano dunque adattamenti alle
necessità del mercato locale. Misto invece l’orientamento nel settore alimentare, dove ad
15
alcune voci importanti per l’esportazione si accompagnano produzioni per il mercato
interno.
Grafico 3: Percentuale di IDE che hanno spese per il D&R
2%
44%
38%
40%
0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45%
Percentuale
Tessile/Abbigliamento
Auto
Elettronica
Alimentare
Fonte: rielaborazione personale da IE-IWE (2002)
Il trasferimento di tecnologia avviene spesso grazie all’importazione di macchinari.
Nel grafico seguente è facile notare che quasi il 70% degli strumenti di produzione è
importato nel settore tessile, settore non tradizionalmente fra i più avanzati. Tale contesto è
giustificabile, dato il livello di sviluppo raggiunto dal Vietnam, e non è necessariamente
dannoso, anzi permette alle industrie locali di essere produttive e competitive sul mercato.
Grafico 4: Percentuale di tecnologia importata per la produzione nelle più recenti acquisizioni nel settore Tessile/Abbigliamento
81%
61%
80%
68%
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90%
Percentuale
IDE
Settore Privato
SOE
Tessile/Abbigliamento
Fonte: rielaborazione personale da IE-IWE 2002
16
Nel settore tessile/abbigliamento, ma possiamo anche generalizzare per l’intero
settore manifatturiero, gli strumenti necessari alla produzione vengono importati e spesso
costituiscono la parte di capitale corrisposta dai partner stranieri nelle JV.
Sempre l’IE-IWE ci offre un’interessante panoramica dei canali privi legiati
nell’acquisizione di capitale fisico in Vietnam. Dall’analisi delle fonti di informazione alle
quali le imprese si rivolgono per il loro adeguamento tecnologico, possiamo capire alcuni
importanti rapporti interistituzionali. Le imprese estere o le JV sono inserite in circuiti di
produzione e distribuzione internazionali e hanno maggiori possibilità di acquisire
informazioni e di avere accesso alle tecnologie più moderne. Questo schema vale anche per
il Vietnam: gli IDE ricercano le proprie informazioni da partner od azionisti e da
distributori/fornitori internazionali. Il settore privato e le imprese di stato si appoggiano
maggiormente a strumenti di mercato tradizionali, tuttavia la mancanza di risorse spesso
impedisce l’acquisto diretto di tecnologia. Non bisogna inoltre dimenticare che l’acquisto di
nuovi macchinari rappresenta solo una fase, a cui segue l’adattamento alle necessità delle
imprese. L’assistenza post-vendita è determinante in molte acquisizioni, così come la
manutenzione.
Tabella 2: Fonti di informazione sulla tecnologia prevalenti (in percentuale)
Fonte Settore % di aziende che usano
la fonte % di aziende che non
usano la fonte
IDE 6,16% 93,84% Settore privato 11,77% 88,23%
Cataloghi/ Fiere commerciali
SOE 48,54% 51,46% IDE 20,39% 79,61% Settore privato 36,63% 63,37%
Clienti e fornitori nazionali
SOE 55,54% 44,46% IDE 30,68% 69,32% Settore privato 30,01% 69,99%
Clienti e fornitori internazionali
SOE 55,54% 44,46% IDE 9,54% 90,46% Settore privato 16,54% 83,46% Imprese nazionali SOE 18,01% 81,99% IDE 23,86% 76,14% Settore privato 26,95% 73,05% Imprese estere SOE 12,74% 87,26% IDE 36,75% 63,25% Settore privato 3,67% 96,33% Partner/Azionisti
SOE 0,00% 100% Fonte: rielaborazione personale da IE-IWE (2002)
17
Possiamo affermare che gli IDE in Vietnam hanno trasferito tecnologia e risorse
altrimenti non disponibili. Ad averne beneficiato sono soprattutto le molte imprese di stato
che negli anni ’90 hanno costituito JV, inizialmente l’unica forma di IDE permessa. Nel
settore petrolifero, nelle telecomunicazioni, nelle industrie pesanti come in quelle leggere si
può notare il miglioramento delle performance sia nelle imprese di stato sia nel settore
privato.
Oggi non si registrano monopoli od oligopoli di industrie straniere che sopravvivono
solo per il loro vantaggio tecnologico. La crescente concorrenza internazionale si è rilevata
un fattore positivo in questo senso: lo stato infatti ha scelto diversi fornitori-costruttori per
creare le proprie infrastrutture senza legarsi ad una sola impresa. L’esistenza di alcune JV di
fatto monopoliste nel loro settore di competenza va comunque rilevata, ma l’esistenza del
partner vietnamita (spesso una grande azienda pubblica) garantisce in ogni caso il Paese.
Diverse imprese (anche private) possono oggi competere, anche se a fatica, con le società a
capitale estero: possiamo quindi immaginare che queste siano in grado di ottenere le
tecnologie necessarie. Il fatto che vi siano solo poche aziende vietnamite operanti nei settori
tecnologicamente più avanzati riduce naturalmente i benefici acquisibili.
Non possiamo definire la natura buona o cattiva della tecnologia trasferita, ossia se
questa sia più o meno adatta alle condizioni attuali del Vietnam. Innanzitutto non c’è
unanimità nelle posizioni teoriche: alcuni autori affermano che le tecnologie necessarie ad
un PVS non siano le più avanzate, ma ugualmente paventano il problema della crescita del
gap tecnologico, soprattutto riferendosi al “digital divide”.
La politica industriale è qui determinante perché fonte degli incentivi offerti agli
investitori esteri: fino ad oggi i programmi pubblici sono stati ambigui in quanto si sono sì
favorite le tecnologie più avanzate, ma ugualmente sono stati previsti incentivi per industrie
export-oriented ad alta intensità di lavoro. Teniamo però sempre presenti le critiche da parte
di analisti vietnamiti riguardo al mancato trasferimento di tecnologia moderna e ai deboli
spillovers rilevati nell’economia del Paese.
La struttura settoriale degli IDE ci mostra la concentrazione di questi nelle industrie
pesanti e nei settori protetti, anche se negli ultimi cinque anni c’è stato un netto
miglioramento, con una più ampia distribuzione dei progetti nei diversi comparti industriali.
Nel grafico seguente (riferito al 2002) l’industria pesante si conferma come prima voce
(21%). Se a questo dato aggiungiamo anche le costruzioni e l’industria di estrazione del
18
petrolio si arriva al 40% degli investimenti diretti esteri. La mancanza di progetti nei servizi
e nelle telecomunicazioni non dipende però solo dagli investitori, ma anche dalla
legislazione: solo dal 2000 e cioè dalla definizione dell’accorso bilaterale USA-Vietnam, si
parla di liberalizzazione dei servizi. Gli investimenti nell’agricoltura sono modesti (7%),
nonostante il rapido sviluppo del primo settore, che ha trasformato il Paese negli anni ’80 e
’90 in uno dei maggiori esportatori di prodotti agricoli (riso e caffè).
Grafico 5: Distribuzione settoriale degli IDE sulla base del valore degli investimenti (Agosto 2002)
Petrolio e Gas8%
Industria pesante21%
Alimentare6%
Industria leggera12%
Agricultura e Foresta6%
Hotel e Turismo8%
Servizi2%
Uffici & Appartamenti9%
Nuove Aree Urbane6%
Trasporti, comunicazione e poste
7%
Infrastrutture per IZ e EPS2%
Costruzioni8%
Banche e Finanza2%
Acquacultura 1%
Cultura, salute & educazione
2%
Fonte:WIR (2002)
Il Governo vorrebbe sicuramente attrarre investimenti ad alto valore tecnologico
nella produzione di componentistica avanzata e costruire, con partner esteri, la prima
raffineria (il Vietnam produce petrolio ma importa tutta la benzina) e un polo della chimica.
Diversi analisti hanno invece sottolineato l’importanza dei settori tessile/abbigliamento,
calzature/cuoio e della trasformazione dei prodotti agricoli, dove la mancanza di tecnologia
adeguata pone in serio pericolo le prospettive economiche ed occupazionali dell’intero
Paese. Gli IDE potrebbero dunque partecipare trasferendo la tecnologia e le competenze
adatte, oltre alle risorse necessarie.
19
Lo studio della produttività
Nella rassegna della letteratura effettuata precedentemente, è emerso che lo studio
della produttività è un metro inesatto ma utile a misurare il trasferimento di tecnologia.
Diversi studi empirici hanno cercato di calcolare le differenze di produttività fra imprese
locali ed estere e i trend di crescita rispetto al tipo di proprietà. La mancanza di dati non ci
permette un’analisi completa né approfondimenti precisi, ma con le informazioni di cui
disponiamo possiamo confermare o negare l’aumento di produttività legato alla presenza di
imprese a capitale estero e comparare il livello di produttività degli IDE.
Tabella 3: Valore aggiunto per proprietà
Numero di
aziende (Az.) Dipendenti (Persone)
Valore aggiunto
(Mil.dong)
Valore Aggiunto per Dipendente
(Mil.dong)
Valore Aggiunto per Azienda (Mil.dong)
Totale 4767 1.014.319 48.332.791 48 10.139 Settore statale 1084 537.198 20.059.945 37 18.505 Cooperative e Settore Privato
2956 245.234 3.585.246 15 1.213
Joint Venture 727 231.887 24.687.600 106 33.958
Fonte: elaborazioni personali da UNIDO/DSI (1999)
Grafico 6: Valore Aggiunto per dipendente e per azienda
37
15
106
-
20
40
60
80
100
120
Mili
oni d
i VN
D
Settore statale Cooperative esettore privato
Joint venture
Valore aggiunto per dipendente
18.505
1.213
33.958
-
5.00010.00015.000
20.00025.00030.00035.000
Mili
oni d
i VN
D
Settore statale Cooperative esettore privato
Joint venture
Valore aggiunto per azienda
Fonte: elaborazioni personali da UNIDO/DSI (1999)
I dati usati per compilare la tabella (25), su cui sono stati poi costruiti i due
precedenti grafici, provengono da uno studio effettuato dall’UNIDO e dal DSI (MPI) nel
1998 su un campione di 4.767 aziende (settore industriale) dislocate in 17 diverse province.
20
Questo lavoro ci ha permesso di fare un flash, ma non fornisce le serie storiche necessarie
per la nostra analisi. Risulta evidente dai dati sul valore aggiunto la maggiore produttività di
dipendenti e aziende partecipate da capitale estero. Il valore aggiunto, prodotto da un
dipendente di una JV, è 3 volte maggiore di quello di un collega impiegato in un’azienda di
stato e fino a 7 volte maggiore rispetto a quello di un dipendente nel settore privato. Anche
in Vietnam si può dunque affermare che le imprese estere sono più efficienti di quelle locali.
Questo dipende sì dalle tecnologie utilizzate, ma anche dal capitale fisso per dipendente, che
è decisamente maggiore negli IDE.
Le multinazionali, spesso, si concentrano nei settori a più alta produttività o in quelli
protetti da leggi nazionali e quindi non deve sorprendere il fatto che siano più competitive di
quelle locali. Come già affermato, gli IDE si sono concentrati nel settore manifatturiero: la
produttività nel settore è sempre cresciuta negli anni ’90 senza però generare ampi sbocchi
occupazionali. Alcuni considerano l’aumento di produttività proprio una causa della
diminuzione della domanda di lavoratori, considerato anche il largo numero di dipendenti in
esubero presenti nelle aziende di stato. Dal 1992 al 1997, gli anni del boom economico e
dell’ingresso degli IDE, la crescita della produttività (del lavoro) nel settore industriale ha
sempre superato il 13%, mentre la crescita del settore agricolo è stata in media inferiore al
3%. Questi dati sono caratteristici delle economie in transizione come quella vietnamita
(ancora oggi legata all’agricoltura), ma supportano la tesi per cui le imprese estere investono
in settori produttivi e con vaste possibilità di crescita. L’intero settore industriale ha dunque
beneficiato dalla presenza di IDE ed ha visto crescere la propria competitività, che si può
presumere essere aumentata anche grazie al trasferimento tecnologico attraverso il canale
degli investimenti esteri.
21
Tabella 4: Crescita percentuale del prodotto, dell'occupazione e della produttività per settori
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Agricoltura -Output 2,17% 7,08% 3,82% 3,92% 4,95% 4,4% 4,45% -Occupazione 2,71% 3,23% 2,97% 2,56% -1,59% 2,71% 2,7% -Produttività lavoro 3,72% 0,82% 1,33% 6,43% 1,65% 1,7% Industria -Output 9,04% 14,03% 13,13% 14,02% 13,3% 13,85% 13,07% -Occupazione 0,1% 1,45% 2,22% 4,69% 0,16% 1% 0,09% -Produttività lavoro 12,4% 10,67% 8,91% 13,77% 12,72% 12,97% Fonte: GSO 1995-1997
Ritornando ai dati per il 1998 forniti dall’UNIDO/DSI, possiamo valutare la
produttività per lavoratore ed anche trovare un indice adeguato per misurare l’intensità di
capitale. Il Proxi qui disponibile è il valore aggiunto ridotto dalla componente salario: il
risultato riflette così il pagamento al fattore capitale. Non abbiamo però una precisa
suddivisione degli IDE per settore: ciò impedisce quindi l’individuazione di una relazione
specifica fra presenza di IDE, concentrazione di capitale e produttività per lavoratore.
Possiamo incominciare specificando che le attività legate all’estrazione petrolifera
mostrano la più elevata intensità di capitale, ma anche che queste sono strettamente regolate
dallo stato. Nel settore petrolifero abbiamo diverse JV fra PetroVietnam (impresa di stato) e
aziende straniere (prima imprese russe poi anche occidentali): il Vietnam non dispone infatti
delle tecnologie necessarie a sviluppare impianti off-shore e ad individuare giacimenti
petroliferi. Il tentativo delle autorità di creare un centro di raffinazione nella già citata
Quang Ngai non ha dato i frutti sperati a causa della indisponibilità di soci e capitali
stranieri. Contemporaneamente sembra però realizzarsi un altro progetto per la costruzione
di una raffineria nel Sud del Paese (cioè in un luogo geograficamente più vicino ai
giacimenti petroliferi), a cui dovrebbe partecipare una grande multinazionale occidentale. In
questo settore è evidente la necessità del trasferimento tecnologico senza il quale non
potrebbero essere sfruttate le risorse del Paese.
22
Tabella 5: Valore aggiunto per settori
Number of
establish-ments (Est.)
Employees (Person)
Compen-sation of
employees (Mil.VND)
Value added (Mil.VND)
Non-wage Value Added
(Mil.VND)
Value added per Employee (Mil.VND)
Non-wage Value
Added per Empolyee (Mil.VND)
Mining and quarrying 183 115.286 1.547.478 13.093.301 11.545.823 114 100,15 Mining of coal and lignite; extraction of peat 26 57.565 695.873 1.031.690 335.817 18 5,83 Extraction of crude petroleum and natural gas 4 17.528 668.699 11.561.190 10.892.491 660 621,43 Mining of metal ores 6 585 7.673 24.825 17.152 42 29,32 Other minino and quarrying 147 39.608 175.233 475.596 300.363 12 7,58 Manufacturing 4562 891.192 1.1128.639 33.598.488 2.2469.849 38 25,21 Food products and beverages 955 108.330 1.472.355 7.884.954 6.412.599 73 59,20 Manufacture and tobaco products 15 9.373 181.948 2.294.916 2.112.968 245 225,43 Manufacture of textiles 204 94.205 951.004 2.784.414 1.833.410 30 19,46 Manufacture of wearing apparel (garments) 362 138.996 1.424.367 2.142.624 718.257 15 5,17 Manufacture of leather products 142 171.489 1.959.788 2.406.677 446.889 14 2,61 Manufacture of wood and of products 248 22.067 168.456 372.181 203.725 17 9,23 Paper and paper products 193 23.657 262.592 712.486 449.894 30 19,02 Publishing and printing 153 16.186 281.172 945.627 664.455 58 41,05 Coke and refined petroleum products 6 484 19.902 120.188 100.286 248 207,20 Chemicals and chemical products 234 35.706 701.010 2.319.509 1.618.499 65 45,33 Rubber and plastics products 262 30.752 418.394 1.213.123 794.729 39 25,84 Non-metallic mineral products 612 63.035 791.161 3.424.139 2.63.2978 54 41,77 Manufacture of basic metals 73 25.700 324.840 1.012.354 687.514 39 26,75 Fabricated metal products 261 20.796 349.611 785.546 435.935 38 20,96 Machinery and equipment n.e.c. 159 25.272 293.674 801.532 507.858 32 20,10 Office, accounting and computing machinery 3 2.681 37.758 245.360 207.602 92 77,43 Electrical machinery and apparatus n.e.c. 98 21.520 376.354 877.734 501.380 41 23,30 Radio, television and communication equipment 70 12.906 251.409 1.170.684 919.275 91 71,23 Medical and optical instruments, watches and clocks 26 3.234 62.150 124.459 62.309 38 19,27 Motor vehicles, trailers and semi-trailers 92 8.696 145.055 600.416 455.361 69 52,36 Manufacture of other transport 133 20.712 306.368 783.655 477.287 38 23,04 Manufacture of furniture; manufacturing n.e.c. 259 35.348 348.948 575.181 226.233 16 6,40 Recycling 2 47 323 729 406 16 8,64 E.Electricity, gas and water supply 22 7.841 159.554 1.641.002 1.481.448 209 188,94 Electricity, gas, steam and hot water supply 5 809 30.807 1.274.329 1.243.522 1575 1537,11 Collection purification and distribution of water 17 7.032 128.747 366.673 237.926 52 33,83
Fonte: Rielaborazione personale da UNIDO /DSI (1999)
Per inserire i dati della precedente tabella in un contesto più chiaro, è utile comparare
il dato del valore aggiunto (V.A.) per lavoratore del settore manifatturiero vietnamita con
quello della Thailandia. Tradotto in dollari (al tasso di cambio del 1998) il V.A. per
lavoratore (settore manifatturiero) in Vietnam è pari a circa 2.769$, mentre il medesimo
dato per la Thailandia, pur in piena crisi asiatica, è 7.862$1. Dal precedente confronto si
1 Thailand Statistical Office
23
evidenzia chiaramente il ritardo del Vietnam, indipendentemente dalla presenza di
investitori esteri. Se però confrontiamo alcuni settori dell’economia in cui il Vietnam
possiede vantaggi comparati, e che nell’ultimo decennio si sono aperti all’economia
internazionale, il divario con la vicina Thailandia si riduce: il V.A per lavoratore nel settore
tessile è 2.171$ in Vietnam e 5.390$ in Thailandia. Non è determinabile una costante in tal
senso e anzi si rilevano casi contraddittori come il settore abbigliamento.
La ricerca dell’UNIDO-DSI ci fornisce i dati mostrati nella tabella (5) anche per tipo
di proprietà: settore statale, cooperative e settore privato e JV. Abbiamo di seguito costruito
delle tabelle in modo da evidenziare il ruolo degli IDE. In particolare abbiamo cercato di
calcolare la produttività del lavoro (V.A. per dipendente) e il capitale investito (V.A. meno
retribuzione del fattore lavoro per dipendente). Il capitale investito da imprese estere può
essere a sua volta un proxi del trasferimento tecnologico, in quanto gli stessi macchinari
sono tecnologia: l’esperienza rafforza questa tesi, essendo i macchinari la principale forma
di contribuzione del capitale in Vietnam. La tabella (6) riporta i risultati per il settore tessile
(Manufacture of textiles), il settore motoveicoli (Motor vehicles, trailers and semi-trailers),
il settore alimentare (Food products and beverages) ed elettronica di consumo (Radio,
television and communication equipment). Questi comparti sono stati scelti per rendere più
uniforme la nostra analisi (poiché già studiati precedentemente) e per la sicura presenza di
IDE. Possiamo trarre ulteriori conclusioni analizzando le differenze fra settori
tradizionalmente export-oriented e non. Ricordiamo inoltre che con JV si intendono qui
tutte le forme di investimento diretto estero.
24
Tabella 6: Indicatori aziendali per settori e per tipo di proprietà
Settore Tessile
Numero imprese
Numero Dipendenti
Compenso dipendenti (Mil.Dong)
Prodotto lordo (Mil.Dong)
Valore aggiunto
(Mil.Dong)
% Prodotto lordo
Proxi intensità di
capitale
V.A per lavoratore
(Mil.Dong)
Compenso medio
(Mil.Dong)
Imprese statali 54 65.409 642.591 4.421.394 1.291.940 49,8% 10 20 9,8 Cooperative e settore privato
99 10.790 71.248 599.105 205.218 6,7% 12 19 6,6
JV 51 18.006 237.165 3.855.722 1.287.256 43,4% 58 71 13,2
Totale 204 94.205 951.004 8.876.221 2.784.414 100%
Motoveicoli
Numero imprese
Numero Dipendenti
Compenso dipendenti (Mil.Dong)
Prodotto lordo (Mil.Dong)
Valore aggiunto
(Mil.Dong)
% Prodotto lordo
Proxi intensità di
capitale
V.A per lavoratore
(Mil.Dong)
Compenso medio
(Mil.Dong)
Imprese statali 26 4.974 54.319 324.509 96.997 18,2% 9 20 10,9 Cooperative e settore privato
51 1.549 11.230 85.851 20.859 4,8% 6 13 7,2
JV 15 2.173 79.506 1.370.381 482.560 77,0% 185 222 36,6
Totale 92 8.696 145.055 1.780.741 600.416 100%
Alimentari
Numero imprese
Numero Dipendenti
Compenso dipendenti (Mil.Dong)
Prodotto lordo (Mil.Dong)
Valore aggiunto
(Mil.Dong)
% Prodotto lordo
Proxi intensità di
capitale
V.A per lavoratore
(Mil.Dong)
Compenso medio
(Mil.Dong)
Imprese statali 148 61.673 774.285 14.546.680 4.223.283 48,8% 56 68 13 Cooperative e settore privato
723 28.177 194.294 3.556.252 614.008 11,9% 15 22 7
JV 84 18.480 503.776 11.733.602 3.047.668 39,3% 138 165 27
Totale 955 108.330 1.472.355 29.836.534 7.884.959 100%
Elettronica di consumo
Numero imprese
Numero Dipendenti
Compenso dipendenti (Mil.Dong)
Prodotto lordo (Mil.Dong)
Valore aggiunto
(Mil.Dong)
% Prodotto lordo
Proxi intensità di
capitale
V.A per lavoratore
(Mil.Dong)
Compenso medio
(Mil.Dong)
Imprese statali 22 4.728 70.653 835.429 230.265 15,1% 34 49 15 Cooperative e settore privato
18 716 8.880 113.274 36.051 2,0% 38 50 12
JV 30 7.462 171.876 4.598.606 904.368 82,9% 98 121 23
Totale 70 12.906 251.409 5.547.309 1.170.684 100% Fonte: elaborazione personale da UNIDO/DSI (1999)
25
In primo luogo notiamo che il settore a più elevata intensità di capitale è quello dei
motoveicoli, seguito poi da quello alimentare, dall’elettronica di consumo ed infine dal
settore tessile. Anche il settore tessile può essere considerato relativamente capital-
intensive, soprattutto se confrontato a quello dell’abbigliamento. In tutti e quattro i casi
l’indice per la misurazione dell’intensità del capitale è maggiore nelle JV e la differenza è
notevole: è dunque confermata l’ipotesi per cui le imprese estere hanno un tasso di capitale
per lavoratore molto superiore a quelle vietnamite. Registriamo inoltre che il ruolo del
settore privato e delle imprese di stato è marginale sia negli autoveicoli che nell’elettronica,
dove la quota del prodotto lordo delle JV è rispettivamente il 77% e l’83%. Nell’industria
automobilistica avevamo già evidenziato il netto predominio delle JV nell’assembalggio di
autoveicoli. Nel tessile e nell’industria alimentare il peso degli IDE è invece inferiore alla
metà: 43% e 39% rispettivamente.
Per misurare la produttività, si potrebbe usare il salario essendo spesso superiore ai
minimi fissati dal governo, tuttavia, data la notevole differenza nella legislazione fra
imprese locali ed estere, non possiamo fare eccessivo affidamento su questo tipo di
informazioni. In tutti i settori considerati il salario offerto dalle JV è ampiamente superiore a
quello delle SOE ed ai compensi ancora minori delle imprese private. La differenza è meno
ampia nel tessile e nell’elettronica di consumo (ossia nei settori a minore intensità di
capitale), mentre nel settore autoveicoli il salario dei dipendenti delle JV è il triplo di quello
delle SOE.
Un altro proxi per la produttività è il valore aggiunto per dipendente: anche in questo
caso la differenza fra IDE e imprese locali è ampia ed è maggiore per i settori ad elevata
intensità di capitale. Seppure la fonte ed il campione sono diversi, possiamo comparare
ugualmente i risultati tratti dalla ricerca UNIDO/DSI con quelli del IE-IWE riferiti al 1999 e
al 2000. I dati per il ’99 e ’00 sono però riferiti al tessile e abbigliamento, mentre i dati del
1998 si riguardano il solo settore tessile. Si nota un aumento della produttività in tutti i tre
settori, tuttavia la discrepanza nei dati non ci permette di arrivare ad ulteriori precisazioni.
26
Tabella 7: Produttività per proprietà nel settore tessile/abbigliamento
V.A. per lavoratore 1998
(abbigliamento)*
V.A. per lavoratore 1998 (settore tessile)*
V.A. per lavoratore 1999
(T&A)**
V.A. per lavoratore 2000
(T&A)**
Incremento % 1999/2000
IDE 21 71 107,8 107,8 0% Settore privato 11 19 31 36,5 17,7% Settore statale 15 20 34 41,7 22,6% Fonte: elaborazione personale da UNIDO/DSI (1999) e IE-IWE (2002) * da UNIDO/DSI ** da IE-IWE
Dalla tabella (7) possiamo notare che la produttività delle imprese vietnamite è in
crescita e che il gap rispetto agli IDE sta assottigliandosi lentamente. È dunque probabile
che vi sia stato un trasferimento di tecnologia dagli IDE all’economia locale e che il gap,
pur ampio, non abbia inibito la capacità di crescita delle imprese locali.
Possiamo dunque concludere questo passaggio affermando che gli IDE hanno
trasferito tecnologia nel paese e che il loro peso tecnologico è determinante in molti settori.
Relativamente alla qualità della tecnologia evidenziamo un miglioramento progressivo
determinato anche dalle politiche governative. Il fatto che gli investimenti nei settori chiave
siano stati effettuati nella forma delle JV, dovrebbe prevenire l’instaurarsi di monopoli
stranieri. I partner locali delle JV sono infatti imprese di stato con forti legami politici.
Ricordiamo infine il caso della telefonia mobile come esempio delle capacità di
acquisizione tecnologica del paese: dopo un contratto fra un’impresa estera e il monopolista
di Stato (VNPT) per la costituzione di un operatore mobile (Mobifone), la stessa VNPT ha
fondato da sola un secondo operatore (Vinafone) che ha oggi conquistato la supremazia nel
mercato in un contesto quasi-competitivo.
Alcuni rilievi empirici
Procediamo analizzando il caso dell’Unilever in Vietnam. Lo studio del caso è,
infatti, da molti considerato come l’approccio migliore per approfondire lo studio dei canali
del trasferimento tecnologico. L’analisi del caso Unilever Vietnam ci permette quindi di
contestualizzare alcune delle affermazioni fatte precedentemente. Una premessa è però
necessaria: il caso Unilever non è rappresentativo della situazione degli IDE in Vietnam. La
scelta dell’Unilever dipende dalla disponibilità di dati e, come è facile immaginare, le
27
informazioni sono liberamente offerte quando i buoni risultati prevalgono. Le fonti in
questo caso sono la stessa Unilever, che nel suo sito Internet ha una sezione dedicata alla
responsabilità aziendale, l’UNCTAD (2001), che a sua volta ha avuto accesso a
informazioni aziendali, ed infine alcuni articoli della stampa economica regionale.
Unilever dal 1995 ha investito circa 100 milioni di dollari nella realizzazione di tre
Joint Venture e di una Wholly Foreign Enterprises. Unilever Vietnam impiega circa 2000
lavoratori in 13 locazioni (tra cui 3 stabilimenti industriali). La multinazionale anglo-
olandese si muove in molteplici mercati del consumo di massa e possiede diversi brand
internazionali. Il gigante europeo è leader nei prodotti per la casa, nel personal care e nel
settore alimentare vantando vendite globali per più di 52 miliardi di Euro nel 2001.
L’investimento dell’Unilever in Vietnam è mirato più alla conquista del mercato locale che
alla produzione per l’esportazione: la compagnia afferma che circa il 95% delle famiglie
vietnamite usa un suo articolo. I beni commercializzati in Vietnam coprono tutti i settori in
cui l’azienda è impegnata, mentre sono 51 le innovazioni di prodotto introdotte nel 2001.
Unilever ha inoltre adattato, in alcuni casi, i suoi articoli alle preferenze dei consumatori
locali: il Sunsilk Boket (shampoo) unisce al prodotto standard i semi Bo Ket, un ingrediente
diffuso localmente.
La struttura dell’azienda, che afferma di spendere più di due terzi del “cash” per
l’acquisto di beni, prodotti e servizi, risponde perfettamente alle necessità della nostra
ricerca. Nel 1998 la filiale vietnamita dell’azienda affermava che il contenuto locale era pari
al 60%. L’UNCTAD (2001) definisce meglio la quota del contenuto locale: questo
rappresenta il 40% del volume di produzione, il 20% delle materie prime e l’87% del
materiale per l’imballaggio. Unilever Vietnam, trovandosi in difficoltà per l’inadeguatezza
della qualità dei prodotti locali, ha collaborato attivamente con i suoi fornitori. Programmi
di training e supporto finanziario sono stati offerti dalla multinazionale a cinque fornitori
chiave. Il trasferimento di tecnologia avviene dunque non solo nella forma di macchinari,
ma anche di formule, tecnologia di processo, controllo di qualità e in generale con la
diffusione delle “best practices”. Tale rapporto varia secondo l’importanza del fornitore e
può tradursi anche in supporto sul campo, per migliorare l’efficienza e la qualità dei
prodotti. Un caso esemplare è quello della Bicico Chemicals Cosmetic Enterprises, fornitore
di pasta detergente fin dal ’96: l’impresa Vietnamita fu assistita dall’Unilever nel proprio
piano di espansione finanziariamente e con trasferimento diretto di tecnologia industriale. In
28
quattro anni la produzione della Bicico crebbe da 3.000 tonnellate a 23.000, il turnover da
18.000$ a 285.000$ e il numero di dipendenti da 12 divenne 250. In pochi anni, con l’aiuto
dell’Unilever, un’impresa di piccole dimensioni si è sviluppata in modo eccezionale,
acquisendo tecnologia e creando occupazione. Per gli altri casi, si possono enumerare 76
fornitori di materie prime e 54 di materiale per l’imballaggio. Unilever Vietnam ha definito
standard di qualità, fornito gli input necessari a conseguirli e in alcuni casi anche un
supporto finanziario diretto. La multinazionale è intervenuta sul campo con ispezioni per la
qualità e fornendo training. Un ultimo esempio è la Quang An 1 Company che, grazie al
supporto esterno, riuscì a trovare le risorse per nuovi investimenti: la nuova capacità
produttiva ha permesso all’azienda non solo di soddisfare le richieste dell’Unilever, ma
anche di acquisire contratti con altre aziende estere e vietnamite. Nel caso presentato
possiamo dunque affermare che c’è stato trasferimento tecnologico dall’impresa estera ai
fornitori locali, cui si è aggiunto anche un supporto finanziario da parte dell’investitore
estero.
In alcuni casi l’IDE dell’Unilever ha stimolato indirettamente l’economia locale
creando posti di lavoro e ricchezza. L’Unilever Vietnam non si è però limitata ad una
strategia di potenziamento dei fornitori, ma ha altresì disegnato un piano di distribuzione ad
hoc per il Paese. In Vietnam i canali distributivi sono poco sviluppati e la vendita al
dettaglio è legata ai piccoli venditori, sia nelle città principali che nelle campagne: i negozi
forniti da Unilever in cinque anni sono passati da 20.000 a 150.000. Pur non esistendo
politiche aziendali per lo sviluppo di canali di distribuzione, l’impresa si è efficacemente
inserita nei mercati tradizionali: in particolare l’impresa si serve di 300 distributori ufficiali
che servono come intermediari per i già citati 150.000 negozi. Nei cosiddetti Forward
linkages non è riscontrabile un vero e proprio trasferimento di tecnologia, ma un più
limitato contributo indiretto allo sviluppo, in quanto la multinazionale ha promosso
campagne di marketing per i suoi prodotti e adottato strategie di distribuzione eque. Tale
sviluppo dipende certamente dalle caratteristiche del mercato vietnamita, e cioè dalla
mancanza di catene di distribuzione.
Una delle critiche alla presenza di multinazionali nei PVS sottolinea come queste
possano diventare monopoliste sul mercato escludendo le deboli ed inefficienti imprese
locali. Tornando al nostro caso Unilever, il responsabile per il Vietnam, in un intervista del
1998 considerava come principale concorrente la Procter & Gamble. La presenza di più
29
concorrenti è di per sé positiva, ma è importante il fatto che il manager Unilever non abbia
menzionato imprese locali. Lasciamo ora il caso Procter & Gamble, dove sono emersi
invece consistenti problemi con il partner vietnamita e robuste perdite, ed arriviamo al 2002.
Nel Giugno 2002, nella maggiore rivista economica vietnamita (Vietnam Investment
Review), compare un interessante articolo dove il direttore della Vico, un’impresa privata
del luogo operante nel mercato dei detergenti, lamenta un complotto dell’Unilever per
escluderla dal mercato. Indipendentemente dalla verità delle affermazioni, si possono trarre
importanti considerazioni. Primo: un’impresa privata vietnamita è riuscita a strappare quote
di mercato all’Unilever lanciando nel 2001 un prodotto per la casa. Secondo: la Vico ha
utilizzato strumenti moderni, impensabili solo pochi anni fa, come campagne promozionali
e riduzione dei prezzi, mettendo in pericolo la posizione dominante della multinazionale
europea. Si può dunque legittimamente sospettare una sorta di trasferimento involontario da
parte della Unilever -come da altre aziende straniere- che ha permesso ad alcune imprese
vietnamite di acquisire know-how e capacità manageriali e in ultima analisi di concorrere
con i giganti internazionali. Il nodo della discordia fra la Vico e l’Unilever è la rottura di
alcuni contratti di sub-fornitura siglati da Vico con imprese già legate alla multinazionale
anglo-olandese: in breve l’Unilever ha premuto affinché queste imprese non accettassero le
commesse della Vico, fornendo in cambio più vantaggiosi contratti di fornitura esclusivi.
L’Unilever, utilizzando strumenti di mercato, sta dunque cercando di danneggiare il
concorrente: un simile comportamento è perfettamente logico in un’economia di mercato
funzionante, dove sono presenti istituzioni antitrust e di controllo, ma potrebbe essere
dannoso in economie in transizione come quella vietnamita.
Un ultimo commento: la P&G, come già affermato, è stata sempre in perdita mentre
il responsabile dell’Unilever non ha dato informazioni sull’esistenza di un eventuale
profitto. Dato che la forma di investimento estero utilizzata da entrambe le multinazionali è
la JV, il partner vietnamita ha “condiviso” le perdite e, nel caso della P&G, il partner locale
ha perso quote, non essendo stato in grado di fronteggiare un aumento di capitale.
Nonostante il tempo sia troppo breve per fornire pareri definitivi, il fatto che le JV
continuino a essere in perdita (a seguito di costose campagne promozionali per esempio)
danneggia in maggior misura il partner vietnamita, che potrebbe partecipare alle perdite ma
essere escluso dai profitti di medio-lungo periodo. Il giudizio complessivo però non cambia:
nel settore personal care e prodotti per la casa la presenza di imprese estere (Unilever e
30
P&G in prima fila) ha creato un mercato quasi concorrenziale e finora non ha impedito ad
imprese locali, come la Vico, di affermarsi sul mercato. Il ruolo degli IDE è stato positivo e,
attraverso i legami con gli attori locali, l’economia è stata positivamente stimolata.
L’analisi di quest’ultimo caso ci ha fornito un esempio concreto di trasferimento
tecnologico attuato da una grande multinazionale occidentale e ci ha permesso anche di
accennare ad altri argomenti di interesse per la diffusione tecnologica, come i linkages con
l’economia locale. Sono state inoltre evidenziate alcune delle ragioni alla base delle
difficoltà di adeguamento tecnologico delle imprese vietnamite: la mancanza di risorse
anche qui sembra essere il maggiore ostacolo. L’Unilever, attraverso politiche attive nel
rapporto con le controparti vietnamite, ha mostrato tuttavia come i problemi possano essere
superati. Ricordiamo anche che le caratteristiche dell’intervento dell’Unilever Vietnam
erano favorevoli. La corporation anglo olandese ha adottato una strategia di investimento
market-oriented: ciò è un’utile premessa per la creazione di rapporti di lungo periodo con le
controparti locali e quindi per lo stesso trasferimento di tecnologia. Si nota inoltre che
l’azienda ha adattato anche alcuni dei suoi prodotti al mercato locale e che per fare ciò si
presume abbia svolto attività di ricerca e design ad hoc. Questo naturalmente non significa
che siano state trasferite attività di ricerca e sviluppo, ma rappresenta un passo significativo.
Infine menzioniamo la capacità di alcune imprese vietnamite di concorrere con imprese
leader: ciò prova che il trasferimento tecnologico può avvenire ed è effettivamente avvenuto
anche nella dimensione orizzontale.
Conclusioni
È passato ancora troppo poco tempo per giudicare in maniera definita il trasferimento
tecnologico in Vietnam e il posto ricoperto dagli IDE. Le imprese estere sono entrate nel
Paese a partire dai primi anni ’90, ma solo nella metà dello scorso decennio il flusso è stato
rilevante per il Paese. Non nascondiamo le critiche rivolte alla modalità e all’intensità del
trasferimento tecnologico, ricordiamo però che questo è avvenuto e che la sua qualità è
cresciuta per tutti gli anni ’90. Quest’ultimo miglioramento è dovuto sia alle più consapevoli
politiche adottate sia al comportamento degli investitori esteri. La crisi asiatica ha si ridotto
la quantità degli IDE, ma ha anche promosso quelli che realmente hanno portato i maggiori
benefici al Paese.
31
Gli IDE hanno avuto un ruolo importante nel trasferimento tecnologico, possiamo
anzi affermare che sono stati il canale privilegiato a causa della debolezza dell’economia
locale. Abbiamo osservato che gli IDE importano tecnologia: il contributo maggiore
consiste nei macchinari necessari alla produzione. Grazie alla loro forza finanziaria e alla
scelta politica dei governatori, gli IDE hanno contribuito con le tecnologie più avanzate. Si
trova conferma del fatto che le imprese estere non trasferiscono attività di ricerca e sviluppo.
Tuttavia si evidenzia l’attenzione verso le esigenze del mercato locale e l’esistenza di
politiche ad hoc per il mercato vietnamita che hanno richiesto investimenti in Ricerca e
Design.
In merito all’analisi della produttività abbiamo tratto le seguenti conclusioni. La
produttività nel settore manifatturiero è cresciuta costantemente e a ritmi elevati per tutti gli
anni ’90. Anche in seguito alla crisi asiatica e al ridursi dei flussi di capitali esteri il sistema
industriale ha saputo mantenere i tassi di crescita elevati. Come prevedibile gli IDE
risultano essere concentrati nei settori a più alta produttività, oltre che nelle produzioni a
maggiore fabbisogno di capitale. Il livello di produttività nelle imprese a partecipazione
estera è decisamente superiore rispetto al settore locale: 3 volte il valore delle SOE e fino a
7 volte rispetto al settore privato. La crescita della produttività è però riscontrabile in tutta
l’economia e dalle ricerche condotte risulta maggiore nelle aziende vietnamite. In un certo
senso il gap di competitività si sta riducendo.
Abbiamo di seguito analizzato il caso concreto dell’Unilever Vietnam studiando i
canali in cui è passato il trasferimento tecnologico. Sono quindi emerse come fondamentali
le politiche di sviluppo delle reti di fornitura adottate dalla multinazionale. Altri esempi
sono stati accennati per dimostrare il trasferimento di tecnologia: in particolare il caso
Vinafone-Mobifone ci ha mostrato la capacità di reazione delle aziende locali pur in settori
tecnologicamente avanzati quali i servizi di telefonia mobile.
In conclusione sembra che il Paese abbia sperimentato un consistente trasferimento
di tecnologia attraverso il canale degli investimenti diretti esteri. Questo non vuol dire che
non sussistano margini di miglioramento. Anzi sarà indispensabile per il Vietnam sviluppare
questi ed altri canali di trasferimento tecnologico anche con politiche pubbliche ad hoc. Si
nota un progressivo miglioramento nella qualità degli investimenti effettuati e quindi anche
del trasferimento all’economia nel suo complesso. Secondo la teoria inoltre dovrebbe
diventare sempre più facile la diffusione tecnologica grazie all’esistenza di imprese
32
vietnamite efficienti e competitive. Tuttavia la debolezza del settore privato richiede ancora
un mix di politiche di supporto da parte del governo centrale. Ci possiamo dunque augurare
che il Paese sappia affrontare le difficoltà tuttora presenti e che sappia trarre dagli IDE il
maggiore beneficio possibile.
33
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