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Omar Beltran Inverno & Ciclismo

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Omar Beltran

Inverno & Ciclismo

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Prima ParteStoria di un “visionario”

1“I campioni non si fanno nelle palestre.

I campioni si fanno con qualcosa che hanno nel loro profondo: un deside-rio, un sogno, una visione.”

– Muhammad Alì

Ogni qualvolta mi trovo a interagire con un genitore che mi solleva il problema del figlio “troppo chiuso”, “troppo timido”, “troppo sensibile”, il mio conto in banca segna un’al-tro - (meno, negativo, rosso...).

Intuisco chiaramente che non diventeranno mai miei clienti, non aiuterei nessuno, per partito preso, a uscire da tale situazione.

Perché? Ti starai domandando...

Perché oggi lo considero un dono. La palestra dove si formano i sognatori, i visionari, coloro che, costretti dal carattere schivo, si trovano, necessariamente, a dialogare con se stessi e la loro capacità di costruire castelli in aria.

Ero e sono uno di quelli, troppo timido per chiedere a qualcuno se la mia idea piaceva, mi rispondevo da solo e, mentre lo facevo, aggiungevo un tassello al castello. Mi ci so-no allenato quotidianamente e quando il castello stava crollando, perché mi mancava qualche capacità, beh, allora c’erano le biblioteche e scoprivo che qualcuno era dispo-sto a mostrarti come aveva fatto. Ovvio, al libro non lo devi guardare negli occhi né, tan-tomeno, dargli una risposta.

Auguro ad ogni genitore di figlio timido e sensibile, la pazienza necessaria, la fede incrollabile per attendere e sostenere quel bimbo che, un giorno, se nutrito, diverrà un visionario.

“Il visionario costruisce ciò che i sognatori immaginano.”

(Anonimo)

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La Passione2

Il ragazzo timido e, per fortuna anche un po’ grassottello, è figlio, per un’altra fortuna, di un papà che nella sua sacrificata vita non ha mai praticato alcuno sport e quindi, pensa che suo figlio dovrà avere quel privilegio.

Lo sport va a cercare la paura per do-minarla, la fatica per trionfarne, la dif-ficoltà per vincerla.! ! ! -Pierre De Cubertein

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L’uomo è magro tirato, lavora da quando aveva 12 anni e, anche se non lo farà mai notare, un tantino imbarazzato per le forme tondeggianti del primogenito.

Uomo risoluto e di pochi fronzoli, non appena se lo può permettere mi fa un regalo impor-tante e provvidenziale: UNA BICICLETTA!

Ricordo ancora in ogni cellula le sue parole: “così ti muovi e cominci a dimagrire”.

Mica, divertiti, goditela o cose del genere. Pedala per dimagrire.

Che io non sapessi andare in bici a 8 anni, non era un problema. Mi ha sempre detto che “no hay nada que sea imposible”, oggi che ci penso, avrebbe potuto chiedere la percen-tuale all’Adidas per il suo più famoso slogan:

“Impossible is Nothing”

Di insegnarmi ad andare in bici però non ne aveva alcuna intenzione.

A suo dire, ero abbastanza intelligente e determinato per trovare la soluzione, ovviamente a quell’età non avrei messo le rotelline. Quindi l’asfalto è stato il mio insegnante e, aggiun-go, è stato un ottimo maestro. Sulla mia schiena porto ancora con me una delle sue lezioni più efficaci.

Di strada su quella bici ne ho fatta tanta, e in effetti, oltre alle sbucciature ho lasciato qual-che chilogrammo sull’asfalto.

A dodici anni, non ero ancora un fusillo, incontro la pallavolo grazie al mio primo mentore, Esteban Galve, il prof di Educazione Fisica che costituisce nel collegio che frequentavo una società sportiva di cui io e altri miei compagni diventiamo le pietre fondatrici.

Senza ombra di dubbio un’esperienza unica.

La passione per la pallavolo diventa una malattia, ma la malattia si allarga ad altri sport. Ci fu una stagione in cui giocavo a calcio, basket e pallavolo, e tutti e tre agonisticamente.

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Divento ad un tratto un drogato di sport, e sempre in sport di squadre che mi rinforzano e mi costringono, nel contempo, a migliorare le mie capacità d’interazione con gli altri.

Sport = scuola di vita?

Se no, che altro? I valori dello sport sono questi, e sono queste le cose che ti porti per tut-ta la vita.

Ben presto, la pallavolo prende il sopravvento, e anche se a calcio non me la cavavo male (facevo il portiere) comincio a scoprire i miei limiti: la mia dotazione genetica in termini di altezza e potenza non sono le più indicate.

La determinazione e la forza di volontà però, sembrano essere d’accordo con il corredo di DNA.

Il prof. Galve era stato un ex atleta, decatlonista per giunta, e sosteneva sempre di non vo-lere che i suoi giocatori facessero tutti quei sacrifici a livello fisico, ecco perché aveva scel-to la pallavolo, “è un gioco, s’impara giocando e ci si diverte”.

I suoi racconti sulla preparazione atletica dei decatleti mi intrigavano, e quando qualcosa mi intriga, non posso fare a meno di addentrarmici, oggi che lo so, è a livello intellettuale che questo meccanismo avviene.

Non c’era Internet e non c’era Amazon, ma c’era la biblioteca, quindi ci doveva essere per forza un libro che mi dicesse come si faceva a saltare di più.

Sbagliato! nella biblioteca non c’era nulla, che fare?

Dicono che non sai quanto coraggio hai fino a quando il coraggio è l’unica scelta che hai.

Guardo negli occhi Esteban Galve, il prof., l’allenatore, il mio mito e, dopo essermi prepara-to per una settimana, tiro fuori il discorso e gli chiedo: “non è che hai un libro sulla prepara-zione atletica da prestarmi?”

Giuro che non mi ricordo il nome del libro, ricordo solo l’autore: Kaplan.

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Era un polacco e parlava della preparazione atletica ai tempi della locomotiva umana: Emil Zatopek

Sviluppava i concetti di stimolo, supercompensazione, interval training e qualità fisiche da allenare.

Avevo 15 anni quando iniziai a leggere di preparazione atletica e teoria dell’allenamento.

Chiesi a mio padre, per il mio sedicesimo compleanno di farmi costruire una “Leg Press”, feci io i disegni per il fabbro e, udite udite, Esteban Galve mi regalò i sui dischi e qualche bilanciere, roba di altri tempi ma ero al settimo cielo e feci dai miei limiti la mia virtù: mi alle-navo alla Rambo e riuscii così ad ottenere un ruolo da titolare in squadra.

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La Formazione3

“Allenare significa affrontare una serie infinita di sfide: la maggior parte di esse ha a che vedere con la fragilità dell’essere umano.”

– Sir Alex Ferguson

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Instituto Nacional de Educaciòn Fìsica

Alcuni dei principi della teoria dell’allenamento letti nel libro di Kaplan, facevano riferimen-to alle leggi biologiche di adattamento, all’omeostasi, a cellule e sistemi. Non si addentra-va, ma nella mia mente si accese nuovamente l’interesse per la meraviglia della macchina umana.

La parte più stimolante era quella che parlava del meccanismo della contrazione muscola-re: si riferiva costantemente, utilizzando il termine “neuromuscolare” e a me quel “neuro” ha sempre suscitato curiosità, quella che ti muove a cercare e ricercare.

A 18 anni allenavo già pallavolo, l’anno della maturità e avevo le idee molto chiare riguardo a cosa avrei voluto fare da grande:

IL NEUROCHIRURGO

Vado da mio padre e dico chiaramente cosa avrei voluto studiare, sostengo che mi sarei preparato anche durante il militare per superare l’esame di ammissione, e che non mi im-pauriva il fatto che sarei diventato ragioniere e questa competenza male si assortiva con Medicina.

Mi ascolta con attenzione, e quando finisco il mio discorso motivazionale, lui, con l’ottimi-smo che lo contraddistingue mi abbraccia e mi dice di essere fiero di me.

Mi guarda negli occhi e aggiunge:

“so che troverai il modo di finanziarti perché io non posso farlo, e forse, se potessi non lo farei comunque”

Non mi aspettavo che lui lo facesse, non ne avevo parlato per chiedere la sponsorizzazio-ne. Ma quelle parole tirarono fuori il ragioniere che, a quel tempo e forzatamente, c’era in me.

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Mi misi a fare due conti e giunsi alla conclusione che lavorando e studiando ci avrei impie-gato dieci anni a diventare neurochirurgo, la cosa non mi allettava per nulla.

L’alternativa ecologica c’era, studiare educazione fisica e lavorare come allenatore e, co-munque, mi sarei addentrato nelle meraviglie del corpo umano. Avevo un’anno per prepa-rami all’ammissione (durissima all’epoca) ma il servizio militare mi avrebbe aiutato di certo.

Mi sono preparato a dovere, c’erano 80 posti e 1200 aspiranti, l’esame comprendeva pro-ve di attitudine fisica e sportiva, cultura generale e un test attitudinale complessissimo (me ne sono accorto mentre lo eseguivo).

Dando spazio al mio Ego, ti racconto che arrivai secondo e solo perché durante la prova di resistenza, il mitico test di Cooper, scoprii sulle gambe cosa significava l’OVERTRAINING, ero cotto come una pera, ogni passo era una tortura e riuscii a malapena, a segnare uno scarso 2600 metri, quando i 3200 erano la mia prova media.

Il test attitudinale però era stato il migliore di sempre nella prova di ammissione, ragione per cui, fui sorvegliato speciale fin dall’inizio.

La provvidenza volle che proprio quell’anno si mettesse mano al piano di studio, si aumen-tasse di un anno la carriera e che, soprattutto, si considerasse che i vecchi programmi che formavano esclusivamente insegnanti scolastici fossero ritenuti anacronistici.

Si implementò proprio in quel momento, una triplice specializzazione: la scuola, l’alto rendi-mento sportivo, e infine, l’organizzazione sportiva e il tempo libero.

Secondo te, quale piano scelsi?

Quattro anni meravigliosi, segnati dall’incontro con i miei mentori più significativi nel mon-do della ricerca.

Il dott. Lorenzo Valent, di origine friulana, si prese cura della mia formazione da un punto di vista scientifico, spingendomi quotidianamente a uscire dai programmi curriculari.

Anche se avevo scelto la fisiologia dell’esercizio e il programma prevedeva lo studio siste-matico sia della fisiologia generale sia di quella applicata, egli mi fornì il materiale necessa-

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rio per accedere alle pubblicazioni scientifiche e una o due giornate alla settimana (extra scolastiche) di studio a casa sua.

Non contento, ritenne che a suo avviso (era considerato un sovversivo dal sistema) il limite dell’offerta formativa risiedesse nella scarsa attenzione ai meccanismi neuroendocroninolo-gici implicati nella prestazione sportiva.

Mi procurò gli accessi alla Facoltà di Medicina e passai tutte e quattro le estati a studiare neurofisiologia.

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Il privilegio della sperimentazione

Non molto tempo fa, ho letto un cartello di ricerca di personale, si trattava di una officina meccanica, il testo recitava:

“Cercasi apprendista con esperienza”

Ancora oggi, quando lo ricordo, l’ilarità prende il sopravvento e rido come un bambino.

All’età di 15 anni ho cominciato a seguire un gruppetto di ragazzini che iniziavano a gioca-re pallavolo, a 18 anni allenavo ufficialmente una squadra di under 16, la differenza d’età non era considerevole ma io mi sentivo a tutti gli effetti un “allenatore”.

Dopo la pausa obbligata per il servizio di leva, ripresi immediatamente il mio lavoro come trainer, che oltre ed essere una passione, era il modo in cui mi sarei pagato gli studi.

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Allenavo tre squadre e avevo a disposizione almeno 48 “cavie da laboratorio”.

Capisci che fortuna?

Non ero costretto a studiare i metodi di allenamento in teoria, non avrei più fatto esperi-menti solo su di me.

Avevo tre gruppi diversi di ragazzi che si affidavano alle mie direttive.

Ho potuto programmare, agire, controllare, cambiare le varie metodologie di allenamento e tutto questo non per una stagione, ma per 4 anni in cui ho verificato l’effetto a medio e lun-go termine sui ragazzi che ho accompagnato fino alla massime categorie.

Quando mi sono laureato, paradossalmente ero proprio un “apprendista con esperienza”.

Mentre lavoravo e sperimentavo, scoprivo la bellezza della programmazione, e già all’epo-ca ho potuto costatare quanto ciò che mi impegnavo a fare in modo scientifico, assumeva col passare del tempo, connotazioni più artistiche.

La biologia è una scienza che utilizza il metodo scientifico per farsi strada nei meandri del-la vita.

Stabilite leggi biologiche generali, si giunge alla sconvolgente e assoluta verità che ogni es-sere è un SINGOLO INDIVIDUO.

Il metodo scientifico è basato sulla generalizzazione dei suoi assunti. Quindi, applicando una procedura statistica, ci si avvicina. per approssimazione, a enunciare una legge.

Il metodo scientifico consente di predire che un fenomeno si verifica perché, nella maggio-ranza dei casi, tale evento è presente.

Tradotto, se più del 50% dei dati di un campione X si avvicinano, si può dire che le cose stanno proprio in quel modo.

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Ciò che cominciai ad imparare in giovane età, è che anche se nel 99% dei casi un metodo funziona, c’è sempre quel 1% della popolazione in cui, lo stesso metodo, non solo non fun-ziona, talvolta può anche essere dannoso.

Imparai dunque che con l’individuo non si scherza, che l’allenamento è anzitutto, un’arte basato su leggi biologiche, e come l’arte bisogna personalizzarlo sul singolo individuo.

L’arte necessità di una conditio sin equanon:

“Devi avere “rovinato” un bel pò di atleti prima di dire di sapere fare questo mestiere”

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Seconda Parte 4

“Le idee migliori non vengono dalla ra-gione, ma da una lucida, visionaria follia.”

– Erasmo da Rotterdam

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L’intuizione italiana

La suggestiva immagine mi riempie di emozioni, si tratta del Cristo Rendentor e corrispon-de al valico di frontiera tra Argentina e Chile, sito nella mia provincia di origine e collocato alla bellezza di 4500 metri.

Ti spiego meglio le ragioni per cui ha questo effetto su di me, la provincia di Mendoza, quando ero bambino, era la sede dell’unica vera e mitica corsa a Tappe che si organizzava in tutta la nazione, si trattava del mitico “Cruce De Los Andes”, ovvero si partiva da Men-doza e si arrivava nel Chile (in varie località) per poi ritornare a Mendoza e... udite udite, scalavano il Cristo per attraversare la frontiera, ovviamente su strade sterrate.

Ricordo vividamente con quanto entusiasmo aspettavo la fine della primavera, periodo in cui il “Cruce” passava nelle tappe vicino a casa.

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Ma lo si seguiva anche romanticamente appiccicando l’orecchio alla radiolina portatile.

Fu questo, senza dubbio, l’evento che mi fece innamorare del ciclismo.

Un evento senza un protagonista però, non riesce ad accendere completamente la passio-ne.

Il protagonista fu l’idolo locale Ernesto Contreras, “el Condor”, che vinse svariate edizioni del Cruce de Los Andes

Il ciclismo mi stregò, e stranamente, durante le pause estive dalla pallavolo macinavo in bi-ci chilometri in solitaria e durante i 4 anni di Università diventò il mio mezzo di trasporto.

Trasferitomi in Italia, approdai a Bergamo, terra storica di ciclismo e ciclisti. Sono arrivato nel ’86 e, in quel periodo, la provincia pullulava di corridori professionisti locali.

Il giovedì mattina prima dell’inizio della stagione, al famoso Rondò delle Valli si formava il gruppo, forte di 18 professionisti (nel periodo clou) che partivano per fare la distanza.

Quando mi resi conto dell’entità della popolarità del ciclismo mi sembrò di essere nel pae-se dei balocchi, ero entusiasta e non vedevo l’ora di potermi comprare una bici, ovviamen-te le condizioni da immigrato non me lo consentirono nell’immediato ma......

Quando riuscii a mettere il sedere sul sellino andai alla scoperta di tutte le valli bergama-sche.

La curiosità che mi ha sempre guidato, mi portò a esperimentare diverse metodologie di allenamento. Quando studiavo fisiologia dello sport mi dedicai a fare molta pratica in valu-tazione, ma in quegli anni non avevo il tempo per applicarmi nell’allenamento specifico del ciclista.

Tutto quel che riguardava lo sviluppo delle qualità di resistenza e potenza aerobica veniva esperimentato in ambito pallavolistico e sulla corsa a piedi.

Nel ’84 Francesco Moser aveva battuto il record dell’ora e questo evento rappresentò una rivoluzione nelle metodologie di allenamento del ciclismo.

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Esportando sistemi tipici dell’Atletica Leggera e mettendo in pratica le scoperte di Per Olof Ästrad sulla soglia anaerobica, il compianto Prof. Aldo Sassi insieme a tutto l’equipe Ener-vit rivoluzionarono il mondo dell’allenamento specifico.

Come potevo non studiare questa rivoluzione, internet non c’era, ma la biblioteca del CO-NI di Bergamo si trasformò nella mia dimora.

Ogni allenamento era per me l’occasione di raccogliere esperienze.

Dopo due anni ebbi un’intuizione, lavoravo in palestra e oltre alla signora Pina che voleva dimagrire, si avvicinavano tutta una vasta gamma di sportivi per completare la preparazio-ne atletica.

Avevo già iniziato ad allenare pallavolo e portavo i miei giocatori in palestra, lo scopo fon-damentale era lo sviluppo della forza.

Un giorno, come mi succede al solito, ho sentito una vocina che collegava la forza al cicli-smo.

Non vedevo ciclisti in palestra, e, ricercando in letteratura, non c’erano riscontri sull’allena-mento specifico della forza, a meno che non si parlasse dei pistard velocisti.

Vidi in questa carenza un’opportunità, ero arrivato ad allenare come professione, ma i gio-catori non erano tutti professionisti e quindi avevo tutte le mattine libere. Da un’annuario dello sport presi gli indirizzi di tutte le società ciclistiche bergamasche, scrissi una lettera di presentazione offrendo i miei servizi come preparatore invernale, per sviluppare la forza del ciclista.

Un’altra volta la visione non coincise con i tempi. Ricevetti una richiesta da un cicloamato-re che avendo problemi di crampi mi chiese aiuto. Avevo imparato che era buona consue-tudine, dopo avere spedito le lettere (si lettere, non c’era internet), cercare un contatto tele-fonico.

La quantità di “non ci interessa quella roba” che ricevetti mi stavano scoraggiandomi fino a quando, durante l’ennesima telefonata (con il telefono della SIP) un team manager storico

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Gino Vadalà che all’epoca guidava il team Domus, mi disse che la cosa poteva interessare al suo Direttore Sportivo e mi chiese di richiamarlo in un paio di giorni.

Quattro giorni dopo mi trovavo a colloquio con Olivano Locatelli,un’altro, anche se discus-so per i suoi metodi, visionario come me. Si innamorò della proposta e quello stesso inver-no avevo i suoi corridori in palestra.

Nacque in questo modo, il mio ingresso ufficiale nel mondo del ciclismo agonistico, inizial-mente come specialista della forza ed ebbi la fortuna di far tornare i bici un professionista, Angelo Lecchi, che dopo un intervento all’ernia di disco, non riusciva a riprendere con la sua carriera. Olivano me l’affidò e il ritorno di Angelo alla vittoria mi mandò, per la prima volta, sulla Gazzetta dello Sport.

Cominciai ad avere per le mani grossi calibri e, parallelamente, iniziai a preparare i miei pri-mi corridori, tra dilettanti e professionisti seguivo in tutto 5-6 atleti. La vittoria di Mario Man-zoni ad una Tirreno Adriatico accese ulteriormente i riflettori sulla Gazzetta e altri corridori si aggiunsero al gruppo.

Qualche giorno fa, in occasione di un seminario mi ritrovai in sala alcuni di questi vecchi corridori, oggi Direttori Sportivi e fu significativo per me il senso di legame con quelli che furono la prima generazione di corridori, coloro che dandomi fiducia mi permisero di accre-scere l’esperienza.

Quegli anni furono determinanti, come accaduto in passato ebbi la fortuna di mettere in pratica teorie e, fondamentalmente, mettere a fuoco accorgimenti dettati dagli errori.

Mi ero accorto che i corridori puntavano tutto sull’aumento dell’efficienza, più forza, più po-tenza, più resistenza, più agilità, più più, più...

La prima volta che Olivano mi mise in contatto con un professionista mi accorsi di una se-rie di scompensi muscolari, e, nel contempo di compensazioni.

Locatelli, uomo esperto, aveva creato un collegamento con il centro di medicina dello sport di Torino, e un altro con una clinica bergamasca. Sapeva benissimo che gli infortuni del corridore erano all’ordine del giorno.

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L’accompagnai a Torino e mi confrontai con il medico, ma quando gli spiegai che nella pal-lavolo, lavoravo sì per migliorare la condizione, ma investivo lo stesso tempo per prevenire gli infortuni, egli disse ad Olivano che aveva trovato finalmente, qualcuno che poteva aiu-tarlo.

La prima generazione di corridori fu sottoposta ad un massiccio training di prevenzione de-gli infortuni.

Se pensi solo a massimizzare le prestazioni e poi un infortunio ti tiene fermo mezza stagio-ne, allora credo proprio che non sia un vero affare.

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Nasce il Centro di Allenamento

Sullo slancio e la motivazione dei successi, decido di aprire un centro di allenamento speci-fico per corridori all’interno della palestra che gestivo.

Avevo già un bel numero di corridori che assistevo ma lo facevo appoggiandomi a palestre esterne.

L’obiettivo era fornire un servizio completo, con preparazione invernale, valutazioni, posi-zionamento, e programmi di allenamento sia per stradisti che per bikers.

D’inverno avevamo il pienone con corridori di tutti i livelli, dagli esordienti ai cicloamatori e bikers agonisti fino ai professionisti.

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Collaboravo con le società più importanti di Bergamo, Locatelli mi affidava i suoi corridori ma anche La Bergamasca , società storica di Bergamo iniziò a darmi fiducia,e fu in quel tempo conobbi un giovanotto di nome Marco Pinotti.

Feci un’altra conoscenza importante, il Maestro dello Sport Giosuè Zenoni, uomo di indub-bia preparazione e con un palmares di tutto rispetto, comprese medaglie Olimpiche.

Il Team Polti l’aveva ingaggiato, lui volle conoscermi ed instaurammo una collaborazione di straordinaria efficacia, nel beneficio dei corridori e del sistema.

Lui si interessò ai miei lavori per sviluppare la forza, e insieme, creammo un protocollo che ci diede molte soddisfazioni.

Sfilarono in quegli anni campioni del mondo e, le mie intuizioni e competenze sulla preven-zione permisero la prosecuzione della collaborazione.

Ci scontrammo con la necessità di mantenere fede ad uno dei principi cardini della teoria dell’allenamento, ovvero la SPECIFICITÁ DELLO STIMOLO.

Fino a quel momento, nel mondo della preparazione olimpica il lavoro si divideva in: prepa-razione a secco e preparazione specifica. La preparazione a secco riguardava il lavoro con i pesi, e dopo, era consuetudine che questo lavoro aspecifico venisse trasformato sulla tecnica dello sport praticato.

Posi a Zenoni il quesito riguardo la particolarità della forza applicata sui pedali e, in lunghe cervellotiche conversazioni, convenne con me che l’assenza di movimento di tipo balisti-co, il tempo di applicazione della forza, la scarsità di “momento”, facevano propendere il tipo di contrazione verso qualcosa di molto simile ad una contrazione isometrica (nell’ulti-mo capitolo entrerò nel dettaglio).

Seguii un momento creativo e sviluppai una metodologia sperimentale, il lavoro con i pesi era massimale ma solo nell’angolo della pedalata, si lavorava la propriocettività per preve-nire infortuni e, la forza vera e propria la si faceva in bici, ognuno sulla propria e con la pro-pria angolazione.

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La specificità dello stimolo, era in questo modo garantita.

Il fatto che ognuno lo facesse sul proprio mezzo rispettava il principio di individualità.

C’era anche una componente neuromotoria per cui si migliorava l’efficenza della pedalata, obbligavamo i corridori a eseguire una pedalata rotonda, stimolando la catena posteriore.

Tutto questo lo facevamo sui vecchi e, all’epoca, avveniristici ciclosimulatori Cateye che vedi nell’immagine di apertura.

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Gli amatori si mettono a ruota

Il tempo trascorso tra professionisti, dilettanti, juniores, allievi occupava tutta la giornata e, poi, verso sera si rientravano in gruppo, talvolta al limite del tempo massimo, loro, i veri su-pereroi delle due ruote:

I CICLOAMATORI

Ho conosciuto tanti personaggi, che definire mitologici è riduttivo.

Mappare il profilo tipico del cicloamatore sarebbe un compito arduo persino per gli specia-listi di C.S.I.

Nella mia mente, il profilo è psicopatologico, si ho scritto bene, perché nessun essere uma-no sano di mente farebbe la metà della fatica di un cicloamatore, coscientemente e inve-

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stendoci ogni sorta di risorsa. Lo dico chiaramente con affetto ed ironia,avendo oltretutto fatto parte anche io di questa categoria.

Avere avuto negli anni la possibilità di profilare questa particolare categoria di sportivi mi ha portato senza alcun dubbio, a valutare in termini di AMMIRAZIONE, questi uomini e donne che sono la risorsa indispensabile di tutto il movimento ciclistico.

Gli ettolitri di sudore che ho visto precipitare da ogni cellula, la volontà incrollabile, la deter-minazione a migliorare anche di mezzo watt, sono tra mille altre qualità, la giustificazione intellettuale per cui i ciclopati sono i miei supereroi.

La loro “pazzia”, inoltre, è stata una delle mie migliori insegnanti.

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La nascita della metafora del “terreno fertile”.

Se hai già letto “Libera il Potere dei Tuoi Ormoni”, puoi saltare questa sezione, oppure se vuoi rinfrescare il concetto, rileggila.

Uno dei problemi fondamentali legati alla preparazione dell’amatore, risiede nella difficoltà di fargli comprendere, che il professionista si allena parecchio ma si riposa anche tanto.

Che “allenarsi” significa, in termini biologici, sottoporre l’organismo a uno stress metaboli-co, in altri termini quando ci si allena, si rompe, si consuma, si altera l’equilibrio omeostati-co insomma, allenarsi non significa migliorare ma l’esatto contrario: peggiorare.

E’ la fase del recupero quella dedita a ripristinare ciò che si è consumato, rotto, alterato durante l’allenamento. La meraviglia del corpo umano possiede una facoltà intrinseca, nel-la fattispecie, si tratta del potere di recuperare con un plus, se durante l’allenamento hai

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consumato 100, con il giusto recupero (specifico per ogni stimolo) il tuo organismo creerà una piccola riserva per fare fronte ad un nuovo stimolo quindi ne avrai a disposizione 101.

Il nome scientifico di questo fenomeno è:

SUPERCOMPENSAZIONE

L’amatore tipo, è qualcuno che lavora, ha una famiglia, ha il mutuo e mille grane e pensieri legati al lavoro e alla vita di tutti i giorni.

Se ti alleni la sera dopo la giornata di lavoro, da un punto di vista catartico, liberi un bel pò di tensioni, ma le tensioni psicologiche liberate hanno comunque bisogno di energia, ogni singola contrazione muscolare può essere sostenuta ad un costo energetico.

Per fare si che ogni contrazione possa essere concretizzata, tutto il sistema biologico lavo-ra in una sinfonia orchestrata tra i sistemi neuromuscolari, endocrino, digestivo, termorego-latori e potrei andare avanti per qualche pagina.

Il fatto è che per noi si tratta semplicemente di contrarre qualche muscolo, mentre in realtà la nostra macchina è già a pieno regime da molte ore.

Se pensi al fatto che, considerando solo il movimento automatico ed involontario delle pal-pebre, in media si sbattono con un intervallo che va tra i 2 ed i 10 secondi, quindi dalle 6 alle 30 volte al minuto.

Il cuore batte mediamente tra le 60 e le 100 volte al minuto a riposo.

Degluitiamo tra le 1500 e le 2000 volte al giorno, contraendo un gruppo di muscoli com-plessissimo e potente.

Mantenere la costante la temperatura ha un costo, digerire ha un costo...

Capisci, dunque, che quando ti alleni dopo una lunga giornata di lavoro il tuo conto corren-te energetico è già in rosso vero?

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Accade di conseguenza, che quando va bene e utilizzi le riserve energetiche per allenarti, il tuo sistema nervoso percepisce il “rischio” e mobilità quel poco che è rimasto per soste-nerti.

La situazione di per se non riveste grandi pericoli se si tratta di situazioni sporadiche, quan-do invece, aggiungiamo un paio di giorni alla settimana e lo proiettiamo su qualche mese, allora l’equazione diventa esponenziale.

“Negli sport di resistenza il rischio è latente è sempre l’overtraining”

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La saggezza del contadino (da Libera il Potere dei tuoi Ormoni)

La teoria dell’allenamento è sempre stata una mia passione, fondamentalmente quando parliamo di teorie, la passione deriva dalla motivazione per capire se queste con la pratica, diventano qualcosa di credibile.

Quando vidi i valori ormonali di Maurizio, la mia mente fece un collegamento laterale e con un salto quantico tornò ai tempi della specializzazione in Fisiologia. Rammento con entusiasmo un’incontro con il dott. Valent e il prof. Olguin, fu un’incontro casuale ma nello stesso tempo causale. Parlammo di teoria dell’allenamento e ci confrontammo (ovviamen-te le mie opinioni avevano un peso specifico decisamente scarso) sull’importanza, e la diffi-coltà, di cogliere i giusti tempi di recupero.

Fu avvincente verificare quanto la teoria sia lontana dalla realtà dal momento che que-sta (la teoria) è, per forza, una generalizzazione.

Per quanto possiamo essere vicini alla realtà e sapere che, per esempio, per recupe-rare completamente tra una sessione di forza e l’altra, al muscolo servano 48 ore e premet-

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tessimo che questo è vero nel 99% dei casi, chi potrebbe garantirci che un determinato atleta non faccia parte di quel 1%?

Risultò ovvio che l’attenta valutazione permanente e il dialogo aperto con l’atleta era-no gli unici mezzi per capire se, seguendo l’esempio, a quell’atleta servissero 24 o 72 ore per recuperare.

La considerazione emersa da quell’incontro si intersecò con l’immagine del referto di Maurizio (screening ormonale con testosterone quasi a zero - ndr), pensai, a quel punto, di avere trovato la gallina delle uova d’oro.

Sono gli ormoni l’ago delle bilancia, dissi a me stesso. Con la valutazione ormonale potrei avvicinarmi a comprendere l’impatto globale dei vari carichi di lavoro.

Ancora lontanissimo da una reale applicazione di questa apparente scoperta del se-colo, mi decisi a fare in modo che quei dati risultassero utili al soggetto dell’allenamento

(l’atleta) e al custode del processo dell’allena-mento (l’allenatore). Era ovvio che dovevo ad ogni costo fermare Maurizio, non poteva essere allenato in quel-le condizioni. Ma come spiegarglielo?Mi venne in mente che lui, in qualche conver-sazione extra-ciclismo, mi aveva raccontato che suo nonno era un contadino, mi venne spontaneo quindi, fare un paragone e partorii la metafora del contadino:“Non ho mai conosciuto persone così sagge quanto i contadini, loro vivono in simbiosi con la terra e la rispettano. Sanno che ogni cosa va fatta al suo tempo e che c’è un tempo per tutto. Se guardi i loro terreni e osservi attentamente, noterai che in

un momento la terra è praticamente disfatta, durante il periodo dell’ingrassamento del ter-reno, infatti, viene girata di modo tale che le parti sottostanti prendano acqua e sole, poi si sparge il concime, poi la si lascia rapprendere, poi le macchine la preparano riducendo i grossi pezzi in terra più sottile. Altre macchine preparano i solchi e solo a questo punto, e in questo momento verrà seminata.

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Il contadino è consapevole che se seminasse senza avere preparato il terreno il suo raccolto sarebbe quasi un’illusione.

Il contadino si occupa del terreno. Lo cura, lo nutre, concede il tempo alla terra per rigene-rasi. Egli conosce, sulla sua esperienza, che le cose importanti non dovrebbero esser mai alla mercé delle cose urgenti.”

“Vedi, caro Maurizio, il terreno sul quale pian-tare i semi dell’allenamento non è pronto, è stato sfruttato da contadini truffaldini che non se ne sono curati. Hanno sperperato le sue risorse. Adesso dobbiamo girare la terra e la-sciarla ferma di modo che possa prendere ac-

qua e sole, dopo dovremo fertilizzarla e questo lo farà un medico specialista in endocrino-logia. Il terreno dovrà ingrassare e darci i segnali della sua fertilità, allora, e solo allora po-tremo piantare i semi dell’allenamento”.

Maurizio mi guardava con gli occhi di un bambino che ascolta il nonno raccontare storie, quando finì il mio racconto lui disse: “ho capito”

L’esperienza mi aveva insegnato che la risposta “ho capito” non è mai una risposta attendibile, in effetti quella risposta significa tutto e niente, quindi, incalzai: “che cosa hai capito esattamente?”

Maurizio: “ho capito che invece di allenarmi tutti i giorni, potrei fare qualche uscita tranquillo…”

A quel punto decisi di essere molto più assertivo: va bene, allora nel tempo libero che ti rimane, cercati un bravo avvocato, perché tua moglie chiederà il divorzio per assen-za “carnale” del marito.

Il secondo messaggio contribuì a rafforzare il primo, quindi la risposta diventò:“Hai ragione, mi devo proprio fermare mi dici da quale endocrinologo devo andare?”

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Le basi della preparazione

5“La macchina umana è l’uni-ca che migliora con l’uso”

– A.Huxley

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Lo Stimolo Allenante

Qualche anno fa, il primo professionista che ho seguito, Angelo Lecchi, era caduto in cor-sa ed aveva subito una frattura alla cresta iliaca.

Era ricoverato all’ospedale di Treviglio, decidemmo di andare a trovarlo insieme a Mario Manzoni, il secondo professionista che ho allenato.

Da lì a poco Mario avrebbe disputato il Giro e quell’anno aveva vinto una tappa alla Tirreno Adriatico.

Dopo aver parcheggiato l’auto ci dirigiamo verso l’ingresso dell’ospedale mentre parliamo, animatamente delle tappe adatte a lui in quel Giro.

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Avremmo percorso circa 50 metri prima di affrontare una rampa di scale che precede l’in-gresso.

A metà di quella rampa, giro la testa a sinistra per chiedere a Mario se aveva capito la do-manda.

Con mia grande sorpresa, accanto a me non c’era nessuno. Giro di 180 gradi il capo e, con altrettanta sorpresa vedo Mario una decina di rampe più indietro che rifiatando mi di-ce: “oh vai piano che non ho più fiato”.

Mi sono servito di questo esempio per spiegare uno dei concetti basilari della teoria dell’al-lenamento: LO STIMOLO

Lo stimolo è normalmente esercitato dall’ambiente: se nuoto, l’acqua stimola la forza isocinetica, ossia, i muscoli coinvolti esercitano lo stesso gradiente di forza per tutta l’escursione del movimento.

Se salto, stimolo la forza elastica generando potenza, in questo caso quando i muscoli del-la gamba si piegano, si caricano di energia elastica che viene restituita in gran parte, quan-do si contraggono per provocare l’elevazione.

Quindi, correre, saltare, pedalare, tirare, spingere, sollevare, in generale sono stimoli.

Nello specifico fare SFR, Medio, Soglia, Agilità, sono stimoli allenanti che, con la giusta di-stribuzione e durata, provocheranno altrettanti ADATTAMENTI.

Lo stimolo da solo non crea un adattamento, lo stimolo è il mezzo che utilizzo per solle-citare l’adattamento. Ovviamente uno stimolo isolato crea una risposta da parte dell’organi-smo, ma non l’adattamento.

Lo stimolo deve essere altamente specifico, non c’è una corrispondenza generica.

Il nostro organismo è predisposto all’economia, fa di tutto per spendere di meno, ecco per-ché con il progredire dell’età, facciamo più fatica a dimagrire per esempio.

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E’ solo nella parte iniziale di un nuovo stimolo che l’organismo spreca energie, dopo qual-che volta il sistema neuromuscolare si organizza per fare il medesimo sforzo contraendo meno fibre muscolari possibili.

Lo stimolo è la base ma non è l’allenamento.

Ricorda solo che:

“lo stimolo deve essere SPECIFICO”

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Gli ingredienti fondamentali

Ti sei mai imbattuto in questa sigla?

Q.B.

E’ la sigla che i cuochi scrivono quando elencano gli ingredienti e le quantità. Quando giun-gono al “sale”, accanto ci scrivono Quanto Basta!

Ma quanto cavolo basta?

Un pizzico in più ed è salato, un nanogrammo in meno ed è insipido.

Il cuoco può dire quanto basta perché la sua esperienza glielo permette, ma io, che mi di-letto in cucina solo ogni tanto, come faccio a sapere quanto basta?

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“Solo sbagliando la preparazione di qualche pietanza, vero?”

Bene,ora posso passare alle confessioni:

“Ho sbagliato le dosi di sale e pepe nella preparazione di pò di corridori nella mia carriera, prima di poter sapere QUANTO BASTA”

Quindi tu che mi leggi, sei salvo!

Nella teoria dell’allenamento, il quanto basta di sale e pepe è rappresentato dal giusto do-saggio tra questi due ingredienti fondamentali:

VOLUME e INTENSITÁ

Se faccio una ripetuta in salita al 8%, la quantità “1 ripetuta” rappresenta il volume totale.

Se faccio 120 km, questo numero di km rappresenta il volume totale.

La salita al 8% in cui faccio la ripetuta, rappresenta lo stimolo allenante, se ti dico di farla a 45 pedalate e spingendo il 53x15 questa variabile rappresenterà l’intensità.

Se i 120 km ti chiedo di farli in pianura alla media di 35 km/h, questa variabile diventerà l’in-tensità.

La regola madre del Q.B. è che queste due variabili sono inversamente proporzionali.

La quantità di lavoro svolto e l’intensità con la quale l’hai eseguito durante una stagione co-stituiscono il “curriculum dell’atleta”.

Molti trascurando questo particolare, si pongono in una situazione critica.

Un professionista che fa la Milano-San Remo non pedala 300 km per prepararsi, cura la sua preparazione per far si che quel giorno possa fare i 300 km. Quindi lavora sull’intensità critica, che non terrà per 300 km ma lo farà nella parte finale, quindi quando attaccherà il Poggio. Il resto del tempo pedalerà nella pancia del gruppo a intensità decisamente inferiori al medio.

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La considerazione appena fatta, vuole farti riflettere sul fatto che il “quanto basta” è una questione di esperienza del preparatore unita all’auto-conoscenza dell’atleta.

Vuole anche farti riflettere su alcuni concetti :

1 - Contrariamente a quello che è il pensiero comune nei cicloamatori, non è necessario avere nelle gambe il volume totale di una gran fondo, ma che il frazionamento delle distan-ze in una settimana di allenamento, ti consente di superare di gran lunga la distanza totale.

Questo è l’effetto del VOLUME totale di un ciclo di lavoro.

2 - L’INTENSITÁ si può stimolare solo con un basso volume e necessita di tempi di re-cupero superiori.

3 - Un ciclo di lavoro costituisce un volume totale che ha come scopo, il compito di provo-care nell’organismo un adattamento.

Al di sotto di questo volume totale, non ci sarà adattamento. Al di sopra ci sarà il rischio di overtraining.

Allo stesso modo, se voglio migliorare la potenza aerobica (quindi percorrere un tot di km ad una media elevata) ho bisogno di stimoli adeguati in termini di intensità.

La vera e unica, ragione per cui si utilizzano i misuratori di potenza è per assicurarci che le INTENSITÁ siano giuste, così per esempio se ti faccio allenare con i battiti alla soglia, do-po un certo periodo di tempo il tuo cuore si adatterà allo sforzo, e di conseguenza batterà più lentamente per garantire l’economia.

Guardando il cardiofrequenzimetro dunque, sarai tentato di aumentare la velocità per rag-giungere la frequenza di soglia. Così facendo però, starai lavorando ad intensità superiori.

Il misuratore di potenza ti garantisce un parametro costante, che misura la vera intensità restituendoti un indice più attendibile, ossia i watt.

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La variabile frequenza cardiaca è soggetta a molteplici fluttuazioni, è influenzata in primis dai tuoi stati emotivi, dal sonno, dalla digestione, dallo stress e, queste variazioni, possono essere in eccesso o in difetto.

Va da se che questo andamento incostante (pura biologia) non la rendano un misuratore ideale quando si lavora sull’intensità del carico.

Il compito più arduo per il preparatore è la rilevazione precisa della curva volume-intensità di ogni singolo individuo.

I misuratori sono un straordinario mezzo per monitorare entrambe le variabili ma non pos-sono in nessun caso, comprendere tutti i parametri contemporaneamente.

Il mio invito è quindi di intraprendere il viaggio verso un ascolto permanente di quell’unico misuratore attendibile al 100%: te stesso e le tue sensazioni.

Il confronto incrociato, partendo dalle tue sensazioni è l’unica garanzia di riuscire a cono-scere il Q.B. senza il rischio di proporre una piatto insipido o salato.

“Allenare è un ARTE”

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Le qualità allenabili

Possiamo allenare tutto? Sì, purché la qualità sia allenabile.

Partiamo dalla qualità più allenabile in assoluto: LA FORZA

Dai tempi del mito greco e fino al più contemporaneo mito hollywodiano, si perdono nei mille e uno racconti, gli aneddoti che descrivono le qualità e le prodezze dei suoi protagoni-sti che, via via, con i vari metodi hanno sviluppato la forza.

Il principio madre è quello del sovvracarico, ovvero, se ti porti in giro uno zaino del peso di 1 kg e ci aggiungi ogni giorno 100 g, trascorso un dato periodo di tempo, la tua capacità di trasportare il peso crescerà.

La forza abbiamo detto, è facilmente allenabile, ma perché?

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Tutti abbiamo una predisposizione all’aumento della forza per un motivo fondamentale:

“Il nostro organismo tende all’economia”

Te lo spiego in termini più didattici, guarda que-sta immagine:

Quando sollevi un carico abbastanza pesante, l’unità motoria (immagine) viene richiamata in toto, in altri termini, contrai tutte le cellule mu-scolari che compongono quel muscolo.

I meccanismi di retroalimentazione situati nei muscoli stessi e nei tendini, informano il cervel-lo sulla vera necessità di contrarre tutte le cel-lule.

Quando il gesto si ripete per più volte, il siste-ma nervoso ha abbastanza informazioni per capire se serve tutto, oppure è sufficiente re-clutare un numero inferiore di cellule.

Quindi, la prima parte della stimolazione della forza è un processo di apprendimento : il nostro corpo impara a contrarre le fibre necessarie, dove l’obiettivo del sistema neuromu-scolare è: CAPIRE COME SOLLEVARE QUEL CARICO IN ECONOMIA.

Ecco la ragione per cui la forza cresce così esponenzialmente all’inizio.

In realtà all’inizio si tratta più di una percezione che un vero e proprio aumento della forza, il quale invece avviene con il proseguire della stimolazione e quando il muscolo, adeguan-dosi, modifica la sua composizione (aumento della sezione trasversale, tra le altre) come conseguenza di un vero adattamento.

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La Resistenza Aerobica

Sono convinto che tu abbia letto e sappia abbastanza riguardo la resistenza aerobica.

Per questo motivo, voglio solo fare riferimento a ciò che riguarda la sua implementazione nella stagione, e, soprattutto nella tua “carriera” di ciclista.

Partiamo da una convenzione: quando il fisico viene sottoposto a sollecitazioni che coin-volgono il sistema cardiocircolatorio, questo risponde adattandosi, come?

Il primo adattamento corrisponde alla necessità di apportare maggiore quantità di ossi-geno ai muscoli protagonisti.

Avviene dunque, un’aumento dei capillari nei tuo muscoli, grazie ad un procedimento chia-mato neogenesi.

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Per spiegare meglio questo concetto, prova ad immaginare un contadino che deve irrigare un terreno e che per prendere maggiore quantità d’acqua dal canale o dal fiume, costrui-sce un’intricata rete di piccoli canali.

Questo fenomeno si chiama:

“VASCOLARIZZAZIONE”

Si verifica quando si lavora a bassa intensità e con parecchio volume.

La resistenza aerobica funziona in modo inversamente proporzionale alla forza: la forza cre-sce molto rapidamente ma, se non viene stimolata, decresce con altrettanta celerità.

La resistenza, per quel fenomeno di cui ho scritto sopra, non avviene velocemente, serve del tempo per provocare la neogenesi, serve macinare chilometri e ore a medio-bassa in-tensità.

Solitamente ai giovani corridori, racconto la metafora del Grano Turco e la Quercia, inizio col domandargli: “in quanto tempo cresce una pianta di Grano Turco?” La risposta non è mai precisa, ma, di solito viene piantato alla fine di Aprile e a fine Agosto le pannocchie so-no già secche, vero?

La domande seguente riguarda la quercia, quanto tempo ci vuole perché una ghianda di-venga una solida, forte e grande quercia?

Qui la risposta è univoca: TANTISSIMO!

Il mais sta alla forza come la quercia sta alla resistenza.

Dopo che hai fatto un paio di stagioni pedalando, macinando ore in sella, i capillari che irri-gano i tuoi muscoli saranno cresciuti e, bada bene, non seccheranno come il grano turco in pochissimo tempo. Ci vorranno anni prima che ciò accada, e sempre che tu ti dia alla se-dentarietà assoluta.

Quindi, per costruire una buona base di resistenza è necessario investire del tempo e fare tanta strada.

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Una volta che hai gettato queste fondamenta però, non è necessario che tu rifaccia tutti quei chilometri per crescere la tua resistenza, quella rimane un tuo patrimonio per parec-chio tempo, dovrai solo, a inizio stagione, rispolverare e rimuovere le ragnatele dell’inver-no.

Ricordati quello che hai imparato finora, l’intensità é inversamente proporzionale al vo-lume.

Di fatto, ciò che dovrai sempre riprendere perché calerà è la Potenza Aerobica, ma di que-sta parliamo nella prossima sezione.

“Ciò che cresce in fretta tende a scemare in fretta, ciò che cresce lentamente tende a dura-re nel tempo”

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La Potenza Aerobica

La potenza aerobica rappresenta la cilindrata del tuo motore.

Il limite della prestazione aerobica non è dato dalla capacità dei tuoi polmoni di apportare ossigeno ai tuoi muscoli.

Il limite è rappresentato dalla capacità delle centraline energetiche del muscolo (mitocon-dri) di consumare l’ossigeno che viene messo a disposizione.

Questo limite è si fisiologico, ma è anche allenabile. In pratica se madre natura ti ha dotato di un sistema cardiocircolatorio altamente efficiente potrai diventare un fuori serie. Se è nel-la media, potrai allenarlo per farlo diventare così efficiente da pedalare abbassando i tuoi tempi, consumando meno e, in definitiva divertendoti.

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“La parola d’ordine è ECONOMIA”

Migliorare la tua potenza aerobica è fattibile, ciò che non è mai possibile è andare oltre ai limiti fisiologici dettati dal tuo DNA.

Facciamo un viaggio, ed immergiamoci nel torrente sanguigno fino ad arrivare all’interno di un muscolo.

Ti troverai, così, all’interno di un mitocondrio, ovvero, la centralina energetica della cellula.

Qui vedrai al lavoro questa meraviglia mentre utilizzando l’ossigeno che entra, produce una gran quantità di energia per sostenere il lavo-ro.

Se ti guardi in giro, noterai quanti mitocondri ci sono, potrai vederne alcuni, molti, tanti, tan-

tissimi.

Alcuni, molti, tanti, tantissimi non lo decidiamo noi, l’ha già deciso il tuo programma geneti-co, ma, ha anche deciso che un certo numero di mitocondri, in grado di dividersi per scis-sione (come i batteri) possano, in accordo con il DNA del nucleo, aumentare di numero.

La genetica determina le tue predisposizioni e se sei nato velocista non diventerai mai uno scalatore.

Se sei nato pieno di fibre lente e hai milioni di mitocondri che lavorano per te, non sarai mai velocista.

Tuttavia, la nuova scienza che sta rivoluzionando il mondo delle predisposizioni, la EPIGE-NETICA, dimostra che una parte del DNA è latente e rimane inattivo fino a quando l’am-biente non sollecita un’adattamento.

Quindi, per esempio, le fibre muscolari intermedie possono modificarsi e diventare, o velo-ci o lente.

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Certo, quando ti dico che è l’ambiente a decidere ti sto preparando ad accettare il fatto che, se vuoi aumentare la tua cilindrata, dovrai lavorare molto sodo e, conditio sin equa-non, ad ALTISSIMA INTENSITÁ

L’insieme di meccanismi che contribuiscono al miglioramento della potenza aerobica è co-sì complesso che, non inizierò nemmeno a spiegartelo. Ciò che farò è spiegarti perché è così determinante che trascenda i vecchi concetti di durata e passi alla evoluzione scientifi-ca.

In semplici parole, voglio che rifletta sul fatto che devi impostare i tuoi allenamenti sul-l’intensità e non sulla durata.

Quando hai fatto una distanza alla settimana avrai soddisfatto il tuo bisogno “psicologico” e, anche, fisiologico.

Per quasi un secolo, la teoria dell’allenamento si è basata sulle modificazioni periferiche, per esempio l’aumento del volume/minuto del cuore, la gettata cardiaca, la capacità vitale (quella roba che fai quando soffi dentro lo spirometro), la crescita del volume muscolare, l’aumento del massimo consumo di ossigeno (VO2max).

Sappiamo che le pareti del cuore con l’allenamento, si ingrossano e si rinforzano, così quando si contrae, meccanicamente diviene più efficiente.

Il doping tuttavia, ha spostato questo paradigma.

Alla base di tutti i fenomeni che si verificano a livello periferico, e anche cellulare, si svolge un incessante lavoro del sistema endocrino.

Se non si attiva l’asse surrene-rene e produci maggiori quantità di eritropoietina, non au-menterai il quantitativo di emoglobina e quindi, non avverrà nessuno dei cambiamenti che ho citato sopra.

Di conseguenza, il vero destinatario degli stimoli allenanti dovrebbe essere il sistema endocrino.

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Dobbiamo organizzare gli stimoli in funzione dell’impatto che hanno sul sistema ormonale.

La ricerca scientifica ha dimostrato che la variabile determinante per la stimolazione ormo-nale sia proprio l’ INTENSITA’

Come ben sai, questa variabile è inversamente proporzionale al volume, quindi alla durata dell’allenamento.

Ricorda che la resistenza l’hai già costruita se pedali da due o tre anni, se invece ti sei avvi-cinano da poco al ciclismo, allora dobbiamo lavorare sulle fondamenta.

La novità è che possiamo lavorare sull’intensità anche se sei un ciclista provetto.

L’allenamento moderno si misura in funzione del suo impatto sugli ORMONI.

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L’inverno del ciclista6

“Le fondamenta si gettano d’inverno”

– Omar Beltran

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Prevenzione e Performance

Ricordo ancora oggi, una conversazione illuminante con uno dei miei mentori, il prof. Galle-go. Fu lui che circa 30 anni fa mi introdusse nel mondo del mental training.

Egli era uno specialista della preparazione atletica e allenatore di ginnasti. Mi insegnò, allo-ra, l’allenamento ideomotorio inventato dai russi della ex URSS.

Ebbe la possibilità, tra una dittatura e l’altra, di accedere ad un programma di cooperazio-ne e poté andare in unione sovietica per partecipare alle selezioni dei ginnasti che avrebbe-ro integrato le rappresentative olimpiche, e sarebbe stato parte attiva della preparazione (i generali argentini non glielo permisero).

Parlavamo di queste selezioni, di motivazione e di talento.

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Lui mi raccontò come facevano allora a reclutare i talenti.

Per comprendere il tutto, devi sapere che il loro sistema sportivo era ben strutturato per poter fare propaganda politica.

I principi di base però, erano altamente scientifici. Per loro lo sviluppo dei giovani sportivi era assolutamente MULTISPORT.

I giovani dovevano imparare diversi sport, ma non parlo di avviamento allo sport, doveva-no essere competitivi in ognuno degli sport prescelti.

Chi riusciva a entrare nella cerchia olimpica, era da quel momento un privilegiato, il comu-nismo ferreo aveva le sue eccezioni, gli sportivi erano una di quelle.

Così, quando avevano 17-18 anni si apriva questa possibilità e avvenivano le famose sele-zioni.

Gallego mi disse che con suo grande stupore, c’erano più di dieci giornate dedicate alla selezione dei talenti per la ginnastica artistica, e soprattutto, solo il primo giorno ci furono più di 1000 possibili (si possibili) ginnasti da valutare.

Non c’erano ginnasti che praticassero quello sport dai 6 anni, non la pensavano così, dove-vano crescere forti e multisport, il talento rimaneva sotto ma veniva fuori quando serviva.

Il fatto di crescere con stimolazioni provenienti dai vari sport praticati, li avrebbe resi più forti, resistenti ed elastici sia per imparare sia per la tattica.

Per l’individuo era la differenza tra la fame a la fama, quindi le motivazioni (primarie) erano quelle più forti.

Una volta li, in palestra, facevano le cose molto semplici diceva Gallego. Li mettevano in fila un centinaio alla volta, usciva un ginnasta olimpico ed eseguiva una evoluzione di ron-date, flic flac e mortale dietro.

I cento candidati dovevano fare lo stesso, una parte non ci provava nemmeno, una parte di coraggiosi eseguiva rovinando tristemente a terra.

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Per ogni fila di cento, dunque ne rimanevano 1 o 2 che eseguivano spontaneamente, ma-gari non alla perfezione, ma ecco che avevano trovato i veri talenti.

Per selezionare i fuoriclasse non facevano altro che proseguire con i pochi rimasti, sempli-cemente aumentando la difficoltà dell’ esercizio proposto.

Meravigliato dal sistema di selezione che poteva essere considerato un po’ spartano, Gal-lego riuscì a cogliere le valenze da un punto di vista strettamente sportivo.

Se lavori sul talento puoi costruire campioni.

Questo è valido in ogni ambito della vita.

Le sorprese non erano finite lì. Come avremmo fatto noi, egli innocentemente, chiese:

“ma non avete paura che qualcuno si faccia male durante la selezione?”

La risposta fu tanto lapidaria quanto fredda:

“ce ne sono tanti altri”

Questo rappresentava l’altra parte della filosofia, nel paese più grande del mondo, la mate-ria prima non mancava. Una distorsione alla caviglia era come nascere zoppo in Sparta, solo che qui non ti uccidevano, te ne tornavi zitto zitto, magari in Siberia.

Perché ti dico l’altra parte della filosofia?

Semplice, perché lavorare su atleti forti e resistenti in gran numero, consentiva agli allena-tori di potere utilizzare carichi di lavoro adatti a “non-conventional-people” e di non curarsi di eventuali infortuni, dato che il materiale umano era abbondante.

La variabile “prevenzione degli infortuni” non era nemmeno contemplata. Per molto tempo questo tipo di cultura ha prevalso sulla preparazione in generale, il modello dello sport di altissimo livello, tuttavia, non può essere riprodotto in toto.

Tu che sei la base della piramide sulla quale i professionisti poggiano le loro gesta, non puoi pensare di essere uno spartano tipo.

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La struttura osteoarticolare sulla quale si poggia la tua personale performance, fa parte del tuo equilibrio, della tua salute.

Pensa al semplice fatto che la bicicletta non rispetta la tua anatomia.

Sui pedali, siamo vincolati da diversi punti di appoggio che non sempre rispettano le no-stre geometrie naturali.

Le conseguenze di questa im-posizione a lungo andare, saranno che da qualche parte il mio corpo soffrirà di un risentimento, che può essere lieve oppure in un’ampia gamma di possibilità arrivare, persino alla limitazione.

Quindi, per noi, come per i campioni :

“Meglio prevenire che curare”

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Cosa prevenire?

Fondamentalmente il mio credo sostiene che, sopra ogni cosa, tu ciclista amatore debba prevenire il male più grande:

In secondo luogo devi prevenire gli infortuni classici dell’adattamento osteoarticolare, in al-tre parole le infiammazioni (che iniziano in modo silente) di tendini a causa di una scarsa capacità di questi di adattarsi elasticamente alle sollecitazioni esercitate dal vincolo del pe-dale.

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L’OVERTRAINING

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I problemi osteoarticolari comprendono, anche, la tua povera e bistrattata schiena.

Il solo modo di prevenire è occupandosi del centro di distribuzione delle forze: il pavimen-to pelvico, utilizzando gli esercizi specifici di core training.

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L’organizzazione7

“L’esempio ha più seguaci della ragione...”

CHRISTIAN N.BOVEE

Di seguito ti riporto un veloce schema molto generale di come andrebbe strutturata una preparazione invernale dal puro punto di vista fisiologico.

Tralascio in questa sede molti aspetti della preparazione globale che andrebbero presi in seria considerazione durante questo prezioso periodo che è l’inverno.Ti invito ad essere curioso ed approfondire tu stesso questi temi.Se ti fa piacere, contattami a [email protected]

Omar Beltran

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LA FORZA - Costruzione

8“Dopo la forza non c’è nulla di più alto che il poterla do-minare.”

– Johann Paul

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LA FORZA - Mantenimento

9“Chi non ha affrontato le av-versità non conosce la pro-pria forza”

– Proverbio

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LA PREVENZIONE10

“Il dottore del futuro non darà medici-ne, ma invece motiverà i suoi pazienti ad avere cura del proprio corpo”

– T.A.Edison

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VASCOLARIZZAZIONE11

“Se vuoi correre un miglio, corri un miglio. Se vuoi vivere un'altra vita, corri una maratona”

– Emil Zatopek

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POTENZA AEROBICA12

“Primo classificato Coppi, in attesa del secondo, trasmettiamo musica da ballo”

– Lo speaker radiofonico della San Remo ’46