Invenzioni di selezione - diritto.it · esclusiva, alle invenzioni realizzate nel settore della...

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1 Invenzioni di selezione Introduzione 1-Lo sviluppo della tecnica e la differenziazione del sistema brevettuale 2-Abrogazione di divieti settoriali di brevettazione 3-Invenzione e scoperta: predisposizione di nuovi concetti per i brevetti della chimica o revisione dei dogmi generali?

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Invenzioni di selezione

Introduzione

1-Lo sviluppo della tecnica e la differenziazione del sistema

brevettuale

2-Abrogazione di divieti settoriali di brevettazione

3-Invenzione e scoperta: predisposizione di nuovi concetti per i

brevetti della chimica o revisione dei dogmi generali?

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Capitolo 1: Riflessione generale sul brevetto

chimico

1-L’oggetto del brevetto chimico

2-Le modalità di individuazione del composto chimico

2.1-Tramite parametri chimico-fisici

(segue)2.2-Tramite procedimento di sintesi

3-Formule generali e brevetti di sbarramento (MARKUSH

CLAIMS)

4-I rischi nei sistemi senza esame preventivo

3

Capitolo 2: Requisiti di brevettabilità

1-La Novità

2-L’Industrialità e l’Utility

2.1-L’Utility nell’esperienza americana (dalla BREMER doctrine al

caso MANSON)

(segue)2.2-Argomento funzionale e argomento sistematico

3-L’Originalità

3.1-Giudizio di non ovvietà

(segue)3.2-Ovvietà strutturale e proprietà inattese

(segue)3.3-La giurisprudenza USA (dalla HASS-HENZE doctrine alla

PAPESH doctrine)

4

Capitolo 3: Estensione del brevetto

1-Termini del problema: brevetto di prodotto o brevetto di uso?

2-Confronto tra brevetto di traslazione e brevetto di nuovo uso

(segue)2.1-Identità sostanziale e differenza processuale

3-Nuovo uso del composto chimico nella giurisprudenza

statunitense

4-Rapporti tra brevetto di prodotto e brevetto di nuovo uso

5

Capitolo 4: Il brevetto di selezione

1-Natura e genesi delle invenzioni di selezione

2-La selezione nella giurisprudenza europea

3-Rapporto tra brevetto base e brevetto di selezione (caso

CIMETIDINA)

4-Estensione del brevetto di selezione e licenza obbligatoria

6

INTRODUZIONE

1-Lo sviluppo della tecnica e la differenziazione del sistema brevettuale

Come è stato rilevato dalla dottrina1, fino a pochi anni or sono, la

disciplina positiva di tutti i sistemi brevettuali esistenti, sia a livello

nazionale sia a livello sovranazionale, si presentava come un blocco

unitario, nel quale le norme si rivolgevano genericamente a tutte le

tipologie di invenzioni, senza discriminazioni settoriali.

Bisogna sottolineare però che il sistema brevettuale non è nato come un

sistema di generale applicazione: al contrario, è nato e si è sviluppato

con l’intento di offrire una protezione giuridica, tramite il regime di

esclusiva, alle invenzioni realizzate nel settore della tecnica che è stato

il primo e fino a pochi decenni or sono, se non il solo, sicuramente il

più importante: la meccanica.

Nella prassi dei paesi industrialmente più avanzati si è tuttavia da

tempo avvertito che certi settori (come la chimica, oggetto del presente

lavoro) presentano caratteri propri che esigerebbero dal sistema alcuni

ritocchi quando un’invenzione realizzata al loro interno accede alla

tutela brevettuale. La risposta del legislatore italiano è inizialmente

stata nel senso di aprire il sistema brevettuale, nato per un certo

settore, alle invenzioni provenienti da quei settori che via via

1 Di Cataldo, “Sistema brevettuale e settori della tecnica. Riflessioni sul brevetto chimico”, in Rivista

del diritto commerciale, 1985, pag. 277 ss.

7

emergevano. Così è avvenuto per la chimica, l’elettronica ed infine per

la microbiologia e la biotecnologia2.

Si realizza così nel tempo una radicale modifica del sistema brevettuale

che non si può più definire un blocco monolitico e indifferenziato, ma

tende appunto a divenire un sistema che si articola in un corpo

centrale, costituito dalle norme veramente dotate di un ambito di

applicazione generale e più corpi aggiuntivi (quasi dei sottosistemi)

specificamente ordinati alla regolamentazione di singoli settori3.

2-Abrogazione di divieti settoriali di brevettazione

Una conferma della evoluzione storica sopra esposta si ritrova nel fatto

che non pochi sistemi brevettuali hanno in passato previsto, per

periodi anche lunghi, specifici divieti di brevettazione per invenzioni

provenienti da certi settori.

Il caso a noi più noto è il divieto di brevettazione dei farmaci, presente

in Italia4 fino al 19785, e regole identiche sono sempre state presenti in

molti altri sistemi stranieri. Le ragioni di tali divieti sembrano essere

state per lo più di tipo protezionistico, ma la conseguenza importante

da rimarcare è che, nel periodo di vigenza del divieto, il sistema non si

indirizzava certamente al settore escluso, e si evolveva solo in

2 Fino a che il legislatore non opterà per la creazione, per alcune di queste materie, di discipline positive specifiche (es. D.L. 10 gennaio 2006 n.3 in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, emanato per attuare la Direttiva CE n. 44 del 6 luglio 1998).

3 Di Cataldo, “Sistema brevettuale e settori della tecnica. Riflessioni sul brevetto chimico”, op. cit., pag. 278 ss.

4 Art 14, vecchio testo, L.I. (r.d. 29 giugno 1939, n. 1127). 5 Anno in cui la nota sentenza della Corte Costituzionale n.20 del 20 marzo 1978(in Gazzetta

Ufficiale n.87 del 29/3/1978) l’ha abrogato. Si vedano le note di Marchetti e Vanzetti in Le nuove leggi civ. comm., 1978, pag. 873 ss.

8

riferimento alle esigenze degli altri settori, compresi all’interno del

quadro normativo.

Tuttavia, nel momento in cui quei divieti sono stati eliminati, quasi

sempre senza il varo di un’apposita normativa, ecco che il settore così

ammesso alla brevettazione è stato assoggettato tout court a regole e

principi alla cui formulazione non aveva concorso.

3-Invenzione e scoperta: predisposizione di nuovi concetti per i brevetti

della chimica o revisione dei dogmi generali?

Il brevetto chimico si segnala come uno dei più “diversi” tra i brevetti

che non hanno una disciplina positiva esclusiva, e presenta una

problematica sufficientemente ricca e matura.

Tappe importanti di quest’indagine potranno essere, da un lato,

l’individuazione delle regole apparentemente generali del sistema

brevettuale che però, non potendosi applicare al brevetto chimico,

devono probabilmente essere intese come regole esclusive della

meccanica, dall’altro l’inventario delle regole che invece, applicandosi

anche al brevetto chimico, possono davvero ritenersi di carattere

generale. Partendo dal presupposto che in tutti gli ordinamenti, ormai,

il composto chimico sia in sé considerato brevettabile6, in passato si

contestava ciò affermando che l’individuazione di un nuovo composto

dovesse qualificarsi non invenzione, ma scoperta7, in quanto esso

potrebbe essere presente in una qualche parte dell’universo.

6 Salvo poi vedere come si atteggino i requisiti di brevettabilità e l’estensione del brevetto. 7 Esclusa dalla brevettazione ai sensi dell’art 45, II comma, lett. A, del C.P.I. Sul problema

della possibilità di poter brevettare un composto chimico già presente in natura si veda

9

Questa idea si basava su un concetto di invenzione e di scoperta, e su

un criterio distintivo tra essi, che è quello del senso comune, che

sicuramente affonda le sue radici nelle ragioni della meccanica. Nel

momento in cui, come oggi, è certa la brevettabilità del composto, si

dovrà riconoscere che il concetto giuridico di invenzione non coincide

più con quello del senso comune8.

Al giurista si aprono due strade: la creazione di un nuovo

“superconcetto” di invenzione brevettabile capace di dar conto insieme

alle esigenze sia della meccanica sia della chimica; oppure la rinuncia

ad un concetto unitario, che consenta di tener fermo il concetto di

invenzione ai soli fini della meccanica, che è quello del senso comune, e

la creazione di un nuovo concetto di invenzione ai soli fini della

chimica.9

Luzzato, Trattato generale delle privative industriali, vol. 1, Rocco, Milano, 1914, pag. 218 ss.

8 Luzzato, Trattato, ult. op. cit., pag. 221.

9 Una soluzione appagante nel primo senso, a cui cercherò di dare conferma nel corso del presente lavoro, è l’idea che l’invenzione non sia nel prodotto in sé (di qualunque prodotto si tratti) ma nel suo uso.

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CAPITOLO 1: Riflessione generale sul brevetto chimico

1-L’oggetto del brevetto chimico

Nel settore chimico, quel che si dice “ricerca di base” è differente dalla

“ricerca applicata”, nel senso che quest’ultima si propone di risolvere

problemi di carattere pratico, industriale, mentre la ricerca di base

prescinde dalla soluzione di tali problemi ed è rivolta per esempio a

chiarire meccanismi di reazione, ad individuare nuove possibilità di

sintesi, a creare nuove molecole, indipendentemente dal loro eventuale

impiego pratico.

Secondo Bianchetti10, in campo industriale e brevettuale, per contro,

potrebbe definirsi di base una ricerca che, almeno nell’ambito dell’ente

in cui viene effettuata, affronta ex novo un problema, nella previsione

che il primo passo dell’indagine difficilmente avrà un’applicazione

industriale, e che a esso dovranno seguire sviluppi via via più mirati e

perfezionati, fino a raggiungere l’optimum, cioè il prodotto di maggior o

minor successo commerciale: sia esso un farmaco, un insetticida, un

polimero. In termini brevettuali questa potrà essere chiamata

“invenzione di base”.

Quando il problema che l’invenzione chimica di base si propone di

risolvere è la creazione di nuovi composti dotati di un determinato

effetto, il relativo brevetto sarà quasi sempre caratterizzato da una

10 G. Bianchetti, “L’oggetto del brevetto chimico (ricerca di base e brevetti di formula

generale)”, in “I nuovi brevetti", a cura di A. Vanzetti, Milano, 1995, pag. 80.

11

formula generale più o meno ampia, che dovrebbe corrispondere

all’elenco nominativo dei composti che si intende proteggere.

Il richiedente, nella sua domanda, rivendicherà una molecola e

descriverà alcune delle possibili varianti di essa che riesce a prevedere

in base a calcoli puramente teorici, ma non indicherà né il

procedimento di sintesi di ciascuna di esse, né, ovviamente, tutte le

possibili varianti e funzioni che i composti indicati siano in grado di

assolvere.

La dottrina e la giurisprudenza, attraverso teorie a volte discordanti tra

loro, hanno indicato qui di seguito quali parametri potrebbero essere

considerati sufficienti per l’individuazione di un composto e, di

conseguenza, per la sua possibile brevettazione.

2-Le modalità di individuazione del composto chimico

2.1-Tramite parametri chimico-fisici

Quand’anche si ritenga che l’invenzione non risieda nel composto in

sé, ma nell’indicazione di un suo specifico uso (ma sul problema

torneremo in seguito), l’individuazione del composto rimane un

momento necessario (anche se non sufficiente) dell’invenzione e,

quindi, della descrizione brevettuale.

Il problema dell’individuazione del composto emerge appunto in sede

di descrizione dell’invenzione, ed assume poi ancor più rilievo in sede

di valutazione della novità, dell’originalità11 e di accertamento della

contraffazione.

11 Elementi questi la cui mancanza determina la nullità del brevetto.

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Nell’ipotesi in cui l’inventore sia in grado di presentare la formula di

struttura del composto, non vi è dubbio che l’individuazione del

trovato sia realizzata a pieno.

Vi sono tuttavia ipotesi12 in cui chi sintetizza il composto non è in

grado di presentare per intero la formula di struttura, che può risultare

nota solo in parte o può essere delineata solo come probabile. In casi

del genere, si ammette che la descrizione brevettuale faccia leva su altri

elementi.

La ragione ispiratrice di questa prassi liberale sarebbe da cogliere

nell’idea che, essendo il composto disponibile all’uso della collettività,

l’inventore ha già conferito a questa un trovato economicamente

apprezzabile, e pertanto è già possibile ed opportuno concedergli il

brevetto. Occorre però che l’inventore individui il composto tramite

una serie di elementi che in quel determinato momento storico un

esperto medio del settore13 può considerare sufficienti.

Si tratta essenzialmente di parametri chimico-fisici, che possono far

luce sulla struttura del composto. Non è possibile prefissare in astratto

un numero minimo o una serie necessaria di parametri, e solo caso per

caso può darsi una valutazione di sufficienza o meno alla descrizione

prospettata dall’inventore14.

A scopo classificatorio si sono distinti parametri di base e parametri

applicativi.

I primi descrivono alcune “dimensioni” del composto: periodo di base;

posizione, numero e geometria dei gruppi laterali; struttura dei gruppi

terminali; esistenza di doppi legami; peso molecolare; ed ancora,

12 E questo sembra oggi il caso più frequente per i composti ad elevato peso molecolare. 13 Ex art. 51 C.P.I. 14 Nel secondo caso questa insufficienza di descrizione porterà alla nullità del brevetto ex

art 71, comma 1 let.b C.P.I.

13

struttura cristallina, grado di cristallinità, valore di viscosità, densità,

temperatura di congelamento. I parametri applicativi segnalano,

invece, le principali proprietà del composto: grado di resistenza e di

elasticità; durezza; proprietà elettriche e ottiche.

Individuazione tramite parametri è cosa diversa da individuazione

tramite i cosiddetti functional claims che, di regola, non è consentita15.

Si parla di functional claim quando un elemento del composto (o un

passaggio del procedimento) viene individuato in tutto o in parte

tramite la funzione che svolge o il risultato che realizza. La ragione per

cui rivendicazioni così strutturate non sono ammissibili è che esse

delineano un ambito troppo vasto rispetto all’effettivo apporto recato

dall’invenzione, o troppo vago perché si possa individuare con

sufficiente precisione il nucleo della privativa16.

(segue)2.2-Tramite il procedimento di sintesi

Un ruolo importante, come fattore di individuazione del composto,

può avere anche il procedimento di sintesi. Si deve tuttavia tener

presente che la descrizione delimita l’estensione della privativa17 e,

pertanto, una descrizione del composto basata solo sul procedimento

(l’ipotesi è nota all’esperienza statunitense col termine “product by

15E. Thomas e M.A. Auslander, “Chemical inventions”, New York, 1974, pag. 652 ss. 16E. Thomas e M.A. Auslander, op. cit. pag. 652 ss. 17

Essendo meritevole di tutela solo ciò che l’inventore, tramite la descrizione, mette a disposizione della comunità.

14

process claim”18) può condurre in certi sistemi ad un’esclusiva sul

prodotto solo in quanto ottenuto con il procedimento descritto.

Questo rischio non esiste se invece l’illustrazione del procedimento si

accompagna ad un’indicazione adeguata di parametri chimico-fisici; in

questo caso l’estensione del brevetto non è limitata in ragione del

procedimento, ed il brevetto copre il prodotto, comunque ottenuto.

In conclusione si può ritenere che sia ammissibile una domanda di

brevetto in cui il composto nuovo viene individuato solo tramite il

procedimento, a patto che, nel caso concreto, l’indicazione di questo sia

sufficiente a descrivere l’invenzione.

3-Formule generali e brevetti di sbarramento (MARKUSH CLAIMS)

Come si è già accennato, in sede di individuazione del trovato che ha

ad oggetto un nuovo composto chimico, spesso l’inventore indica non

un singolo composto, ma una classe di composti, il cui numero può

essere elevatissimo (a volte alcuni milioni) e dei quali solo una

porzione assai ridotta è stata effettivamente sintetizzata.

Questa nuova molecola viene descritta con l’esplicita previsione delle

varianti ottenibili, attraverso modifica dei gruppi terminali, in base a

calcoli puramente teorici, e senza che di queste varianti si indichino il

procedimento di sintesi o le proprietà specifiche, e quindi, i possibili

usi. Di tali varianti è solo dato prevedere un corredo di caratteristiche

chimico-fisiche sostanzialmente costante.

18E. Thomas e M.A. Auslander, op. cit. pag. 660 ss.

15

Un esempio di formula generale può essere quella dell’acido

benzoico19:

Nella quale: R = alchile C1 – C4; (8 significati)

R1 = alogeno (16), alchile C1 – C4 (32), alcossile C1 – C4

(32); (80 significati)

R2 e R3, uguali o diversi = idrogeno, alchile C1 – C4,

benzile; (almeno 45 significati)

n = 1 – 4; (4 significati)

Risulta interessante rilevare come la suddetta formula comprenda circa

115.000 composti diversi (8 x 80 x 45 x 4 = 115.200).

Questo tipo di descrizione può rischiare di scontrarsi col principio

basilare dell’unità dell’invenzione20 e soprattutto comporta il rischio di

un’estensione troppo ampia della privativa.

Infatti, accade che l’inventore della nuova molecola depositi subito una

domanda che la rivendichi con tutti i composti da essa derivabili,

anche quelli che possono solo essere individuati successivamente, dallo

stesso titolare del brevetto o da terzi, segnalando a titolo

esemplificativo alcune delle varianti teoricamente possibili della

molecola di base che sono state già individuate.

L’interesse dell’inventore della molecola, il quale intende precostituirsi

un titolo di esclusiva sulle selezioni21 che poi effettuerà, si contrappone

19 G. Bianchetti, L’oggetto del brevetto chimico, op. cit., pag. 81. 20 Ex art 160 comma 2 C.P.I. 21

Per selezione si intende l’individuazione di un singolo composto nuovo (cioè non descritto da altri in precedenza), anche se riconducibile ad una molecola già nota (sia essa coperta o no da brevetto). Si veda il Cap. 4.

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decisamente all’interesse dei concorrenti, i quali vorrebbero poter

svolgere anch’essi attività di ricerca all’interno dello spazio delimitato

dalla formula generale e, poi, godere a pieno dell’invenzione che

potrebbero realizzare individuando singoli composti dotati di qualità

importanti.

Dal punto di vista sistematico, il problema dell’ammissibilità del

brevetto per formule generali deve fare i conti con vari punti nodali

della normativa brevettuale. Anzitutto, con il problema

dell’individuazione dell’invenzione nel prodotto in sé, a prescindere

dalle sue proprietà, o nel prodotto in quanto rivolto ad un certo uso

(problema questo, per la verità, che riguarda anche il brevetto su un

singolo composto chimico); poi con la regola dell’unità dell’invenzione

e con il requisito della sufficienza della descrizione; infine con la

disciplina della modifica della domanda nel corso della procedura di

brevettazione, ogni qualvolta la domanda avente per oggetto una

formula generale venga integrata, in corso di esame, con l’indicazione

di specifici composti, individuati dopo il deposito della domanda

stessa.

Questo dei brevetti di genere è un problema del brevetto chimico ed è

noto con l’espressione “brevetto di sbarramento” in quanto il titolare di

tale privativa potrebbe precludere ai terzi un campo di ricerca di

enorme ampiezza22. Ciò verrebbe visto infatti come un insuperabile

sbarramento nei confronti di chi voglia investire sulla ricerca di

secondo grado, orientata verso la precisa identificazione dei possibili

impieghi di ciascuno dei composti descritti, visto che potrebbero poi

22 G. Floridia, “ L’invenzione farmaceutica nel sistema italiano dei brevetti”, Giuffrè, Milano,

1985, pag 36 ss.

17

risultare economicamente non sfruttabili, in quanto già ricompresi in

quel brevetto.

La soluzione a questo problema può essere trovata cercando di

contemperare gli opposti interessi.

È stato ad esempio sostenuto23 che una domanda di brevetto di genere

che non individui tutti i composti ricompresi nella classe può essere

ritenuta ammissibile solo se: la formula sia omogenea nel senso che

riguarda una sola classe di composti, ognuna delle variabili sia

rappresentata negli esempi, il numero dei composti compresi nella

formula sia definito e ognuno di tali composti sia effettivamente

preparabile; ed anche in questo caso, comunque, la regola rimane nel

senso che più grande è il numero dei singoli composti descritti, più

fondata risulta la domanda di brevetto di genere, sempre per l’obbligo

di un’adeguata descrizione dell’invenzione.

Se invece il gruppo è molto grande e non omogeneo, la domanda non

sarà ammissibile, e l’inventore potrà richiedere soltanto il brevetto per i

singoli composti individuati e descritti.

A questo punto sorge un’altra questione: l’indicazione di singoli

composti, anche se incapace di fondare validamente una domanda di

brevetto di genere, è però capace di privare di novità una successiva

domanda di brevetto di genere (anche se dotata di una descrizione

adeguata) per il gruppo cui può ricondursi quel composto, già

individuato nella domanda anteriore.

Il successivo inventore, quindi, non potrà brevettare il genere, ma solo i

singoli composti nuovi, diversi da quelli già indicati dal primo

inventore nella domanda invalida.

23 J.E. Goldberg, “Genus, species and the patent law”, in J.P.O.S., 1971, pag. 73 ss.

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Riguardo ai brevetti di sbarramento nella prassi statunitense si segnala

una restrizione sempre più severa dell’oggetto della privativa.

Si tratta dell’ipotesi denominata “Markush claim” dal nome dell’autore

della domanda che diede il nome alla regola24. Questa regola consente

che la descrizione di un trovato complesso, in cui uno dei componenti

può essere rappresentato da diversi elementi (tipo A,B,C) sia effettuata

utilizzando, ad esempio, l’espressione “selected from the group consisting

of A, and B, or C “. Per evitare un’individuazione troppo ampia e

generica del trovato, la regola esige anche che il Markush group sia un

“proper group”, cioè sia un gruppo composto da elementi dotati di

stretta affinità chimica, e svolgenti la stessa funzione; in caso contrario

la domanda sarà considerata non ammissibile, per violazione del

principio dell’unità dell’invenzione.

4-I rischi nei sistemi senza esame preventivo

Il problema dello sbarramento e la soluzione che si può dare per esso,

secondo quanto esposto nel precedente paragrafo, si presenta in linea

di massima indifferente al fatto che ci si trovi in un sistema con esame

preventivo della domanda di brevetto o meno.

Tuttavia è evidente che un sistema senza esame si trova più esposto a

varie problematiche cui abbiamo accennato, perché di fatto il brevetto

sulla formula generale è stato concesso per via amministrativa, e la

posizione del giudice che ne dovrà dichiarare l’eventuale nullità è

sicuramente più scomoda di quella di un Ufficio Brevetti che, a seguito

24 Ex parte Markush,1925. Sul punto E. Thomas e M.A. Auslander, op. cit. pag. 668 ss.

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di un esame preventivo, rifiuti il rilascio della privativa. Questo perché,

secondo Di Cataldo25, la posizione del giudice che dovrebbe dichiarare

la nullità è “psicologicamente” più debole di quella di un Ufficio

Brevetti che, a seguito di un esame preventivo, rifiuti il rilascio della

privativa.

Un esempio: avviene di fatto26 che si depositi una domanda di brevetto

per una formula generale, in un momento in cui la classe di composti

non è stata ancora interamente esplorata, e non se ne conoscono ancora

le possibili funzioni. Il richiedente prosegue la sperimentazione e, se

individua un composto utile, cerca di passare dalla formula generale al

singolo composto, mediante una correzione della domanda; e se è già

avvenuto il rilascio del brevetto può cercare di raggiungere lo stesso

risultato attraverso una domanda di limitazione27.

In un sistema senza esame preventivo (come l’Italia28) tali domande

vengono inevitabilmente accolte.

Un ufficio brevetti tecnicamente qualificato, al contrario, teoricamente

non accoglierebbe né la domanda di correzione né la domanda di

limitazione, avvertendo le seguenti ragioni di inammissibilità. Se il

brevetto per formula generale è nullo per le ragioni precedentemente

esposte, e pertanto se è nulla la relativa domanda, il passaggio sopra

delineato non è una limitazione, ma risulta piuttosto un passaggio dal

nulla a qualcosa.

25 Di Cataldo, op. cit. pag 298. 26 Avvenuto realmente nel caso CIMETIDINA di cui tratterò in seguito. 27 Ex art. 79 C.P.I. 28Dove, se si accoglierà l’esame preventivo dei brevetti, si procederà comunque alla

devoluzione di tale compito all’Ufficio Europeo, essendo questo munito delle strutture necessarie.

20

La domanda di brevetto per la formula generale rischierebbe quindi di

avere il compito di “prenotare” il diritto di sfruttamento esclusivo di

un’invenzione non ancora ottenuta.

Nel caso descritto si deve perciò ravvisare un ampliamento, o

comunque una modifica non di senso restrittivo, dell’oggetto

dell’iniziale domanda di brevetto, che esporrebbe il brevetto stesso ad

una sicura dichiarazione di nullità29.

29 Ex art. 76 lett.c C.P.I.

21

Capitolo 2: I requisiti di brevettabilità dell’invenzione

chimica

1-La novità

In mancanza di un’apposita normativa settoriale, i requisiti di

brevettabilità dell’invenzione chimica sono gli stessi di quelli previsti

per le invenzioni in generale (intendendo quelle della meccanica).

Tuttavia ciascuno dei requisiti, riferiti al brevetto chimico, presenta

caratteri esclusivi.

Esaminando il requisito della novità30, questa si può trovare, come da

concezione classica, in ogni caso di non identità tra il trovato e una

delle anteriorità comprese nello stato della tecnica31, nelle ipotesi in cui

il trovato sia descritto tramite la formula di struttura: in tal caso infatti

basterà solo confrontare tale formula con quella di ciascuna anteriorità

rilevante.

Quando la formula di struttura non è nota, e si conoscono solo i

parametri chimico-fisici, il giudizio di novità si rivela più problematico.

Si avrà infatti una pacifica identità tra i due composti quando i

parametri utilizzati sono da considerare sufficienti e danno tutti valori

uguali; ma è da verificare se occorra, nella decisione dei parametri da

confrontare, una scelta in qualche modo “qualificata” o meno.

30 I requisiti si possono riferire al composto in sé,o al suo uso,in base alla teoria che si riterrà

più corretta. 31 Ex art. 46 C.P.I.

22

Una soluzione32 che potrebbe essere considerata valida è l’idea che la

novità esiga la differenza di almeno uno dei due parametri di base, non

essendo invece sufficiente la differenza di un mero parametro

applicativo.

Certamente è impossibile dare al problema una risposta di carattere

generale, ma ritengo sia corretto pensare che certi parametri valgano

più di altri, e che quindi non basti una differenza di valori in relazione

ad un parametro da considerarsi poco significativo33.

2-L’industrialità e l’utility

2.1-L’utility nell’esperienza statunitense (dalla BREMNER doctrine al caso

MANSON)

Il requisito della utility, da sempre presente nel sistema statunitense34

non sembra avere di primo impatto un preciso corrispondente nel

nostro sistema brevettuale. In realtà, al di là della prima erronea

impressione, l’utility risulta strettamente affine al nostro requisito

dell’industrialità35.

La giurisprudenza italiana36 utilizza il requisito dell’industrialità per

negare il brevetto sostanzialmente in due ipotesi: quando il trovato,

32 Di Cataldo, op. cit., pag. 301. 33

Nel caso invece la struttura sia uguale, ma diverso sia l’uso, si veda il Cap. 3. 34 Citato più volte nel Patent act statunitense, in particolare nell’art 101 (“Whoever invents

or discovers any new and useful process, machine, manufacture, or composition of matter, or any new and useful improvement thereof, may obtain a patent…”) e nell’art 112 (“The specification shall contain a written description of the invention, and of the manner and process of making and using it…”).

35 Ex art. 49 C.P.I. 36 Si veda, ad esempio, per quanto riguarda il caso in cui lo scopo sia raggiungibile, ma

l’invenzione non “funzioni”, App. Milano 18 dicembre 1981, in Giur. ann. dir. ind., 1981, n. 1453/3.

23

pur proponendosi uno scopo teoricamente raggiungibile, risulta però,

di fatto, tecnicamente incapace di raggiungerlo; oppure quando il

trovato si propone uno scopo scientificamente irraggiungibile37. Per

queste stesse ipotesi l’ordinamento statunitense da sempre dichiara

un’invenzione non brevettabile per assenza di utility, in quanto

considerate dai giudici “not serious”. Uno scrittore americano38

all’inizio del secolo passato teorizzò addirittura che “this clause was

expressly designed to protect the prestige of the Office against frivolous

claims”, in quanto il sistema trarrebbe discredito dal concedere il

brevetto nei casi menzionati.

Detto questo, risulta evidente che i due requisiti dell’industrialità e

dell’utility occupano nel sistema uno spazio assai ristretto e marginale.

Basta infatti che il trovato si proponga un qualunque scopo sensato e

sia in grado di raggiungerlo, cioè di funzionare(!). Sulla bontà dello

scopo e sull’efficienza del trovato non si svolge alcun sindacato. La

ragione di ciò è il fatto che un controllo sull’utilità, comparata con il

grado di utilità delle invenzioni precedenti in quel campo,

introdurrebbe un requisito capace di scoraggiare l’attività inventiva.

Infatti è noto che i primi passi su una nuova via offrono spesso

inizialmente un rendimento inferiore a quello offerto dai prodotti già

esistenti (basti pensare alle prime automobili, ben più lente di una

buona carrozza a cavalli).

A lungo si ritenne negli U.S.A che il requisito della utility per le

invenzioni chimiche dovesse essere inteso allo stesso modo che per le

invenzioni non chimiche. La regola applicata era nel senso che il

37 Esempio tipico una macchina che produca più energia di quanta non ne consumi. 38 C.O. Marshall, Comparative utility as a requisite of patentability, J.P.O.S., 1919, pag. 552.

24

procedimento chimico fosse useful se realizzabile nei termini descritti, e

che ogni nuovo composto chimico fosse di per sé dotato di utility.

Nel 1950 il Patent Office cambiò rotta, negando il brevetto nei confronti

della domanda per l’Application of Bremner, che rivendicava un nuovo

metodo di polimerizzazione di un di-idropano, tralasciando di dare

alcuna indicazione del possibile uso del prodotto finale ottenibile con

quel procedimento. La decisione fu confermata dalla CCPA39 (Court of

Customs and Patents appeals), giudice d’appello contro le decisioni

definitive del Patent Office, con la motivazione che mancava una

indicazione della utility.

La dottrina Bremner fu applicata con crescente severità dal Patent Office,

fino a alla metà degli anni sessanta quando questo entrò in conflitto

con la CCPA che puntava decisamente ad un ritorno della visione

unitaria dell’utility per tutti i settori, restituendo alla chimica quel

concetto liberale di useful che era sempre stato presente negli altri

settori.

Il conflitto tra i due organi fu portato davanti alla Corte Suprema che,

riformando una decisione della CCPA nel case Bremner v. Manson

(1966)40 che concerneva un brevetto di procedimento, rivitalizzò la

Bremner doctrine. L’argomento ritenuto decisivo dalla Corte fu quello

che un brevetto su un procedimento di cui non sia rivelata una

specifica utility sarebbe un brevetto su una pura conoscenza, inutile,

per cui estraneo alle regole del sistema brevettuale vigente, dato che il

brevetto presuppone una specifica indicazione del possibile uso del

trovato.

39 Application of Bremner, 182 F.2d 216, 86 U.S.P.Q. 74 (CCPA, 1950). 40 Bremner v. Manson, 383 U.S. 519, 148 U.S.P.Q. 689 (1966). La decisione afferma l’identità

di regola, riguardo l’utility, tra brevetto di prodotto e brevetto di procedimento.

25

La conclusione a cui si arriva è che il brevetto chimico presuppone

appunto un’indicazione di utilità; ma la utility del brevetto chimico

deve essere lo stesso, liberale, requisito della utility del brevetto della

meccanica.

Il problema che si pone, poste queste premesse, è quello di riuscire ad

individuare un modo per indicare l’utility del brevetto chimico, senza

per questo motivo arrivare a pretendere, in pratica, un’applicazione

più severa del requisito in questione per questo tipo di brevetti.

(segue)2.2-Argomento funzionale e argomento sistematico

A favore dell’idea che ogni processo chimico abbia utility per il solo

fatto di “funzionare” come descritto, e che ogni composto nuovo sia

utile per sé, si adduce da un lato che in questi termini il concetto di

utility vale per ogni altro tipo di invenzione, e che bisogna evitare di

renderlo più severo per le sole invenzioni chimiche; dall’altro questa

concezione liberale della utility sarebbe funzionale allo stimolo della

ricerca di base.

A questo punto tuttavia ci si può chiedere, come fa Di Cataldo41: ma è

proprio vero che la brevettabilità di un trovato non chimico è

indipendente da una chiara indicazione del possibile uso?

Nel momento in cui ci si chiede se il nuovo trovato chimico, che sia

prodotto o procedimento, debba essere accompagnato, per avere

accesso al brevetto, da una specifica indicazione del possibile uso,

bisogna trovare la risposta cercando nell’intero sistema, nelle regole

che valgono anche per il campo della meccanica. 41 Di Cataldo, op. cit., pag. 311.

26

Secondo questo autore42, infatti, tutti i sistemi brevettuali di oggi danno

accesso al brevetto alle invenzioni meccaniche solo se se ne dichiara

almeno un possibile modo di utilizzazione. Questa affermazione è

sicuramente incontestabile in riferimento alle invenzioni di

procedimento; ma è anche sicura riguardo alle invenzioni di prodotto,

il quale potrebbe essere considerato un’opera d’autore, ma non un

prodotto brevettabile, se l’inventore non ne riveli la possibile

utilizzazione.

Sono in realtà affermazioni ovvie, che non hanno occasione di

emergere spesso a livello giurisprudenziale.

Nella meccanica, in genere, il rapporto tra struttura e funzione è di

facile lettura, così che molto spesso la descrizione della struttura è

sufficiente per arrivare alla funzione.

Il diritto dei brevetti, in base a questa esperienza, non esige che la

domanda di brevetto per l’invenzione meccanica preveda anche

un’esplicita indicazione dell’uso; ma ciò non può indurre a pensare che

il brevetto prescinda dall’uso.

Ci sono in realtà diverse norme che evidenziano il nesso tra prodotto

ed uso: anzitutto la regola che riferisce l’ambito di estensione della

privativa all’uso indicato ed a quelli ad esso equivalenti, consentendo

la brevettabilità dell’invenzione di traslazione, e il divieto43 di

modificare la domanda di brevetto allegando nuovi possibili modi di

utilizzazione del prodotto.

Si può quindi tranquillamente sostenere che l’indicazione di uso non è

uno specifico requisito di brevettabilità dell’invenzione solo perché

rientra già nello stesso concetto di invenzione. Occorre che il trovato

42 Di Cataldo, op. cit., pag. 312. 43 Ex lett. C, comma 1, art. 76 C.P.I.

27

“funzioni”, che il risultato sia raggiungibile, non anche però che esso

presenti un’utilità maggiore44 di quella presente nei trovati anteriori.

Perciò si cade in errore se si afferma che per le invenzioni meccaniche

non è richiesta l’indicazione del possibile uso; è solo vero che non è

richiesta la prova di un’utilità maggiore rispetto al passato, ma

un’indicazione dell’uso, anche se implicita, ci deve essere. C’è sì una

visione liberale dell’utilità, ma l’indicazione dell’uso è comunque

richiesta, non è richiesta invece una maggiore utilità.

Guardando quindi la questione in riferimento all’invenzione chimica si

potrà intendere il requisito dell’utility in senso liberale, che il trovato

“funzioni”, ma si dovrà tener presente che lo stesso concetto di

invenzione richiede già un’indicazione d’uso. Ciò è particolarmente

importante per i composti, perché evidenzia che l’invenzione non è

costituita dal composto in sé, ma dal nuovo composto quale indirizzato

ad un certo uso.

Concludendo, l’invenzione chimica si discosta da quella meccanica

solo per il fatto che, non essendo immediatamente percepibile come in

meccanica il nesso tra struttura e funzione, occorrerà in essa

un’esplicita indicazione della funzione del composto, e quindi della

sua utilità.

44 Questa utilità comparativa, intesa come progresso tecnico, servirà da indizio riguardo al

requisito dell’originalità.

28

3-Originalità

3.1-Giudizio di non ovvietà

Tutto ciò che in base all’interpretazione del brevetto45 (e quindi in

primo luogo delle rivendicazioni) risulta essere coperto dal diritto di

esclusiva, oltre che nuovo, deve essere originale.

Secondo la sua definizione normativa (art.48 C.P.I) l’attività inventiva

ricorre quando l’invenzione (così come rivendicata dal brevetto) non

risulta in maniera evidente dallo stato della tecnica, per un tecnico

esperto del ramo al quale l’invenzione appartiene, alla data della

domanda o della priorità.

La legge individua i parametri di riferimento del giudizio46, lasciando

all’interprete il compito di sviluppare, all’interno di essi, il concetto di

“non evidenza” o “non ovvietà” dell’invenzione47. Il giudizio di attività

inventiva viene condotto in tutti i sistemi brevettuali avanzati in modo

da soddisfare due fondamentali esigenze: da un lato quella di ancorare

il giudizio a dati concreti e verificabili, rendendolo il più possibile

45 “L’ interpretazione del brevetto è operazione che si svolge tra due interessi opposti. Da

un lato, il titolare aspira a comprendere nella sua esclusiva tutto ciò che in qualche modo è ricavabile dalla sua domanda di brevetto, e perciò vorrebbe che tutta la documentazione brevettuale concorra ugualmente a determinare l’estensione del brevetto. Dall’altro, i concorrenti del titolare e la collettività intera sono portatori di un’esigenza di certezza circa i confini delle altrui privative, e tale esigenza di certezza suggerisce l’imposizione al richiedente di un onere di indicazione precisa dei confini della propria invenzione, che viene adempiuto tramite la stesura delle rivendicazioni” da Manuale di diritto industriale, Vanzetti e Di Cataldo, Giuffrè, Milano, 2005, pag. 410.

46 Vanzetti e Di Cataldo, op. cit., pag. 351 ss. 47 La legge americana fornisce anche un’indicazione sul giudizio da compiere, precisando

che:”…Patentability shall not be negatived by the manner in which the invention was made.” (Patent Act, 1952, sezione 103). Queste esigenze sono molto avvertite dalla legge statunitense, che dopo aver definito il requisito della non-obviousness, fornisce anche un’indicazione importante sul giudizio da compiere, precisando che il giudizio non può essere negativamente influenzato dalle modalità concrete con le quali l’invenzione è stata ottenuta.

29

oggettivo, e dall’altro di evitare che sia condotto in maniera

retrospettiva, con il senno di poi.

L’ovvietà, che non va misurata su ciò che il tecnico medio avrebbe potuto

ottenere sulla base di un confronto tra l’invenzione e lo stato della

tecnica condotto in astratto, esige la dimostrazione che l’operatore del

settore, sulla base non solo delle conoscenze anteriori e delle sue

ordinarie capacità, ma anche dei percorsi e dei metodi di ricerca

normalmente seguiti, avrebbe ottenuto il trovato deducendolo in

maniera evidente dallo stato della tecnica.

La dimostrazione della mancanza di attività inventiva consiste dunque

nella possibilità di individuare una procedura mentale, corrispondente

ad un certo modello di sviluppo normale della tecnica, che il tecnico

del ramo, spogliato dalle conoscenze rivelate dal brevetto, avrebbe

logicamente percorso partendo dallo stato della tecnica per arrivare

alla soluzione48.

L’Ufficio europeo dei brevetti ha sviluppato un metodo di valutazione,

noto come “problem and solution approach”, ormai accolto anche dalla

giurisprudenza nazionale dei paesi aderenti alla C.B.E.

L’approccio “problema e soluzione” consiste nell’individuare, nello

stato della tecnica anteriore del settore al quale l’invenzione

48 Szabo, The problem and solution Approach in the European Patent Office, Berkeley, 1995,

pag. 459, il quale afferma come:”In the past, practitioners, and in particular lawyers, often objected to attempts to give some sort of infra-structure to the concept of obviousness. In view of the direct reference to the mind of the skilled person, the question of obviousness was construed as one of fact,”a jury question”, notionally addressed to those skilled in the art”. Il problema veniva così per essere sostanzialmente rimesso all’apprezzamento soggettivo dell’esperto, senza alcun controllo effettivo da parte del giudice (il quale si limitava al massimo a vagliare l’esistenza di indizi di evidenza o non evidenza). L’istituzione del sistema europeo dei brevetti, e la necessità di svolgere l’esame preventivo in maniera il più possibile uniforme e prevedibile, da parte di un corpo di esaminatori tecnicamente qualificati, ha favorito il sorgere di una metodologia di esame più razionale, poiché ha consentito di applicare il requisito dell’originalità in maniera più coerente con la sua ragione giustificatrice.

30

appartiene, la singola realizzazione oggettivamente più prossima, dalla

quale l’inventore avrebbe potuto prendere le mosse; consiste poi nel

tradurre le differenze tra lo stato della tecnica di partenza e

l’invenzione in problemi tecnici da risolvere; ed infine consiste nel

valutare se l’esperto del ramo, di fronte ad un’anteriorità presa come

punto di partenza per la ricerca, e senza conoscere l’invenzione,

esercitando le proprie normali capacità, avrebbe risolto il problema nei

termini rivendicati dal brevetto49.

Il metodo sviluppato dall’Ufficio europeo è l’applicazione dell’idea

secondo cui l’invenzione rappresenta la soluzione di un problema

tecnico, ed è perciò data dall’individuazione di mezzi finalizzati

all’ottenimento di un risultato teoricamente utile. Per poter affermare

che il trovato risulta ovvio dallo stato della tecnica anteriore, si deve

supporre che nello stato della tecnica esista almeno un’informazione o

realizzazione, appartenente allo stesso settore, dalla quale l’operatore

avrebbe preso le mosse per arrivare alla soluzione50.

Selezionata l’anteriorità più prossima, si passa a verificare se

esistevano ragioni evidenti che avrebbero indotto il tecnico ad operare

le modificazioni necessarie per ottenere, sempre in maniera ovvia, la

nuova soluzione.

Quando lo stato della tecnica motiva a svolgere ricerche che potrebbero

anche portare all’invenzione, ma non offre una guida sufficientemente

sicura di come ottenerla, non esiste ovvietà del trovato.

Porre l’accento su ciò che il tecnico medio del ramo avrebbe fatto

secondo la propria esperienza e capacità appare coerente con la

49 “Guidelines for examination in the European Patent Office”, pubblicate dall’Ufficio

europeo dei brevetti, Monaco, 2001, C-IV, 9.5 ss. 50 Szabo, op. cit., pag. 461.

31

funzione generalmente assegnata al requisito dell’attività inventiva, di

riservare il monopolio brevettuale soltanto ai risultati del progresso

tecnico che non sarebbero stati ottenuti dal corso spontaneo e ordinario

del progresso.

Un ultimo dato da segnalare è che l’originalità, come gli altri requisiti

per la brevettazione, deve essere apprezzata in relazione all’invenzione

globalmente considerata, senza scinderne singole parti o singoli

aspetti51. Essendo l’invenzione di un nuovo composto costituita da una

struttura chimica rivolta ad una certa funzione per effetto delle

proprietà possedute, struttura e proprietà dovranno sempre essere

tenute entrambe in considerazione quando si valuta l’attività inventiva

del composto in sé52.

(segue)3.2-Ovvietà strutturale e proprietà inattese

Dai caratteri generali del giudizio di ovvietà appena delineati, discende

che la constatazione di una somiglianza sotto il profilo strutturale tra il

nuovo composto e uno o più composti già noti, di per sé non dimostra

ancora l’ovvietà del nuovo composto.

Sono assai frequenti ipotesi in cui oggetto della domanda di brevetto è

un composto nuovo, ma dotato di una struttura assai simile a quella di

51 Di Cataldo, Problematica delle invenzioni chimiche, cit., pag. 69. Si veda più avanti in re

Papesch. 52 Interessante risulta la posizione di Vanzetti nella Presentazione de I nuovi brevetti, op.

cit., il quale osserva come:”sia accaduto che invenzioni chimiche validamente brevettabili in tutto il mondo e corrispondenti a prodotti di enorme successo planetario venissero da noi dichiarate prive del requisito dell’originalità, in quanto strutturalmente vicine a formule già note, senza minimamente avvertire il problema delle distanze chimiche, dei rapporti fra struttura chimica e attività biologica, dei modi della ricerca chimica e della differenza fra ricerca di base e ricerca applicata”.

32

composti noti, e da questi facilmente derivabile, così che ad un esperto

del settore il composto stesso appare sicuramente ovvio sul piano

strutturale. Infatti non è raro che un nuovo composto possa essere

agevolmente preparato in base alle conoscenze acquisite, adattando in

maniera ovvia i procedimenti già noti, usati per preparare composti

simili53. Spesso composti strutturalmente somiglianti presentano

proprietà simili.

Tuttavia, il fatto che la ricerca possa astrattamente realizzare un certo

numero di modificazioni e combinazioni, non è sufficiente a dimostrare

che tutti i nuovi composti che ne risultano siano in sé ovvi; occorre

verificare quali fra tutte le modificazioni e combinazioni possibili il

tecnico avrebbe realizzato applicando le proprie ordinarie capacità

nello svolgimento di un normale percorso di ricerca.

Succede infatti frequentemente che dei composti presentino proprietà

notevolmente diverse da quelle presenti nei composti simili già noti.

Ad esempio, può accadere che un composto nuovo possa avere le

stesse proprietà del composto noto, ma in grado ben più elevato o

comunque più efficace (come la mancanza di effetti collaterali); può

presentare proprietà completamente diverse (i composti noti sono dei

coloranti, il composto nuovo è un antiemorragico); può presentare

addirittura proprietà antagoniste a quelle del composto noto. Ed è da

considerare anche il caso in cui il composto nuovo riveli proprietà

presenti, ma non ancora note, in un composto affine già noto.

I casi descritti segnalano un interrogativo comune, se cioè possa

ravvisarsi originalità in un composto strutturalmente ovvio (cioè

53 Così Szabo, op. cit., pag. 485, dove osserva che:”Indeed the skilled person would know

from his general knowledge about chemical bondages how to generate on a piece of paper trillions of further substituted derivatives which can all be made by analogy methods”.

33

prevedibile dal tecnico medio del settore) ma dotato di proprietà

inattese, non prevedibili.

Se si sceglie di rispondere al quesito utilizzando le categorie mentali

del brevetto secondo le regole generali (della meccanica, secondo le

quali l’originalità attiene alla struttura del trovato) la risposta tende ad

essere negativa, nel senso cioè che in questi casi mancherebbe

l’originalità54.

Al giorno d’oggi sembra però più meritevole di stimolo e di premio

(quindi del brevetto) l’attività di individuazione delle proprietà dei

composti, più che (o, almeno, oltre che) l’attività di realizzazione degli

stessi.

Pertanto, la somiglianza del nuovo prodotto con una struttura già

esistente rappresenta in quest’ottica soltanto un ipotetico punto di

partenza, dal quale muovere per interrogarsi se l’esperto del ramo,

conoscendo il prodotto noto, abbia avuto delle ragioni per preparare il

nuovo composto simile, e se abbia potuto realizzarlo nell’esercizio

delle proprie capacità ordinarie. Tra gli indizi di non evidenza ci può

essere il fatto che l’invenzione abbia superato un pregiudizio esistente

nello stato della tecnica; il pregiudizio agisce sulle motivazioni, le quali

rappresentano un elemento essenziale del giudizio di attività

inventiva55.

Detto questo, le motivazioni che avrebbero indotto il tecnico ad

effettuare le modificazioni o combinazioni necessarie per giungere

all’invenzione, sono rappresentate dalla ricerca di una o più utilità che

54 Tranne, forse, che per l’invenzione di traslazione, di cui tratterò nel Cap.3. 55 G. Guglielmetti, “Tutela assoluta e relativa del brevetto sul nuovo composto chimico,

originalità dell’invenzione e dinamiche della ricerca”,in “Studi di diritto industriale in onore di Adriano Vanzetti”, 2004, pag. 775.

34

l’operatore di media capacità, in base alle conoscenze dello stato della

tecnica, si sarebbe aspettato modificando i composti noti56.

Le proprietà del trovato rappresentano dunque un punto di

riferimento essenziale nella valutazione dell’originalità del nuovo

composto.

Concludendo, se si valorizza l’aspetto funzionale si giunge logicamente

ad affermare l’originalità dei nuovi composti in un numero di casi ben

maggiore di quanto non avverrebbe se il giudizio fosse condotto

confrontando esclusivamente le strutture chimiche.

(segue)3.3-La giurisprudenza statunitense (dalla Hass-Henze doctrine alla

PAPESH doctrine)

La posizione ferma sull’idea della mancanza di originalità di un

composto strutturalmente ovvio è stata decisamente rovesciata dalla

giurisprudenza statunitense attraverso un procedimento evolutivo

svoltosi in più tappe.

Negli U.S.A il primo caso in cui si sia affermata la brevettabilità di un

composto strutturalmente ovvio, ma avente proprietà inattese, è stato

quello deciso nel 1944 dalla CCPA e che si articolava in tre

procedimenti gemelli: In re Hass57.

Hass aveva chiesto un brevetto per una serie di composti nuovi, che il

Patent Office aveva ritenuto omologhi di composti già noti, e perciò

56 Come è anche osservato dai giudici americani: “that motivation is not abstract, but

practical, and is always related to the properties or uses one skilled in the art would expect the compound to have, if made”, in Re Gyurik, 596 F.2d 1012, 1018 (CCPA 1979).

57 In re Hass, 141 F.2d 122, 60 U.S.P.Q. 544 (CCPA, 1944); In re Hass, 141 F.2d 127, 60 U.S.P.Q. 548 (CCPA, 1944); In re Hass, 141 F.2d 130, 60 U.S.P.Q. 552 (CCPA, 1944).

35

strutturalmente ovvi, giustificando così il rifiuto di concedere il

brevetto.

Una seconda decisione (In re Henze,195058), presa dalla CCPA, confermò

anch’essa il diniego del rilascio del brevetto per un composto nuovo

considerato omologo di un composto noto.

Entrambe queste decisioni si basano sulla considerazione che l’ovvietà

strutturale costituirebbe una presunzione legale di non brevettabilità,

sostenendo però che la suddetta presunzione potrebbe essere vinta da

“clamorose ed inaspettate proprietà vantaggiose non possedute dal

composto omologo noto”.

Questa regola fu adottata dal Patent Office, e progressivamente estesa

agli isomeri59, e quindi ai composti detti analoghi60. In realtà la

presunzione di obviousness derivante dall’ovvietà strutturale nel corso

degli anni è stata considerata molto forte dall’Ufficio, e la prova delle

proprietà inattese è stata vagliata con molta severità.

Le critiche61 più accese scagliate contro la Hass-Henze doctrine ponevano

in luce da un lato il carattere eccessivamente rigido della regola che

introduceva la presunzione legale, dall’altro il fatto che mancasse una

definizione univoca e costante dei concetti di isomeria, omologia ed

analogia.

L’isomeria infatti è una relazione puramente strutturale, che di solito

comporta la presenza di proprietà identiche o simili.

Per giunta la chimica non dispone di una sola definizione di isomeria, e

non è chiaro quale tra queste debba essere utilizzata nella Hass-Henze

doctrine.

58 In re Henze, 181 F.2d 196, 85 U.S.P.Q. 261 (CCPA, 1950). 59 I quali sul piano strutturale sono ancora più strettamente affini che i composti omologhi. 60 Anch’essi strutturalmente assai vicini. 61 A. Guttag, “The Hass-Henze doctrine”, in J.P.O.S., 1961, pag. 808 ss.

36

Anche i concetti di omologia ed analogia, con lievi differenze tra loro62,

si riferiscono a composti tra loro strutturalmente affini e con proprietà

simili.

Alla luce di tutto ciò, Di Cataldo63 rileva che l’uso del concetto di

isomeria, in ordine al problema dell’originalità, è rischioso, proprio

perché non ci si può basare per risolverlo su un concetto suscettibile di

avere più significati; per quanto riguarda l’analogia e l’omologia, l’uso

di questi due concetti appare addirittura incomprensibile, poiché se i

due composti hanno proprietà diverse, essi, per il chimico, non

possono essere considerati né omologhi né analoghi; di conseguenza

una regola come la Hass-Henze doctrine la quale sostenga che un

composto è brevettabile, anche se omologo o analogo ad un composto

noto, purchè presenti proprietà diverse, è, sempre secondo Di

Cataldo64, una regola assurda per un chimico, che ha tutt’altra

definizione dei concetti di omologia ed analogia.

Queste critiche contestavano la rigidità della regola della presunzione

legale e l’erroneo uso dei concetti chimici di rapporto tra i composti,

ma non toccavano il cambiamento che l’idea centrale della Hass-Henze

doctrine aveva portato: quella di dare rilievo alle proprietà del

composto, e non solo alla sua struttura, in ordine al giudizio di

originalità.

Tali questioni comunque indussero la CCPA ad una progressiva

modifica della propria giurisprudenza.

Nel 1963, nella causa In re Papesh, la CCPA privò la ovvietà strutturale

del ruolo di presunzione legale di non originalità, affermando che, nel

62 Nell’analogia forse si pone meno l’accento sull’affinità strutturale. 63 Di Cataldo, Sistema Brevettuale e settori della tecnica, op. cit., pag. 321. 64 Di Cataldo, ult. op. cit., pag. 321.

37

giudicare della obviousness del composto65, il giudice deve tenere conto

congiuntamente sia della struttura sia della proprietà nel loro

complesso; in questo senso la Papesh doctrine è stata anche definita

inseparability doctrine.

L’ovvietà strutturale ha quindi assunto negli U.S.A., e assume ancora

oggi, il ruolo di mera (possibile, non più legale) “presunzione” di

ovvietà con l’effetto di invertire l’onere della prova nel corso del

procedimento di brevettazione. Infatti, incombe inizialmente all’ufficio

l’onere di provare l’ovvietà del trovato, ed una volta che l’esaminatore

abbia dimostrato l’esistenza di una somiglianza strutturale con i

composti già noti tale da far presumere che quanto rivendicato sia

ovvio66, l’onere di dimostrare che l’invenzione non lo sia passa in capo

al richiedente.

Questa decisione segna una svolta nella giurisprudenza americana in

tema di non ovvietà dei composti chimici, non solo perché a partire da

essa le corti hanno iniziato a riconoscere in maniera sistematica

l’importanza dell’aspetto funzionale ai fini di giudicare la non ovvietà

del composto, ma anche perché, una volta introdotta la dimensione

funzionale, il giudizio ha assunto un carattere più concreto, e i giudici

hanno quindi avvertito la necessità, quando la novità era contestata

allegando l’esistenza nello stato della tecnica di composti

strutturalmente simili a quello oggetto di invenzione, di ricercare se vi

65 Nella specie il composto aveva proprietà anti-infiammatorie,mentre gli omologhi noti non

le avevano. 66“Prima facie case of obviousness”, il cui significato procedurale è ben delineato dalla Corte

Federale di appello (ex CCPA) nel caso In re Oetiker, 977 F.2d 1443 (1992).

38

fosse una “real world motivation for making a change in a

compound”67.

Di fatto, abbandonare l’idea della presunzione legale, significava aprire

la strada ad una maggiore rilevanza delle proprietà rispetto alla

struttura, e perciò adottare un atteggiamento meno severo nella

valutazione dell’originalità del composto strutturalmente ovvio.

Rimane la possibilità di dimostrare presuntivamente l’ovvietà

dell’invenzione solo quando, nello stato della tecnica, vi sono composti

dotati di struttura così prossima a quella del prodotto nuovo che, in

base alle conoscenze esistenti nel settore, si possa ritenere che essi

offrivano all’esperto del ramo una motivazione sufficiente a preparare

il nuovo prodotto nell’aspettativa di ottenere medesime o analoghe

proprietà.

Quel che è certo è che la giurisprudenza è ormai da tempo sicura

nell’escludere comunque l’operabilità della presunzione qualora,

nonostante l’esistenza di una somiglianza strutturale con i composti

noti, non sia rintracciabile nello stato della tecnica una motivazione

credibile, legata alla funzione, che avrebbe indotto il tecnico ad operare

le necessarie modificazioni o combinazioni per giungere al composto

rivendicato68.

Questa evoluzione della giurisprudenza statunitense volta ad ancorare

il giudizio di originalità del trovato chimico a concetti e regole diverse

da quelli usati per la meccanica, e più funzionali rispetto alle specifiche

esigenze del settore è confermata da un’altra pronuncia69 che

addirittura dichiarò brevettabile un composto strutturalmente ovvio,

67 Così Wegner,”Patent Law in Biotechnology Chemicals and Pharmaceuticals”, New York,

1994, pag. 245 68 In re Lalu, 747 F.2d 703 (CCPA 1979), In re Grabiak, 769 F.2d 729 (Fed. Cir. 1985). 69 In re Stemniski, 444 F.2d 581, 170 U.S.P.Q. 343 (CCPA, 1971).

39

avente le stesse proprietà presenti anche in composti omologhi

anteriori, ma in questi non ancora note.

In ogni caso la presunzione di ovvietà sarà sempre relativa, e la prova

contraria (cioè la dimostrazione di non ovvietà) può essere raggiunta

con la dimostrazione che il nuovo composto possiede proprietà

inattese assenti nei composti strutturalmente simili, oppure

dimostrando che nello stato della tecnica non esistevano motivazioni

sufficienti ad indurre l’esperto del ramo a modificare i composti noti

strutturalmente simili, perché ad esempio lo stato della tecnica non

conosceva alcuna utilità per i composti noti simili, e quindi non li

riteneva dotati di interesse per le ricerche successive70.

In quest’ottica, non è più necessario arrivare a dare una corretta

definizione dei concetti di omologia, isomeria e analogia, dal momento

che tali qualifiche non sono più fattori che condizionano l’applicazione

di una certa regola. Ciò che importa non è più qualificare la relazione

tra due composti (quello nuovo e quello noto allo stato della tecnica),

ma misurare la distanza strutturale tra essi, e, in rapporto a tale

distanza, valutare il rapporto di imprevedibilità, riferita al modello del

tecnico medio del settore, delle differenze di proprietà che devono

esigersi per il riconoscimento dell’originalità.

70 In re Dillon, 919 F.2d 688, 691 (Fed. Cir. 1990), dove si dice:”Such rebuttal or argument

can consist of a comparison of test data showing that the claimed compositions possess unexpectedly improved properties or properties that the prior art does not have..that the prior art is so deficient that there is no motivation to make what might otherwise appear to be obvious changes …or any other argument or presentation of evidence that is pertinent”. La presunzione di originalità potrebbe dunque essere superata, oltre che dalla prova dell’assenza di proprietà conosciute per i composti noti, anche dalla dimostrazione che il settore specifico è soggetto ad un tale grado di imprevedibilità, che non sussiste alcuna ragionevole aspettativa di ottenere risultati utili modificando i composti già presenti nello stato della tecnica.

40

Bisogna infine notare che l’esperienza giurisprudenziale statunitense,

partita da una visione in qualche modo “tradizionalista” (che vede

l’invenzione nel prodotto in sè, e che ritiene compresi nell’ambito

coperto dalla privativa tutti i possibili usi, noti o meno, del composto),

finisce per accogliere l’idea71 che l’invenzione risieda

nell’individuazione delle proprietà del prodotto, e che,

conseguentemente, l’ambito della privativa sia limitato all’uso

rivendicato.

Un giudizio sull’originalità del prodotto, svincolato dalle proprietà,

potrà indicare soltanto se esisteva un’astratta possibilità di realizzare

l’invenzione, ossia se il composto era tra quelli idonei ad essere

sintetizzati partendo dai composti già noti e dai procedimenti

disponibili; ma proprio perché trascura le ragioni tecniche che hanno

indotto l’inventore a operare le modificazioni necessarie per giungere

al trovato, non è sufficiente a dimostrare se il composto sarebbe stato

realizzato dal tecnico del ramo nell’esercizio delle sue ordinarie

capacità, e quindi se sia ovvio.

L’ovvietà strutturale conserva oggi un ruolo soltanto come strumento

di carattere procedurale, mirato ad allocare l’onere della prova nel

corso della procedura di brevettazione, e finalizzato a rendere più

efficiente l’esame preventivo delle domande di brevetto. Tuttavia, la

mera affinità strutturale non è più di norma considerata sufficiente

neppure per costituire una semplice presunzione di ovvietà, ed è

71 Ed il punto risulta molto evidente nella sentenza In re Stemniski, dove la Corte afferma:”A

discovery of an unexpected utility for a novel compound is evidence directly relevant to the issue of the unobviousness of the compounds claimed over those of the prior art. Where, as here, the utility discovered is not disclosed, thaugt or suggested for the prior art compounds, but in fact the art is silent on any utility for the prior art compounds, the discovery of the utility itself is evidence of the unobviousness of the novel compounds”.

41

richiesta a tal fine anche la dimostrazione di una somiglianza

funzionale72.

Per entrambi i problemi dell’originalità (ovvietà o non ovvietà della

struttura; ovvietà o non ovvietà della funzione), la sola indicazione

sicura di carattere generale, e cioè valida per ogni caso, rimane quella

che, facendo riferimento ai dati normativi, segnala l’esistenza della non

ovvietà della struttura o della funzione ogni qual volta un operatore

medio del settore non sarebbe in grado, rispettivamente di realizzare il

composto o di coglierne le proprietà.

72 In sede europea non si è sviluppata una dottrina analoga alla “prima facie obviousness”

(v. nota 53) della tradizione americana, essendo fermo il principio secondo cui, in fase di concessione del brevetto, spetta sempre all’ufficio l’onere della prova del difetto di requisiti. La Commissione di ricorso ritiene che una stretta somiglianza strutturale può portare al giudizio di ovvietà solo quando è accompagnata dalla piena dimostrazione, da parte dell’ufficio, che il tecnico si sarebbe ex ante ragionevolmente atteso un’identità o somiglianza di funzione dei composti simili. In particolare, in campo farmaceutico il tecnico del ramo si attenderà che un mutamento strutturale anche lieve abbia ripercussioni sull’attività farmacologica della struttura di partenza, a meno che non sia già nota la correlazione tra struttura chimica e funzione. Ne segue che una semplice somiglianza strutturale tra il nuovo composto e i composti noti non è di per sé sufficiente a far venir meno l’attività inventiva del nuovo composto, laddove di questo sia individuata una qualche proprietà utile, anche non necessariamente migliore e neppure diversa da quella posseduta da composti simili già noti. Sul punto si vedano le decisioni T 548/91 e T 643/96, entrambe nella banca dati elettronica dell’Epo, Espace legal, Monaco, 2003.

42

Capitolo 3: Estensione del brevetto chimico

1-Termini del problema: brevetto di prodotto o brevetto d’uso?

Uno degli interrogativi più importanti, relativi alle invenzioni in

questo campo, è sicuramente se il brevetto per un composto chimico

sia un brevetto di prodotto o un brevetto d’uso, se cioè l’ambito della

privativa sia assoluto, copra il prodotto in sé, in tutti i suoi possibili usi,

o se, invece, copra solo il prodotto in quanto destinato ad un

particolare uso, rivendicato dall’inventore nella domanda di brevetto.

Nel quesito proposto l’aggettivo “assoluto” deve essere inteso nel

senso che ogni successivo uso del nuovo prodotto chimico, anche se

diverso e non equivalente a quello descritto dall’inventore, non possa

avvenire senza il consenso del titolare del brevetto di prodotto; e ciò

anche se l’uso diverso abbia dato luogo a valida brevettazione separata.

La maggior parte dei sistemi non regola il punto con norme scritte, la

soluzione del problema è affidata ai giudici, e la risposta prevalente in

tutte le giurisprudenze nazionali sembra essere da sempre stata nel

senso che il brevetto sul nuovo composto chimico sia un brevetto di

prodotto.

Secondo Di Cataldo73 l’argomento più frequentemente ripetuto a

favore della tutela assoluta è quello dell’unità del sistema: poiché nella

meccanica il brevetto sul prodotto nuovo è sempre, si dice, un brevetto

di prodotto, con estensione svincolata dall’uso, la stessa regola deve

valere per la chimica. 73Di Cataldo, Riflessioni sul brevetto chimico, op. cit., pag 328.

43

Gioca principalmente a favore della protezione assoluta del nuovo

composto chimico anche l’argomento secondo cui l’industria chimica

di base, che investe capitali enormi nella ricerca, non può tollerare la

prospettiva che, una volta percorse vie tecnologicamente lunghe e

difficoltose, con superamento di problemi che possono richiedere

un’elevata preparazione professionale, e ingenti costi, e una volta

constatato che un nuovo trovato chimico possiede in grado notevole

una certa proprietà che lo rende commercialmente importante e

remunerativo dell’investimento nella ricerca, un qualunque terzo che

scopra una diversa utilità dello stesso composto possa approfittare

dello studio altrui e mettersi a produrre liberamente il composto per

poi commerciarlo per il diverso uso.

Secondo parte della dottrina74, infatti, in questo modo lo scopritore del

nuovo, inventivo uso di un prodotto chimico già brevettato sarebbe

nella possibilità di brevettare il nuovo uso, che verrebbe peraltro

inibito al primo inventore, mettendo in funzione quel meccanismo

delle reciproche licenze che il C.P.I opportunamente regola75.

Altro argomento a favore della protezione assoluta deriva dal fatto che

la ricerca delle nuove classi di composti chimici non si svolge “alla

cieca”, ma sulla base di intuizioni in merito alla convenienza di

preparare strutture molecolari che l’esperienza del ricercatore gli fa

sperare che possiedano determinati effetti. Già questa intuizione

primaria, associata al superamento dei problemi di sintesi, meriterebbe

74 M. Bellenghi, Nuovo prodotto chimico: protezione brevettuale assoluta o limitata all’uso?,

in Rivista di diritto industriale, 1986, pag. 186. Altri sostenitori della teoria della tutela assoluta sono: Sena, I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali, Milano, 1990; Marsico, Brevetto di prodotto chimico-farmaceutico, protezione assoluta, formule generali e sufficienza di descrizione, in Riv. Dir. Ind., 1990; Sgarbi, La brevettazione dei prodotti chimici intermedi, ivi, 1990.

75 Ex art. 71 sul brevetto dipendente.

44

in teoria un premio superiore a quello riconoscibile a chi adattasse il

risultato del lavoro e dell’investimento altrui a fini diversi da quelli

precedentemente investigati e verificati.

“La relativizzazione della protezione del prodotto chimico si

risolverebbe , quindi, in una disincentivazione dello sforzo di ricerca

per l’incertezza sulla futura remunerazione di detto sforzo”76.

Un’ultima obiezione77 contro l’idea che l’estensione del brevetto sia

sempre limitata in ragione dell’uso rivendicato fa leva sulle difficoltà

tecniche di difesa che una privativa così delineata incontra nel giudizio

di contraffazione. La difesa infatti sarebbe assai difficile ogni volta che

il trovato, utilizzabile in diversi modi, sia destinato all’uso individuale:

in tal caso l’azione di contraffazione contro l’utilizzatore sarebbe

impedita dalla regola che sancisce la liceità dell’uso personale78, e,

soprattutto, da ragioni pratiche.

Il titolare del primo brevetto, infatti, oltre alle difficoltà di

individuazione dei soggetti da chiamare in giudizio (non essendo facile

aver notizia di usi privati), non potrebbe neanche rivolgersi contro

produttori o commercianti del prodotto, in quanto, essendo il prodotto

capace di usi non protetti dal suo brevetto, la sua produzione e la sua

circolazione non sono illeciti.

Il brevetto di prodotto, invece, consentendo di qualificare illecita la

produzione e la messa in vendita del prodotto in sé, delinea una

privativa molto più agevolmente difendibile.

76 M. Bellenghi, Nuovo prodotto chimico: protezione brevettuale assoluta o limitata all’uso?,

op. cit., 1986, pag. 187. 77 V.M. McGuffey, Patentability of chemical compounds, New York, 1979, pag. 194. 78 Ex art. 68, comma 1,lett.a,C.P.I.

45

Ci si è chiesti79 se una tutela estesa a tutti gli usi sia logicamente

coerente con la possibilità di brevettare successivamente un nuovo ed

originale uso che venga individuato per il composto già brevettato,

posto che tale eventualità implica che l’inventore del nuovo uso possa

vietare a chiunque, e quindi anche al titolare del primo brevetto di

prodotto, di attuare il nuovo uso brevettato. Per superare questa

apparente contraddizione si è suggerito che la tutela assoluta debba

essere considerata come una tutela che si articola secondo due

differenti modalità, visualizzabili come due “cerchi concentrici”, con

una copertura “diretta” degli usi descritti e rivendicati e di quelli

equivalenti, con una copertura “indiretta” (secondo lo schema delle

invenzioni dipendenti) per tutti gli usi nuovi ed originali

successivamente individuabili.

Nel caso della tutela assoluta, il diritto di vietare a terzi di sfruttare

l’oggetto dell’invenzione si estenderà allo sfruttamento del prodotto

per qualsiasi uso già noto o anche successivamente individuato; il

brevetto di nuovo uso attribuirà a sua volta un diritto di vietare, ma

limitato all’uso rivendicato. Le due modalità di tutela, quindi, sono il

risultato del diverso atteggiarsi del diritto di esclusiva sul prodotto, a

seconda che esso venga a sovrapporsi oppure no un nuovo diritto di

esclusiva concorrente su nuovi usi.

Argomentazione contraria alla protezione assoluta può essere intesa

quella che sostiene che il brevetto di prodotto, di per sé, contrasterebbe

con i princìpi teorici del diritto brevettuale.

L’invenzione, infatti, non può accedere a protezione se non è completa

di tutti i suoi requisiti (novità, originalità, industrialità) e se non è

79

Di Cataldo, La problematica delle invenzioni chimiche, op.cit., pag. 76 ss.

46

sufficientemente descritta nel documento presentato a sostegno della

domanda di brevetto80.

Se si rinunciasse a questo concetto d’invenzione, ci si avvierebbe verso

una protezione assoluta che addirittura prescinderebbe da un’utilità

immediata, che è requisito fondamentale.

Per nuova sostanza chimica brevettabile si intenderebbe quindi un

qualcosa di potenzialmente utilizzabile in futuro per qualche scopo che

al momento non è stato ancora identificato. Ciò andrebbe dunque

contro lo spirito del requisito della sufficiente descrizione e

risulterebbe come un’estensione dell’ambito della protezione oltre i

limiti verificati e descritti dall’inventore.

Conseguenza della protezione assoluta del prodotto sarebbe pertanto

uno scoraggiamento dello studio di nuovi sviluppi in un determinato

settore tecnologico81.

Oltretutto, riguardo al problema della contraffazione, non sarebbe

corretto utilizzare le difficoltà di difesa di una privativa solo in

relazione all’uso per affermare che il brevetto sul nuovo trovato

sarebbe un brevetto di prodotto in senso sostanziale.

Piuttosto, ed è necessario aggiungere che i problemi di protezione

appena evocati sono in gran parte comuni a tutti i brevetti di

procedimento82, il miglioramento delle possibilità di difesa sul brevetto

di nuovo uso deve passare attraverso una riflessione sulla figura della

contraffazione indiretta83, la quale comprende i casi in cui un’attività di

produzione o di vendita di un bene, in sé non illecita, perché avente ad

80 Ex art. 76,lett.b,C.P.I. 81 Quest’ultimo argomento è lo stesso usato dai sostenitori della protezione assoluta,

ovviamente in senso contrario. 82

Dove è meno semplice scoprire la contraffazione, diversamente dai brevetti di prodotto. 83 Negli U.S.A. la fattispecie invocata è il c.d. contributory infringiment, previsto dall art 271

del Patent Act. Si veda M.A. Auslander, Chemical inventions, op.cit., pag. 906 ss.

47

oggetto un bene non brevettato, lo diviene quando rivolta

univocamente alla fornitura del prodotto a soggetti i quali lo

utilizzeranno in violazione di un’altrui privativa.

In particolare, in alcune situazioni si potrebbe ritenere

presuntivamente provata la contraffazione con la sola dimostrazione

della disponibilità del prodotto da parte del terzo accusato di

contraffazione, onerando l’utilizzatore o il fornitore convenuti della

prova dell’uso (diverso da quello coperto dal brevetto) al quale il

prodotto è destinato e degli altri elementi di fatto che escludano la

contraffazione indiretta.

Secondo Di Cataldo84 una protezione efficace del brevetto è possibile

solo qualificando come contraffazione già la produzione e la vendita

del composto quando questo viene venduto in dosi, in confezioni, con

istruzioni, con additivi o in stati fisici che siano funzionali

esclusivamente rispetto all’uso brevettato. Il sistema italiano, tuttavia,

non dispone ancora di norme che vietino esplicitamente le ipotesi

sopra descritte85

Per quanto riguarda le sostanze chimico-farmaceutiche, il primo a

porsi il problema della qualificazione del brevetto di prodotto

nell’ordinamento italiano è stato Floridia86, secondo il quale una

sostanza chimica di qualsiasi natura della quale non si conoscono le

possibilità di impiego in una qualsiasi direzione che sia utile al

soddisfacimento dei bisogni umani non è brevettabile; lo è solo in

concomitanza e nei limiti delle indicazioni delle possibilità d’impiego.

84 Vanzetti-Di Cataldo, Manuale, op.cit., pag. 414. 85 Sono dette illecite dall’art 30 della Convenzione di Lussemburgo sul brevetto

comunitario, sottoscritta il 15 dicembre 1975, ma non ancora entrata in vigore. 86 V.G. Floridia, L’invenzione farmaceutica nel sistema italiano dei brevetti, in Quad. giur.

comm., Milano, 1985, pag. 41 ss.

48

Per questo Autore, dunque, ”la scoperta delle proprietà che consentono una

nuova utilizzazione di una sostanza nota darebbe origine ad un’invenzione

nuova, sicchè la facoltà esclusiva non concerne l’uso in quanto tale del

prodotto noto e non conferisce il diritto di impedire ai terzi di utilizzare la

sostanza per soddisfare il bisogno secondo l’insegnamento inventivo, ma

concerne la fabbricazione e la vendita di un prodotto specificamente destinato

ad essere consumato per il soddisfacimento del bisogno al quale è reso idoneo

dalla scoperta delle proprietà prima ignote”87.

La tesi di Floridia è che tutte le invenzioni di prodotto non riguardino

mai il prodotto in sé e per sé, e cioè a prescindere dall’uso che ne viene

fatto per soddisfare un bisogno dell’uomo, ma solo il prodotto in

funzione dell’uso.

“Se questa è la regola generale”, prosegue l’Autore, “a maggior ragione essa

dovrebbe valere nel campo della chimica e, in particolare, nel campo delle

invenzioni farmaceutiche nel quale è più frequente che il composto, pur

caratterizzato dalla stessa struttura molecolare del composto noto (impiegato

per un determinato uso), presenti inaspettate caratteristiche che lo rendono

idoneo ad un uso diverso, dando luogo, così, ad una nuova invenzione

proteggibile con un nuovo brevetto, che dovrebbe essere a sua volta considerato

un brevetto di prodotto”.

Sempre secondo Floridia, nell’ordinamento italiano, come pure

nell’ordinamento della CBE, non ci sarebbe il minimo dubbio che

anche la cosiddetta invenzione d’uso venga configurata come

un’invenzione di prodotto, e non di procedimento, proprio in quanto,

agli effetti del diritto esclusivo, conferisce al titolare l’esclusività della

fabbricazione e vendita del prodotto destinato a soddisfare il bisogno

87 V.G. Floridia, ult. op. cit., pag. 63.

49

nuovo e diverso rispetto a quello soddisfatto in precedenza da un

prodotto ottenuto con la stessa sostanza.

Autorevole conferma di ciò si rinviene nella sentenza della Corte di

cassazione del 28 giugno 200188, la quale spiega che: “…l’attività di

ricerca del prodotto chimico si caratterizza sovente per essere diretta

all’ulteriore utilizzazione di principi, composti e persino di procedimenti noti.

Tant’è che è esperienza costante che il giudizio di contraffazione deve affidarsi

alla comparazione tra gli usi possibili del prodotto piuttosto che alla sua

formula di struttura. Il che la dottrina sintetizza nell’affermazione per la quale

la rivelazione del nuovo uso di un prodotto noto non è meno importante, dal

punto di vista della logica del brevetto, della realizzazione di un prodotto

nuovo”.

La Suprema Corte ha proseguito precisando: “…non vi sono ragioni per

negare l’adottabilità nel campo della chimica di nozioni sperimentate nel

campo della meccanica. La migliore dottrina, infatti, ha chiarito che il concetto

di nuovo uso corrisponde al concetto di traslazione89. È pertanto possibile la

brevettabilità dell’applicazione nuova di un uso già noto purchè ciò avvenga

da una materia ad un’altra ed in tale passaggio si realizzi una funzione in

quanto tale sconosciuta alla precedente applicazione”.

Questa giurisprudenza perviene alla conclusione che il brevetto di

nuovo uso è rilevante in tutto e per tutto come un brevetto di prodotto,

proprio in quanto conferisce il diritto esclusivo di fabbricare e vendere

il prodotto originato dalla scoperta delle proprietà che rendono la

sostanza nota adatta ad un nuovo uso.

Per analizzare meglio queste problematiche, partirei dal presupposto

dell’unità del sistema, ed esaminerei per prima cosa se il brevetto per la

88 In Giurisprudenza annotata di diritto industriale, 2001, n. 8879, pag. 91 ss. 89 Si veda il paragrafo successivo.

50

meccanica sia veramente un brevetto di prodotto o, come sostiene

Floridia, un brevetto d’uso, coordinando ciò con la regola, presente in

Italia, che dichiara brevettabile il nuovo uso di un prodotto noto90.

Farò poi una comparazione con l’esperienza statunitense riguardo al

nuovo uso del composto chimico, fino ad arrivare a chiarire che tipo di

rapporti possono crearsi tra brevetto di prodotto e brevetto di nuovo

uso.

2-Confronto tra brevetto di traslazione e brevetto di nuovo uso

In riferimento alla meccanica, come ho precedentemente sottolineato, si

dice generalmente che il brevetto sul prodotto nuovo è un brevetto di

prodotto, che ne copre tutti i possibili usi91.

Si è sempre ammessa, d’altra parte, la brevettabilità dell’invenzione

consistente in un prodotto noto, quando trasferito in un settore diverso;

è il caso della invenzione di traslazione.

Questa invenzione consiste, secondo la Suprema Corte, “nella

trasposizione di un principio noto o di una precedente invenzione ad un

risultato finale diverso”92, ovvero nella “applicazione di un prodotto o di un

processo noto a prodotti o processi diversi, che si traduca in nuovi risultati

imprevisti del prodotto o del processo usato, diversi da quelli in relazione ai

quali è individuata l’invenzione precedente”93

90 Ex art. 46, comma 4, C.P.I. 91 Tale illimitato diritto viene ironicamente definito “some mystical right” da L.L. Hewitt, The

new use patent, in J.P.O.S., 1969, pag. 639 ss. 92 Cass. 10 novembre 1976, n. 4129, in Giur. ann. dir. ind., 1976, n. 794/7. 93 Cass. 7 settembre 1984, n. 4778, in Giur. ann. dir. ind., 1984, n. 1712/1.

51

La brevettabilità di questo tipo di invenzione dipende da una

valutazione di originalità dello standard pari a quello delle altre94, che

si struttura in termini di equivalenza: per accertare se la traslazione sia

da considerare evidente o non evidente per il tecnico medio del settore,

il giudice si chiede se il nuovo modo di utilizzare il prodotto noto sia

da valutare equivalente o meno al modo già noto di utilizzare quello

stesso prodotto. Il concetto di equivalenza non è definito da nessuna

norma in nessun ordinamento, e nei vari sistemi nazionali la

giurisprudenza ha creato formule e criteri tra loro differenti.

Secondo Di Cataldo95 “il concetto di equivalenza attiene all’idea di soluzione

del problema, e non al problema affrontato, che di regola sarà lo stesso.”

Nella giurisprudenza statunitense un elemento può essere considerato

equivalente ad un altro coperto da brevetto se esso svolge la stessa

funzione dell’elemento brevettato, la svolge nello stesso modo e

produce sostanzialmente lo stesso risultato ( c.d. triple test).

Spesso nell’esperienza europea si dice invece che un elemento è

equivalente ad un altro se per una persona esperta del ramo è ovvio

che suo tramite può prodursi lo stesso risultato che viene prodotto per

mezzo dell’elemento brevettato. Detto ciò, si comprende come il

giudizio di equivalenza abbia un nesso logico molto forte con il

giudizio di non evidenza.

Tornando al discorso sulla traslazione, se si afferma l’equivalenza, il

nuovo modo rientra nell’ambito del precedente brevetto su quel

prodotto, e non c’è traslazione brevettabile. Se si afferma la non

equivalenza, si ha traslazione brevettabile: il nuovo brevetto coprirà

94 M. Franzosi, L’invenzione, 1965, pag. 189 ss. 95 Vanzetti-Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, op.cit., pag. 412.

52

non solo la nuova utilizzazione, ma anche tutte le utilizzazioni ad essa

equivalenti.

Ne risulta quindi che il primo brevetto non coprirà tutti gli usi del

prodotto, ma solo l’uso rivendicato e tutti quelli ad esso equivalenti.

Questa regola è presente, seppur spesso in modo non scritto, in tutti i

sistemi moderni, compreso il nostro. La sua logica è facilmente

individuabile, poiché si ricollega alle funzioni di incentivo alla ricerca

secondaria.

Non sarebbe corretto, infatti, attribuire all’inventore un’esclusiva su usi

del prodotto che non rientrano tra quelli da lui pensati e rivelati; come

non sarebbe corretto che l’individuazione successiva di un uso

inventivo di un prodotto noto torni a vantaggio di chi ha brevettato il

prodotto per un uso diverso.

La regola realizza una soluzione equilibrata del conflitto tra il primo

inventore del prodotto, che di esso ha pensato e rivelato solo certe

possibilità d’uso, ed il secondo inventore, che pensa e rivela, dello

stesso prodotto, altri usi (non equivalenti al primo): in questo modo

ciascuno dei due ottiene l’esclusiva su ciò che ha inventato.

Bisogna notare come la brevettabilità della traslazione, e la

conseguente limitazione all’uso del brevetto originario, costituiscono

una forte conferma dell’idea secondo la quale l’invenzione esige

sempre una precisa (anche se implicita) indicazione dell’uso che si

propone per il nuovo prodotto, non essendo sufficiente la sola

indicazione della struttura o del procedimento.

Il continuo sostenere che il brevetto sul prodotto nuovo copra tutti gli

usi del prodotto deriva soprattutto dal fatto che quando si tratta di

meccanica, la struttura del prodotto risulta condizionata in termini così

stretti dalla sua funzione, che la possibilità di adattare lo stesso

53

prodotto (invariato) ad un compito diverso, si realizza in casi molto

rari96.

A mio modo di vedere, quindi, il brevetto sul prodotto nuovo nella

meccanica sarebbe da considerare un brevetto d’uso.

L’espressione “brevetto di prodotto”, avendone ben chiaro il

significato, si può tranquillamente usare quando manchi un brevetto di

traslazione. Se questa non vi è, infatti, e il prodotto è quindi coperto da

un solo brevetto, il titolare può convenire in giudizio chiunque

produca, venda, o usi il prodotto, senza evocare il tema del tipo d’uso.

Questo tema non viene neanche introdotto d’ufficio dal giudice, solo il

convenuto lo può eccepire, con però l’onere di provare che l’uso cui è

destinato il prodotto è diverso e non equivalente a quello per il quale il

prodotto è stato brevettato.

La regola è sostanzialmente identica, ma processualmente diversa, se

vi è una traslazione brevettata.

In questo caso il titolare del primo brevetto che agisce per

contraffazione deve provare non solo che il convenuto produce, vende

o usa il prodotto brevettato, ma anche l’uso cui è da lui destinato il

prodotto è un uso identico o equivalente a quello per il quale il

prodotto è stato da lui brevettato.

Detto questo, ecco dove è importante notare la differenza

terminologica tra brevetto di prodotto e brevetto d’uso: essa ha un

significato sul piano processuale.

L’espressione “brevetto di prodotto” starebbe quindi ad indicare non,

come si pensa, che il titolare del brevetto ha un diritto di esclusiva su

tutti gli usi del prodotto, ma che il titolare del brevetto (se non c’è

96 G. Sena, I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali, I edizione,

Milano, 1976, pag. 93 ss.

54

traslazione brevettata) è assistito da una presunzione semplice di

equivalenza tra l’uso brevettato ed ogni altro uso. Presunzione questa

fondata sulla comune esperienza97 secondo la quale, nella meccanica, il

nuovo uso non equivalente è un’ipotesi marginale.

Per quanto riguarda la chimica, se si vuole applicare la regola del

brevetto meccanico, riconoscendole portata generale, si deve pervenire

all’idea che anche il brevetto chimico è sempre un brevetto che copre

solo certi usi del prodotto (quello rivelato e quelli ad esso equivalenti).

Bisogna poi vedere sia il caso di estendere al brevetto chimico la

presunzione di equivalenza di ogni nuovo uso che, come si è visto,

assiste il brevetto meccanico.

Mi trovo d’accordo con Di Cataldo98 quando dice che la risposta

preferibile è sicuramente quella negativa.

La comune esperienza, infatti, rivela che l’individuazione di nuovi usi

di composti chimici è assai frequente.

Di conseguenza il brevetto sul nuovo composto chimico deve

considerarsi brevetto d’uso, non solo in senso sostanziale, ma anche in

senso processuale.

Mentre nella meccanica l’uso riservato si manifesta nella descrizione

brevettuale in termini molto semplici e chiari99, per il composto

chimico invece bisogna arrivare ad una certa analiticità

dell’indicazione di uso; bisognerà infatti segnalare non solo il tipo

generale di uso (ad esempio, quello terapeutico), ma anche indicare lo

specifico problema nei cui confronti il composto possa vantare una

risposta positiva (ad esempio, antiepilettico o anticoagulante).

97 E ricavabile, nel nostro sistema, dall’art. 2729 c.c. sulle presunzioni semplici. 98 Di Cataldo, Riflessioni sul brevetto chimico, op. cit., pag. 335. 99 Tanto che, come precedentemente affermato, l’indicazione dell’uso può anche essere

solo implicita, purchè leggibile dal tecnico medio.

55

Una volta che si chiarisce come deve essere formulata l’indicazione

d’uso, da questa dipenderà non solo l’estensione del primo brevetto,

ma anche la maggiore o minore estensione degli eventuali brevetti di

usi successivi.

Sulla base di queste considerazioni, per quanto riguarda il giudizio di

novità del composto chimico, guardando allo stato della tecnica,

bisognerà perciò riferirsi agli usi, e non solo alle strutture100.

Un unico brevetto potrà anche coprire più composti, purchè abbiano

analoga struttura e siano volti alla stessa funzione o a funzioni

equivalenti; purchè si tratti, cioè, di composti omogenei in senso

strutturale e funzionale.

Occorreranno, invece, diverse domande di brevetto se composti

derivanti dalla stessa formula generale siano capaci di funzioni diverse.

L’individuazione di un uso diverso (e non equivalente) a quello

descritto per i composti della classe rivendicata darà luogo ad una

nuova invenzione, e comunque non ricadrà nell’ambito di esclusiva

riservato al titolare del primo brevetto.

Infine il brevetto su formula generale coprirà anche i composti non

singolarmente individuati dalla domanda di brevetto, purchè si tratti

di composti strutturalmente e funzionalmente omogenei a quelli

indicati, e desumibili dalla formula generale senza dispiego di ulteriore

attività inventiva.

100 L.L. Hewitt, The new use patent, op.cit., pag. 637.

56

(segue)2.1-Identità sostanziale e differenza processuale

A questo punto si può correttamente sostenere che il nuovo uso del

composto chimico è concettualmente identico alla traslazione del

prodotto meccanico, e che quindi le regole sostanziali devono essere le

stesse.

In realtà si potrebbe pensare che traslazione e nuovo uso differiscano

per il fatto che il primo concerne il passaggio del trovato noto ad un

settore diverso, mentre il secondo si svolge all’interno di un unico

settore della tecnica101.

Quest’opinione102 sarebbe teoricamente accettabile, ma ha il difetto di

delineare da un lato settori troppo ampi (ad esempio la farmacologia),

che in realtà possono prevedere gli usi più diversi, dall’altro settori

assai ristretti (nella meccanica), in modo tale da poter sostenere il

passaggio di settore anche per un uso molto simile.

Diversa invece è, come si è già detto, la regola processuale: la

presunzione semplice di equivalenza di ogni nuovo uso, che assiste il

brevetto meccanico, non è presente nel brevetto chimico, visto che

l’eventualità di nuovo uso non equivalente per il composto chimico

non è così marginale come per il prodotto meccanico.

Sarà quindi sempre riferito all’attore l’onere della prova

dell’equivalenza dell’uso del convenuto rispetto all’uso protetto.

101 Dice infatti la Suprema Corte:”è possibile nel campo della chimica la brevettabilità

dell’applicazione nuova di uso già noto, purchè ciò avvenga da una materia ad un’altra ed in tale passaggio si realizzi una funzione in quanto tale sconosciuta alla precedente applicazione”. Cass. 28 giugno 2001, n. 8879, in Giur. ann. dir. ind., 2001, n. 4209/3, pag. 91 ss.

102 E.Mantovani, Commento all’art.14, in Le nuove leggi civ. comm., 1981, pag. 731.

57

3-Nuovo uso del composto chimico nella giurisprudenza statunitense

Il pensiero giuridico americano è sempre rimasto fermo nell’asserire

che l’esclusiva sul prodotto si estende a tutti gli usi del medesimo.

Veniva sì riconosciuta la possibilità, per lo scopritore di una nuova

utilizzazione di un prodotto noto, di ottenere un brevetto su tale

utilizzazione103, sempre che venissero soddisfatti i generali requisiti di

novità, originalità ed utility, ma ciò nulla toglieva all’assolutezza

dell’esclusiva in capo all’inventore del prodotto originario.

Postulando che la regola doveva essere uguale per tutti i tipi di

invenzione, l’invenzione chimica veniva quindi colta nel prodotto in

sé104, ed ogni nuovo uso del prodotto noto tendeva a rifluire nella sfera

di protezione del brevetto stesso.

Nonostante il sistema statunitense conoscesse già la regola della

brevettabilità della traslazione per l’invenzione meccanica, e quindi

sarebbe potuto pervenire anch’esso all’idea del brevetto come brevetto

sempre d’uso e non di prodotto, i giudici d’oltre oceano ritennero

assente la novità ogni volta che il trovato veniva trasferito identico al

diverso campo di utilizzazione105.

Quest’idea si rivelò sicuramente erronea, poichè, nel caso della

traslazione, non è il prodotto che deve intendersi come invenzione, ma

il trasferimento del prodotto noto ad altro tipo di uso, ed è a questo che

bisogna riferire i tre requisiti di validità.

Inizialmente, invece, l’obiezione dell’assenza di novità fu aggirata

affermando la liceità della traslazione brevettuale ogni qual volta il

103 A norma del combinato disposto degli art. 100 e 101 del 35 USC (Patents). 104 Salvo condizionare il rilascio del brevetto ad almeno un possibile uso. 105

Di Cataldo, Riflessioni sul brevetto chimico, op. cit., pag.338.

58

prodotto avesse subito un minimo di modifiche, anche se prive di

livello inventivo (doctrine of slight changes)106.

Questa via, accettabile nella traslazione meccanica (dove spesso le

variazioni del prodotto sono minime e solo formali), si rivelava però

del tutto inadeguata per la chimica: qui infatti, se ci sono diversi usi

che attengono ad unico, identico composto, non vi è alcuna possibilità

di una differenziazione, anche solo formale. Per cui si affermò, almeno

fino agli anni 50’, che l’individuazione del nuovo uso di un composto

chimico noto fosse non brevettabile per assenza di novità,

indipendentemente dall’originalità dell’idea107.

Questa soluzione iniziò ad essere considerata insoddisfacente perfino

dai giudici che l’applicavano, visto l’impedimento di premiare in

qualche modo invenzioni che in realtà risultavano di grande rilievo.

Si arrivò finalmente alla riforma del Patent Act del 1952 che previde in

una nuova Section 100(b) la brevettabilità del “new use of known process,

machine, manufacture, composition of matter, or material”.

Indipendentemente dalla presente riforma, a differenza di quasi tutti i

sistemi europei, la dottrina statunitense cominciò tuttavia ad intendere

il brevetto sul nuovo uso come un brevetto di procedimento108,

considerandolo quindi non diversamente da un brevetto su un

prodotto nuovo.

Si è perciò mantenuta una sicura differenza tra brevetto di traslazione

per la meccanica e brevetto di nuovo uso per la chimica, a cui si è

106 Questa dottrina trova il consenso di Franzosi, L’invenzione, op. cit., pag. 205, nota 51. 107 Si ricordi la decisione In re Thuau, 135 F.2d 344, U.S.P.Q. 324 (CCPA, 1943). In questo

caso l’inventore chiedeva invano il brevetto per il nuovo uso terapeutico di un prodotto noto come colorante. Questa Thuau doctrine fu applicata dalla CCPA con qualche oscillazione fino alla riforma del Patent Act del 1952.

108 Come in Francia,dove si afferma che il brevetto sulla “application nouvelle de moyens connus” è sempre un brevetto di procedimento (P. Roubier,”le droit de la propriètè industrielle”, pag 74).

59

addirittura aggiunta una differenza strutturale tra il primo brevetto sul

composto e il secondo brevetto di nuovo uso, che invece non sussiste

nel caso della traslazione109.

Si tratta quindi di stabilire se sia corretto che la categoria delle

invenzioni di uso sia concepita per essere assimilabile alla invenzione

di procedimento oppure all’invenzione di prodotto.

Nell’ordinamento italiano, così come nell’ordinamento della

Convenzione di Monaco sul brevetto europeo, non c’è il minimo

dubbio che anche la cosiddetta invenzione d’uso viene configurata

come un’invenzione di prodotto proprio in quanto, agli effetti del

diritto esclusivo, conferisce al titolare l’esclusività della fabbricazione e

vendita del prodotto destinato a soddisfare il bisogno nuovo e diverso

rispetto a quello soddisfatto in precedenza da un prodotto ottenuto con

la stessa sostanza.

4-Rapporti tra brevetto di prodotto e brevetto di nuovo uso

Il brevetto di nuovo uso, introdotto in Italia con una regola di carattere

generale110, è presente con una espressa previsione normativa anche

nel sistema del brevetto europeo111.

Ciò premesso, ci sono varie correnti di pensiero riguardo il rapporto

che deve sussistere tra il primo brevetto e il successivo brevetto di

nuovo uso.

109

Di Cataldo, Riflessioni sul brevetto chimico, op. cit., pag. 340. 110 Ex art. 46, comma 4, C.P.I. 111 Ex art. 54 CBE.

60

Una prima tesi112, che si ritrova nella dottrina statunitense, ritiene il

secondo brevetto (quand’anche sia considerato di procedimento)

dipendente dal primo, in quanto il titolare del brevetto di nuovo uso,

nell’utilizzazione della sua privativa, deve in qualche modo “fare i

conti” con il titolare del primo brevetto, così che l’utilizzazione del

brevetto di nuovo uso passerebbe attraverso una licenza113, negoziale o

obbligatoria, sul primo brevetto.

Anche secondo Sena114 ciò che distingue l’invenzione di prodotto tout

court dall’invenzione sul prodotto ottenuto mediante la nuova

utilizzazione di una sostanza nota è che il brevetto ottenuto su

quest’ultima invenzione è dipendente dal brevetto ancora in vigore,

ottenuto in precedenza sull’invenzione avente per oggetto la medesima

sostanza, con la conseguenza che il titolare del brevetto cosiddetto di

uso non può attuare la sua invenzione senza il consenso del titolare sul

brevetto principale, oppure senza aver ottenuto una licenza

obbligatoria sul brevetto principale.

Floridia115 si è contrapposto nettamente alla tesi di Sena, spiegando

che: “quando le due invenzioni di prodotto (quella sul primo uso e quella sul

secondo uso della medesima sostanza) sono completamente indipendenti dal

punto di vista inventivo, e non si implicano vicendevolmente, allora possono

essere sfruttate dai titolari dei relativi brevetti in modo reciprocamente

indipendente”.

Per quanto riguarda il rischio di penalizzare, in questo modo, la ricerca

primaria, la soluzione indicata da Floridia è quella di proporre di

112 L.L. Hewitt, The new use patent, op. cit, pag. 634. 113 In Italia Ex art. 71 C.P.I. 114 Sena, I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali, op. cit., 1990, pag. 103 ss.; Sena ha

decisamente mutato opinione dopo che, nella prima edizione dell’opera del 1976, si era espresso a favore di una tutela limitata all’uso.

115 Floridia, L’invenzione farmaceutica nel sistema italiano dei brevetti, op. cit., pag. 84.

61

distinguere appunto tra ricerca primaria e secondaria: primaria quella

che si traduce sul piano inventivo nella creazione di una nuova

sostanza chimica la quale (nonostante di tale prodotto non siano

indicate specifiche proprietà utili all’uomo) può formare oggetto di un

brevetto di procedimento (“non potendo il concetto giuridico di invenzione

di prodotto”, sempre secondo l’Autore, “prescindere da un indicazione di

uso per il soddisfacimento di un bisogno di consumo”) e non di prodotto,

secondaria quella che procede alla scoperta delle caratteristiche delle

proprietà della sostanza e che si traduce nella creazione di una o più

nuove entità di consumo le quali formano oggetto di uno o più brevetti

di prodotto.

Sul problema è intervenuto anche Di Cataldo116, il quale, in un primo

tempo sostenne ciò: se si tiene presente che l’individuazione di un

nuovo uso è invenzione brevettabile solo se dotata di originalità, e che

l’originalità dell’invenzione di nuovo uso si esprime in termini di non

equivalenza rispetto all’uso già noto, bisognerà dirsi che il primo

brevetto sul composto nuovo ed il brevetto di nuovo uso per lo stesso

composto (così come per il brevetto di traslazione) saranno tra loro del

tutto indipendenti.

Una prova di questa tesi emerge considerando l’ipotesi in cui il nuovo

uso non equivalente non sia oggetto di un successivo brevetto, ad

esempio perché una predivulgazione dello stesso inventore abbia fatto

venir meno la novità del trovato: in questo caso il nuovo uso non

rientrerà nell’ambito di protezione del primo brevetto, sarà un nuovo

uso disponibile a tutti, in pubblico dominio.

116 Di Cataldo, Riflessioni sul brevetto chimico, op. cit., pag. 343 ss.

62

Lo stesso Di Cataldo117 però, nel corso degli anni, ha mitigato la sua

posizione, cercando di trovare una via di mezzo fra le teorie

precedenti, partendo dai seguenti presupposti.

Se si ritiene che l’invenzione chimica stia essenzialmente nella funzione

del composto, e assimilando questa alla traslazione della meccanica, si

è sostenuta, come abbiamo visto, l’assoluta indipendenza dei due

brevetti.

Cogliendo, invece, l’invenzione chimica essenzialmente nella sua

struttura, e valorizzando il debito di chi individua il nuovo uso verso

chi ha inventato il composto, debito che si avverte nel mondo della

ricerca, si è proposto appunto di instaurare tra i due brevetti un nesso

di dipendenza, con l’eventuale successivo intervento delle licenze,

volontaria o obbligatoria.

Partendo da questi presupposti discordanti, la nuova teoria di Di

Cataldo si propone di non considerare le invenzioni di nuovo uso tutte

uguali e, quindi, di non assoggettarle ad una soluzione identica.

Si dice che le ipotesi di individuazione di un nuovo uso di un

composto noto coperto da brevetto anteriore (o addirittura di pubblico

dominio) dovrebbero essere distinte a seconda che il composto fosse,

alla data della sua prima invenzione, strutturalmente nuovo ed

originale o strutturalmente nuovo ma non originale (originale solo in

quanto alla funzione).

Nel caso di individuazione di un uso nuovo ed originale per un

composto che, alla data della prima invenzione, fosse nuovo e

strutturalmente originale, può ritenersi esistente un debito importante

dell’inventore del nuovo uso rispetto al primo inventore.

117 Di Cataldo, I nuovi brevetti, problematica delle invenzioni chimiche, 1995, pag. 74 ss.

63

Il primo inventore, infatti, ha realizzato un’invenzione il cui dato

centrale è proprio una struttura non ovvia, e da questa il secondo

inventore è partito per individuare il nuovo uso della prima

invenzione.

Parlare di dipendenza, in questo caso, sembra corretto.

Viceversa, nel caso di individuazione di un nuovo uso per un

composto strutturalmente non originale alla data della prima

invenzione, è difficile ritenere esistente un debito significativo

dell’inventore del nuovo uso nei confronti del primo inventore.

Non si vede proprio, in questo caso, che debito abbia il secondo

inventore nei confronti del primo, ed in cosa stia il nesso di dipendenza

tra le due invenzioni.

Gli eventuali rapporti di dipendenza che si vengono a delineare

appaiono uguali a quelli che si presentano nel campo della meccanica:

si ha dipendenza118 per questo tipo di invenzioni, quando il secondo

trovato (macchina o procedimento) comprenda in sé un’altra

invenzione, coperta da brevetto anteriore. Ed, infatti, analoga a questa

ipotesi è quella dell’invenzione di nuovo uso di un composto noto che

fosse già nuovo e strutturalmente originale.

Si può dire, in questo caso, che l’attuazione della seconda invenzione

“passi” attraverso l’attuazione della prima; la seconda invenzione

sfrutta una struttura che è essa stessa oggetto della precedente

invenzione.

Nel caso inverso, invece, quando la prima invenzione era originale

nell’uso, ma non nella struttura, c’è sicuramente indipendenza, perché

l’attuazione della seconda non ha nulla a che fare col primo uso, che è

118 Ex art. 2587 c.c.

64

il dato significativo della prima invenzione; non si potrà quindi dire

che la seconda invenzione usi il dato centrale della prima.

Detto questo, risulta interessante tornare al tema dell’estensione del

brevetto, se cioè questo copra tutti i possibili usi (noti o meno) del

composto o se copra, invece, solo gli usi descritti e rivendicati.

Innanzitutto, come si è già detto supra119, il brevetto di composto

coprirà tutti gli usi descritti e rivendicati, nonché gli usi ad essi

equivalenti; la copertura sarà diretta e completa, nel senso che tali usi

saranno riservati al titolare del brevetto, non sarà possibile ottenere per

alcuno di essi un nuovo brevetto, e chiunque li realizzi compierà

contraffazione.

Si dovrà ora aggiungere che, se il composto coperto dal brevetto è

strutturalmente non ovvio, chi di tale composto riesca ad individuare

un nuovo uso non ovvio potrebbe ottenere per esso il brevetto, che

però si tratterebbe di brevetto dipendente.

Se, invece, il composto coperto da brevetto è strutturalmente ovvio (ed

è concesso per l’originalità della funzione), gli altri usi possibili non

ovvi rimarranno estranei all’ambito della privativa; chi individua uno

di tali usi potrebbe ottenere per esso il brevetto, il quale sarà totalmente

indipendente.

Mi sembra quest’ultima una tesi equilibrata che prova in qualche modo

a conciliare le due teorie opposte, propugnanti rispettivamente il

rapporto di totale dipendenza o indipendenza del brevetto di nuovo

uso dal primo brevetto di prodotto, se ancora lo si vuole chiamare così.

Sembrerà strano che, partendo da una visione unitaria120 di struttura e

funzione dell’invenzione chimica, si proponga di giungere ad una

119 Vedi par.2, cap.3. 120 La inseparabilità della Papesh doctrine.

65

diversa visione di tale invenzione in cui il peso differenziato di

ciascuno dei due fattori (struttura e funzione) porti ad una

frammentazione della prospettiva unitaria.

Riguardo a questo problema, con l’ultimo intervento in ordine di

tempo, risponde Guglielmetti121, per il quale è possibile distinguere tra

invenzioni d’uso e di prodotto, poiché il fatto che tutte le invenzioni

consistano in una struttura volta ad una funzione, e che

conseguentemente i requisiti di brevettazione debbano essere

apprezzati considerando globalmente entrambi i fattori, non è di

ostacolo ad una simile distinzione, se si considera che un prodotto può,

a seconda dei casi, essere originale in relazione soltanto ad un certo uso

determinato (essendo invece già noto o comunque ovvio da realizzare

per ottenere altre utilità), oppure può esserlo in relazione a tutti gli usi

potenziali una volta che sia messo a disposizione.

Si ha quindi un’invenzione di prodotto quando lo stato della tecnica

non suggeriva di realizzare il prodotto, per nessun uso; si ha invece

un’invenzione di nuovo uso quando l’insegnamento di arrivare al

prodotto era già disponibile anteriormente, in relazione, sempre, ad

una qualche utilità (o addirittura il prodotto era già noto), e soltanto la

particolare funzione trovata non era ovviamente accessibile.

Tutte le opinioni riferite, esclusa la tesi di Floridia, non tolgono nulla

alla constatazione che, indipendentemente dall’eventuale rapporto di

dipendenza tra il brevetto di nuovo uso di sostanza nota e l’anteriore

brevetto sulla stessa sostanza per un uso diverso, il primo è pur sempre

e soltanto un brevetto di prodotto, capace come tale di conferire al

121 G. Guglielmetti, Tutela assoluta e relativa del brevetto sul nuovo composto chimico, op.

cit., pag. 796.

66

titolare del brevetto il diritto esclusivo di fabbricare il prodotto stesso, e

mai comunque un brevetto di procedimento.

67

Capitolo 4: Il brevetto di selezione

1-Natura e genesi del brevetto di selezione

Le invenzioni di selezione possono sorgere in qualsiasi ramo della

tecnica, ma rivestono particolare importanza ed hanno le caratteristiche

più interessanti nel campo chimico.

Le scelte inventive che formano oggetto di tali brevetti possono essere

operate entro un campo che è, o è diventato, totalmente di dominio

pubblico, oppure entro un campo che forma (ancora) oggetto di

brevetto. Naturalmente i problemi sorgono soprattutto nel secondo

caso, che sarà il privilegiato di questa indagine.

Un’invenzione di selezione può farsi sia nel campo dei prodotti che in

quello dei procedimenti.

Nel primo caso il prodotto è generalmente un composto, o un

sottogruppo di composti. L’inventore sceglierà, nell’ambito di una

classe di composti generalmente nota, una particolare sottoclasse (in

qualche caso addirittura un singolo composto) alla quale si ricollegano

particolari effetti e conseguentemente un progresso tecnico.

Come si è detto, di regola, le classi di composti chimici sono definite da

una formula generale che comprende una o più variabili, ciascuna delle

quali può avere diversi significati. La scelta di un particolare

significato, o di un numero ristretto di significati, per ciascuna

variabile, individua un composto, od un sottogruppo di composti, che

è compreso astrattamente nella classe rivendicata o descritta.

68

Si ritiene che il composto selezionato può comportare un progresso

tecnico rispetto agli altri composti della classe in una delle tre seguenti

ipotesi: A) se possiede, in aggiunta all’effetto tecnico tipico della classe,

un altro, diverso effetto tecnico desiderabile; B) se possiede l’effetto

tecnico tipico della classe, ma in modo molto più intenso; C) se

possiede l’effetto tecnico tipico della classe, senza possedere, o

possedendo in misura molto inferiore, uno o più effetti collaterali

indesiderabili, tipici degli altri composti della classe.

L’effetto tecnico che giustifica la selezione, quello che Luzzato122

chiama “effetto caratterizzante” può essere dunque: qualitativo

(diverso effetto), quantitativo (maggiore intensità di effetto), negativo

(assenza o riduzione di effetto nocivo).

In ogni caso, comunque, l’invenzione (intesa qui come effetto

caratterizzante) deve possedere i requisiti richiesti dalla legge sui

brevetti: non dovrà quindi risultare in modo evidente dallo stato della

tecnica per una persona esperta.

Per molto tempo si è cercato di negare la brevettabilità delle invenzioni

di selezione facendo leva su una presunta assenza del requisito della

novità.

La legge italiana in realtà ci dice che questa è una difficoltà superabile.

Infatti l’art. 46 C.P.I, dopo aver sancito che si considera nuovo ciò che

non è compreso nello stato della tecnica e dopo aver definito che cosa

invece sia compreso e pertanto non più brevettabile, aggiunge123 che

122 Luzzato,”Brevetti chimici di base e di selezione” in Rivista di diritto industriale, 1990,

parte I, pag. 300. 123 Così recita il comma 4 dell’art 46 C.P.I.:”Le disposizioni dei precedenti commi non

escludono la brevettabilità di una sostanza o di una composizione di sostanze già compresa nello stato della tecnica, purchè in funzione di una nuova utilizzazione”.

69

non si esclude la brevettabilità di una sostanza già compresa nello stato

della tecnica, purchè in funzione di una nuova utilizzazione.

Dalla disposizione si capisce che se il composto selezionato presenti un

effetto caratterizzante qualitativamente diverso da quelli degli altri

membri della classe, può ben dirsi che esso determini una nuova

utilizzazione, mentre ciò non sembra vero nel caso la peculiarità

dell’effetto sia quantitativa o negativa.

Nell’ipotesi in cui, ad esempio, un composto compreso in una classe i

cui membri abbiano notoriamente attività agricola, rivelasse proprietà

medicinali, ciò darebbe certamente luogo ad una nuova utilizzazione,

in funzione della quale il composto potrebbe essere brevettato, anche

nel caso fosse già in sé compreso nello stato della tecnica. Quando

invece il composto appartenesse già ad una classe di medicinali, ma

rivelasse un’attività imprevista per malattie diverse da quelle per le

quali sono attivi gli altri composti della classe, si potrebbe discutere se

si tratti o meno di nuova utilizzazione ai sensi dell’odierno art. 46 C.P.I.

In realtà il linguaggio dell’ultimo comma di questa disposizione (e

prima ancora di questo quello della L.I.) risulta ingannevole124, poichè

non si brevetta una sostanza nota, bensì una nuova composizione che

comprende una sostanza nota, oppure un nuovo uso di questa.

Il prodotto risultante dalla selezione può essere definito anche

diversamente che dalla sua formula o struttura chimica, per esempio

da un parametro numericamente definibile, come il grado di

polimerizzazione, o da altre caratteristiche fisiche, come l’eventuale

presenza di struttura cristallina. In tal caso l’inventore seleziona, tra

tutti i prodotti altrimenti identici, quelli che presentino determinati

124 Luzzato, op.cit., pag. 301.

70

valori dei parametri o presentino in qualche misura altre

caratteristiche.

Spesso, infatti, la selezione è fatta in base a valori cosiddetti “critici”,

cioè a valori dei parametri ai quali corrisponde una brusca variazione

di proprietà rilevanti.

2-La selezione nella giurisprudenza dell’Ufficio europeo brevetti

In tutti i casi, come in quello della selezione dei composti chimici,

l’invenzione comporta la selezione di composti o sottogruppi di

composti entro una classe nota, spesso rivendicata da un precedente

brevetto, che astrattamente li ricomprende. E qui si pone il problema:

quando si può considerare nuova la selezione? Si possono vedere le

soluzioni che ha dato al problema la Camera dei Ricorsi Tecnica

dell’E.P.O125.

La decisione T 7/86 del 16/09/1987126 considera la selezione di un

singolo composto chimico entro una classe nota. Più precisamente il

brevetto europeo, contro il quale era stata proposta opposizione,

conteneva due rivendicazioni: in una si rivendicava un preparato

farmaceutico per il trattamento di malattie respiratorie o cardiache,

contenente come sostanza attiva un composto denominato 3-

propilxantina; nell’altra si rivendicava il composto stesso “per uso nel

trattamento di quelle malattie”.

125 European Patent Office. 126 O.J. E.P.O. 10-1988, pp. 381 ss.

71

Si può notare come in pratica le due rivendicazioni si equivalgano, e

nessuna copra il composto in sé e per sé, ma solo la sua applicazione

per un certo fine, cioè la cura di certe malattie.

Le anteriorità considerate dalla Camera dei Ricorsi sono tre: a) una

pubblicazione che descriveva la 3-propilxantina, ma senza attribuirle

alcun uso farmaceutico; b) la descrizione di un composto omologo (la

3-metilxantina) di cui era nota l’attività in malattie cardio-respiratorie; c)

un documento che descriveva una classe di xantine, utili come diuretici,

nella quale è compresa la 3-propilxantina.

La Camera, nella sua decisione, ritenne che nessuna delle tre anteriorità

giustificasse la revocazione del brevetto.

Per quanto riguarda la prima anteriorità, la ratio della Camera è questa:

l’invenzione non dovrebbe consistere nel composto in sé considerato,

ma soltanto nel suo uso per un determinato fine, e, conseguentemente,

non ha importanza il fatto che il composto fosse conosciuto, posto che

non ne era conosciuto l’uso.

Questo è un principio presente nell’ultimo capoverso dell’art. 46 C.P.I.,

e che anche la legge europea sancisce, nell’art. 54 C.B.E., con

riferimento agli usi terapeutici e diagnostici.

La seconda anteriorità non venne anch’essa considerata127 un

impedimento alla brevettazione, perché il composto brevettato

presenta, rispetto a quello noto, un effetto negativo aggiuntivo:

l’assenza di effetti secondari nocivi.

127 Così la Camera dei Ricorsi:”Il problema tecnico alla base dell’invenzione, rispetto al

documento (quello che descrive la 3-metilxantina), è, pertanto, rendere disponibile un preparato farmaceutico per uso nelle malattie croniche ostruttive delle vie respiratorie, che sia almeno altrettanto efficace della metilxantina, ma che non causi gli effetti collaterali nocivi sopra detti. Per risolvere quel problema, i titolari del brevetto propongono la 3-propilxantina per uso nel trattamento di malattie ostruttive delle vie respiratorie o cardiache. La Camera è persuasa che il problema è stato risolto.”

72

L’analisi dell’invenzione di selezione non deve basarsi sul confronto

strutturale fra composto brevettato e composti noti, ma deve

considerare il problema che l’invenzione risolve. Chi per primo abbia

proposto l’uso di composti analoghi a quello rivendicato, per la cura

delle stesse malattie, ha risolto il problema di creare un preparato

farmaceutico valido in tale cura.

Poichè tuttavia questo produceva effetti secondari nocivi, ecco che

nasceva un nuovo problema tecnico, risolto dall’invenzione di

selezione. Due diverse soluzioni per due diversi problemi, il risultato è

due diverse invenzioni: questo è il rapporto tra selezione e stato della

tecnica.

Interessante è notare che così è risolto anche il problema del rapporto

fra un brevetto di base, che rivendichi una classe di composti, e un

brevetto di selezione di uno di questi, avente quest’ultimo un effetto

caratterizzante negativo.

I due brevetti risolvono in questo caso due diversi problemi e

contengono due diverse invenzioni, e pertanto coesistono senza

difficoltà. E la soluzione sarà la stessa se l’effetto caratterizzante è

quantitativo o qualitativo.

Per quanto riguarda la terza anteriorità presa in esame dalla Camera,

essa non è stata interpretata come una specifica rivelazione della 3-

propilxantina, poiché una classe di composti chimici, definita soltanto

da una formula generica avente almeno due gruppi variabili, non

rivela specificamente ciascuno dei singoli composti che risulterebbero

dalla combinazione di tutte le possibili varianti entro tali gruppi.

Tali soluzioni riguardanti la novità in materia di invenzioni di

selezione cominciano a risolvere alcuni problemi.

73

Se si ritenesse che tutto ciò che è ricompreso nella descrizione generica,

di un brevetto o di una pubblicazione, sia noto, non potrebbero

ovviamente esistere brevetti di selezione. Si è quindi avvertito il

bisogno di trovare un criterio equilibrato per distinguere ciò che si

deve considerare noto da ciò che si deve considerare nuovo, in un

ambito compreso nello stato della tecnica.

Si può dire che le soluzioni128 proposte sono essenzialmente due:

ritenere nuovo un individuo di una classe che non è specificamente

menzionato (nel caso dei composti chimici, ogni composto che non è

specificamente rivelato, col suo nome o con la sua formula), oppure

soltanto quando il numero di individui della classe sia molto alto.

In quest’ultimo caso, naturalmente, il problema consiste nel fatto che

non si può fissare un numero limite senza sconfinare in un’evidente

arbitrarietà. Per questo la Camera dei Ricorsi ha adottato un criterio un

po’ diverso, seppure in egual modo arbitrario: l’individuo si ritiene

noto, quando per definirlo occorre dare un significato specifico a più di

una variabile.

Come detto, anche questo criterio non può essere definito assoluto.

Dice infatti Luzzato che “non c’è nessuna differenza, per l’esperto del

settore, tra l’individuazione di un composto attraverso il suo nome o la sua

formula, e la sua individuazione attraverso una formula generale e uno o più

significati di variabili. Anche quando il numero di possibili combinazioni di

variabili sia elevatissimo, si può tranquillamente tradurre la formula generale

in una lista di singoli componenti, magari mediante l’uso di un elaboratore”.

La decisione T 12/81 del 9/02/1982129 ritenne non accettabile la

rivendicazione di un composto chimico avente una certa formula, nella

128 Luzzato, op. cit, pag 304. 129 O.J. EPO 8-1982, pag. 296 ss.

74

forma di un suo diastereomero130, avente un certo punto di fusione.

Quel composto aveva due atomi di carbonio asimmetrici e poteva

quindi presentarsi in quattro diverse configurazioni spaziali. Si doveva

ritenere che la particolare configurazione che si voleva brevettare non

fosse descritta negli esempi di precedenti brevetti invocati come

anteriorità. Questa configurazione fu tuttavia considerata dalla Camera

come “l’inevitabile ma non riconosciuto risultato di un certo numero di

processi descritti nello stato della tecnica attraverso l’indicazione del composto

di partenza e del processo. In questi casi, non si può rivendicare novità per

selezione”.

Ai fini dell’invenzione di selezione è dunque considerato “nuovo” ciò

che è sì ricompreso nello stato della tecnica, ma che non vi è

esemplificato, neppure indirettamente.

Questo concetto di novità è peculiare per quanto riguarda le invenzioni

di selezione, e può non essere valido in relazione ad invenzioni di altra

natura.

Questo principio è alla base della decisione T 198/84 del 28/02/1985131,

che sostiene: “Una gamma abbastanza ampia di numeri delimitata da valori

minimo e massimo (…) non rappresenta necessariamente una rivelazione di

tutti i valori numerici fra tali valori minimo e massimo, che escluda la

selezione di una sottogamma, se la sottogamma è ristretta e sufficientemente

lontana dalla gamma nota illustrata a mezzo di esempi”.

Bisogna notare tuttavia che l’esigenza che la gamma selezionata sia

lontana da quelle esemplificate non può sussistere quando solo in

corrispondenza dei limiti della gamma si verifica l’effetto su cui è

basata la selezione. Sarà infatti usuale che valori numerici vicini

130 Il diastereomero ha due centri asimmetrici, e quindi più molecole diverse realizzabili. 131 O.J. EPO 7-1985, pag. 209 ss.

75

producano risultati simili, e quindi non siano brevettualmente distinti,

ma quando eccezionalmente valori numerici vicini producono risultati

molto diversi, perché si trovano l’uno al di qua e l’altro al di là di un

limite “critico”, allora l’uno non può svelare l’altro, e anzi, la loro

vicinanza, accoppiata alla diversità degli effetti, è comunque

considerato un indice di possibile selezione.

Abbiamo quindi visto che la giurisprudenza europea adotta per le

invenzioni di selezione un criterio di novità particolare.

Infatti il classico concetto di novità132 comporta che non sia nuovo ciò

che il tecnico del ramo impara dallo stato della tecnica.

Detto questo, non si può certo sostenere che il chimico non impari da

una formula generale (contenente quante variabili si voglia) tutte le

formule specifiche che se ne possono ricavare, attribuendo alle variabili

ogni possibile significato. Per cui il diverso concetto di novità che

troviamo nei testi delle sentenze europee è considerato da questa

giurisprudenza necessario per permettere alle invenzioni di selezione

di godere della giusta protezione.

Secondo Luzzato133, però, questa diversa accezione non sarebbe

necessaria.

Si può vedere come la giurisprudenza europea, così come si è già visto

per la legge italiana, ammetta la brevettabilità di un composto anche

specificamente descritto, a patto che il suo effetto caratterizzante sia

qualitativo, e consenta una nuova utilizzazione non prevista dallo stato

della tecnica: questo criterio dovrebbe essere applicabile a tutte le

invenzioni di selezione.

132 Ex art 46 C.P.I. 133 Luzzato, op. cit., pag. 311.

76

Difatti, come si è già detto, non è l’elemento selezionato ad essere

l’invenzione: l’invenzione è la soluzione al problema tecnico resa

possibile da tale elemento. Quindi l’elemento selezionato è il mezzo

per realizzare l’invenzione, e questa non è anticipata per il fatto che il

mezzo per realizzarla sia noto.

Un’invenzione è un rapporto di causa-effetto, e fino a che questo

rapporto resta ignoto, l’invenzione è nuova, anche nell’ipotesi in cui

siano già noti sia la causa che l’effetto.

Luzzato la definisce anche come ”il risultato di un vero programma di

ricerca industriale positivamente concluso”; in questa definizione ci sono

gli elementi classici del concetto di invenzione: il problema tecnico e la

sua soluzione.

Bisogna distinguere il caso di quando ci sia un’ottimizzazione di

routine, cioè che non vada al di là dell’applicazione di tecniche di

misura e di controllo acquisite, che consentono di mettere i vari

composti, per così dire, in fila, secondo un ordine di utilità, e che non

produce quindi invenzione, dal caso in cui ci sia un’ottimizzazione che

dia origine a programmi di ricerca derivati.

Nella prima fattispecie non c’è formulazione di ipotesi, perché questa è

un rapporto di causa ed effetto che non si sa se sia vero e che quindi

richiede verifica. Luzzato134 afferma che, almeno in campo chimico,

non vi è formulazione di ipotesi se non vi è incertezza. Infatti, è certo

che i composti di una classe hanno diverse utilità, e se per controllare

tali utilità bastano metodi acquisiti alla tecnica, non si è assunto nessun

rapporto ipotetico di causa ed effetto e non si è fatta alcuna verifica, e

in assenza di queste non ci può essere invenzione.

134 Luzzato, “Dinamica della ricerca industriale e protezione brevettuale riguardo ai prodotti

chimici”, in Rivista di diritto industriale, 1990, parte I, pag. 242.

77

Dunque, un’ottimizzazione di routine di questo genere non produrrà

un’invenzione, poiché consisterà essenzialmente solo

nell’individuazione del modo migliore di attuare l’invenzione connessa

all’ipotesi principale.

Prendiamo invece in esame il caso in cui l’ottimizzazione porti a

riconoscere che alcuni fra i composti o i sottogruppi compresi nella

classe individuata dalla verifica dell’ipotesi principale presentino

proprietà utili imprevedibili e inaspettate, sotto qualunque aspetto.

Sappiamo allora che si sarà fatta un’invenzione di selezione. Ma se si è

fatta un’invenzione, si deve anche aver formulato e verificato

un’ipotesi, secondo ciò che si è detto supra, e ciò sembra assurdo, posto

che le operazioni concretamente svolte sono le stesse che si svolgono in

qualsiasi ottimizzazione e soltanto i risultati hanno carattere

eccezionale.

L’assurdo però si rivela soltanto apparente, se si dice che la

formulazione dell’ipotesi può essere successiva alla sua verifica. Se, per

esempio, accade che i composti della classe appartenenti a un certo suo

sottogruppo abbiano un’attività ulteriore, diversa da quella comune a

tutta la classe, si può formulare l’ipotesi (che risulta a questo punto

derivata) che, entro la classe di composti che verifica l’ipotesi

principale (da cui deriva l’invenzione principale), quel sottogruppo

possiede quell’ulteriore attività.

È chiaro, allora, che in questo caso effettuando l’ottimizzazione si sono

in realtà svolte le prime fasi (formulazione dell’ipotesi e sua verifica) di

un programma di ricerca derivato, diverso da quello a cui

appartengono l’ipotesi principale, la sua verifica e l’ottimizzazione. Si è

svolta un’operazione che intendeva essere di ottimizzazione, ma che in

realtà è andata al di là di essa.

78

Da tutto ciò consegue che qualunque programma di ricerca, nel campo

dei prodotti chimici, darà sempre origine ad un brevetto base,

corrispondente all’ipotesi principale verificata, mentre potrà dar luogo

ad un brevetto di selezione, quando l’ottimizzazione successiva alla

verifica dell’ipotesi dia luogo, imprevedibilmente, alla verifica di

un’ipotesi derivata, che si può generalmente formulare solo a

posteriori.

Conferma di tutto questo discorso ci viene dalla sentenza135 della Corte

di Cassazione n. 2575 del 6 marzo 1995, la quale afferma: “(…) Data la

richiesta di brevettazione di una invenzione-base (nella specie un’invenzione

chimica di formula generale), da essa possono derivare conseguenze successive

a quelle risultanti dalle verifiche e sperimentazioni depositate, ma ciò soltanto

in base ad un ulteriore programma di ricerca, derivato dal primo risultato

raggiunto, il quale potrà originare la c.d. invenzione di selezione,

contraddistinta da un risultato diverso, rispetto a quello inizialmente proposto

per la protezione”.

Concludendo, è nuova una selezione anche se l’elemento selezionato è

presente nello stato della tecnica, ogni qualvolta lo stato della tecnica

non insegni che l’elemento selezionato produca l’effetto caratteristico

della selezione.

135

Corte di Cassazione n. 2575 del 6/3/1995, Smith Kline Corporation c. Biochimica Opos s.r.l., in Giur. ann. dir. ind., 1995, pag. 113.

79

3-Rapporto tra brevetto base e brevetto di selezione (caso CIMETIDINA)

Esaminiamo ora il caso in cui lo stato della tecnica, rispetto al quale è

stata effettuata una selezione brevettabile, sia costituito da un

“brevetto-base” in vigore, ed il rapporto tra questo e il brevetto di

selezione.

Premesso che la mancanza di novità e l’inclusione nel campo di

protezione di un brevetto sono due concetti del tutto distinti, non è

certamente vero che ciò che è nuovo non possa essere in qualche modo

protetto da un brevetto anteriore.

Basti vedere a riguardo il testo del comma 2 dell’art 68 C.P.I.136.

Un’invenzione brevettabile può quindi essere ricompresa nel campo di

protezione di un precedente brevetto; è il caso di tutti i brevetti di

perfezionamento di un’invenzione precedente brevettata, che nello

sviluppo della tecnica moderna vanno ormai per la maggiore.

Tuttavia due brevetti teoricamente non potrebbero proteggere la stessa

invenzione, e ciò è sancito nell’art 46 C.P.I., in base al quale

un’invenzione brevettata entra a far parte dello stato della tecnica, e

non è quindi più brevettabile, non dalla sua pubblicazione, ma

addirittura dalla presentazione di una domanda di brevetto avente

effetto in Italia.

Secondo la teoria della tutela assoluta del prodotto137, sempre che la si

voglia condividere, il composto selezionato è compreso nelle

rivendicazioni del brevetto-base, che coprono la classe a cui appartiene

e quindi tutti i membri di quella, esemplificati o meno. Se dunque si

136 “Il brevetto per invenzione, la cui attuazione implichi quella di invenzioni protette da

precedenti brevetti per invenzioni industriali ancora in vigore, non può essere attuato, né utilizzato, senza il consenso dei titolari di questi ultimi”

137 Si veda M.Bellenghi, Nuovo prodotto chimico, op. cit.

80

ritenesse che il brevetto di selezione protegga la struttura del composto

in se e per se, si avrebbero due diritti assoluti sullo stesso oggetto.

È stato ritenuto138 che una soluzione a ciò potrebbe consistere nel

ritenere che il composto “nuovo” non sia protetto dal brevetto base. Ma

questo non è possibile, poiché il composto selezionato rientra

comunque nelle rivendicazioni del brevetto-base, ed escluderlo

significherebbe pronunciare una nullità parziale del brevetto. Le cause

di nullità sono però tassative139, ed inoltre, nel valutarle, si deve

prescindere dalla selezione, che è avvenuta dopo la domanda del

brevetto-base e non può quindi influire sulla validità di questo.

L’unica possibile causa di nullità che si potrebbe tenere in

considerazione è l’insufficienza della descrizione: bisognerebbe

sostenere che ogni composto “nuovo” selezionato, e non

precedentemente esemplificato, sarebbe escluso dal primo brevetto per

insufficienza di descrizione.

Neanche questa opzione è possibile, poiché si andrebbe contro al

principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza europea e

italiana140, che un brevetto non è ristretto agli esempi e che le

rivendicazioni siano una generalizzazione rispetto a questi.

Una soluzione ai rapporti fra i due brevetti può essere suggerita dalla

già citata decisione sulla 3-propilxantina. Si dice che il brevetto-base

risolve un problema, creare una classe di composti che abbia una

qualche utilità generale. Il brevetto di selezione ne risolve un altro: ad

esempio individuare un composto, dotato di quell’utilità, ma privo di

138

Luzzato, Brevetti chimici di base e di selezione, op. cit., pag. 309. 139 Ex art 76 C.P.I. 140 Tra le altre si ricordi la fondamentale sentenza della Cassazione n.2168 dell’8 aprile

1982, Pfizer c. C.F.M. Su questa si veda R. Franceschelli, Le vicende del caso Carbadox, in Rivista di diritto industriale, 1986, pag. 153 ss.

81

effetti secondari; oppure dotato di quell’utilità in misura maggiore;

oppure ancora dotato di una diversa utilità, ed in quel caso la selezione

si identifica con la nuova utilizzazione.

L’invenzione di selezione, dunque, non consisterebbe più nella

struttura, ma nella soluzione di quel problema; e il rapporto con il

brevetto-base sarà disciplinato dagli artt. 68 e 71 C.P.I. sul brevetto

dipendente.

Un caso interessante per la disamina sull’argomento, e che ha avuto

rilevanza internazionale, è quello riguardante la cimetidina.

Smith, Kline & French (di seguito S.K.F.) depositò nel 1972 in Italia e in

altri paesi una domanda di brevetto per una formula generale

comprendente composti nuovi capaci di inibire i recettori H2 della

istamina. In Italia la domanda fu respinta in ragione dell’allora vigente

divieto di brevettazione dei farmaci, sancito dal testo originario

dell’art. 14 della legge invenzioni141.

I composti e le classi di composti individuati nel testo originario della

domanda di brevetto del 1972 si rivelarono non suscettibili di

utilizzazione farmacologica, poiché presentavano effetti collaterali

intollerabili. S.K.F. proseguì però la sperimentazione, e pervenne dopo

alcuni anni all’individuazione di un composto, la cimetidina, dotato di

rilevante efficacia terapeutica, e privo di effetti collaterali indesiderati.

Quest’ultima infatti, rispetto agli altri componenti della classe, ed in

particolare rispetto ai composti esemplificati nel brevetto di formula

generale, si rivelava particolarmente interessante per il fatto di svolgere

un’eccellente attività inibitoria dei recettori H2 dell’istamina, attività

141 S.K.F. impugnò poi la decisione di rigetto davanti alla Commissione dei ricorsi, e la stessa

sollevò la questione di legittimità costituzionale dell’art 14, che fu poi decisa nel senso dell’illegittimità dalla Corte costituzionale con la sentenza 20 marzo 1978,n.20 (si veda nota 5).

82

questa già propria dei vari composti rientranti nella classe, ma senza

dar luogo, a differenza degli altri, ad effetti collaterali negativi.

Quest’ultima caratteristica la rendeva così particolarmente idonea

all’impiego come principio attivo nella preparazione di farmaci contro

l’ulcera.

Per questo nuovo composto, S.K.F. depositò in tutto il mondo una

nuova domanda di brevetto, come invenzione di selezione, ma non lo

fece in Italia, dato che le vicende della prima domanda non erano

ancora risolte.

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale non era più possibile

depositare una nuova domanda di brevetto per la cimetidina, visto che

sarebbe mancata la novità, ed essendo ancora pendente la procedura di

rilascio della prima domanda, S.K.F. provò a modificare il contenuto di

questa, inserendo in essa una esplicita previsione della cimetidina.

La domanda venne accolta, e il brevetto fu rilasciato nel 1980.

Immediatamente dopo il rilascio del brevetto, alcuni produttori

(Istituto Franco Tosi s.p.a; Gibipharma s.p.a; Industrie Chimiche

Farmaceutiche Italiane s.p.a.), prima di essere citate per contraffazione,

chiesero al Tribunale di Torino la dichiarazione di nullità del brevetto

della S.K.F.

Il Tribunale, con sentenza 24 settembre 1984142, rigettò la domanda di

nullità ed accolse la domanda riconvenzionale di contraffazione

proposta da S.K.F. In secondo grado la Corte d’appello di Torino, con

sentenza 26 aprile 1988143, dichiarò la nullità totale del brevetto S.K.F.

142 In Giur. ann. dir. ind, 1984, n.1792, pag 623 ss. 143 In Giur. ann. dir. ind, 1988, n.2310, pag 569 ss.

83

Infine la Corte di cassazione, con sentenza n. 11094 del 16/11/1990144,

confermò gran parte della motivazione del secondo grado, ma accolse

uno dei motivi di ricorso, affermando la nullità del brevetto S.K.F.,

solo nella parte in cui si riferiva alla cimetidina.

Punto nodale della decisione è il problema della validità e

dell’estensione del brevetto per una formula generale.

La Cassazione aveva affermato su questo punto che: a) ”un brevetto

può avere ad oggetto una formula generale, ed in tal caso copre anche i

composti non singolarmente individuati dalla domanda, ma da essa

deducibili da un operatore medio del settore senza ulteriori ricerche e

sperimentazioni”: b) “l’art. 26, regolamento invenzioni (analogamente a

ciò che dice l’attuale art. 76 CP.I. sulle nullità), non consente

modificazioni intermedie che rappresentino acquisizioni inventive

posteriori al deposito della domanda, in quanto queste amplierebbero

l’oggetto della privativa, o costituirebbero comunque sanatoria di una

descrizione incompleta e carente dei dati necessari a consentire

l’attuazione dell’invenzione. Conseguentemente è illegittima la

modifica della domanda di un brevetto di classe che inserisca un

composto non individuato dalla domanda originaria e non deducibile

da essa da un operatore medio del settore”.

La Cassazione ha delimitato con attenzione l’ambito dei composti che

possono ritenersi in qualche modo “presenti” all’interno di una

domanda di brevetto per una formula generale (anche se non

specificamente individuati), limitando tale presenza ai soli composti

“deducibili da un operatore medio del settore senza ulteriori ricerche e

sperimentazioni”.

144 In Giur. ann. dir. ind, 1990, n.2478, pag 115 ss.

84

Bisogna quindi distinguere l’individuazione successiva di un composto

che sia frutto di vera attività inventiva, dall’individuazione successiva

di un composto che derivi solo da sperimentazioni di routine.

La Suprema Corte si è preoccupata di agganciare la propria decisione

alle regole in tema di originalità dell’invenzione145 e di descrizione146 ;

regole queste che esprimono un’esigenza unitaria, da un lato

distinguendo gli apporti realmente inventivi dall’attività di routine,

dall’altro comprendendo all’interno del brevetto solo ciò che il tecnico

medio del settore riesce a leggervi.

Il giudizio di originalità della Corte in questa causa ha cercato di

basarsi il più possibile su indizi oggettivi. Si è accertato infatti che la

cimetidina fu individuata dalla stessa S.K.F. (che aveva individuato per

prima la formula generale, e quindi era nel settore da tempo) solo dopo

anni di sperimentazioni, realizzate con grande dispendio di risorse

umane, tecniche e finanziarie.

E’ stato accertato inoltre che la stessa S.K.F. depositò all’estero

domande di brevetto per la cimetidina, affermando il carattere inventivo

della selezione da essa stessa realizzata all’interno della classe di

composti già nota.

Non si può quindi non convenire con la decisione della Cassazione, la

quale appunto, ravvisando nell’individuazione della cimetidina

un’attività inventiva, escludeva che la si potesse ritenere compresa

all’interno della classe descritta nella domanda di brevetto originaria, e

quindi escludeva che la si potesse ricomprendere tramite la correzione

di questa.

145 Ex art 48 C.P.I. 146 Ex art 51 C.P.I.

85

Una successiva decisione della Corte d’appello di Milano, con sentenza

16 novembre 1993147, non tenne in conto la statuizione della Suprema

Corte, affermando che la cimetidina fosse invece compresa nel primo

brevetto, finendo col non porre limiti alla possibilità di considerare

presenti nella formula generale i composti che vengano individuati a

seguito di “studi successivi”, e statuendo, infine, che l’individuazione

della cimetidina era alla portata di un tecnico medio.

La Corte milanese finisce per intendere la derivabilità da parte di un

tecnico medio in modo talmente ampio da approdare di fatto alla

posizione che si verrebbe a raggiungere affermando la piena estensione

del brevetto su una formula generale a tutti i composti che tale formula

comprende, ignorando che un brevetto che copra l’intera formula

generale non si trova in nessun sistema brevettuale.

Per quanto riguarda la descrizione del brevetto, la Corte milanese

afferma che l’individuazione di un composto riconducibile alla formula

generale non amplia, anzi riduce, l’ambito della domanda; operazione

non vietata dalla legge, che, appunto, vieta di ampliare, ma non di

ridurre l’ambito della privativa.

Tuttavia questa interpretazione risulta errata, poiché se accettiamo che

una domanda di brevetto per una formula generale contiene solo i

composti specificamente individuati e quelli individuabili senza

attività inventiva, l’operazione che inserisce nella domanda un

composto ad essa estraneo (nel senso appena spiegato) non realizza

certo una riduzione, ma un suo ampliamento.

Con riferimento quindi ai brevetti di formula generale ciò significa che

qualora la selezione di un composto riconducibile alla formula

147 In Diritto Industriale, 1994, pag. 213.

86

generale abbia richiesto l’impiego di un’attività inventiva, esso non

può venire ricompreso nell’ambito di protezione del brevetto per

formula generale né in via interpretativa, né modificando la domanda

di brevetto.

A proposito di quest’ultimo aspetto, ci si può riferire di nuovo alla

precedente decisone della Cassazione: qui la Suprema Corte lascia

intendere che anche accogliendo la tesi secondo cui la formula generale

circoscrive il “contenuto” della domanda di brevetto, delimitando così

il bacino al quale si può attingere per desumerne gli elementi che

attraverso modifiche della domanda possono essere inclusi nell’oggetto

del brevetto, tuttavia tali modifiche non possono servire per allargare

l’ambito di protezione del brevetto a composti la cui individuazione

postuli l’esercizio di attività inventiva.

Se così non fosse ne risulterebbe l’abbandono del principio secondo cui

l’ambito di protezione del brevetto deve essere commisurato

all’effettivo contributo arrecato dall’inventore allo stato della tecnica,

ovvero “del principio della priorità temporale del deposito come

criterio di attribuzione del diritto esclusivo”148.

Quanto ai principi espressamente enunciati dalla Suprema Corte, è

sicuramente da condividere l’affermazione secondo cui le invenzioni in

campo chimico “vanno ravvisate non nella semplice formulazione di

una struttura molecolare ma piuttosto nel prodotto industriale

ottenibile mediante l’impiego della sostanza in relazione alle sue

proprietà”. Essenziale per la configurabilità di un’invenzione in tale

settore è, dunque, l’individuazione della “possibilità d’impiego della

sostanza in funzione dei suoi effetti positivi”.

148 Floridia, “L’invenzione farmaceutica nel sistema italiano dei brevetti”, 1985, pag 97.

87

La Cassazione, quindi, sembra prendere posizione in favore della tesi

di Di Cataldo149 che vede l’invenzione di nuovo composto chimico, non

nel composto in sé e nel suo aspetto strutturale, bensì nel composto in

quanto rivolto ad una certa funzione in virtù delle proprietà da esso

possedute. Questa idea dovrebbe essere imposta dalla stessa ragione

istitutiva del sistema brevettuale, il quale può proteggere solo

acquisizioni di nuova utilità, non anche acquisizioni di “cose”

(macchine o molecole che siano) di ignota utilizzabilità.

Nel rapporto tra i due brevetti, quello base e quello di selezione, deve

essere chiarito se il nesso di dipendenza attenga ad un rapporto di tipo

statico fra le due invenzioni che si manifesta nel momento

dell’attuazione della seconda150, o se invece esso debba essere visto

sotto il profilo storico-dinamico che dalla formula generale ha condotto

all’invenzione di selezione.

In base a quest’ultima prospettiva, Di Cataldo sostiene che il rapporto

di dipendenza costituisce il riconoscimento del contributo

particolarmente rilevante apportato dal primo inventore in relazione

all’attività che ha permesso la realizzazione della seconda invenzione,

ed è solo sotto questo profilo storico-dinamico che sembra si possa

affermare il carattere dipendente dell’invenzione di selezione rispetto a

quella per formula generale.

Infatti, nel caso della invenzione di selezione, non sempre ricorre

l’ipotesi per cui la sua attuazione richieda necessariamente

l’utilizzazione di un prodotto o di un procedimento coperto da

149Di Cataldo, “Questioni in tema di brevetto per formula generale”, in Nuova

giurisprudenza commerciale, 1985, pag. 557 150 In questo senso sembra deporre la nozione di invenzione dipendente delineata dall’ art

2587 c.c., il quale parla di “invenzione industriale la cui attuazione implichi quella di invenzioni protette da precedenti brevetti per invenzioni industriali ancora in vigore”.

88

precedente brevetto ancora in vigore. Un’ipotesi di questo tipo, come

già visto, sarà nel caso in cui la selezione si basi sull’individuazione, in

capo ad un composto appartenente alla classe, di una nuova proprietà

per cui, in aggiunta all’effetto tecnico tipico della classe stessa, esso

possa produrre un altro, diverso effetto tecnico; ed in questo caso, il

problema della sua dipendenza dal brevetto base coincide con quello

relativo al rapporto fra un primo brevetto di prodotto e quello di un

secondo brevetto per nuovo uso ex art. 46 C.P.I., e come tale andrà

risolto.151

Se quindi il nesso di dipendenza viene inteso nella sua accezione

storico-dinamica, l’invenzione di selezione dovrebbe qualificarsi

sempre come dipendente. Tale dipendenza deriverebbe dal fatto che la

selezione viene per lo più ottenuta nel corso di un’operazione di ricerca

diretta al controllo ed all’ottimizzazione dei risultati della ricerca

contenuti nel brevetto di formula generale: il brevetto di selezione,

quindi, deriverebbe da un programma di ricerca che si svolge in una

fase del programma di ricerca proprio del brevetto base152.

Infatti la selezione deriva da un programma di ricerca diverso, ma non

indipendente, che si svolge in una fase del programma di ricerca cui

appartiene il brevetto base, e che presuppone la verifica dell’ipotesi

principale e lo sfruttamento del risultato della ricerca che ha portato a

tale verifica.

Pertanto, se il soggetto che ha compiuto la selezione è diverso dal

titolare del brevetto per formula generale, egli non potrà attuare la sua

151 Sul punto abbiamo già visto chi afferma il carattere dipendente del brevetto di nuvo uso

(Sena, I diritti sulle invenzioni e sui modelli, pag.106) e chi invece nega tale carattere (Di Cataldo, Sistema brevettuale e settori della tecnica, pag. 342, che però successivamente si assesterà su posizioni intermedie, ne I nuovi brevetti, op.cit., 1995; Floridia, L’invenzione farmaceutica, pag. 76).

152 Luzzato, Dinamica della ricerca industriale, op. cit., pag. 234 ss.

89

invenzione senza il consenso di quest’ultimo, e nell’ipotesi in cui il

consenso venisse ad essere negato o subordinato alla conclusione di

una licenza a condizioni inique, ecco che il secondo inventore è

soccorso dall’art. 71 C.P.I., il quale prevede la possibilità, da parte del

secondo brevettante, di instaurare un apposito procedimento

amministrativo per la concessione della licenza obbligatoria.

Sempre per quanto riguarda il rapporto tra i due brevetti, quello base e

quello di selezione, secondo Luzzato153, si deve accogliere una nozione

di dipendenza che sarebbe peculiare dei brevetti per le invenzioni

chimiche e che si discosta da quella della legge.

Secondo quest’ultima il brevetto per invenzione dipendente è quello

“la cui attuazione implica quella di invenzioni protette da precedenti

brevetti” (ex art 2587).

L’interpretazione diffusa di questa norma è che vi sia dipendenza solo

quando l’attuazione della seconda invenzione violi l’ambito di

protezione del primo brevetto, costituendone una contraffazione.

In relazione alle invenzioni chimiche aventi ad oggetto singoli

componenti, ed in particolare in relazione ai rapporti tra l’invenzione

che, tra gli altri, rivendica il singolo composto e la successiva

invenzione concernente un nuovo uso del medesimo composto, questa

interpretazione porta a ritenere che il nesso di dipendenza tra le due

invenzioni brevettate sussista o meno a seconda della tesi che si accolga

a proposito dell’estensione della protezione conferita dal brevetto di

prodotto sul singolo composto.

Infatti, se si ritiene che il brevetto conferisca una tutela assoluta, ovvero

estesa a qualsiasi uso di cui il composto si rivelasse capace, allora

153 Luzzato, op. cit., pag. 243.

90

diventa palese concludere che l’invenzione di un uso del composto che

fosse nuovo o qualitativamente più efficace, la cui individuazione

avesse richiesto l’impiego di attività inventiva, sarebbe un’invenzione

dipendente perché attuerebbe il precedente brevetto.

Se invece si accoglie la tesi secondo cui l’invenzione di prodotto è

limitata all’uso individuato dall’autore del brevetto, allora per tutte le

volte in cui l’uso del composto sia nuovo, o comunque con

caratteristiche migliori, si deve concludere che il brevetto che lo tutela

non presenta alcun punto in comune con il brevetto riguardante la

precedente invenzione del composto e che quindi il brevetto

concernente il nuovo uso non è dipendente dal brevetto sul

composto154.

Se si accoglie questa tesi, riconoscendo che l’uso del composto chimico

è un elemento essenziale per l’individuazione dell’invenzione, l’unico

modo per ritenere l’invenzione di nuovo uso dipendente da quella sul

singolo composto è quello di tralasciare la tradizionale nozione di

dipendenza e di considerare il nesso di quest’ultima “non solo e non

tanto in un certo tipo di rapporto statico tra i due brevetti (cioè tra di essi al

momento dell’attuazione della seconda invenzione), ma in una visione storica

della realizzazione delle due invenzioni”155.

Il nesso di dipendenza equivarrebbe così ad un riconoscimento della

rilevanza della prima invenzione nell’attività impiegata per

l’ottenimento della seconda.

Tuttavia, poiché tale criterio pare per l’appunto inconciliabile con la

nozione di dipendenza fissata dalla legge ed accolta per le invenzioni

154 Si ricordi la prima tesi di Di Cataldo, esposta nel Cap. 3. 155 Di Cataldo, Questioni in tema di brevetto per formula generale, in La nuova giur. civ.

comm., 1991, pag 558, in nota a Cass. 16 novembre 1990, n.11094.

91

della meccanica, e poiché è vero che il settore della chimica avverte in

taluni casi l’esistenza di un debito che l’inventore di nuovo uso nutre

verso l’inventore del composto, con riferimento alle invenzioni di

nuovo uso la dottrina156 ha poi proposto di ribaltare l’ordine logico con

il quale tradizionalmente viene affrontato il problema della dipendenza

di un’invenzione.

Si è così suggerito di determinare prima in quali casi può

effettivamente dirsi che l’inventore del composto vanti, per così dire,

un credito nei confronti dell’inventore di nuovo uso. E

successivamente di circoscrivere a tali casi sia l’estensione dell’ambito

di protezione di un brevetto oltre l’uso indicato nel brevetto stesso, sia

il riconoscimento di un nesso di dipendenza tra due brevetti.

Con la conseguenza che in questo modo verrebbero rispettate sia la

nozione di dipendenza prevista dalla legge come attuazione del

brevetto anteriore, sia, al contempo, la nozione di dipendenza avvertita

nel settore della chimica come incidenza di un’invenzione nel processo

inventivo che ha condotto all’invenzione successiva.

Riepilogando brevemente ciò che ho già affermato in precedenza,

bisognerà quindi distinguere le invenzioni di uso, o di selezione, a

seconda che il composto fosse, alla data della sua prima invenzione: a)

strutturalmente nuovo ed originale; b) strutturalmente nuovo ma non

originale, essendolo solo riguardo alla funzione. Solamente nel primo

caso l’inventore del nuovo uso sarebbe debitore nei confronti

dell’inventore del composto (eventualmente ricompreso in una

formula generale), e dunque, solo in questo caso sarebbe giustificato

riconoscere al brevetto un ambito di tutela esteso anche agli usi diversi

156 La seconda tesi di Di Cataldo, in La problematica delle invenzioni chimiche, I nuovi

brevetti, op. cit., Milano, 1995.

92

da quello originario e quindi ravvisare un nesso di dipendenza tra le

due invenzioni brevettate.

4-Estensione del brevetto di selezione e licenza obbligatoria

Appare opportuno a questo punto trarre le conclusioni riguardo al caso

della selezione di un composto, scelto in una classe che forma oggetto

di un brevetto precedente.

Il brevetto-base protegge quindi tutti i composti compresi nelle sue

rivendicazioni, esemplificati o meno, naturalmente se nuovi ed

originali e se il chimico esperto è in grado di prepararli in base alle sue

conoscenze ed alla descrizione del brevetto.

Il brevetto di selezione protegge invece composti compresi nel campo

di protezione del brevetto base, aventi un effetto caratterizzante utile

ed imprevisto, a condizione che si possano considerare “nuovi” a tal

fine, tale novità sussistendo ogniqualvolta lo stato della tecnica non

insegni, in modo intellegibile alla persona esperta, che il composto

selezionato ha quell’effetto caratterizzante.

Secondo la giurisprudenza europea, se questo effetto caratterizzante è

qualitativo (diverso da quelli enunciati nel brevetto-base), tale da

consentire una nuova utilizzazione, si ha “novità” anche se il composto

è descritto nel brevetto-base, purchè non sia descritto l’effetto

caratterizzante.

Se quest’effetto è quantitativo (maggiore intensità di una proprietà

utile) o negativo (assenza o minore intensità di una proprietà nociva) si

ha “novità” solo se esso: a) non è rilevato col suo nome o la sua formula

93

nel brevetto-base; b) non è l’inevitabile risultato di processi

esemplificati in questo; c) è il risultato di una scelta fra un numero

elevato di possibilità, per esempio se il brevetto-base identifica i

composti mediante una formula generale contenente almeno due

variabili da scegliersi in liste abbastanza lunghe.

Il brevetto di selezione, quindi, copre il composto selezionato, in

quanto sia fabbricato, venduto od usato al fine di trarre profitto

dall’effetto caratterizzante che costituisce la base della selezione.

Le invenzioni di selezione, come tutte quelle che si trovano tra di loro

in un rapporto di “dipendenza” nel senso stabilito dalla norma157,

possono essere oggetto del regime di licenza obbligatoria previsto all’

art. 71 C.P.I.

Questo istituto, introdotto nel nostro sistema brevettuale nel 1968158, è

stato definito dalla dottrina159 come uno degli “anticorpi pro-

concorrenziali” del nostro sistema brevettuale. Esso consiste appunto

nella concessione di una licenza sullo sfruttamento di una precedente

invenzione, formalmente devoluta al ministero delle Attività

Produttive, ma in sostanza amministrata dall’Ufficio Italiano Brevetti e

Marchi, sempre che chi la richieda “abbia provato di essersi

preventivamente rivolto al titolare del brevetto e di non aver potuto ottenere

da questi una licenza contrattuale ad eque condizioni”160.

157 Ex art. 2587 c.c. 158 Attraverso il d.P.R. 26 febbraio 1968, n. 849., successivamente modificato dal d.lgs. 19

marzo 1996, n. 198, in attuazione dell’ Accordo Trips. 159 Ghidini, Profili evolutivi del diritto industriale, 2001, pag. 23; Frassi, Invenzione derivata,

brevetto dipendente e licenza obbligatoria, in Rivista diritto industriale, 2006, pag. 218. 160 Ex comma 1 art 72 C.P.I.

94

La licenza obbligatoria viene concessa per legge in solo due casi: per

mancata attuazione161 dell’invenzione o in presenza di un brevetto

dipendente162.

I precedenti giurisprudenziali riguardanti questo istituto sono

pressochè inesistenti163, e lo sono totalmente per le invenzioni

dipendenti.

Secondo la Frassi164 questa situazione non rispecchia affatto le

potenzialità di questo strumento e la sua funzione pro-concorrenziale.

Dice infatti l’Autrice: “Ciò risulta, ad esempio, dal fatto che la richiesta della

licenza obbligatoria non è soggetta ad un termine, il che significa che il

secondo inventore ha tutto il tempo di ottenere la concessione del brevetto

dipendente sulla sua invenzione prima di richiedere l’eventuale licenza; dal

fatto che la licenza obbligatoria fa nascere il diritto del primo inventore ad

ottenere a sua volta una licenza (sempre obbligatoria165) sul brevetto

dipendente, il che sicuramente stimola le dinamiche della ricerca anche da

parte del primo inventore; ed ancora dal fatto che il secondo inventore possa

comunque esperire azione di nullità sul primo brevetto, e di conseguenza poter

eventualmente sottrarsi al vincolo della licenza166”.

Tramite l’istituto della licenza obbligatoria, dunque, si mantiene fermo

il principio per cui il titolare del brevetto principale percepisce parte

dei frutti derivanti dallo sfruttamento del brevetto dipendente, ma

161 Ex art 70 C.P.I. 162 Ex art 71 C.P.I. 163 Solo due casi per mancata attuazione: Tar Lazio del 30 novembre 1981, Tar Lazio del 7

gennaio 1985, in Giur. ann. dir. ind. 1981 e 1985, pag. 1718 e 1881. 164 Frassi, op. cit., pag. 218. 165 Ex comma 2 art 71 C.P.I. 166 Ex comma 6 art. 72 C.P.I.

95

viene affievolita la dipendenza del titolare del secondo brevetto dalla

volontà del titolare del primo167.

Diverse sono le motivazioni che si possono dare a questa quasi totale

“discriminazione” dell’istituto in questione.

Anzitutto, bisogna tenere presente che la licenza obbligatoria in caso di

invenzione dipendente, in seguito all’ accordo Trips del 1996, viene

concessa solo a condizione che il brevetto posteriore “rappresenti,

rispetto all’oggetto del precedente brevetto, un importante progresso tecnico di

notevole rilevanza economica”168.

Parte della dottrina169 sostiene che quello del “notevole progresso

tecnico” rischia di essere un criterio forse troppo selettivo ed

indeterminato se rapportato alle dinamiche innovative di un settori, tra

cui quelli chimici e biotecnologici, che risultano tra i più interessati alla

possibilità di un’ampia condivisione dei risultati dell’invenzione

principale offerta da quest’istituto, e dove il progresso portato

dall’innovazione non sempre risulta così evidente. Il titolare del primo

brevetto può in questo modo contare su di un requisito come questo

che risulta molto più stringente di quello posto da quello ordinario

dell’attività inventiva.

Quanto all’altro parametro, “la notevole rilevanza economica”, essendo

quello della licenza obbligatoria un procedimento che precede la fase

167 Interessante l’ipotesi formulata da Dragotti, Brevetto chimico: invenzioni di prodotto,

invenzioni d’uso e licenza obbligatoria, in Rivista diritto industriale, 1995, pag. 169, il quale sostiene che l’esistenza di un meccanismo di licenza obbligatoria in realtà contribuirebbe a favorire la stipulazione di accordi di licenza negoziale.

168 Così recita il primo comma dell’ art 71 C.P.I., e così dice anche l’art 31 dell’accordo Trips. 169 Frassi, Invenzione derivata, brevetto dipendente e licenza obbligatoria, op. cit., pag. 219,

e F.Leonini, Il ruolo del brevetto nella ricerca biotecnologica, in Studi in onore di Adriano Vanzetti, Giuffrè, Milano, 2004, pag. 825.

96

dell’attuazione dell’invenzione, risulta veramente difficile fare

previsioni in tal senso170.

Detto ciò, oramai buona parte della dottrina171 è concorde nel ritenere

da cancellare tali requisiti dall’istituto della licenza obbligatoria per

invenzione dipendente172.

Per quanto riguarda l’organo che gestisce le concessioni, si è detto

appunto che il C.P.I. lo identifica nell’U.I.B.M. (Ufficio brevetti e

marchi)173. Questo organo, che nel nostro ordinamento non compie un

esame preventivo dei requisiti di brevettabilità, se non quelli formali,

di nessuno dei titoli di proprietà industriale che concede, si ritrova a

dover gestire ed esaminare nell’ordine: a) la sussistenza dei requisiti

oggettivi nell’invenzione successiva, valutando anche, come si è detto,

l’importante progresso tecnico e la notevole rilevanza economica; b) la

eventuale buona fede del contraffattore richiedente174; c) gestire il

procedimento in contraddittorio tra le parti (notificare l’istanza al

titolare del brevetto precedente, riceverne l’opposizione, fare un

170

Si è sostenuto che, in sede di accordo Trips, al fine di evitare che la licenza d’uso possa venire imposta anche nel caso in cui il secondo brevetto sia meramente alternativo rispetto al primo sarebbe stato più opportuno richiedere nel nuovo trovato la presenza di un vero e proprio “miglioramento”. Ubertazzi –Marchetti, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, 2007, pag. 52.

171 Si veda Ghidini, op. cit., pag. 56, il quale dice:”….non appare, infatti, concepibile, rendere comparativamente più difficile l’accesso al mercato alla innovazione successiva rispetto a quella che la precede”.

172 Una possibilità sarebbe nel ravvisare la presenza di un progresso tale da giustificare la licenza obbligatoria ogni qualvolta il brevetto dipendente permette di realizzare un prodotto merceologicamente differente e considerato dai consumatori come non sostituibile rispetto ai prodotti tutelati dal brevetto principale. Ubertazzi –Marchetti, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, 2007, pag. 460.

173 Il decreto di concessione viene in realtà fatto dal Ministero delle Attività Produttive, ma in concreto è l’U.I.B.M. a vagliare e a decidere sulla domanda. Lo stesso decreto può poi essere impugnato davanti alla giurisdizione amministrativa (nella specie il TAR del Lazio).

174 Ex comma 3 art 72 C.P.I., il quale appunto recita:”La licenza obbligatoria non può essere concessa quando risulti che il richiedente abbia contraffatto il brevetto, a meno che non dimostri la sua buona fede”.

97

tentativo obbligatorio di conciliazione), ed infine concedere o negare la

licenza con decreto, il tutto nel termine di 180 giorni dalla data di

presentazione della domanda175.

Al di là del problema pratico di come tutto questo procedimento risulti

difficilmente applicabile, nei tempi di legge, considerando la struttura

organizzativa di un organo come l’U.I.B.M., il vero problema sembra di

diritto.

La Frassi176 si chiede infatti se sia opportuno che le valutazioni di

diritto, previste da questa procedura, siano affidate ad un’autorità

amministrativa.

Questo tipo di esame, infatti, si muove su un percorso che

riguarderebbe diritti soggettivi177, e richiede, appunto, valutazioni di

diritto da assumere sulla base della legislazione brevettuale. Tutto ciò

non risulta affatto diverso da quell’esame della brevettabilità

dell’invenzione, della validità e violazione del brevetto, funzioni queste

affidate al giudice ordinario.

La dottrina ha presentato due alternative a questo stato di fatto.

La prima178, mantenendosi nell’ambito di un’autorità amministrativa,

propone di affidare la competenza sul provvedimento di concessione

della licenza obbligatoria all’Autorità Garante della concorrenza e del

mercato, la quale, peraltro, già interviene nel caso di licenza volontaria

175 Ex art 199 C.P.I. 176 Frassi, op. cit., pag 223. 177

Anche se, ad esempio, in buona parte della giurisprudenza è consolidata l’opinione secondo cui il decreto di concessione o diniego della licenza è impugnabile in sede di giurisdizione amministrativa per violazione di interessi legittimi. In Giur. ann. dir. ind., 1984, pag. 111, e in Riv. Dir. ind., 1986, parte II, pag. 593.

178 Floridia, Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, II edizione, Torino, 2005, pag. 260.

98

sui principi attivi179. Il controllo di queste decisioni sarà poi

normalmente affidato alle ordinarie impugnazioni degli atti

amministrativi.

La seconda soluzione180 propende invece per l’affidamento delle

procedure di concessione della licenza obbligatoria all’autorità

giudiziaria ordinaria, che già provvede riguardo la validità e

l’accertamento della contraffazione del brevetto per invenzione.

La linearità di questa scelta verrebbe confermata nel caso di una causa

di contraffazione instaurata dal titolare del brevetto principale

precedente: infatti, data la possibilità che la licenza obbligatoria venga

concessa anche al contraffattore in buona fede (ex comma 3, art 72

C.P.I.), può accadere che il titolare del brevetto successivo attui

inizialmente l’invenzione pensando (o sperando) di non dover chiedere

alcuna licenza, e che esso venga invece poi convenuto avanti al giudice

ordinario dal titolare del brevetto principale. È in questo momento che

nasce l’interesse del potenziale contraffattore a richiedere la licenza

obbligatoria.

Secondo le regole attuali, il giudizio ordinario si dovrebbe sospendere

nel momento in cui il contraffattore fa istanza all’ U.I.B.M. per ottenere

la licenza obbligatoria, e, se questa venisse accolta, il giudizio

ordinario, ormai inutile, verrebbe riassunto solamente per concludersi

con il rigetto dell’azione di contraffazione, divenuta incompatibile con

l’avvenuta concessione della licenza.

179Ex comma 9 art 200 C.P.I., il quale recita: ”Qualora, nonostante la mediazione

ministeriale, l’accordo di licenza non venga concluso, il Ministero delle Attività Produttive, ove ne ravvisi i presupposti giuridici, dispone la trasmissione degli atti del procedimento all’ Autorità Garante della concorrenza e del mercato”.

180 Frassi, op. cit., pag. 225.

99

Secondo la Frassi sarebbe logicamente più semplice che in questo caso

la domanda di licenza obbligatoria venga formulata in via subordinata

dal presunto contraffattore, in ogni stato e grado del giudizio,

all’interno della sua difesa nell’azione di contraffazione proposta

contro di lui, come già in realtà accade per la domanda di conversione

del brevetto181.

In questo modo si arriverebbe così ad una sentenza di accertamento,

che disponga la licenza coattiva, e che andrebbe poi trasmessa all’

UIBM per la trascrizione.

Un’alternativa così concepita sarebbe anche potenzialmente rispettosa

dell’Accordo Trips; difatti, l’art. 31 di tale accordo, ponendo le

condizioni alle quali gli Stati possono concedere usi dell’oggetto del

brevetto senza consenso del titolare, nel riferirsi al soggetto che emette

l’autorizzazione, parla soltanto di “autorità competente”(lett. G), senza

precisare quale autorità debba essere, e neanche se debba essere per

forza amministrativa. La disposizione si limita ad aggiungere che

l’autorizzazione deve essere sottoposta “ a controllo giurisdizionale o ad

altro controllo esterno da parte di un’autorità superiore e distinta dello stato”,

che è ciò che già avviene nel nostro sistema attuale ( si veda nota 177), e

che avverrebbe anche nei sistemi alternativi appena proposti.

Nella caso in cui, nel corso del procedimento amministrativo di

concessione, venga dedotta in via di opposizione, da parte del titolare

del brevetto, la contraffazione del richiedente, questa potrà essere

181 Ex comma 3 art 76 C.P.I., il quale recita:” Il brevetto nullo puo' produrre gli effetti di un

diverso brevetto del quale contenga i requisiti di validità e che sarebbe stato voluto dal richiedente, qualora questi ne avesse conosciuto la nullita'. La domanda di conversione puo' essere proposta in ogni stato e grado del giudizio. La sentenza che accerta i requisiti per la validità dei diverso brevetto dispone la conversione del brevetto nullo. Il titolare del brevetto convertito, entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di conversione, presenta domanda di correzione del testo del brevetto. L'Ufficio, verificata la corrispondenza del testo alla sentenza, lo rende accessibile al pubblico.”

100

accertata dall’ U.I.B.M. in via incidentale. Si pongono problemi invece

per quanto riguarda il coordinamento fra giudizio ordinario di

contraffazione e procedimento amministrativo: non sembra infatti che

l’autorità amministrativa possa prendere decisioni che chiaramente

contrastino con l’esito di un giudicato precedentemente formatosi a

seguito di un’azione di contraffazione, ed è dibattuta anche la

possibilità che la stessa autorità debba sospendere il procedimento di

concessione della licenza in pendenza di un giudizio ordinario di

contraffazione182.

Un’altra situazione in cui si può evidenziare un’invenzione di

selezione, è quella che troviamo nel D.ls. 10 gennaio 2006 n.3 in materia

di protezione giuridica sulle invenzioni biotecnologiche183; la legge

infatti consente una tutela brevettuale per le invenzioni che hanno

oggetto piante, e ciò anche quando le rivendicazioni formulate dal

richiedente comprendano varietà vegetali184 .

Ciò implica che la privativa varietale e quella brevettuale possono

talora sovrapporsi, e ciò sia nel caso in cui lo sfruttamento di un

ritrovato vegetale non sia possibile senza violare un brevetto anteriore,

sia nel caso in cui lo sfruttamento di un’invenzione richieda l’uso di

una varietà vegetale protetta185.

182

Ubertazzi – Marchetti, op. cit., pag. 351. 183

In attuazione della Direttiva n.98/44 del 6/7/1998. 184

La nuova varietà vegetale è definita come “ un insieme vegetale di un taxon botanico del grado più basso conosciuto che (…) può essere definito in base ai caratteri risultanti da un certo genotipo o da una certa combinazione di genotipi ” ex art. 100 C.P.I.

185 Uno dei tanti motivi per cui diversi stati UE (tra cui l’Italia) avevano proposto ricorso ex art. 230 CE per ottenere l’annullamento della Direttiva sulle biotecnologie fu proprio riguardo la possibilità di brevettare le varietà vegetali. Con sentenza CE del 9/10/2001 la Corte, in merito a questo punto, rigettò il ricorso, sostenendo che in realtà l’art. 4 della Direttiva dispone che “un brevetto non può essere concesso per una varietà vegetale, ma può esserlo per un’invenzione la cui fattibilità tecnica non sia limitata ad una determinata varietà. Queste infatti sono oggetto, di per sé, della legislazione relativa alla

101

In entrambe queste ipotesi di dipendenza, la legge offre ancora una

volta la possibilità, all’art. 6 del decreto, di richiedere una licenza

obbligatoria. Competente per l’esame della richiesta e l’eventuale

rilascio è sempre l’U.I.B.M., e le condizioni a cui è subordinata la

concessione sono le stesse di quelle dell’art. 71 C.P.I., con però

l’aggiunta, alla lett. b del comma 4, del requisito dell’interesse sanitario

e sociale del progresso tecnico, oltre a quello della rilevanza economica

del medesimo.

Il sistema brevettuale statunitense non prevede alcuna ipotesi di

licenza obbligatoria, ma ha comunque messo a punto meccanismi atti a

risolvere i problemi che nel nostro sistema sono affidati a quest’istituto.

I principali casi in cui il sistema nordamericano prevede una qualche

forma di licenza obbligatoria hanno a che fare con la normativa

antitrust, e, in particolare, con la nozione di patent misuse186.

Quest’ultima dottrina si situa a metà strada tra il diritto dei brevetti e la

normativa antitrust.

Il punto centrale di tale costruzione giuridica prevede che il titolare di

un’esclusiva brevettuale sia libero di esercitare tale esclusiva sin tanto

che il brevetto non venga usato espressamente a fini contrari

all’interesse pubblico e, soprattutto, a fini anticoncorrenziali.

protezione dei ritrovati vegetali, ma che tale protezione vale solo per le varietà le cui caratteristiche siano determinate in base all’intero loro genoma. Pertanto, le invenzioni che contengano soltanto un gene e riguardino un insieme più ampio di una sola varietà vegetale possono essere brevettate, e la protezione può dunque estendersi sì ad una varietà vegetale, senza che però quest’ultima sia di per sé brevettabile. In Giur. ann. dir. ind., 2001, pag. 1216 ss.

186 G. Julian-Arnold, International Compulsory licensing: the rationales and the reality, 1993, dove a pag. 354 dice:”compulsory licenses for the benefit of private competitions are not favored by the tradition of America statute law, except as sanctions for actual violation of the antitrust law”.

102

Infatti, pur essendo noto che l’intero sistema della proprietà industriale

in sé sia in contrasto con un ipotetico sistema perfettamente

concorrenziale, il margine di liceità dei monopoli brevettuali si

restringe e scompare nei casi in cui il brevetto venga utilizzato per fini

diversi rispetto a quelli che giustificano la sua esistenza187.

È frequente, infatti, che le corti americane reagiscano a tentativi di

utilizzare privative brevettuali in contrasto con l’interesse pubblico

comminando al titolare del brevetto la concessione di una licenza

dietro un corrispettivo ragionevole, di solito in forma di royalties,

fissato in giudizio in mancanza di accordo delle parti.

Gran parte della misuse doctrine si concentra poi sulla liceità della

politica di licenze negoziali attuata dal titolare del brevetto; una

riformulazione della previsione legislativa relativa al misuse188,

chiarisce, ad esempio, che non costituisce misuse il rifiuto di concedere

licenze relative al brevetto, così come la concessione di una licenza sul

brevetto in vista dell’ottenimento di una corrispondente licenza su un

brevetto di cui sia titolare il licenziatario; egualmente, non costituisce

misuse l’intentare una causa per contraffazione di un proprio brevetto,

sia che si tratti di contraffazione diretta o indiretta.

Detto ciò, risulta sufficientemente esplicita la residuale notevole

estensione della dottrina del patent misuse, che nel complesso pone un

grosso interrogativo su ogni utilizzazione del monopolio brevettuale

che si concreti in un ostacolo per il progresso collettivo.

187 In re Atari Games Corp., 897 f2d 1572 (Fed. Cir. 1990), dove si dice:”A patent owner may

not take the property right garanted by a patent and use it to extend his power in the marketplace improperly, beyond the limits of what the Congress intended to give in the patent laws”.

188 Patent Misuse Reform, che nel 1988 ha modificato l’ art. 271 della legge brevetti statunitense.

103

Il dualismo tra esclusiva brevettuale e interesse collettivo si ritrova

anche in altre ipotesi in cui il diritto degli Stati Uniti prevede una

qualche forma di licenza obbligatoria; ad esempio nelle invenzioni

concernenti la tecnologia atomica189 o la salvaguardia dell’ambiente190.

Concludendo, posto che le attuali modalità tramite le quali viene

effettuata la ricerca chimico-farmaceutica fanno sì che le esclusive

brevettuali concesse presentino tra loro una forte dipendenza l’una

dall’altra, e nel contempo l’interesse pubblico alla incentivazione della

ricerca e messa in opera dei risultati della medesima risulta assai forte,

le indicazioni che si possono trarre dal modello americano depongono

verso un’interpretazione della normativa vigente che veda ovviamente

riconosciuto il diritto dell’inventore principale al godimento dei

risultati economici della propria invenzione, inclusi quelli derivanti da

nuove ed originali utilizzazioni della medesima da altri scoperte; nel

contempo veda anche riconosciuto il diritto dell’inventore dipendente

alla attuazione della propria invenzione, nei limiti del suo effettivo

apporto alle conoscenze collettive e nel rispetto dei diritti

dell’inventore principale.

Parallelamente deve sussistere un meccanismo in grado di assicurare

che il monopolio concesso all’inventore principale non si trasformi in

un ostacolo per il successivo sviluppo della tecnica, e tale meccanismo

deve proteggere sia gli interessi degli altri inventori che gli interessi

della collettività in senso lato.

Mentre negli Stati Uniti le esigenze sopra menzionate vengono

soddisfatte e attuate tramite differenti categorie e meccanismi giuridici,

la risposta italiana alle medesime esigenze si ritrova nella normativa

189 The Atomic Energy Act, 42 USC, art. 2183. 190 The Clean Air Act, 42 USC, art. 1857.

104

relativa alla licenza obbligatoria, nel momento in cui questa verrà presa

nella dovuta considerazione e applicata alle fattispecie (brevetto

chimico in primis) dove il contemperamento degli interessi sopra

indicati risulta essenziale per il corretto funzionamento del sistema

brevettuale.

105

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In re Hass, 141 F.2d 122, 60 U.S.P.Q. 544 (CCPA, 1944)

In re Hass, 141 F.2d 127, 60 U.S.P.Q. 548 (CCPA, 1944)

In re Hass, 141 F.2d 130, 60 U.S.P.Q. 552 (CCPA, 1944)

In re Henze, 181 F.2d 196, 85 U.S.P.Q. 261 (CCPA, 1950)

Application of Bremner, 182 F.2d 216, 86 U.S.P.Q. 74 (CCPA, 1950)

Bremner v. Manson, 383 U.S. 519, 148 U.S.P.Q. 689 (1966)

In re Stemniski, 444 F.2d 581, 170 U.S.P.Q. 343 (CCPA, 1971)

In re Lalu, 743 F.2d 703 (CCPA, 1979)

In re Gyurik, 596 F.2d 1012, 1018 (CCPA, 1979)

In re Grabiak, 769 F.2d 729 (Fed. Cir., 1985)

In re Dillon, 919 F.2d 688, 691 (Fed. Cir., 1990)

In re Atari Games, 897 F.2d 1572 (Fed. Cir., 1990)

In re Oetiker, 977 F.2d 1443 (Fed. Cir., 1992)

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giancarlo
Dr. Luigi CHIARELLI., Associato dello Studio Legale Sutti http://www.sutti.com.