INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA DEL...

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-1- INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA DEL MEDIOEVO I – Definizione del concetto di Medioevo I.1 – A quale periodo storico corrisponde? Il Medioevo corrisponde ad una lunga fase della storia umana che ricopre più o meno un millenio dal V al XV secolo. Ma quali sono le date simboliche che, per convenzione, sono state scelte come inizio e fine del Medioevo? Si è soliti dire che il Medioevo comincia nel 476 dopo Cristo cioè con la disgregazione della parte occidentale dell’Impero Romano, con la deposizione dell’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo. Per quanto riguarda la data di fine dell’epoca medievale, gli storici non sono così concordi. Infatti, se tutti si accordano per dire che il 476 segna l’inizio del Medioevo, la data di fine ha suscitato un certo dissenso in seno agli storici. Ma insomma, la maggior parte di essi ritiene il 1453, data che corrisponde alla caduta di Costantinopoli nelle mani turche, come la data che segna la fine del Medioevo. Altri tuttavia ritengono che sia il 1492 ed ancora più precisamente il 12 ottobre del 1492, data alla quale Cristoforo Colombo approdò alle coste di un continente finora sconosciuto che riteneva essere le Indie ma che sarebbe stato poi riconosciuto come le Americhe, a segnare la fine del Medioevo. Finalmente, altri ritengono una data più tardiva, il 1517 che corrisponde all’affissione delle tesi di Martin Lutero. Insomma, tre avvenimenti diversi sono stati proposti come fine potenziale del Medioevo : un episodio militare ed un cambiamento istituzionale per il primo, un avvenimento che avrebbe avuto un’immensa portata sociale ed economica per il secondo ed un mutamento religioso, culturale e politico per il terzo. Adesso che abbiamo determinato lo spazio storico che occupa il Medioevo, è necessario interrogarci sul significato che riveste tale parola che è stata scelta per definire e qualificare questo lungo periodo di mille anni. I.2 – Qual’è la significazione della parola « Medioevo » ? Il termine « Medioevo » si compone di due parole : « medio », sinonimo di « mezzo » e « evo » sinonimo di « età ». Il Medioevo è anche stato chiamato « età di mezzo » o per riprendere l’espressione latina « media aetas ». Tale denominazione indica dunque un periodo centrale, diverso dal periodo precedente e da quello seguente.

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INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA DEL MEDIOEVO

I – Definizione del concetto di Medioevo

I.1 – A quale periodo storico corrisponde?

Il Medioevo corrisponde ad una lunga fase della storia umana che ricopre più o meno

un millenio dal V al XV secolo. Ma quali sono le date simboliche che, per convenzione, sono

state scelte come inizio e fine del Medioevo?

Si è soliti dire che il Medioevo comincia nel 476 dopo Cristo cioè con la disgregazione

della parte occidentale dell’Impero Romano, con la deposizione dell’ultimo imperatore

romano Romolo Augustolo. Per quanto riguarda la data di fine dell’epoca medievale, gli

storici non sono così concordi. Infatti, se tutti si accordano per dire che il 476 segna l’inizio

del Medioevo, la data di fine ha suscitato un certo dissenso in seno agli storici. Ma insomma,

la maggior parte di essi ritiene il 1453, data che corrisponde alla caduta di Costantinopoli

nelle mani turche, come la data che segna la fine del Medioevo. Altri tuttavia ritengono che

sia il 1492 ed ancora più precisamente il 12 ottobre del 1492, data alla quale Cristoforo

Colombo approdò alle coste di un continente finora sconosciuto che riteneva essere le Indie

ma che sarebbe stato poi riconosciuto come le Americhe, a segnare la fine del Medioevo.

Finalmente, altri ritengono una data più tardiva, il 1517 che corrisponde all’affissione delle

tesi di Martin Lutero. Insomma, tre avvenimenti diversi sono stati proposti come fine

potenziale del Medioevo : un episodio militare ed un cambiamento istituzionale per il primo,

un avvenimento che avrebbe avuto un’immensa portata sociale ed economica per il secondo

ed un mutamento religioso, culturale e politico per il terzo.

Adesso che abbiamo determinato lo spazio storico che occupa il Medioevo, è

necessario interrogarci sul significato che riveste tale parola che è stata scelta per definire e

qualificare questo lungo periodo di mille anni.

I.2 – Qual’è la significazione della parola « Medioevo » ?

Il termine « Medioevo » si compone di due parole : « medio », sinonimo di « mezzo »

e « evo » sinonimo di « età ». Il Medioevo è anche stato chiamato « età di mezzo » o per

riprendere l’espressione latina « media aetas ». Tale denominazione indica dunque un periodo

centrale, diverso dal periodo precedente e da quello seguente.

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Il Medioevo, infatti, è incorniciato da due altri periodi storici : l’Antichità (dal quarto

millenario prima di Cristo e più precisamente dal –3500 / -3000, cioè a partire dall’invenzione

della scrittura nell’Egitto e nella Mesopotamia) e il Rinascimento (periodo molto più breve di

un secolo e mezzo che finirà con le guerre d’Italia ed il trattato di Catteau Cambrésis nel

1559).

ANTICHITÀ MEDIOEVO RINASCIMENTO

I I I I

-3500/-3000 476 1453 1559

Il Medioevo appare dunque come un periodo centrale tra l’Antichità che lo precede e il

Rinascimento che gli fa seguito.

I.3 – Come venne e come viene considerato il Medioevo ?

È ovvio che chi viveva dal V al XV secolo non avrebbe mai immaginato di vivere in

un’età di mezzo, non ne aveva coscienza. La denominazione di « Medioevo » per qualificare

il lungo periodo storico che corre dal V al XV secolo venne data posteriormente. Tale

concetto di « Medioevo » è stato definito infatti solo molto più tardi quando alcuni posteri

guardarono al passato come ad una vicenda conclusa. Fu tra il Quattrocento ed il Cinquecento

che gli storici elaborarono la storia della civiltà divisa in tre fasi ognuna delle quali ricevette

un giudizio di valore :

Luminosa venne detta l’Antichità classica

Oscura e decadente l’età che fece seguito alla dissoluzione della parte occidentale dell’Impero Romano

E finalmente piena di nuove promesse quella che si stava vivendo, epoca nella quale si ritennero rinati ideali simili a quelli della civiltà antica. Risulta quindi che tra due epoche che si somigliano come l’Antichità ed il

Rinascimento, esisteva un’età intermedia molto diversa, iniziata coll’irruzione barbarica.

Il Medioevo venne considerato come un’epoca di rozzezza, di tenebre, in opposizione

alla luce antica e rinascimentale, un’eta di oscurità, di barbarie. Si venne così a poco a poco

edificando il mito della frattura tra Antichità ed Medioevo ma anche tra Medioevo e

Rinascimento. Il Medioevo venne concepito come una lunga parentesi tra Antichità e

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Rinascimento che escludeva ogni possibilità di continuità tra questi tre periodi della storia

umana.

Fu proprio il Cinquecento a dare questa denominazione negativa di « Medioevo » al

periodo storico che correva dal V al XV secolo. Venne percepito come un’età di decadimento,

di barbarie fra la grande civiltà greco-romana antica e la sua attuale risurrezione

rinascimentale.

Il Settecento non cambiò parere e considerò il Medioevo come un’età di oscurantismo

culturale e civile, un’età caratterizzata da un ascetismo negatore della dignità dell’uomo e

della vita terrena.

L’Ottocento insistette ancora sul mito della frattura. Fu proprio nell’Ottocento e più

precisamente nel 1840 che il professore d’università Michelet diede il nome di

« Rinascimento » all’epoca che seguì il periodo medievale. Riteneva che il Rinascimento

fosse nato dal nulla che si trattasse di una miracolsa risurrezzione della bellezza, delle virtù

antiche nel cuore degli uomini. Inoltre, nel 1860, lo storico svizzero Burckhart, insistette

anche lui sul fatto che il Rinascimento era del tutto staccato dall’età precendete che segnava

una vita culturale nuova dopo le barbarie del Medioevo.

Ma proprio nell’Ottocento, il Romanticismo volle rivalutare l’idea di Medioevo.

Venne sempre considerato come un’epoca barbarica e primitiva ma insieme come un’epoca

ricca di forti passioni e di poesia. Inoltre, va ricordato che il Romanticismo conferì un senso

lodativo al mito del barbaro opponendo la decadenza del mondo classico al vigore ed alla

naturalezza dei barbari. Infine, il Romanticismo celebrò il Medioevo come l’epoca per

eccellenza della fede e del miticismo.

Comunque sia, questi giudizi, nonostante la loro diversità, insistono comunemente

sulla netta frattura che separa il mondo classico dal mondo medievale.

Fu soltanto il Novecento che cominciò ad opporsi a tale giudizio. Nel 1919, il filologo

tedesco Burdach sostenne una sostanziale continuità tra le due ere.

Oggi si riconosce che proprio nel Medioevo ebbe origine la civiltà europea.

Comunque sia, la realtà appare molto diversa dalle concezioni si del Settecento sia

dell’Ottocento. Il Medioevo non è né tutto barbarico, né tutto positivo, non può essere definito

dalla sola ignoranza o dalla sola mistica. Ogni rappresentazione ad una sola tinta che prenda

la forma diffamatoria degli illuministi o quella entusiasta dei romantici, ha i difetti propri di

tutte le formule genralizzanti perché non dà importanza alle sfumature. E durante un periodo

così lungo, le sfumature non mancano !

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Infine, va ricordato che il Medioevo ci ha lasciato forti eredità. Che basti ricordare le

città, i castelli, le torri, le cattedrali d’Europa che risalgono all’epoca medievale. Inoltre è

possibile aggiungere che la maggior parte delle nostre tradizioni, delle feste popolari ma

anche parte del nostro modo di vivere attuale risale al Medioevo. Il Medioevo ci ha anche

dato la lingua. Molte parole elaborate durante il Medioevo sono tuttora usate anche se talvolta

con una differenza di senso. Parliamo per esempio tuttora dell’università, dei quattrini…

Insomma, è possibile sostenere che i cambiamenti linguistici e le innovazioni letterarie

dalla fine dell’Antichità fino al Duecento sono avvenuti in un continuum, cioè in una

tradizione culturale ininterrotta.

Il Medioevo è l’età delle invasioni barbariche, della peste, delle epidemie, delle

carestie, delle guerre ma è anche l’età di Dante e della Divina Commedia.

II – Le grandi linee del contesto storico

II.1 – Prima del Mille : l’Europa delle invasioni barbariche

Prima dell’anno Mille, il Medioevo è prevalentemente caratterizzato dall’irruzione

delle masse barbariche. Va ricordato che la parola « barbari » viene dal greco barbaroi e

significa « balbettanti in maniera incomprensibile ». Semanticamente, la parola « barbari »

indica dunque gli stranieri, cioè i non romani. Soltanto col tempo è avvenuto uno slittamento

semantico in senso negativo che ha portato da « stranieri » ad « incivili ».

L’Europa prima dell’anno Mille viene dunque caratterizzata dalle invasioni

barbariche. Va ricordato che l’Impero Romano era già in crisi sin dal III secolo dopo Cristo.

Diversi gruppi barbarici erano già passati in Romania (cioè nell’Impero Romano) ma erano

stati rapidamente integrati. Fu soltanto all’inizio del V secolo che sotto la pressione barbarica

tutte le frontiere crollarono e che il Limes1 venne varcato. Nel 455 Roma venne saccheggiata e

il 5 settembre del 476 Odoacre depose ed esiliò Romolo Augustolo, ultimo imperatore della

parte occidentale dell’Impero Romano.

Questo periodo prima del Mille è anche caratterizzato dal declino quasi totale

delle città che vennero messe a sacco dei barbari. Gli insediamenti umani si spostano dalle

città verso le campagne.

1 Cesare, nel De Bello Gallico da questo nome alla linea di demarcazione tra il mondo germanico e il mondo romano. Si tratta della frontiera separativa tra la Romanitas (cioè l’Impero Romano) e la Barbaritas (le terre barbariche).

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Va aggiunto anche un forte regresso economico e demografico per via delle

continue guerre e delle incursioni che portano che sé carestie e pestilenze.

Il commercio diventa più ristretto per via della degradazione della rete stradale e

dell’insicurezza.

Si dovrà aspettare l’VIII secolo per incontrare la prima forma di

riorganizzazione con Carlo Magno e gli ordinamenti feudali che furono forme più efficienti

di governo e di didfesa. Si operò anche una maggior diffusione della cultura e della

letteratura nell’ambito della cosiddetta Rinascita Carolingia. Ma pur tuttavia persiste

ancora una netta frattura fra l’aristocrazia (i sacerdoti ed i guerrieri) e le classi produttive (i

lavoratori).

Per riassumere, prima del Mille, l’Europa è caratterizzata dal declino dell’Impero Romano,

dal declino delle città, ma a partire dall’VIII secolo vengono fuori i fondamenti di un nuovo

ordine economico, politico e sociale e si avvertono i primi segni di una lenta ma chiara

ripresa.

II.2 – Dopo il Mille : La crescita dell’Occidente

Il periodo dopo il Mille è caratterizzato dall’avanzata cristiana sugli infedeli per

via delle diverse crociate.

Si avverte anche una crescita demografica per via della fine delle invasioni, della

fine delle epidemie ma anche per via di un clima fattosi molto più dolce.

Gli spostamenti umani cambiano e dalle campagne gli uomini tornano a popolare

le città. Inoltre riprendono nuovi spostamenti nell’ambito dei pellegrinaggi a Gerusalemme o

a Santiago di Compostelle, nell’ambito delle crociate in Terrasanta o anche delle fiere.

Si nota un incremento delle terre coltivabili grazie al diboscamento ed al

prosciugamento dei pantani soprattutto nella regione della Maremma. Queste misure

permettono un nuovo sviluppo dell’agricoltura.

Le città rinascono e la vita urbana acquista un maggior vigore, la società è più

ordinata, più stabile. La vita economica si sviluppa col commercio su più grande distanza2.

Appare la civiltà « borghese » del Comune che porta con sé una mentalità nuova, più

realistica, accentrata sulla vita attiva ma non si sostituisce ancora al mondo ofeudale.

2 Il commercio avveniva in diversi luoghi. In città col mercato, sul campo internazionale c’erano le fiere, come per esempio le fiere della Champagne che erano le più famose e anche il commercio su più grande distanza : il commercio con l’Oriente.

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La cultura consosce anch’essa la sua rinascita con la riscoperta delle opere di

Aristotele.

Il Duecento ed il Trecento segnano l’età d’oro del Medioevo e sono caratterizzati

dalla grande crescita delle città e delle campagne e da una crescita demografica mai vista.

Nal corso del Duecento, la popolazione sarà al suo massimo.

Tale crescita demografica si accompagna ovviamente di uno slancio edilizio.

Perché maggior gente potesse vivere in città, le mura vennero allargate e per alloggiare la

popolazione, le costruzioni vennero edificate verticalmente. A quest’epoca appartengono

anche le cattedrali gotiche di Notre Dame di Parigi iniziata dal 1163 e di Santa Maria del

Fiore a Firenze.

La rivoluzione commerciale raggiunge il suo culmine con l’apparire della figura

del banchiere.

La cultura cresce nelle città con l’apparire delle scuole pubbliche laiche.

Ma ai primi del Trecento si avvertono i primi sintomi di una nuova crisi. La

popolazione smette di crescere. Il 1348 è l’anno della peste nera e della carestia per via

del maltempo, delle invasioni non più di barbari ma di insetti, delle guerre, dei saccheggi. La

banca e la produzione incontrano le prime difficoltà. Il mondo è sconvolto da guerre

incessanti : la guerra dei cento anni, la guerra delle due rose, le guerre permanenti in Italia.

Gli sterpi e la boscaglia riprendono terreno sulle terre coltivabili. Interi villaggi vengono

abbandonati e la popolazione cittadinesca si concentra nel centro della città.

Occorrerà aspettare il 1450 perché inizi la ripresa col lento aumento della popolazione,

con la distinzione in campagna (per l’agricoltura), pascoli (per l’allevamento) e città (per

l’artigianato, il lavoro manufatto). E finalmente anche la cultura conoscerà un suo

miglioramento. Gli intellettuali si avvicinano ai politici e danno vita all’umanesimo

caratterizzato dal rifiore delle arti, della letteratura, della filosofia e dall’apparizione di un

nuovo tipo di intellettuale : l’umanista che studia le humanae litterae, le humanitatis. La

cultura viene anche caratterizzata dal rafforzamento dell’approccio scientifico nell’ambito

della storia, dell’arte, della geometria, delle proporzioni, della prospettiva. Appaiono gli

ingegneri con i loro macchinari. Basti soltanto ricordare Leonardo da Vinci e Johann

Gutenberg, inventore della stampa nel 1436. Il primo libbro che verrà dato alle stampe nel

1455 sarà ovviamente la Bibbia.

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III – Il mondo medievale

III.1 – Una concezione diversa dalla nostra

III.1.1 – Le mentalità

Il mondo medievale è caratterizzato dalla spiritualità che si diffonde nella cultura e

nella letteratura. Il Medioevo è del tutto dominato dalla concezione cristiana della vita, dalla

trascendenza divina. Nel cuore dell’uomo medievale ci sono Dio e la Bibbia, la dicotomia tra

peccati e virtù, dannazione e salvezza, Inferno e Paradiso.

La vita terrena viene interpretata in chiave allegorica. Infatti, gli uomini medievali

ritenevano che la realtà vera non era quella del mondo in cui vivevano ma quella della vita

ultraterrena. Pensavano che l’uomo, corrotto dal peccato originale, avesse bisogno dell’aiuto

della grazia divina per compiere il doloroso pellegrinaggio terreno alla ricerca della propria

identità perduta. L’uomo era proteso verso la conquista della patria celeste, ambiva la

riconciliazione con l’amicizia divina in modo da ottenere la salvezza dell’anima.

La terzina liminare della Divina Commedia è emblematica di tale concezione della

vita.

« Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura, ché la diritta via era smarrita », Inferno I, v.1-3

Dante personaggio dichiara ritrovarsi « in una selva oscura » per aver smarrito « la

diritta via ». L’ambiente della selva, della foresta, nell’immaginario medievale, simboleggia

lo spazio del disordine. La foresta è il luogo in cui vivono i mostri, le bestie selvagge, un

luogo della paura, del peccato. Invece, la « diritta via » corrisponde alla via virtuosa, alla via

della virtù che secondo Aristotele nell’Etica Nicomachea corrisponde al giusto mezzo.

All’inzio della Divina Commedia Dante personaggio si ritrova dunque nella selva del peccato

perché ha avuto un atteggiamento che si è allontanato dalla via virtuosa. La Commedia narra

il viaggio escatologico di Dante pellegrino alla ricerca di tale via virtuosa. Inoltre, il verso

iniziale : « Nel mezzo del cammin di nostra vita », è emblematico della concezione della vita

terrena come una grande parabola secondo la quale l’uomo diventa un pellegrino esiliato dalla

vera patria, esiliato dal Paradiso Terrestre in seguito al peccato originale, e deve compiere un

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percorso di espiazione dei peccati in modo che diventi « puro e disposto a salire a le stelle ».

In altre parole, l’uomo deve ritrovare la similitudine divina3.

È proprio tale concezione dell’uomo e della vita umana ad opporre il Medioevo

all’Antichità ed al Rinascimento. Infatti, l’uomo medievale corrisponde alla figura del santo

che rinuncia alle seduzioni terrene e prova a conquistare la perfezione spirituale. Al contrario,

l’uomo antico corrisonde ad una figura di umanità esemplare che s’incarna nell’eroe che

rivendica la piena affermazione delle proprie capacità. Si tratta di un uomo di questo mondo,

cioè del mondo terreno che costituisce la sua unica dimora. L’uomo ha una funzione

civilizzatrice. Questa figura sarà ripresa ed amplificata dall’Umanesimo e dal Rinascimento.

Per riassumere, si può sostenere che al centro del Medioevo c’è Dio mentre al centro

dell’Antichità e del Rinasciemento c’è l’uomo.

III.1.2 – La vita politica

Durante il Medioevo, la visione cristiana del mondo coinvolge fortemente le mentalità

ma anche ogni aspetto della vita e perfino la vita politica. Nell’ambito della politica, il

Medioevo sognava un Impero universale che raccogliesse in un corpo unitario tutta la

cristianità proprio come la Chiesa raccoglieva tutti i cristiani nel campo spirituale. Si riteneva

che Dio avesse dato all’uomo due guide perché provvedessero alla pace ed alla giustizia :

l’imperatore nel campo temporale e il Papa nel campo spirituale. Si tratta della teoria dei

due luminari che Dante aveva esposta nella Monarchia III, XVI , 10 e riprende al canto XVI del

Purgatorio nella Divina Commedia :

« Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo, due soli aver, che l’una e l’altra strada facean vedere, e del mondo e di Deo. L’uno l’altro ha spento; ed è giunta la spada col pasturale, e l’un con l’altro insieme per viva forza mal convien che vada; però che, giunti, l’un l’altro non teme: se non mi credi, pon mente a la spiga, ch’ogn’erba si conosce per lo seme », v.106-114

Nella Monarchia, Dante aveva sostenuto che Dio aveva dato all’umanità due lumari :

il sole, cioè il papa e la luna, vale a dire l’imperatore. Ma poi aveva sentito che tale

similitudine era a dispetto dell’imperatore che diventava soltanto il riflesso del papa, la luna

3 Va ricordato che nel Genesi è scritto che Dio creò l’uomo alla sua immagine e similitudine. Il peccato originale ha alterato tale similitude e l’uomo deve quindi provare a ritrovarla.

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essendo condiderata come riflesso del sole. Rovescia dunque tale dottrina nel canto XVI del

Purgatorio ed afferma che Dio ha lasciato agli uomini due luminari, due soli : il Papa e

l’Imperatore riprendendo l’immagine biblica della creazione divina degli astri del cielo :

« Fecit Deus duo luminaria magna ». Esiste dunque un’analogia tra la creazione dei luminari

del cielo e quella dell’Impero e della Chiesa. Dante è partigiano qui della dottrina delle

competenze secondo la quale al Papa spetta la salvezza dell’anima immortale mentre

all’imperatore spetta il regno morale, la giustizia sulla terra.

III.1.3 – La vita filosofica e letteraria

Eccetto i campi della mentalità e della politica, la visione cristiana della vita coinvolge

anche il campo letterario. La vita filosofica e letterearia ha infatti il compito di diffondere le

verità della fede. La natura, le cose, gli eventi vengono interpretati come manifestazioni del

divino.

Il mondo naturale, gli animali per esempio, nell’ambito dei bestiari, non sono studiati

per essi, hanno poco valore oggettivo, non hanno un’esistenza propria ma diventano immagini

cariche di significati, ricevono connotazioni morali, in una parola, sono « cristianizzati » per

diventare strumenti pedagogici utili per l’insegnamento morale e spirituale dei chierici come

dei laici.

L’animale riveste una funzione esemplare, diventa un esempio positivo o negativo da

imitare oppure da fuggire. Incarnano una virtù o un vizio. Per esempio l’aquila, il leone, il

griffone sono simboli positivi di Cristo, mentre il serpente è simbolo del diavolo, il mostro

immagine del peccato, del disordine e del caos, gli uccelli intermediari privilegiati con

l’aldilà, messaggeri divini.

Insomma, la verità naturale non conta o conta poco, il pieno significato viene

acquistato in ordine ai valori cristiani. I bestiari sono prima di tutto manuali di dottrina

cristiana secondo la concezione cristiana del mondo come « foresta di simboli ». Le realtà

visibili (tutte le cose materiali, viventi che si possono vedere sulla terra) sono, prima di tutto,

riflesso delle realtà invisibili (di tutte le realtà che non si possono vedere : Dio, i misteri della

fede), sono considerate come metafore della verità rivelata4. I bestiari non sono libri di

zoologia ma guide alla comprensione ed al significato riposto (segreto) del regno animale,

sono strumenti utili per l’esegesi (interpretazione) delle numerose immagini zoologiche che 4 Cf., Paolo, Romani, I, 20: « Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità » (p.5 del gruppo di testi).

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contengono i testi sacri. Avvertiamo quindi una netta subordinazione delle scienze naturali

alla teologia, del mondo alla religione come l’abbiamo visto studiando l’esempio dell’aquila

tratto dal Libro de la natura de li animali, un bestirio toscano anonimo della fine del

Duecento che ha riscosso un notevole successo.

Il testo comincia col descrivere due nature, due qualità caratteristiche dell’aquila.

La prima consiste nel fatto che può guardare fissamente e drittamente il sole senza essere

abbagliato. L’aquila sottommette i suoi figli a tale prova, cioè verifica se sono in gradodi

guardare fissamente e drittamente il sole senza essere abbagliati. Se riescono questa prova,

l’aquila li ritiene suoi legittimi figli se no, li scaccia. La seconda natura dell’aquila esposta dal

testo è quella secondo la quale quest’uccello può ringiovanire. Quando è invecchiato, vola

alto nel cielo fino a raggiungere il calore che l’arde e bruccia le sue penne. Cade in una

fontana nella quale si gira tre volte e si rinovella.

Il testo finisce col dare il commento, la sentenza, la spiegazione simbolica di queste

due nature dell’aquila. L’Aquila che guarda fissamente nel sole è Cristo. La prova alla quale

sottomette i suoi figli viene assimilata alle diverse prove alle quali Cristo sottommette i

cristiani che devono riconoscere il dogma, la creazione divina, l’Incarnazione, la Redenzione,

la Trinità, il Dio onnipotente e Giudice. Se i cristiani passano con successo queste prove

possono essere chiamati cristiani, sono simili a san Giovanni evangelista e dunque sono i

degni figli di Cristo. Finalmente, il ringiovinamento dell’aquila viene paragonato al santo

battesimo nel quale l’uomo si rinovella, uccidendo il vecchio uomo, cioè l’uomo del peccato

originale e rinascendo in Cristo nella fede e nell’ubbidienza.

Quest’esempio mostra chiaramente che nel Medioevo la realtà veniva interpretata per

via dell’analogia tra il mondo e l’universo e tra l’uomo e Dio, l’uomo essendo stato creato

all’immagine ed alla similitudine di Dio.

III.2 – Il libro nel Medioevo

Abbiamo già visto che nel Medioevo non esisteva la stampa che fu inventata solo nel

1436 da Johann Gutenberg. I libri venivano diffusi tramite i manoscritti che erano conservati e

copiati nei monstaeri. Appare dunque che la civiltà medievale era dominata dalla religione

anche nei confronti del libro.

D’altronde, il libro per eccellenza del mondo medievale era la Bibbia ed i letterati

lavoravano alla sua interpretazione che consisteva nella ricerca della piena concordanza tra il

Vecchio ed il Nuovo Testamento. Tale ricerca di concordanza incontrò difficoltà e diede vita

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ad un intenso esercizio interpretativo che sviluppò e fissò i modi della lettura allegorica pur

tuttavia rispettosa del senso letterale e storico. Apparvero due metodi.

Il primo venne chiamato « prospettiva figurale » e consiste nel considerare gli

eventi narrati dal Vecchio Testamento come prefigurazioni, come figure delle verità cristiane

nelle quali l’evento storico trova il suo adempimento. Per esempio, il sacrificio di Abraamo al

quale Dio chiese di sacrificare, di dare in olocausto il suo figlio unico Isaaco per provare la

sua fede ed ubbidienza, sostituendo finalmente il figlio da un ariete, viene interpretato come la

figura, l’annuncio del sacrifico di Cristo sulla croce, figlio unico di Dio che verrà chiamato

« Agnus Dei », agnello di Dio, riprendendo ed adempiendo così la figura dell’ariete del

sacrificio di Abraamo. In questa prospettiva, il Vecchio Testamento è percepito come una

successione di figure, di profezie figurative di Cristo che portano dalla figura costituita dal

fatto storico narrato nel Vecchio Testamento alla sua piena realizzazione nel Nuovo

Testamento.

Il secondo metodo s’identifica con la dottrina dei quattro sensi della lettura che

corrisponde ad una lettura che consente diverse dimensioni di significto e permette di

penetrare le sfumature e la pluralità dei possibili significati. Tale lettura si fonda

sull’opposizione tra i due sensi principali : il senso lettrale e storico del Vecchio Testamento e

il senso spirituale del Nuovo Testamento nell’ottica quindi della prospettiva figurale, il Nuovo

Testamento adempiendo il Veccho cambiando la lettera in spirito, portando la figura al suo

compimento. Ma il senso spirituale ricevette tre divisioni ulteriori in senso allegorico, morale

ed anagogico come lo spiega Dante in un passo famoso del Convivio5.

Tali esercizi di interpretazione cercavano di leggere i testi nella loro complessità.

Ma accanto alla Bibbia, esiste un altro libro lasciato da Dio agli uomini, si tratta del

libro dell’universo che viene concepito come un sistema di segni che riflettono più o meno

direttamente il Creatore divino e ne danno testimonianza. L’universo viene concepito come un

enorme repertorio di simboli, si configura come un libro sacro scritto da Dio all’atto della

creazione, un libro da leggere come la Bibbia, un libro nel quale la lettera introduce a

significati riposti : allegorici, morali, mistici che riflettono nelle creature le verità del loro

Creatore. Libro dunque è il cosmo, grandioso poema che unisce bellezza ed armonia in

un’unità organica e complessa6.

5 Cf., Convivio, II, I, 3-14, (p.6-7 del vostro gruppo di testi). 6 Cf., Divina Commedia, Paradiso XXXIII, v.85-87, (p.7 del vostro gruppo di testi).

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Libro è anche la memoria come lo sostiene Dante nel proemio della Vita Nuova :

« In quella parte del libro de la mia memoria, dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: INCIPIT VITA NOVA. Sotto la qual' io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d'assemprare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia »

Appare dunque che la lettura di un libro medievale richiede alcuni presupposti.

Infatti, la lettura non è mai semplice né « naïve ». La lettura è un’attività culturale

profondamente radicata in un ambiente sociale, culturale, storico che corrisponde all’ambiente

del lettore perché ogni lettore legge con le idee del suo tempo e fa rivivere il testo. Ma questo

fa problema nei riguardi della letteratura medievale che fa appello a schemi, a conoscenze che

non sono più quelle del nostro mondo moderno. La lettura di un’opera medievale implica

quindi di conoscere alcuni riferimenti che erano riconosciuti subito dai lettori medievali ma

che oggi, per via della lontanza, non saltano più agli occhi.

Per esempio, il verso iniziale della Commedia : « Nel mezzo del cammin di nostra

vita » era capito subito dai lettori. E oggi ? Non si sa subito a che cosa faccia riferimento « il

mezzo del cammin ». Infatti qui, l’Alighieri fa riferimento al Salmo 89 che fissa la vita umana

a settant’anni. Si trattava di un luogo comune, di un topos dell’epoca subito identificato dai

lettori. Inoltre, l’Alighieri fa riferimento alla propria opera, e più precisamente al Convivio nel

quale presenta la vita « ad imagine d’arco » il cui colmo è raggiunto all’età di trentacinque

anni7. Infine, come l’abbiamo già detto, sfrutta l’immagine della vita concepita come un

pellegrinaggio e fa riferimento al viaggio fisico e spirituale che sta per fare sul cammino della

salvezza.

III.3 – Alcuni fondatori della mentalità e della cultura medievali

Sant’Agostino (354-430), fu vescovo africano convertito al cristianesimo del quale

affermò e difese la dottrina contro le eresie. La sua opera consistette ad interpretare la Bibbia

ed a commentare i classici latini Omero e Virgilio. Scrisse le Confessioni che fu considerato

come un gran libro per l’Occidente.

San Girolamo (saint Jérôme) (347-420) fu un importante traduttore della Bibbia in

latino e scrisse numerose Lettere.

Boezio (Boèce) (480/2–524), fu filosofo e uomo politico latino, venne accusato,

imprigionato ed ucciso. In carcere, scrisse il De consolatione filosofia, la Consolazione

7 Cf., Convivio, IV, XXIII , 6-10 (p.8 del gruppo di testi).

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filosofica, libro importante per l’occidente e per Dante che lo celebrò nel Convivio. Si fece

erede della cultura greca che portò in occidente traducendo e commentando in latino le opere

di Aristotele.

Dionigi Areopagita (Denys l’Aréopagite) (V-VI secolo) scrisse la Gerarchia

celeste trattato sulla cosmografia dei cieli che Dante ritenne nella cosmografia della Divina

Commedia.

Isidoro di Siviglia (Isidore de Séville) (560-636) fu vescovo di Siviglia, scrisse le

Etimologie, che furono considerate come la prima grande enciclopedia medievale e che

diventerà un modello per le enciclopedie medievali.

Un momento essenziale della cultura sarà raggiunto col nuovo atteggiamento

culturale della Scolastica cioè della filosofia insegnata nell’Università, nel corso del Duecento

e del Trecento. Tale movimento coincise con la rinascita dell’aristotelismo che generò

numerosi commenti.

Il Medievo sarà anche caratterizzato dalle Summe Teologiche come quella di

Alberto Magno, di Tommaso d’Aquino o ancora di Bonaventura da Bagnoreggio che

furono enciclopedie del sapere teologico inteso come somma e conclusione d’ogni sapere.

IV – La diffusione della cultura Il Medioevo, come l’abbiamo visto parecchie volte, era un mondo in cui l’unica

luce di spiritualità veniva dalla Chiesa. Per via di conseguenza, le strutture educative erano

ridotte a finalità morali, religiose in genere ed ecclesiastiche in particolare benché si operasse

allo stesso tempo una riassimilazione di parte del retaggio della cultura antica. Insomma, la

cultura medievale può essere definita di cultura « clericale ».

Infatti, c’era una scarsa diffusione della cultura e la Chiesa era quasi l’unica

depositaria del sapere. Questo sapere consisteva nell’analisi dei due grandi libri tradotti e

divulgati in latino : la Bibbia ed i Vangeli.

Gli intellettuali erano chierici che apprendevano il latino studiando gli autori antichi

-sempre più considerati come modello di stile e di eloquenza-, in opposizione alle masse

contadine incolte ad all’aristocrazia guerriera generalmente analfabeta. Gli uomini di Chiesa

erano i soli depositari della cultura scritta e per via di conseguenza venivano impiegati in tutti

i compiti dell’amministrazione civile e politica che richiedevano l’uso della scrittura.

Ma vediamo un po’ a che cosa somigliavano le scuole medievali.

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Innanzitutto, va notato che la parola « scuola » non aveva la stessa significazione.

Infatti, « scuola » viene dal latino « schola » che, in origine, aveva un significato più o meno

sinonimo di « otium » e indicava il libero e piacevole uso delle proprie disposizioni

intellettuali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico. Soltanto più tardi la scuola

diverrà il luogo dove si attende allo studio.

IV.1 – Le scuole monastiche

Il paesaggio scolastico medievale comincia con la scuola monastica, lo studium

monastico nell’ambito del monachesimo che risale ad una tradizione assai antica ed esisteva

già al VI-VII secolo e conobbe una grande diffusione col monachesimo benedettino, cioè con

san Benedetto, fondatore del monastero di Montecassino, presso Napoli. Nella scuola

monastica venivano conservati i documenti scritti e ricopiati nello scriptorium.

IV.2 – Le scuole episcopali o cattedrali

Ma al principio del IX secolo, sotto l’impulso notevole di Carlo Magno e della

Rinascita Carolingia, la scrittura fece il suo ritorno ed aumentò la diffusione della cultura e

della letteratura. L’istruzione avveniva pur tuttavia sempre nell’ambito della sede dei

monasteri e delle loro biblioteche e scriptoria. Si tratta di una cultura ancora prevalentemente

rivolta agli ecclesiastici.

Fu soprattutto nel XII secolo che successe una rinascita importante nell’ambito delle

arti e della letteratura che diede nuova vita alla cultura europea. Le scuole monastiche

lasciarono il posto alla scuole episcopali nell’ambito delle diocesi o cattedrali. La più celebre

fu quella francese di Chratres, prelude di quella che sarà la nuova università.

In queste cattedrali si attendeva all’istruzione del clero e dei claici. Il posto principale

era sempre occupato dalle Scritture Sante, delle opere dei Padri della Chiesa, in ossequio

totale alla tradizione ma venivano anche studiati gli autori laici, i scienziati classici come

Plinio il Vecchio e medievali come Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile, poeti e prosatori

latini come Virgilio, Ovidio, Orazio, Lucano, Cicerone, Seneca, testi scientifici arabi e greci

tramite la divulgazione siciliana e spagnola che portarono alla ricerca di una certa coerenza

scientifica che condurrà al diffondersi ed al laicizzarsi della cultura.

I nobili ricevono un’istruzione elementare per persuaderli a un costume di vita meno

barbarico, un’educazione che insegnò il culto della prodezza guerriera e di una più misurata

saggezza e civiltà che segna l’inizio della collaborazione fertile tra il mondo feudale e il

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mondo clericale che darà vita al grande ideale cavalleresco che per secoli segnerà

profondamente la vita europea.

La cultura si mette dunque al servizio dei tempi nuovi con la rinascita culturale del XII

secolo. Per di più, con Pietro Abelardo che nel suo sic et non, solleva i problemi della fede

sui quali le auctoritas non vanno d’accordo, nasce la nuova figura dell’intellettuale.

L’intellettuale rimane ancora fedele servitore della Chiesa o del re ma ha un nuovo dovere

importante : quello di pensare e poi di scrivere e di insegnare il suo pensiero. I materiali per

svolgere tale riflessione sono gli scrittori ed i testi antichi. La tecnica usata consiste

nell’imitazione, ma si va più avanti fino allo sforzo critico. Questi diversi elementi diedero un

nuovo dinamismo alla cultura cristiana del XII secolo.

Ma questo nuovo dinamismo culturale proviene anche dalla riscoperta delle opere

d’Aristotele come la Fisica e la Metafisica tramite la traduzione e i commentatori arabi ed

ebrei Maimonide (1135-1204) ed Averroè (1126-1198). Ma presto, e più precisamente nel

1210, tali opere vennero condannate dalla Chiesa e sospese finché venissero emendate e

corrette da san Tommaso che nella Somma Teologica (1269-1273) « cristianizzò » Aristotele.

IV.3 – Le scuole laiche o urbane

Va aggiunto che il rifiorire della vita economica e sociale portò che sé la fioritura delle

scuole private cittadine rese necessarie per via del bisogno di scuole che fossero mondane,

cioè adatte alle esigenze del mondo e non più soltanto alla religione. Nel corso del XII secolo

apparvero così nuove figure di intellettuali. La riscotruzione politica e civile della città generò

il bisogno di maestri, di esperti di diritto. Inoltre, coll’affermarsi dello spirito laico e della

civiltà cittadina del Comune vennero fuori nuove esigenze di sviluppo culturale dei laici.

Bisognava dare ai figli della borghesia la preparazione necessaria alla vita pratica e al mondo

degli affari. Nel corso del Trecento apparirono scuole comunali in tutti i centri d’intensa vita

economica e politica. Con la nascita del Comune8, si delineò una mentalità nuova con nuove

forme della cultura. Nacque a poco a poco un’idea più attiva e pratica della vita, con

un’attenzione maggiore portata al concreto, al quotidiano. La diffusione della cultura diventa

sempre più ampia e conduce allo sviluppo di professioni intellettuali come il personale

amministrativo composto di giuristi, notai ma anche di maestri che imparassero a leggere ed a

scrivere ai mercanti.

8 Il Comune apparve tra la fine del XI secolo e il principio del XII secolo, corrisponde ad una forma autonoma di amministrazione cittadina adeguata alla nuova realtà economica e sociale.

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Questa nuova domanda venne soddisfatta dalle scuole cittadine che conobbero un

grande sviluppo ma anche dalle università.

IV.4 – Le Università

Innanzitutto va ricordato che nel Medioevo se esisteva la parola « università », non

indicava la stessa realtà che oggi. Infatti, l’università medievale indicava la universitas

magistrorum et scholarium cioè la totalità dei maestri e degli studenti organizzati in una

corporazione. Durante la prima metà del Duecento, le prime comunità di professori e studenti

si ragrupparono nelle università che presero il compito di completare la preparazione

superiore.

I temi centrali erano ancora quelli della cultura medievale, cioè lo studio e

l’interpretazione delle Sacre Scritture, il problema del rapporto tra l’uomo e Dio, tra la scienza

e la fede, la struttura dell’universo. Il sapere ricevette un’organizzazione gerarchica al

culmine ed al fondamento della quella si trovava la Teologia. L’insegnamento verteva sulla

teologia, sul diritto, sulla medicina, sulle arti liberali9. L’Università dava una licenza

d’insegnamento chiamata la « laurea » che permetteva di porre i quadri alle professioni

necessarie al nuovo sviluppo della civiltà. Nel corso del XII secolo esistevano già importanti

università. Possiamo citare lo studio di Parigi cioè la Sorbonna e l’università di Oxford per lo

studio della teologia ; Bologna per il diritto ; Salerno e poi Padova per la medicina.

Tale sviluppo della cultura e dell’insegnamento va di pari passo, ricordiamolo, con

l’irruzione dell’aristotelismo nell’occidente latino grazie alla mediazione dei filosofi arabi. Le

opere di Aristotele vengono a fare parte integrante della cultura occidentale e generano una

concezione organica della natura fondata sulla dimostrazione razionale e sulla ricerca dei

rapporti di causa ad effetto fra i fenomeni. Si giunge così ad una nuova concezione del mondo

diversa dal simbolismo precendente. Una nuova concezione caratterizzata dall’impulso

realistico e dalla meditazione più concreta della realtà umana. Accanto alle opere di

Aristotele, anche quelle di Euclide e di Tolomeo, quelle di medici greci ed arabi, opere di

matematica, di geometria, di diritto consentirono di trasformare la cultura dell’epoca e di

avviarla verso una tendenza naturalistica e razionalistica, verso il gusto delle analisi sottili,

verso un rinnovato interesse per le scienze come verso un entusiasmo filosofico anche

nell’ambito della poesia come ne testimonia per esempio l’opera di Dante. Tale cultura

9 Le arti liberali erano studiate sin dall’epoca romana e si componevano di due categorie : delle arti appartenenti al Trivium : la grammatica, la retorica, la dialettica ed al Quadrivium : l’astronomia, la geometria, l’aritmetica e la musica.

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raggiungerà il suo culmine con la filosofia scolastica attraverso le figure di san Tommaso

d’Aquino (1224-1274) autore della Somma Teologica, della Somma contra i gentili, di

numerosi commenti aristotelici, e di san Bonaventura da Bagnoreggio (1221-1274) autore

dell’Itinerarium mentis in Deum che si innoltrò nello studio della vita segreta e profonda della

coscienza.

Per avere uno sguardo complessivo del paesaggio scolastico medievale, possiamo

riassumere dicendo che nell’Alto Medioevo, i centri del sapere per eccellenza erano le scuole

monastiche. Poi, con l’Europa carolingia e soprattutto nel XII secolo apparvero le scuole

episcopali o cattedrali che avevano sede nelle città. Le più famose furono quelle di Chartres,

Reims, Orléands, Parigi, Canterbury, Toledo. Poi, la crescita culturale generò un bisogno

crescente di personale amministrativo come i notai, gli scrivani, gli uomini di legge, gli

insegnanti, bisogno che trovò una soluzione nella creazione delle scuole pubbliche laiche che

dispendevano una cultura pratica e concreta che rispondeva ai bisogni del Comune,

dell’amministrazione, del diritto e degli affari. Finalmente si assistette ad un moltiplicarsi

delle università che si occupavano degli studi generali. Tre grandi università dominavano il

mondo dello studio : quella di Parigi nel campo degli studi filosofici e teologici, quella di

Bologna nell’ambito del diritto romano e canonico, quella di Oxford anch’essa nel campo

degli studi teologici che conobbe un vero decollo sin dal 1229. E a partire dal 1224, Federico

II fondò lo studio di Napoli dedicato alla medicina. Alla fine del Duecento si contavano più o

meno venti università in Europa. Con tale crescita culturale, apparvero grandi opere di sintesi

chiamate “summae” o “enciclopediae”. Nen corso del Duecento apparvero anche manuali di

storia naturale e di zoologia. Nel Duecento e nel Trecento trattati agronomi sulla scia degli

agronomi antichi Catone, Columella e Plinio il Vecchio.

Insomma, l’istruzione non è più la sola prerogativa degli uomini di Chiesa.

V – Dal latino alle lingue romanze

V.1 – Il latino

Alla metà dell’VIII secolo prima di Cristo, il latino era la lingua di una piccola

comunità di agricoltori in seno al Lazio la cui capitale, fondata nel 753 prima di Cristo, era

Roma. Ma il latino uscì dal Lazio per diffondersi su tutto l’impero romano ed imporsi

all’Italia, alla Sicilia, alla Sardegna, alla Corsica, all’Africa del Nord, alla Spagna, alla Gallia

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di pari passo con le conquiste romane. La diffusione del latino coincide dunque con lo

sviluppo delle regioni e dei popoli conquistati.

Ma si deve subito fare la differenza tra il latino scritto e dotto che per secoli rimarrà la

lingua della cultura occidentale, una lingua fissata che verrà chiamata grammatica e il latino

parlato, una lingua orale soggetta all’evoluzione e alla diversificazione dalla quale nascerà la

famiglia delle lingua romanze. Il latino classico per secoli avrà dunque un’immagine

perfettamente unita dal III secolo prima di Cristo alla metà del V secolo dopo Cristo. La

lingua della piccola comunità di contadini diverrà una lingua di giuristi che darà vita al corpo

amministrativo retto da leggi precise che richiedevano l’uso di un linguaggio chiaro senza

equivoci possibili. Il latino diventerà così la lingua dell’amministrazione, del diritto, della

scienza ma anche della letteratura. Diventerà un linguaggio comune a popoli diversi, il

linguaggio dell’Impero Romano, la lingua della Romania e conoscerà un nuovo sviluppo ed

incremento con la diffusione del cristianesimo in quanto lingua ufficiale della Chiesa.

Ma nel V secolo con le invasioni germaniche, le scuole vennero distrutte, l’Impero

Romano d’occidente disgregato e la Romania conobbe, per via di conseguenza, una riduzione

spaziale. Pur tuttavia, per secoli il latino rimarrà la lingua ufficiale della Chiesa e sarà a lungo

la sola lingua scritta ed insegnata. Ma alla fine dell’Impero Romano d’occidente, il latino

parlato non corrispondeva già più al latino scritto dal quale si era allontanato lasciando spazio

ai primi cambiamenti che condurranno alla diversificazione in diverse lingue romanze.

Tuttavia sarà necessario aspettare ancora trecento anni perché la gente prenda coscienza di

tale fenomeno. Infatti, già dal IV al XI secolo era apparso il fenomeno di diglossia per via

della trasformazione di un Impero unico in un sistema feudale fatto da diverse signorie ma

anche per via dell’espansione della Chiesa che voleva sempre più farsi capire dalla gente.

V.2 – La nascita delle lingue romanze

Roma aveva diffuso fra i popoli conquistati le proprie leggi e le proprie istituzioni ma

anche la propria lingua soprattutto nell’Europa occidentale. Nonostante le invasioni e gli

stanziamenti barbarici, i diversi popoli rimasero legati alla tradizione romana. Ma il

frazionamento politico avvenuto con la caduta dell’Impero Romano d’occidente generò un

estremo diradarsi dei contatti e degli scambi fra le popolazioni diverse. Dalla lingua unitaria

di una civiltà comune si passò a parlate locali di diverse civiltà che si svilupparono tutte dal

comune fondo latino e si vennero progressivamente differenziando in idiomi distinti che

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ricevettero il nome di lingue romanze10. L’aggettivo « romanze » viene dall’aggettivo latino

« romanicus » che viene dal sostantivo « Romania » che indica il territorio spaziale coperto

dall’Impero Romano. Ma queste lingue ricevettero anche la denominazione di « neolatine »

provveniendo tutte dal comune fondo latino.

Dall’VIII secolo si può considerare concluso in tutta la Romania il processo di

trasformazione che portò dal latino alle lingue romanze.

V.3 – Le prime attestazioni ed i primi documenti in volgare

Abbiamo visto che accanto al latino classico codificato e fissato in grammatica vigeva

il latino popolare soggetto all’evoluzione ed alla diversificazione in diverse parlate locali che

si allontanarono sempre più dalla lingua scritta. Ma tale fenomeno rimase a lungo inconscio.

Fu proprio nell’VIII secolo, nell’ambito della Rinascita Carolingia che rioganizzò le scuole,

che la gente cominciò a prendere coscienza di questa separazione tra lingua scritta e lingua

orale. Nell’813 si tenne il Concilio di Tours nel quale si prese coscienza che le predicazioni

in latino non erano più capite dalla gente. Venne perciò ordinato ai chierici di predicare in

« rusticam romanam linguam » cioè in lingua romanza. Si tratta del riconoscimento ufficiale e

dell’accettazione di uno stato di bilinguismo.

Il primo documento scritto in lingua volgare sarà italiano. Si tratta dell’Indovinello

veronese che risale alla fine dell’VIII secolo oppure all’inizio del IX. Venne probabilmente

scritto da un chierico.

« Se pareba boves, alba pratalia araba albo versorio teneba, negro semen seminaba »11

Questo testo oscilla fra volgare e latino ma è già chiaramente orientato verso il primo.

Si tratta di un gioco che paragona la scrittura con la penna d’oca sulla pagina bianca della

carta al lavoro dei campi. Si tratta di un luogo comune, di un topos che associa l’agricoltura

alla scrittura : i buoi sono le dita dello scrittore, il campo bianco, la carta bianca ; il bianco

aratro la penna d’oca e il nero seme : l’inchiostro. Va ricordato che in origine il latino era la

lingua della piccola comunità di agricoltori del Lazio e per via di conseguenza molte parole

che appartengono al campo semantico della scrittura derivano da parole che semanticamente

sono legate all’agricoltura. Per esempio la parola « pagina » indicava in origine il filare di

10 Le lingue romanze sono : l’italiano, il portoghese, lo spagnolo, il catalano, il francese, il provenzale, il ladino (lingua parlata nel Friuli, nel Trentino e nel cantone dei Grigioni) e il rumeno. 11 Parafrasi : « spingeva avanti i buoi, solcava arando un campo bianco / teneva un bianco aratro e seminava nero seme ».

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vite a forma di rettangolo. La parola « versus », il fatto di volgere l’aratro in capo al campo

per tracciare un solco in senso opposto. Il verso poetico che fa riferimento alla linea della

scrittura deriva dall’analogia con la linea del campo arato. Inoltre, il verbo « leggere » viene

dal latino « legere » che significa « cogliere », poi cogliere con gli occhi « legere oculis » e da

qui il verbo « leggere » che indica l’atto della lettura. Allo stesso modo, la parola « rubrica »

indicava la terra rossa che venne poi usata per scrivere i titoli degli articoli di leggi statali…

Ma, tranne questa prima testimonianza, testi in volgare italiano rimangono rarissimi,

brevi e soprattutto estranei alle preoccupazioni artistiche. Colpisce specie l’assenza di

letteratura in volgare italiano dal X al XII secolo, assenza che fa problema rispetto per

esempio al volgare francese che conosce già una ricca letteratura. Orbene, all’inizio, questi

due volgari nacquero più o meno simultaneamente, in Italia con l’Indovinello veronese e in

Francia con il Concilio di Tours. Ma sin dal IX secolo, la Francia possedeva già una

letteratura epica in lingua d’oïl e poco dopo conoscerà anche una poesia lirica in lingua d’oc.

Bisognerà invece aspettare la metà del Duecento per incontrare la vera letteratura in volgare

italiano.

Ma quali sono le ragioni di tale ritardo ? Innazitutto, va sottolineato il fatto che in

Italia, la cultura era prevalentemente « clericale » e caratterizzata da un uso eccessivo del

latino. Infatti, fino alla seconda metà dell’XI secolo, il latino era la lingua unica che rimarrà

per secoli, anche dopo la nascita delle nuove lingue e letterature, la lingua della cultura più

elevata e dell’espressione artistica. A lungo, il latino sarà considerato come espressione più

degna del volgare. Inoltre, un’altra ragione a tale ritardo può essere individuata nella scarsa

diffusione della cultura quando la Chiesa era l’unica depositaria del sapere e delle

conoscenze. Il latino conobbe una permanenza più lunga in Italia che era il paese in cui era

nato, rispetto per esempio alla Francia. La pratica e l’insegnamento del latino era stato

initerrotto in Italia e tutti gli scritti importanti vennero redatti in latino. Infine, un fattore

decisivo a tale ritardo consiste nel maggiore frazionamento dialettale che conosce l’Italia

divisa in varie comunità per via del particolarismo comunale e della mancanza di un centro

politico e culturale dominante in opposizione alla Francia che conosce un centro unico del

potere a Parigi.

V.4 – Il volgare francese

Dopo il Concilio di Tours (813) che segna la data del riconoscimento di uno stato

di bilinguismo, bisogna aspettare l’842 per incontrare il primo documento scritto in lingua

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francese con i Giuramenti di Strasburgo (Les serments de Strasbourg)12. Questo documento

risale alla lotta che avvenne per la successione di Ludovico il Pio, figlio di Carlo Magno, tra i

suoi tre figli. Prima di morire, Ludovico il Pio aveva deciso di dare al maggiorenne Lotario il

regno d’Austria e la dignità imperiale. Ma alla sua morte, i figli non furono d’accordo con le

decisioni del padre e Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo si unirono e sconfissero Lotario

a Fontenoy. Giurarono il 14 febbraio dell’842 alleanza reciproca a Strasburgo. Sancirono tale

alleanza giurando davanti ai loro eserciti ciascuno nella lingua dei seguaci dell’altro:

Ludovico in francese e Carlo in tedesco. L’atto di nascita del volgare francese e del volgare

tedesco corrisponde dunque ad un atto politico.

Il secondo documento, non più politico ma letterario e poetico, corrisponde alla

Sequenza di sant’Eulalia13 che risale all’880. Si tratta di un’opera anonima della fine del IX

secolo provveniente dall’abbazia di Saint Amand nel Nord della Francia. Tale opera è ispirata

ad una sequenza latina che celebrava sant’Eulalia. Si tratta del più antico documento poetico

in lingua francese.

Bisogna tuttavia aspettare ancora due secoli prima di incontrare i primi testi

letterari. Infatti, era necessario aspettare che maturasse la cultura nuova che trovava il suo

centro di formazione e d’irradiazione nelle corti signorili. Va ricordato che dall’XI al XIII

secolo, la Francia esercitava una vera e propria egemonia culturale sul mondo romanzo e

germanico nell’ambito della letteratura, della cultura, della filosofia, della teologia, della

scienza e della poesia per via del costume dell’aristocrazia francese che venne eretto a

modello. Nella seconda metà dell’XI secolo con lo sviluppo delle istituzioni economiche,

politiche e civili apparve la grande letteratura scritta in volgare “popolare”, di uso comune a

differenza del latino usato dai dotti. I destinatari sono diversi. La nuova letteratura si rivolge

al pubblico laico delle corti dei grandi feudatari e del re. Si tratta dunque di una cultura

specifica, diversa da quella clericale con una tematica più vicina alla reale esperienza e alle

proprie idealità.

La Francia conobbe due lingue letterarie :

La lingua d’oc in Provenza e nella Francia meridionale, lingua più vicina

morfologicamente al latino.

12 Cf., I giuramenti di Strasburgo (p.9-10 del gruppo di testi). 13 Cf., Sequenza di sant’Eulalia (p.10 del gruppo di testi).

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La lingua d’oïl (francese antico) nel Nord e a Parigi che ricevette l’influsso del

germanico. Sarà proprio questa lingua ad imporsi nel 1208 dopo la crociata contro gli albigesi

che segnò la conquista del sud.

La lingua d’oc si espresse particolarmente nella poesia provenzale che consistette

essenzialemente nella lirica d’amore dei trovatori , come per esempio alla fine dell’XI

secolo Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1127) grande signore feudale. Nel XII secolo

possiamo citare Jaufré Rudel, Bernart di Ventadorn, Giraut de Bornelh, Arnaldo Daniele,

Bertrand de Born…Questa lirica d’amore vigerà fino alla fine delle corti provenzali cioè fino

alla crociata contro gli albigesi all’inizio del Duecento. Ma nel frattempo, questa poesia si

sarà diffusa nella Francia del Nord e sarà all’origine della lirica d’arte siciliana e toscana della

metà del Duecento.

Per quanto riguarda la poesia d’oïl, si espresse prevalentemente con l’epopea

carolinguia e feudale, con le chansons de geste, la Canzone d’Orlando per esempio,

probabilmente la più antica della seconda metà dell’XI secolo (1060-1070). Si espresse anche

in romanzi in versi d’argomento classico come il Romanzo di Tristano scritto da Thomas e

da Béroule nel 1170. La lingua d’oïl fu anche la lingua delle leggende del re Artù e dei

cavalieri della Tavola Rotonda con Chrétien de Troyes (1135-1185) che scrisse Lancilotto o

il cavaliere della carretta, Perceval e che fondò il mito del Graal. La lingua d’oïl diede anche

poemetti narrativi , lais come quelli di Maria di Francia ; ciclo di storie umoristico-

satiriche sugli animali come il Poema di Renart (1170) e più tardi ancora poemi didascalici

come il Roman de la Rose cominciato da Guillaume de Lorris e terminato da Jean de Meun

che fu considerato come una sintesi della spiritualità e dell’arte cortese in tutta Europa. La

letteratura ispirata dall’ideale cortese cavalleresco dell’aristocrazia feudale europea penetrerà

in tutta l’Europa. Il trattato De amore, scritto da Andrea Cappellano alla fine del XII secolo si

diffonderà in tutta Europa e verrà considerato come una « summa » dell’amor cortese, come

un’enciclopedia.

V.5 – Il volgare italiano

Mentre in Francia si diffondeva la poesia epica in lingua d’oïl sin dall’XI secolo e

poco dopo la lirica in lingua d’oc, bisogna aspettare la metà del Duecento per incontrare la

vera letteratura italiana. Prima ci furono scarsi documenti a carattere eminentemente pratico e

del tutto estranei alle preoccupazioni artistiche. Ci furono soprattutto atti giuridici e testi

liturgici. Dopo l’Indovinello Veronese della fine dell’VIII secolo o dell’inizio del IX secolo, ai

secoli X e XI e più precisamente al 960-963 appartengono i Placiti Cassinesi. Sono quattro

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documenti, quattro « placiti » cioè dei documenti giudiziari che riguardano i beni di tre

monasteri dipendenti da quello di Montecassino per assicurarsene la proprietà. Sono stati

tradotti in volgare perché c’è un’intenzione di dare pubblicità all’atto perché siano capiti da

tutti. Queste quattro frasi sono probabilmente state preparate da un medesimo giudice perché

appaiono più o meno simili.

« Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti »14

Si tratta del primo documento scritto in linguaggio cancelleresco, il primo documento

giuridico in italiano arcaico scritto in un volgare ripulito, innalzato ad una maggiore eleganza

rispetto all’uso quotidiano.

Dopo i Placiti Cassinesi non ci furono più testi in volgare per un secolo ma soltanto

frammenti : due carte sarde e tre testi che furono prodotti in Italia centrale negli ultimi

decenni dell’XI secolo. Si tratta di un’iscrizione affrescata su un muro della Chiesa san

Clemente di Roma che commenta la rappresentazione pittorica del martirio del santo. Il latino

viene usato per trascrivere le parole del santo mentre il vogare è usato per le parole dei suoi

boia. Si tratta della prima volta che il volgare italiano viene usato con un intento artistico.

Altro documento è la formula sacramentale di penitenza, di confessione chiamato

Confessione di Norcia15 che risale al 1070.

Finalmente, possiamo anche indicare la Postilla Amiatina, una postilla di tre versi

inclusa in un atto notariato del 1087 che è stata aggiunta dal notaio Rainerio ad una carta con

la quale un certo Micciarello e sua moglie Gualgrada facevano dono di tutti i loro beni

all’abbazia di San Salvatore sul monte Amiata. Porprio perciò questa postilla ha ricevuto il

nome di postilla amiatina.

« Ista cartula est de caput coctu:

ille adiuvet de illu rebottu qui mal consiliu li mise in corpu »16

Si tratta di una scrittura molto più latineggiante dei documenti precedenti e si riteneva

che il notaio Rainierio sapesse scrivere solo il latino. Ma si tratta tuttavia di un testo

14 Parafrasi : « so che quelle terre con quei confini che qui (nella carta allegata) si contengono, le possedette per trent’anni la parte di san Bendetto (cioè il monastero benedettino di Montecassino) ». 15 Cf., La confessione di Norcia (p.11 gruppo di testi). 16 Parafrasi : « Questa carta è di Capocotto (soprannome di Micciarello che significa « testa dura ») e gli dia aiuto contro il Maligno, che un mal consiglio gli mise in corpo ».

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importante perché segna l’apparizione di una delle caratteristiche delle lingue romanze :

l’articolo « illu » che darà l’articolo determinato italiano « il ».

Nel XII secolo, i testi in volgare italiano rimangono ancora rarissimi e sempre

estranei alla letteratura. Sono per lo più atti giuridici, inventari, sermoni… Ma diventano un

po’ più frequenti ed appaiono alcuni documenti propriamente letterari come per esempio i

poemetti giullareschi. Infatti, al XII secolo appartengono tre ritmi giullareschi toscani : il

ritmo di sant’Alessio, il ritmo cassinese e il ritmo larurenziano che corrisponde al più antico

componimento poetico in volgare italiano. Si tratta dell’opera di un giullare che recita versi

davanti ad un vescovo, probabilmente il vescovo di Pisa. Tesse le lodi di tale vescovo in

modo da ottenere in dono un cavallo.

Alla fine del XII secolo, la letteratura si stacca timidamente dall’espressione latina

in opere ancora modeste che si distinguono per lo più in tre generi : la poesia « popolare », la

poesia morale e civica ed infine la poesia lirica.

Per la poesia morale, possiamo citare il poema didattico intitolato Proverbi di

femene scritto in dialetto lombardo che sviluppa una tematica anti-femminile tradizionale nel

Medioevo. Si tratta infatti del primo esempio di un genere che diventerà florido nell’Italia del

Nord a partire dal Duecento.

Per quanto riguarda la poesia civica, vanno citati due frammenti inseriti in croniche

latine : il ritmo bellunese del 1193 e il ritmo lucchesse17 del 1213 che sviluppano il tema

dell’eloggio di una città Belluno o Lucca, inaugurando così la letteratura municipale che fiorià

a partire dal Duecento.

Finalmente, la poesia lirica viene inaugurata da uno straniero e più precisamente

dal trovatore provenzale Raimbaut de Vaqueyras nella sua tenzone bilingue del 1186 scritta

parte in lingua d’oc e parte in genovese arcaico. Fu anche l’autore di un dibattito della fine del

XII secolo scritto in cinque lingue : in lingua d’oc, in lingua d’oïl, in italiano, in gallico ed in

gascone. Nella sua tenzone, il volgare italiano, prima volta, viene usato in un poema in forma

fissa, e nell’ambito del dibattito, l’italiano diventa la lingua della canzone cortese che era

ritenuto il genere più nobile.

Ma nonostante questi primi documenti, bisognerà aspettare il Duecento con san

Francesco e la letteratura religiosa per incontrare il primo testo letterario d’importanza in

volgare. Va ricordato che a quell’epoca nacquero diversi movimenti religiosi che protestarono

contro la corruzione del clero e la collusione del potere spirituale col potere temporale

17 Cf., p19-20 del gruppo di testi.

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proclamando una ferma volontà di ricondurre la vita cristiana alla purezza originale. Tali

movimenti erano governati dall’esigenza che il rinnovamento religioso vada di pari passo col

rinnovamento sociale. Diverranno così l’espressione del disagio di una società in rapida

trasformazione. Questi movimenti furono chiamati « ordini mendicanti » e propugnavano un

ideale di povertà, una severa ascesi personale, insomma esaltavano l’imitazione della vita

esemplare di Cristo. Con questi ordini apparve la figura del frate che viveva in seno alla città

e diffondeva il Vangelo tra la gente. Il frate era fratello di tutti in opposizione al monaco che

viveva isolato nella cellula del suo chiostro. Questi ordini mendicanti si fondarono ed

organizzarono intorno a due personaggi famosi.

Il primo è Domenico di Guzmàn (1170-1221) che fondò l’ordine dei frati

predicatori anche chiamati domenicani per via del nome Domenico del loro fondatore ma

anche per via dell’analogia con l’espressione « Domini canes », cioè cani di Dio. Infatti i

domenicani si presero il compito di difendere il gregge cristiano dal diffondersi delle eresie

sempre più numerose.

Il secondo, quello che c’interessa di più nell’ambito del nostro panorama della

letteratura medievale, è san Francesco d’Assisi (1182-1226) che fondò l’ordine dei frati

minori anche chiamati francescani per via del nome del loro fondatore. Si dedicarono

all’interpretazione letterale del Vangelo e predicarono ideali di povertà, di umiltà, di non

violenza ed un ritorno alla vita evangelica ed apostolica. Le loro predicazioni furono più

accessibili, fatte in un linguaggio alla portata di tutti e nel quale le parole provvenivano per

gran parte dalla vita quotidiana e dalla natura amica. San Francesco affermò come

fondamento del cristianesimo l’amore in una reale fraternità fra tutti gli esseri e tutte le

creature. Ma grande scoperta del francescanesimo fu l’amore della povertà che consisteva nel

fatto di sentirsi superiore ad ogni volontà di possesso. Il francescanesimo scelse la via dello

spirito. Questo movimento conobbe una diffusione vastissima e portò al rinnovamento della

percezione delle cose e dell’interiorità.

San Francesco c’interessa anche perché fu l’autore del Cantico di Frate sole anche

chiamato Cantico delle creature o Laudes creaturarum che costituerà il primo testo che

studieremo nei particolari usando il metodo del commento di testo.

* * *

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Alcune precisioni metodologiche sul commento di testo

Prima di tutto, il commento deve cominciare con un’introduzione che va dal

generale al particolare. La prima parte dell’introduzione deve situare il testo nel suo contesto

storico, culturale e letterario e poi situarlo nell’opera dell’autore e rispetto alla letteratura

anteriore. Poi, nella seconda parte, presentate le grandi linee del testo, cioè le tematiche

essenziali che sviluppa. Infine in una terza ed ultima parte presentate la struttura del testo

cominciando con la sua natura (prosa, poesia…), poi dite due parole sulla sua lingua e

terminate presentando la sua struttura (di quante parti si compone).

Poi, il corpo del commento si consta della spiegazione delle diverse parti che avete

individuate.

Finalmente terminate con una conclusione che riassume il vostro commento ma

soprattutto che si apre sulla fortuna che incontrò il testo, sulla sua portata.

Introduzione

1°) Situare il testo nel suo contesto storico, culturale, letterario; poi rispetto alla letteratura anterioe ed in seno all’opera dell’autore. 2°) Presentare le grandi tematiche sviluppate dal testo 3°) Indicate la natura del testo, della lingua e presentate la struttura del testo cioè quali sono le diverse parti che lo compongono.

Corpo del commento

Si compone delle diverse parti che avete individuate presentando la sua struttura. Ogni parte, ogni momento del testo corrisponde ad una linea tematica direttrice che dovete sviluppare in una parte del vostro commento.

Conclusione

1°) Riassumere e sintetizzare i risultati del vostro commento

2°) Aprire sulla fortuna del testo, sulla sua portata