INTRO tesi magistrale

20
Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin 1 Introduzione La parapsicologia e lo spiritismo La parapsicologia è considerata una pseudoscienza, in quanto non è ancora stata riconosciuta come una vera e propria disciplina scientifica [Clegg B., 2014]; tuttavia, diversi autori, studiosi e scienziati vi si sono interessati come materia di studio. Molte delle funzioni cerebrali da essa implicate non sono state ancora chiarite dal punto di vista scientifico, poichè tratta sensi che vanno al di là dei cinque tradizionali. Molti, in particolar modo i seguaci del New Age, dissentono dalle accuse della comunità scientifica e sostengono che quest’ultima sia chiusa mentalmente, «miope» [Clegg B., ibid.], restia, nella sua presunzione dai toni inquisitori, a occuparsi di ciò che non la riguarda. Questo non implica che qualcosa di non chiarito scientificamente e messo in dubbio non esista: può non esistere o può esistere, e siamo ancora nel campo della possibilità. La parapsicologia viene definita, da chi ci crede, scienza delle facoltà psichiche e parapsichiche, chiamate facoltà psi (dalla lettera greca Ψ; non è l’abbreviazione dall’aggettivo ‘psichico’, ma rappresenta il paranormale in generale), con cui un individuo può interagire con l’esterno al di là delle sue capacità fisiche. Viene suddivisa in due categorie dai parapsicologi: E.S.P. (ExtraSensory Perception, percezione extrasensoriale) e P.K. (PsychoKinesis, psicocinesi). Tra le manifestazioni delle suddette facoltà: la telepatia, la precognizione, la chiaroveggenza, l’ectoplasmia [Selezione dal Reader’s Digest, 1983]. Il termine ‘telepatia’ (sensazione a distanza) fu coniato nel 1882 dallo studioso britannico di parapsicologia Frederik Myers [Clegg B., ivi]. Tra i primi scienziati che credettero in una spiegazione “materialistica” e non magica dei fenomeni paranormali troviamo il francese Charles Richet (1850-1935), premio Nobel per la fisiologia (1913), che scoprì la sieroterapia e l’anafilassi; nei suoi esperimenti, andò oltre le testimonianze e parole dei medium e degli isterici. Richet applicò un metodo statistico, ma non riuscì ad accertare totalmente nessuna delle sue ipotesi e mise solo in discussione le nozioni classiche di spazio e tempo. Testimonianze dei suoi studi si trovano nel libro Trent’anni di ricerca psichica [Richet C., 1923]. Altri scienziati e studiosi presero in mano le redini della ricerca parapsicologica, come l’americano J. B. Rhine, che, dal 1930, sottopose i suoi esperimenti a condizioni rigorose in laboratorio; o ancora, più recentemente, negli anni ‘80, il chiaroveggente Gérard Croiste dette prova della sua precognizione mediante il cosiddetto “test della sedia” 1 ; fu poi contattato da diversi enti di polizia per fare chiarezza sulla scomparsa o sulla morte di molte persone. Le facoltà psi furono usate anche in ambito militare 2 ; negli anni ’70 e ’80, la CIA finanziò un progetto di ricerca sui poteri paranormali, che confluì in una serie di esperimenti sulla visione a distanza [Clegg B., ibid.: 187]. O ancora si possono menzionare gli esperimenti di L. Vassiliev, professore di fisiologia dell’allora Univesità di Leningrado (U.R.S.S.) che utilizzava la suggestione ipnotica a distanza 3 [Selezione dal Reader’s Digest, ivi]. Al di là dei prodigi che sembrerebbero essere operati da veggenti e grandi mistici, la situazione è sfuggita di mano e dilagano sempre più ciarlatani, che operano a fini di lucro o a danno altrui e ampliano i limiti di questa sconfinata “pseudoscienza”. L’errore che commettono i ricercatori di 1 Avrebbe indovinato in centinaia di casi, con infimi margini di errore, chi si sarebbe seduto su una determinata sedia numerata, presente in un luogo in cui si sarebbe tenuta una riunione, senza conoscere il luogo e il giorno precisi, e fornendo una descrizione dettagliata di quella persona 2 per esempio, durante la campagna cecoslovacca del 1919 contro l’Ungheria, grazie alle quali furono individuati nemici e depositi di armi e esplosivi; durante la Seconda Guerra Mondiale, in U.R.S.S., oltre alle armi da fuoco, si usarono anche quelle mentali della telepatia [Selezione dal Reader’s Digest, ibid.: 360] 3 Tecnica usata per inviare ordini mentali a pazienti addormentati e rinchiusi ermeticamente in una cabina o che si trovavano, talvolta, anche a 1700 km di distanza.

Transcript of INTRO tesi magistrale

Page 1: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

1

Introduzione

La parapsicologia e lo spiritismo

La parapsicologia è considerata una pseudoscienza, in quanto non è ancora stata riconosciuta come una vera e propria disciplina scientifica [Clegg B., 2014]; tuttavia, diversi autori, studiosi e scienziati vi si sono interessati come materia di studio. Molte delle funzioni cerebrali da essa implicate non sono state ancora chiarite dal punto di vista scientifico, poichè tratta sensi che vanno al di là dei cinque tradizionali. Molti, in particolar modo i seguaci del New Age, dissentono dalle accuse della comunità scientifica e sostengono che quest’ultima sia chiusa mentalmente, «miope» [Clegg B., ibid.], restia, nella sua presunzione dai toni inquisitori, a occuparsi di ciò che non la riguarda. Questo non implica che qualcosa di non chiarito scientificamente e messo in dubbio non esista: può non esistere o può esistere, e siamo ancora nel campo della possibilità.

La parapsicologia viene definita, da chi ci crede, scienza delle facoltà psichiche e parapsichiche, chiamate facoltà psi (dalla lettera greca Ψ; non è l’abbreviazione dall’aggettivo ‘psichico’, ma rappresenta il paranormale in generale), con cui un individuo può interagire con l’esterno al di là delle sue capacità fisiche. Viene suddivisa in due categorie dai parapsicologi: E.S.P. (ExtraSensory Perception, percezione extrasensoriale) e P.K. (PsychoKinesis, psicocinesi). Tra le manifestazioni delle suddette facoltà: la telepatia, la precognizione, la chiaroveggenza, l’ectoplasmia [Selezione dal Reader’s Digest, 1983]. Il termine ‘telepatia’ (sensazione a distanza) fu coniato nel 1882 dallo studioso britannico di parapsicologia Frederik Myers [Clegg B., ivi].

Tra i primi scienziati che credettero in una spiegazione “materialistica” e non magica dei fenomeni paranormali troviamo il francese Charles Richet (1850-1935), premio Nobel per la fisiologia (1913), che scoprì la sieroterapia e l’anafilassi; nei suoi esperimenti, andò oltre le testimonianze e parole dei medium e degli isterici. Richet applicò un metodo statistico, ma non riuscì ad accertare totalmente nessuna delle sue ipotesi e mise solo in discussione le nozioni classiche di spazio e tempo. Testimonianze dei suoi studi si trovano nel libro Trent’anni di ricerca psichica [Richet C., 1923]. Altri scienziati e studiosi presero in mano le redini della ricerca parapsicologica, come l’americano J. B. Rhine, che, dal 1930, sottopose i suoi esperimenti a condizioni rigorose in laboratorio; o ancora, più recentemente, negli anni ‘80, il chiaroveggente Gérard Croiste dette prova della sua precognizione mediante il cosiddetto “test della sedia”1; fu poi contattato da diversi enti di polizia per fare chiarezza sulla scomparsa o sulla morte di molte persone. Le facoltà psi furono usate anche in ambito militare2; negli anni ’70 e ’80, la CIA finanziò un progetto di ricerca sui poteri paranormali, che confluì in una serie di esperimenti sulla visione a distanza [Clegg B., ibid.: 187]. O ancora si possono menzionare gli esperimenti di L. Vassiliev, professore di fisiologia dell’allora Univesità di Leningrado (U.R.S.S.) che utilizzava la suggestione ipnotica a distanza3 [Selezione dal Reader’s Digest, ivi].

Al di là dei prodigi che sembrerebbero essere operati da veggenti e grandi mistici, la situazione è sfuggita di mano e dilagano sempre più ciarlatani, che operano a fini di lucro o a danno altrui e ampliano i limiti di questa sconfinata “pseudoscienza”. L’errore che commettono i ricercatori di

1 Avrebbe indovinato in centinaia di casi, con infimi margini di errore, chi si sarebbe seduto su una determinata sedia numerata, presente in un luogo in cui si sarebbe tenuta una riunione, senza conoscere il luogo e il giorno precisi, e fornendo una descrizione dettagliata di quella persona 2 per esempio, durante la campagna cecoslovacca del 1919 contro l’Ungheria, grazie alle quali furono individuati nemici e depositi di armi e esplosivi; durante la Seconda Guerra Mondiale, in U.R.S.S., oltre alle armi da fuoco, si usarono anche quelle mentali della telepatia [Selezione dal Reader’s Digest, ibid.: 360] 3 Tecnica usata per inviare ordini mentali a pazienti addormentati e rinchiusi ermeticamente in una cabina o che si trovavano, talvolta, anche a 1700 km di distanza.

Page 2: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

2

parapsicologia è, infatti, quello di presentare gli eventi come fatti a sé, senza un contesto ben determinato, magari abbelliti da fantasie di imbroglioni e intrattenitori. Quello che rimane, invece, da chiarire è che la parapsicologia non va confusa con le informazioni con cui ci bombardano i media, e che studia anche i fenomeni fisici delle capacità della mente umana, i quali (benché extrasensoriali e stupefacenti) non richiedono di credere a «spiriti, fate o omini verdi», tantomeno all’«Uomo Ragno o a Superman» [Clegg B., ivi].

Uno degli ambiti di studio della parapsicologia è la spiritologia, che racchiude il campo dello spiritismo. Il termine spiritismo è «nato con l’esperienza», come viene affermato nel testo tradotto [Savuskin R.A., 2009], perchè si basa su avvenimenti che da sempre sarebbero avvenuti nella storia dell’umanità, ma che furono registrati da testimonianze solo agli inizi del XIX secolo, quando si verificarono i cosiddetti “Colpi di Rochester” nella casa della famiglia Fox. Nel 1848, in seguito a questi avvenimenti, lo spiritismo - dottrina che crede alla sopravvivenza degli spiriti e alla possibilità di entrare in contatto con loro mediante un medium – fu codificato da Andrew Jackson Davis e si diffuse nel mondo grazie agli scritti di Allan Kardec (pseudonimo di Hyppolite Rivail) [Selezione dal Reader’s Digest, ivi]. Tutte le etnie e tribù, sin dalle culture più antiche, hanno avuto la percezione di un mondo invisibile e la sensazione, per quanto vaga, di essere circondati da altre entità, che non si possono constatare o analizzare. Chi crede nella parola divina, crede a queste cose in maniera decisa; chi non crede in un qualche libro sacro o dottrina spirituale, ne ha una cognizione non completa e piena di incertezze [Tosatti M., 2003]. Tuttavia, bisogna stare attenti all’uso che si fa nel modo di riportare questa percezione, di raccontare esperienze, vissute da altri o in prima persona, e di cercare spiegazioni: c’è un ampio margine di affabulazione, e di creduloni ce ne sono parecchi.

Elena Petrovna Blavatskaja (1831-1891)

Alla fine dell’800, in un mondo ormai affascinato dallo spiritismo, sorse la Società Teosofica, su iniziativa di Elena Petrovna Blavatskaja (nata Von Hahn; conosciuta, in Occidente, anche come Helena Blavatsky e con lo pseudonimo HPB); nata nell’allora Ekaterinoslav da una discendenza di militari tedeschi e imparentata con la dinastia dei Dolgorukij, dopo anni di serio impegno negli studi, in particolare quello delle lingue straniere, avrebbe già iniziato a fare uso delle facoltà soprannaturali sin da piccola; data in sposa al generale Nicephore Blavatskij, da cui prese il cognome, lo avrebbe ripudiato e sarebbe scappata via dopo una tentata violenza in cui si scoprì che soffriva di una anomalia sessuale congenita (non precisata). Tuttavia, la sua vita non può essere ricostruita con assoluta certezza, perché lei stessa cancellava dati biografici e mentiva sulle sue esperienze. Tornò a far parte della storia documentabile solo nel 1873, quando sbarcò a New York. Nel frattempo sembra si fosse interessata al vicino e all’estremo Oriente, e che avesse viaggiato in Turchia, in Egitto, a Parigi e a Londra; ebbe contatti con politici e medium del nascente spiritismo. Trascorse un periodo in America e poi, tra gli altri Stati, visitò anche il Messico, il Tibet, Ceylon, il Giappone, la Cina e l’India; in quest’ultima venne a contatto col Buddhismo, da cui trasse molti dei suoi insegnamenti teosofici, raccolti in diversi libri scritti in lingua inglese: tra i più significativi Iside svelata (Isis unveiled, 1877), che raccoglie dottrine tratte dalla Cabala, Induismo,

Page 3: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

3

Buddhismo, Taoismo e altre filosofie - di cui una tutta personale – e considerata dal New York Herald Tribune una delle più «rimarchevoli produzioni del secolo»; o ancora, il Glossario Teosofico (The Theosophycal Glossary, 1892). In questa sua patria spirituale, l’India, trasferì il quartier generale della Società Tosofica. Alla sua morte, la Società contava circa 100.000 adepti. Nel 1873, una giovane ammiratrice considerava HPB «un magnete, tanto potente da attirare a sé chiunque le si avvicinasse», mentre la Società Londinese per la Ricerca Psichica, nel 1884, concluse che «non vediamo in lei il portavoce di profeti occulti, ma non è nemmeno una volgare avventuriera; pensiamo che abbia conquistato il diritto di essere ricordata tra i più colti, ingegnosi e interessanti impostori della storia» [Selezione dal Reader’s Digest, 1984].

Possessione e Esorcismo: tra fede, scienza e fenomeni linguistici

Un fenomeno che fa parte della parapsicologia e della spiritologia, ma che tocca anche altri campi, come la religione, la psicologia, e addirittura la linguistica, è quello della possessione. È un tema fastidioso, anche per molti membri della Chiesa romana, e i suoi sostenitori vengono accusati di essere dei «creduloni superstiziosi, medioevali», magari da «illuminatissime menti» [Tosatti M., 2003: 182] che credono a ben altro4.

Ai fini di una ricerca linguistica, è interessante considerare il metodo più conosciuto usato per liberare gli ossessi dalla possessione: il rito dell’esorcismo, una speciale preghiera di ‘impetrazione’, che esiste fin dall’antichità. Infatti, non è solo la Chiesa cattolica a credere al fenomeno della possessione, ma anche gli Ebrei più conservatori (anche nella Bibbia si parla di esorcisti ebraici), i Protestanti (negli Stati Uniti gli esorcisti protestanti sono i più numerosi), credenti delle religioni orientali (come lo Shintoismo) e gli Ortodossi. La differenza sta nel fatto che, a differenza dei Cattolici, per altri religiosi, come Ebrei e Protestanti, non esiste il “sacramentale” dell’esorcistato. Così era anche per i primi cristiani fino al IV secolo, quando tutti potevano praticare esorcismi in nome di Dio; successivamente l’esorcistato fu affidato ai vescovi che nominano esorcisti solo i sacerdoti, mentre i laici possono praticare la preghiera di liberazione, come avviene nei Gruppi Carismatici [ivi: 181]; questi ultimi, tra l’altro, praticano anche la “preghiera in lingue” che fa parte del fenomeno della ‘glossolalia’’ di cui si parlerà più avanti.

L’ufficio dell’esorcismo (dal greco éx “fuori” + horkízein “legare con un giuramento”: “espellere con uno scongiuro”) fu istituito dalla Chiesa latina nel terzo secolo e ufficializzato nel 1215, durante il IV Concilio Lateranense, nel contesto della lotta dottrinale contro l’eresia catara [ivi: 191]. Attualmente, gli esorcisti della Chiesa romana si trovano di fronte a due versioni del Rito dell’esorcismo: il Rituale Romano [Rituale Romanum, 1614] e la nuova edizione uscita dopo il Concilio Vaticano II e preceduta da una versione ad interim (4 giugno 1990). Per la redazione di quest’ultimo testo, non sono stati interpellati esorcisti: nessuno dei membri delle due commissioni che hanno lavorato a quest’ultima edizione, secondo il noto P. Amorth, «ha mai fatto esorcismi né ha mai assistito ad esorcismi né ha mai avuto la più pallida idea di cosa sono gli esorcismi. Questo è l’errore, il peccato originale, di questo Rituale» [Tosatti M., ivi: 39]. La prima edizione è tutta in latino, e va considerata l’efficacia, sulla mente, della lingua “sacra” come lingua più forte e imperativa; nell’edizione più recente ci sono parti tradotte (in cui, inizialmente, c’erano errori di traduzione dal latino) e sono stati rimossi alcuni imperativi come eradicare et fugare [ivi: 61]. 4 Si pensi per esempio all’oroscopo; tuttavia, la posizione «illuminista» di molti preti e vescovi risulterebbe «démodé», poiché legata agli anni ’70 e ’80 del secolo scorso e alla «fiducia ingenua nella demitizzazione e nel progresso», nello «scientismo e razionalismo», da parte di ambienti intellettuali [ibid.].

Page 4: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

4

Inoltre, la prima edizione prevede, come elemento indispensabile, il dialogo con l’impossessato e, quindi, l’ascolto è fondamentale (in primo luogo, si ha la necessità di conoscere il nome del demonio). Questo ha permesso di rilevare il fenomeno della ‘xenoglossia’, che tocca l’ambito della linguistica: tra le manifestazioni della possessione (ma non solo) c’è quella di parlare lingue straniere mai apprese prima [Baglio M., 2009]. Alcuni di questi casi sono documentati nel libro Il Rito di Matt Baglio. Secondo esorcisti italiani, pregare in latino e usare il Rituale in quella lingua eviterebbe di stimolare reazioni nella persona posseduta e un’autosuggestione da parte dell’esorcista stesso [ivi: 71] - perchè coscienti, in quel momento, solo del significante e non del significato - e rileverebbe comunque la presenza di un demonio, che sembrerebbe comprendere comunque ogni lingua. In un caso di possessione, l’esorcista P. Nanni si era ritrovato a pregare, nella sua mente, in francese e la ragazzina esorcizzata gli aveva ricordato che fosse «inutile pregare in quella lingua, perché le conosciamo tutte» [ibid.]. Secodo altre testimonianze, di solito ai demoni non piace parlare, e questo avviene solo in casi rari; anzi, in quelli più potenti e difficili non si manifesta nessun segno [ibid.].

Gli esorcismi e la possessione non sono degli spettacoli da circo; non si tratta solo di fenomeni pirotecnici, spesso “gonfiati” - con cui ci bombardano i media e che ci vengono presentati nei film come L’Esorcista - e non vanno confusi con i riti di magia (il che negherebbe il principio del rito stesso, quello di liberare dal male mediante intervento divino). Baglio ricorda che l’esorcista dev’essere l’«ultimo scettico» [ibid.], e nella Praenotanda 14 del De exorcismis et supplicationibus quibusdam [Rito degli esorcismi, 1998] si dichiara che è possibile procedere alla celebrazione dell’esorcismo solo dopo aver avuto la «certezza morale» che il soggetto non abbia semplicemente disturbi psichici. È quindi necessaria prudenza, prima di agire; e, per chi crede, questa prudenza sta nel dono del discernimento, conferito dallo Spirito Santo di cui parla San Paolo (che sarà menzionato in merito alla ‘glossolalia’).

Quindi, nel Rituale stesso si trova un incontro tra fede e scienza. Gli esorcisti cattolici, generalmente, non accettano persone che non si siano rivolte prima a psichiatri [Bamonte F., 2006] e, anzi, sono affiancati da un team, composto da specialisti, tra cui psichiatri, neurologi e psicologi [Baglio M., ivi: 103]. Si possono presentare casi di “pseudo-possessione”, in cui i presunti ossessi fingono reazioni banali e superficiali, oppure sono solo persone in cerca di attenzioni; nella vera possessione, al contrario, il soggetto dimostra di conoscere a fondo tematiche di teologia e dottrina. Come ricorda il dottor Richard E. Gallagher - psichiatra e professore associato di Psichiatria clinica al New York Medical College – prima di entrare nel campo del preternaturale, va cercata una spiegazione naturale5, e, talvolta, si scoprono soggetti affetti da psicosi o allucinazioni; in altri casi, avvengono fenomeni paranormali in cui è possibile o evidente che ci sia un caso di possessione [ibid.]. Nonostante qualche specialista affermi che anche un paziente non posseduto possa trarre beneficio da un esorcismo [Lewis I.M., 1971], c’è chi insiste - come il dott. Gallagher o esorcisti come P. Carmine - sul fatto di non praticarlo per non ingannare il soggetto e per evitare di fare più danni alla sua psiche [Baglio M., ivi: 185]. D’altro canto, va considerato anche il fenomeno della suggestione; sono stati condotti degli esperimenti in materia, negli anni ’90, da parte di Giuliana Mazzoni, professoressa di psicologia all’Università di Hull, in cui è stato dimostrato come la mente

5 Tra le malattie psichiche spesso confuse con la possessione troviamo: la schizofrenia (allucinazioni, manie, paranoie, il sentire voci e il credere di avere contatti con extra-terrestri), il disturbo da somatizzazione (grossolanamente detto “isteria”), il disturbo bipolare, disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), l’epilessia (e la sindrome di Tourette), la dissociazione (multipersonalità) e la disassociazione [Baglio M., ivi: 108-110].

Page 5: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

5

possa essere manipolata per forgiare credenze e modificare i ricordi [Mazzoni G.A.L., Loftus E.F., Kirsch I., 2001]. Però, come sottolinea la professoressa Mazzoni, resta un punto interrogativo che separa le malattie psichiche sopraelencate da manifestazioni paranormali, come la levitazione, la materializzazione di oggetti e la capacità di identificare oggetti nascosti in un sacco: «forse tra cinquant’anni riusciremo a capire perché accadono queste cose, ma al momento non lo possiamo sapere» [ivi]. Altri specialisti si sono spinti ben oltre le proprie capacità in nome di un metodo scientifico e naturale6.

Si è detto che la possessione, come riferisce anche il nuovo Rituale, si può manifestare con segni, quali la forza straordinaria e la capacità di rivelare cose occulte, ma anche la capacità di parlare lingue mai apprese prima grazie al fenomeno della ‘xenoglossia’, di cui si parla anche nel testo russo tradotto in questo lavoro [Savuškin R.A., ivi]. Prima di passare alla definizione generale, si anticipano dei casi di possessione con ‘xenoglossia’, presentati nei già citati Inchiesta sul demonio e Il Rito. Come già scritto, è avvenuto un caso in cui una ragazzina italiana ha letto la mente dell’esorcista P. Nanni che pregava in francese e ha sottolineato come i demoni possano comprendere ogni lingua. Durante un esorcismo di P. Amorth, una madre di famiglia che conosceva solo l’italiano si è messa a parlare (con voce maschile deformata) una lingua incomprensibile all’esorcista, affermando che si trattasse di «lingua diabolica»; grazie all’intervento di alcuni assistenti sacerdoti di diverse nazionalità, la paziente è stata interrogata in latino, inglese, tedesco, ebraico, arabo e coreano e ha risposto sempre a tono, ma in italiano. In un intervista di Tosatti [Tosatti M., ivi: 126-145], l’allora scettico psichiatra Simone Morabito, che pensava «fossero fatti riguardanti l’inizio del cristianesimo», dopo quarant’anni di attività e in seguito a gravi manifestazioni avvenute nel suo studio, ha affermato che «si tratta di fatti attualissimi e quotidiani» e che rimane scioccato di fronte a un fenomeno «inequivocabilmente non umano» che lui, così come la comunità di cui fa parte non possono spiegare:

le persone possedute, a differenza degli ammalati psichici che presentano agitazioni psicomotorie, appaiono sempre lucidi, anche durante le crisi. Non solo: si può parlare, discutere, e persone incolte, semianalfabete dimostrano, quando sono in preda a entità demoniache, una cultura eccezionale. Si esprimono in idiomi stranieri, mai studiati, prevedono il futuro.

Ma la capacità di parlare lingue non è solo negativa, come si vedrà nel capitolo successivo; il dono delle lingue possa essere anche un fatto positivo: può essere il dono raro di un carismatico, che va oltre natura, conferito dallo Spirito Santo (come il dono della guarigione o del discernimento), a differenza dei doni naturali di un sensitivo (mai preternaturali, ma comunque utili, come la rabdomanzia) [ivi: 75].

Glossolalia e Xenoglossia

Com’è possibile che uno studente impieghi anni di sforzi e sacrifici per imparare bene poche lingue, non arrivando comunque alla perfezione e al livello di un madrelingua, mentre alcuni si mettano improvvisamente a parlare lingue mai apprese prima?

6 Come il neuroscienziato Michael Persinger, il quale ha pensato bene di ricreare esperienze “mistiche”, come quelle premorte; nei suoi esperimenti, stimolava il lobo temporale del cervello mediante scariche elettriche, lasciando i pazienti in uno stato confusionale, totalmente diverso dalla modalità coerente e lucida delle esperienze premorte [Rodin E., 1989].

Page 6: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

6

La scienza, la linguistica e la neurolinguistica moderne hanno preso in considerazione questo interrogativo, studiato già da tempo. Lo scienziato Ian Stevenson (1918-2007), psichiatra statunitense, pubblicò alcuni libri riguardo a ricerche da lui stesso effettuate su casi definiti “autentici”, in cui alcune persone si sarebbero messe a parlare lingue straniere che non conoscevano: i più noti sono Xenoglossy: A Review and Report of A Case (1974), Twenty Cases Suggestive of Reincarnation (1966, ampliata nel ’74) e Unlearned Language: New Studies in Xenoglossy (1984).

Il fenomeno si divide in due categorie: ‘glossolalia’ e ‘xenoglossia’. Secondo quanto osservato di recente dalla linguista Fiorenza Lipparini nel libro Parlare in lingue

[Lipparini F., 2012], il concetto di ‘glossolalia’ ricorda l’interpretazione poetica in gran parte della poesia europea del ‘9007: alla base di queste composizioni oscure ci sarebbe la ricerca di una «lingua poetica cristallina», quella lingua che la religione cristiana farebbe risalire ai tempi della Torre di Babele. La ‘glossolalia’ è un fenomeno tipico della storia delle religioni: nella definizione data da San Luca negli Atti degli Apostoli e da S. Paolo nella I Lettera ai Corinzi, essa indica, nella prima accezione, una lingua universale (che erano riusciti a parlare gli Apostoli nel giorno della Pentecoste) e, nella seconda, una lingua incomprensibile. Il fenomeno, secondo Giovanni Crisostomo, sarebbe la manifestazione di un ‘carisma’ dello Spirito Santo, difficile da spiegare già nel IV secolo d.C., perché ormai lontano nel tempo [ivi: 11]. Nel giorno di Pentecoste, persone di diverse nazioni si erano sentite toccate dalle parole degli Apostoli e si erano convertite; S. Paolo pregava, senza sapere quello che diceva, poiché frutto dell’ispiazione divina, e insistiteva sul fatto di usare il dono con parsimonia e in presenza di un interprete. Gli apostoli, infatti, sarebbero stati scambiati più volte per ubriachi o pazzi. Come scrisse S. Paolo: «a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune: [...] a un altro la varietà delle lingue; a un altro infine l’interpretazione delle lingue» [I Cor 12, 4-13].

La distinzione tra i punti di vista presentati da Luca in At 2 e Paolo in I Cor dà origine a due interpretazioni del fenomeno, al quale si riferiscono entrambi con il sintagma parlare in lingue: parlare una lingua incomprensibile tanto a chi parla quanto a chi ascolta, che è il caso della ‘glossolalia’, termine coniato dal teologo tedesco Hilgenfeld (1850); parlare lingue straniere realmente esistenti senza averle precedentemente apprese, cioè il caso della ‘xenoglossia’ (più raramente ‘xenolalia’) di cui parlò Richet nei suoi studi (1905). Spesso, i termini vengono confusi anche da studiosi, o considerati ‘glossolalia’ in senso generico, oppure nominati con la sovracitata espressione parlare in lingue [Lipparini F., ivi: 26].

L’etimologia del termine ‘glossolalia’, secondo Harrisville [1986: 35-52], deriverebbe in particolare dall’uso che si fa del sintagma, in greco, in 36 passaggi del Nuovo Testamento: il fenomeno viene indicato con il termine glõssa unito al verbo laleĩn, da cui il neologismo glossolalia. Il verbo laleĩn ha il significato di ‘parlare’, ma indica anche suoni inarticolati, balbettii, chiacchiericci, versi animali, o il suono di uno strumento musicale (come quello attribuito alle trombe dell’Apocalisse). Glõssa può indicare la lingua come organo fonatorio, ma anche un’insieme di parole oscure, desuete e straniere (ne aveva parlato già Aristotele nella Retorica e nella Poetica). Il termine fu anche interpretato da studiosi come Davies (1956) e Gundry (1966), come “lingua

7 Fortunato Depero ha dichiato, nel 1987, che i suoi versi (come «Mocastrinar fralingaren donì / Donì xx + x vronkap») fossero composti in onomalingua, cioè un linguaggio poetico di comprensione universale per il quale non sono necessari traduttori; nel 1943, il poeta francese Artaud scrisse dei versi in una lingua «che non era francese, ma che tutti potevano leggere». Questo ricorda molto anche i versi di Marinetti e dei Futuristi.

Page 7: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

7

intelleggibile”, associata quasi sempre alla hermēneíā, cioè interpretazione (nel senso di tradurre): gli Apostoli avrebbero parlato lingue esistenti e la loro «glossolalia» (o meglio, ‘xenoglossia’) non sarebbe affatto un linguaggio estatico; questa posizione sarebbe sostenuta dall’uso, nel Nuovo Testamento, del verbo lego, che significa ‘dire’ in riferimento a un messaggio ben preciso [Lipparini F., ivi: 42].

Come si può intuire, il fenomeno della ‘glossolalia’ è legato principalmente all’evangelizzazione, tanto per gli Apostoli, quanto per alcuni Santi: san Pacomio sarebbe riuscito a parlare latino dopo due ore di preghiera; san Domenico, il tedesco; sant’Antonio da Padova avrebbe pronunciato, nel XIII secolo, a Roma, un discorso compreso da tutti i presenti accorsi nella capitale; santa Giovanna della Croce, durante una delle sue estasi, si sarebbe messa a parlare arabo, convertendo due musulmani; san Vincenzo Ferrer, valenzano, avrebbe compreso e parlato molte lingue, ma si dice che le avesse studiate in precedenza. Successivamente, questo carisma fu usato da profeti, dai protestanti ugonotti nel XVII secolo, poi dai quaccheri nel ‘700, fino ad arrivare ai casi moderni e accertati di gruppi carismatici del rinnovamento religioso, che pregano e cantano in lingua [ivi: 35-39]. In ambito patristico, uno dei Padri della Chiesa, Tertulliano, nel Contro Marcione, definì la ‘glossolalia’’ uno stato di estasi in cui l’uomo, «obumbrato dalla virtù divina», perde i sensi; questa definizione assomiglia alla percezione di ubriachezza e follia di cui si parla nel Nuovo Testamento e che, nell’Antico Testamento, tra gli israeliti, assumeva i connotati dell’“invasamento” (possessione). Anche Eusebio di Cesarea, nella sua Storia ecclesiastica, uscita in seguito alla condanna al montanismo (381) come forma di corruzione dello spirito, indicò la natura demoniaca delle elocuzioni estatiche di Montano e dei suoi seguaci con il termine di xenophoneĩn (suoni stranieri, voci straniere e non lingue straniere) o laleĩn ekphrónōs (elocuzione insensata, frutto della follia, che ricorda l’interpretazione paolina).

La ‘glossolalia’ - e anche la ‘xenoglossia’ - sono, quindi, attribuibili a un fenomeno mistico, che riguarda, cioè, tutto ciò che accade a un essere umano nella sua relazione con l’‘oltreumano’ (fenomeni preternaturali o non naturali, come può essere la forza sovrumana in un individuo esile) e che può avere una matrice positiva, e quindi divina, oppure negativa, diabolica; mistico, perchè l’individuo non è il soggetto agente della ‘xenoglossia’, ma è l’oggetto passivo di una manifestazione prodotta da un’entità aliena (nel senso di esterna) e superiore. Secondo la proposta di Lovekin e Malony [1985: 260], si tratta di un’«esperienza interiore e immediata del trascendente»: si comunica in una lingua comprensibile dalla comunità, pur mantenendo una «radicale indicibilità» [Lipparini F., ivi: 70-71]. Più confessioni, non solo quella cattolica, ma anche Protestanti, Ortodossi e religioni orientali, come gli Induisti, affermano che si tratta di fenomeni rari, ma esistenti. Tuttavia, sia tra i fedeli sia in ambito scientifico c’è un divario di opinioni.

Un cambiamento radicale avvenne nel XIX secolo, quando, attraverso indagini sperimentali, furono scoperte e definite nuove malattie, come quelle “magnetiche” (estasi maniacale e visione estatica) e sono stati condotti diversi studi a riguardo in ambito psicologico e neuroscientifico. Nel 1882 fu creata, a Londra, la Society for Psychical Research. Spesso équipes mediche si diedero molto da fare e non di rado i pazienti venivano internati in ospedali psichiatrici o sottoposti a ipnosi, in genere subendo più danni alla propria psiche. Due secoli prima, la situazione era opposta: il 18 agosto 1634, il curato francese Grandier era stato condannato al rogo in quanto responsabile della possessione, in un convento a Loudun, di un gruppo di suore indemoniate, che avrebbero parlato diverse lingue. I presenti si trovarono di fronte a un fenomeno complesso, in cui un’indemoniata articolava male frasi sporadiche in un latino stereotipato, passando talvolta al francese, e così

Page 8: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

8

facevano anche l’esorcista e il narratore dei verbali del processo; ne risultò un code mixing sconclusionato tra le lingue. Nel caso, furono individuate da medici ed esorcisti altre lingue esotiche (o singole frasi o parole in lingua straniera) come il topinambou, o un ebraico di scarsa qualità. Tuttavia, l’attenzione verso le lingue fu di basso livello: «lo scarso valore linguistico e denotativo degli enunciati risultava ampiamente compensato dalla vivacità e quantità di espressioni, inflessioni, toni di voce e comportamenti fisici anormali» [De Certeau, 1970: 45]; le indemoniate furono sottoposte a vani controlli medici, e, nel caos generale, prevalse l’ipotesi della possessione. Nei secoli successivi, gli piscologi spiegarono fenomeni del genere come casi di sdoppiamento della personalità. Tra il XVII e il XIX secolo, i confini tra fede religiosa e rigore scientifico si intersecavano e vi era una divisione non solo tra «razionalisti» e «mistici», ma anche all’interno dei gruppi stessi. Va ricordato il caso della veggente francese di Prévost, Federica Hauffe, osservata e descritta dal medico J. Kerner, la quale, quando si trovava in stato di trance, parlava una «lingua ignota o interiore» [Lipparini F., ivi: 95]: era simile alle lingue orientali, e diceva che fosse la lingua usata da Giacobbe; i filologi vi trovarono somiglianze con il copto, l’arabo e l’ebraico8. Così la veggente esprimeva i suoi pensieri più interiori, dicendo di non riuscire a formularli in tedesco: siamo di fronte a una vera e propria lingua, perchè le persone che circondavano assiduamente la veggente avevano imparato a comprendere quei neologismi, dandone un significato ben preciso, seppur rudimentale. L’uso dell’ebraico può essere legato alla tradizione religiosa che vede in questa lingua quella originale di Dio e le espressioni in lingue orientali rimandano alla purezza, al misticismo e ai miti dell’Oriente. Caratteristica fondamentale di questa ‘glossolalia’ è la sua «naturalezza, dovuta al fatto che essa esprimeva l’essenza stessa delle cose che nominava [...]. Tale naturalezza, che faceva un tutt’uno con la loro universalità, era una costante non solo delle lingue sonnamboliche, ma anche delle glossolalie religiose più classiche» [ibid.]. Il caso appena raccontato ricorda quello dell’«ignota lingua» [ivi: 70] delle estasi di Ildegarda di Bingen (XI secolo d.C.), che sembrerebbe un misto di latino, tedesco e pseudoebraico, in cui il significante e il significato vengono sempre rispettati, e in cui esistono regole. La lingua risulta costruita razionalmente, tanto che ne fu stato fatto un glossario, Lingua ignota per simplicem hominem Hildegardem prolata, trasmesso in due manoscritti e commentato da Portmann Odermatt (1986) e Higley (2007). Ci troviamo, in questo caso, di fronte a un bivio: potrebbe trattarsi di ‘xenoglossia’, in quanto penetrano parole di altre lingue realmente esistenti, ma sembrerebbe essere comunque ‘glossolalia’, in quanto è una lingua creata all’interno di un determinato contesto e che prima non esisteva.

Nella seconda metà del XIX secolo, con l’avvento dello spiritismo, e la pubblicazione, da parte di Kardec, del Libro degli spiriti (1857; tra l’altro, si ispirava alla veggente di Prévost), la visione scientifica del magnetismo si evolse e avvenne tra razionalismo e spiritualismo, e tra illuminismo e romanticismo, un incontro, «frutto del più rigoroso positivismo» [ivi: 98]. Le porte che erano state chiuse a pratiche come l’ipnotismo (bandito dall’Académie des sciences) vengono riaperte. In seguito a studi più assidui sulla psiche che porteranno con Freud, nel XX secolo, alla nascita della psicoanalisi, assunse un ruolo di primaria importanza il subconscio. Questo permise di dare interpretazioni più precise e diverse rispetto al passato, le quali, però, non lasciarono più alcun margine di dubbio - al di là dell’interpretazione - sulla realtà del fenomeno.

A questo proposito, nei Proceedings of the Society for Psychical Research (1896-97), William James (con prefazione di Myers) scrisse A case of Psychic Automatism, Including Speaking in

8 Dall’ebraico: Elschaddai, ‘onnipotente’, dianahli, ‘sospirare’; dal suo linguaggio interiore: handacadi, ‘medico’, optini poga, ‘dovete dormire’.

Page 9: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

9

Tongues, in cui venivano esposte le osservazioni del letterato americano Le Baron. Quest’ultimo, durate una seduta spiritica, era stato spinto da una “forza” ad agire contro la propria volontà e ad esprimersi in una lingua “incomprensibile” che era riuscito ad annotare sotto dettatura. In questa lingua si trovano elementi orientaleggianti, assonanze, allitterazioni, interferenze con parole inglesi o lingue esotiche e pseudo-flessioni articolate su una pseudo-radice9. Era il primo caso di spiritismo, documentato da due psicologi, in cui avveviva qualcosa che ricordasse il parlare in lingue religioso.

Il passaggio dal campo religioso a quello della psicologia sperimentale fu segnato dalla comparsa della psicopatologia. La psicopatologia del linguaggio si fa risalire all’11 settembre 1793 [Pennisi, 1998: 27], anno in cui lo psichiatra francese Pinel decretò la liberazione dei malati di mente dell’ospedale psichiatrico di Bicêtre per poterli ascoltare, attribuendo un senso alle loro parole, non costringendoli ad adattarsi a schemi “normali” già predisposti dal nostro mondo, come si faceva quando erano rinchiusi e incatenati. Un allievo di Pinel, Esquirol, pubblicò la prima descrizione sistematica dei profili linguistici della follia e, nel trattato Des maladies mentales (1838), definì il concetto clinico di ‘glossolalia’ in relazione a quello di ‘neologismo’, «ve ne sono alcuni [malati] che si creano un linguaggio del tutto particolare», che sarebbe stato poi ridefinito da Flournoy. Nell’800, i neologismi prodotti dai pazienti venivano spiegati come frutto di allucinazioni, da Snell, o interpretati, da Martini, come vere e proprie lingue che avevano una funzione prettamente emotiva e mimico-gestuale (non comunicativa). Nel 1890, con il contributo di Eugenio Tanzi10, queste manifestazioni furono interpretate come fenomeni regressivi (associando i deliri degli psicotici alle fantasie dei bambini e ai popoli primitivi), che hanno, tuttavia, «l’impronta di una lingua conosciuta»: vengono, quindi, spesso creati calchi e parole onomatopeiche dalle lingue naturali [Lipparini F., ivi: 109].

Nel frattempo, nella seconda metà del XIX secolo, si era passati dalla tradizione localizzazionista a quella associazionista (pre-saussuriana), in cui si credeva che le parole fossero etichette e che riflettessero un’immagine di idee esterne11. Ma un caso studiato in modo più approfondito, agli albori del nuovo secolo, è quello proposto dallo psicologo ginevrino Flournoy, il caso della signora Hélène Smith, di cui si parlerà nel prossimo capitolo. Qui viene proposta la definizione di ‘glossolalia’ in senso molto esteso, data dallo studioso Flournoy [1983: 165]:

Tra i vari fenomeni automatici, il parlare in lingue è uno di quelli che in ogni tempo hanno suscistato la più grande curiosità, ma sul quale possediamo un numero molto ridotto di documenti precisi. [...] Esistono molti tipi di glossolalia. Il parlare estatico, semplicemente incoerente e punteggiato da esclamazioni emozionali, che si verifica talvolta in certi ambienti religiosi surriscaldati, è una cosa diversa dalla creazione di neologismi che incontriamo nel sogno, nel sonnambulismo, nell’alienazione

9 Un esempio: Te rumete tau. Ilee lete leele luto scele. Impe re scele lee luto. Onko keere scete tere lute. Ombo te scele to bere te kure. Sinte lute sinte Kuru. Orumo imbo impe rule scelete. Singe, singe, singe, eru. Imba, Imba, Imba. 10 Tanzi raccolse i neologismi deliranti in un corpus di 239 parole pronunciate da 168 mattoidi, dividendoli in sette categorie: nomi allusivi a persone od esseri simbolici (es. Capocifero, Gran Bambina); nomi allusivi ad agenti o stati fisici (conquitescenza mirtica dell’alveatico); nomi allusivi ad agenti o stati fisiopatologici di origine allucinatoria; scongiuri, deprecazioni, formule di esorcismo o d’evocazione (Livi cux, pitroskoi marabiska patomba lemba zagamba strapulika); terminologia metafisica e pseudoscientifica (che si ritrovano non solo tra i malati, ma anche nei libri dell’epoca, come teofotologia e Uno-molteplice); autodenominazioni (Imperio, Baroleno I); neologismi asistematici o del tutto insensati (lepidermocrinia, uffeta) [Tanzi, 1889]. 11 Secondo Séglas, in Des troubles du langage chez les aliénés [1892, p. 5-7], «la parola [...] non è che un complesso di immagini mentali nel numero di quattro», e le categorie di immagini sarebbero: mentale, uditiva, motrice di articolazione e grafica. Con questa definizione si è arrivati a studiare i disturbi intellettuali che lasciano intatta la funzione del linguaggio: le dislogie (alterazione della rapidità, della forma, della sintassi e del contenuto) [Lipparini F., ivi: 118-119].

Page 10: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

10

mentale o ancora nei bambini. Allo stesso modo, questa costruzione di parole arbitrarie solleva problemi diversi rispetto all’impiego occasionale di lingue straniere ignorate dal soggetto (almeno in apparenza), ma davvero esistenti. In ognuno di questi casi, bisogna inoltre esaminare se, e in quale misura, l’individuo attribuisce un senso determinato ai suoni che emette; se capisce (o almeno ha l’impressione di capire) le sue parole; o se si tratta invece di un uso meccanico e senza significato ell’apparato fonatorio; o ancora se questo gergo inintelleggibile per la personalità ordinaria non esprima le idee di qualche personalità seconda. Tutte queste forme variano poi nelle sfumature e nei gradi, senza parlare dei casi misti, forse i più frequenti, dove esse si mischiano e si combinano. È così che vediamo nello stesso individuo, e talvolta nel corso del medesimo accesso, una serie di neologismi, compresi o incompresi, far fronte a un semplice vaniloquio incoerente in lingua volgare, o viceversa.

È proprio in ambito psicologico che sarebbe poi nata la distinzione tra ‘glossolalia’ e ‘xenoglossia’, termine, quest’ultimo, coniato da Richet nel 1905, che descrisse il caso di una certa M.me X., capace di scrivere automaticamente, in stato di sonnambulismo, in un greco perfetto (con soli errori di copiatura, poiché non ne comprendeva il significato). L’analisi dei testi di M.me X. ha permesso di risalire alle fonti, per esempio testi platonici o evangelici, riadattati, incredibilmente, al momento della scrittura per integrarli con riferimenti alla vita della signora. ‘Xenoglossia’ può fare sia da iponimo, sia da opposto a ‘glossolalia’. Si riferisce, infatti, alla capacità di parlare una lingua straniera “naturale”, cioè esistente, che va comunque interpretata, perché non conosciuta dal soggetto [Lipparini F., ivi: 136-137]; è in antitesi con la ‘glossolalia’, che invece dà origine alla ‘glossomania’, cioè la creazione di una pseudolingua dal carattere ludico e infantile, o alla ‘glossopoiesi’, la creazione di un linguaggio con una sua fonologia, un suo vocabolario e una sua grammatica, in cui il rapporto tra significante e significato rimane costante [ivi: 160-161].

I casi di ‘xenoglossia’ accertata sono estremamente rari. Come riporta il sito del GRIS (Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-Religiosa), nell’articolo Fenomeni attribuibili a cause preternaturali o soprannaturali, essa si riscontra nella possessione demoniaca e nello spiritismo, oltre che in alcuni casi di mistica, come quando Padre Pio da Pietrelcina, secondo testimonianze di suoi fedeli, avrebbe confessato in diverse lingue, anche africane, mai apprese prima [Guitton J., 1994]. Ci sono poi casi di ‘pseudoxenoglossia’, fuori dai suddetti ambiti, come quelli riportati da P. Quevedo [Quevedo O., 1993]. Una bimba di dieci, a seguito di frattura cranica, si sarebbe messa a parlare cinese: il parapsicologo P. De Heredia poté accertare che la piccola ripeteva parole più volte pronunciate al lavatoio da cinesi che abitavano nel suo quartiere. Nel 1933, una sedicenne ungherese, Iris, ripresasi da una morte apparente, avrebbe detto di essere una certa Lucia Altares de Salvo, spagnola, morta da poco a Madrid, e da allora avrebbe parlato in spagnolo, lingua che, secondo la sua famiglia, non conosceva. Lo studioso Caesar de Vesme difese il caso sulla rivista scientifica Revue de metaphysique [Vesme C., 1935], interpretandolo come trasmigrazione di un'anima; solo che più tardi si scoprì che la spagnola non era mai esistita, che la ragazza, appassionata di lingue straniere, da bambina aveva sentito parlare spagnolo in Olanda e che aveva seguito un corso di spagnolo a Budapest all'insaputa dei suoi. Secondo P. Quevedo, la ‘xenoglossia’ deriverebbe, anche nei casi accertati, dal subconscio; così sarebbe stato per gli indemoniati di Illfurt (Alsazia, 1864-69), i quali (semplicemente!) parlavano e rispondevano correntemente in francese, latino, inglese e comprendevano i diversi dialetti francesi e spagnoli, benché fossero di lingua tedesca [Marcozzi P.V., 1990]. Marcozzi riferisce il caso dell’ipnotizzatore Lafontain a proposito della sonnambula Clarisse, sostenendo, come unica spiegazione possibile, l’ipotesi della telepatia:

Questa rispondeva in francese a domande fatte in lingue che non conosceva: spagnolo, portoghese, tedesco, inglese. Una volta l'ipnotizzatore pose una domanda in una lingua a lui ignota, in ebraico. Clarisse disse: “Non posso rispondere”. Il signore si diverte di me: non comprende. La sonnambula

Page 11: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

11

manifestò esattamente il significato in francese. Da tale esperimento sembra si possa concludere che è possibile captare il pensiero, anche se espresso in lingue che il ricevente non conosce, perché percepirebbe il pensiero che consta di concetti e di immagini.

È curioso il caso, raccontato dallo psichiatra Calmeil [1845], di un presunto indemoniato della Cocincina del XVII secolo che rispose ad un missionario, il quale lo stava esorcizzando in latino: "Nescio latine loqui" (non so parlare latino). Secondo P. Quevedo [2005] è impossibile che un demonio che non sappia parlare latino (come se Quevedo avesse il potere di scegliere come, quando e se un demonio possa parlare; e non si era forse accorto che la frase era in latino) e pensò si fosse trattato di uno scherzo.

Nel 1988, lo psichiatra Hans Naegeli-Osjord trattò un caso di possessione (ben documentato, raccogliendo anche testimonianze oculari) che si può trovare nel capitolo I ragazzi di Illfurt di Esorcismo e possessione [2007] e che colpì due bambini, un’altra volta nell’omonima località. Le voci che parlavano mediante questi si esprimevano non solo in tedesco, ma anche in francese, spagnolo, inglese e vari dialetti; durante la serie di esorcismi che portarono alla loro liberazione, si misero a parlare anche latino. Nel 1934, a Messina, l’esorcista italiano don Giusepppe Tomaselli praticò un esorcismo su una bambina di 9 anni, la quale, oltre a sviluppare una poderosa forza fisica, rispose correttamente in latino e francese a domande formulate in quelle lingue [Cornwell J., 1994].

Nell’ambito dello spiritismo sono avvenuti altri casi interessanti di ‘xenoglossia’. Il medium brasiliano di origine italiana Carlos Mirabelli, studiato dall'Accademia di Studi Psichici Cesare Lombroso (Brasile), scrisse, in oltre 300 sedute, mediante scrittura automatica in 28 lingue e ‘xenoglossia’ in 26, tra cui latino, persiano, cinese, giapponese e molte lingue africane ed orientali [Mikilasch R.H., 1926], ma pure ebraico, siriaco e egiziano antico, come documentato dalla rivista Zeitschrift für Parapsychologie [1927], che pensò, tuttavia, a una frode da parte sua e dei suoi testimoni. Nel 1924, a Londra, l’americano Georges Valiantine, rozzo contadino e medium, produsse più di 100 “voci dirette” che si esprimevano, tra le altre lingue, in inglese, russo, tedesco, italiano, spagnolo, gallese, cinese e giapponese [Dettore U., 1986]. Fu accusato di frode, e, a New York, durante una seduta a casa del giudice Cannon, fu invitato a fare da interprete il sinologo e etnologo Neville Whymant. Si udì la voce di Confucio che pronunciava un discorso in cinese classico antico; che ci fosse o meno Confucio, quello che stupì Whymant fu che Valiantine era riuscito a rispondere a tono, in modo immediato e coerente in quella lingua, e aveva anche recitato una poesia antica cinese, che nemmeno l’etnologo avrebbe ricordato a memoria. Brune [1994] riporta un episodio significativo di ‘xenoglossia’, il caso di Lady Nona, entità manifestatasi dal 1927 al 1938 mediante la medium Rosemary. Le registrazioni su disco delle sedute testimoniano oltre duemila frasi in antico egizio e le risposte immediate alle domande in lingua preparate con fatica, in venti ore di lavoro, dall’egittologo Hulme. Questi alcuni dei casi di ‘xenoglossia’ che hanno interessato, se non perplesso, anche il mondo della scienza.

La posizione che prevale attualmente nella “scienza” tradizionale, e così tra molti linguisti e psicologi, è quella che fa riferimento alla cosiddetta ‘criptomnesia’, ossia il funzionamento anomalo della memoria (solitamente in condizioni isteriche) che permette di rievocare in modo preciso un ricordo, facendolo apparire come una creazione personale, o all’‘ipermnesia’, l’eccessivo sviluppo (ipertrofia), transitorio o permanente, della capacità di rievocare ricordi (in modo vivido, come se fossero fotografie): in questo caso, non si tratta di ‘xenoglossia’, perchè il paziente non è padrone della lingua, ma risulta come un registratore impazzito di dati più o meno corposi. Si tratta di

Page 12: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

12

citazioni mnemoniche di cose nascoste abitualmente alla memoria, e che in un determinato momento risultano immediatamente accessibili. Un esempio di criptomnesia è il curioso caso, riportato dal demonologo Balducci in La possessione diabolica [Balducci C., 1983], tratto da annali di esorcismo dell’800, in cui una donna che prestava servizio in casa di un vicario anglicano si è messa improvvisamente a parlare greco antico; si è scoperto che la donna, mentre faceva le pulizie, avrebbe ascoltato passivamente le lezioni di greco che il vicario leggeva ad alta voce, che sarebbero successivamente riaffiorate nella sua mente. Anche la linguista americana dell’Università del Michigan Sarah Thomason, nel saggio Xenoglossy [Thomason S., 1996] e il linguista dell’Università di Toronto William Samarin [Samarin W.J., 1976] si sono opposti alla posizione di Stevenson sui presunti casi di ‘xenoglossia’, accusandolo di essere stato poco selettivo e inaccurato e di aver scritto in modo poco professionale, senza spirito critico, tanto da non essere riuscito a fornire ai linguisti i dati di cui avrebbero avuto realmente bisogno. Le pazienti analizzate in due casi (due americane che si sono messe a parlare una lo svedese, l’altra il tedesco), nonostante si dimostrasse la loro buonafede, avrebbero fatto delle pedisseque citazioni in lingua da testi letti in precedenza, o, almeno, sembrerebbero non aver avuto la capacità di parlare la lingua straniera fluentemente, ma in modo sgrammaticato o con accento irregolare: «demonstration that there was no fraud in the case is convincing, but his [Stevenson’s] claim that Jensen had the capacity to speak Swedish is not» [Thomason S., ibid.] (La dimostrazione che nel caso non ci sia stata alcuna frode è convincente, ma che [Stevenson] sostenga che Jensen fosse capace di parlare svedese non lo è).

La posizione “anti-xenoglossica” è sostenuta dal CICAP (inizialmente, nel 1989, Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale; dal 24 settembre 2013, Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze); per esempio, un articolo pubblicato sull’Enciclopedia online del CICAP [Polidoro M., 2000] recita così – in versione integrale (curiosamente con parti redatte in italiano popolare) – la definizione di xenoglossia (dove “aramico” sarà da intendere come aramaico):

Lo studioso americano Ian Stevenson sostiene che alcuni dei casi da lui studiati possono spiegarsi solo avanzando ipotesi di tipo paranormale; tuttavia, un esame dettagliato di questi casi ha portato a concludere che le persone oggetto dei suoi studi non sembravano conoscere veramente la lingua in questione, ma sembravano piuttosto conoscere un numero limitato di parole di quella lingua e utilizzavano sempre queste per rispondere, in modo stereotipato, alle domande degli studiosi.

Un caso noto è quello di un americano che parlava un eccellente russo, sebbene sosteneva di non averlo mai studiato. Indagini hanno dimostrato che i genitori vivevano accanto a un insegnante di russo, le cui lezioni erano chiaramente udibili dalla culla del bambino. Il linguaggio era dunque stato acquisito con mezzi normali dall'uomo, ma le circostanze erano state del tutto dimenticate. Sebbene in questi casi le persone possono aver imparato parole e frasi in un'altra lingua senza ricordarsi come ciò sia avvenuto, in altri ci si trova di fronte a falsificazioni più o meno coscienti. E' il caso, per esempio, di quei medium, santoni o veggenti che affermano di parlare lingue misteriose, come un oscuro "dialetto tibetano", il "sanscrito" o "l'aramico", ma perdono questa abilità, o non sono più in grado di dimostrarla, quando si trovano di fronte un autentico esperto in queste lingue. Altri ancora, poi, si limitano a simulare l'accento della lingua straniera continuando però a parlare la propria lingua madre.

In ambito linguistico, alla posizione di Flournoy e Sausurre, che avevano cercato di spiegare il linguaggio umano anche alla luce delle sue deviazioni, si opposero Jakobson e Lacan, i quali tentarono di arrivare alla conclusione che proprio in queste deviazioni si dovesse cercare l’essenza del linguaggio. Jakobson, nella postfazione agli Studi epici slavi dal titolo Glossolalie, mostra un interesse per le «parole enigmatiche» che si trovano nel folklore russo e nel linguaggio degli

Page 13: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

13

incantesimi e dei settari russi, individuando fonemi estranei al russo e nota come i settari definiscano la ‘glossolalia’ un “parlare in lingue” [Jakobson R., 1966]; in The Sound Shape of Language (1979), il linguista russo esamina il valore simbolico dei suoni della lingua; in Linguistica e poetica (1958), parla di una «funzione [del linguaggio] magica d’incantamento». Anche Jakobson fornisce una sua definizione di ‘glossolalia’ [Jakobson R., Waugh L., 1988: 214-215]:

attività creatrice verbale o quasi verbale, dove i suoni del linguaggio, completamente sprovvisti di una funzione distintiva del senso, sono tuttavia destinati a un certo tipo di comunicazione, rivolta a un pubblico o a una divinità. Caratteristica dei discorsi glossolalici è la coalescenza di due funzioni: essi connettono il mondo divino e quello umano da una parte sotto forma di preghiere che vanno dal primo al secondo; dall’altra in quanto messaggi trasmessi dalla potenza divina all’assemblea umana allo scopo di ispirarla, unificarla ed esaltarla dal punto di vista emozionale. Diverse forme di glossolalia sono diffuse in paesi, epoche e religioni diverse. La sua mancanza di affinità con qualsiasi lingua del presente o del passato fa sì che la glossolalia sia spesso designata come linguaggio degli spiriti.

Ciò che emerge da questa analisi e che rincuora De Certeau, è il fatto che questa «finzione vocale» (come definisce la ‘glossolalia’) ricordi «alle teorie del segno l’oblio di ciò su cui si fonda la loro ragione: che il soggetto è parlante». Il glossolalo, secondo Courtine [1988: 13], appare così come una figura necessaria e complementare al linguista, capace di «pronunciare in una finzione di lingua ciò che il linguista ha scartato e respinto dalla definizione del segno» e di articolare quello che la linguistica generale non può articolare, come se fosse la sua “ombra”.

Si prende ora in esame un caso, trattato dal libro di Lipparini Parlare in lingue [2012] e da Giacomelli ne Lo strano caso della signora Hélène Smith [2006].

De Saussure e il caso Hélène Smith

Un caso davvero curioso, o “strano” (come lo definisce il prof. Giacomelli nel titolo del suo libro [ivi], a sua volta preso da un articolo di Todorov), che ha coinvolto un insigne psicologo, Théodore Flournoy, e il padre della linguistica moderna, l’indoeuropeista Ferdinand de Saussure, è quello della medium svizzera Hélène Smith (1861-1929). I due studiosi avevano ottenuto il primo la cattedra di psicologia e l’altro la cattedra di sanscrito alla Facoltà di Scienze di Ginevra. Flournoy avrebbe portato Saussure a studiare questo caso di spiritismo in cui si incontravano le due discipline. Si trovano testimonianze dei loro studi (1894-1899) nel libro Nouvelles observations sur un cas de somnambulisme avec glossolalie [Flournoy T., 1901], che completa una serie di altri scritti. Flournoy era stato attratto agli ambienti medianici da un collega ed era rimasto affascinato dal racconto di Hélène su fatti personali della sua vita, decidendo di attuare qualche esperimento sulla medium. In un’epoca influenzata dalle recenti scoperte scientifiche, dall’evoluzionismo e dalla nascente psicoanalisi, Flournoy, razionalista convinto, non poteva accettare una spiegazione spiritica come causa dei fenomeni manifestati da Hélène, ma al massimo vi vedeva qualcosa di sovranormale, se non naturale, la cui causa sarebbe stata l’inconscio.

Hélène Smith, pseudonimo di Catherine-Élise Müller, era una semplice commessa, che nel tempo libero praticava sedute spiritiche ed era diventata una celebrità mistica. L’attività di medium poteva essere praticata solo in segreto, poichè duramente condannata; e questo fu possibile grazie agli ambienti della neonata Società Teosofica di Elena Blavatskaja e del milieu occultista ginevrino raccolto attorno alla Società per gli Studi Psichici di Ginevra. Durante le sedute, andava in trance e

Page 14: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

14

aveva visioni, affermando di essere la reincarnazione di personaggi passati o extra-terrestri e parlava (o scriveva automaticamente) in lingue; addirittura, ne forniva al momento la traduzione. Le visioni sono state raccolte in più cicli, in base all’ambientazione: ciclo reale, indiano, marziano, ultra-marziano, uraniano. All’interno di ogni ciclo la medium avrebbe avuto un’anima guida12 (Mahātmā), che l’avrebbe portata alla perfezione e all’ingresso nei mondi superiori (tutti topoi teosofici), e che, secondo Flournoy, incarnava solo il suo «sdoppiamento ipnoide» [Flournoy, ivi.].

Hélène avrebbe parlato, oltre alla lingua antica dell’India, il sanscrito (fenomeno definibile xenoglossico), anche quelle di Marte, Ultra-Marte e Urano (vedi Immagine 1, 2, 3), manifestando casi di ‘glossolalia’’; o come direbbe Flournoy, «spiritosa invenzione [...] neologismo portato alle estreme conseguenze» [Giacomelli R., ivi: 94]. Scrisse anche una frase in arabo (elqalil men elhabib ktsir, dialettale per al-qalīl min ʾal-ḥabīb kaṯīr, cioè “il poco che viene da un mio amico è molto” [ivi: 40]), la quale si scoprì corrispondere a un motto riportato, sul frontespizio di un libro, dal medico di famiglia della medium; abbiamo anche il nome algerino Mitìgia che ricorda la Mitidja, pianura nord-africana.

Le lingue extra-terrestri di Smith hanno elementi delle lingue orientali, dal sanscrito13 al persiano e una struttura ben definita: codificazione e coerenza grafica, desinenze, genere dei nomi, coniugazioni verbali e così via. L’unica che sembra non avere un alfabeto è l’Ultra-Marziano: ha piuttosto degli ideogrammi, che hanno subito una “sublimazione” simbolica, in poche parole come la lettera greca delta (Δ) che per un certo tempo avrebbe indicato simbolicamente la porta (daleth) [ivi: 111]. Qui viene da chiedersi: se esistessero degli esseri “extra-terrestri”, avrebbero davvero una scrittura? O comunicherebbero con la vista o altri sensi? Dobbiamo per forza modellare tutto sui nostri schemi del pensiero?

La lingua marziana, secondo Flournoy, avrebbe avuto uno stile e una tonalità orientale (in base al tono cambia il significato di una parola) che portava l’«eco di un tempo antichissimo» (concetto psicologico di lingua primitiva come pura naturalità e emozionalità) [ivi: 82]. La tonalità della neolingua risultava più brillante del francese, benché ne mantenesse le caratterisitche fonetiche di base; quindi, secondo Flournoy, quella marziana era una «riproduzione incompleta della fonetica francese»14. Secondo Blavatskaja, l’essere poliglotti era una caratteristica delle guide spirituali, e sia la passione per le lingue della commessa ginevrina (prendeva lezioni di inglese e tedesco), sia la figura autoritaria del padre ungherese, l’avrebbero spinta a una ricerca ossessiva poliglottica. Il padre aveva origini gitane, e Hélène avrebbe appreso almeno passivamente anche la lingua zingara. La medium aveva studiato chissà quali altre lingue europee moderne, e tra le lingue morte compare anche qualche reminescenza di latino.

Saussure, al tempo, stava rivoluzionando il concetto di lingua come organismo autonomo in virtù di una concezione del tutto nuova, quella del segno linguistico, in cui le sequenze di fonemi che

12 In ogni ciclo i personaggi mantengono la stessa posizione rispetto alla medium. Lo spirito guida principale, a cui subentrano gli altri mahātmanaḥ (come il conte Cagliostro nel ciclo reale), è Léopold, nome che sembrerebbe essere costruito sulla sigla massonica LPD (Lilia pedibus destrue), che Dumas, nel libro Memorie di un medico, aveva iscritto proprio sul petto di Cagliostro e in cima al capitolo a lui dedicato [Lipparini, ivi: 130]. 13 Ad esempio, i nomi femminili marziani in –i, desinenza sanscrita e neoindiana, come Aninì Nikainé; o il legamento, la linea che sta al di sopra delle parole sanscrite e al di sotto di quelle uraniane; o ancora, le parole composte, strategia morfologica che esiste anche in tedesco, come nel marziano gāḍhālīṅganavāmanīkṛtakucaprodbhinnaromodgamā [ivi]. 14 «I suoni del marziano si ritrovano nel francese, ma non viceversa: mancano ad esempio /ʒ/ e la combinazione /k+s/ che il francese rende graficamente con x. [...] La distribuzione dei fonemi è in compenso piùttosto diversa. [...] Abbiamo una netta predominanza delle vocali alte /i/ ed /e/», che «costituiscono da sole il 73,3% dei suoni vocalici marziani»; /a/ è più frequente, mentre le vocali nasalizzate sono ridotte dal 24,5% al 2,1%. [Lipparini, ivi: 137].

Page 15: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

15

costituiscono le parole della lingua sono viste come in associazione convenzionale col loro rispettivo significato; questa associazione si trova anche nell’analogia, figura dai tratti psicologici e in cui «ogni creazione deve essere preceduta da una comparazione inconscia» e de Saussure aveva già studiato la poetica latina e i suoi anagrammi nascosti [Giacomelli R., ivi: 22]. Da ottimo linguista e professore di sanscrito, si interessò a Smith, che, oltre ad avere manifestazioni inconsce strabilianti e a scrivere automaticamente (anche in francese antico), si sarebbe espressa in sanscrito. La medium diceva si trattasse del sanscrito parlato dal fantasma di una principessa indiana del XV secolo di nome Simandini (mahātmā della medium nel ciclo indiano). Saussure di volta in volta trascriveva le frasi pronunciate da Smith, con un margine di possibilità di errore. Si incontravano parole di carattere filosofico, spesso mischiando sanscrito e dialetto, cosa che faceva stizzire il linguista: per esempio la parola ‘anima’ (essenza, soffio vitale) veniva pronunciata attamana (dialetto), invece che ātman (sanscrito) [ibid.: 25]. Oppure, si può notare l’influsso del francese (lingua nativa di Hélène) nella grafia di Tchandraghiri (nome di una fortezza) con il trigramma tch- francese, diversamente da Nayaca (nome di un principe), scritta con la c: in sanscrito ciò che viene trascritto con la c, anche davanti ad a, o, u si pronuncia [ʧ], come nell’italiano cielo, e si pensa che in quel caso la medium abbia pronunciato erroneamente Nayaka, trascritto con la -c- da Sausurre [ibid.: 41].

Il sanscrito è una lingua indoeuropea usata in India come lingua sacra di cultura e religione. Ha attraversato due fasi principali: vedica (molto approssimativamente intorno 2000 a.C.), che prende il nome dai Veda, testi religiosi tramandati oralmente e poi cristallizzati; classica, che vede la normalizzazione della lingua da parte dei grammatici come Pāṇini (IV-III secolo a.C.). Il sanscrito è affiancato dalla lingua parlata, il pracrito, o dialetto medio-indiano, lingua informale e colloquiale (ad esempio, la pāli dei Buddhisti di Ceylon e di Blavatskaja); vi erano più pracriti, evolutisi (dal XII secolo) nei dialetti neo-indiani, quali la marāṭhī e la hindī, che sono diventati lingua letteraria (come il nostro volgare), si sono codificati e ampiamente diffusi e sono a tutt’oggi usati. Accanto a queste varietà vi sono lingue minori non indoeuropee, come il kanara o kannaḑa (che avrebbe parlato, in realtà, Simandini). Ci sono prescrizioni sull’uso del sanscrito, definite da antichi poeti: è lingua saṃskr̥ta, ‘perfetta’; la lingua usata dipende dal sesso e dallo status sociale del parlante: solo gli uomini nobili e brahmani hanno il diritto e l’onore di parlare sanscrito, mentre le donne si devono limitare al pracrito o ai dialetti15.

Il sanscrito di Hélène, che mescola il vero sanscrito, dialetti, altre lingue (e invenzioni), sarebbe derivato dagli insegnamenti teosofici di Blavatskaja; infatti negli episodi e nelle frasi della medium si ritrovano la simbologia tipica della teosofia e delle religioni orientali («di chiara ispirazione buddhista e induista» [Flournoy, 1985]), temi esotici ed esoterici e termini usati nel Glossario Teosofico di Blavatskaja. È proprio in questo Glossario che alcune parole colloquiali, poichè usate in un contesto filosofico, assumono tale accezione e diventano termini elevati16. Il sanscrito dei

15 Come nota Giacomelli [ivi: 118], «è come se nel teatro di Eduardo De Filippo solo le donne parlassero il napoletano verace e gli uomini sembrassero tutti maestri di dizione, ancorati al fiorentino illustre, la nostra lingua nazionale, almeno in teoria». 16 Blavatskaja diceva di attingere le proprie illuminazioni, a distanza, dal misterioso Libro di Dzyan, su cui basò la propria Dottrina segreta, Vangelo per gli esoteristi. In quest’opera è presente il termine dzyan, versione dialettale del sanscrito dhyāna, ‘meditazione’. Sia Blavatskaja, sia il traduttore italiano del suo Glossario, trascrissero erroneamente la parola giana, pronunciata così come si scrive in italiano, confondendo sanscrito e dialetto (il suono dhy- del primo è trasformato, nel secondo, in [ʤ] scritto gi-) [ivi: 129]. La teosofa stabilì anche che si dovesse scrivere Budhismo (da bhodi, secondo lei ‘intelligenza’, ma in realtà ‘illuminazione’, ‘conoscenza perfetta’) al posto di Buddhismo (derivante dal fondatore); ma si contraddisse, perchè aveva usato più volte buddhi, traducendolo ‘Intelligenza’ [ivi: 133].

Page 16: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

16

teosofi è uno pseudosanscrito, «un calderone confuso e inattendibile di lingue e dialetti estranei le une agli altri, presentati come se appartenessero a una stessa e unica lingua filosofica indiana» [Giacomelli R., ivi: 25], o un «miscuglio di articolazioni improvvisare e di vere parole sanscrite adattate alla situazione» [Flournoy, 1983: 261].

La difficoltà della trascrizione di una ‘glossolalia’’ sta nel suddividere in parole, all’istante, un continuum. La medium aveva annotato un canto indù, analizzato poi da Saussure, e si riscontrano delle differenze tra le due trascrizioni: Hélène, tra le altre parole, scrisse “Ga hia vahaiyami”, mentre il linguista “Gaya vayayani” [Lipparini F., ivi: 143]. Il continuum di Saussure è determinato dal significato, e non dal significante a cui dava peso la medium: ciò ricorda anche quanto Croce [1902: 163] affermava nello stesso torno di tempo, scrivendo che «i limiti delle sillabe, come quelli delle parole, sono affatto arbitrari [...] Il parlare dell’uomo primitivo o dell’uomo incolto è un continuo, scompagnato da ogni coscienza di divisione del discorso in parole e sillabe». Saussure [Giacomelli R., ivi] ritiene che non sia sanscrito, ma un «miscuglio di sillabe» con frammenti di frasi provviste di senso, e di cui alcune sillabe abbiano carattere «intelleggibile» e «antisanscrito» (cioè opposto allo schema del sanscrito) e che, tuttavia, vengono usate forme sillabiche semplici con prevalenza della vocale a, la cui proporzione «in rapporto alle altre vocali è di 4 a 1» nel sanscrito. Una delle poche forme sillabiche complicate prodotte da Hélène è smayamana (sorridente), parola individuata dagli studiosi per un code mixing all’interno di un discorso in francese, composta da 4 sillabe del gruppo “difficile” sm e con valore grammaticale di participio: quello che, secondo Saussure, Hèlene «ha prodotto di meglio in fatto di sanscrito». Tuttavia, lo studioso era rimasto incuriosito ed era sempre alla ricerca di frasi sensate. Anzi, continuava a indignarsi, da buon professore, per i refusi della giovane, come quando questa (che, poverina, scriveva mentre dormiva) trascrisse Simadini al posto di Simandini, o errori concettuali, come attamana (dialettale) al posto di ātman (sanscrito), termine filosofico usato da Smith per esprimere fantasie sentimentali. Probabilmente lo studioso non aveva mai sentito parlare di Blavatskaja e dei suoi errori, e si aspettava una buona lingua: se non per le altre lingue, almeno per il sanscrito, considerato dagli indoeuropeisti della prima metà dell'Ottocento la madre di tutte le lingue indoeuropee [ivi: 143].

Per il nome Simandini, che non si troverebbe in alcuna fonte precedente, Saussure avanzò l’ipotesi che si trattasse di una vicariazione dal sanscrito sīmantinī (‘donna’, nel linguaggio poetico); anche se, secondo Giacomelli, sembrerebbe derivare dal Leitmotiv teosofico di simānta (‘soglia’)17, probabilmente sovrapposto a Śikhaṇḍinī, nome della principessa protagonista del racconto epico Mahābhārata (ben conosciuto nel milieu dei teosofi), divenuta, tra l’altro, uomo (poteva parlare sanscrito!). La trasformazione da -nt- a -nd-18 è un tratto tipico del dialetto neo-indiano zingaro.

Nel sanscrito di Hélène, si incontrano altri termini filosofici in contesti amorosi e sentimentali, come ‘priya Sivruka’, ‘mama suka’ (‘caro Sivruka’, mia delizia’, detto da Simandini allo sposo), e suka è la forma dialettale di sukha (‘piacere’); Sivruka viene anche apostrofato con il nomignolo Sivra, come si usava nell’ambiente teosofico (nel famoso Glossario, lipikara, ‘scrivano’, riferito alle guide spirituali, veniva abbreviato lipika) [ivi: 152]: questo ricorda un po’ le origini russe di Blavatskaja, perché anche nel russo troviamo abbreviazioni di nomi, come Aleksandr o Aleksandra 17 Lo stesso concetto lo troviamo nel persiano āstanā, da cui deriverebbe il nome della guida spirituale Astané. Questo Leitmotiv si ritrova anche in un quadro del pittore teosofo N. Roerich, dal titolo Il messaggero (1931), dove viene rappresentata Blavatskaja, ultimo dei Mahātmanaḥ, sulla simānta, sulla ‘soglia’, di fronte a Simandini. 18 In un confronto con l’italiano, è come quanto avviene nell’Italia meridionale, dove tempo si pronuncia tembo [Giacomelli R., ibid.].

Page 17: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

17

che diventano Saša. Priya, in sanscrito, è un aggettivo sostantivato, e, usato come aggettivo nel sintagma mama priya Sivruka (‘mio caro Sivruka’), per Saussure è «un autentico barbarismo» [ivi: 147]. Nella trascrizione della parola Mitidya, scritta anche Mitigia (che ricorda il summenzionato passaggio teosofico da dzyan a gian), avviene probabilmente un code mixing tra francese e sanscritoide, oppure è solo un miscuglio di sanscrito e dialetto (come il sanscrito madhya, diventato, nel dialetto, majā e pronunciato màgia) o potrebbe essere la pianura algerina della Mitidja, visitata dal padre della medium.

Da brava studentessa di lingue, in uno stato di trance, in cui riaffiora l’inconscio, slegato e non sorvegliato dal controllo della coscienza, Hélène manifestava anche interferenze linguistiche. Da qui la francesizzazione del sanscrito, che troviamo, ad esempio, nella pronuncia di sümanas [ivi: 165], dove la u diventa ü, o nella grafia di jotisse, che in sanscrito è jyotis. L’influsso dell’inglese, come spiega Saussure, si ritrova nella parola ātieyā: l’elemento ā- (vocale più diffusa in sanscrito) corrisponde al pronome personale I; -tie- non è identificabile e sarebbe la radice di un verbo come ‘benedire’ (perchè in quel momento la medium stava facendo un gesto di benedizione); yā corrisponde al pronome you. Questa parola è unita, nel gesto di benedizione, al termine composto (strategia di formazione di parola che si trova in lingue germaniche come l’inglese o il tedesco) Gaṇapatināmā, che Saussure interpreta come “nel nome di Gaṇapati”, da Gaṇapati + nāmā, dove nāmā è il sanscrito per ‘nome’; il linguista, secondo Giacomelli [ivi: 144], non aveva pensato a nāmas, ‘onore’, con il significato di “onore a Gaṇapati”. L’ipotesi del secondo significato è sostenuta da testimonianze di antichi testi in sanscrito, come gli Inni vedici, in cui figura questa parola come invocazione agli dei; perdipiù, a livello grafico, la parola termina in -ā (pura desinenza sanscrita, che si trova nei testi antichi), e non in -ō, desinenza dialettale. In questi testi si troverebbero anche frasi ricorrenti, usate dalla medium, quali “occhi rossi per il piangere” [ivi: 169]. L’ungherese si ritroverebbe nel nome del Mahātmā Léopold: secondo il linguista Henry, la medium lo avrebbe ricavato dal nome Cagliostro, dividendo in due la parola e ottenendo Cag- e -Liostro; Liostro le avrebbe ricordato Lipot, ungherese per Léopold, mentre Cag, con l’aggiunta di una n, sarebbe diventato un altro personaggio del ciclo indiano, il fachiro Kanga19 [ivi: 167]. L’arabo si è già visto nella frase scritta nel libro del medico di famiglia.

Nel libro Dall’India al pianeta Marte (1900), Flournoy cercò di dimostrare come il sanscrito di Hélène derivasse dalla lettura di una grammatica, da lui scovata in casa di un amico della medium (e membro della Società per la Ricerca Psichica), e poi riaffiorata in stato di trance con episodi di autosuggestione isterica. Era la Grammatica elementare della lingua Sanscrita di C. De Harlez, pubblicata poco tempo prima (1878) in Svizzera, su cui la medium aveva potuto apprendere anche l’alfabeto sanscrito (devanāgarico), che riemerge nella sua ‘glossolalia’: Altre scene vissute da Hélène sarebbero tratte da libri o saggi: il sacrificio della principessa Simandini da Il giro nel mondo in ottanta giorni di Verne; la trama del romanzo indiano dalla Storia dell’India antica e moderna dal 2000 a.C. ad oggi (1828). Così anche il marziano sarebbe il frutto di una riproduzione criptomnesica e un camuffamento del francese. È proprio in questo contesto che il medico ginevrino arrivò alla conclusione del suo concetto di ‘glossolalia’ (citato nel capitolo precedente), quando

19 Psicologicamente, questo è interpretabile come ‘lapsus’ (o ‘atto mancato’), così come Freud avrebbe detto Botticelli, Boltraffio, invece che Signorelli. È un celebre lapsus di Freud in riferimento al pittore del Duomo di Orvieto. In una conversazione, avrebbe sostenuto che il pittore fosse Botticelli, poi Boltraffio, e non Signorelli. Signor- sembrerebbe derivare dalle iniziali dello Stato verso cui era in viaggio, Herzegovina, da cui Herr (‘signore’, in tedesco). Il nome del Paese, per intero, è Bosnia-Herzegovina, da cui anche Bo . Di recente un suo paziente si sarebbe suicidato a Trafoi, e al posto di dimenticare il nome della città, contro la sua volontà, avrebbe dimenticato il nome del pittore.

Page 18: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

18

ancora non esisteva quello di ‘xenoglossia’. Le accuse di Flournoy spinsero la medium a ripudiarlo pubblicamente e a dedicarsi altrove allo spiritismo, e la sua attività era diventata ormai una “carriera”, che unì all’hobby di una pittura religiosa.

Quello che si può rilevare da questo studio è il tentativo degli studiosi di ostentare le proprie conoscenze, mettendo così in mostra il proprio ego (che si scontra con il subconscio della paziente), deviando la sventurata (forse) imbrogliona verso una crescente perdita di senno. Come nota lo studioso e storico De Certeau [1983: 15]:

Smith esce da una lingua [il francese] piuttosto che entrarvi, ma questa “uscita” sarebbe forse stata anche l’apprendimento del sanscrito, se l’areopago dei suoi esaminatori si fosse curato di risponderle più che di osservarla, e cercato la comunicazione (un parlare) più che l’esistenza di un sapere (una lingua). Rimane che il suo “parlottio”, come dice Saussure, mira non a una lingua, ma a qualcosa come l’instaurazione di un parlare.

Immagine 1. Sanscrito e uraniano a confronto Immagine 2. Alfabeto marziano

Immagine 3. Scrittura ultra-marziana con traduzione in marziano

Conclusione

Il problema, per chi crede a questi fenomeni o meno, è quello di riuscire a misurare, soppesare e quantificare quello che non si addice a un laboratorio. D’altronde, resta complicato rendere scientifico e “naturale” qualcosa che sia soprannaturale (che supera il corso ordinario della natura) o preternaturale (non conforme all'andamento naturale delle cose) per etichettarlo come “legittimo”. Forse, si chiede Baglio [ivi: 189], «sono solo i criteri scientifici quelli che contano?». O come propone il teologo laico e biologo John Haught [Haught J., 2006], con la domanda metaforica «perchè un pentolino d’acqua bolle sul fuoco?»: «Perché le molecole di H2O si muovono e

Page 19: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

19

transitano da uno stato liquido a uno stato gassoso? O forse, perché qualcuno ha acceso il fuoco? O ancora, perché qualcuno vuole una tazza di té».

E per quanto riguarda la ‘xenoglossia’, forse è meglio mettersi a studiare con vera e profonda dedizione, così come faceva il cultore di lingue Cardinal Mezzofanti [Russel C.W., 1863], il più grande poliglotta di tutti i tempi, che avrebbe saputo parlare 78 idiomi (pressoché perfettamente 38 lingue e con minor sicurezza un’altra quarantina e alcuni dialetti) e tra i cui rimpianti avrebbero figurato il malese, il tibetano, l’islandese, il lappone, il ruteno, il frisone, il lettone, il cornico, il quechua, il bambara e il sanscrito, che era solo in grado di leggere.

Riferimenti bibliografici:

AA.VV., Selezione dal Reader’s Digest, 1983, Europa Misteriosa, Edizioni Selezione Reader's Digest, Milano. AA.VV., Selezione dal Reader’s Digest, 1984, Viaggio nel Mistero, Edizioni Selezione Reader's Digest, Milano. Baglio M., 2009, The Rite: The Making of A Modern Exorcist, Simon & Schuster, London. Balducci C., 1983, La possessione diabolica, ed. Mediterranee, Roma. Bamonte F., 2006, Possessioni diaboliche ed esorcismo, ed. Paoline, Milano. Brune F., 1994, I morti ci parlano, ed. Mediterranee, Roma. Calmeil L.F., 1845, De la folie, Baillière, Paris, t. 2, pp. 420 ss. Clegg B., 2014, Extrasensoriale: Scienza e pseudoscienza dei fenomeni paranormali, Ed. Dedalo. Croce, 1902, da Croce B. (1990) Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, a cura di Giuseppe

Galasso, Adelphi, Milano, 2a ed. (da cui cito). Courtine J.J., 1988, Les silences de la voix Histoire et structure des glossolalies, in Les glossolalies, “Langages”, 91,

septembre 1988, pp. 5-25. Dettore U., 1986, in AA.VV., Para, dizionario enciclopedico astrologia, medicina alternativa, parapsicologia,

profezie, yoga, ufologia, esoterismo, spiritismo, ed. Armenia, Milano: pp. 233-4 e 1029-30. Flournoy T., 1901, Nouvelles observations sur un cas de somnambulisme avec glossolalie, Ch. Eggimann & cie.,

Genève. Flournoy, 1983 [1900] / 1985, Des Indes à la planète Mars : etude sur un cas de somnambulisme avec glossolalie (F.

Alcan, Paris; Ch. Eggimann & cie., Geneve, 1900). introduction et commentaires de Marina Yaguello et Mireille Cifali, Ed. du Seuil, Paris; traduzione italiana parziale, di Emanuele Trevi, Dalle Indie al Pianeta Marte: il caso Hélène Smith: dallo spiritismo alla nascita della psicoanalisi, a cura di Mario Trevi, Feltrinelli, Milano.

Giacomelli R., 2006, Lo strano caso della signora Hélène Smith, Scheiwiller, Milano. Guitton J., 1994, Poteri misteriosi della fede, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria). Haught J., 2006, Is Nature Enough? Meaning and Truth in the Age of Science, Cambridge University Press, Cambridge. Heft A., 1927, Experimentalberichte, Carlos Mirabelli, das neue brasilianische Medium. In Zeitschrift für

Parapsychologie, Institut für Grenzgebiete der Psychologie und Psychohygiene e. V.: 449–462. Cornwell J., 1994, Paranormale – Dossier aperto, S.Paolo, Milano. Jakobson R., 1966, Retrospect, in Id., Selected Writings, vol. IV, Slavic Epic Studies, Mouton, The Hague-Paris. Jakobson R., Waugh L., 1988, The Sound Shape of Language, in R. Jakobson, Selected Writings, vol. III, Major Works,

1976-1980, Mouton-de Gruyter, Berlin-New-York-Amsterdam. Lewis I.M., 1971, Ecstatic Religion. An Anthropological study of Spirit Possession and Shamanism, Penguin Books,

London. Lipparini F., 2012, Parlare in lingue: la glossolalia da San Paolo a Lacan, Carocci, Roma. Marcozzi P.V., 1990, Fenomeni paranormali e doni mistici, ed. Paoline, Milano. Mazzoni G.A.L., Loftus E.F., Kirsch I., 2001, Changing beliefs about implausible autobiographical events: A little

plausibility goes a long way, American Psychological Association, Journal of Experimental Psychology: Applied, 7, 31-39.

Mikilasch R.H., O medium Mirabelli, Academia de Estudos Psychicos de Cesar Lombroso, Naegeli-Osjord H., 2007, Besessenheit und Exorzismus, k. Die Illfurter Knaben, Reichl, St. Goar. Polidoro M., 2000, Xenoglossia: parlare lingue sconosciute?, in Enciclopedia online del CICAP,

https://www.cicap.org/new/articolo.php?id=100075 Quevedo O., 1993, A face oculta da mente, ed. Loyola, São Paulo. Quevedo O., 2005, Antes que os Demônios Voltem, ed Loyola, São Paulo. Richet C., 1923, Trente ans de recherche psychique, Parigi. Rodin E., 1989, Comments on “A neurobiological model for near-death experiences”, Journal of Near-Death Studies,

Volume 7, Issue 4, pp. 255-259. Russel C.W., 1863, The life of Cardinal Mezzofanti, Longman, London.

Page 20: INTRO tesi magistrale

Gabriele Cesarini Introduzione a Parapsicologia Generale di R.A. Savuškin

20

Samarin W. J., 1976, Review of Ian Stevenson, Xenoglossy: A Review and Report of a Case. In “Language” 52, Linguistic Society of America: 270-274.

Saussure, 1983, Savuškin R.A., 2009, Obščaja Parapsichologija, NOUVPO - Institut Ekonomiki, Finansov i Prava, Moskva. Thomason S., 1996, Xenoglossy, University of Pittsburgh, in Stein G., 1996, The Encyclopedia of the Paranormal,

Prometheus Books, Amherst, NY. Tosatti M., Amorth G., 2003, Inchiesta sul demonio, Ed. Piemme, Casale Monferrato (Alessandria). Vesme C., 1935, in Revue Métapsychique, luglio/agosto, Librairie Félix Alcan, Parigi. Riferimenti a siti informatici: Sito del CICAP: www.cicap.org Sito del GRIS: http://www.gris.org/