Tesi Magistrale

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Caratterizzazione strutturale e conformazionale delle isoforme citosolica e mitocondriale della Serina idrossimetiltrasferasi Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di laurea Magistrale in Biologia e Tecnologie Cellulari Cattedra di Scienze Biochimiche Candidato Alessandra Cicalini n° matricola 1131336 Relatore Roberto Contestabile A/A 2013/2014

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Caratterizzazione strutturale e conformazionale delle isoforme citosolica e mitocondriale della Serina idrossimetiltrasferasi

Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali

Corso di laurea Magistrale in Biologia e Tecnologie Cellulari

Cattedra di Scienze Biochimiche

Candidato

Alessandra Cicalini

n° matricola 1131336

Relatore

Roberto Contestabile

A/A 2013/2014

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INDICE

1. INTRODUZIONE………………………………………………………………….. pag. 1

1.1 Vitamina B6: struttura, biosintesi ed assorbimento………………………………… pag. 2

1.2 Il cofattore piridossal-5'-fosfato: la forma biologicamente attiva della vitamina B6. pag. 8

1.3 Meccanismo di reazione degli enzimi PLP-dipendenti ……………………………… pag. 9

1.4 Enzimi PLP-dipendenti nel metabolismo cellulare ………….................................... pag. 11

1.5 La serina idrossimetiltrasferasi: struttura, proprietà spettrali e reazioni …………… pag. 13

1.6 La serina idrossimetiltrasferasi nel metabolismo cellulare…………………………… pag. 19

1.7 La serina idrossimetiltrasferasi ed il cancro………………………………………….. pag. 25

2. SCOPO DEL LAVORO DI TESI…………………………………………………. pag. 29

3. MATERIALI E METODI…………………………………………………..……… pag. 31

3.1 Cellule batteriche e vettori plasmidici………………………………………………... pag. 31

3.2 Protocollo di purificazione delle isoforme SHMT1 e SHMT2 ……………………… pag. 34

3.3 Protocollo di purificazione della forma apo-enzimatica della SHMT umana……….. pag. 38

3.4 Spettrofotometria……………………………………………………………………… pag. 40

3.5 Caratterizzazione cinetica e saggi di attività enzimatica……………………………… pag. 41

3.6 Fluorimetria e saggio fluorimetrico per la determinazione della Kd per il PLP…….. pag. 45

3.7 Cristallografia………………………………………………………………………….. pag. 46

3.8 Elettroforesi e proteolisi limitata……………………………………………………… pag. 46

3.9 Cromatografia di esclusione dimensionale (SEC)……………………………………. pag. 51

3.10 Dicroismo circolare ed esperimenti di denaturazione termica……………………… pag. 52

4. RISULTATI E DISCUSSIONE …………………………………........................ pag. 53

5. CONCLUSIONI………………..…………………………………………………….. pag. 69

RINGRAZIAMENTI …………………………………………………..…...........……. pag. 70

ELENCO ABBREVIAZIONI …………………………………………..…………….. pag. 71

INDICE FIGURE ………………………………………………………………………. pag. 72

BIBLIOGRAFIA ………………………………………………………………………… pag. 74

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1. INTRODUZIONE

La serina idrossimetiltrasferasi è un enzima piridossale-5’-fosfato-dipendente, ubiquitario e

altamente conservato nell’evoluzione di tutte le specie viventi, sia vegetali che animali. La sua

attività catalitica è particolarmente importante per alcuni processi metabolici della cellula, come il

metabolismo energetico e la sintesi dei mattoni biologici: amminoacidi e nucleotidi.

È pertanto un enzima cruciale nella riprogrammazione metabolica delle cellule cancerose e, come

molti altri enzimi, appartenenti alle vie biosintetiche dei nucleotidi o dei folati, il bersaglio ideale

di agenti chemioterapici.

La ragione della presenza di diverse isoforme cellulari della SHMT e la possibilità che esse

svolgano ruoli diversi sono argomenti oggi ampiamente dibattuti.

Nella prima parte di questa tesi saranno descritte la struttura e le funzioni della vitamina B6 con

particolare attenzione al piridossal-5'-fosfato, il suo ruolo come cofattore enzimatico ed il

meccanismo di reazione degli enzimi PLP-dipendenti. Successivamente l’attenzione verrà portata

sulla serina idrossimetiltrasferasi, per illustrarne la reazione enzimatica, le caratteristiche

strutturali note ed i ruoli nel metabolismo cellulare.

Nella parte centrale della tesi verrà esposto il lavoro sperimentale, condotto in laboratorio allo

scopo di ottenere un’analisi strutturale e conformazionale delle isoforme citosolica e

mitocondriale dell’enzima umano. L’analisi verrà supportata dalla descrizione dei materiali, della

strumentazione tecnica utilizzata e delle metodologie eseguite, al fine di rendere la comprensione

più facile al lettore.

Nella parte conclusiva verranno infine discussi i risultati ottenuti.

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1.1 Vitamina B6: struttura, biosintesi ed assorbimento

Le vitamine sono un insieme molto eterogeneo di sostanze organiche indispensabili per tutti gli

organismi. L’uomo le assume quotidianamente con la dieta alimentare, non essendo in grado di

sintetizzarle; il termine stesso vitamina, deriva dal tedesco vitamin, ovvero amina della vita.

In base alla loro solubilità vengono divise in due grandi classi: le vitamine idrosolubili e le

vitamine liposolubili.

Appartengono alla classe delle vitamine idrosolubili quelle del gruppo B: B1 (tiamina), B2

(riboflavina), B5 (acido pantotenico), B6 (piridossina), B9 (acido folico), B12 (cobalamina), così

come la vitamina C (acido ascorbico), la vitamina H (biotina) e la vitamina PP (niacina).

Appartengono invece alla classe delle vitamine liposolubili, le vitamine A, D, E e K.

La mancanza (ipovitaminosi o avitaminosi in caso di totale assenza) o l’eccesso (ipervitaminosi) di

vitamine nell’organismo possono causare vari disturbi, patologie o fenomeni di tossicità, poiché

questi composti sono coinvolti nell’omeostasi di molti processi biologici sia a livello cellulare che

organicistico.

Le vitamine idrosolubili, nello specifico, sono coinvolte nella regolazione del metabolismo

cellulare e tessutale attraverso gli enzimi che le richiedono per espletare le loro attività catalitiche;

le vitamine idrosolubili sono, infatti, dei coenzimi.

Struttura della vitamina B6

La vitamina B6 è una vitamina idrosolubile e molto probabilmente la più versatile essendo

coinvolta in una serie di reazioni di fondamentale importanza nella cellula.

Il termine vitamina B6 è stato spesso usato per indicare il composto piridossina. Tuttavia oggi ha

acquisito un carattere più generico riferendosi all'insieme di sei composti o vitameri, presenti in

tutti gli organismi, che condividono la struttura base 2-metil-3-idrossipiridina (sono tutti derivati

piridinici) e differiscono per la natura dei diversi sostituenti sul C4 e C5 .

I vitameri B6 qui di seguito riportati sono: la piridossina (PN), il piridossale (PL), la piridossamina

(PM) ed i loro rispettivi derivati fosforilati sul C5; la piridossina-5'-fosfato (PNP), il piridossale-5'-

fosfato (PLP) e la piridossamina-5'-fosfato (PMP). (Figura 1)

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FIGURA 1. Struttura dei vitameri B6

Biosintesi della vitamina B6

Gli animali non sono in grado di sintetizzare de novo la vitamina B6. Solamente le piante, gli

Eubatteri, gli Archaea ed alcuni funghi sono in grado di farlo e sono due le vie di sintesi fin ora

conosciute.

La prima via, utilizzata da Escherichia coli e altri membri della divisione γ dei proteobatteri, viene

definita “DXP-dependente” e richiede per la sintesi di PNP sei enzimi, riportati nella figura

sottostante. (Figura 2)

Gli altri microrganismi, inclusi gli Archea, e la maggior parte degli Eubatteri, i funghi e le piante,

invece, utilizzano una seconda via biosintetica definita “DXP-indipendente”. Questa via è

catalizzata solo da due enzimi (Pdx1-Pdx2), che agiscono insieme per convertire il ribosio 5-fosfato

(R5P) e la gliceraldeide 3-fosfato (G3P) direttamente in PLP. Questo complesso enzimatico viene

chiamato PLP sintasi. Anche alcuni batteri patogeni sono in grado di sintetizzare la vitamina

(Neisseria meningitis, Salmonella typhimurium, Vibrio cholerae, Yersina pestis ed altri), quindi

progettare farmaci specifici potrebbe avere interessanti fini applicativi. (Fitzpatrick et al., 2010)

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FIGURA 2. Vie biosintetiche della vitamina B6. Via De novo DXP-dipendente (presente in alcuni

eubatteri): GapB, d-eritrosio-4-fosfato deidrogenasi; PdxB, eritronato-4-fosfato deidrogenasi; PdxF/SerC,

fosfoserina aminotransferasi; PdxA, 4-idrossitreonina-4-fosfato deidrogenasi; DPXS, 1-deossi-d-xilulosio-5-

fosfato sintasi; PNP sintasi, dal gene PdxJ. Via De novo DXP-indipendente (presente negli altri eubatteri,

funghi ,piante ed Archaea): complesso PLP sintasi: dominio sintasico dal gene Pdx1; dominio glutaminasico

dal gene Pdx2. Salvage pathway (presenti in tutti gli organismi inclusi I mammiferi): PLK, piridossal chinasi

dal gene PdxK e piridossal chinasi 2 dal gene PdxY; PNPOx, piridossina-5’-fosfato ossidasi dal gene PdxH.

Assorbimento della vitamina B6

I vitameri B6 vengono acquisiti dagli animali dalla dieta mediante assorbimento intestinale:

Dal cibo di origine animale l'uomo assimila la vitamina in parte sotto forma di PMP ma

principalmente sotto forma di PLP, che si trova associato agli enzimi PLP-dipendenti. In

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particolar modo ricava il PLP dalla degradazione della glicogeno fosforilasi presente in

abbondante quantità nel muscolo e quindi nella carne. (McCormick D. B. 1989)

Dal cibo di origine vegetale la vitamina B6 viene assunta principalmente sotto forma di PN

e PN-5'-β-glucoside (Figura 3) anche se in quest'ultima forma sembra essere assimilata

con più difficoltà poiché richiede l'intervento di glucosidasi intestinali. (Mackey et al

2003)

FIGURA 3. Piridossina-5'-β glucoside

Non tutte le vitamine vengono assunte nella loro forma biologicamente utilizzabile ma piuttosto

come precursori che vanno sotto il nome di provitamine. Una volta assunti, tali composti vengono

trasformati da specifici enzimi nella loro forma attiva, al fine di renderli utilizzabili.

Nel caso specifico della vitamina B6 gli animali possiedono gli enzimi in grado di interconvertire

tra loro le forme defosforilate e fosforilate della vitamina (PL chinasi e varie fosfatasi) ed

un'ossidasi in grado di convertire poi le forme fosforilate in PLP (PNP ossidasi; PNPOx).

(Mccormick D. B., Chen H. 1999; Jang, Y. M. 2003)

Tutti questi enzimi prendono il nome di “enzimi della via di recupero” del PLP. (Figura 4)

FIGURA 4. Enzimi della via di recupero o “salvage pathway” del PLP

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L’enzima piridossal chinasi converte i vitameri nei loro rispettivi esteri fosforilati utilizzando

l’ATP come donatore del gruppo fosfato. La piridossina 5-fosfato ossidasi, invece, ossida il gruppo

alcolico o amminico sul C4’ dei rispettivi substrati (PNP e PMP) in gruppo aldeidico utilizzando

una molecola di FMN come cofattore e O2 come accettore di elettroni.

L’attività degli enzimi della via di recupero del PLP è indispensabile, poiché essi permettono

l'assorbimento di tutti i vitameri da parte delle cellule dell’intestino ed il loro trasporto ai tessuti.

Ne regolano inoltre il livello intracellulare evitandone la tossicità ed infine li convertono nella

forma biologicamente attiva della vitamina, che viene ceduta direttamente agli apoenzimi: il PLP.

Infatti a livello intestinale le forme fosforilate (PLP, PMP, PNP), che non riuscirebbero a passare la

membrana delle cellule ed essere così assorbite, vengono defosforilate a PN, PL e PM da ecto-

enzimi tessuto specifici rilasciati nel lume dell'intestino (fosfatasi intestinali; IP). Le forme

defosforilate vengono così assorbite dall'intestino tenue mediante un sistema mediato da carrier e

riversate nel circolo sanguigno. (Said H. M. 2004). A questo punto il sistema portale epatico

trasporta i vitameri, attraverso la vena portale epatica, fino al fegato dove la PL chinasi lì rifosforila

a PLP, PNP, PMP e la PNPOx converte poi PNP e PMP in PLP. Circa il 60% della vitamina che

viene riversato nel circolo sistemico e raggiunge i tessuti è sotto forma di PLP legato alla Lys190

all'albumina. La restante percentuale circola sotto forma di PL, PM, e PN. (Surtees R. A. et al.

2006) Una volta raggiunti i tessuti i vitameri defosforilati passano dai letti capillari al liquido

interstiziale grazie alle fosfatasi alcaline tessuto-non-specifiche (TNAP) associate alla membrana

delle cellule endoteliali dei vasi di tutti i tessuti. (Clayton P.T. 2006) All'interno delle cellule le

forme defosforilate vengono nuovamente fosforilate dalla PL chinasi e la PNPOx converte ancora i

vitameri PNP e PMP nella forma biologicamente attiva della vitamina: il PLP. Quest'ultimo viene

così ceduto agli apoenzimi PLP-dipendenti. Tutto il ciclo di assorbimento è qui di seguito riassunto

in figura 5.

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FIGURA 5. Ciclo di assorbimento e trasporto della vitamina B6

Gli enzimi della via di recupero del PLP sono espressi in tutte le cellule, ma la quantità dei trascritti

(mRNA) e il funzionamento di questi enzimi sono altamente regolate in maniera tessuto-specifica.

Il loro mancato funzionamento porta all'alterazione dei livelli intra- ed extracellulari di PLP, che

può essere molto dannosa per l'organismo, soprattutto a livello cellulare; la loro deficienza

funzionale può causare una diminuzione di disponibilità del cofattore piridossale 5’ fosfato per gli

enzimi PLP-dipendenti ed l'alterazione di tutti i metabolismi ad essi associati.

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1.2 Il cofattore piridossal-5'-fosfato: la forma biologicamente

attiva della vitamina B6

FIGURA 6. Il piridossale 5’-fosfato (PLP)

Il piridossale 5’-fosfato (PLP) (Figura 6) è composto da un anello piridinico con 4 sostituenti: un

gruppo aldeidico sul C4, un metile sul C2, un estere fosfato sul C5 e un ossidrile sul C3. Il gruppo

aldeidico è il centro reattivo della molecola, le sue proprietà sono finemente modulate dalla

presenza del gruppo ossidrile e dall’azoto dell’anello piridinico.

Il PLP è considerato la forma biologicamente attiva della vitamina B6 poiché, oltre a svolgere

svariate funzioni in molteplici processi cellulari, assume il ruolo predominante di cofattore

enzimatico. Attua infatti oltre 140 differenti reazioni enzimatiche, le quali rappresentano circa il

4% di tutte le attività catalitiche conosciute e sono eseguite da enzimi appartenenti a cinque delle

sei classi enzimatiche fin ora catalogate. Questa grande versatilità catalitica deriva in primo luogo

dalla sua peculiare struttura elettronica, in cui i 5 atomi di carbonio dell'anello, l'azoto, il carbonio e

l'ossigeno del gruppo aldeidico formano un sistema risonante, responsabile anche del colore giallo

del composto. Inoltre il gruppo aldeidico in posizione C4 possiede un’elevata reattività e può

reagire con:

o Ammino gruppi, tramite reazioni di condensazione per formare una base di Schiff.

o Idrazine, tramite reazioni di condensazione.

o Idrossilammine sostituite, tramite reazioni di condensazione.

o Composti sulfidrilici

Il PLP è in grado di catalizzare anche in assenza di enzimi, in soluzione, numerose reazioni.

Tuttavia la velocità delle reazioni catalizzate è inferiore rispetto a quando si trova legato come

cofattore agli enzimi. (Snell E.E. 1985)

Questo viene spiegato dal fatto che, nella tasca enzimatica, le proprietà catalitiche del cofattore

vengono modulate dalle catene polipeptidiche che lo circondano, le quali da una parte aumentano

la velocità di reazione e dall'altra gli conferiscono un più ampio spettro di possibilità catalitiche.

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1.3 Meccanismo di reazione degli enzimi PLP-dipendenti

Il PLP possiede due proprietà chimiche fondamentali: attraverso il suo gruppo aldeidico forma

immine con il gruppo amminico primario dei substrati ed è inoltre in grado, fungendo da “trappola

elettronica”, di attrarre elettroni dal substrato e di stabilizzare gli intermedi carbanionici che si

formano dalla scissione eterolitica dei legami.

In virtù di queste peculiari proprietà chimiche, i passaggi iniziali del meccanismo d'azione del PLP,

in tutte le reazioni enzimatiche PLP-dipendenti, sono essenzialmente gli stessi.(Figura 7)

Il cofattore è sempre covalentemente legato, in forma di aldimmina, al gruppo ε-amminico di un

residuo di lisina, nella tasca dell'enzima PLP-dipendente, formando la cosiddetta "aldimmina

interna". Il gruppo -NH2 del substrato effettua poi un attacco nucleofilo al C4' del PLP, con

formazione di una diammina geminale intermedia. In questa struttura intermedia entrambi i gruppi

-NH2, dell'enzima e del substrato, sono legati al C4', il quale assume una geometria tetraedrica.

Successivamente il legame con il residuo di lisina viene scisso, generando, per condensazione del

PLP con il substrato, quella che viene chiamata un' "aldimmina esterna" (Base di Schiff). Sia

nell'aldimmina interna che in quella esterna, invece, il C4' ha una geometria planare. (Metzler et al.

1954)

FIGURA 7. Meccanismo di reazione del PLP; formazione della base di Schiff

A questo punto i legami del Cα del substrato vengono indeboliti dall'effetto di attrazione

elettronica, esercitato dall'anello aromatico del PLP e dall'azoto piridinico protonato, portando alla

rottura eterolitica di uno di questi.

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Le successive fasi della reazione variano a seconda del tipo di substrato e di quale dei legami del

Cα del substrato viene scisso.

Il legame che viene rotto dipende anche dalla conformazione e dalla natura dei residui

amminoacidici della tasca enzimatica, poiché sono questi a modulare l'attività catalitica del

cofattore stabilizzando un legame piuttosto che un altro.

Tuttavia la rottura può essere di tre tipi: l’eliminazione di CO2, la deprotonazione, l’eliminazione

della catena laterale. Comunque la perdita di uno dei sostituenti del Cα del substrato, per taglio

eterolitico, porta sempre alla formazione di un carbanione (chiamato anche carbanione α), con una

coppia di elettroni libera, altamente instabile. Il PLP si comporta come una “trappola elettronica”,

grazie all'estesa coniugazione degli elettroni π dell'anello piridinico, delocalizzando per risonanza

la carica negativa ed il carbanione viene immediatamente stabilizzato formando un intermedio

chinonoide. (Nelson D.L. and COX M.M 2010) (Figura 8)

FIGURA 8. Struttura di risonanza del carbanione con formazione di un intermedio chinonoide.

A questo punto seguono, a seconda dell'enzima coinvolto nella catalisi, molteplici vie, che si

ramificano in una serie di passaggi e portano a prodotti finali differenti. È infatti il microambiente

che circonda il cofattore a favorire una determinata reazione rispetto alle molte altre possibili. A

seconda del legame rotto precedentemente possono presentarsi diverse reazioni:

1) reazioni che procedono dopo l’eliminazione di CO2 dal Cα: α-decarbossilazione, α-

decarbossilazione seguita da transaminazione;

2) reazioni che procedono dopo la deprotonazione del Cα: racemizzazione, transaminazione, β-

decarbossilazione, β-eliminazione, β-sintesi, γ-eliminazione, γ-sintesi;

3) reazioni che procedono dopo l’eliminazione della catena laterale: α-sintesi, scissione aldolica.

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1.4 Enzimi PLP- dipendenti nel metabolismo cellulare

Una grande varietà di enzimi nella cellula utilizza come cofattore enzimatico il piridossale 5’

fosfato che si vede quindi coinvolto in numerosi ed importanti processi cellulari quali:

sintesi, interconversione e degradazione degli amminoacidi ;

sintesi e degradazione di ammine biogene;

sintesi dei composti tetrapirrolici, come per esempio l’eme;

rifornimento delle unità monocarboniose;

metabolismo degli amminozuccheri;

sintesi di DNA, RNA e cofattori nucleotidici;

produzione di neurotrasmettitori.

La maggioranza degli enzimi PLP-dipendenti svolge la sua attività catalitica prendendo parte al

metabolismo di amminoacidi (sintesi, interconversione e degradazione degli aminoacidi) e ammine,

attraverso reazioni chimiche che vanno da semplici isomerizzazioni a elaborate reazioni di sintesi.

A questa classe di enzimi appartengono infatti transaminasi, deaminasi, racemasi, deidratasi, liasi,

numerose sintasi e decarbossilasi. (Figura 9)

D’altra parte alcuni di questi enzimi non sono solo coinvolti nel metabolismo degli amminoacidi

ma intervengono anche nel metabolismo dei carboidrati. Ad esempio le glicano fosforillasi

utilizzano il PLP come gruppo prostetico anche se con un meccanismo di reazione diverso.

(Metzler et al., 1977) Inoltre gli enzimi PLP-dipendenti prendono parte alla modulazione

dell’espressione genica mediata dagli ormoni steroidei (Allgood et al., 1993) ed assumono un ruolo

chiave nel metabolismo di sintesi e degradazione dei neurotrasmettitori (Kang et al. 2002;

McCarty, 2000).Livelli inadeguati di PLP, infatti, sono responsabili di disfunzioni neurologiche, in

particolar modo dell’epilessia (Di Salvo et al., 2012).

La notevole diversità degli enzimi PLP-dipendenti emerge chiaramente dalla modulazione e

dall’esaltazione delle proprietà chimiche intrinseche del coenzima da parte della componente

proteica circostante. L’evoluzione ha modellato la struttura proteica in modo che ogni enzima possa

fornire un ambiente unico di legame con il proprio substrato e possa attuare le proprie reazioni

specifiche. Grazie ai recenti sviluppi tecnologici nel campo della bioinformatica, della

cristallografia delle proteine ed al supporto di banche dati sempre più aggiornate, la ricerca nel

campo degli enzimi PLP-dipendenti è cresciuta notevolmente. Essa oggi si rivolge principalmente

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allo studio della funzione, della struttura di questi importanti catalizzatori biologici ed alle relazioni

tra l’attività catalitica ed il percorso evolutivo.

FIGURA 9. Schema del metabolismo cellulare fornito dal PATHWAY database online KEGG, Kyoto

Encyclopedia of Genes and Genome ( www.genome.ad/Kegg/pathway/map).

Ogni punto corrisponde ad un metabolita ed ogni linea ad un enzima. Le linee evidenziate in rosso

corrispondono agli enzimi PLP-dipendenti.

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1.5 La serina idrossimetiltrasferasi: struttura, proprietà spettrali e

reazioni catalizzate

La serina idrossimetiltransferasi (SHMT) è un enzima piridossal 5’-fosfato dipendente, ubiquitario

e altamente conservato in batteri, piante, funghi e mammiferi. L’enzima venne purificato e

caratterizzato per la prima volta nel 1963 dal fegato di coniglio (Schirch e Mason, 1963). Oggi,

grazie allo sviluppo di nuovi strumenti informatici, è possibile confrontare, nelle banche dati

biologiche, i dati relativi alla sequenza genica, alla struttura cristallografica ed alla

caratterizzazione cinetica delle sue isoforme, che nel corso degli anni sono state purificate da

diversi organismi, compreso l’uomo. Questa ricchezza di informazioni, facilmente accessibili,

rappresenta oggi un potente strumento per la ricerca ed ha permesso di rendere evidente quanto

l’attività catalitica della serina idrossimetiltrasferasi sia importante nel metabolismo cellulare.

Struttura e folding della SHMT

La disponibilità di numerose strutture cristallografiche dell’enzima, risolte da fonti sia eucariotiche

che procariotiche, ha contribuito a chiarire una serie di osservazioni precedentemente acquisite con

classici studi biochimici.

La SHMT procariotica è un omodimero mentre nei mammiferi, compreso l’uomo, assolve le sue

funzioni catalitiche come omotetramero ed appartiene al gruppo di ripiegamento I (o famiglia

dell’aspartato aminotrasferasi), che include molti degli enzimi PLP-dipendenti meglio

caratterizzati. Come per gli altri membri di questo gruppo, la subunità enzimatica del tetramero che

viene tradotta si ripiega in due domini. Il dominio grande N-terminale è costituito da sette foglietti

β e numerose -eliche, mentre il piccolo dominio C-terminale è costituito da tre foglietti β,

ricoperti da -eliche su di un lato. Ogni subunità del tetramero quindi possiede un sito attivo, nel

quale alloggia una molecola del cofattore PLP, ma ciascuna tasca è delimitata anche da residui

amminoacidici forniti dalla subunità adiacente. Per questo motivo ogni sito attivo si localizza

all’interfaccia di due monomeri che vanno a costituire un dimero obbligato, cataliticamente attivo.

Questi omodimeri negli eucarioti si associano poi a formare l’omotetramero. Nel sito attivo il

cofattore PLP è strettamente legato, tramite base di schiff, ad un residuo di lisina. (figura 10)

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FIGURA 10. Struttura SHMT citosolica umana (hcSHMT). A sinistra visione dell’omotetramero:

subunità A in ciano, B in marrone, C in verde e D in viola. Le subunità A-D e C-B formano i dimeri, che

sono correlati da un duplice asse orizzontale. È visibile anche il cofattore PLP. A destra ingrandimento del

monomero C; dominio grande N-terminale in verde e la sua estremità in viola; dominio C-terminale in rosso;

al centro è rappresentato il cofattore PLP (Renwick et al. 1998)

Nei mammiferi la SHMT è presente in due isoforme; un’isoforma citosolica (cSHMT), anche

indicata come SHMT1, e un’isoforma mitocondriale (mSHMT), indicata come SHMT2..Ciascuna

delle isorforme, citosolica e mitocondriale, è codificata da un singolo gene, localizzato

rispettivamente nella regione cromosomica 17p11.2 e 12q13 (Shipra et al., 2003). Nell’uomo le

sequenze aminoacidiche delle due isoforme condividono un alto grado di omologia (63%). I singoli

isoenzimi sono altamente omologhi agli analoghi citosolico di coniglio (92% identità di sequenza)

e mitocondriale di coniglio (97% identità di sequenza). Inoltre un alto grado di omologia è stato

riscontrato anche tra l’isoforma citosolica di coniglio e l’isoforma di E. coli (43% identità)

(Martini et al., 1987).

L’enzima citosolico è composto da 483 aminoacidi e ha un peso molecolare di 53.020 Da, mentre

la forma mitocondriale è formata da 474 residui aminoacidici è presenta un peso molecolare di

52.400 Da. Negli eucarioti quindi il dimero obbligato possiede un peso molecolare di ~110 kDa,

mentre la struttura tetramerica di ~ 250 kDa.

Il meccanismo di ripiegamento della SHMT di E.coli è stato studiato e compreso in dettaglio. Esso

può essere diviso in due fasi e termina con il legame del PLP. Nella prima fase, i domini grande e

piccolo assumono rapidamente una conformazione molto simile a quella nativa. Nella seconda fase,

più lenta, l’enzima acquisisce la capacità di legare il cofattore. L’evento chiave necessario per il

passaggio tra la prima e la seconda fase rimane ancora poco chiaro. (Florio et al., 2010)

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Meccanismo di reazione

Conversione THF-dipendente della serina in glicina

La SHMT catalizza la reazione reversibile di taglio retroaldolico della L-serina in glicina, con

trasferimento dell’unità monocarboniosa, derivante dal gruppo idrossimetilico della serina, al

tetraidrofolato (H4PteGlu, o THF) e formazione di metilentetraidrofolato (5,10-CH2-H4PteGlu).

Questa reazione rappresenta la risorsa primaria di unità monocarboniose richieste per la sintesi di

timidilato, purine e metionina (Schirch et al., 2005). (Figura 11)

L-serina + THF Glicina + 5,10-CH2-THF + H2O

FIGURA 11. Reazione principale della SHMT: conversione THF-dipendente della serina in glicina.

Il primo passaggio, nella conversione THF-dipendente della serina in glicina, è l’attacco nucleofilo

portato dal N5 del H4PteGlu al C3 della serina legata come aldimina esterna al PLP. Il legame C3-

C2 viene rotto e si genera l’intermedio chinonoide e la N5-carbinolamina. Successivamente un

residuo di glutammato (Glu75 nella SHMT citosolica di coniglio) agisce da catalizzatore acido

nella deidratazione della la N5-carbinolamina per formare un N

5-immino catione, nuovamente

protonato poi dal N10

con formazione del 5,10-CH2-H4PteGlu. Il ruolo del H4PteGlu nella reazione

con la SHMT non è solo quello di accettare il gruppo idrossimetilico della serina, ma anche quello

di spostare l’equilibrio verso la formazione dell’intermedio chinonoide. (Schirch et al., 2005)

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16

FIGURA 12. Meccanismo proposto per la conversione folato-dipendente della serina in glicina. I gruppi

basici sono indicati con B: e quelli acidi con BH (Schirch et al., 2005).

Proprietà spettrali della serina idrossimetiltrasferasi

Come abbiamo già accennato in precedenza, all’interno del sito attivo il PLP è legato

covalentemente attraverso una base di Schiff al gruppo ε-aminico di un residuo di lisina

dell’enzima, formando la cosiddetta “aldimmina interna”. Questo composto assume una

colorazione gialla e conferisce all’enzima proprietà spettrali uniche, per questa ragione il cofattore

viene usato come sonda spettrofotometrica per seguire le fasi della catalisi.

In assenza dell’aminoacido substrato, l’enzima esibisce un massimo di assorbimento tra 420 nm e

430 nm, dovuto al PLP legato all’enzima. L’aggiunta di livelli saturanti di glicina, in assenza di

THF, produce uno spettro di assorbimento in cui è possibile distinguere tre diverse bande: una a

343 nm, una a 425 nm ed una terza a 495 nm, le cui intensità relative sono influenzate dal pH

(Schirch & Diller, 1971).

La presenza di bande simili in altri enzimi PLP-dipendenti, già dimostrate con lo studio di sistemi

modello in precedenti lavori di ricerca (Davis & Metzler, 1972), ha permesso un’agevole

interpretazione dei dati ottenuti per la SHMT.

La specie chimica che assorbe a 425 nm corrisponde al complesso formato tra aminoacido e PLP,

noto come “aldimmina esterna”. La banda d’assorbimento a 495 nm dipende dalla formazione di

un intermedio chinonoide, prodotto dalla deprotonazione del carbonio α della glicina, mentre

l’assorbimento a 343 nm è dato dalla formazione di una struttura chiamata “diamina geminale”.

Studi di cinetica rapida hanno poi mostrato questi intermedi comparire nell’ordine: 343 nm 425

nm 495 (Schirch, 1975; Cheng & Haslam, 1972) (Figura 13).

Page 19: Tesi Magistrale

17

FIGURA 13. Intermedi di reazione che si formano in seguito all’aggiunta di glicina alla SHMT. Se è

presente un’aldeide, l’intermedio IV può reagire con essa, formando un idrossiaminoacido (intermedio V)

che viene rilasciato passando attraverso l’intermedio VI. Sotto ogni intermedio viene riportata la lunghezza

d’onda corrispondente al massimo di assorbimento (Schirch, 1982)

Taglio retroaldolico dei β-idrossiamminoacidi

La SHMT oltre alla reazione di trasferimento del C-β dalla serina al H4PteGlu, è in grado di

catalizzare, in vitro ed in assenza di H4PteGlu, la scissione aldolica di numerosi L-β-

idrossiaminoacidi (Figura 14), con preferenza per la treonina e la β-fenilserina. Nessuna di queste

reazioni richiede H4PteGlu come co-substrato. La stereospecificità dell’enzima rispetto al Cβ è

rilassata; il taglio si verifica con entrambi i diastereomeri treo e eritro, ma l’isomero eritro è

favorito rispetto al treo (L-allo-treonina rispetto alla L-treonina). Il sito attivo, grazie ad una cavità

idrofobica, è infatti in grado di ospitare grandi sostituenti al Cβ in entrambe le forme sia treo che

eritro.

FIGURA 14. Meccanismo proposto per la reazione di taglio retroaldolico dei β-idrossiamminoacidi. I

gruppi basici sono indicati con B: e quelli acidi con BH (Schirch et al., 2005).

Conversione del 5,10-CH+-H4PteGlu in 5,10-CHO-H4PteGlu

Page 20: Tesi Magistrale

18

Un’altra reazione che la SHMT è in grado di catalizzare è la conversione del 5,10-CH2-H4PteGlu in

5-CHO-H4PteGlu (formil-tetraidrofolato), reazione questa che sembra venga utilizzata dalle cellule

dormienti come forma di conservazione di folati allo stato ridotto e di gruppi monocarboniosi

(Stover et al., 1990 e 1992). Sebbene questa reazione sia più lenta rispetto l’interconversione della

serina e glicina, numerosi lavori sperimentali hanno dimostrato che il 5-CHO-H4PteGlu presente

nella cellula deriva interamente dall’attività della SHMT (Stover et al. 1990, Anguera et al. 2003,

Holmes et al. 2002) Uno passaggio critico nella reazione è la rottura acido-catalizzata del legame

tra l’atomo di carbonio e l’N10

(struttura I nella figura 15). Il meccanismo probabilmente segue la

stessa chimica acido-base necessaria nella conversione serina-glicina con H4PteGlu per formare

CH2-H4PteGlu.

FIGURA 15. Meccanismo proposto per la conversione del 5,10-CH+-

H4PteGlu a 5-CHO-H4PteGlu. I

gruppi basici sono indicati con B: e quelli acidi con BH (Schirch et al., 2005).

La serina idrossimetiltrasferasi infine è in grado di catalizzare anche una serie di reazioni

alternative; reazioni di decarbossilazione, transaminazione e racemizzazione di analoghi di

substrato (Schirch et al, 1998) La scelta della reazione catalizzata dalla SHMT è determinata

principalmente dalla struttura del substrato amminoacidico. Con i substrati fisiologici, serina o

glicina, la SHMT non catalizza nessuna delle reazioni secondarie. Secondo il modello attualmente

accettato, la specificità di reazione dell’enzima dipende dalla conformazione aperta o chiusa del

sito attivo. I substrati fisiologici determinano la conformazione chiusa, mentre quelli alternativi

reagiscono quando l’enzima si trova in una conformazione aperta, consentendo reazioni alternative

(decarbossilazione, transaminazione e racemizzazione) (Schirch et al., 1991)

Questa capacità di catalizzare, con i propri substrati o con analoghi di substrato, reazioni alternative

rispetto alla propria reazione fisiologica, è stata definita “promiscuità catalitica”. La promiscuità

catalitica degli enzimi a PLP può aver favorito, per evoluzione divergente, la comparsa dell’odierna

gamma di enzimi dipendenti dal piridossal-5’-fosfato.

Page 21: Tesi Magistrale

19

1.6 La serina idrossimetiltrasferasi nel metabolismo cellulare

La reazione principale catalizzata dalla serina idrossimetiltrasferasi si pone al centro di alcuni tra i

più importanti processi metabolici della cellula. Questo enzima infatti ha un ruolo centrale nel

metabolismo degli amminoacidi L-serina, glicina e dei folati. I prodotti della sua reazione sono poi

precursori di composti implicati nel metabolismo energetico della cellula e nella sintesi dei mattoni

biologici, quali amminoacidi e nucleotidi. Il 5,10-metilen-THF rappresenta la risorsa primaria di

unità monocarboniose richieste per la sintesi delle purine adenina e guanina, per la conversione

dell’uridilato in timidilato e per la metilazione dell’omocisteina in metionina. (Schirch et al., 2005)

D’altra parte anche la glicina risulta fondamentale per la biosintesi delle purine ed inoltre viene

utilizzata dalla cellula per la formazione delle porfirine e dei deossiribonucleotidi.

Qui di seguito sono riportati ed analizzati i metabolismi che vengono influenzati maggiormente

dall’attività della SHMT.

Metabolismo di glicina, serina e treonina:

La via principale di sintesi della serina e della glicina è la stessa in tutti gli organismi. Questa via

parte dal 3-fosfoglicerato prodotto dalla glicolisi per formare la serina e la SHMT ne catalizza la

conversione in glicina. La glicina poi negli animali subisce una scissione ossidativa ad opera

dell’enzima di scissione della glicina o glicina sintasi, che la degrada a CO2, NH4+ e cede un

gruppo metilenico al THF formando 5,10-CH2-H4PteGlu. Questo enzima fa parte di un complesso

proteico ancorato alla membrana interna del mitocondrio, chiamato glycine cleavage system

(GCS). (Nelson D. and Cox M., 2008)

È interessante notare che, oltre all’SHMT, anche altri enzimi appartenenti al metabolismo della

glicina e della serina, come la serina deidratasi o l’enzima di scissione della glicina, utilizzano sia il

PLP che il THF per la catalisi delle proprie reazioni. Entrambi i cofattori hanno quindi un ruolo

predominante e correlato nel catabolismo di questi amminoacidi.

Metabolismo delle unità monocarboniose e dei folati

L’acido tetraidrofolico o THF, substrato della SHMT, è la forma attiva e ridotta del folato o acido

folico: composto che per i mammiferi è una vitamina (la vitamina B9) e viene assunta dalla dieta. È

costituito da una pterina, sostituita in posizione 6 da un metile (6-metilpterina), legata ad un p-

aminobenzoato ed ad un glutammato. (Figura 16)

Page 22: Tesi Magistrale

20

L’acido folico viene ridotto in due tappe a THF dall’enzima diidrofolato reduttasi che, con l'utilizzo

di NADPH come donatore di elettroni, riduce la 6-metilpterina.

FIGURA 16. Struttura del tetraidrofolato.

Il THF è un cofattore enzimatico in grado di legare e trasportare un gruppo monocarbonioso, in uno

dei tre stadi di ossidazione, sull’atomo di azoto N5, sull’ N

10 o legato a entrambi.

Questa unità monocarboniosa deriva principalmente dall’atomo di carbonio rimosso durante la

conversione della serina in glicina a opera dell’ SHMT, che trasforma quindi il THF in N5, N

10-

metilen-tetraidrofolato. Da questo prodotto di reazione diversi enzimi possono generare ben sei

forme del tetraidrofolato, che sono interconvertibili tra di loro e in grado di trasportare e cedere

unità monocarboniose a diversi stadi di ossidazione: 5-CH3-H4PteGlu, 5,10-CH-H4PteGlu, 5-CHO-

H4PteGlu, 10-CHO-H4PteGlu ed 5-CHNH-H4PteGlu. (Figura 17)

La stessa SHMT concorre alla regolazione ed al mantenimento dell’omeostasi del pool di queste

unità monocarboniose intracellulari, attraverso la reazione secondaria, irreversibile, di conversione

del 5,10-CH2-H4PteGlu in formiltetraidrofolato (5-CHO-H4PteGlu) (Stover et al. 1990, 1992;

Holmes et al., 2002; Krushwitz et al., 1994).

Questi composti sono chiamati complessivamente folati e sono i cofattori di molte reazioni

cellulari, soprattutto quelle appartenenti alle vie metaboliche degli amminoacidi e dei nucleotidi. I

farmaci o composti chimici che legame competono con i folati per legarsi agli enzimi sono

chiamati antifolati. (Nelson D. and Cox M., 2008)

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21

FIGURA 17. Interconversione delle unità monocarboniose sui folati.

Sintesi della metionina e dell’S-adenosilmetionina

Un’altra importante reazione in cui partecipa l’unità monocarboniosa derivante dall’attività

catalitica della SHMT è proprio la conversione dell’omocisteina a metionina.

Infatti il 5-CH3-H4PteGlu è il substrato della metionina sintasi che, con il supporto del coenzima

B12, trasferisce il gruppo metilico dal folato all’omocisteina, generando metionina e tetraidrofolato.

La metionina è poi convertita in S-adenosilmetionina grazie all’attività della metionina adenosil

trasferasi.

Questa reazione fa parte di un ciclo metabolico importante per la sintesi della S-adenosilmetionina,

che è un donatore universale di gruppi metili e quindi importante per la metilazione del

DNA.(Nelson D. and Cox M., 2008) (Figura 18)

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FIGURA 18. Sintesi della metionina e della S-adenosilmetionina

Sintesi de novo delle purine ed il ciclo del timidilato

Le vie di biosintesi degli amminoacidi e quelle dei nucleotidi sono strettamente interconnesse:

alcuni amminoacidi o parti di essi vengono incorporati nelle strutture puriniche o pirimidiniche e

molte vie hanno in comune sia gli intermedi metabolici che le reazioni di trasferimento dell’azoto e

delle unità monocarboniose. I prodotti della reazione dell’SHMT, glicina e N5-N

10-metilen-THF,

sono protagonisti nella sintesi delle purine e del timidilato.

La glicina, per incorporazione diretta nell’anello o attraverso incorporazione di unità

monocarboniose derivate dal glycine cleavage system, prende parte alla sintesi de novo delle basi

puriniche adenina e guanina.

Infatti questo amminoacido diventa parte strutturale dell’anello purinico mentre l’ N10

- formil-THF

fornisce due atomi di carbonio in due tappe ben distinte. (Figura19)

Page 25: Tesi Magistrale

23

FIGURA 19. Incorporazione della glicina nell’anello purinico

Inoltre la glicina è importante, indirettamente, anche nella formazione dei deossiribonucleotidi,

prendendo parte alla sintesi del composto glutatione (GSH) insieme al glutammato ed alla cisteina.

(Nelson D. and Cox M., 2008)

La via biosintetica de novo delle pirimidine citosina ed uracile, d’altra parte, non richiede

l’intervento di amminoacidi quali serina o glicina o dei folati. Tuttavia la sintesi de novo dei

derivati timinici e del timidilato avviene dal dUMP, ad opera dell’enzima timidilato sintasi. Questo

enzima riduce l’dUMP a dUTP utilizzando N5-N

10 metilentetraidrofolato, che a sua volta si ossida a

diidrofolato.

Quindi la SHMT, insieme alla diidrofolato reduttasi ed alla timidilato sintasi costituisce quello che

viene definito il ciclo del timidilato, pathway metabolico che controlla l’apporto di timina e di

derivati timinici per la cellula. (Figura 20)

Page 26: Tesi Magistrale

24

FIGURA 20. Ciclo del timidilato

Biosintesi delle porfirine

Negli ultimi anni è risultata sempre più evidente l’importanza della produzione di glicina nel

mitocondrio. Nella matrice mitocondriale infatti essa viene condensata con il succinil-coA dalla δ-

amminolevulinato sintasi a formare 5-amminolevulinato. Questo composto è il precursore

universale delle diverse forme di eme contenute nelle emoproteine, nei citocromi e nei complessi

che attuano il processo di fosforilazione ossidativa.

In conclusione si può affermare che l’SHMT gioca un ruolo fondamentale in molti importanti

processi cellulari compresa la respirazione cellulare. Importante è però notare che le due isoforme,

citosolica e mitocondriale, di questo enzima possono contribuire in maniera diversa a questi

metabolismi cellulari. La cSHMT assume un ruolo più importante come fonte delle unità

monocarboniose usate nella biosintesi delle purine e del timidilato, mentre la principale funzione

della mSHMT sembra essere legata alla sintesi della glicina. (di Salvo et al. 2013)

Dato che il tetraidrofolato e i suoi derivati non possono attraversare la membrana mitocondriale, la

comunicazione tra il metabolismo delle unità monocarboniose mitocondriale e citosolico è mediato

dal flusso di serina, glicina e formiato tra questi due compartimenti.

Page 27: Tesi Magistrale

25

1.7 La serina idrossimetiltrasferasi nel cancro

In contrasto con le cellule normalmente differenziate, le cellule cancerose sono caratterizzate da un

alto tasso proliferativo. La loro crescita incontrollata è il risultato dell’acquisizione di alcune

caratteristiche fondamentali, che più comunemente vengono definite “hallmarks of cancer”.

L’accumulo progressivo di mutazioni rende queste cellule capaci di evadere la senescenza,

l'apoptosi e di poter avanzare nel ciclo cellulare anche in assenza dei fattori di crescita.

Una delle caratteristiche più importanti che le cellule della massa tumorale acquisiscono, è la

capacità di riorganizzare il proprio metabolismo, allo scopo di ottenere una più veloce ed efficiente

produzione di energia metabolica e di biomassa. Già nel 1926 Otto Warburg aveva dimostrato che

nelle cellule cancerose e nei tessuti ad alto tasso proliferativo, vi è un aumento del metabolismo

glicolitico e del ciclo dei pentosi fosfati. L’incremento del flusso di queste vie si accompagna poi

alla produzione di grandi quantità di lattato, anche in presenza di alta tensione di O2 e di una

regolare respirazione mitocondriale. (Warburg O et al. 1927; Koppenol WH et al. 2011 ) A

questo fenomeno venne assegnato poi il nome di effetto Warburg. L’effetto Warburg può essere

indotto ed incrementato dallo stato di ipossia che si crea nella massa tumorale. Esso è causato

principalmente dall’attivazione di oncogeni che direttamente, o indirettamente attraverso il

controllo trascrizionale, interferiscono con l’attività degli enzimi delle vie metaboliche principali.

In parte questo fenomeno è dovuto alla mutazione degli enzimi che le caratterizzano.

In molti tumori si è osservato che il flusso della via glicolitica viene incrementato dalla

sovraespressione del trasportatore per l’up-take del glucosio (GLUT1) e dall’aumento

dell’espressione degli enzimi a monte della via come: l’esochinasi 2 (HK2) e la fosfofruttochinasi

(PFK). D’altra parte le cellule aumentano l’espressione di una specifica isoforma della piruvato

chinasi (PK); la piruvato chinasi del muscolo M2 (PKM2). L’inefficienza catalitica di questo

enzima rallenta il flusso della via, portando all’accumulo degli intermedi della glicolisi. (Heesun

Cheong et al. 2012) Si osserva anche l’aumento dell’espressione e dell’attività della lattato

deidrogenasi (LDH) e della piruvato deidrogenasi chinasi (PDK1). Quest’ultimo enzima è

responsabile della fosforilazione ed inibizione di una delle subunità della piruvato deidrogenasi.

Impedisce quindi che il piruvato venga convertito in acetil-CoA e trasportato nel mitocondrio,

facendo in modo che rimanga nel citoplasma, divenendo il substrato della lattato

deidrogenasi.(Miran Jang et al 2013 ; Heesun Cheong et al. 2012) (Figura 21)

Page 28: Tesi Magistrale

26

FIGURA 21. Effetto Warburg ed enzimi della glicolisi de-regolati nelle cellule tumorali.

La resa di ATP che si ottiene dalla fermentazione lattica è però nettamente inferiore a quella che si

ottiene con la respirazione, motivo per il quale le cellule tumorali richiedono un sostanzioso up-

take di glucosio e glutammina. Hanno inoltre un tasso glicolitico di circa 200 volte maggiore

rispetto alle cellule normali. La scelta di utilizzare un metabolismo che ha una così bassa efficienza

di produzione di ATP è dovuta alla possibilità, per queste cellule, di sfruttare l’incremento della

produzione degli intermedi della via glicolitica, per incanalarli verso le vie di sintesi della

biomassa. Ad esempio il 3-fosfoglicerato, che si accumula nel citoplasma, è il precursore della via

biosintetica della L-serina e della glicina e la 3-fosfoglicerato deidrogenasi (3PDG) è proprio uno

degli enzimi di questa via che vengono sovraespressi in un significativo numero di tumori umani

(Locasale et al., 2011; Possemato et al, 2011).

La SHMT, nelle cellule altamente proliferanti, ha il ruolo fondamentale di convertire la serina

proveniente dal glucosio in glicina, rifornendo così di unità monocarboniosa le vie biosintetiche

delle purine, del timidi lato, della metionina e delle porfirine. In una varietà di tumori solidi e nelle

cellule della leucemia umana è stata riscontrata l’iperattività della SHMT, associata all’incremento

della richiesta di sintesi di DNA di queste cellule. (Thorndike J et al., 1979; Snell K. et al., 1988)

Page 29: Tesi Magistrale

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Più recentemente è stato anche dimostrato che entrambe le isoforme della SHMT sono target

trascrizionali dall’oncogene c-Myc e che alcune varianti geniche dell’isoforma citosolica sono

associate con l’incremento del rischio di cancro ai polmoni. (Nikiforov MA et al., 2002; Wang L

et al., 2007) Anche la sovraespressione della SHMT2 in cellule NIH-3T3 sembra essere in grado di

indurre tumori in vivo. (Zhang WC et al., 2012) Marcature con isotopi radioattivi hanno rivelato

che, in cellule tumorali in rapida proliferazione, la gran parte della glicina consumata è in effetti

incorporata nei nucleotidi purinici. Ciò avviene in misura molto minore in cellule lentamente

proliferanti. L’aumento del consumo di glicina correlato a un alto tasso di proliferazione è stato

osservato in oltre 60 linee cellulari trasformate ed è ancora più pronunciato in specifici tumori,

come quello ovarico, del colon e cellule di melanoma, quindi il consumo di glicina sembra essere

una caratteristica specifica di cellule trasformate in rapida proliferazione. (Mohit et al., 2012)

La sintesi intracellulare di glicina è compartimentalizzata tra citoplasma e mitocondrio e regolata

proprio dalle due isoforme della serina idrossimetiltransferasi. Inoltre, come abbiamo visto nel

paragrafo precedente, la reazione catalizzata dalla SHMT fornisce anche supporto al metabolismo

delle unità monocarboniose, al ciclo del timidilato per la produzione di timidilato ed alla sintesi di

porfirine per il metabolismo energetico. (Figura 22)

FIGURA 22. Schema riassuntivo dei metabolismi interessati dall’attività della SHMT nelle cellule

tumorali.

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I più diffusi antimetaboliti utilizzati come agenti anticancro agiscono proprio a livello di queste vie

metaboliche. Farmaci che causano l’inibizione della timidilato sintasi (TS) e della diidrofolato

reduttasi (DHFR) sono i più antichi agenti chemioterapici in medicina oncologica ed ancora i più

largamente utilizzati; metotrexato e 5-fluorouracile.(Matthew G. et al., 2011)

Se si vuole sviluppare un farmaco che stimola o inibisce una via metabolica, il bersaglio più logico

è l’enzima che ha il maggior impatto sul flusso della via. La posizione critica occupata dalla

SHMT, nel punto di convergenza delle due vie metaboliche chiave per l’intervento chemioterapico

(metabolismo di serina e glicina e biosintesi dei nucleotidi) e la disponibilità di una grande quantità

d’informazioni strutturali, fanno di questo enzima un attraente bersaglio per terapie antitumorali.

Scegliere la SHMT come possibile bersaglio di agenti chemioterapici avrebbe il duplice vantaggio

di diminuire il flusso della serina dai precursori glicolitici, smorzando così l’effetto Warburg e di

inibire la sintesi del DNA, agendo simultaneamente sia sulla sintesi delle pirimidine che delle

purine. (Figura 23)

FIGURA 23. Chemioterapici attualmente in uso e metabolismo dei folati (5-fluorouracile e

metotrexato)

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29

2. SCOPO DEL LAVORO DI TESI

Nel 2012 uno studio di Jain et al. ha contribuito a far luce sul ruolo della glicina e delle isoforme

della SHMT nella proliferazione delle cellule tumorali. I ricercatori hanno esaminato l’espressione

genica di 1452 enzimi metabolici in 60 linee cellulari tumorali umane e misurato i profili del

consumo e del rilascio di un gran numero di metaboliti. Dall’analisi metabolomica è risultato che la

glicina, a differenza di altri metaboliti, mostra un profilo di consumo e rilascio diverso in cellule

altamente proliferanti e scarsamente proliferanti. La domanda di glicina nelle cellule cancerose

eccede la capacità di sintesi endogena. Inoltre esperimenti condotti con la glicina marcata (C3-Gly)

hanno dimostrato che quella consumata nelle cellule altamente proliferanti viene incorporata

principalmente nei nucleotidi purinici, mentre questa incorporazione avviene poco nelle cellule non

tumorali. In correlazione a questo dato l’analisi dei profili di espressione genica ha rilevato che le

cellule altamente proliferanti sovraesprimono gli enzimi della biosintesi della glicina e soprattutto

quelli del pathway mitocondriale di sintesi del metabolita, come il gene SHMT2.

Ulteriori esperimenti hanno poi dimostrato che il gene codificante l’isoforma mitocondriale della

serina idrossimetiltrasferasi è spesso sovraespresso, anche quando l’espressione del gene SHMT1,

che codifica per l’isoforma citosolica dell’enzima, risulta normale. Il silenziamento del gene

SHMT2 in queste cellule porta all’arresto della veloce proliferazione, salvo che non venga fornita

glicina esogena. Al contrario, il suo silenziamento in cellule non tumorali non ne rallenta la

divisione. (Jain M et al., 2012)

Questi importanti risultati, insieme a molti altri ottenuti negli ultimi anni, supportano l’odierna

ipotesi che la biosintesi di glicina a livello mitocondriale sia fondamentale per sostenere la

proliferazione delle cellule tumorali. Così come risulta sempre più evidente che sia l’isoforma

mitocondriale della SHMT, più della citosolica, a dare il maggior contributo a tale processo.

La ragione della presenza di due isoenzimi della SHMT negli eucarioti e la possibilità che questi

abbiano funzioni diverse nel metabolismo cellulare, è un argomento ancora da esplorare. La diversa

localizzazione delle due isoforme nella cellula è sicuramente indice di una differente funzione e

ciascuna potrebbe offrire un contributo diverso al metabolismo.

La SHMT1 sembra giocare un ruolo cruciale nella biosintesi timidilato, come parte di un

complesso multienzimatico ancorato alla lamina nucleare, la cui attività è fondamentale per

mantenere l'integrità del DNA. La SHMT2 è coinvolta invece nella biosintesi del timidilato nei

mitocondri. Tuttavia la funzione principale dell’isoforma mitocondriale potrebbe essere quella di

generare unità monocarboniose dalla serina, che vengono poi esportate come formiato nel citosol e

danno supporto al metabolismo del carbonio. O ancora potrebbe avere un ruolo cruciale nella

Page 32: Tesi Magistrale

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produzione di glicina all'interno dei mitocondri, necessaria per la biosintesi dell'eme e quindi per il

metabolismo energetico della cellula. (Martino L. di Salvo et al. 2013)

Tuttavia oggi ancora non si hanno molte informazioni sulle differenze sostanziali tra le due

isoforme ne si conoscono in dettaglio le proprietà catalitiche o la regolazione di ciascun isoenzima.

Non ultima è la questione riguardante il ruolo della struttura tetramerica, che si riscontra nelle

isoforme eucariotiche ma non nei procarioti, dove la SHMT è cataliticamente attiva come dimero.

Il lavoro di tesi è stato svolto nell’ambito di un progetto più vasto, che vede come obiettivo ultimo

l’identificazione di nuovi possibili agenti chemioterapici diretti contro la SHMT umana. Lo scopo

del lavoro di tesi qui riportato è stato quindi quello di eseguire una caratterizzazione strutturale e

conformazionale delle isoforme citosolica e mitocondriale della SHMT umana con il fine ultimo di

evidenziare le differenze tra i due isoenzimi.

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31

3. MATERIALI E METODI

3.1 Cellule batteriche e vettori plasmidici

Le isoforme SHMT1 e SHMT2 umane sono state espresse come ricombinanti in cellule competenti

per shock termico E. coli BL21(DE3). Genotipo: E. coli B F– dcm ompT hsdS(rB– mB–) gal

λ(DE3). Efficienza i trasformazione superiore a 8*107 cfu/µg di DNA.

Questo ceppo batterico è stato ingegnerizzato per ottenere alti livelli di espressione della proteina

ricombinante ed avere una facile induzione nei sistemi basati sull'impiego della RNA polimerasi

del fago T7. Non presentano alcuna resistenza agli antibiotici se non quella portata dal plasmide

con cui vengono trasformate. La sigla (DE3) indica che l’ospite è un lisogeno del profago λ (DE3),

in altre parole nel loro genoma è stata integrata una sequenza (indicata con DE3) che contiene il

gene della RNA polimerasi T7 sotto controllo del promotore lacUV. L’espressione della polimerasi

è pertanto repressa costitutivamente dal prodotto del gene lac I che è presente sia nelle cellule

BL21 stesse che nel vettore di espressione con cui vengono trasformate, ma può essere indotta

aggiungendo l’isopropil- -D-tiogalattosie (IPTG) al mezzo di coltura. Inoltre il ceppo manca di

due proteasi (lon e ompT) e questo riduce la possibilità di degradazione delle proteine espresse

come ricombinanti.

Le cellule E. coli BL21 (DE3) sono state trasformate con il vettore di espressione pET22b(+) nel

quale è stato clonato il gene della SHMT umana e presenta i geni per la resistenza all’ampicillina. Il

vettore pET22 è un derivato di pBR322, dispone di una sequenza segnale N-terminale pelB per una

potenziale localizzazione periplasmatica e di una sequenza His-Tag al C-terminale. L’espressione

dei geni clonati in questo vettore è posta sotto il controllo di un promotore trascrizionale forte

(promotore T7) e un terminatore (T7) posti, rispettivamente, all’inizio e alla fine ella regione in cui

è stato clonato il gene di interesse. A monte del sito di poli-clonaggio sono localizzati i segnali

canonici necessari per l’espressione del trascritto. (Figura 24 )

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32

FIGURA 24. Il vettore pET-22b(+). I siti unici di restrizioni sono mostrati sulla mappa circolare. La

sequenza è numerata secondo la convezione di pBR322, quindi la regione di espressione T7 è inversa rispetto

la mappa circolare

Page 35: Tesi Magistrale

33

In questo vettore di espressione, il promotore della T7 RNA polimerasi, a monte del gene bersaglio,

è seguito dall’operatore lac e in questo modo, in assenza di IPTG, il repressore lac agisce tanto sul

promotore lacUV5 della T7 RNA polimerasi quanto sul promotore T7 del gene di interesse.

Con l’aggiunta di IPTG al mezzo di coltura si ha l’espressione della T7 RNA polimerasi che

permette la trascrizione del gene clonato nel plasmide. (Figura 25)

FIGURA 25. Elementi di controllo del sistema pET.

Page 36: Tesi Magistrale

34

3.2 Protocollo di purificazione delle isoforme SHMT1 e SHMT2

La purificazione di una proteina costituisce il primo passaggio nello studio delle sue proprietà e

consiste nell’isolare selettivamente la molecola proteica di interesse da un estratto cellulare o

comunque da una miscela eterogenea contenente altre proteine, o anche acidi nucleici,

polisaccaridi, lipidi e molecole più piccole. La purificazione sfrutta le differenze di proprietà

chimico-fisiche tra la molecola che si cerca di purificare e le altre presenti nella miscela; ad

esempio la dimensione e la forma o il contenuto in aminoacidi acidi o basici. La quantità di

proteina che occorre recuperare influenza la scelta del metodo di purificazione ed anche il tipo di

studio che si vuole eseguire detta i limiti di purezza che è necessario raggiungere: per lo studio

della struttura di una proteina si richiede un grado di purezza di molto maggiore di quello richiesto

per gli studi cinetici.

Il protocollo di purificazione eseguito è stato lo stesso per entrambe le isoforme della SHMT

umana fatta eccezione per la composizione della soluzione tampone nella quale sono state

conservate. L’isoforma mitocondriale ha richiesto un contributo maggiore di sali e glicerolo per

essere stabile.

Pre-inoculo

Le cellule BL21(DE3)-pET22b(+)-hSHMT da stock in glicerolo a -80°C sono state inoculate in 50

ml LB di composizione:

Triptone 10 g/l

Estratto di lievito: 5 g/l

NaCl: 5 g/l

Aggiunti 50 μl di ampicillina (100 mg/ml) e lasciate crescere a 37 °C o/n.

Inoculo e crescita della coltura batterica pura in beuta

Sono stati inoculati 40 ml della coltura ottenuta precedentemente in 4 l di LB di stessa

composizione divisi in 8 beute da 500 ml ciascuna ed aggiunti 500 μl di ampicillina (100 mg/ml)

per ciascuna beuta, la crescita è stata effettuata a 37°C in agitazione per circa 4 ore.

Page 37: Tesi Magistrale

35

Induzione

Quando l’OD600 della coltura ha raggiunto un valore compreso tra 0,6-0,8 sono stati aggiunti 500 µl

dell’induttore IPTG (0,2 M) per ciascuna beuta e lasciata la coltura a crescere in agitazione a 37 °C

o/n.

Centrifugazione e sonicazione

La coltura è stata centrifugata per 20 minuti a 6000 rpm in ultracentrifuga alla temperatura di 4°C

per precipitare le cellule e concentrarle. Il pellet cellulare è stato risospeso in tampone KPi 20 mM,

pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l. Alla soluzione è stato aggiunto PLP ed il

cocktail di inibitori delle proteasi. La soluzione cellulare è stata sonicata in ghiaccio per 3 minuti,

pulse 10 on e 10 off, AMPL 70%. Il lisato è stato infine centrifugato per separare l’estratto proteico

dal pellet di membrane ed organelli cellulari.

Precipitazione frazionata

Per separare la SHMT dalla maggior parte delle altre proteine di E. coli è stata utilizzata la tecnica

della precipitazione frazionata. Tale tecnica permette la separazione delle macromolecole sul

principio che le proteine sono meno solubili ad alte concentrazioni di sale. La concentrazione salina

che permette la precipitazione della specie voluta varia da proteina a proteina, poiché esse hanno

composizioni amminoacidiche differenti. Quando la concentrazione salina aumenta, alcune

molecole di acqua sono attratte dagli ioni del sale, diminuisce quindi il numero di molecole d’acqua

che interagisce con la proteina e di conseguenza diminuisce la sua solubilità. Le interazioni

proteina-proteina diventano più forti di quelle soluto-solvente, le molecole proteiche formano

interazioni idrofobiche tra loro e la proteina precipita (salting out). E’ possibile separare proteine

che precipitano a diverse concentrazioni saline.

Per il frazionamento è stato utilizzato il solfato d’ammonio ( (NH3)2SO4 ), la concentrazione di

solfato d’ammonio viene espressa come percentuale di saturazione.

Per l’isolamento di entrambe le isoforme della hSHMT è stato effettuato un primo frazionamento

con (NH3)2SO4 al 25% ed è stato centrifugato il tutto a 12000 rpm per 30 min a 4°C. La nostra

proteina non precipita e possiamo quindi rimuovere la prima frazione di proteine precipitata che

non ci interessa. Dopo aver aggiunto un pizzico di PLP per stabilizzare l’enzima, è stata effettuata

una seconda precipitazione con (NH3)2SO4 al 60%, percentuale alla quale precipita l’SHMT, con

Page 38: Tesi Magistrale

36

successiva centrifugazione. Questa volta è stato recuperato il pellet proteico e risospeso in tampone

KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l.

Dialisi

Per eliminare il sale dalla soluzione dopo il frazionamento con (NH3)2SO4 è stata effettuata una

dialisi. La dialisi è una tecnica che permette di separare le molecole in soluzione attraverso una

membrana semipermeabile. La soluzione viene inserita in un sacchetto da dialisi, in genere una

membrana di nitrocellulosa, con pori di grandezza specifica in base alla proteina che stiamo

purificando. Il sacchetto viene messo nel cosiddetto tampone di dialisi. Molecole abbastanza

piccole da riuscire a passare tra i pori della membrana (acqua, sali) tendono a muoversi dentro o

fuori del sacchetto, secondo il loro gradiente di concentrazione. Molecole più grandi (DNA,

proteine, polisaccaridi), aventi dimensioni significativamente superiori alle dimensioni dei pori, si

mantengono all’interno del sacchetto di dialisi.

La soluzione è stata dializzata in 1,5 L di tampone KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-

mercaptoetanolo 350 µl/l a 4 °C per tutta la notte.

Il giorno seguente è stato cambiato il tampone di dialisi: 1 L di KPi 20 mM, pH 6.8, EDTA 400

µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l a temperatura ambiente. Il cambio dialisi è importante per

abbassare il pH del campione e permettere alla nostra proteina di acquisire una carica netta positiva

che le permetterà di legarsi alla colonna cromatografica nella fase successiva della purificazione.

Dopo la dialisi, generalmente si centrifuga il campione per 20 min a 12000 rpm a 4°C, per

eliminare eventuale precipitato proteico.

Cromatografia su colonna a scambio ionico CM-Sephadex

Per proseguire nella purificazione della SHMT è stata eseguita una cromatografia a scambio ionico

su colonna.

La cromatografia a scambio ionico, che viene di solito eseguita su colonna, sfrutta le interazioni

elettrostatiche tra molecole con carica opposta presenti nella fase mobile e nella fase stazionaria. E’

possibile distinguere una cromatografia a scambio anionico, in cui la fase stazionaria ha carica

positiva e lo ione scambiabile è l’anione, e una cromatografia a scambio cationico, in cui la fase

stazionaria ha carica negativa e lo ione scambiabile è un catione.

Le proteine si legano a scambiatori anionici/cationici a seconda della loro carica netta. La forze del

legame dipende dalle caratteristiche strutturali delle proteine, dal pH e dalla forza ionica. Ne

consegue che è possibile modulare il legame della proteina alla fase stazionaria variando pH e forza

ionica.

Page 39: Tesi Magistrale

37

La CM-Sephadex da noi utilizzata è stata acquistata dalla Sigma-Aldrich, è costituita da gruppi

funzionali acidi, carbossimetilici, legati al Sephadex, una matrice di destrano (polimero del

glucosio) avente cross-link con epicloridrina. Lo ione che viene scambiato è il Na+.

FIGURA 26. Struttura della resina CM-Sephadex in cui è visibile il gruppo carbossimetilico e a destra il

principio di funzionamento: le proteine cariche positivamente (sfere blu) vengono legate dalla matrice carica

negativamente, le proteine cariche negativamente (sfere rosa) passano attraverso la colonna.

Attiva ad un range tra 6 e 10, la CM-Sephadex è uno scambiatore cationico debole.

La resina è stata sospesa in un adeguato volume del seguente tampone, con il quale è stata poi

equilibrata la colonna a temperatura ambiente: 150 mL di KPi 20 mM pH 6,8 + 0,5 mM EDTA +

10 mM β-mercaptoetanolo.

Una volta pronta ed equilibrata la colonna è stato caricato il campione proteico, dializzato e

centrifugato, che è in grado di legarsi reversibilmente alla matrice scalzando gli ioni.

Le molecole non legate sono state eluite dalla colonna usando il tampone di equilibratura (circa 100

mL).

A questo punto la proteina legata alla resina è stata eluita grazie ad un gradiente lineare di pH e

forza ionica fornito da un gradientatore che mescola due tamponi:

A) 150 mL KPi 20 mM pH 6,8 , EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l

B) 150 mL KPi 250 mM pH 7,2 , EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l. L’eluato è stato

raccolto in frazioni di 10 ml circa ed è stata letta la loro assorbanza allo spettrofotometro a 280 nm

e 420 nm per identificare le frazioni contenenti la proteina.

Le frazioni contenenti la proteina sono state riunite. Il campione proteico è stato precipitato con

(NH3)2SO4 al 60%, e centrifugato per concentrarlo. Infine il campione è stato dializzato o/n a 4°C

in tampone KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l per l’isoforma

citosolica e KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 50 mMNaCl,l 50 mM

KCl, 5% glicerolo per l’isoforma mitocondriale.

Page 40: Tesi Magistrale

38

Cromatografia su colonna a scambio idrofobico ɸ-Sephadex

Per raggiungere un grado di purificazione ottimale della proteina e renderla adatta ad analisi

strutturali il campione è stato caricato su una colonna cromatografica a scambio idrofobico ɸ-

Sephadex ed ulteriormente purificato.

La matrice della colonna cromatografica espone gruppi idrofobici che avranno affinità per le

regioni idrofobiche della proteina. Per permettere alla SHMT di aderire alla matrice è stato

aggiunto al campione (NH3)2SO4 al 20% che rende le regioni idrofobiche della proteina più

esposte.

Anche la colonna è stata equilibrata con tampone contenente la stessa percentuale di (NH3)2SO4 :

KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 20% (NH3)2SO4.

Il campione è stato quindi caricato sulla colonna e la colonna lavata per eluire tutto ciò che non

aderisce. La proteina è stata poi eluita con una soluzione gradiente composta da i tamponi:

A) KPi 20 mM pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 20% (NH3)2SO4

B) KPi 20 mM pH 7,2 EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l

L’eluato è stato raccolto in frazioni di 10 ml circa ed è stata letta la loro assorbanza allo

spettrofotometro a 280 nm e 420 nm per identificare le frazioni contenenti la proteina.

Le frazioni contenenti la proteina sono state riunite. Il campione proteico è stato precipitato con

(NH3)2SO4 al 60%, e centrifugato per concentrarlo. Infine il campione è stato dializzato o/n a 4°C

in tampone KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l per l’isoforma

citosolica e KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 50 mMNaCl,l 50 mM

KCl, 5% glicerolo per l’isoforma mitocondriale.

I campioni proteici sono stati infine conservati a -20°C o in ghiaccio secondo le esigenze

sperimentali.

3.3 Protocollo di purificazione della forma apo-enzimatica della

SHMT umana.

Per ottenere la forma apo-enzimatica di entrambe le isoforme della SHMT umana, ovvero staccare

il cofattore PLP dalla tasca enzimatica, è stata utilizzata la L-cisteina.

La cisteina è infatti in grado di legarsi al PLP e formare con esso un complesso tiazolidinico, che

perde affinità con la tasca dell’enzima e viene rilasciato in soluzione.

Page 41: Tesi Magistrale

39

Aggiunta di cisteina 100mM al campione:

Al campione proteico di SHMT purificato è stata aggiunta una concentrazione finale di cisteina

100mM. Il campione perde il suo colore giallo tipico dell’emissione del PLP perché esso si lega

alla cisteina formando il complesso tiazolidinico che non emette più nel giallo.

Colonna cromatografica con resina a scambio idrofobico ϕ-Sefadex:

Per permettere alla SHMT di aderire alla matrice della colonna cromatografica è stato aggiunto al

campione (NH3)2SO4 al 35% che rende le regioni idrofobiche della proteina più esposte.

Anche la colonna cromatografica è stata equilibrata con un tampone contenente (NH3)2SO4 al 35%

per rendere la resina idrofobica in grado di legare l’Apo-enzima.

Il campione è stato caricato sulla colonna e la resina lavata con tampone contenente (NH3)2SO4 al

35% e cisteina 100mM per eliminare i contaminanti che non aderiscono alla resina, il complesso

tiazolidinico ed eventuale PLP ancora rimasto nel campione.

È stato poi effettuato un secondo lavaggio con tampone contenente (NH3)2SO4 al 35% ma privo di

cisteina per eliminarla dalla colonna ed avere solo la proteina di interesse da eluire. Durante

ciascun lavaggio l’eluato è stato raccolto in frazioni da circa 10 ml e le frazioni lette allo

spettrofotometro a 280 nm e 330 nm (complesso tiazolidinico) per verificare che la proteina di

interesse rimanesse attaccata alla colonna e tutta la cisteina ed il complesso tiazolidinico fossero

usciti dalla colonna.

La proteina è stata eluita dalla colonna con un primo tampone di eluizione contenente il 10% di

propilen-glicol (PG) e con un secondo tampone di eluizione al 30% (PG).

La composizione dei tamponi utilizzati per ciascuna isoforma è stata: KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA

400 µl/l, DTT 1 mM per l’isoforma citosolica e KPi 20 mM, pH 7.8, EDTA 400 µl/l, DTT 1mM,

50 mMNaCl,l 50 mM KCl, 5% glicerolo per l’isoforma mitocondriale. Il pH per l’apo-enzima

mitocondriale è stato leggermente alzato.

Le frazioni della proteina in uscita sono state riunite.

Concentrazione con i filtri:

Il campione di apo-enzima risultante dalle frazioni riunite è stato concentrato con l’utilizzo di filtri

da 30.000 Da e la centrifuga a 7000 rpm.

Dialisi o/n:

Il campione concentrato è stato dializzato per eliminare il PG.

Page 42: Tesi Magistrale

40

3.4 Spettrofotometria

La spettrofotometria si occupa dello studio degli spettri elettromagnetici della luce visibile,

dell’ultravioletto e del vicino infrarosso, è una tecnica d’indagine estremamente diffusa in ambito

biologico, utilizzata sia per analisi quantitative sia qualitative.

Lo studio degli spettri di assorbimento si basa sulla presenza in alcune molecole di cromofori. Un

cromoforo è un raggruppamento chimico insaturo, che presenta molti elettroni delocalizzati o doppi

legami coniugati, responsabile di un assorbimento situato nella regione delle lunghezze d'onda

comprese tra 180 e 1000 nm.

Le proteine, ad esempio, contengono residui amminoacidici aromatici (caratterizzati da

delocalizzazione elettronica) quali, il triptofano, la tirosina e la fenilalanina che presentano un

massimo di assorbimento a una lunghezza d’onda pari a 280 nm e sono responsabili del tipico

spettro di assorbimento delle proteine.

Lo strumento da noi utilizzato è stato uno spettrofotometro a serie di diodi Hewlett-Packard 8452.

Nel nostro lavoro lo studio degli spettri di assorbimento è stato utilizzato per la determinazione

delle concentrazioni proteiche, per la misurazione dei parametri cinetici e per i saggi di attività

enzimatica. Per la determinazione della concentrazione proteica si fa uso della legge di Lambert-

Beer che mette in relazione l’assorbimento della luce da parte di una sostanza assorbente con la sua

concentrazione. L’assorbimento della radiazione luminosa viene indicato come assorbanza (A),

essa altro non è che l’inverso della trasmittanza T = I/I0 , dove I0 è l’intensità della radiazione

incidente e I è l’intensità della radiazione trasmessa. Tenendo conto di ciò, si può ricavare la legge

di Lambert-Beer, che è la seguente:

Dove ε è il coefficiente di estinzione molare (tipico della sostanza, rappresenta l’assorbimento di

quella sostanza a concentrazione unitaria), c è la concentrazione molare della soluzione che assorbe

la luce e l è il cammino ottico della radiazione nella soluzione (spessore), solitamente 1 cm per le

cuvette standard.

Lo spettro di assorbimento della forma olo-enzimatica della serina idrossimetiltrasferasi è

caratterizzato da due picchi. Il primo corrisponde a 280 nm, spettro di assorbimento tipico delle

proteine, mentre il secondo picco, a 420 nm corrisponde allo spettro di assorbimento del PLP

legato alla tasca dell’enzima (aldimmina interna). Lo spettro di assorbimento della forma apo-

enzimatica perde il picco a 420 nm. (Figura 27)

Page 43: Tesi Magistrale

41

FIGURA 27. Spettro di assorbimento dei raggi UV della serina idrossimetiltrasferasi.

3.5 Caratterizzazione cinetica e saggi di attività enzimatica

Il termine cinetica enzimatica implica uno studio della velocità di una reazione catalizzata da

enzimi e dei vari fattori che possono influenzarla.

La cinetica enzimatica si occupa in modo particolare degli aspetti cinetici del legame enzima-

substrato e della conseguente generazione di un prodotto. I dati di velocità utilizzati nelle analisi

cinetiche sono ottenuti da saggi enzimatici.

La caratterizzazione cinetica completa di un enzima prevede la misurazione di alcuni parametri che

sono correlati tra loro e descritti dall’equazione di Michaelis-Menten:

Tale equazione descrive la velocità di una reazione a singolo substrato catalizzata da una enzima e

mette in relazione la velocità di formazione del prodotto con la concentrazione del substrato .

Per la caratterizzazione cinetica di un enzima vengono quindi determinati i seguenti parametri

cinetici:

a) Calcolo della Km, o costante di Michaelis-Menten, dell’enzima per ciascun substrato. Questa

costante fornisce la misura della concentrazione di substrato necessaria affinché la reazione

abbia velocità pari a metà della velocità massima.

Page 44: Tesi Magistrale

42

b) Calcolo della Vmax della reazione ( media delle Vmax per ciascun substrato)

c) Calcolo della Kcat (o numero di turnover) dell’enzima per ciascun substrato. Questo parametro

indica il numero di molecole di substrato convertite per secondo da una singola molecola di

enzima quando è saturata con il substrato.

d) Calcolo della Kd dell’enzima per ciascun substrato.

L'efficienza dell'enzima può essere espressa come rapporto tra kcat e Km. Tale rapporto è anche

definito costante di specificità. Dal momento che tale costante incorpora sia l'affinità che l'abilità

catalitica, spesso si utilizza per confrontare l'efficienza di diversi enzimi o quella di un unico

enzima con differenti substrati.

Tutti gli studi cinetici e i saggi enzimatici sono stati eseguiti su uno spettrofotometro a serie di

diodi Hewlett-Packard 8452.

Saggio enzimatico accoppiato

Per la determinazione dei parametri cinetici αKm (Km apparente), Kcat e Vmax delle isoforme della

SHMT è stato utilizzato un saggio enzimatico accoppiato. Per poter visualizzare e calcolare

l’attività delle isoforme, in presenza di diverse concentrazioni di ciascuno dei substrati, è stata

utilizzata la reazione accoppiata dell’enzima metilen-tetraidrofolato deidrogenasi (Mtd).

L’enzima Mtd è codificato dal gene FolD e utilizza come substrato il prodotto della reazione della

SHMT. Converte infatti il N5-N10-metilen-THF in N5-N10-metenil-THF, riducendo

contemporaneamente il NADP+ a NADPH. (Figura 28)

SHMT: L-serina + THF Glicina + 5,10-CH2-THF + H2O

Mtd: N-5,10-CH2 -THF + NADP+ = N-5,10-CH -THF

++ NADPH

FIGURA 28. Reazione accoppiata della SHMT con la reazione della Mtd

+ NADP+ + NADPH

Page 45: Tesi Magistrale

43

La riduzione del NADP+ può essere rilevata e misurata seguendo la variazione di assorbanza a

ΔA340 nm relativa allo spettro di assorbimento del NADPH.

Le reazioni della SHMT e della Mtd sono in rapporto stechiometrico 1:1 e la velocità di reazione

della Mtd è molto più alta. La velocità di reazione che si rileva corrisponde quindi a quella della

reazione più lenta. Questo rende il saggio accoppiato valido per misurare i parametri cinetici della

SHMT.

I saggi enzimatici sono stati eseguiti, ad una temperatura costante di 30°C, in cuvetta termostatica

di 1 cm, in tampone potassio fosfato KPi 20 Mm pH 7.2, DTT 0.2 mM, EDTA 400 µl/l per

entrambi gli isoenzimi ed il THF è stato addizionato sempre per ultimo in cuvetta al fine di evitare

la sua ossidazione.

E’ stata misurata la ΔA340 nm della soluzione enzimatica nei primi secondi della reazione (V

iniziale), in presenza di concentrazioni crescenti di L-Ser (da 10 a 0,039 mM) o THF (da 200 a

3,125 µM) per entrambe le isoforme.

Le specie reagenti sono state addizionate nella cuvetta secondo il seguente protocollo.

A) αKm, Kcat e Vmax per il THF: concentrazioni finali in cuvetta hSHMT 0.1 µM, L-Ser 30 mM,

Mtd 0,6 µM, NADP+

250 µM, THF da 200 µM a 1.125 µM.

Vf= 600 µl

tampone

hSHMT (5 µM)

L-Ser (1 M)

Mtd (350 µM)

X µl

12 µl

18 µl

1 µl

NADP+ (10 mM) 15 µl

THF ( 15 mM e diluizioni) X µl *

*Per il THF sono state preparate delle soluzioni tampone in cui diluirlo al momento dell’uso per ottenere le concentrazioni finali volute.

B) αKm, Kcat e Vmax per la L-Ser: concentrazioni finali in cuvetta hSHMT 0.1 µM, L-Ser da 10 mM a

39.06 µM, Mtd 0.6 µM, NADP+

250 µM, THF 50 µM.

Vf= 600 µl

tampone

hSHMT (5 µM)

L-Ser (20 mM)

Mtd (350 µM)

X µl

12 µl

X µl

1 µl

NADP+ (10 mM) 15 µl

THF ( 15 mM) 2 µl

Page 46: Tesi Magistrale

44

I saggi sono stati ripetuti tre volte e l’analisi dei dati cinetici, le procedure di “curve fitting” e le

analisi statistiche sono state eseguite usando i software Microsoft Exel e GraphPad Prism.

Quest’ultimo programma per il fitting delle curve utilizza il metodo dei minimi quadrati: vengono

calcolati i parametri dell’equazione data in modo tale che la somma dei quadrati dei residui, che

rappresentano la differenza tra valori sperimentali e teorici, sia al minimo.

Per il “curve fitting” dei dati ottenuti dal saggio a concentrazioni crescenti di THF è stata

così modificata l’equazione di Michaelis-Menten, al fine di tenere conto dell’inibizione da

substrato che si osserva a concentrazioni superiori di 50 µM:

y = Vmax x [X]/ Km+ [X] x ( 1+ [X]/ki)

(dove la X corrisponde al substrato)

Page 47: Tesi Magistrale

45

3.6 Fluorimetria e saggio fluorimetrico per la determinazione della

Kd per il PLP

La fluorescenza è un fenomeno di ri-emissione di luce da parte di composti che, dopo essere stati

irradiati con raggi UV sono passati ad uno stato eccitato e poi tornano molto velocemente ad un

livello energetico inferiore. Molte molecole organiche assorbono nel visibile e nell' UV ma solo

poche di esse sono fluorescenti. Alcune molecole di interesse biologico, se eccitate, possiedono la

capacità di riemettere fluorescenza come ad esempio gli amminoacidi aromatici Trp, Tyr e Phe

nelle proteine.

La fluorimetria è una tecnica spettrofotometrica di analisi basata sull’irradiamento di un campione

con radiazione di piccola lunghezza d’onda (ultravioletto) e sulla misura qualitativa e quantitativa

della radiazione emessa dal campione nell’atto di cedere l’energia prima assorbita.

A differenza della spettrofotometria quindi con questa tecnica si rileva la radiazione emessa

piuttosto che quella assorbita.

Per il nostro saggio abbiamo utilizzato uno spettrofluorimetro Perkin-Elmer LS50B e ci siamo

avvalsi della fluorescenza intrinseca del legame del PLP alla proteina. I campioni di apo-enzima

100 nM sono stati incubati 20 minuti con concentrazioni differenti di PLP da 0.1 a 3 µM, alla

temperatura di 20 °C in 50 mM sodio Hepes, pH 7.2 (per la SHMT1) o pH 7.8 (per la SHMT2).

I campioni sono stati poi eccitati a 290 nm in una cuvetta di quarzo da 1 cm e la variazione di

fluorescenza emessa a 300-450 nm è stata misurata. I dati sono stati analizzati in accordo con

l’equazione:

[ ] [ ] √ [ ] [ ] [ ] [ ][ ]

[ ]

Page 48: Tesi Magistrale

46

3.7 Cristallografia

Tutti gli esperimenti di cristallografia sulla forma olo-enzimatica dell’isoforma mitocondriale della

SHMT umana sono stati condotti dal dott. Giorgio Giardina del dipartimento di Scienze

Biochimiche "A.R. Fanelli".

I cristalli di dimensioni circa 20x20x600 µM sono stati cresciuti con il metodo della diffusione di

vapore mescolando 2 µl della soluzione contenente l’olo-SHMT2 1 mg/ml (Tampone: 100 mM

K/NaCl, 20 mM KPhO pH 7.2, 5 mMβ-mercaptoetanolo, 5% glicerolo) con 1 µl della soluzione:

0.1 M Bis-Tris propano pH 7.5, 5% glicerolo, 12-16% PEG 3350, 0.2 M KF. . I dati di diffrazione

sono stati raccolti su BL14.1 ed analizzati con Helmholtz-Zentrum Berlin (HZB) al BESSY II

electron storage ring (Berlin-Adlershof, Germany) equipaggiato con un a Pilatus 6M detector.

3.8 Elettroforesi e proteolisi limitata

Elettroforesi delle proteine

Questa tecnica viene utilizzata per separare le singole componenti di una miscela di proteine in

base al peso molecolare ed è largamente utilizzata nel corso di purifcazioni di proteine, in genere

come tecnica analitica, per determinare rapidamente la complessità della miscela di proteine

ottenuta.

La separazione può essere effettuata in condizioni denaturanti in presenza di un detergente anionico

come il sodio dodecil solfato (SDS) che, legandosi alle proteine da separare, ne altera la struttura e

conferisce loro una carica netta negativa proporzionale alla loro massa.

L’SDS lega infatti le proteine con rapporto stechiometrico fisso: una molecola

di SDS ogni due AA. In questo modo l’entità della migrazione delle catene polipeptidiche dipende

unicamente dal loro peso molecolare.

FIGURA 29. Formula di struttura dell’SDS

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Per i nostri scopi è stata utilizzata, in particolare, la SDS-PAGE su gel di poliacrilamide

discontinuo. Il gel è costituito da una zona superiore di “concentrazione” o stacking gel a pH 6,8 in

cui l’acrilammide è al 5% (p/v) e da una zona inferiore più ampia di “separazione” o running gel a

pH 8,8 in cui la concentrazione dell’acrilammide è al 12,5% (p/v).

Lo Stacking gel è composto da:

- Acrilamide 40% 0,46 mL

- Tris-HCl 0,5 M, pH 6,8 0,93 mL

- H20 2,25 mL

- SDS 10% 37 µL

- Persolfato di ammonio 10% (APS) 37 µL

- TEMED 6,6 M (tetrametiletilendiammina) 4,5 µL

Il Running gel è composto da:

- Acrilamide 40% 2,34 mL

- Tris-Hcl 1,5 M pH 8,8 1,87 mL

- H2O 3,15 mL

- SDS 10% 75 µL

- Persolfato di ammonio 10% (APS) 75 µL

- TEMED 6,6 M (tetrametiletilendiammina) 7,5 µL

Prima del caricamento su gel, viene aggiunto al campione un iso-volume della seguente soluzione:

- Tris-HCl 0,5 M, pH 6,8 1 mL

- H2O 4 mL

- SDS 10% 1,6 mL

- Blu di bromo fenolo 0,05% (p/v) 0,2 mL

- Glicerolo 0,8 mL

- DDT 1 M 0,8 mL

Il preparato viene mantenuto a 100 °C per 3 min e poi caricato in appositi pozzetti ricavati nella

regione dello stacking gel. La successiva corsa elettroforetica viene effettuata a 200 V per circa 60

min, usando un tampone di scorrimento a pH 8,3 formato da:

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48

- SDS 1 g/l

- Tris-HCl 3 g/l

- Glicina 14,4 g/l

Terminata la corsa elettroforetica, il gel viene prima colorato con una soluzione di Blu di Comassie

0,25% (p/v) in acido acetico al 10% (p/v) e metanolo 50% (p/v) in acqua, successivamente si

procede con la decolorazione in una soluzione di acido acetico 7% e metanolo 25% in acqua.

Proteolisi limitata

La proteolisi limitata è una tecnica che permette lo studio più o meno qualitativo della struttura di

una proteina. Ci si avvale della capacità di alcune proteasi di tagliare in maniera specifica alcuni

legami peptidici. Se un legame peptidico, della proteina in studio, si trova in una regione esposta

della proteina o in una regione facilmente accessibile (loop o regioni a cerniera), la proteasi

specifica per quel legame avrà maggior facilità di accesso e taglierà il legame frammentando la

proteina in frammenti di specifica lunghezza.

Tanto minore sarà l'accessibilità al sito tanta più proteasi o più tempo di esposizione alla proteasi

dovrò avere perché il legame venga tagliato. Caricando su un gel SDS-PAGE il campione proteico

esposto alla proteasi è possibile separare i frammenti ottenuti e visualizzarne la grandezza (dal

confronto con uno standard molecolare). Si ottiene così uno specifico bandeggio relativo alla

digestione della proteina che stiamo studiando esposta alla proteasi che abbiamo utilizzato. Il

legame della proteina con un substrato può determinare un ingombro nella regione di taglio o

portare a modificazioni nella struttura della proteina portando così rispettivamente ad

un'intensificazione o una diminuzione della suscettibilità al taglio. Dallo studio della lunghezza dei

frammenti, in diverse condizioni sperimentali (diversa concentrazione e tempo di esposizione alla

proteasi), è possibile visualizzare la presenza di un cambiamento di conformazione. È possibile

inoltre confrontare strutture proteiche simili per capirne le differenze, oppure identificare le regioni

più resistenti al taglio ed inaccessibili.

Sequenziando i frammenti peptidici è poi possibile determinare la regione esposta al taglio. Questa

tecnica è stata utilizzata nel 1997 da Fontana et al. per determinare differenze dinamiche e

strutturali tra la forma olo- ed apo- enzimatica dell'emoglobina. Nel nostro caso è stato utile per

determinare la differenza strutturale tra la forma apo-enzimatica ed olo-enzimatica delle isoforme

mitocondriale e citosolica della hSHMT.

La parte difficile di questa tecnica è proprio l'analisi del gel risultante e del bandeggio ottenuto. Il

bandeggio, in entrambe le condizioni sperimentali, dovrebbe mostrarsi come un aumento delle

Page 51: Tesi Magistrale

49

bande a peso molecolare inferiore man mano che si aumenta il tempo di esposizione alla proteasi o

la sua concentrazione, poiché in entrambi i casi aumento la possibilità di accesso ai siti di taglio.

Per ottenere un buon risultato sperimentale è stato importante eseguire una serie di prove

preliminari per ottimizzare alcuni parametri : rapporto enzima/proteasi, la temperatura ed il tempo

di esposizione al taglio della proteasi.

Quindi inizialmente sono stati eseguiti esperimenti di proteolisi limitata sull’isoforma

mitocondriale con tre diverse proteasi, capaci di tagliare la proteina in corrispondenza di pochi e

specifici legami peptidici quali: tripsina, endoproteinasi GluC e chimotripsina. La tripsina ha

generato una maggiore varietà di taglio e di frammenti ed è stata scelta per procedere

nell’esperimento.

In seguito sono state messe appunto cinetiche di taglio proteolitico a diverse concentrazioni della

proteasi e a diversi tempi per identificare un range di concentrazioni delle specie che evidenziasse

possibili variazioni di taglio nel tempo.

Ciò che si è rivelato efficace nel nostro caso è stato utilizzare basse concentrazioni di proteasi

rispetto a quelle dell'enzima (1:100), temperature basse e tempi di reazione/esposizione alla

proteolisi non troppo lunghi. Il confronto dei gels elettroforetici ottenuti dal taglio delle due forme,

apo- ed olo-enzimatica, di ciascuna isoforma, ha permesso di rilevare delle differenze di bandeggio,

indice di diversità strutturale delle regioni soggette al taglio.

Prima di procedere al saggio di proteolisi limitata è stata sempre valutata l’attività dell’olo-enzima,

dell’apo-enzima e dell’apo-enzima + PLP rigenerato (ovvero incubato per 40 min con

concentrazione PLP almeno 4 volte superiore) utilizzando il saggio accoppiato all’Mtd descritto nel

paragrafo precedente. Questa analisi è stata condotta allo scopo di escludere che le proteine da

saggiare fossero già in parte degradate o non correttamente in folding.

Il saggio è stato condotto alla temperatura di 22°C ed in tampone KPi 20 mM di composizione

specifica per le due isoforme: pH 7.8, NaCl 50 mM, KCl 50 mM, DTT 1 mM, EDTA 0,2 mM,

glicerolo 5% per l’isoforma mitocondriale e pH 7.2, DTT 1 mM, EDTA 0.2 mM per quella

citosolica.

Parallelamente al saggio è stato anche eseguito un gel di controllo dell’autoproteolisi delle specie

reagenti.

Page 52: Tesi Magistrale

50

Protocollo comune ad entrambe le isoforme:

A) Preparati i seguenti campioni da incubare a RT per 40 minuti per dare modo al PLP di legarsi

alla tasca dell’enzima e ricostituire l’olo-SHMT:

Olo: 39.3 µl olo-hSHMT 0.3 mg/ml

Apo-SHMT + PLP: 2 µl PLP 2.2 mM + 150 µl Apo-SHMT Vf= 152 µl (Apo-SHMT

0.3 mg/ml)

Apo-SHM: 150 µl Apo 0.3 mg/ml

B) Campioni incubati in bagnetto termostatato a 22°C :

1. 15 μl Tripsina (0.06 mg/ml) + 30 μl Tampone Vf= 45 μl (Tripsina 0.02 mg/ml)

2. 80 μl Apo-SHMT+PLP + 37.6 μl Tripsina (0.06 mg/ml) Vf= 117.6 μl (Tripsina 0.02

mg/ml + Apo-SHMT 0.204 mg/ml)

3. 80 μl Apo-SHMT + 37.6 μl Tripsina (0.06 mg/ml) Vf= 117.6 μl (Tripsina 0.02 mg/ml

+ Apo-SHMT 0.204 mg/ml)

4. 72 μl Apo-SHMT+PLP rimasti + 33 μl Tampone Vf= 105 μl (Apo-SHMT 0.204

mg/ml)

5. 70 μl Apo-SHMT + 33 μl Tampone Vf= 103 μl apo-SHMT 0.204 mg/ml

6. aggiungere ai 39.3 µl olo-SHMT 18.5 µl di tampone Vf= 57.8µl ( olo 0.204 mg/ml)

Al campione 2 e 3 la tripsina è stata aggiunta solo quando tutti i campioni sono stati preparati e

portati a 22°C nel bagnetto.

Sono stati prelevati da ciascuno dei 6 campioni aliquote di 15 µl a tempi diversi. Prima

dell’aggiunta di tripsina sono stati prelevati subito al T=0 le aliquote dai campioni 4, 5 e 6 anche

per il gel di controllo dell’autoproteolisi delle specie reagenti.

Dopo l’aggiunta della tripsina sono state prelevate le aliquote da tutti i 6 campioni ai tempi 2.5’,

10’, 30’, 60’, 90’e 120’.

Le aliquote sono state mescolate ciascuna con 5 µl di Sample buffer 4X per fermare la reazione e

poi a 100°C per 3 minuti.

Infine i campioni sono stati caricati si gel elettroforetico SDS-PAGE e corsi come da protocollo. Le

bande dei gels sono state tagliate ed analizzate allo spettrometro di massa MALDI-TOFF.

Page 53: Tesi Magistrale

51

hSHMT1

hSHMT2

FIGURA 30. Gels di controllo dell’autoproteolisi delle specie reagenti.

3.9 Cromatografia di esclusione dimensionale (SEC)

La cromatografia di esclusione molecolare è un processo di analisi che si utilizza per separare

sostanze organiche aventi peso molecolare differente.

La fase stazionaria è composta da una matrice inerte disposta in microsfere che presentano dei pori

di dimensione selettiva per le macromolecole.

I soluti con un volume maggiore dei pori della fase stazionaria (ovvero con un peso molecolare più

grande) non verranno fermati nella loro corsa ma scivoleranno piuttosto tra le particelle della

matrice e usciranno dalla colonna con il fronte del solvente molto prima. I soluti che invece hanno

dimensioni minori rispetto al diametro e alla superficie dei pori saranno trattenuti dalla colonna per

un tempo proporzionale al peso molecolare del soluto stesso. Eluiscono dalla colonna quindi prima

le molecole più grandi e via via quelle a peso molecolare inferiore.

Per i nostri esperimenti ci siamo avvalsi di un apparato cromatografico FPLC Aktaprime delle GE

Healthcare. La colonna cromatografica utilizzata è stata una Superdex 200. Le corse

cromatografiche sono state effettuate in tampone KPi 20 mM pH 7.2, DTT 1 mM, EDTA 0.2 mM.

Legenda:

1. olo-hSHMT 0 min

2. Apo-hSHMT 0 min 3. Apo-hSHMT + PLP 0 min 4. Standard 5. olo-hSHMT 30 min 6. Apo-hSHMT 30 min 7. Apo-hSHMT + PLP 30 min 8. olo-hSHMT 2 h 9. Apo-hSHMT 2 h 10. Apo-hSHMT + PLP 2 h

Page 54: Tesi Magistrale

52

3.10 Dicroismo circolare ed esperimenti di denaturazione termica

Il dicroismo circolare (CD) è una tecnica spettroscopica che permettte di determinare la presenza

ed il tipo di struttura secondaria di proteine e peptidi. Il metodo si basa sul fenomeno di

assorbimento differenziale della luce polarizzata da parte di molecole intrinsecamente chirali, o

achirali, ma immerse in un rigido intorno asimmetrico.

Ogni cromoforo chirale o appartenente ad una molecola chirale presenta un assorbimento

caratteristico a determinate lunghezze d’onda. Per quanto riguarda le proteine, informazioni

interessanti si possono trarre dall’esame della zona compresa tra 250 e 190 nm (lontano UV). In

questa zona il cromoforo responsabile del segnale dicroico è il gruppo ammidico che presenta un

profilo di ellitticità diverso a seconda della conformazione degli angoli di legame dei gruppi

adiacenti, ovvero a seconda del tipo di struttura secondaria in cui è inserito.

Inoltre la forma dello spettro può venire influenzata da vari fattori quali la rigidità della proteina, le

interazioni con l’ambiente circostante, il numero di residui aromatici, la polarità del solvente e la

temperatura. In particolare se le catene laterali sono mobili, l’intensità della banda CD diminuisce.

Con questa tecnica si possono pertanto analizzare le cinetiche di denaturazione termica delle

proteine registrando la diminuzione del segnale dicroico durante il de-folding della specie in analisi

ed associare una misura quantitativa alla stabilità dello stato di folding della proteina.

Nel saggio da noi eseguito abbiamo saggiato la stabilità delle forme apo ed olo-enzimatiche di

entrambe le isoforme della SHMT umana. Le forme olo-enzimatiche sono state ottenute incubando 25

µM o 45 µM di PLP all’apo-SHMT1 ed all’apo-SHMT2 rispettivamente. I campioni proteici,

concentrati 4 µM in soluzione, sono stati riscaldati dalla temperatura di 30 °C a 90°C, con un tasso di

incremento della temperatura controllato di 1 °C/minuto. L’attività dicroica a 220 nm è stata

monitorata ogni 0.5 °C. I dati ottenuti sono stati raccolti e la curva fittata secondo l’equazione qui di

seguito riportata:

(

)

corrisponde al massimo intervallo di ellitticità, T è la temperatura espressa in ° C, Tm è la temperatura di

melting apparente e n la ripidità della curva sigmoidale.

Page 55: Tesi Magistrale

53

4. RISULTATI E DISCUSSIONE

Le isoforme della SHMT umana possiedono proprietà catalitiche

simili

Per l’espressione e la purificazione dell’isoforma citosolica (hSHMT1) e mitocondriale (hSHMT2)

della serina idrossimetiltransferasi umana è stato seguito il protocollo presente in letteratura,

relativo alla rcSHMT (isoforma di coniglio) e descritto nella sezione materiali e metodi. (Di Salvo

et al., 1998)

Il primo passo condotto nello studio della SHMT umana è stato quello di determinare i parametri

cinetici della reazione fisiologica catalizzata dalle due isoforme. La scelta di compiere tale analisi

preliminare è stata presa sulla base dell’evidenza che tali parametri sono importanti per evidenziare

eventuali differenze tra gli isoenzimi. Inoltre la caratterizzazione cinetica delle isoforme di un

enzima si è spesso rivelato un importante strumento nello studio dell’inibizione attuata da un

possibile agente chemioterapico.

I saggi enzimatici sono stati effettuati in triplicato, ad una temperatura costante di 30°C, in tampone

KPi 20 Mm pH 7.2, contenente DTT 0.2 mM e EDTA 0.1 mM . Dal momento che l’enzima

utilizza due substrati, per ciascun isoenzima sono stati condotti due serie di esperimenti

indipendenti; una a concentrazione saturante di tetraidrofolato (THF) e concentrazioni crescenti di

L-Serina e l’altra a concentrazione saturante di L-serina e concentrazione variabile di THF. Per

misurare l’attività catalitica dell’enzima è stato utilizzato un saggio accoppiato con la metilen-THF

deidrogenasi (vedi Materiali e Metodi). I risultati sono stati riportati in grafico come velocità

iniziale (Vi) in funzione della concentrazione del substrato non saturante. A concentrazioni di THF

superiori a 40 µM si è osservato il fenomeno dell’inibizione da substrato e ne è stato tenuto conto

durante l’analisi dei dati. Sono state così determinate la costante catalitica kcat e la costante di

Michaelis-Menten αKm (Km apparente determinata a concentrazione saturante dell’altro substrato)

per ciascun substrato e con entrambe le isoforme dell’enzima e sono state riportate in una tabella

dove è possibile vederle a confronto. (Figura 31)

Le costanti catalitiche ottenute per le due isoforme sono diverse e questo è dovuto all’effetto

inibitorio del THF che non ci permette di rilevare la velocit massima dell’enzima. A

concentrazione saturante di L-Serina la velocit massima che si osserva è più bassa rispetto a quella

che l’enzima avrebbe a causa dell’effetto inibitorio del THF a concentrazioni superiori a 40 µM.

Inoltre la concentrazione del THF alla quale si raggiunge tale velocit non corrisponde alla

concentrazione saturante per l’enzima. Di conseguenza la concentrazione di THF (50 µM),

Page 56: Tesi Magistrale

54

utilizzata per la determinazione della costante catalitica dell’enzima per la L-Serina, è stata

necessariamente scelta per evitare l’effetto di inibizione ma non è saturante. Nonostante questo

effetto di inibizione i parametri cinetici ottenuti per le due isoforme sono molto simili, pertanto gli

isoenzimi non differiscono per quanto riguarda le proprietà catalitiche.

hSHMT1

hSHMT2

ENZIMA Substrato kcat (s-1) αKm (M)

hcSHMT THF 1158 ± 84,8 10,65 ± 1,86

hmSHMT THF 1883 ± 214.3 23.01 ± 4.12

hcSHMT L-Serina 715.4 ± 8.3 0,225 ± 0,01

hmSHMT L-Serina 788.1 ± 12.8 0.278 ± 0.02

FIGURA 31. Parametri cinetici delle isoforme SHMT1 e SHMT2 umane. Le curve di saturazione ottenute

variando la concentrazione di THF sono state analizzate usando l’equazione: y = Vmax x [X]/ Km+ [X] x ( 1+

[X]/ki) (dove la X corrisponde al substrato)

Page 57: Tesi Magistrale

55

Inoltre è stata saggiata l’affinità di entrambe le isoforme della SHMT umana per il cofattore PLP.

L’analisi è stata condotta sfruttando lo smorzamento della fluorescenza che si osserva quando il

PLP si lega alla proteina. Misurando l’emissione di fluorescenza ottenuta eccitando i residui di

aromatici (eccitazione a 280 nm) delle forme apo-enzimatiche della SHMT1 e SHMT2 in presenza

di concentrazioni crescenti di PLP (0.1–3 M), è stato possibile ottenere delle curve di saturazione

dalle quali è stata determinata la costante di dissociazione del PLP (Figura 32). L’isoforma

citosolica hSHMT1 possiede una Kd per il PLP di 0.25± 0,08 µM, mentre per l’isoforma

mitocondriale la Kd ha un valore leggermente più alto (0.44 ±0,13 µM). In ogni modo l’equilibrio

di legame della SHMT umana al PLP risulta essere caratterizzato da una costante di dissociazione

dell’ordine del sub-micromolare simile per entrambe le isoforme.

FIGURA 32. Comparazione delle curve di saturazione ottenute per il legame del PLP all’apo-hSHMT1 e

all’apo-hSHMT2. La variazione di fluorescenza è riportata nel grafico come variazione frazionale.

Page 58: Tesi Magistrale

56

l’Olo- e l’apo-SHMT2 hanno diversa struttura quaternaria

Le isoforme citosolica e mitocondriale della SHMT umana, come tutte le altre isoforme

eucaristiche della SHMT, possono essere descritte come dei tetrameri di circa 250 kDa, composti

da due dimeri obbligati che rappresentano la minima unità catalitica dell’enzima. (Renwick SB et

al., 1998; Szebenyi DM et al., 2000; , Scarsdale JN et al., 1999.). In passato è stato

sperimentalmente provato che mutazioni ai residui di istidina, nel sito attivo dell’isoforma

citosolica della hSHMT, impediscono il legame del PLP e spostano l’equilibro tetramero-dimero

verso la dissociazione a dimero. Viceversa mutazioni che impediscono l’assemblaggio tetramerico

inducono anche una più bassa affinità dell’enzima per il suo cofattore. (Zanetti K and, Stover PJ

(2003); Jagath JR et al., 1997; , JALA V et al., 2003; Krishna Rao J V et al., 1999 ) Dato che il

sito attivo è collocato molto lontano rispetto all’interfaccia tetramerica, ci si è posti la questione di

come lo stato di oligomerizazione dell’enzima potesse essere disturbato dall’affinità per il suo

cofattore. Abbiamo pertanto avanzato l’ipotesi che l’enzima possieda un meccanismo di

tetramerizzazione dipendente dalla presenza del cofattore PLP. Per studiare evento questo apetto è

stata scelta inizialmente l’isoforma mitocondriale umana, la meno caratterizzata in letteratura e ne è

stata determinata e risolta la struttura cristallografica nella forma olo-enzimatica. I cristalli sono

stati ottenuti con il metodo della diffusione di vapore, dal dott. Giorgio Giardina del dipartimento

di Scienze Biochimiche "A.R. Fanelli" ed i dati sulla struttura depositati nel Protein Data Bank

con il numero di accesso 4pvf. La struttura cristallografica della forma olo-enzimatica è stata poi

comparata dettagliatamente con la forma apo-enzimatica (apo-hSHMT2), recentemente risolta da

altri autori e presente nella Protein Data Bank (PDB; scrivi indirizzo web), che si presenta come

dimero. L’olo-SHMT2 e l’apo-SHMT2 mostrano differenze strutturali sostanziali. La prima

differenza si riscontra nella disposizione spaziale delle subunità che costituiscono ciascuna unità

dimerica. Nella forma apo-hSHMT2 i due domini grandi, presenti su entrambe le subunità, sono

ruotati di 10° rispetto alla disposizione degli stessi nella forma olo-hSHMT2. Inoltre si pongono ad

una distanza massima di 10 Å. (Figura 33)

Page 59: Tesi Magistrale

57

FIGURA 33. Differenze conformazionali dei dimeri Apo- ed olo-hSHMT2. I domini grande e piccolo e

l’elica N-terminale di una delle due subunità del dimero sono evidenziate da colori diversi. La subunità

adiacente è colorata in grigio. Le frecce indicano la direzione del movimento rigido che determina la

conformazione aperta riscontrata nella forma apo-enzimatica. La posizione dell’istidina His-137 è indicata

dalla colorazione in ciano. La posizione della lisina Lys-259 nel sito attivo è colorata in magenta.

Una delle differenze più rilevanti si riscontra però a livello del sito di legame del PLP. Mentre

l’olo-hSHMT2 mostra un sito attivo ben chiuso e strutturato, la forma apo-enzimatica, priva del

PLP, presenta un sito attivo esposto al solvente e parzialmente destrutturato. In particolare, due

regioni che contribuiscono alla formazione del sito attivo non sono visibili nella mappa di densità

elettronica, indicando che esse rimangono destrutturate e mobili. La destrutturazione di queste

regioni è responsabile della conformazione aperta della forma apo-SHMT2. La prima regione

comprende i residui dal 146 al 172 e partecipa alla formazione della tasca che accoglie il PLP. Tra

questi residui in particolare si colloca la His-150 che interagisce direttamente con il coenzima. La

seconda regione (residui 78’-88’; l’apostrofo indica che questi residui appartengono all’altra

subunità che forma il dimero) si colloca in posizione opposta al sito attivo, tra le subunità

appartenenti ad un dimero e contribuisce alla formazione della tasca di legame al substrato.

(Figura 34)

Page 60: Tesi Magistrale

58

FIGURA 34. Ingrandimento del sito attivo della forma olo-hSHMT2 dove sono mostrate con colori

diversi le regioni che sono destrutturate nella forma apo-hSHMT2.

Tuttavia, sovrapponendo la struttura di una singola subunità della forma apo-enzimatica con quella

della forma olo-enzimatica si può osservare un buon livello di sovrapposizione sia del dominio

grande che di quello piccolo C-terminale. L’unica differenza riguarda lo spostamento dell’elica N-

terminale. Questa analisi indica che la conformazione più aperta della forma apo-SHMT2 è causata

da un movimento rigido di entrambi i domini, grande e piccolo, di ciascuna subunità, intorno ad

una regione cerniera, costituita da un loop che li connette all’elica N-terminale.

Dall’analisi della struttura cristallografica dell’apo-hSHMT già depositata , è stato inoltre possibile

verificare che la conformazione aperta del sito attivo comporta la perdita di un gran numero di

interazioni idrofobiche nella regione che si interfaccia tra i due dimeri. La transizione dalla forma

olo-enzimatica a quella apo-enzimatica comporta quindi la drastica riduzione dell’interazione tra i

dimeri che compongono il tetramero. A supporto di tale evidenza è stato già in precedenza

verificato che l’energia di dissociazione dell’interfaccia dimerica, calcolata per la forma apo-

SHMT2, è del 50% più bassa rispetto a quella ottenuta dalla forma olo-SHMT2 (rispettivamente

2470 contro 4480 Å2 e -22.6 contro -40.6 kcal/mole). Nella struttura tetramerica della olo-hSHMT

la regione che si interfaccia tra i due dimeri è molto piccola e vi si affacciano quattro residui

altamente conservati di istidina, che corrispondono all’His-137 di ciascuna delle quattro subunità

del tetramero. Questi residui sono responsabili dell’interazione stabile dei dimeri obbligati e sono

coinvolti nella formazione del tetramero olo-enzimatico (Figura 35). Infatti la mutazione dell’His-

137 rende l’enzima dimerico. (Jagath JR et al., 1997) Nella struttura dimerica dell’apo-hSHMT2 i

residui H137 sono lontani tra loro rispetto alla struttura dell’olo-hSHMT2 (Figura 33).

Page 61: Tesi Magistrale

59

FIGURA 35. Rappresentazione della struttura tetramerica della forma olo-hSHMT2 nel reticolato

cristallino. L’ingrandimento della regione che si interfaccia tra i due dimeri obbligati mostra i quattro residui

di His-137.

Alla luce di queste osservazioni è stato dunque possibile affermare che nella forma olo-SHMT2,

quando il cofattore PLP occupa il sito attivo, il dimero assume una conformazione chiusa ed orienta

i residui di His-137 in modo che possano interagire e promuovere la formazione del tetramero.

Nella forma apo-enzimatica, la mancanza del PLP causa la destrutturazione del sito attivo, il

movimento rigido delle subunità dimeriche ed una conformazione più aperta della hSHMT2. In

questo modo i residui di istidina His-137 si allontanano di più di 10 Å e non sono più in grado di

interagire tra loro. La forma apo-enzimatica risulta così dimerica. Il legame del PLP al sito attivo

dovrebbe quindi favorire la transizione dallo stato aperto a quello chiuso dell’olo-SHMT2,

spostando l’equilibrio a favore dello stato chiuso ed influenzando l’oligomerizzazione dell’enzima.

Infatti escludendo la SHMT umana, esistono ben sei strutture cristallografiche della forma apo-

SHMT purificata da batteri, depositate nella Protein Data Bank. Tutte sono dimeriche e tutte hanno

la stessa regione destrutturata che si riscontra anche nell’apo-hSHMT. Questo suggerisce ed

avvalora l’ipotesi che sia il legame con il PLP a determinare la strutturazione del sito attivo.

(Angelaccio S. et al., 2014) Tuttavia va ricordato che le isoforme batteriche della SHMT sono

funzionali come dimeri a differenza di quelle eucariotiche che sono tetrameriche. Tra queste forme

apo-enzimatiche batteriche solo una mostra una conformazione completamente aperta come l’apo-

SHMT2 umana, le altre sono in una conformazione intermedia o completamente chiusa.

Page 62: Tesi Magistrale

60

Il legame del PLP determina la tetramerizzazione della forma

mitocondriale

Per avvalorare l’ipotesi del meccanismo di tetramerizzazione dipendente dal PLP e per scoprire se

questo sia comune ad entrambe le isoforme dell’enzima umano, sono stati effettuati una serie di

esperimenti in soluzione sulle isoforme mitocondriale e citosolica della hSHMT in forma apo- e

oloenzimatica. Ci siamo avvalsi di un saggio di proteolisi limitata per analizzare la struttura degli

enzimi in presenza o in assenza del cofattore PLP. I frammenti della proteina risultanti dalla

digestione sono stati poi identificati tramite spettrometria di massa. Il saggio è stato condotto alla

temperatura di 22°C ed in tampone KPi 20 mM. A ciascuna isoforma, sia nello stato apo-hSHMT

che apo-hSHMT + PLP (olo-enzima ricostituito), è stata aggiunta una concentrazione fissa di

tripsina (0.06 mg/ml). La reazione di proteolisi è stata poi fermata a tempi diversi (2.5’, 10’, 30’,

60’, 90’e 120’) per ottenere una cinetica di taglio proteolitico delle isoforme (protocollo riportato

nella sezione materiali e metodi). Ciascun campione è stato poi sottoposto a SDS-PAGE per

separare i frammenti proteici ottenuti. Contemporaneamente al saggio proteolitico, è stato anche

condotto un saggio di controllo della stabilità e dell’auto-proteolisi delle specie reagenti per

confermare la validità dei risultati ottenuti. Gli esperimenti condotti hanno evidenziato una

differente suscettibilità delle isoforme mitocondriale e citosoloca al taglio della proteasi. La

SHMT1 viene digerita lentamente e praticamente in un solo sito, senza notevoli differenze tra la

forma apo- e quella olo-enzimatica con il PLP legato. Ben altro risultato si osserva invece per

l’isoforma mitocondriale. La digestione delle forme olo- ed apo-enzimatica della hSHMT2 ha

mostrato notevoli differenze. Rispetto a quanto accade per la forma olo-enzimatica, il taglio della

forma apo-SHMT2 ha dato 4 bande ben distinte, che sono il risultato di due siti di taglio,

sequenziali nel tempo. La banda 1 e la banda 3 compaiono presto (Figura 36). Successivamente va

a diminuire di intensità la banda 1, aumentano la banda 2 e la 4, mentre la 3 rimane costante. I siti

di taglio corrispondono a regioni comprese nell’interfaccia tra i dimeri. In particolare il primo sito

di taglio avviene a livello della Lys-160, collocata proprio tra i dimeri, nella regione destrutturata

della apo-SHMT2 che comprende i residui dal 142 al 176. Questo taglio produce due frammenti

corrispondenti alle bande 1 (~35.8 KDa) e 3 (~17.7 KDa). Il\ secondo taglio avviene sulla Lys-281,

residuo compreso nel frammento corrispondente alla prima banda ed origina la banda 2 (~23KDa)

e la 4 (~13 KDa). La Lys-281 si trova in un’ansa esposta al solvente ma vicina all’interfaccia

dimerica. (Figura36)

Page 63: Tesi Magistrale

61

FIGURA 36. Analisi tramite SDS-PAGE della cinetica di proteolisi limitata e schema del pattern di taglio

sulla hSHMT2. I gels in alto corrispondono al taglio proteolitico della tripsina sull’isoforma citosolica della

SHMT. Un unico sito di taglio genera una banda sia nella forma olo che apo della proteina. I gels a seguire

corrispondono al taglio proteolitico della tripsina sull’isoforma mitocondriale della SHMT. Si possono

osservare quattro bande di frammenti solo nelle forme apo dell’enzima. Le bande analizzate allo spettrometro

di massa MALDI-TOFF sono numerate ed indicate dalle frecce. Al centro schema rappresentativo dei siti di

taglio sulla hSHMT2 e della grandezza dei frammenti ottenuti e analisi grafica adiacente della sequenzialità

del taglio basata sull’intensità delle bande. In basso localizzazione dei siti di taglio sulla struttura tetramerica.

Le subunità partner del dimero obbligato sono colorate in grigio ed il secondo dimero del tetramero in giallo.

(K281)

Page 64: Tesi Magistrale

62

Viceversa, l’unico frammento proteolitico che si riscontra dal taglio dell’isoforma citosolica ha un

peso molecolare di ~ 48.5 KDa e il sito di taglio corrisponde all’arginina Arg-444, collocata in

un’ansa esposta al solvente. Non sorprende quindi che il taglio avvenga in entrambe le forme apo-

ed olo-enzimatiche dell’isoforma citosolica.

Dall’allineamento delle sequenze delle due isoforme è stato possibile verificare che mentre i siti di

taglio corrispondenti alla Lys-160 e Lys-281 sono presenti anche nella SHMT1, l’Arg-444 è parte

di una tripletta amminoacidica che non è conservata e non è presente nella forma mitocondriale

hSHMT2. (Figura 37) Quindi il taglio proteolitico che si riscontra sulla hSHMT1 non è presente

sull’isoforma mitocondriale per la mancanza di tale tripletta. Invece l’assenza nella SHMT1 di

tagli nelle regioni corrispondenti alla Lys-160 ed alla Lys-281, indica che questi siti devono essere

inaccessibili nell’isoforma citosolica.

FIGURA 37. Allineamento delle sequenze amminoacidiche della hSHMT1 e hSHMT2. Nell’immagine

sono evidenziati i possibili siti di taglio della tripsina colorati in rosso per l’isoforma citosolica ed in verde

per quella mitocondriale. I cerchi identificano i siti di taglio riscontrati.

hcSHMT QPLKDSDVEVYNIIKKESNRQRVGLELIASENFASRAVLEALGSCLNNKYSEGYPGQRYY

. :.::: :.......:..:: :::::::::: :::.::::::::::::::::::.:::

hmSHMT ESLSDSDPEMWELLQREKDRQCRGLELIASENFCSRAALEALGSCLNNKYSEGYPGKRYY

30 40 50 60 70 80

90 100 110 120 130 140

hcSHMT GGTEFIDELETLCQKRALQAYKLDPQCWGVNVQPYSGSPANFAVYTALVEPHGRIMGLDL

::.: .::.: :::.:::.:. ::: ::::::::::::::.::::::..:: :::::::

hmSHMT GGAEVVDEIELLCQRRALEAFDLDPAQWGVNVQPYSGSPANLAVYTALLQPHDRIMGLDL

90 100 110 120 130 140

150 160 170 180 190 200

hcSHMT PDGGHLTHGFMTDKKKISATSIFFESMPYKVNPDTGYINYDQLEENARLFHPKLIIAGTS

:::::::::.:.: :.::::::::::::::.:: :: :.:.:: .::::.:.:::::::

hmSHMT PDGGHLTHGYMSDVKRISATSIFFESMPYKLNPKTGLIDYNQLALTARLFRPRLIIAGTS

150 160 170 180 190 200

210 220 230 240 250 260

hcSHMT CYSRNLEYARLRKIADENGAYLMADMAHISGLVAAGVVPSPFEHCHVVTTTTHKTLRGCR

:.: ..:::.:.. :: :.:.:::::::::::: :.::::.: .::::::::::: :

hmSHMT AYARLIDYARMREVCDEVKAHLLADMAHISGLVAAKVIPSPFKHADIVTTTTHKTLRGAR

210 220 230 240 250 260

270 280 290 300 310 320

hcSHMT AGMIFYRKGVKSVDPKTGKEILYNLESLINSAVFPGLQGGPHNHAIAGVAVALKQAMTLE

.:.::::::::.::::::.:: :..:. :: ::::.:::::::::::.:::::::: :

hmSHMT SGLIFYRKGVKAVDPKTGREIPYTFEDRINFAVFPSLQGGPHNHAIAAVAVALKQACTPM

270 280 290 300 310 320

330 340 350 360 370 380

hcSHMT FKVYQHQVVANCRALSEALTELGYKIVTGGSDNHLILVDLRSKGTDGGRAEKVLEACSIA

:. :. ::. : ::...:: : ::..:.::.::::.::::: :: ::.:::.::: ::.

hmSHMT FREYSLQVLKNARAMADALLERGYSLVSGGTDNHLVLVDLRPKGLDGARAERVLELVSIT

330 340 350 360 370 380

390 400 410 420 430 440

hcSHMT CNKNTCPGDRSALRPSGLRLGTPALTSRGLLEKDFQKVAHFIHRGIELTLQIQSDTGVRA

:::::::::::. :.:::::.:::::: . : ::..:. :: .:... :...: : :

hmSHMT ANKNTCPGDRSAITPGGLRLGAPALTSRQFREDDFRRVVDFIDEGVNIGLEVKSKT---A

390 400 410 420 430 440

450 460 470 480

hcSHMT TLKEFKERLAGDKYQAAVQA-LREEVESFASLFPLPGLPD

:..:: : :. . : ::..::.:: ::.::. .

hmSHMT KLQDFKSFLLKDSETSQRLANLRQRVEQFARAFPMPGFDE

450 460 470 480

Page 65: Tesi Magistrale

63

Queste osservazioni prese insieme dimostrano che il legame del PLP al sito attivo dell’enzima ha

sicuramente un effetto protettivo dal taglio della tripsina e che l’apo-SHMT2 probabilmente cambia

la sua struttura dopo aver legato il cofattore, passando dallo stato dimerico a quello tetramerico nel

quale i siti di taglio divengono inaccessibili. L’isoforma citosolica invece si dimostra più strutturata

e probabilmente è in grado di mantenere una conformazione tetramerica anche nella sua forma apo-

enzimatica, impedendo sempre l’acceso della tripsina ai siti di taglio. Il legame del cofattore

sembra quindi avere un impatto maggiore sullo stato di oligomerizzazione della SHMT

nell’isoforma mitocondriale rispetto all’isoforma citosolica.

Allo scopo di confermare tale risultato le isoforme della serina idrossimetiltrasferasi sono state

analizzate mediante cromatografia per esclusione molecolare (SEC size –excusion

chromatography) in tre differenti condizioni:

1) apo-enzima in soluzione;

2) apo enzima in soluzione precedentemente incubato con eccesso di PLP (olo-enzima

ricostituito);

3) apo-enzima precedentemente incubato con eccesso di PLP (olo-enzima ricostituito) e

sottopostoa cromatografia in tampone contenente lo stesso cofattore.

L’eluato in uscita dalla colonna èstato analizzato misurando l’assorbanza a 280 nm (assorbanza

proteica) e 430 nm (aldimmina interna). I profili di eluizione ottenuti sono riportati in figura 38.

Come ci si aspettava la forma apo-enzimatica della SHMT2 è eluita dalla colonna come una

proteina dimerica, mentre la stessa incubata con eccesso di PLP (olo-enzima) è eluita in larga parte

come proteina tetramerica. Invece l’enzima citosolico è eluito dalla colonna come proteina

tetramerica in entrambe le forme apo- ed olo-enzimatica.

Page 66: Tesi Magistrale

64

FIGURA 38. Cromatografia per esclusione molecolare (SEC) sulle isoforme hSHMT1 e hSHMT2. In alto

profili cromatografici dei campioni contenenti gli apo-enzimi incubati per 30 minuti con PLP 10 µM (+PLP)

eluiti con SEC-buffer contenente PLP 10 µM (+PLP). Al centro apo-enzimi incubati per 30 minuti con il PLP

(+PLP) eluiti con SEC-buffer (-PLP). In basso apo-enzimi (-PLP) eluiti con SEC-buffer (-PLP). Le frecce

corrispondono al peso molecolare apparente di 250 kDa (tetramero) e 110 kDa (dimero).

Page 67: Tesi Magistrale

65

I due isoenzimi hanno differente stabilità: la struttura tetramerica

dell’isoforma citosolica della hSHMT è più stabile rispetto a quella

dell’isoforma mitocondriale.

La conformazione della forma apo-enzimatica della SHMT1 sembra essere quindi più stabile ed in

grado di mantenere la proteina in uno stato tetramerico. Allo scopo di verificare la differenza di

stabilità strutturale delle due isoforme enzimatiche sono stati eseguiti esperimenti di denaturazione

termica delle proteine in soluzione. Ciascuno degli isoenzimi, sia in forma di apo- sia di olo-

enzima, è stato riscaldato dalla temperatura di 30 °C a 90°C ed è stata misurata la diminuzione del

segnale dicroico a 220 nm durante la denaturazione della proteina in soluzione. Le curve di

denaturazione risultanti indicano una cospicua differenza tra i due isoenzimi, con l’isoforma

mitocondriale che mostra una temperatura di melting di circa 10°C più bassa rispetto alla isoforma

citosolica, sia per le forme apo- che olo- enzimatiche (inserisci tabella con i parametri Tm e n,

scivendo anche l’equazione usata per l’analisi). Un altro aspetto importante è che la denaturazione

di entrambe le forme apo- ed olo-SHMT2 avviene più rapidamente, come indicato dall’aumento di

pendenza delle curve. Inoltre la differenza tra la temperatura di melting delle forme apo- ed olo-

della SHMT2 è più grande rispetto a quella che si riscontra tra le forme della SHMT1. (Figura 39)

Questi risultati presi insieme confermano che la struttura della forma apo-enzimatica della SHMT2

è maggiormente destrutturata rispetto alla corrispettiva forma citosolica perché si denatura più

velocemente e ad una temperature più bassa. Anche il corrispettivo oloenzima tetramerico risulta

meno stabile dell’oloenzima hSHMT1. Inoltre, il legame del PLP all’apoenzima stabilizza

maggiormente l’isoforma mitocondriale.

FIGURA 39. Curve di denaturazione termica delle strutture apo- ed olo-enzimatiche delle isoforme

hSHMT1 e hSHMT2. Le linee tratteggiate corrispondono ai dati sperimentali ottenuti mentre quelle continue

sono le curve teoriche risultanti dall’analisi dei dati attraverso l’equazione: (

)

Page 68: Tesi Magistrale

66

L’isoforma mitocondriale e citosolica della hSHMT hanno una

diversa conformazione

Tutti questi risultati non lasciano dubbi sul fatto che le isoforme citosolica e mitocondriale

possiedano un panorama conformazionale estremamente differente, così diverso appare l’equilibrio

che si instaura tra la forma chiusa ed aperta. La conformazione della forma apo-enzimatica della

SHMT1 sembra essere più stabile e capace di permanere in uno stato tetramerico che poi

probabilmente si struttura maggiormente in presenza del cofattore, rendendo l’enzima

cataliticamente attivo. Al contrario la destrutturazione della apo-SHMT2 è maggiore e l’isoforma

mitocondriale in assenza del cofattore non tetramerizza rimanendo dimerica. Per l’isoforma

mitocondriale esiste pertanto un equilibrio conformazionale tra una forma apo-enzimatica aperta,

dimerica ed una chiusa, tetramerica, in legame con il PLP.

Sulla base dei risultati sperimentali ottenuti è stato possibile creare un modello dell’equilibrio

conformazionale dell’isoforma mitocondriale. (Figura 40)

Secondo il modello proposto, in assenza del cofattore PLP la regione tra le subunità che

costituiscono il dimero obbligato è destrutturata, tanto da rendere il dimero aperto al solvente ed

incapace di interagire con un altro dimero. In presenza del PLP, la regione centrale si struttura

determinando la chiusura del dimero obbligato e l’avvicinamento delle istidine His-137. Queste

istidine dell’interfaccia dimerica possono a questo punto interagire portando alla tetramerizzazione

dell’isoforma enzimatica. È infine importante notare che i dati cristallografici suggeriscono che

solo il dimero in conformazione chiusa può evolvere a tetramero.

Page 69: Tesi Magistrale

67

FIGURA 40. Schema dell’equilibrio conformazionale della hSHMT. Le conformazioni colorate indicano

quelle che sono state risolte da analisi cristallografiche mentre quelle in trasparenza indicano ipotetiche

conformazioni esistenti.

Page 70: Tesi Magistrale

68

L’analisi dei siti di Modifica Post-Traduzionale nelle isoforme

hSHMT1 e hSHMT2 suggeriscono un meccanismo di regolazione

diverso per i due isoenzimi

Considerato che le SHMT batteriche sono cataliticamente attive come dimeri non è ancora chiaro

il ruolo dell’assemblaggio tetramerico che si riscontra nell’enzima umano e negli enzimi eucaristici

u in genere. La risposta a tale quesito potrebbe affiorare dai risultati della ricercata condotta dal

dott. Giorgio Giardina sui siti di modifica post-traduzionale (PTM) presenti sulle isoforme della

SHMT umana. Come previsto entrambe le isoforme sembrano essere altamente regolate dalla

PTM; alcuni siti sono hot spots per queste modifiche e bersaglio di più tipologie di PTM. Ad

esempio una sofisticata competizione tra sumorilazione ed ubiquitinazione avviene sul residuo

lisina Lys-38 e concorre alla regolazione della localizzazione nucleare e degradazione della

SHMT1(Donald D. Anderson et al., 2012). L’isoforma mitocondriale presenta molti siti di

modifica post-traduzionale in comune con SHMT1 e molti siti di acetilazione, modifica comune

attuata come meccanismo regolatorio nel metabolismo mitocondriale. Tuttavia nulla si sa riguardo

la sua regolazione. La comparazione tra i siti PTM e le tipologie di modifiche che incorrono nelle

due isoforme fa pensare ad un differente meccanismo di regolazione per questi isoenzimi. Entrambi

possiedono un sito di PTM collocato nel dominio C-terminale. Al contrario il dominio N-terminale

della SHMT1 presenta una regione bersaglio di queste modifiche che manca nella SHMT2. Inoltre

l’isoforma mitocondriale sembra avere un sito PTM proprio al livello della regione coinvolta nella

transizione conformazionale descritta in precedenza. In particolare due siti preferenziali ricadono

proprio sui i residui di lisina (Lys-160 e Lys-276) coinvolti nel taglio proteolitico della tripsina nel

saggio precedente.

I risultato di questa indagine apre uno spiraglio interessante su nuove linee di ricerca. Una tra tutte

riguarda l’ipotesi che, solo nell’isoforma mitocondriale umana, il sito di PTM sulle lisine Lys-160 e

Lys-276 possa essere modificato per impedire la formazione del tetramero e quindi dell’olo-enzima

cataliticamente attivo. La struttura tetramerica dell’enzima umano potrebbe essersi pertanto evoluta

allo scopo di aumentare il livello di regolazione dell’attivit catalitica dell’enzima. D’altra parte

l’aumento dei meccanismi di regolazione dell’espressione genica e dell’attività proteica è un

fenomeno accertato e cardinale dell’evoluzione biologica.

Page 71: Tesi Magistrale

69

5. CONCLUSIONI

I nostri risultati mostrano che nella forma apo-enzimatica l’isoforma mitocondriale e citosolica

umana della SHMT possiedono una conformazione ed una struttura quaternaria considerevolmente

differente a dispetto della loro elevata identità di sequenza. La loro regolazione potrebbe essere

estremamente differente ed attuata sia dalla disponibilità di PLP che dalla PTM. Abbiamo

dimostrato che l’enzima sottostà ad un complesso schema conformazionale determinato dalla

transizione tra uno stato aperto disordinato ed uno chiuso e stabile, che in ultimo determina il

corretto stato di oligomerizzazione dell’enzima. In questo scenario il legame del cofattore PLP

sembra essere determinante solo nel caso del SHMT2, che possiede una struttura tetramerica meno

stabile rispetto alla controparte citosolica. Quest’ultima si è difatti dimostrata capace di mantenere

lo stato tetramerico anche in assenza del PLP.

In ultimo, dalla ricerca sperimentale condotta sui siti di modifica post-traduzionale (PTM)

dell’enzima, si è concretizzata l’idea che il più alto ordine di oligomerizzazione, la complessità

della conformazione spaziale delle isoforme eucariote, potrebbe essere correlato a nuove funzioni

(anche non enzimatiche) e meccanismi di regolazioni più complessi.

Questi isoenzimi hanno pertanto tutte le caratteristiche per poter ipotizzare un contributo diverso di

ciascuna al metabolismo cellulare.

I dati sperimentali raccolti si sono rivelati estremamente utili per delineare un quadro più chiaro

degli aspetti biochimici e cellulari dell’enzima e potranno essere molto utili, nelle fasi successive

del progetto, per studiare la cinetica di legame di un potenziale inibitore enzimatico.

Page 72: Tesi Magistrale

70

RINGRAZIAMENTI

Ringrazio prima di tutto il docente che con pazienza ed estrema disponibilità, mi ha seguito ed

incoraggiato nella scrittura di questa tesi: il Prof. Roberto Contestabile.

Un ringraziamento sentito va ai Dottori Alessio Fiascarelli ed Alessia Parrone, perché il loro

lavoro ed il loro supporto è stato importante e prezioso. Ringrazio anche il Dottore Martino Luigi

di Salvo, La Dottoressa Angela Tramonti e la Professoressa Sebastiana Angelaccio per l’aiuto che

mi hanno dato nei momenti di difficoltà.

Infine un particolare ringraziamento va alla mia famiglia, alle mie nonne, alle persone a me più

care, per avermi incoraggiato, spronato e sopportato in questo periodo così pieno ed intenso. Ma

soprattutto ringrazio tutti per quell’affetto incondizionato che mi ha permesso di andare sempre

avanti e non mollare mai.

Page 73: Tesi Magistrale

71

ELENCO ABBREVIAZIONI:

PL: piridossale

PLK: piridossal chinasi

PLP: piridossal-5’-fosfato

PM: piridossamina

PMP: piridossamina-5’-fosfato

PN: piridossina

PNP: piridossina-5’-fosfato

PNPOx: piridossina-5’-fosfato ossidasi

SHMT: Serina idrossimetiltrasferasi

THF: Tetraidrofolato

H4PteGlu: Tetraidrofolato

5,10-CH2-H4PteGlu: 5,10-Metilen-tetraidrofolato

hcSHMT: Isoforma citosolica umana della serina idrossimetiltrasferasi

hmSHMT: Isoforma mitocondriale umana della serina idrossimetiltrasferasi

SHMT1: Isoforma citosolica umana della serina idrossimetiltrasferasi

SHMT2: : Isoforma mitocondriale umana della serina idrossimetiltrasferasi

PTM: Modifica Post-Traduzionale (Post-Translational Modifications)

SEC: Cromatografia per esclusione molecolare (size –excusion chromatography)

Page 74: Tesi Magistrale

72

INDICE FIGURE E TABELLE

FIGURA 1. Struttura dei vitameri B6.

FIGURA 2. Vie biosintetiche della vitamina B6.

FIGURA 3. Piridossina-5’-β- glucoside.

FIGURA 4. Enzimi della via di recupero o “salvage pathway” del PLP.

FIGURA 5. Ciclo di assorbimento e trasporto della vitamina B6

FIGURA 6. Piridossale 5’-fosfato (PLP)

FIGURA 7. Meccanismo di reazione del PLP; formazione della base di schiff .

FIGURA 8. Struttura di risonanza del carbanione con formazione di un intermedio chinonoide

FIGURA 9. Schema del metabolismo cellulare

FIGURA 10. Struttura SHMT citosolica umana (hcSHMT)

FIGURA 11. Reazione principale della SHMT

FIGURA 12. Meccanismo proposto per la conversione folato-dipendente della serina in glicina.

FIGURA 13. Spettri d’assorbimento degli intermedi di reazione della SHMT.

FIGURA 14. Taglio retroaldolico dei β-idrossiamminoacidi.

FIGURA 15. Conversione del 5,10-CH+H4PteGlu a 5-CHO-H4PteGlu.

FIGURA 16. Struttura del tetraidrofolato (H4 folato)

FIGURA 17. Interconversione delle unità monocarboniose sui folati.

FIGURA 18. Sintesi della metionina e della S-adenosilmetionina

FIGURA 19. Incorporazione della glicina nell’anello purinico

FIGURA 20. Ciclo del timidilato

FIGURA 21. Effetto Warburg ed enzimi della glicolisi de-regolati nelle cellule tumorali.

FIGURA 22. Schema dei metabolismi interessati dall’attività della SHMT nelle cellule tumorali.

FIGURA 23. Chemioterapici attualmente in uso e metabolismo dei folati.

FIGURA 24. Il vettore pET-22b(+).

FIGURA 25. Elementi di controllo del sistema pET.

Page 75: Tesi Magistrale

73

FIGURA 26. Struttura della resina CM-Sephadex

FIGURA 27. Spettro di assorbimento dei raggi UV della serina idrossimetiltrasferasi

FIGUAR 28. Reazione accoppiata della SHMT con la reazione della Mtd

FIGURA 29. Formula di struttura dell’SDS

FIGURA 30. Gels di controllo dell’autoproteolisi delle specie reagenti

FIGURA 31. Parametri cinetici delle isoforme SHMT1 e SHMT2 umane

FIGURA 32. Comparazione delle curve di saturazione ottenute per il legame del PLP

FIGURA 33. Differenze conformazionali dei dimeri Apo- ed olo-hSHMT2

FIGURA 34. Ingrandimento del sito attivo della forma olo-hSHMT2

FIGURA 35. Rappresentazione della struttura tetramerica della forma olo-hSHMT2

FIGURA 36. Gel SDS-PSGE della cinetica di proteolisi limitata

FIGURA 37. Allineamento delle sequenze amminoacidiche della hSHMT1 e hSHMT2.

FIGURA 38. Cromatografia per esclusione molecolare (SEC)

FIGURA 39. Curve di denaturazione termica

FIGURA 40. Schema dell’equilibrio conformazionale della hSHMT

Page 76: Tesi Magistrale

74

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