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E E E D D D U U U R R R E E E S S S E E N N E E R R G G I I A A I I N N G G I I O O C C O O M M M A A A N N N U U U A A A L L L E E E P P P E E E R R R I I I N N N S S S E E E G G G N N N A A A N N N T T T I I I S S S E E E Z Z Z I I I O O O N N N E E E F F F O O O N N N T T T I I I R R R I I I N N N N N N O O O V V V A A A B B B I I I L L L I I I Provincia di Ravenna

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EEEEEEEEEEEEDDDDDDDDDDDDUUUUUUUUUUUURRRRRRRRRRRREEEEEEEEEEEESSSSSSSSSSSS EEENNNEEERRRGGGIIIAAA IIINNN GGGIIIOOOCCCOOO

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Provincia di Ravenna

Indice

Le fonti rinnovabili pag. 1

Il Sole pag. 2

L’acqua pag. 21

Il vento pag. 33

Il calore della Terra pag. 43

Le Biomasse pag. 50

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Le fonti rinnovabili di energia La necessità di trovare fonti di energia alternative ai combustibili fossili nacque in seguito alla crisi economica ed all’ aumento dei prezzi del petrolio.

In parallelo nel mondo della ricerca si sviluppò la consapevolezza della esauribilità dei combustibili fossili, infatti iniziò a maturare l’idea che l’energia potesse prodursi non solo bruciando qualcosa, che oltretutto si andava pian piano esaurendo. Le fonti “rinnovabili” sono quelle fonti che, a differenza dei combustibili fossili e nucleari, possono essere considerate inesauribili, perché generate direttamente dai cicli naturali del nostro pianeta.

Sono fonti rinnovabili di energia:

• Sole

• Biomasse

• Vento

• Acqua

• Geotermia

Consumi sempre sostenibili?

Il progresso economico delle moderne società ha bisogno di un continuo e crescente approvvigionamento di energia.

I settori che necessitano di un maggiore dispendio energetico sono, quello dei trasporti, che si basa per la quasi totalità sul petrolio, il settore domestico che deve rispondere alla richiesta crescente di confort per le abitazioni e l’ utilizzo di elettricità e calore a scopi sia civili che industriali.

Purtroppo per noi ed il nostro pianeta, per rispondere a questa continua domanda di energia si ricorre in larga parte all’uso di fonti non rinnovabili.

In Europa la centralità dei combustibili fossili è quanto mai evidente: si ricorre al petrolio per il 42% dei consumi nei tre settori sopra citati, al 22% ci si affida al gas naturale, seguito infine dall’energia ricavata dalla combustione dei solidi e dal nucleare.

In Italia, come nel resto d’Europa, sono stati fatti molti sforzi per promuovere l’energia rinnovabile: ad una strategia comune di azione, infatti si è affiancata la

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ricerca di soluzioni tecnologiche innovative in grado di aumentare e migliorare lo sfruttamento delle miniere “ energetiche naturali ”.

Energia da fonti rinnovabili

72%

11%

3%6%

8%

idraulica

geotermica

eolica + solare

rifiuti

biomasse

Produzione di energia da fonti rinnovabili in Italia (fonte ENEA 2005)

Quali sono i principali rischi ambientali se continuiamo a non usare fonti di energia rinnovabili?

L’utilizzo di fonti non rinnovabili per la produzione di energia comporta una seria minaccia per la salvaguardia dell’ecosistema terrestre: le emissioni di CO2 sono infatti tra i protagonisti principali dei cambiamenti climatici causati dalle attività umane, sottolineato chiaramente nel protocollo di Kyoto.

Se già oggi questo dato rappresenta un grave problema per l’ambiente, entro il 2010 la situazione “potrebbe” peggiorare drasticamente, perché, secondo le attuali previsioni demografiche, nei prossimi quindici anni la popolazione mondiale potrebbe infatti crescere di circa 2 miliardi di individui, aumentando la rispettiva domanda energetica totale di oltre il 60% rispetto la livello attuale.

La complessità della situazione spinge oggi i principali paesi industrializzati alla ricerca di soluzioni energetiche nuove e sostenibili.

L’utilizzo delle fonti rinnovabili rappresenta la chiave del cambiamento nella produzione e nel consumo di energia. La natura offre grandi potenzialità energetiche, grazie alle tradizionali fonti di energia rappresentate dal sole, dall’acqua, dal vento e dalle biomasse e dall’energia proveniente dalla terra.

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Il Sole

Un po’ di storia

La scoperta dell'effetto fotovoltaico è noto fin dal 1839, dalle esperienze del fisico francese Edmond Becquerel (1820-1891) che presentò alla Accademia delle Scienze di Parigi la sua "Memoria sugli effetti elettrici prodotti sotto l'influenza dei raggi solari", scoperta avvenuta casualmente mentre effettuava delle esperienze su una cella elettrolitica (quindi contenente una soluzione liquida) in cui erano immersi due elettrodi di platino. Si deve aspettare il 1876 (Smith, Adams e Day) per avere una simile esperienza ripetuta con dispositivi allo stato solido (selenio). L'idea di sfruttare l'effetto fotovoltaico quale fonte energetica non ebbe modo di svilupparsi finché non si poté operare con materiali che avessero un miglior rendimento. Si deve aspettare fino al 1954 per avere la prima cella solare commerciale in silicio (Person, Fuller e Chapin) realizzata all'interno dei laboratori Bell. I costi iniziali di questa nuova tecnologia erano ingenti e ne restrinsero il campo d'azione a casi particolari, come l’alimentazione di satelliti artificiali. Le sperimentazioni vennero quindi portati avanti per tale scopo e solo verso la metà degli anni settanta si iniziò a rivolgere l'attenzione verso utilizzi "terrestri". Le applicazioni concrete non sono mancate ed oggi esistono numerosi impianti fotovoltaici. Oggi la ricerca è volta soprattutto all'abbassamento dei costi di produzione ed al miglioramento dei rendimenti dei sistemi fotovoltaici.

Figura 1: Tramonto nel Kruger National Park –Sudafrica- (Foto di Paolo Carbone)

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Che cos’ è l’ energia solare?

Per "energia solare" si intende l'energia raggiante sprigionata dal Sole per effetto di reazioni nucleari (fusione dell'idrogeno) e trasmessa alla Terra (ed in tutto lo spazio circostante) sotto forma di radiazione elettromagnetica.

Utilizzo dell’energia solare

Allo stato attuale delle tecnologie, ci sono varie forme di utilizzo più o meno diretto dell’energia solare; tra cui due sono le forme più diffuse e conosciute: i sistemi solari fotovoltaici ed i sistemi solari termici, ovvero rispettivamente la trasformazione della radiazione solare in elettricità e la trasformazione della stessa in calore.

Che cos’è il solare termico?

Una parte della radiazione solare è costituita dalla radiazione solare termica, ma anche una buona percentuale della luce visibile e della radiazione ultravioletta si trasformano in calore, quando cade su un corpo adatto (ad esempio un corpo nero).

Sicuramente uno dei modi più evidenti e diffusi di utilizzo dell’ energia solare è il riscaldamento dell’acqua sanitaria. Si usa una superficie che assorbe la maggior parte della radiazione solare e che quindi si riscalda. Questo calore viene poi trasportato mediante un termovettore liquido al serbatoio tramite uno scambiatore di calore.

Per poter avvenire questo basta anche una superficie limitata di collettori solari (circa 6-10 m² per una famiglia composta da 4 a 8 persone) ed un accumulo relativamente piccolo (0,5-1 m³ ). Inoltre la temperatura dell’acqua calda, generalmente usata, è relativamente bassa, e quindi si possono ottenere dei buoni rendimenti anche con un impianto relativamente semplice.

I pannelli solari

I pannelli solari termici catturano l'energia del Sole e la utilizzano per produrre acqua calda (fino a 60-70 gradi centigradi) che, accumulata in un apposito serbatoio, può essere utilizzata sia per gli usi domestici, come il riscaldamento delle abitazioni o dell'acqua stessa, sia per quelli industriali sia per la produzione di energia elettrica su vasta scala attraverso le centrali termoelettriche solari.

Tipologie esistenti di pannelli solari termici

I Pannelli a piastra sono pannelli solari termici composti da due elementi:

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il pannello solare vero e proprio ed il serbatoio di accumulo. Il primo è composto da un assorbitore di calore solare, ossia da una lastra d'acciaio o di rame, all'interno della quale passano i tubi in cui scorre il fluido che deve essere riscaldato dal Sole. Sopra l'assorbitore è posta una lastra di vetro che fa passare i raggi solari in entrata, ma non li fa uscire, in modo che l'ambiente sottostante si mantenga caldo. Il serbatoio contiene uno scambiatore di calore che permette di trasmettere il calore dal liquido riscaldato nell'assorbitore all'acqua dell'impianto idraulico di casa.

I pannelli solari termici vengono installati in posizione fissa, se possibile orientati verso sud, in modo da ricevere la massima quantità di radiazioni. Un metro quadrato di collettore solare può scaldare da 40 a 300 litri di acqua al giorno a 45-60°C. L’ efficienza varia a seconda delle condizioni climatiche e della tipologia del collettore dal 30% all’ 80%. Il rendimento dei pannelli solari è di circa il 30 %.

Collettori solari a concentrazione sono pannelli solari termici che utilizzano un sistema di specchi che riflette i raggi del Sole facendoli convergere su un ricevitore. I collettori possono essere di tipo lineare, quando concentrano i raggi del Sole sul segmento di una retta, o possono concentrare i raggi in un punto, riscaldando il fluido in uscita dal pannello a temperature superiori ai 100°C.

L'energia termica così prodotta può essere, direttamente inviata agli utilizzatori, oppure può azionare i motori che sono attivati dal calore a medie e alte temperature, per esempio per pompare acqua o altre applicazioni meccaniche.

L'energia termica inoltre può anche essere trasformata in energia elettrica grazie a centrali termoelettriche solari. In questi impianti l'energia termica catturata dai collettori viene impiegata per trasformare l'acqua in vapore che, a sua volta, aziona una turbina accoppiata ad un generatore di energia elettrica. Si tratta di centrali pulite con un impatto ambientale estremamente ridotto rispetto a quelle alimentate con combustibili fossili, dal momento che l’unica emissione che producono nell’atmosfera è costituita dal vapore.

Collettori a tubi sottovuoto sono composti da tubi di vetro speciale sottovuoto, ricoperti da uno strato che trasforma la luce solare in calore. In questo caso l'assorbitore di calore è di forma circolare ed è alloggiato all'interno della cavità sottovuoto dei tubi stessi; in questo modo il fluido che conduce il calore evapora e, cedendo il suo calore all'estremità superiore del tubo, si condensa e ritorna in basso. A differenza dei pannelli a piastra, questa tipologia di collettori sottovuoto non

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conduce calore, per cui non si verificano perdite e pertanto il loro rendimento è superiore. Quindi questi collettori richiedono una minore superficie espositiva rispetto alle altre tipologie di pannelli e sono capaci di trattenere il calore accumulato anche in condizioni atmosferiche molto rigide, garantendo prestazioni elevate e costanti durante l'intero arco dell'anno. Per questi motivi possono essere utilizzati anche in zone con un'insolazione medio-bassa o con condizioni climatiche particolarmente rigide durante

l'inverno, come in alta montagna o nei paesi nordici.

Quali sono gli accumulatori di energia termosolare ?

Come per altre fonti rinnovabili anche per l'energia solare uno dei limiti da superare è l'irregolarità dell'energia disponibile, per cui i sistemi di accumulo sono un aspetto importante per l'evoluzione e la diffusione delle tecnologie sviluppate.

L’energia prodotta dagli impianti termosolari non deve essere limitata alle sole ore di insolazione né trovare ostacolo nelle fluttuazioni dei passaggi nuvolosi.

A tale scopo sono state già largamente collaudate due tecniche che offrono anche un migliore fattore di utilizzo dell’installazione e quindi un costo minore per la produzione di energia elettrica:

• accumulo dell’energia termica: il calore prodotto viene usato per riscaldare un mezzo dal quale, al momento opportuno, si estrae il calore per produrre l’energia elettrica. Questi dispositivi sono di basso costo, alta efficienza e permettono di mantenere l’impianto operativo durante i picchi della domanda e durante le ore notturne. Essi hanno anche il vantaggio di eliminare, in molti casi, le fluttuazioni dovute ai fenomeni nuvolosi.

• sistemi ibridi solare-metano: durante i periodi prolungati di assenza di calore solare l’energia mancante può essere data dal metano, con riduzione dei costi. Un sistema ibrido può essere economicamente conveniente anche per potenze di energia solare modesta.

Figura 2: Schema impianto collettore solare, accumulatore e caldaia (fonte www.bioarchitettura.it)

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Il solare termodinamico

In questo caso il calore viene sfruttato nei cicli che consentono la produzione di energia elettrica e grazie ad una serie di specchi si produce calore ad alta temperatura da utilizzare in centrali elettriche.

Esistono differenti tipi di impianti che producono energia elettrica:

• Torri solari

• Specchi parabolici lineari

• Concentratori parabolici indipendenti

Cosa sono le torri solari?

Tra i collettori a concentrazione vi sono le torri solari che consistono in un sistema di specchi che inseguono il moto del Sole, chiamati eliostati, che riflettono l’energia solare su di un recettore montato in cima ad una torre localizzata al centro. Il calore solare è raccolto da un fluido, viene usato un sale fuso, che ha anche la funzione di accumulo di energia. Con il calore accumulato nei sali fusi si produce del vapore (565 gradi centigradi), allo scopo di fare girare un turbo-generatore elettrico.

E gli specchi parabolici lineari?

Gli specchi parabolici lineari, denominati con il termine SEGS (Solar Eletric Generating System) sono usati per focalizzare i raggi solari su un lungo tubo ricevente posizionato lungo la linea dei concentratori. Un mezzo portatore di calore, ad esempio olio, pompato attraverso i tubi ricettori, alimenta una centrale. Il calore solare è trasformato in vapore allo scopo di far funzionare un turbo-generatore elettrico. La temperatura tipica di operazione è di 390 gradi centigradi. Tali impianti oggi hanno dimensioni tipiche dell’ordine da 30 a 80 megawatt elettrici e bruciano anche una certa quantità di combustibile fossile (gas naturale nel miglior caso) per produrre energia quando l’energia solare non è sufficiente.

E i concentratori parabolici indipendenti?

Consistono in uno specchio parabolico mobile per seguire il moto del sole e riflettere i raggi solari nel punto focale, dove sono assorbiti dal ricevitore. Il calore assorbito è trasferito (a 750°C circa) da un sistema fluido-vap ore al motore-generatore, ad esempio un motore lineare.

Per quanto riguarda le dimensioni dei singoli moduli queste possono variare da 5 a 50 kW elettrici; con una serie di tali concentratori si possono realizzare impianti di

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qualsiasi taglia e potenza. Il calore inoltre può essere raccolto tramite guide di calore (heat-pipes) presso una stazione di potenza localizzata centralmente.

Curiosità: quali sono le autorizzazioni riguardanti gli impianti solari?

Gli impianti solari, in base alla normativa vigente (Legge n. 9/91), sono da considerare, oltre che opere di pubblica utilità, estensioni dell’impianto idrico-sanitario, e pertanto rientrano generalmente nelle procedure di autorizzazioni previste per tali impianti.

Ciò significa che, quando non sussistono particolari vincoli di tipo urbanistico o paesaggistico, è sufficiente presentare al Comune competente una Denuncia di Inizio Attività ( chiamata DIA).

Il condizionamento

Il condizionamento degli ambienti nei mesi estivi è sempre più richiesto. L’idea di usare a questo scopo l’energia solare nasce spontanea, in quanto proprio nei periodi dell’anno e nelle ore della giornata con l’insolazione più forte c’è anche il maggiore fabbisogno di energia per il condizionamento. In linea di massima si distinguono due metodi di assorbimento/sfruttamento della energia solare per la climatizzazioni degli ambienti.

Da una parte con l’energia solare si può produrre energia elettrica, con la quale alimentare normali macchine frigorifere, d’altra parte il calore prodotto con l’energia solare può essere usato anche direttamente per ottenere il freddo. Proprio secondo questo principio funzionano i frigoriferi azionati tramite la combustione di gas. Le macchine assorbono il calore dell’ambiente da refrigerare e lo cedono all’aria esterna. Anche se l’energia usata per l’alimentazione della macchina non è corrente elettrica, bensi energia termica, che può essere generata in un collettore solare anche di tipo tradizionale.

La climatizzazione naturale

Oltre all’uso dell’energia solare per mezzo di sistemi “attivi”, cioè sistemi che si basano su un meccanismo proprio, più o meno complicato, esiste anche la possibilità dell’uso “passivo” dell’energia solare o meglio l’uso dell’energia solare tramite una determinata disposizione dei componenti architettonici.

In questo caso si parla anche di “climatizzazione naturale”. I fattori climatici naturali, come l’insolazione, la radiazione notturna ed il vento si possono usare per ottenere negli ambienti un clima ottimale.

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Importanti elementi costruttivi dei sistemi passivi

• Involucro esterno dell’edificio : deve essere isolato il meglio possibile contro perdite di calore, ma deve permettere il passaggio dell’energia solare nell’edificio, soprattutto d’inverno.

Sul lato nord dobbiamo avere dei muri isolati molto bene e pochissima superficie vetrata, sui lati est ed ovest una ridotta superficie vetrata, sul lato sud invece finestre grandi eventualmente dotate di isolamento termico mobile e protezione antiradiazione d’estate.

• Muri interni : essi dovrebbero disporre di una grande capacità di accumulo. Vanno usati preferibilmente dei materiali compatti che accumulano bene il calore.

• Verande , devono essere non riscaldate e orientate a sud; d’inverno contribuiscono al riscaldamento dell’edificio e durante tutto l’anno fungono da zona termica intermedia. Per l’estate si deve prevedere l’uso di un parasole.

• Tetto : il solaio è abitato, deve essere provvisto di un buon isolamento termico; altrimenti è più vantaggioso isolare bene il soffitto dell’ultimo piano e usare il solaio come respingente termico.

• Piantagione : la piantagione di latifoglie davanti alla facciata sud d’estate serve da parasole naturale, mentre d’inverno fa passare la radiazione solare; sia d’inverno che d’estate crea un respingente termico.

Che cosa vuol dire energia fotovoltaica?

Energia Fotovoltaica significa letteralmente “elettricità prodotta dalla luce”; “foto” deriva dal greco “phos” che significa “luce”, e “Volt” dallo scienziato italiano Alessandro Volta inventore della pila.

La produzione di energia elettrica con energia solare

La tecnologia fotovoltaica consente di trasformare, direttamente ed istantaneamente, l’energia solare in energia elettrica senza l’uso di alcun combustibile sfruttando il cosiddetto “effetto fotoelettrico”. Figura 3: Esempio di pannello

fotovoltaico. (Foto di Vincenzo Crocetti)

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L’effetto fotoelettrico è la capacità che hanno alcuni semiconduttori opportunamente trattati (o anche detti “drogati”), di generare elettricità se esposti alla radiazione luminosa. All’interno del sole, a temperature di alcuni milioni di gradi centigradi, avvengono incessantemente reazioni termonucleari di fusione che liberano enormi quantità di energia sottoforma di radiazioni elettromagnetiche. Una parte di questa energia, dopo aver attraversato l’atmosfera, arriva al suolo con un’ intensità di circa 1000W/m² (irraggiamento al suolo in condizioni di giornata serena e Sole a mezzogiorno), questo enorme flusso di energia che arriva sulla Terra è pari a circa 15.000 volte l’attuale consumo energetico mondiale.

Di questa energia, però, solo una parte può essere utilizzata dagli impianti fotovoltaici, perché la quantità che può essere utilmente “raccolta” da un dispositivo fotovoltaico dipende dall’irraggiamento del luogo.

Per irraggiamento si intende la quantità di energia solare incidente su una superficie unitaria in un determinato intervallo di tempo, tipicamente un giorno. L’irraggiamento si misura in kWh/ m² /giorno, è influenzato dalle condizioni climatiche locali (nuvolosità, foschia etc. etc.) e dipende dalla latitudine del luogo, crescendo all’avvicinarsi all’equatore.

In Italia l’irraggiamento medio annuale varia dai 3,6 kWh/ m² /giorno della pianura padana ai 4,7 kWh/ m² /giorno del centro sud sino a raggiungere i 5,4 kWh/ m² /giorno della Sicilia; ne risulta lampante che nel nostro paese le regioni ideali per lo sviluppo del fotovoltaico sono quelle meridionali ed insulari. Nelle regioni meridionali ed insulari è possibile raccogliere annualmente circa 2.000 kWh da ogni metro quadrato di superficie, cioè l’equivalente energetico di 1,5 barili di petrolio per metro quadrato.

Come è fatto un impianto fotovoltaico?

Un impianto fotovoltaico è costituito essenzialmente da un “generatore”, da un “sistema di condizionamento e controllo della potenza” e da un eventuale “accumulatore” di energia, la batteria e la struttura di sostegno.

Il componente elementare del generatore fotovoltaico è la cella dove avviene la conversione della radiazione solare in corrente elettrica, essa è costituita da una sottile “fetta” di materiale semiconduttore , quasi sempre silicio (che è l’elemento più diffuso in natura dopo l’ossigeno) di spessore pari a circa 0,3 mm, può inoltre avere forma rotonda o quadrata con una superficie compresa tra i 100 ed i 225 cm². Il silicio che costituisce la fetta viene “drogato” mediante l’inserimento su una “faccia” di atomi di boro (drogaggio p) e sull’altra “faccia” con piccole quantità di fosforo (drogaggio n), ed in questa zona di contatto tra i due strati a diverso drogaggio si determina un campo elettrico; quando la cella è esposta alla luce, per effetto

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fotovoltaico, si generano delle cariche elettriche e, se le due facce della cella sono collegate ad un utilizzatore, si avrà un flusso di elettroni sotto forma di corrente elettrica continua.

Attualmente il silicio, nelle sue forme monocristallina e policristallina, è il più utilizzato e tra i due tipi il policristallino è il meno costoso ma ha rendimenti leggermente inferiori del monocristallino.

Per ridurre il costo della cella sono in studio nuove tecnologie che utilizzano il silicio amorfo e altri materiali policristallini quali il Seleniuro di Indio e il Tellurio di Cadmio. Inoltre si stanno sperimentando e utilizzando anche l’arseniuro di gallio, composti di cadmio e selenio, di solfuro rameico e di solfuro di cadmio e altri semiconduttori, ognuno dei quali ha delle specificità che alzano il rendimento.

Poiché questi elementi in natura raramente sono incontaminati, necessitano di un processo di purificazione molto difficile e costoso. L’esigenza della purezza del materiale ha come conseguenza l’elevato costo delle celle solari.

Alcuni materiali a confronto

MATERIALE SEMICONDUTTORE RENDIMENTO

Silicio Monocristallina 12,00% - 20,00 %

Silicio Policristallino 4,00% - 6,00 %

Arsenico di gallio 35,00% - 30,00 %

Solfuro rameico

Solfuro di cadmio

5,00% - 9,00%

In commercio troviamo i moduli fotovoltaici che sono costituiti da un insieme di celle; i più diffusi sono costituiti da 36 celle disposte su 4 file parallele collegate in serie. Più moduli collegati in serie formano un pannello, ovvero una struttura comune ancorabile al suolo o ad un edificio; più pannelli collegati in una serie costituiscono una stringa e più stringhe collegate generalmente in parallelo per fornire la potenza richiesta, costituiscono il generatore fotovoltaico.

Sistema di condizionamento e controllo della potenz a

E’ costituito da un inverter, che trasforma la corrente continua prodotta dai moduli in corrente alternata; da un trasformatore e da un sistema di rifasamento e filtraggio che consente di garantire la qualità della potenza in uscita.

L’intero sistema prende il nome di BOS (Bilance of System) di un sistema fotovoltaico e svolge la funzione di trasformare l’energia prodotta dal generatore

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fotovoltaico sotto forma di corrente continua, con valori in tensione variabili in funzione della radianza solare e della temperatura ambiente, in corrente alternata alla tipica tensione di 220/380 V, nel caso di impianti per utenze domestiche, o in media tensione, generalmente 8-20 kV a seconda della rete, nel caso di impianti di media-grande taglia.

E’ ormai chiaro che il generatore fotovoltaico funziona solo in presenza di luce solare, per questo motivo nel caso in cui si voglia dare la completa autonomia all’utenza, occorrerà o collegare gli impianti alla rete elettrica di distribuzione nazionale o utilizzare dei sistemi di accumulo dell’energia elettrica che la rendano disponibile nelle ore di soleggiamento insufficiente.

A questo scopo viene utilizzato quasi esclusivamente un banco di accumulatori ricaricabili, dimensionato in modo da garantire la sufficiente autonomia di alimentazione del carico elettrico. Le batterie che vengono utilizzate per tale scopo sono accumulatori di tipo stazionario e solo in casi particolari è possibile usare batterie per autotrazione.

Applicazione degli impianti fotovoltaici

• Impianti isolati (STAND-ALONE) cioè quelli che non sono collegati alla rete elettrica e sono costituiti da moduli fotovoltaici, dal regolatore di carica e da un sistema di batterie che garantisce l’erogazione di corrente anche nelle ore di minore illuminazione o di buio.

Sono impianti che risultano tecnicamente ed economicamente vantaggiosi nei casi in cui la rete è assente o difficilmente raggiungibile. Un kWp fotovoltaico installato ha un costo di circa 10.000 € (iva esclusa) e un kWh di energia elettrica prodotto costa circa 0.6 € (iva esclusa) senza considerare eventuali forme di incentivazione.

• Impianti collegati alla rete (GRID-CONNECTED) e sono quelli in cui nelle ore in cui il generatore fotovoltaico non è in grado di produrre l’energia necessaria a coprire la domanda di elettricità, la rete fornisce l’energia richiesta; viceversa nei casi in cui vi è un surplus di energia elettrica questo può essere accumulato o trasferito alla rete.

Risulta lampante che tali impianti non hanno bisogno di batterie perché la rete sopperisce alla fornitura di energia elettrica nei momenti di indisponibilità della radiazione solare. Un kWp fotovoltaico installato ha un costo di circa 7.000 € (iva esclusa) e un kWh di energia elettrica prodotto costa circa 0.34 € (iva esclusa) senza considerare eventuali forme di incentivazione.

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• Impianti integrati negli edifici sono una promettente applicazione del fotovoltaico in cui gli impianti vengono installati su costruzioni civili o industriali per essere collegati alla rete elettrica di distribuzione in bassa tensione. La corrente continua generata istantaneamente dai moduli viene trasformata in corrente alternata e immessa nella rete interna dell’edificio utilizzatore, in parallelo alla rete di distribuzione pubblica; e può essere a seconda dei casi consumata dall’utenza locale oppure ceduta , per la quota eccedente al fabbisogno alla rete stessa.

Qual’ è la capacità produttiva di un impianto foto voltaico in Italia?

Localizzazione

dell’impianto

Moduli in silicio

monocristallino

Moduli in silicio

policristallino

Energia utile

per 1 kWp installato

kWh/( m² anno) kWh/( m² anno) kWh/( m² anno)

NORD 150 130 1080

CENTRO 190 160 1350

SUD 210 180 1500

* si tenga conto che un impianto di potenza nominale installata pari a 1 kWp

corrisponde a 8 m² di moduli in silicio cristallino e da 10 m² in silicio plocristallino

CURIOSITA’: Esempio pratico applicativo di dimensio namento di un impianto fotovoltaico.

Prendiamo in considerazione una famiglia composta da 4 unità che vive nell’Italia centrale, che ha un consumo elettrico medio annuo di circa 25.000 kWh.

Per far fronte a tale consumo possiamo installare un impianto fotovoltaico con moduli in silicio policristallino con una produzione di 160 kwh all’anno (vedi tabella di cui sopra), quindi bisognerà installare una superficie di 16 metri quadrati di moduli. Considerando che ogni modulo occupa 0,5 m nel nostro caso saranno necessari 32 moduli, che ai costi di mercato attuali, possono essere stimati in circa 15.000 € (iva esclusa).

Per questo il costo al kwh è di circa 0,34 € (iva esclusa) tenendo conto dell’investimento, del costo di manutenzione annuo degli impianti, del numero di kWh prodotti in un anno e della durata dell’impianto (di solito considerata superiore a 30 anni).

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Considerando che il costo di produzione dell’energia elettrica da fonti fossili è molto inferiore, pari a circa 0,18 € al kWh, installare un impianto fotovoltaico diventa economicamente vantaggioso quando intervengono forme di incentivazione da parte dello Stato.

Riassumendo possiamo dire che l’energia fotovoltaica richiede un forte impegno di capitale iniziale, basse spese di manutenzione, quindi “è come se si comprasse in anticipo l’energia che verrà consumata nei prossimi anni”.

Vantaggi dell’ energia solare

L’energia solare è silenziosa, non è inquinante e consente di ottenere immediatamente un fluido caldo che può essere impiegato sia come acqua calda sanitaria, sia come riscaldamento, sia per vari usi industriali.

I benefici ambientali derivanti dall’installazione di sistemi fotovoltaici possono essere espressi in termini di emissioni evitate: si quantificano, cioè, le emissioni che si sarebbero prodotte per la generazione di una pari quantità di energia elettrica tramite sistemi termoelettrici.

Analizzando dati forniti dall’ Enel, emerge che una famiglia di quattro persone consuma con uno scaldabagno elettrico circa 7,7 chilowattora al giorno. In Italia per produrre un kWh elettrico le centrali termoelettriche immettono in atmosfera mediamente 0,58 chilogrammi di anidride carbonica, uno dei principali gas responsabili dell’effetto serra. Quindi per uno scaldabagno elettrico si producono in media circa 4,5 chilogrammi di CO2 al giorno!

Con impianti ibridi solare-gas, cioè impianti solari integrati con caldaie a gas, che assicurano acqua calda durante tutto l’anno tali immissioni sarebbero sensibilmente ridotte.

In definitiva l’ energia solare potrebbe ridurre in modo significativo l’uso di combustibili fossili, poiché finalmente potrebbe rappresentare una fonte di energia elettrica su grande scala, in modo particolare in Italia, dove i livelli di insolazione sono elevati.

Convertire direttamente il Sole in energia elettrica è una scelta che potrà essere molto vantaggiosa non solo negli insediamenti urbani, ma anche nelle zone emarginate e remote, specie nel Terzo Mondo. Qui la combinazione di sistemi fotovoltaici con altre fonti rinnovabili esistenti può portare l’energia elettrica anche ai villaggi e alle comunità più isolate per assicurare illuminazione, telecomunicazioni, pompe, ma anche per dissalare l’acqua del mare e quella salmastra dei pozzi, per conservare i prodotti della pesca e dell’agricoltura, e refrigerare farmaci e vaccini.

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E gli impatti ambientali?

L’impatto visivo delle centrali fotovoltaiche è minore rispetto a quello delle centrali termoelettriche o di qualsiasi altro grande impianto industriale; questo è dovuto alla bassa altezza di questi impianti, alla possibile integrazione dei pannelli solari nelle coperture degli edifici e alle nuove soluzioni architettoniche, come le facciate fotovoltaiche, che rendono praticamente invisibili queste strutture.

Certamente la produzione dei pannelli solari richiede consumi di energia elettrica, che, allo stato attuale dello sviluppo tecnologico, non sono trascurabili. Tuttavia i benefici ambientali generati nel tempo di vita di un sistema fotovoltaico (mediamente pari a 25-30 anni) sono già ora largamente superiori al danno provocato nelle fasi di produzione dei pannelli.

Va ricordato che l’energia elettrica prodotta con il fotovoltaico ha un costo nullo per combustibile: per ogni kWh prodotto si risparmiano circa 250 grammi di olio combustibile e si evita l’immissione in atmosfera di circa 700 grammi di CO2, nonché di altri gas responsabili dell’effetto serra, con un sicuro vantaggio economico e soprattutto ambientale per l’intera collettività.

SPECIALE: Il conto energia

Il conto energia è stato attivato in Italia con il D.M. del 28/07/2005 e con la delibera 188/05 dell’Autorità per l’ Energia Elettrica e il Gas che ha nominato il Gestore del Sistema elettrico quale soggetto attuatore ed erogatore degli incentivi.

E’ un particolare incentivo per l’installazione degli impianti fotovoltaici connessi alla rete con grandezza da 1 kWp ad 1 MWp, che prevede la remunerazione per 20 anni da parte del Gestore della Rete di trasmissione Nazionale (GTRN) dei kWh prodotti dall’impianto fotovoltaico ad un prezzo superiore a quello di mercato sia se autoconsumati che se immessi nella rete pubblica locale.

I costi dell’incentivazione degli impianti fotovoltaici non sono a carico dello Stato, ma saranno coperti con un prelievo sulle tariffe elettriche di tutti i consumatori (vedi componente tariffaria A3), a regime l’aggravio sulla bolletta elettrica , per la produzione di impianti V pari a 1000MV di potenza, si stima sia di circa 0,0017 per ogni Kw, quindi pari a circa 4 € in più l’anno per famiglia.

In definitiva chi autoproduce energia con impianti fotovoltaici non solo non dovrà pagare le bollette all’azienda locale che distribuisce energia (ad eccezione delle spese fisse, pari a circa 31 € l’anno) ma incasserà, per ben 20 anni un contributo proporzionale alla quantità di energia prodotta.

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Curiosità: il treno fotovoltaico

In Italia esiste poi il progetto PVTRAIN di Trenitalia (co-finanziato dall’Unione Europea) che prevede l’installazione di tegole fotovoltaiche su 10 prototipi di veicoli per il trasporto su rotaia per la ricarica di accumulatori e quindi il miglioramento dell’efficienza energetica. L’energia prodotta viene utilizzata sulle carrozze per la ricarica di accumulatori sia durante la sosta, sia in viaggio; sulle locomotive per la ricarica degli accumulatori e per il riscaldamento delle condotte pneumatiche di alimentazione per l’innalzamento del pantografo; sui carri per la ricarica degli accumulatori e per l’alimentazione del GPS e dei dispositivi elettromeccanici per il controllo delle merci pericolose trasportate. In questo modo si ottiene una riduzione annuale stimata di anidride carbonica (CO2) di 1970 chilogrammi per singola carrozza.

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Appendice: BREVE GUIDA AL DIMENSIONAMENTO DELL’IMP IANTO SOLARE

Per chi volesse approfondire l’argomento del dimensionamento degli impianti (es. tecnici progettisti ed installatori) riporto un procedimento molto semplice per definire la superficie dei pannelli necessaria.

- Quanta acqua calda occorre produrre con i pannell i?

Non avete la minima idea delle quantità di acqua calda che vi occorrono? Nessun problema: le tabelle seguenti vi aiuteranno. La prima tabella vi consente, tenendo conto delle vostre abitudini, di calcolare in modo approssimativo il fabbisogno.

Tabella 1: CONSUMI MEDI

Apparecchio Litri

Vasca da bagno cm 170*70 con doccetta a mano da 160 a 200

Vasca da bagno cm 105*70 da 100 a 120

Doccia da 50 a 60

Lavabo da 10 a 12

Bidet da 8 a 10

Lavello da cucina da 15 a 20

Lavatrice per 5 kg di biancheria da 80 a 150

Lavastoviglie per 3-6 coperti da 30 a 60

In alternativa, potete affidarvi a dati statistici, secondo le tabelle seguenti.

Tabella 2: Fabbisogni medi giornalieri di acqua per persona

Utenza Litri/persona al giorno

Case di abitazione

di tipo popolare da 40 a 50

di tipo medio da 60 a 80

di tipo di lusso da 150 a 200

Albergo e pensioni

camere con servizi dotati di vasca da 180 a 200

camere con servizi dotati di doccia 130

camere con lavabo e bidet 60

Uffici da 150 a 150

Centri sportivi da 50 a 60

Spogliatoi di stabilimenti da 30 a 50

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I valori indicati, per gli usi residenziali, devono essere

moltiplicati per i fattori correttivi riportati nei prospetti

seguenti per tener conto del numero degli alloggi, delle

dimensioni di ogni alloggio e del tenore di vita di ogni utente.

Tabella 3: Fattore di moltiplicazione del fabbisogn o di acqua calda in litri/persona-giorno in funzione del numero di vani per ogni alloggio

Numero di alloggi Fattore di moltiplicazione

1 1,15

2 0,86

3 0,73

4 0,65

5 0,60

6 0,56

7 0,53

8 0,50

Tabella 4: Fattore di moltiplicazione del fabbisogn o di acqua calda in litri/persona-giorno in funzione del tenore di vita degli utilizzatori

Tenore di vita Fattore di moltiplicazione

Basso 0,8

Modesto 0,9

Normale 1,0

Buono 1,1

elevato 1,2

- Quale è la superficie di pannelli necessaria?

Per poter rispondere a questa domanda sarebbe sufficiente conoscere la quantità di acqua calda prodotta in un metro quadrato di pannello.

La tabella seguente può essere di aiuto.

Tabella 5: Quantità giornaliera di acqua calda prod otta da 1 metro quadrato di impianto solare; inclinazione di 30°, orientamento sud (situazione ottimale).

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GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET. OTT. N OV. DIC.

Pannelli con buona

efficienza

51 65 78 96 110 115 122 204 100 80 52 44

Pannelli con media

efficienza 45 58 71 87 98 103 110 107 91 72 47 39

Pannelli con bassa

efficienza 40 52 63 77 88 93 98 95 81 64 41 34

A questo punto basta dividere il fabbisogno giornaliero di acqua calda per la quantità di acqua prodotta da 1 metro quadrato di pannello per ottenere la superficie necessaria:

(fabbisogno per persona-giorno) * (numero di persone) : Quantità giornaliera prodotta da 1 mq = numero di metri quadrati necessari.

Propongo un esempio pratico al fine di rendere il tutto più applicativo :

Poniamo di voler calcolare la superficie di pannelli solari necessaria in un villino bi-familiare (es. di 2 alloggi) di 6 vani cadauno, di tipo medio, in cui abitano complessivamente 6 utenti con tenore di vita normale:

Fabbisogno giornaliero di acqua calda (Tabella 3, case di abitazione di tipo medio): 70-80 litri/persona-giorno ( si assume 75).

Ora introduciamo i fattori correttivi:

• in funzione del numero di alloggi ( Tabella 3, 2 alloggi): 0,86

• in funzione del numero di vani per alloggio ( Tabella 4, da 5 a 6 vani): 1,1

• in funzione del tenore di vita ( Tabella 5, normale): 1,0

Fabbisogno totale giornaliero di acqua calda:

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75 litri/persona * 0,86 * 1,1 * 1,0 * 6 persone = 426 litri/giorno

Dalla Tabella 6, si vede che la superficie di pannelli necessaria per avere la completa autosufficienza anche in dicembre, con pannelli di media efficienza, sarebbe:

426 litri/giorno : 41 litri/mq-giorno =10 mq.

In questo modo, però si avrebbe un impianto sovradimensionato, e pertanto di difficile ammortamento, per quasi tutto l’anno. Risulta invece molto più conveniente, a conti fatti, dimensionare l’impianto per i mesi estivi ( luglio), affidando ad un sistema integrativo (es. caldaia a metano) il compito di coprire il fabbisogno anche nei mesi invernali o di cattivo tempo. In questo caso la superficie necessaria diventa:

426 litri/giorno : 115 litri/mq/giorno = 4 mq.

Come si può ricavare dalla tabella, la quantità di acqua calda prodotta dall’impianto di 4 mq durante tutto l’anno corrisponde a circa il 70 % del fabbisogno complessivo; se avessimo scelto un impianto da 10 mq, avremmo speso più del doppio per avere il 30% di calore in più!

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L’acqua Un po’ di storia

Alcune migliaia di anni fa l'uomo ha imparato a sfruttare l'energia meccanica prodotta dalla caduta dell'acqua. Già ai tempi dei Greci e dei Romani si usavano dei mulini ad acqua per macinare il grano. A Barbegal, in Francia, nei pressi di Arles, importante porto che riforniva Roma di grano, sono stati trovati dei mulini idraulici a otto ruote che sfruttavano contemporaneamente lo stesso corso d’acqua (310 d.C.).

In Europa, però, lo sfruttamento dell'energia idraulica per ricavare lavoro meccanico si sarebbe massicciamente diffuso solo nei secoli XII e XIII. Il principale utilizzo riguardava il settore agricolo e quindi la macinazione, mediante mulini ad acqua, di granaglie, ma anche di olive, di sale e altri minerali.

Seppure molto meno diffusi dei mulini, tra il Cinquecento e il Seicento sono stati realizzati altri macchinari alimentati dalla corrente dei ruscelli. Uno dei più prolifici inventori di queste macchine fu proprio Leonardo da Vinci.

Sempre nel Medioevo, trovò grande diffusione anche la ruota ad acqua inventata dai Greci: una specie di mulino che serviva per sollevare l'acqua, utilizzato per la bonifica dei terreni paludosi, l'irrigazione e nell'attività mineraria.

La ruota idraulica, corredata di albero a camme (organo di una macchina che, fissato a un asse rotante, trasmette il movimento rotatorio continuo di esso ad un altro

organo della macchina facendolo alzare e abbassare alternativamente) permise, inoltre, di riprodurre un movimento verticale discontinuo, come quello del martello. Essa fu così utilizzata per stampare tessuti e azionare mantici che servirono a sviluppare l’attività metallurgica.

Un progresso tecnico di enorme portata si è avuto in seguito all'evoluzione della ruota idraulica nella turbina, un apparecchio capace di trasformare l'energia meccanica in energia elettrica. La nascita della turbina idraulica risale alla fine dell'Ottocento. Da allora questa tecnologia è stata ulteriormente perfezionata e oggi il

rendimento complessivo degli impianti più moderni supera l'80%.

Figura 1: Mulino Bondi a Premilcuore (FC). (Foto di Vincenzo Crocetti)

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Che tipo di energia è presente nell’acqua?

Il ciclo dell'acqua, determinato dall'evaporazione dell'acqua terrestre, dalla formazione di nubi e dalle conseguenti precipitazioni piovose, mette a disposizione dell'uomo una straordinaria fonte energetica rinnovabile, l’energia idroelettrica.

Alla sua origine c'è ancora una volta il Sole, le cui radiazioni provocano l'evaporazione. Pur calcolando che solo lo 0,33% dell'energia solare ricevuta dalla Terra si traduce in precipitazioni atmosferiche, si tratta comunque di una cospicua quantità di energia.

Nell'acqua sono presenti due tipi di energia: potenziale e cinetica.

• Energia potenziale: Sia quando è sotto forma di pioggia , sia quando sgorga da una sorgente, l’acqua è costretta ad andare verso il "basso" a causa della presenza della forza di gravità. Tutti possiamo notare l'energia dell'acqua in una cascata; più il salto, ovvero la distanza tra il punto di inizio della caduta e il punto di arrivo, è alto, maggiore è l'energia che l'acqua cadendo sprigiona.

In pratica, più l'acqua si trova in alto rispetto al punto di arrivo e maggiore è l'energia che potenzialmente può sviluppare. L'energia potenziale è quindi l'energia della massa d'acqua in quiete, funzione della posizione iniziale dell'acqua e del suo punto di arrivo. Basta pensare all'energia contenuta nei ghiacciai e nei bacini naturali o artificiali situati ad altezze elevate.

• Energia cinetica: è l'energia posseduta da una massa di acqua in movimento e corrisponde quindi all’energia contenuta nell’acqua dei fiumi, dei torrenti e del mare. L’energia cinetica dipende dalla velocità e dalla massa dell'acqua in movimento. Le macchine idrauliche trasformano in energia meccanica il movimento dell'acqua. Da questa energia meccanica è poi semplice ottenere energia elettrica.

Come si ricava energia dall’acqua?

Due sono i meccanismi per ricavare energia dall'acqua dolce:

• le ruote idrauliche

• le centrali idroelettriche

Le prime producono energia meccanica, le seconde elettricità.

Anche dall'acqua salata è possibile ricavare energia, sfruttando:

• l'energia di movimento: il moto ondoso, le maree, le correnti

• l'energia termica del riscaldamento delle acque attraverso la creazione di bacini artificiali e apparecchiature che sfruttano la differenza di temperatura.

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Queste tecnologie, però, sono ancora poco sviluppate e, in certi casi, soltanto a livello sperimentale.

Dove si trova l’energia idroelettrica?

Divenuta energia idroelettrica da poco più di un secolo, l'energia idraulica ha conosciuto uno sviluppo molto rapido che prosegue oggi nei paesi industrializzati e in quelli in via di sviluppo di Asia e America Latina che potenzialmente dispongono di risorse considerevoli. E' il Nord America il primo produttore del mondo, con 58 milioni di tonnellate di petrolio equivalente (TEP), segue l'Europa, distaccata di poco (51 milioni di TEP).

Anche in termini di sfruttamento delle risorse idroelettriche disponibili, Europa Occidentale e Stati Uniti sono leader mondiali con un utilizzo vicino al massimo della possibilità di sfruttamento di questa fonte. Molto minore l'impiego di energia idroelettrica nei Paesi dell'Est e nel terzo mondo, ove esistono notevoli possibilità di incrementare l'energia prodotta da queste centrali. Particolarmente scarsa la capacità installata in Africa in rapporto alle enormi potenzialità di questo paese. A questo proposito, basti pensare che solo la costruzione di una diga sul fiume Congo consentirebbe di produrre tanta energia elettrica quanta se ne consuma in Italia in un anno.

In termini di capacità installata e resa energetica, l'idroelettrica è comunque una delle tecnologie più sfruttate per produrre energia elettrica. Attualmente l'energia idroelettrica rappresenta, infatti, oltre il 18% della produzione di energia elettrica mondiale, nonostante venga sfruttato solo il 10% delle risorse idriche tecnicamente utilizzabili.

Potenziale sviluppo dell’idroelettrico

In Italia, per quanto riguarda i grandi impianti, lo sviluppo della produzione idroelettrica ha raggiunto la sua massima espansione. Dopo essere stata la principale fonte di energia elettrica fino agli anni Sessanta (82% del totale), la quota di questa fonte rinnovabile è progressivamente diminuita, mentre la quantità prodotta è rimasta costante su un valore di circa 40-50 miliardi di chilowattora. Negli anni Ottanta, la quota dell'idroelettrico era già ridotta al 25%, mentre la produzione termoelettrica, nello stesso periodo, era passata dal 14 al 70%. L'idroelettrico è,

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rispetto alle altre fonti rinnovabili, già arrivato ad un valore molto elevato di utilizzo delle risorse. I grandi impianti idroelettrici sono infatti oramai quasi tutti realizzati. Le strade da percorrere nel futuro sono quelle dell'idroelettrico minore con piccoli impianti a servizio di utenze isolate che hanno la possibilità si sfruttare la risorsa idrica presente nelle loro vicinanze. L'ulteriore contributo di questi impianti si limiterebbe a un totale di 15 miliardi di chilowattora l'anno, abbastanza modesto rispetto ai fabbisogni energetici del paese. Oggi, infatti, in Italia sono attive centrali idroelettriche con una potenza pari a quasi 21 megawatt che, nel 1999, hanno prodotto oltre 51 miliardi di chilowattora pari a circa il 19% del totale (oltre 210 miliardi di chilowattora).

A livello mondiale comunque si stima un potenziale di circa 180.000 megawatt che possono dare circa il 75% dell'attuale richiesta di energia elettrica a fronte degli attuali 47.000 megawatt installati. In generale nei paesi industrializzati sono oramai presenti i grandi impianti e l'ambito di sviluppo è quello del mini-idroelettrico. Invece in molti paesi in via di sviluppo la fonte idroelettrica può rappresentare una interessante fonte di approvvigionamento energetico, sia attraverso impianti idroelettrici di grossa taglia che attraverso impianti mini-idroelttrici. L'Unione Europea ha come obiettivo di passare dagli attuali 9.500 megawatt di potenza installata a 14.000 megawatt di potenza installata entro il 2010.

Diversi tipi di impianti idroelettrici

Il principio su cui si basano le centrali idroelettriche è quello di trasformare l'energia potenziale di una massa di acqua in quiete e/o l'energia cinetica di una corrente di acqua in energia meccanica; successivamente questa energia meccanica verrà trasformata in energia elettrica.

Gli impianti idroelettrici si suddividono in grandi impianti idroelettrici (o più semplicemente idroelettrici) ed in impianti idroelettrici minori (o mini-idroelettrici); la suddivisione avviene in base alla potenza installata nell'impianto e si può assumere come valore di soglia la potenza di 10 megawatt (in realtà in Italia si parla di idroelettrico minore fino al limite di 3 megawatt). Questa suddivisione solitamente si riscontra anche nella diversa tipologia degli impianti: mentre i grandi impianti idroelettrici richiedono solitamente la sommersione di estese superfici, con notevole impatto ambientale e sociale, un piccolo impianto idroelettrico si integra quasi perfettamente nell'ecosistema locale (ad esempio si sfrutta direttamente la corrente del fiume vicino casa).

Le centrali idroelettriche sono caratterizzate anche da una grande flessibilità di utilizzo. Grazie agli odierni sistemi di automazione, infatti, è possibile passare dallo stato di centrale ferma a quello di massima potenza in poche decine di minuti. Per questa loro peculiarità, le centrali idroelettriche sono più rapide di quelle

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termoelettriche nell'incrementare la loro produzione di energia elettrica nelle ore di maggior richiesta.

Il processo produttivo idroelettrico è, dunque, conveniente non soltanto sotto il profilo economico ed ambientale, ma anche sotto quello dell'efficienza operativa. Gli impianti idroelettrici possono anche essere definiti in base alla tipologia impiantistica come impianti a deflusso regolato o ad acqua fluente.

• Impianto a deflusso regolato: sono impianti a bacino idrico naturale (laghi) o artificiale (come nel caso di molti serbatoi) e a volte sono bacini naturali nei quali si aumenta la capienza con sbarramenti (in molti casi gli sbarramenti consistono in dighe alte molte decine di metri). In tali impianti si può anche modificare il regime delle portate utilizzate dalla centrale. Sono oggi gli impianti idroelettrici più potenti e più sfruttati, hanno però un notevole impatto ambientale. Possono essere usati come "accumulatori" di energia da utilizzare nelle ore di punta pompando acqua da valle a monte nelle ore notturne. In genere queste centrali sono superiori ai 10 megawatt di potenza e arrivano a potenze enormi: ad esempio, l'impianto di Itaipu in Brasile ha un bacino con un estensione di 1460 chilometri quadrati (che per darne un’idea è grande 4 volte il lago di Garda).

• impianto ad acqua fluente erano molto più usati all'inizio del secolo scorso, soprattutto per azionare macchine utensili in piccoli laboratori. Oggi il potenziale di questi impianti è meno utilizzato di quanto si potrebbe. Inoltre l'impatto ambientale di tali impianti può essere contenuto e limitato. Tali impianti non dispongono di alcuna capacità di regolazione degli afflussi, per cui la portata sfruttata coincide con quella disponibile nel corso d'acqua (a meno di una quota detta deflusso minimo vitale, necessaria per salvaguardare l'ecosistema); quindi la turbina produce energia con modi e tempi totalmente dipendenti dalla disponibilità del corso d'acqua: se il corso d'acqua è in magra e si scende sotto un livello minimo di portata, cessa la produzione di energia. In Svizzera le centrali ad acqua fluente coprono il fabbisogno elettrico di base.

Come è fatto un impianto idroelettrico?

Un impianto idroelettrico a deflusso regolato è composto, in genere, da cinque elementi: un sistema di raccolta dell'acqua, una conduttura forzata, una turbina che

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trasforma l'energia potenziale in energia meccanica, un generatore che converte l'energia meccanica in elettrica e un sistema di controllo e regolazione della portata dell'acqua. Una volta utilizzata, l'acqua viene restituita al suo corso naturale senza aver subito alcuna trasformazione nelle sue caratteristiche chimico-fisiche.

Il sistema di raccolta è costituito principalmente da un'opera di sbarramento o diga. Questa deve rispettare regole costruttive e di gestione molto rigorose, disciplinate da leggi e sorvegliate, nel caso di opere di grandi dimensioni, dal Servizio Nazionale Dighe. Gli sforatori di superficie e lo scarico di fondo garantiscono comunque una gestione controllata dell’acqua invasata.

In base alle caratteristiche del luogo dove viene realizzato lo sbarramento, vi sono diverse tipologie di traverse (sbarramenti di piccola entità) o dighe.

Una volta raccolta, l'acqua viene convogliata in una turbina attraverso condutture forzate. Queste ultime sono le tubazioni che partono dal luogo in cui è stata raccolta l’acqua e che portano l’acqua alla centrale dove si produce l’energia elettrica; sono fortemente inclinate e sono costituite da tubazioni in lamiera di acciaio a sezione circolare (hanno anche delle valvole in testa e al piede che permettono di chiudere il passaggio all’acqua).

Le variabili che determinano la capacità della turbina sono il salto utile e la portata. Il primo è il dislivello tra la quota a cui si trova l'acqua prima di entrare nel sistema di raccolta e quella dello scarico. La portata, invece, è il volume, misurato in metri cubi, dell'acqua che transita attraverso una sezione nel tempo di un secondo.

In effetti, per stimare il potenziale idroelettrico di un sito, si deve poter conoscere la variazione delle portate durante l'anno e quale sia il salto lordo disponibile. Nel migliore dei casi i servizi idrografici avranno installato una stazione di misura e saranno state raccolte le serie storiche delle portate defluenti. Nel caso in cui non si conoscano i dati idrologici, si dovrà misurare la portata per almeno un anno.

In ogni turbina c'è un organo di immissione e distribuzione dell'acqua che la porta in una girante (la parte rotante) dove l'energia potenziale si trasforma in energia meccanica. Le turbine si distinguono in turbine ad azione e a reazione. Nelle prime, la trasformazione avviene tutta nell'organo di distribuzione dell'acqua e per questo motivo esse vengono preferite quando il salto è maggiore (fino a 1.000 metri) e la portata modesta. Quando, invece, il salto è minore (fino a 200 metri), a vantaggio di una maggiore portata, è preferibile utilizzare una turbina a reazione che sfrutta anche l'azione della girante

Fissato solidamente all'albero della turbina, un generatore trasforma l'energia meccanica in elettrica. Ogni generatore è composto da un rotore mobile, su cui è installato un magnete e, da una parte fissa, lo statore. Il campo magnetico generato dal rotore trasmette una forza elettromagnetica, l'elettricità, agli avvolgenti di filo di rame presenti nello statore. Dal generatore, sempre attraverso cavi di rame

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opportunamente dimensionati, l'energia elettrica, caratterizzata all'origine da una tensione di 5.000 volt, raggiunge un trasformatore. Qui il valore della tensione viene innalzato fino a 150.000 volt prima che l’elettricità venga immessa nella rete distributiva.

L'intero sistema idroelettrico è guidato, controllato e protetto da apparecchiature elettroniche che sorvegliano il processo produttivo e intervengono in caso di guasto e/o di anomalie di funzionamento, provvedendo a far fermare prontamente l'impianto. Negli ultimi anni, grazie al progresso della tecnologia informatica e delle telecomunicazioni, quasi tutti gli impianti sono comandati a distanza da un limitato numero di centri di telecontrollo che sovrintendono a tutte le operazioni necessarie per il corretto funzionamento delle centrali.

Le opere di sbarramento

Le opere di sbarramento sono dei manufatti destinati a intercettare il corso d'acqua nella località prescelta per la presa.

Si hanno due tipologie di opere che differiscono principalmente per le loro dimensioni:

• le dighe sono quelle opere di maggiore altezza che, oltre a intercettare il corso d'acqua, creano un serbatoio utile ai fini della regolazione delle portate. Possono raggiungere anche altezze di alcune centinaia di metri. Le dighe possono essere realizzate in calcestruzzo oppure in materiali sciolti.

• le traverse sono quelle opere di modesta altezza che, in genere, contengono il sopraelevamento del livello d'acqua a monte di esse entro i limiti dell'alveo del fiume. Hanno altezze che possono raggiungere al massimo la decina di metri. Possono essere del tipo fisso o mobile, a seconda della configurazione dell'alveo, delle portate massime del corso d'acqua e di quelle derivabili e della necessità di evitare, durante le piene, rigurgiti eccessivi e pericolosi a monte dell'opera. Le traverse fisse sono realizzate in muratura o in cemento armato e sono destinate ad essere tracimate dall'acqua nel caso di piena o portate superiori a quelle derivabili dall'impianto, per questo sono solitamente sagomate opportunamente per evitare fenomeni erosivi. Le traverse mobili hanno una parte fissa, realizzata in muratura o cemento armato, ed una parte mobile (detta paratia), solitamente in acciaio.

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E’ possibile ricavare energia dal mare?

In linea di principio è poi anche possibile convertire almeno cinque tipi di energia presenti nel mare: quella delle correnti, delle onde, delle maree, delle correnti di marea e del gradiente termico (differenza di temperatura) tra superficie e fondali.

Energia dalle onde L’idea di sfruttarla per ottenere energia elettrica, nonostante i problemi, non smette di solleticare la fantasia degli ingegneri. Sono allo studio ipotesi per concentrare e focalizzare le onde in modo da aumentarne l’altezza e il potenziale di conversione in energia elettrica. Altre ipotesi prevedono invece di utilizzare le variazioni di pressione che si riscontrano al di sotto della superficie del mare, altre utilizzano dei galleggianti che "copiano" il moto ondoso trasferendolo a dei generatori per mezzo di pistoni idraulici mossi dall’acqua.

Energia dalle maree E’ noto che la Luna esercita una forte forza d’attrazione sull’acqua della Terra. Dall’innalzamento e dall’abbassamento regolare delle masse d’acqua, cioè dalle maree, si ricava energia. Per costruire una centrale di marea l’estuario è sbarrato in direzione del mare con una diga artificiale. La tecnica energetica sfrutta il dislivello tra l’alta marea e la bassa marea: la cosiddetta ampiezza di marea. Ovviamente la premessa è che deve esserci un’ampiezza della marea sufficiente, come si verifica ad esempio nella Francia settentrionale, presso Saint Malo, dove la differenza tra il livello minimo e il livello massimo dell’acqua è di 12-13 metri. La centrale idroelettrica maremotrice di La Rance in Francia produce 240 megawatt da circa 35 anni.

Energia dalle correnti marine è una delle fonti più interessanti ed inesplorate tra le fonti di energie rinnovabili. Si pensi che nella sola Europa la disponibilità di questo tipo di energia è pari a circa 75 gigawatt (75 milioni di chilowatt). Come si sa, oltre alla potenza, ciò che è importante è la stima dell’energia sfruttabile: questa in Europa è pari a circa 50 terawatt (equivalenti a 50 miliardi di chilowattora). Le turbine per lo sfruttamento delle correnti marine possono essere (come per le tecnologie eoliche) ad asse orizzontale o ad asse verticale. Le turbine ad asse orizzontale sono più adatte alle correnti marine costanti, come quelle presenti nel Mediterraneo, mentre le turbine ad asse verticale sono più adatte alle correnti di marea per il fatto che queste cambiano direzione, di circa 180 gradi, più volte nell'arco della giornata.

Energia dal gradiente solare La prima centrale per la conversione dell'energia termica degli oceani è nata nel 1996 al largo delle isole Hawaii e produce energia

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sfruttando la differenza di temperatura tra i diversi strati dell'oceano. L'energia solare assorbita dalla superficie del mare la riscalda, creando una differenza di temperatura fra le acque superficiali, che possono raggiungere i 25-28 gradi centigradi, e quelle situate per esempio ad una profondità di 600 metri, che non superano i 6-7 gradi centigradi. Le acque superficiali, più calde, consentono di far evaporare sostanze come ammoniaca e fluoro; i vapori ad alta pressione mettono in moto una

turbina e un generatore di elettricità, passano in un condensatore e tornano allo stato liquido raffreddati dall'acqua aspirata dal fondo. Una differenza di 20 gradi centigradi basta a garantire la produzione di una quantità di energia economicamente sfruttabile. Attualmente si ha una potenza di 50 chilowatt, ma si pensa di poter arrivare a 2 megawatt anche se i costi sono molto alti.

Da sottolineare che numerose piattaforme marine per l’estrazione di idrocarburi in disuso possono essere convertite per l’applicazione di questa tecnologia.

Attualmente esiste solo un impianto per lo sfruttamento delle maree in Francia, mentre sono in corso esperimenti per lo sfruttamento del potenziale energetico delle onde nel Regno Unito, in Norvegia e in Giappone e del gradiente termico negli Stati Uniti. L'Unione Europea ha di recente concluso uno studio che identifica circa 100 siti suscettibili di essere utilizzati per la produzione di energia elettrica dalle correnti marine. In Italia è lo stretto di Messina ad essere stato identificato tra i siti più promettenti.

Quali sono i vantaggi dell’energia idroelettrica?

L’uomo utilizza l'acqua da oltre 4.000 anni perchè è una fonte energetica con numerosi vantaggi.

L’ acqua è una fonte:

• relativamente abbondante,

• più o meno gratuita,

• rinnovabile

• sicuramente pulita,

e possiede un rendimento nella produzione di energia elettrica che, in condizioni ottimali, può superare l'80%.

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In primo luogo è una fonte rinnovabile quindi non esauribile; in secondo luogo le emissioni di sostanze inquinanti in acqua o in aria sono praticamente nulle (in particolare si riducono le emissioni di CO2 di 6,70 gr per ogni kWh di energia prodotta).

Aggiungiamo inoltre che gli impianti mini-idroelettrici in molti casi, con la sistemazione idraulica che viene eseguita per la loro realizzazione, portano anche notevoli benefici al corso d’acqua in particolare la regolazione e a regimazione delle piene sui corpi idrici a regime torrentizio, specie in arre montane, ove esiste degrado e dissesto del suolo e possono altresì contribuire alla difesa e salvaguardia del territorio.

In alcuni casi, poi, il lago artificiale che si forma in seguito alla costruzione della diga può valorizzare l’area circostante, permettendo lo sviluppo di attività turistiche, sportive e produttive che coesistono con lo sfruttamento idroelettrico. La possibilità di accumulare acqua per poi regolarne il flusso a valle può inoltre contribuire a ridurre fenomeni alluvionali e favorire un uso più oculato delle risorse idriche ormai sempre più rare e preziose.

Esistono dei limiti nell’uso di energia elettrica?

Dal punto di vista strettamente ambientale, la centrale idroelettrica rappresenta uno dei modi migliori per produrre energia elettrica, ma purtroppo esistono anche alcuni limiti; in primo luogo dovuti al fatto che, in Italia come in gran parte d’ Europa, si sono ormai sfruttate quasi del tutto queste risorse, ovvero si sono costruite centrali idroelettriche in quasi tutti i posti dove esistono condizioni ideali per lo sfruttamento dell’energia cinetica dell’acqua che precipita a valle dei monti. Un secondo limite delle centrali idroelettriche è dato dalle ampie aree di territorio che spesso devono essere occupate e allagate tramite dighe di notevoli dimensioni appositamente costruite, per poter accumulare l’acqua necessaria a muovere le turbine con continuità. E’ talvolta necessario quindi modificare l’assetto originario del territorio e i regimi naturali dei corsi d’acqua dei fiumi e torrenti, causando in alcuni casi impatti ambientali sugli ecosistemi e impatti economici su altre attività agricole o industriali.

Nel caso di grandi impianti idroelettrici a bacini necessitano quindi di opportune valutazioni di impatto ambientale (VIA), tese a garantire l’assenza di interferenze con l’ambiente naturale.

Va considerato anche l’impatto visivo dei grossi impianti idroelettrici, uno degli aspetti oggetto della VIA che deve essere sottoposto il più possibile ad una valorizzazione estetica dal momento che opere di presa, sbarramento, centrale, opere di restituzione e sottostazione elettrica determinano un cambiamento nell’impatto visuale del sito. Impatti che possono essere mascherati con la vegetazione o usando

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colori che meglio si integrano con quelli del paesaggio e cercare di costruire nel sottosuolo una parte degli impianti.

Altro aspetto da considerare è l’inquinamento acustico proveniente da una centrale dipende in larga misura dalle turbine e dai moltiplicatori di giri eventuali. Il rumore può essere ridotto molto pertanto l’aspetto rumorosità diviene una questione facilmente risolvibile.

Infine, ma sicuramente non per ordine di importanza, va considerato il rapporto con gli ecosistemi nella fase di progettazione di una centrale idroelettrica in quanto il prelievo delle acque può generare due impatti principali:

• impatto relativo alla diminuzione della quantità dell’acqua con possibili conseguenze per i fruitori tra i quali potrebbero nascere conflitti per l’utilizzo della risorsa, e sulla fauna acquatica

• impatto relativo alla variazione di qualità dell’acqua in conseguenza di variazioni di quantità (conseguente aumento della concentrazione di inquinanti) ed anche di possibili modificazioni della vegetazione sulle rive del fiume.

Nella realizzazione di una diga per un impianto a bacino si hanno le seguenti conseguenze: a monte dello sbarramento si forma un invaso e si trasforma, quindi, un ambiente di acque correnti (definite acque lotiche) in un ambiente di acque ferme (definite acque lentiche), con un tempo di ricambio delle acque più lungo e con possibili ricadute sull'ecosistema. A valle dello sbarramento, fino al punto in cui viene rilasciata l'acqua utilizzata dalla centrale, il corso d'acqua potrebbe andare in secca per alcuni periodi se non viene garantito un rilascio continuo affinché il fiume abbia, anche in quel tratto, una portata minima adeguata.

La portata minima (da garantire per legge) che garantisce all'ecosistema fluviale il naturale svolgimento di tutti i processi biologici e fisici viene denominata "deflusso minimo vitale". Tutti questi aspetti devono essere presi in considerazione durante lo studio dell'impianto a bacino. Per questi motivi vengono fatte opportune scelte in fase progettuale e vengono prese opportune precauzioni per evitare qualsiasi danno all’ecosistema.

La diminuzione della portata di acqua non deve quindi essere eccessiva, e deve essere rispettato il valore del deflusso minimo vitale, altrimenti si possono recare danni alla deposizione, incubazione, la crescita ed il transito dei pesci; per quanto riguarda questo ultimo aspetto si deve prendere in considerazione il movimento dei pesci che risalgono la corrente e di quelli che la discendono, realizzando gli opportuni passaggi, e installare le opportune reti che evitino che i pesci entrino nelle opere di presa e che passino nella turbina (alcuni tipi di turbine possono essere causa di mortalità della fauna ittica).

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Quando si costruisce una diga per alimentare una centrale idroelettrica, quindi, è necessario pensare anche agli altri utilizzi che possono essere fatti dell'acqua: quello potabile, quello agricolo e quello industriale. La dimensione e la gestione della diga deve essere compatibile con tutte queste esigenze, ottimizzando l'utilizzo di una risorsa, l'acqua, che in molte regioni non è sempre disponibile in quantità sufficienti per tutte le necessità.

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Il vento

Un po’ di storia

L'uomo ha imparato a sfruttare l’energia cinetica intrinseca del vento migliaia d'anni fa; la navigazione a vela risale, infatti, ad almeno diecimila anni fa, mentre i primi mulini a vento di cui sono state trovate le tracce sono persiani e risalgono al 200 a.C. Erano costruiti in modo molto semplice, con vele fissate a telai di legno.

Nei secoli seguenti i mulini a vento si diffusero in tutto il Medio Oriente, diventando una macchina d’uso corrente in agricoltura.

Poi, tra il 1200 e il 1300 trovarono impiego anche in Europa, soprattutto nei paesi del Nord e intorno al 1600 furono introdotte tecnologie più raffinate: furono perfezionati i profili delle pale e rese più aerodinamiche per meglio sfruttare la forza del vento.

Nel 700 l’energia eolica veniva utilizzata per prosciugare terreni allagati.

L’invenzione della dinamo, da parte del belga Gramme, nella metà del diciannovesimo secolo, aprì nuovi orizzonti all’utilizzo dell’energia idraulica ed eolica e nel 1887 il francese Duc de La Peltrie costruì il primo aerogeneratore realizzato in Europa e destinato alla produzione di energia elettrica: iniziava così lo sfruttamento dell’energia eolica per l’industria. Nel medesimo periodo anche gli Stati Uniti realizzavano il primo “mulino a vento” per produrre elettricità.

La produzione di energia elettrica da energia eolica si è poi sviluppata tra il 1920 e il 1930, in seguito all’evoluzione di turbine per la trasformazione dell’energia idraulica.

Infine, la crisi petrolifera del 1973 ha fatto rinascere l'interesse per le fonti energetiche rinnovabili, tra cui quella eolica, che in certi casi si dimostra competitiva con i combustibili fossili. I mulini moderni sono molto più veloci ed efficienti di quelli d'inizio secolo. Hanno un minor numero di pale e riescono a raggiungere velocità anche cinque volte superiori a quella del vento, con una produzione di energia doppia rispetto ai mulini tradizionali.

Figura 1: mulino a vento, Olanda (foto di Massimiliano Nurra)

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Che cos’è l’energia eolica?

L’energia eolica è l’energia posseduta dal vento come ci suggerisce la parola stessa, derivante da Eolo, dio greco del vento, il cui nome “aiolos” significa “veloce”.

L’energia elettrica si ottiene sfruttando l’energia cinetica del vento che fa girare le pale di un’ elica; queste a loro volta sono collegate ad un generatore che trasforma l’energia meccanica, dovuta alla rotazione delle pale, in energia elettrica.

Questo è il principio di funzionamento di un aerogeneratore che è poi lo stesso dei mulini a vento.

Come si forma il vento?

Il vento è un fenomeno atmosferico dovuto al riscaldamento del Sole che irradia sulla Terra 1.74 x 1017 watt di potenza; di questa circa il 2% viene convertita in energia eolica. La Terra cede all’atmosfera il calore ricevuto dal Sole, ma non lo fa in modo uniforme. Nelle zone in cui viene ceduto meno calore la pressione dei gas atmosferici aumenta, mentre dove viene ceduto più calore, l’aria diventa calda e la pressione dei gas diminuisce e cosi si generano aree di alta pressione e aree di bassa pressione, influenzate anche dalla rotazione della Terra. Quando diverse masse d’aria vengono a contatto, la zona dove la pressione è maggiore tende a trasferire aria dove la pressione è minore. (Un esempio esplicativo è lasciare sgonfiare un palloncino perché l’ alta pressione all’interno del palloncino tende a trasferire l’aria verso l’esterno, dove la pressione è più bassa, dando luogo a un piccolo flusso d’aria). Il vento è dunque lo spostamento d’aria, più o meno veloce, tra zone di diversa pressione. E tanto più alta è la differenza di pressione, tanto più veloce sarà lo spostamento d’aria, tanto più forte sarà il vento.

Un vento viene descritto attraverso due parametri: la forza (che è in relazione alla velocità) e la direzione. La forza del vento può essere indicata o con la misura della sua velocità, e cioè in nodi che corrispondono alle miglia orarie (1 nodo = 1 miglio orario = 1,852 chilometri orari).

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Com’ è fatto un aerogeneratore?

• Aerogeneratore

Esistono aerogeneratore diversi per forma e dimensione; possono avere una, due o tre pale di varie lunghezze: quelli con pale lunghe 50 cm vengono utilizzati come caricabatteria, quelli con pale lunghe circa 30 metri sono in grado di erogare una potenza di 1.500 kW, riuscendo a soddisfare il fabbisogno elettrico giornaliero di circa 1000 famiglie. Il più diffuso aerogeneratore è costituito da una torre di acciaio di altezze che si aggirano tra i 60 e i 100 metri, con 2 o 3 pale lunghe circa 20 metri e genera una potenza di 600 Kw equivalente al fabbisogno di energia elettrica giornaliero di 500 famiglie.

L’aerogeneratore opera a seconda della forza del vento; al di sotto di una certa velocità la macchina è incapace di partire; infatti perché ci sia l’avviamento è necessario che la velocità raggiunga una soglia minima di inserimento, diversa da macchina a macchina ( circa 4-5 m/s)

• Rotore

E’ costituito da un mozzo su cui sono fissate le pale; le più utilizzate sono quelle in fibra di vetro. I rotori a due sono meno costosi e girano a velocità più elevate, hanno però di contro il fatto di essere più rumorosi e di vibrare di più rispetto a quelli a tre pale e tra i due la resa energetica è quasi equivalente.

Esistono anche rotori monopala, equilibrati da un contrappeso, a parità di condizioni sono ancor più veloci ma hanno rese energetiche leggermente inferiori. Ci sono rotori con numerose pale, di solito 24, che vengono impiegati per l’azionamento diretto di

Figura 2: struttura di un aerogeneratore. (Immagine tratta dal sito ENEA)

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macchine, come le pompe. Inoltre sono stati messi a punto dei rotori con “pale mobili” in modo che variando l’inclinazione delle pale al variare della velocità del vento rendono possibile una quantità costante di energia elettrica prodotta dall’aerogeneratore.

I progressi nel disegno dei rotori eolici degli ultimi 10 anni permettono a questi di operare anche a velocità del vento inferiori, imbrigliando una quantità maggiore di energia e raccogliendola ad altezze maggiori, aumentando la quantità di energia eolica sfruttabile.

Sono stati messi a punto anche dei rotori con pale “mobili”: variando l’inclinazione delle pale al variare della velocità del vento è possibile mantenere costante la quantità di elettricità prodotta dall’aerogeneratore.

I tipi di rotore fino ad oggi ideati sono numerosi: in base alla loro disposizione rispetto alla direzione del vento le macchine eoliche possono essere classificate in tre grandi categorie:

1. macchine ad asse orizzontale, parallelo alla direzione del vento

2. macchine ad asse orizzontale, posto di traverso al vento

3. macchine ad asse verticale, nelle quali l'asse del rotore è perpendicolare al terreno e alla direzione del vento.

• Sistema frenante

E’ costituito da due sistemi indipendenti di arresto delle pale: un sistema di frenaggio aerodinamico ed uno meccanico; di cui il primo viene utilizzato per controllare la potenza dell’aerogeneratore, come freno di emergenza in caso di sovravelocità del vento e per arrestare il rotore mentre il secondo per completare l’arresto del rotore e come freno di stazionamento.

• La torre e le fondamenta

La torre sostiene la navicella ed il rotore, può essere forma tubolare o a traliccio. In genere è costruita in legno, in cemento armato, in acciaio o con fibre sintetiche. Le fondamenta permettono l’ancoraggio al terreno della struttura dell’aerogeneratore al fine di resistere alle oscillazioni ed alle vibrazioni causate dalla pressione del vento.

• Il moltiplicatore di giri

Serve per trasformare la rotazione lenta delle pale in una rotazione più veloce in grado di far funzionare il generatore di elettricità.

• Il generatore

Trasforma l’energia meccanica in energia elettrica. La potenza del generatore viene indicata in kW.

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• Il sistema di controllo

Svolge due diverse funzioni: gestisce, automaticamente e non, l’aerogeneratore nelle diverse operazioni di lavoro e aziona il dispositivo di sicurezza che blocca il funzionamento dell’aerogeneratore in caso di malfunzionamento e di sovraccarico dovuto ad eccessiva velocità del vento.

• La navicella e il sistema di imbardata

La navicella è una cabina in cui sono ubicati tutti i componenti di un aerogeneratore, ad eccezione del rotore e del mozzo, questa è posizionata sulla cima della torre e può girare di 180° sul proprio asse.

Per assicurare sempre il massimo rendimento dell’aerogeneratore è importante mantenere un allineamento più continuo possibile tra l’asse del rotore e la direzione del vento. Negli aerogeneratori di media e grossa taglia, l’allineamento è garantito da un servomeccanismo, detto sistema di imbardata, mentre in quelli piccoli è sufficiente l’impiego di una pinna direzionale. Nel sistema di imbardata un sensore, la banderuola, indica lo scostamento dell’asse della direzione del vento e aziona un motore che riallinea la navicella.

Che cosa sono le WIND-FARM?

Più aerogeneratori collegati insieme formano le wind-farm o “fattorie del vento, che sono delle vere e proprie centrali elettriche.

Nelle wind-farm la distanza tra gli aerogeneratori non è casuale, ma viene calcolata per evitare interferenze reciproche che potrebbero causare perdite di produzione. Normalmente gli aerogeneratori vengono situati ad una distanza di almeno cinque-dieci volte il diametro delle pale stesse.

Ad esempio, nel caso di un aerogeneratore medio, con pale lunghe circa 20 m, significherebbe istallarne una ogni 200 m circa.

Esistono anche gli impianti off shore, cioè le wind-farm costruite in mare; rappresentano un utile soluzione per i paesi densamente popolati siti in prossimità del mare e con forte impegno del territorio.

I sistemi eolici hanno un ottimale collocazione in mare aperto dove ci sono fondali poco profondi, questo sia per un minor impatto ambientale-paesaggistico, sia per una migliore qualità e costanza del vento.

La tecnologia degli aerogeneratori da utilizzare in siti off shore è in pieno sviluppo, generalmente tali impianti sono costituiti da grandi torri con pale ad asse orizzontale.

Secondo alcune recenti stime, gli impianti eolici nei mari europei potrebbero fornire oltre il 20% del fabbisogno elettrico dei paesi europei.

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Curiosità: wind farm

Ad esempio una fattoria del vento, costituita da 30 aerogeneratori da 300 kW l’uno in una zona con venti dalla velocità media di 25 km/h, può produrre 20 milioni di kWh all’anno, quanto basterebbe per soddisfare le esigenze di energia elettrica di circa 7000 famiglie, evitando di liberare nell’aria ben 22 mila tonnellate di anidride carbonica, 125 tonnellate di anidride solforosa e 43 tonnellate di ossido di azoto.

Le WIND-FARM e l’ ambiente

L’energia eolica è una fonte rinnovabile e pulita. I possibili effetti indesiderati degli impianti eolici hanno luogo solo su una scala locale e sono :

Occupazione del territorio: Il terreno necessario per realizzare un impianto eolico è complessivamente vasto, dal momento che bisogna calcolare anche la distanza fra un generatore e l'altro. Da questo punto di vista, la densità di potenza (10 watt per metro quadrato) è piuttosto bassa. Se, però, si tiene conto del fatto che le macchine eoliche e le opere di supporto occupano solo il 2 - 3% del territorio, la densità cresce a centinaia di watt per metro quadrato e lo spazio tra una macchina e l'altra può comunque essere impiegato per l'agricoltura o la pastorizia.

Impatto visivo: L'impatto visivo di un aerogeneratore alto dai 40 ai 60 metri è evidente, ma può essere ridimensionato realizzando gli impianti a una certa distanza dai centri abitati più vicini. Oggi si tende a diminuire l’impatto visivo disponendo le macchine su una sola fila e utilizzando i colori neutri (come io bianco). Il minor impatto ambientale-paesaggistico si ottiene anche collocando gli impianti in mare aperto oltre l'orizzonte visibile dalle coste. Sono comunque allo studio soluzioni costruttive meno visibili anche per le installazioni terrestri. Si può ricorrere al mimetismo di carattere cromatico che consiste nel rendere i colori delle torri eoliche simili a quelli del paesaggio circostante (per esempio la parte inferiore che si mimetizza con il verde della campagna, mentre la parte superiore gradatamente

Figura 3: wind farm. ( Foto tratta da www.enea.it)

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azzurra come il cielo), oppure al mimetismo delle forme integrando i sistemi eolici su strutture preesistenti.

Rumore: L'inquinamento acustico potenziale degli aerogeneratori è legato a due tipi di rumori: quello meccanico proveniente dal generatore e quello aerodinamico proveniente dalle pale del rotore. Per quanto riguarda il rumore, in termini di decibel, il ronzio degli aerogeneratori è ben al di sotto del rumore che si percepisce in città. Allontanandosi di trecento metri da una wind-farm si rilevano gli stessi decibel che si avvertono normalmente stando nel traffico o nelle vicinanze di molte industrie. Attualmente comunque gli aerogeneratori ad alta tecnologia sono molto silenziosi. Si è calcolato che, ad una distanza superiore a circa 200 metri circa, il rumore della rotazione dovuto alle pale del rotore si confonde completamente col rumore del vento che attraversa la vegetazione circostante.

Effetti dannosi su flora e fauna: Quanto alle possibili alterazioni di flora e fauna, sulla base delle informazioni disponibili, si è verificato che le possibili interferenze di qualche rilievo riguardano solo l’impatto dei volatili con il rotore delle macchine. In genere le collisioni sono rare e per lo più limitate ai rapaci. Gli uccelli migratori sembrano, invece, adattarsi alla presenza di questi ostacoli. Studi specifici a questo riguardo sono stai condotti dal Rin (Research Institute for Nature Management) che ha potuto constatare che le perdite sono comunque inferiori a quelle dovute al traffico di auto e ai pali della luce e del telefono.

Interferenze sulle telecomunicazione ed effetti elettromagnetici: possono essere evitati stabilendo e mantenendo la distanza minima fra l’aerogeneratore e le stazioni terminali di ponti radio, apparati di assistenza alla navigazione aerea e televisori.

Emissioni evitate per ogni kWh prodotto da un aerogeneratore:

1.000 g/kWh di CO2 (anidride carbonica)

1,4 g/kWh di SO2 (anidride solforosa)

1,9 g/kWh di NOx (ossidi di ferro)

La mappa eolica

La valutazione della potenzialità produttiva di un impianto eolico è un’ operazione difficile e laboriosa, che dipende dalle caratteristiche dei venti che soffiano nel luogo dove l’impianto verrà realizzato.

La velocità del vento è influenzata dalla conformazione del terreno; la presenza di eventuali ostacoli influenza la velocità, la potenza, la direzione e la distribuzione dei venti. Per quanto riguarda i rilievi montuosi si evince da uno studio che, i pendii ripidi

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creano turbolenze pericolose per la stabilità e negative per il rendimento del generatore eolico, quelli più graduali favoriscono la concentrazione del vento.

In generale la posizione ideale di un aerogeneratore è in un terreno con un numero non eccessivo di ostacoli con una pendenza compresa tra i 6 e i 16 gradi, con velocità del vento di almeno 5,5 m/s e costanza durante l’anno.

Per i siti off-shore i migliori sono quelli con venti che superano la velocità di 7-8 m/s, con bassi fondali da 4 a 40 metri) e che distano oltre 3 km dalla costa.

Molto importante per la creazione di un impianto eolico è la conoscenza della “mappa eolica” del luogo in questione dalla quale ricavare informazioni su come e quanto soffia il vento; ed allo stesso tempo l’effettuazione di registrazioni sistematiche e per prolungati periodi di tempo di grandezze, come la velocità e delle traettorie dei venti che soffiano nei luoghi prescelti.

Quanti tipi di impianti eolici esistono?

L’energia elettrica può essere utilizzata attraverso due grandi categorie di impianto: impianti per utenze isolate e impianti concepiti per essere allacciati a reti elettriche già esistenti.

Impianti per le utenze isolate è quello per la produzione di energia elettrica “di servizio”fornita da piccoli aerogeneratori di potenza inferiore a 1 Kw usato generalmente per l’alimentazione di apparecchiature poste in luoghi isolati,come ripetitori radio, rilevatori, impianti di segnalazione e sono spesso utilizzati insieme ai sistemi fotovoltaici.

Appartengono a tale categoria impianti costituiti da aerogeneratori di piccola taglia (3-20 Kw) ed un

sistema di accumulo (batteria) dell’energia elettrica prodotta nei momenti di vento favorevole; generalmente alimentano case sparse o insediamenti isolati non allacciati alla rete.

Impianti da collegare alla rete, cioè quelli allacciati alla rete, si suddivide in due ulteriori categorie: quelli per la produzione di elettricità

per l'alimentazione di piccole reti di distribuzione dell’energia elettrica e quelli collegati alla rete nazionale. Nel primo caso si tratta impianti situati su piccole isole o in aree remote che sono alimentate da sistemi elettrici non connessi con la rete

Figura 4: Generatore eolico per un’abitazione nel Parco Naturale del Carnè(RA). (Foto di Paolo Carbone).

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nazionale. Anche per questa tipologia di sistemi si può prevedere l'impiego congiunto di eolico e fotovoltaico (impianti ibridi), che potrebbero, in alcuni casi, integrarsi a vicenda su base annua. L'applicazione di maggior interesse per l'eolico è invece l'alimentazione delle grandi reti nazionali; per questo scopo sono utilizzate macchine di taglia medio-grande installate singolarmente o in gruppi di unità (wind-farm) con potenze totali dell'ordine di alcuni megawatt o di alcune decine di megawatt.

Diffusione dell’energia eolica

Negli ultimi anni la produzione di energia eolica si è molto sviluppata soprattutto in Europa e sta crescendo sempre più, anche se tuttora l’eolico contribuisce soltanto al 2 % del totale fabbisogno energetico europeo.

In Italia, i venti sono condizionati da diversi fattori: il clima dell'area mediterranea, la posizione geografica dell'Italia, la sua forma allungata e circondata dal mare e i numerosi rilievi montuosi disposti in maniera irregolare che funzionano spesso da barriera e talvolta da elemento incanalatore. Tutti questi aspetti fanno sì che la quantità d'energia disponibile entro i primi 100 metri dal suolo (quelli che interessano lo sfruttamento mediante impianti eolici) in Italia sia molto inferiore a quella riscontrabile nei paesi europei che si affacciano sull'oceano.

L’Italia può comunque contare, specie nelle zone meridionali e nelle isole, su venti di buona intensità, quali il maestrale, la tramontana, lo scirocco e il libeccio, in particolare le regioni più interessanti sono quelle del sud: quali il territorio compreso tra le province di Trapani, Foggia, Benevento, Avellino e Potenza è il principale polo eolico nazionale.

La maggiore diffusione dell’eolico nel nostro paese si è registrata tra il 1999 e il 2002, quando gli impianti sono più che raddoppiati, grazie anche ad una normativa che obbliga le imprese elettriche a generare il 2% di energia da fonti rinnovabili.

Quali sono i vantaggi dell’energia eolica?

Considerato che il vento è abbondante, economico, inesauribile, ampiamente distribuito e l’energia che se ne produce non produce alcuna emissione inquinante, una maggiore sfruttamento dell’ energia eolica potrebbe contribuire in maniera significativa alla riduzione delle emissioni dei gas serra.

I generatori eolici, che non producono impatti radioattivi ne chimici, in quanto costruiti solo da materie plastiche e metalliche, producono un’energia tale nel corso della loro

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vita media circa 80 volte superiore a quella necessaria alla loro costruzione, manutenzione, esercizi, smantellamento e rottamazione (decomissioning). E’ stato calcolato per l’appunto che siano sufficienti 2 o 3 mesi di vita per recuperare tutta l’energia spesa per costruirlo e mantenerlo in esercizio.

In conclusione, se si rispettano alcune accortezze nella fase di progettazione di una wind-farm, tra tutte le fonti rinnovabili di energia, quella eolica è fra le più pulite e sicure. Durante il funzionamento non produce sostanze inquinanti, polveri e calore e anche dopo lo smantellamento tutto può tornare come prima, senza lasciare traccia né danni all’ambiente e alle persone.

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Il calore della Terra

Un po’ di storia

L’utilizzo delle acque geotermiche è da considerarsi antichissimo in quanto si ipotizza risalire al Paleolitico superiore. Il suo sviluppo in termini specificatamente sanitari è iniziato circa 2000 anni fa e precisamente in Italia e Giappone.

Successivamente, solo a partire dal Rinascimento, però il termalismo prende corpo nella trattazione scientifica, in particolare con la famosa stampa del De Thermos, scritto da Andrea Bacci nel 1571; infatti nel diciassettesimo e diciottesimo secolo prende corpo in Europa la costruzione di numerosi stabilimenti termali a scopo terapeutico.

Gli usi energetici dei fluidi geotermici si svilupparono più tardi di quelli termali e più precisamente il primo impianto industriale per la produzione di energia fu costruito in toscana nel 1903 quando Francesco Larderel, proprietario di un impianto che produceva acido borico estraendolo dalle acque circolanti nel sottosuolo della zona, ebbe l’idea di iniziare a sfruttare il calore naturalmente contenuto in queste acque anzichè farle evaporare bruciando della legna.

Sempre a Larderello, nel 1913, fu costruito il primo impianto per la produzione di elettricità di origine geotermica.

Figura 1: Centrale e tubi per il recupero dell’energia geotermica dal sottosuolo a Larderello. (Foto tratta da www.enel.it)

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Che cos’è l’energia geotermica?

Il calore contenuto all’interno della terra è energia geotermica, o più precisamente viene definita energia geotermica quella frazione del calore terrestre utilizzabile dagli uomini.

Possiamo immaginare la struttura interna della terra simile a quella di un uovo dove il tuorlo è rappresentato dal nucleo centrale, l’albume dal mantello terrestre e il guscio dalla crosta terrestre. Lo strato superiore del mantello, su cui poggia la crosta, è costituito da un fluido caldo chiamato magma che quando trova una via d’uscita verso la superficie, da origine ai vulcani e prende il nome di lava.

Il gradiente geotermico è l’ aumento variabile della temperatura che si riscontra spostandosi dalla superficie verso l’interno della Terra. Questo è quantificabile in un aumento di circa 2,3-3°C ogni 100 metri, anche se c i sono aree in cui esso è minore di 1°C ogni 100 m, e altre dette “calde” o “geoterm iche”, in cui supera la norma anche di 100 volte, proprio perché trattasi di aree vulcaniche dove il magma si trova a profondità, cosicché già a 500-1000 m le temperature sono superiori ai 300°.

Il campo geotermico è l’area sfruttabile nell’ambito di un sistema geotermico.

Dove si trova l’energia geotermica?

Dalla teoria della “tettonica a zolle” sappiamo che la crosta terrestre è suddivisa in una ventina di macro-aree chiamate zolle che sono in continuo movimento ed ogni anno si spostano mediamente di una misura che va da zero a 18 cm ed è proprio nei margini di rottura o di collisione delle zolle che si trovano le aree geotermiche più calde del globo.

Importanti aree geotermiche sono anche i “punti caldi” o più comunemente hot spots come le Hawaii, le Galapagos, le Canarie ed la zona tra la Toscana e l’alto Lazio chiamato “bombardamento etrusco.

L’Italia è il Paese più caldo d’ Europa dal punto di vista geotermico, anche se, tuttora lo sfruttamento delle sue risorse geotermiche si è sviluppato esclusivamente nell’area centro-settendrionale.

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Cosa sono i sistemi geotermici?

Un sistema geotermico è costituito da una sorgente di calore che può essere dispersa o concentrata. Trattasi di sorgente dispersa quando l’aumento della temperatura è rapportabile ad un normale aumento della temperatura terrestre ed è riscontrabile nelle zone vulcaniche , dove la presenza di magma in superficie innalza localmente la temperatura della terra.

Vi è, poi, un fluido geotermico costituito, in genere, da acqua meteorica allo stato liquido o vapore che, circolando tra le rocce del serbatoio, ne assorbe il calore riscaldandosi fino a temperature talvolta superiori ad alcune centinaia di gradi. Il fluido risale in superficie lungo le vie naturali quali faglie o fratture, dando luogo a sorgenti termali, fumarole, geyser in alternativa deve essere estratto per mezzo di un pozzo geotermico.

Una formazione di rocce permeabili all’interno delle quali si muove un fluido è un serbatoio e generalmente questo è localizzato tra due strati di rocce impermeabili che impediscono ai fluidi caldi di disperdersi in superficie. I sistemi geotermici si dividono in:

• Sistemi ad alta temperatura: quando il fluido geotermico ha temperatura superiore a 140°C.

• Sistemi a media-bassa temperatura: quando il fluido geotermico è al di sotto dei 140°C.

I sistemi ad alta temperatura possono essere sistemi cosiddetti “a vapore dominante”, nei quali il fluido geotermico si trova sotto forma di vapore ed in questi casi l’energia geotermica viene sfruttata principalmente per produrre energia elettrica.

In quelli cosiddetti “ad acqua dominante” il fluido geotermico si trova in forma liquida ad alta temperatura e sotto pressione nel sottosuolo. Quando un pozzo geotermico viene perforato, la pressione cala in maniera brusca e l’acqua vaporizza risalendo in superficie come miscela di acqua e vapore. In questi casi, l’energia geotermica può essere facoltativamente utilizzata per la produzione di energia elettrica o sfruttata direttamente.

Quelli a media-bassa temperatura contengono fluidi a temperature comprese tra i 140 ed i 90°C che vengono impegnati solo per usi di retti, quali il riscaldamento ed il raffreddamento di edifici o in molti casi quartieri interi o città, usi agricoli come l’essiccamento di prodotti agricoli ed il riscaldamento di serre e aree per l’allevamento degli animali o per l’acquacoltura geotermica, cioè l’allevamento di specie ittiche in vasche a temperatura “geotermicamente” controllata.

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Il teleriscaldamento è uno dei modi più interessanti per usare direttamente i fluidi geotermici a bassa temperatura (80-100°C) e consist e nell’usare il fluido geotermico per scaldare direttamente, tramite degli scambiatori di calore, l’acqua circolante nei corpi scaldanti (radiatori, termoconvettori o pannelli radianti) dell’impianto di riscaldamento delle abitazioni.

Altri possibili usi diretti facenti parte dei processi industriali (ad es. industria cellulosa e carta) e di qualsiasi attività che richieda calore. Alcune forme di utilizzo rientrano nei cosiddetti usi “multipli” o a “cascata”e si basano sul fatto che un fluido geotermico, dopo essere stato impiegato una prima volta, ha ancora del calore residuo da utilizzare in un altro impianto che necessiti di minore calore.

Indagine del sottosuolo

Al fine di poter trovare le aree più adatte allo sfruttamento delle risorse geotermiche, si ricorre all’uso di indagini che vengono condotte sia in superficie che nel sottosuolo per indagare e capire quali siano le caratteristiche geologiche, idrogeologiche, termiche e la capacità produttiva del sistema geotermico.

Tra le indagini di superficie sono previste:

• L’esame delle condizioni termiche del sottosuolo e la localizzazione di possibili serbatoi;

• Misurazione del gradiente termico in vari punti dell’area;

• Ricerca di manifestazioni evidenti come fumarole e sorgenti termali;

• Osservazione dei dati forniti dalle analisi chimiche di acque e gas.

La localizzazione di un serbatoio è la parte più complessa dell’esplorazione in quanto richiede l’integrazione dei risultati di tutte le indagini geologiche, vulcanologiche, geochimiche e geofisiche preventivamente realizzate.

L’indagine vera e propria del sottosuolo viene condotta, poi, realizzando un pozzo che permette finalmente di verificare sul campo le ipotesi formulate precedentemente.

VM

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Le centrali geotermoelettriche

Un campo geotermico ad alta temperatura, cioè l’area sfruttabile nell’ambito di un sistema geotermico, viene sempre collegato a una centrale per la produzione di energia elettrica.

Si differenzia da una centrale termoelettrica per il fatto che, anziché bruciare combustibili fossili, il vapore necessario per muovere le turbine e produrre elettricità viene prodotto naturalmente del sottosuolo (ad esempio in Toscana a Larderello).

Dopo l’utilizzo, il vapore esausto, viene condensato, depurato dai gas incondensabili (ad es. la CO2) e iniettato nuovamente nel sottosuolo attraverso appositi pozzi, allo scopo di mantenere costante il giusto livello di pressione all’interno del serbatoio. In un campo ad acqua dominante la miscela acqua/vapore che fuoriesce dal pozzo geotermico viene fatta passare attraverso un “separatore”, in modo che il vapore che deve essere inviato alla turbina si separi dall’acqua che verrà opportunamente iniettata o dispersa in superficie.

Le centrali geotermoelettriche possono essere di diversi tipi:

• “a contropressione” se il vapore, dopo essere stato sfruttato, viene liberato in atmosfera,

• “a condensazione”, se il vapore già utilizzato, viene condensato e nuovamente iniettato nel sottosuolo attraverso u pozzo,

• “a flash” vengono istallate in aree dominate dall’acqua e sono dotate di un separatore che separa il vapore da avviare alla turbina, dall’acqua che viene in seguito eliminata.

Generalmente il fluido geotermico viene utilizzato per vaporizzare, attraverso uno scambiatore di calore, un secondo liquido (di solito si usa l’isopentano) con una temperatura di ebollizione inferiore a quella dell’acqua.

Una volta prodotto, il vapore, viene inviato alla turbina, condensato e quindi riavviato allo scambiatore in un circuito chiuso. Il fluido geotermico, invece, viene nuovamente iniettato nel sottosuolo.

Trattandosi di un sistema a circuito chiuso è molto ecologico perché eventuali inquinanti contenuti nel fluido geotermico non rischiano di venire dispersi nell’ambiente esterno.

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Allo stato attuale con l’energia geotermica vengono prodotti 8.000 megawatt di energia elettrica e 15.000 megawatt di energia termica.

Dove si produce energia geotermolettrica?

La Toscana, ma anche il Lazio settentrionale, come suddetto, sono noti per la produzione di energia geotermoelettrica, e ospitano le serre geotermiche più grandi d'Italia e d'Europa, localizzate nei pressi di Piancastagnaio, sulle pendici del mare Amiata, e a Civitavecchia.

La centrale più grande è "The Geysers", che si trova circa 140 Km a Nord di San Francisco in California con una potenza totale di 750 megawatt.

A Orbetello è stato realizzato un importante centro di acquacoltura: l'acqua di mare, miscelata con acqua a 17–25°C, crea un ambiente ott imale per l'allevamento di branzini e pagelli.

Tra gli usi diretti del calore, l'esempio più importante a livello europeo è il sistema di riscaldamento urbano della città di Ferrara. Si tratta di un impianto di teleriscaldamento che serve 14.000 appartamenti con l'utilizzo di acqua calda a 102°C rinvenuta a 4 km dalla città in un pozzo a 1. 300 metri di profondità perforato a suo tempo per la ricerca petrolifera. Estraendo 250 metri cubi all’ora di acqua, si risparmiano circa 12.000 tonnellate equivalenti di petrolio all’anno (TEP); l'acqua viene poi reiniettata in profondità. Oltre al risparmio di combustibile fossile, sono ben avvertibili i benefici del teleriscaldamento per il minore inquinamento dell'aria, vantaggio notevole in città.

Nella zona dei Colli Euganei (Abano Terme, Montegrotto, ecc.) e in misura minore a Bormio, presso il confine svizzero, l'acqua calda è sfruttata in impianti termali, oltre che per il riscaldamento di edifici.

Secondo un recente studio si calcola che solo con i sistemi geotermici “a vapore dominante” presenti in Toscana e Lazio si potrebbero produrre oltre 5 mila miliardi di chilowattora, una quantità sufficiente per il fabbisogno nazionale di elettricità per 70 anni, mentre lo sfruttamento dei sistemi geotermici “ad acqua dominante” porterebbe ad una produzione di energia elettrica incalcolabile.

Sostenibilità dell’energia geotermica

L’utilizzo di tale energia può contribuire allo sviluppo sostenibile, alla riduzione della dipendenza dei paesi “geopoliticamente” sensibili e ad alta sicurezza nell’approvvigionamento energetico permessa da una diversificazione delle fonti.

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La caratteristica principe che rende questa fonte preferibile alle altre è senza dubbio la costante disponibilità, cioè 24 ore su 24 e 365 giorni l’anno.

Ha d’altro canto il limite o difetto, a seconda di come lo si considera, di immettere anidride carbonica durante il suo sfruttamento, anche se in quantità ridotte rispetto all’ energia prodotta da combustibili fossili; si stima circa 380 grammi per kWh a fronte di concentrazioni poco superiori per il gas naturale e variabili dal doppio al triplo rispettivamente per petrolio e carbone.

Attualmente in Italia la produzione di elettricità da fonte geotermica evita di immettere nell'atmosfera 1 milione di tonnellate di anidride carbonica l'anno e l'uso diretto del calore geotermico per riscaldare edifici, serre, ecc. consente di risparmiare discrete quantità di combustibili fossili.

Tra gli impatti ambientali prodotti da una centrale geotermica, vanno comunque ricordati e considerati la perforazione e l'occupazione del suolo, i cui effetti si ripercuotono negativamente a scapito del paesaggio circostante e della fauna e flora che lo abitano.

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BIOMASSE

Un po’ di storia

Il fuoco, indiscutibilmente la più importante invenzione nella storia dell’uomo è stato scoperto grazie alla combustione accidentale del legno.

Successivamente con la Rivoluzione industriale, la risorsa legno cominciò a scarseggiare a causa delle massicce deforestazioni realizzate per produrre energia.

L’uomo ha dovuto cercare fonti di energia alternativa, trovandole nel carbonio e nel petrolio, un tempo abbondanti anche se non rinnovabili. Solo di recente, i maggiori fabbisogni d’energia, le prospettive d’esaurimento dei carburanti fossili e l’inquinamento prodotto dalla loro combustione, hanno spinto l’uomo a “riscoprire” l’utilità del legno e delle biomasse come fonti energetiche.

Che cosa sono le biomasse?

La vegetazione che copre il nostro pianeta è un magazzino naturale di energia solare. Con il termine biomasse si intendono sostanze di origine vegetale o animale in forma “non fossile” da cui è possibile ottenere energia attraverso determinati processi tecnologici. Le biomasse si producono nel processo di fotosintesi, durante il quale l’ anidride carbonica atmosferica e l’ acqua del suolo si combinano per produrre zuccheri, amido, cellulosa, lignina, sostanze proteiche, grassi, ecc.

E’ proprio nei legami chimici di queste sostanze che è immagazzinata la stessa energia solare che ha attivato la fotosintesi. Bruciando le biomasse, l’ossigeno atmosferico si combina con il carbonio in esse contenuto, mentre si liberano anidride carbonica e acqua e si produce calore.

L’ anidride carbonica torna nell’ atmosfera e da qui è nuovamente disponibile ad essere re-immessa nel processo fotosintetico per produrre nuove biomasse: ecco quindi che le biomasse sono una risorsa rinnovabile nel breve periodo.

Queste fonti sono disponibili come prodotti diretti quali:

• piante coltivate per scopi energetici e/o alimentari insieme quali piante zuccherine o piante ricche di amido,

• sottoprodotti o scarti del settore agricolo-forestale, agro-alimentare e zootecnico come segherie, allevamenti, ecc,

• come scarti della catena di distribuzione o consumo dei prodotti commerciali (ad esempio la frazione organica dei rifiuti domestici urbani raggiunge il 40 % in peso),

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• come scarti della frazione verde dei rifiuti solidi urbani.

A cosa servono le biomasse?

Le biomasse ligneo-cellulosiche quali legname e sottoprodotti di colture erbacee, arboree e forestali, vengono utilizzate come combustibile per diversi scopi: il riscaldamento domestico, la produzione di energia elettrica e gli usi industriali. Altri settori interessati alla lavorazione di questa materia prima sono: l'industria della carta, della cellulosa, dei pannelli di truciolato, dei materiali compositi, dei mangimi e della chimica.

Le biomasse possono essere:

• bruciate direttamente per fornire calore,

• trasformate in combustibili solidi, liquidi e gassosi (come metano, etanolo, ecc.) attraverso l’impiego di microrganismi,

• usate direttamente per la generazione di movimento, calore, elettricità,

• usate per la sintesi di prodotti (bioproduct).

E’ possibile poi, sintetizzare chimicamente determinate sostanze, capaci di sostituire alcuni derivati del petrolio utilizzati oggi dalle industrie produttive (ad es. il Mater-Bi).

Esistono anche le "coltivazione energetiche", cioè coltivazioni di specie vegetali a rapido accrescimento e sono generalmente impiegate nella produzione di biocombustibili (biofuel). Ad esempio, da processi di trasformazione della materia organica di piante produttrici di oli vegetali e zuccheri, come il girasole, il sorgo zuccherino e la barbabietola, si ricavano il bioetanolo, utilizzabile come additivo nelle benzine e il biodiesel, una miscela dalle caratteristiche simili a quelle del gasolio.

Figura 1: Esempio tipico di biomasse, gli sfalci di potatura del verde urbano (Foto di Paolo Carbone)

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I biocarburanti, oltre a prestarsi per produrre calore e/o energia elettrica, possono essere utilizzati per autotrazione, sia miscelati con altri combustibili fossili sia, in alcuni casi, usati puri.

Come produrre energia dalle biomasse?

Per ottenere energia dalle biomasse, detta biopower, esistono diverse tecnologie e diversi sono i prodotti energetici che si ottengono. Le tecnologie del biopower convertono la biomasse in calore ed elettricità usando apparecchiature simili a quelle usate con combustibili fossili . Una vantaggiosa caratteristica delle biomasse è la loro disponibilità rispetto alla domanda, in funzione del fatto che sono in grado di conservare intatta la loro energia fino al loro utilizzo.

In sintesi, i processi di conversione in energia delle biomasse possono essere ricondotti a due grandi categorie: processi termochimici e processi biochimici.

Processi termochimici

I processi di conversione termochimica sono basati sull’azione del calore che permette le reazioni chimiche necessarie a trasformare la materia in energia e sono utilizzabili per prodotti e residui cellulosici e legnosi ed alcuni scarti di lavorazione quali:

• segatura e trucioli,

• paglia di cereali, residui di potatura della vite e dei fruttiferi,

• lolla, pula, gusci e noccioli,

Figura 2: Produzione di calore da combustibile legnosi. Immagine tratta da www.enea.it

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e comunque residui e prodotti in cui il rapporto carbonio (C) su azoto (N) abbia valori superiori a 30 ed il contenuto di umidità non superi il 30%.

I processi termochimici sono:

• Combustione: consiste nell’ossidazione completa del combustibile a H2O e CO2 ed è il più semplice dei processi termochimici. Si riscontrano buoni rendimenti se si utilizzano come combustibili sostanze quali cellulosa e lignina (perché ricche di glucidi strutturati) e con contenuto di acqua inferiori al 35%.

• Gassificazione: consiste nella trasformazione di un combustibile solido o liquido, nel caso specifico della biomassa, in combustibile gassoso, attraverso una decomposizione termica (parziale ossidazione) che avviene ad alta temperatura. Ogni impianto si suddivide in tre sezioni dove avvengono altrettante fasi del processo: gassificazione, turbina a gas e ciclo termico. Durante la prima fase la biomassa ancora umida viene immessa in un essiccatore che permette l’evaporazione dell’acqua in eccesso. Dopo la biomassa essiccata passa nel gassificatore dove viene trasformata in un gas sintetico composto da azoto molecolare (N2), vapore (H2O), monossido di carbonio (CO), anidride carbonica (CO2), idrogeno molecolare (H2), metano (CH4) e una piccola frazione di idrocarburi più pesanti. La proporzione tra i vari componenti del gas varia notevolmente in funzione dei diversi tipi di gassificatori, dei combustibili e del loro contenuto di umidità. In seguito il gas sintetico viene raffredato, filtrato per eliminare le polveri e purificato da contaminanti e composti organici quali fenoli ed acidi grassi. Dopo essere stato compresso risulta pronto per alimentare la turbina a gas dove verrà bruciato per riscaldare l’aria da inviare al ciclo termico. In questa terza fase dell’impianto, una caldaia recupera il calore contenuto nell’’aria proveniente dalla turbina a gas e produce vapore per una seconda turbina a vapore che alimenta un generatore di corrente elettrica.

• Pirolisi: consiste nella degradazione termica della biomassa in assenza di agenti ossidanti (aria o ossigeno) ed a temperature comprese tra 400 e 800 gradi centigradi che porta alla formazione di prodotti solidi, liquidi e gassosi, in proporzioni che dipendono dai metodi di pirolisi (veloce, lenta o convenzionale) e dai parametri di reazione. Uno dei maggiori problemi legati alla produzione di energia basata sui prodotti della pirolisi è la qualità di detti prodotti, che non ha ancora raggiunto un livello adeguato con riferimento alle applicazioni, sia con turbine a gas sia con motori diesel.

Attualmente si stanno sviluppando processi di Co-Combustione e di Co-Gassificazione volti a utilizzare nello stesso impianto biomasse e combustibili tradizionali come il carbone.

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Processi biochimici

I processi biochimici riguardano essenzialmente la Digestione Anaerobica, ossia la degradazione della sostanza organica in assenza di ossigeno ad opera di alcuni

ceppi batterici. Il sistema biologico è di tipo anaerobico con digestione anaerobica a caldo dalla quale si ottiene, oltre al biogas, l’abbattimento del carico inquinante, dovuto al fatto che una flora microbica selezionata è in grado di selezionare le sostanze organiche ed inorganiche presenti nei residui vegetali ed animali per moltiplicarsi e trasformarle quindi in nuova sostanza vivente, cioè biomasse microbiche controllate. In questo processo gioca un ruolo fondamentale l’energia contenuta nei rifiuti organici e liberata via via

dalla flora microbica specializzata. Questo processo interessa la biomassa con un alto grado di umidità (reflui zootecnici, la parte organica dei rifiuti solidi urbani ecc.) portando alla produzione di biogas (CH4 e CO2) e può avvenire sia nelle discariche che in reattori appositamente progettati chiamati digestori.

Risultano idonee alla conversione biochimica le colture acquatiche, alcuni sottoprodotti colturali, i residui dell’ industria zootecnica ed alcuni scarti di lavorazione, alcune tipologie di rifiuti urbani ed industriali ed in particolare:

• foglie e steli di barbabietola, ortive e patate,

• borlande ossia residui della lavorazione dell’alcool fatto con granaglie e le acque di vegetazione.

Gli impianti a digestione anaerobica possono essere alimentati medianti residui ad alto contenuto di umidità, quali deiezioni animali, reflui civili (cioè acque di scarico urbane), i rifiuti alimentari e la frazione organica dei rifiuti solidi urbani in genere. Gli impianti vengono progettati con una linea di digestione e stoccaggio ed una centrale di cogenerazione con almeno due motori. Il processo anerobico avviene all’interno dei digestori costruiti in cemento armato riscaldati a 40°C per un periodo di circa c.a. 60 giorni. La biomassa preparata e diluita viene pompata nel digestore. Costringendo un eguale quantità a passare per tracimazione o travaso nella cisterna successiva. Il sistema è progettato in modo tale che il pozzo della pompa di carico sia posizionato ad un livello inferiore rispetto ai digestori cosi’ da permettere un riflusso nel pozzo medesimo. La pompa può riempire separatamente ogni digestore. La biomassa, terminata la digestione, passa nella cisterna di stoccaggio per andare all’impianto di separazione, con produzione di humus. L’acqua separata viene convogliata nella rete di scarico o stoccata a fini irrigui. Il biogas prodotto in tale processo è costituito

Figura 3: Discarica Rifiuti Urbani controllata, pozzo captazione biogas.

(Foto di Paolo Carbone)

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per il 50-70 da metano e per la restante parte soprattutto da CO2 ed ha un potere calorifero medio dell’ordine di 23.000 Kjoule al mq. Il biogas prodotto, deumidificato e lavato, viene convogliato nel polmone, da cui passa direttamente alla centrale di cogenerazione (motore + alternatore). L’energia elettrica e termica necessaria al funzionamento dell’impianto, alle necessità dell’azienda agricola e dell’abitazione , viene prelevata direttamente dalla centrale stessa; quella in eccedenza (generalmente l’85-90%) viene ceduta all’Ente Gestore della Rete (ex ENEL) e la termica possibilmente utilizzata per l’essiccazione dei foraggi e per il riscaldamento di serre o per utilizzi che si riterranno di volta in volta più utili.

Digestione aerobica

Consiste nella metabolizzazione delle sostanze organiche per opera di microrganismi, il cui sviluppo è condizionato dalla presenza di ossigeno. Questi batteri convertono sostanze complesse in altre più semplici, liberando anidride carbonica e acqua e producendo un elevato riscaldamento del substrato, proporzionale alla loro attività metabolica. Il calore prodotto può essere così trasferito all’esterno, mediante scambiatori di calore a fluido. In Europa viene utilizzato il processo di digestione aerobica per il trattamento delle acque di scarico. Più recentemente tale tecnologia si è diffusa anche in Canada e Stati Uniti.

Il teleriscaldamento a biomassa

La soluzione ottimale per sfruttare le biomasse, oltre all'uso per riscaldamento individuale in caldaie a pellet (palline di legno) o a tronchetti, è attualmente il teleriscaldamento a biomasse di piccole dimensioni (10 megawatt), che fornisce calore ad un insieme di abitazioni e/o attività, posto nelle vicinanze del luogo di produzione della biomassa utilizzata che può essere un bosco, un terreno di coltura,

Figura 4: Degradazione batterica aerobica della sostanza organica. (Foto di Paolo Carbone)

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una segheria. Se la provenienza della biomassa è locale, la dimensione dell'impianto deve essere ponderata con cura per permettere la rigenerazione delle fonti.

Un sistema di teleriscaldamento si compone di una rete di trasporto e di una di produzione del calore, messi entrambi al servizio contemporaneamente di più edifici. La centrale di teleriscaldamento può utilizzare tecnologie cogenerative e/o fonti rinnovabili.

Tipologie di impianti di teleriscaldamento

Esistono due tipologie: impianti a produzione semplice (cioè solo calore) ed impianti a produzione combinata (cioè calore + energia elettrica).

Alla prima classe appartengono le caldaie per produzione di calore in forma di vapore, acqua calda, acqua surriscaldata, olio. Gli impianti a produzione combinata sono gli impianti di cogenerazione che possono essere alimentati da un ciclo a vapore con motori a combustione interna, con turbine a gas , a ciclo combinato. Infine la rete di distribuzione, che è la parte più onerosa dell’impianto di teleriscaldamento: si stima che il suo costo può ammontare ad una quota tra il 50-80% del costo totale dell’impianto; può utilizzare acqua calda (80-90°C) o leggermente surriscaldata (110-120°C).

Il teleriscaldamento a biomasse è da considerare una tecnologia complementare alle caldaie domestiche a biomassa. Negli impianti di teleriscaldamento, con caldaie a griglia, si possono bruciare tutti gli scarti della filiera del legno, anche con basso potere calorifero o molto umidi. Nelle caldaie a legna delle abitazioni invece tali scarti non sono utilizzabili perchè si deve bruciare legno secco e di qualità, in pezzi di dimensioni adeguate, o scegliere caldaie a pellet se si vuole automatizzare l'impianto, evitando di doverlo rifornire continuamente (anche più volte al giorno nella stagione invernale). Legname con tali caratteristiche assicura infatti un minore ingombro a parità di massa secca bruciata ed a parità di effetto utile, una combustione più regolare ed un trasporto/stoccaggio più semplice.

Questa variabilità nell'alimentazione degli impianti a biomasse può permettere di sfruttare tutti i prodotti della manutenzione del bosco: gli scarti quali rami, cortecce, radici, anche molto umidi per il teleriscaldamento dove esista un adeguato bacino di utenza, i tronchi secchi e gli scarti pellettizzati per le abitazioni isolate.

I residui della pulitura dei boschi, delle colture agricole, delle segherie, senza un impianto alimentato a biomasse, verrebbero smaltiti in altro modo: se lasciati all'aria produrrebbero la stessa quantità di anidride carbonica immagazzinata durante l'accrescimento, se la fermentazione avvenisse in assenza di ossigeno si produrrebbe invece metano, il cui contributo come gas serra è 21 volte in peso quello

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della CO2. Se tali residui vengono smaltiti nelle industrie (cartiere, ecc.) impongono spesso costi di trasporto (economici e ambientali) non indifferenti.

Anche in Italia questi impianti potrebbero essere la risposta alla depressione di alcune zone, con la creazione di occupazione per il mantenimento dei boschi, attività economicamente ed ambientalmente conveniente, considerando che aiuterebbe a prevenire erosione, frane, alluvioni e incendi.

La produzione di biofuel

Il termine biofuel potrebbe riferirsi anche ai combustibili usati per la produzione di energia elettrica, in realtà si riferisce ai combustibili liquidi, cioè quelli impiegati nei mezzi di trasporto.

I più comuni biofuel sono senza dubbio il bioetanolo sintetizzato dai carboidrati e il biodiesel, un estere ottenuto da grassi e oli.

A differenza degli amidi e degli zuccheri che costituiscono un modesto quantitativo di materiale derivante dalle piante, la cellulosa e l’emicellulosa, che sono polimeri delle molecole dello zucchero, rappresentano la maggior parte della biomassa. I benefici legati ai biofuel derivano dal fatto di avere un impatto ambientale più contenuto rispetto ai derivati del petrolio e di usare materiali di scarto che solitamente non vengono utilizzati.

Bioetanolo

Iniziamo con il precisare che l’etanolo risulta un prodotto utilizzabile anche nei motori a combustione interna, come riconosciuto fin dall’inizio della storia automobilistica. Se, però, l’iniziale ampia disponibilità ed il basso costo degli idrocarburi avevano impedito di affermare in modo molto rapido l’uso di essi come combustibili, dopo la crisi petrolifera del 1973 sono stati studiati numerosi altri prodotti per sostituire il carburante delle automobili (benzina e gasolio); oggi, tra questi prodotti alternativi, quello che mostra il miglior compromesso tra prezzo, disponibilità e prestazioni è proprio il bioetanolo.

Il bioetanolo viene sintetizzato dalla biomassa attraverso quattro steps:

• produzione della biomassa fissando la CO2 atmosferica in carbonio organico,

• conversione della biomassa in un’alimentazione utilizzabile per la fermentazione (di solito sotto forma di qualche zucchero) applicando uno dei molti processi tecnologici disponibili,

• fermentazione degli intermedi della biomassa usando biocatalizzatori, che sono microrganismi come lievito e batteri, per ottenere bioetanolo in una

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soluzione poco concentrata (tale stadio può essere visto come la forma più antica di biotecnologia mai sviluppata dall’uomo),

• successivamente dal prodotto della fermentazione si ottiene bioetanolo combustibile, sottoprodotti utilizzabili nella produzione di altri combustibili, composti chimici, calore ed energia elettrica.

Questi ultimi processi, pur essendo tra loro diversi, prevedono come ultimo stadio di sintesi la fermentazione. La fermentazione alcolica è un processo che opera la trasformazione dei glucidi contenuti nelle produzioni vegetali in bioetanolo.

Biodiesel

Gli oli vegetali, i grassi animali e i grassi da cucina riciclati possono essere trasformati in biodiesel usando una serie di tecnologie per realizzare in condizioni operative di bassa temperatura e pressione le reazioni chimiche che portano alla formazione di composti chiamati esteri.

Gli esteri sono liquidi o solidi, solubili in solventi organici e hanno un odore gradevole. Questi sono successivamente trasformati in glicerina e biodiesel.

Il biodiesel è utilizzabile direttamente poiché non richiede alcun tipo d’intervento sulla produzione dei sistemi che lo utilizzano cioè motori, bruciatori, nell’autotrazione (in motori diesel dove può essere utilizzato sia puro che miscelato con il normale diesel) e nel riscaldamento.

L’uso del biodiesel diminuisce la dipendenza energetica dai combustibili fossili, riduce le emissioni dei gas serra e i rischi per la salute dovuti all’inquinamento atmosferico; non è tossico ed è biodegradabile in 30 giorni.

Inoltre il diesel mescolato al biodiesel triplica il suo coefficiente di biodegradabilità. E’ inoltre sicuro da maneggiare, da trasportare e può essere stoccato negli stessi serbatoi del diesel e pompato con gli usuali mezzi tranne che nelle giornate fredde, durante le quali bisogna usare riscaldatori dei serbatoi o agitatori; è completamente miscibile col diesel e ciò lo rende un additivo flessibile.

Il biodiesel, essendo un prodotto ossigenato, migliora il completamento della combustione, e va precisato che la riduzione di emissioni inquinanti è proporzionale alla sua concentrazione nelle miscele.

Presenta anche un piccolo svantaggio relativo alle prestazioni dei motori che utilizzano biodiesel puro, che diminuiscono dell’8-15% rispetto al diesel tradizionale, a causa dei diversi contenuti energetici.

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Per risolvere i problemi sopra citati si usa una miscela di diesel e biodiesel al 20%. Una miscela di biodiesel, bioetanolo (fino al 15% in volume) e un additivo (per aiutare le due sostanze a mescolarsi) è chiamata e-diesel. Quest’ultimo riduce molto le emissioni di particolati dovuti al diesel tradizionale.

Bioproduct

Qualunque composto sintetizzabile dai combustibili fossili può essere ugualmente prodotto dalla biomassa. I Bioprodotti sono realizzati da fonti energetiche rinnovabili e di solito la loro produzione necessita di quantitativi energetici inferiori rispetto ai loro omologhi basati sul petrolio.

Altri reagenti per ottenere bioproduct sono il monossido di carbonio e l’idrogeno; questi si formano in abbondanza nel riscaldamento della biomassa con la presenza di ossigeno. Questa miscela monossido di carbonio - idrogeno è nota come gas di biosintesi, da cui sono sintetizzati materie plastiche e acidi indispensabili nella produzione di pellicole fotografiche, fibre tessili e sintetiche.

Quali sono i vantaggi ambientali dovuti all’utilizz o di biomasse?

Le biomasse si possono considerare risorse primarie rinnovabili e, quindi, rigenerabili in breve tempo. Occorre però impiegarle ad un ritmo complessivamente non superiore alla capacità naturale di rinnovamento biologico.

In realtà, ogni specie vegetale utilizzata, trova un limite nella disponibilità della superficie ad essa destinata, nonché in vincoli climatici ed ambientali, che tendono a limitare in ogni regione le specie che vi possono crescere con convenienza ed economia.

Le fonti energetiche biologiche, o più comunemente biomasse, vengono oggi presentate come una delle fonti rinnovabili più promettenti, sia in termini di contributo energetico, sia per quanto concerne gli effetti socio-economici sul territorio.

Di fatto, esse sono gestibili con relativa facilità e sono caratterizzate da buone prestazione energetiche (ad esempio bastano 3-4 Kg di materiale ligneo cellulosico per sostituire un Kg di gasolio).

Elenchiamo una serie di vantaggi dovuti all’ uso delle biomasse:

• non incrementano la quantità globale di anidride carbonica presente nell’atmosfera perché il processo di combustione libera tanta CO2 quanta le piante ne assorbono nell’intero ciclo di vita, i definitiva queste non influiscono sull’effetto serra,

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• l’ utilizzo di residui forestali, agricoli e delle lavorazioni del legno, contribuiscono a tenere puliti boschi e terreni creando nuovi posti di lavoro,

• sono abbondanti, hanno un’ intrinseca facilità di estrazione energetica, un costo inferiore rispetto ai principali combustibili fossili,

• hanno un basso tenore di zolfo con la conseguenza di non contribuire alle piogge acide, nel fatto che il suo fine ciclo costituisce un potenziale fertilizzante.

Le svariate tecnologie per ottenere energia da biomasse sono molto interessanti anche per il fatto che ottenere energia da questa fonte significa sfruttare materie prime che ora sono oggetto di inquinamento come discariche, fosse biologiche, boschi e terreni incolti e/o abbandonati; inoltre favorirebbe la convenienza a rimboschire a rotazione quelle superfici ora spoglie, a tutto vantaggio della resistenza idrogeologica alle frane; il presidio e l'attività forestale permette inoltre di disincentivare l'opera dei piromani.

Esistono anche degli impatti ambientali?

Innanzitutto non ci si deve dimenticare che anche lo sfruttamento delle biomasse se non avviene seguendo un principio di sostenibilità ha un suo impatto ambientale, infatti può portare alla progressiva deforestazione, processo in atto in alcune aree povere di risorse energetiche alternative

Lo svantaggio principale risiede nella necessità di avvalersi di tecnologie avanzate e costose e di gestire il territorio in modo accurato per sapere quando e come prelevare la risorsa naturale senza sfruttare eccessivamente l’ambiente.

Inoltre, la coltivazione intensiva di alcune piante finalizzata alla successiva produzione di energia (le cosiddette colture energetiche), oltre a necessitare di ampie porzioni di territorio per ottenere quantità di combustibili significative (terreni che vengono sottratti all'attività agricola per produzione alimentare), può comportare l'utilizzo di fertilizzanti ed altre sostanze inquinanti del suolo e delle acque.

Infine coltivando piante di interesse energetico su vasta scala si rischia di influire negativamente sulla biodiversità perché dalle ampie distese di monocolture trarrebbero vantaggio solo poche specie di animali e piante mentre tutte le altre sarebbero escluse.

Le biomasse ipotesi o realtà?

Oggi le biomasse soddisfano il 15% circa del fabbisogno di energia nel mondo con 55 milioni di Tep (Mtep) all’anno (Tep sta per tonnellate di petrolio equivalente). Lo

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sfruttamento di questa risorsa non è distribuito in modo omogeneo sul Pianeta, infatti, i paesi in via di sviluppo ricavano mediamente il 38% della propria energia dalle biomasse, con 1.074 Mtep/anno e addirittura in alcuni di questi paesi tale risorsa soddisfa fino al 90% del fabbisogno energetico.

Al contrario, nei paesi industrializzati le biomasse contribuiscono appena per il 3% agli usi energetici con 156 Mtep/anno. In particolare, gli Stati Uniti ricavano il 3,2% della propria energia dalle biomasse, mentre l’ Europa, complessivamente, il 3,5%.

Alcuni paesi europei, in particolare, hanno sviluppato più di altri lo sfruttamento delle biomasse. La Finlandia ottiene il 18% dell’energia dalla biomassa, la Svezia il 17%, l’Austria il 13%, l’Italia soltanto il 2%.

Le applicazioni più frequenti sono legate al riscaldamento mediante centrali che bruciano legno. Ne esistono anche in Italia soprattutto in Trentino, Lombardia, Piemonte e Val d’Aosta.

E quale si prevede essere il loro futuro?

Secondo studi dell’Unione Europea entro il 2010 almeno 15-20 milioni di ettari di terra coltivabile saranno esclusi dalla produzione di piante alimentari: se tutta questa terra fosse utilizzata per le colture energetiche si eviterebbe di immettere nell’atmosfera 200-280 milioni di tonnellate di anidride carbonica attualmente derivate dall’uso dei combustibili fossili.

Speciale attualità: INCENERITORI

Gli inceneritori o termodistruttori sono impianti di smaltimento di rifiuti, dove gli stessi vengono bruciati, riducendone il peso ed il volume. Il processo di combustione rompe i legami chimici delle sostanze in entrata, ricombinandole e da luogo, anche in condizioni ottimali, a reazioni casuali in cui si producono migliaia di nuovi composti chimici chiamati PIC (cioè Prodotti di Combustione Incompleta).

Quanto viene immesso nell’inceneritore non sparisce, ma ne esce sotto forma di:

- emissioni gassose dal camino che vanno nell’aria,

- ceneri residue che devono essere smaltite,

- acque di scarico che devono essere trattate.

Più precisamente per ogni tonnellata di rifiuti bruciata, un inceneritore produce:

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- 1 tonnellata di fumi immessi nell’atmosfera,

- 280/300 Kg di ceneri “solide”,

- 30 Kg di “ceneri volanti”,

- 650 Kg di acqua di scarico,

- 25 Kg di gesso.

Come risalta subito all’attenzione la materia in uscita è maggiore di quella in entrata in quanto l’inceneritore addiziona ai rifiuti l’ossigeno (tenendo presente che la combustione è un processo di ossidazione) ed acqua per il raffreddamento.

In definitiva possiamo affermare che l’inceneritore rischia di comunicarci un’illusione perché i rifiuti non scompaiono entrandov,i ma ne viene cambiata semplicemente la composizione chimica.

Questo perché la parte della materia che non si ritrova in uscita viene emessa nel corso del processo, come insegna la fisica: “niente si crea né si distrugge, ma tutto si trasforma”.

I composti chimici contenuti nei residui dell’incenerimento sono tipicamente:

- Vapore acqueo,

- Anidride carbonica (*),

- Polveri fini (*),

- Ossido di carbonio (*),

- Acido cloridrico (*),

- Acido fluoridrico (*),

- Anidride solforosa (*),

- Metalli pesanti quali: piombo, cadmio, mercurio, arsenico,…. (*),

- Diossine (*),

- Furani(*),

- Idrocarburi policiclici (*).

Tenendo presente che le sostanze asteriscate sono tossiche e o nocive!...e che molti dei PIC emessi sono più tossici e difficili da distruggere dei rifiuti da cui sono derivati.

I fautori dell’incenerimento vantano spesso l’efficacia degli apparati tecnologici per l’abbattimento dei fattori inquinanti quali estintori, depuratori, filtri, precipitatori elettrostatici che hanno l’obbiettivo comune di catturare gli inquinanti prima che vengano immessi nell’aria attraverso il camino.

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Va sottolineato, però che gli inquinanti così catturati non vengono distrutti, ma semplicemente concentrati nei residui solidi (ceneri) o liquidi (acque di scarico) anziché in quelli gassosi; in altre parole l’effetto dei sistemi di controllo è di decidere dove distribuire gli inquinanti, se nell’aria, nel suolo o in acqua.

I sistemi di abbattimento quindi operano una traslazione dei composti tossici dalla fase aeriforme ad una solida e/o liquida, in altri termini una maggiore efficacia nella captazione dei tossici ha come “contraltare” una maggiore produzione ed una maggiore tossicità dei residui solidi.

In estrema sintesi i principali impatti sull’ambiente e sulla salute dell’uomo sono connessi alle emissioni dal camino dell’impianto ed alla produzione e gestione dei residui solidi (ceneri leggere, ceneri pesanti, scorie, altri residui dai processi di abbattimento) derivanti dai processi di combustione dei rifiuti.

FONTI:

H. Scheer , 2004, Il solare e l’economia globale: energie rinnovabili per un futuro sostenibile; P. Menna, 2003, L’energia pulita; A. Bortolazzi, 2006, Le energie rinnovabili: Energia eolica, Energia solare, Energia fotovoltaica, Energia solare termodinamica, Energia da biomasse, energia Idroelettrica. ENEA, 2003, collana opuscoli Energia SITI:

www.enea.it

www.ilsolea360gradi.it

www.enel.it

www.eniscuola.it

www.arpa.it

www.regione.emilia-romagna.it

www.ermesambiente.it