Intervista a Ester Armanino

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P oco, pochissimo si sa di te, fino ad ora. Si sa che sei di Genova, che hai 28 anni, fai l’architetto e fai anche illustra- zioni. A me incuriosisce sapere come sei arrivata a Einaudi, come sei arrivata a pubblicare per la collana I coralli. In realtà è successo così veloce- mente che per mesi ha incurio- sito anche me… pubblicare con ambiente totalmente diverso, hai mai frequentato qualche corso di scrittura? Se sì, che tipo di esperienza è stata? No, non ho mai frequentato corsi e scuole di scrittura. Ma avendo sempre poco tempo per scrivere e leggere, ho dovuto essere selettiva e quando si è selettivi si è anche molto esigen- ti. Ogni autore che ho letto, in Einaudi, entrare a far parte di uno dei cataloghi editoriali più importanti e autorevoli, sem- brava troppo grossa per essere vera. Andrebbe chiesto al mio romanzo, è colpa sua! Di me si sa l’essenziale e va bene così. Molti autori escono da scuole di scrittura, prima fra tutte la Holden. Tu, venendo da un Crescere è abbandonare Intervista a Ester Armanino Elvira Grassi | Oblique Studio 2011 intervista_armanino3.qxp 05/07/2011 16.58 Pagina 1

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Elvira Grassi ha intervistato Ester Armanino

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Poco, pochissimo si sa di te,fino ad ora. Si sa che sei diGenova, che hai 28 anni,

fai l’architetto e fai anche illustra-zioni. A me incuriosisce saperecome sei arrivata a Einaudi, comesei arrivata a pubblicare per lacollana I coralli.In realtà è successo così veloce-mente che per mesi ha incurio-sito anche me… pubblicare con

ambiente totalmente diverso,hai mai frequentato qualchecorso di scrittura? Se sì, che tipodi esperienza è stata?No, non ho mai frequentatocorsi e scuole di scrittura. Maavendo sempre poco tempo perscrivere e leggere, ho dovutoessere selettiva e quando si èselettivi si è anche molto esigen-ti. Ogni autore che ho letto, in

Einaudi, entrare a far parte diuno dei cataloghi editoriali piùimportanti e autorevoli, sem-brava troppo grossa per esserevera. Andrebbe chiesto al mioromanzo, è colpa sua! Di me sisa l’essenziale e va bene così.

Molti autori escono da scuoledi scrittura, prima fra tutte laHolden. Tu, venendo da un

Crescere è abbandonare

Intervista a Ester Armanino

Elvira Grassi | Oblique Studio 2011

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questo senso, ha fatto da scuola. Da ragazzinaavevo un gran desiderio di scrivere ma non misentivo pronta, così mi tenevo il desiderio e leg-gevo. Se scrivevo qualcosa e il risultato non mipiaceva, riprendevo subito a leggere. Per anni hoconsiderato Marguerite Duras come immagina-ria lettrice delle cose che scrivevo. Mi chiedevocome avrebbe valutato la mia scrittura. Se larisposta era: carina ma niente di speciale, butta-vo via tutto. La scuola più saggia è stata averepazienza. E, nel frattempo, vivere senza pensarci.

Storia naturale di una famiglia ha una trama sem-plice, racconta di una famiglia come tante, felice eunita all’apparenza (“la coppia affiatata e i mar-mocchi nutriti d’amore”), ma che presto viene tra-volta da due eventi drammatici. Nel tuo caso nonè tanto il cosa, ma il come a essere interessante. Èla prospettiva, infatti, a rendere originale la tuastoria, il punto di vista della piccola di casa,Bianca, la voce narrante, che vede tutto attraversouna lente, con l’occhio di un’entomologa. E così

scopre “universi nascosti, devastazioni microsco-piche, scintille di vita e di morte, invisibili a occhionudo”. Ad un certo punto della storia, col padrein punto di morte, rendi esplicita questa tua pro-spettiva. Come hai trovato questa chiave?Il punto di vista di Bianca sembra essere moltodistante dalle cose che accadono intorno a lei,come se niente potesse toccarla davvero, eppure ilsuo sguardo è stretto su sentimenti e dettagli chesolo chi è veramente coinvolto può provare ecogliere. C’è una specie di contraddizione, quindi,una discrepanza che generava il mio interessementre scrivevo, forse anche l’interesse del letto-re, appunto non verso il cosa ma verso il come. Lastoria della sua famiglia è resa l’unica storia pos-sibile proprio dal suo modo di guardarla. Bianca,inoltre, è una bambina che sa anche le cose chenon capisce. Il suo sguardo è potentissimo mainconsapevole, deve necessariamente mutare.Succede con la morte del padre, quando il diora-ma della sua famiglia si rompe definitivamente, lavita entra attraverso la morte e lei deve crescere.

Mi vedevo piccoli uncini al posto delle mani, con quelli potevo rimanere arpionata alla terra eguardare le cose da lì, dove non era possibile cadere.

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Crescere per lei significa appropriarsi di unosguardo nuovo, capace di comprendere, facendotesoro di quello capace di sapere.

La prima scena che hai scritto è proprio quellaemblematica che apre il libro? Quella della muta?Sì, è stata proprio quella. Perché era piena di vitae prometteva bene. Ho visto un filmato doveuna cicala faceva la muta e ne sono rimasta pro-fondamente toccata, subito senza capire perché.Poi un giorno ho iniziato a scrivere di questadonna che faceva la muta sotto gli occhi dellafiglia e allora ho capito. Ero rimasta toccata per-ché sarebbe stato l’inizio. Del mio primo roman-zo, della nuova vita dei suoi personaggi, forseanche di una parte della mia.

Da cosa sei partita invece nella costruzione delnucleo familiare? Dagli ambienti, gli interni, lestrade, hai disegnato una bozza del “paesaggio”del tuo libro?Direi che disegnare è la parola giusta. Nel qua-derno dove scrivevo parti della storia ci sonodisegni della loro tavola da pranzo e anche unapiantina del Museo della Famiglia, quello di cuiparla Bianca quando sua madre decide di vende-re la casa. Disegnare è già una sintesi di ciò chepotrei raccontare e io apprezzo la sintesi, lasciaspazio all’immaginazione e alla possibilità di“arredare” in libertà spazi appena delineati. Ilnucleo familiare era già costruito nella mia testa,forse perché simile al mio. I genitori, il fratello,la sorella. Ho escluso il cane, volevo una fami-glia senza cane perché Bianca si affezionasse airagni dietro la credenza. Poi la domestica, unafigura popolare che si contrapponesse con vita-lità alla stucchevolezza del mondo borghese, e lacugina Beatrice, dalla bellissima pelle ma infondo solo quello, tutta involucro, impossibilemutare.

Questa domanda si riallaccia alla precedente:quanto c’è di te in Bianca? Quanto c’è della tuainfanzia nelle partenze di famiglia per l’estate inVersilia o per le vacanze invernali? E se possochiedertelo, quanto c’è della madre di Bianca,così pura, nella tua di madre?

Con la mia famiglia andavamo in vacanzaall’Isola d’Elba e poche volte in montagna. Io sof-frivo il mal di mare e la macchina, quindi le par-tenze erano altrettanto drammatiche, ma qui siferma la faccenda autobiografica. La madre diBianca è stata un banco di prova proprio perchédesideravo tratteggiare il profilo di una donna chesuscitasse stima nella mia. Una donna risoluta ecapace di risolvere, di mettere una fine dove desi-derava avvenisse un inizio. Questo trovo meravi-glioso in quella madre e nelle donne che ammiro.Mia madre aveva in sé questa qualità assieme atante altre qualità rare e ammirevoli. L’ho avutaper soli ventotto anni, ma mi consola il pensierodella ricchezza umana che mi ha trasmesso duran-te questo tempo. La considero un dono che nessu-no mi potrà mai togliere.

Sono tre a mio parere le scene madri del libro.Quella in cui Bianca si accuccia sotto il tavoloper “guardare le cose da lì, dove non era possi-bile cadere” e paragona la mamma a una formi-ca per la sua abilità nel trovare traiettorie tutte

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sue; quella della vendita della casa, se vuoi la piùironica del libro, in cui immagini i possibili com-pratori come gli animali dell’Arca di Noè e vediBianca e Andrea come due liocorni (“animali ine-sistenti”); e naturalmente quella della cena alristorante cinese che segna il punto di svolta e cheho trovato particolarmente realistica. Come sononate? E poi, ci sono scene a cui tu sei più legata?Anche se si trova all’inizio della prima parte, lascena delle formiche è nata più tardi, quando misembrava che la figura della madre andasse spie-gata meglio al lettore e quindi volevo approfondir-la. Mi piaceva l’immagine della figlia che osservagli animali e la madre trovando delle connessionitra due mondi apparentemente diversi. Nella sce-na dell’Arca, i figli si sentono esclusi dalle decisio-ni della madre, impotenti, e quindi intrappolatiall’interno di una canzoncina infantile. Una scenaironica ma anche triste. Ho sempre sofferto i tra-slochi, soprattutto da bambina. La cena al risto-rante cinese, invece, è ispirata a un racconto cheavevo scritto in cui una coppia si lasciava mentre icamerieri non si accorgevano di niente, era benriuscita, così me la sono rubata. Una scena alla

quale sono molto legata è quella dove Bianca eAndrea ritrovano la madre sui monti, a guardarela loro vecchia casa dall’alto. Quando l’ho scrittami sentivo molto forte, forse perché avevo final-mente un punto di vista dominante sulle cose.

C’è grazia nella tua scrittura. La trovo sincera, maipretenziosa. Lavori molto sulle cose che scrivi –scrivi e correggi, scrivi e tagli e riscrivi… – o scrividi getto e ti rileggi solo in un secondo momento?Scrivi al computer o a penna, su blocchi…?(Quando leggo le interviste ai miei autori preferi-ti, questa è la domanda che spero sempre vengaposta, è piena di autorevolezza!) Ti posso direcome ho scritto questo libro perché non ho prece-denti significativi. Di getto, brani concentrati chepotessero stare su uno scontrino trovato nellaborsa, spintonata dalla gente nei posti più affol-lati e impensabili. L’ho scritto in mezzo a un con-certo di musica noise e sulle brutte scale d’emer-genza di un ospedale. Quando studiavo architet-tura e scrivevo, mi sembrava di rubare tempo aimiei doveri, e adesso mi sono accorta di cercaredi mantenere viva quella componente furtiva,

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eccitante. Scrivo su quaderni e ovviamente alcomputer nei giorni che dedico interamente allascrittura. Tutto ciò rigorosamente di giorno. Forseil prossimo libro che scriverò avrà ritmi e modali-tà diverse, ma credo sia importante adattarsi adogni storia nel modo che la storia stessa richiede.

Che tipo di editing c’è stato?Direi che è stato catalizzante. Ha reso possibilel’innescarsi di un meccanismo inaspettato: crederenella mia scrittura. Un po’ come se l’editor avessepresentato me alla mia scrittura e viceversa, facen-do da tramite. Prima ci conoscevamo solo di vista,invece adesso posso dirle: questa trentina di righedavvero non ti dona, accorciamo! e la mia scrittu-ra può dire a me: l’argomento che stai trattando èvecchio e spocchioso, piantalo e trovatene unaltro! Scherzi a parte, durante l’editing abbiamotagliato molte frasi e una ventina di pagine se ne èandata, ma nessun rimpianto. Diciamo che lamaglia andava stretta nei punti slabbrati.

Pochi mesi fa sono stata a un incontro in un festi-val romano in cui cinque scrittrici parlavano delloro primo libro. Ho notato molta consapevolez-za nelle cose che dicevano. Erano, chi più chimeno, molto sicure di sé, come se avessero giàparecchia esperienza alle spalle. Tu come staivivendo il tuo ingresso nel mondo editoriale?La definizione “mondo editoriale” mi mette unpo’ in soggezione, a dire il vero. Mi vedo atterra-re con una navicella e contemplare la mia ormasul suolo. Comunque gli abitanti di questo mon-do mi sembrano persone piacevoli e interessantiquindi vivo la cosa con entusiasmo, è un ambien-te motivante. Ogni presentazione del libro si ri-vela una sfida con me stessa, penso sempre di nonpotercela fare, anche perché non sono mai troppoconsapevole di ciò che dico, lo sono molto di piùdi ciò che scrivo. L’esperienza è una cosa per laquale mi piace temporeggiare e anche il tempodegli aneddoti può aspettare, io non ho fretta.

Da qualche anno a questa parte c’è la moda del-l’esordio, parecchie case editrici cercano la “gal-lina dalle uova d’oro”, un autore da “pompare”più degli altri (a volte anche indipendentemente

dal valore letterario), nella speranza che entri inclassifica, che faccia man bassa di premi, chevenda. Tu cosa ti aspetti dal tuo libro?Se fa le uova, le preferisco vere, crude su unabuona tartare…

Chi è stato il tuo primo lettore?Mia madre. E lo sarà sempre, troverò il modoperché lo sia. Poi Marco Vigevani, che ha letto inpochi giorni il manoscritto e ha deciso subito dirappresentarmi.

Come è nato il contatto con lui?Attraverso la sezione “contatti” del sito della suaagenzia. Ho spuntato l’opzione “invio mano-scritto” e gli ho chiesto in poche righe sintetichese avesse tempo di leggere L’impurità del bianco,questo era il titolo provvisorio della prima stesu-ra. Mi ha detto di sì e così gliel’ho mandato. Lasettimana dopo ero a Milano per incontrarci.

Ilaria Bernardini, voce del booktrailer del libro ,è una scrittrice che leggi? Quali autori – italiani,stranieri – ti piace leggere?Ricordo di essere rimasta molto impressionatada La fine dell’amore che ho letto nei primi annidell’università. La sua scrittura è sensuale e diret-ta, mi è sempre entrata dentro. Poi, circa un annofa, siamo entrate in contatto e adesso ci sentiamofrequentemente. Leggo soprattutto autrici. Sesono autori ripiego spesso sulla fantascienza,adoro l’immaginario dei racconti di Urania, queilibretti ingialliti e polverosi rintracciabili sullebancarelle. Poi Ballard e Cormac McCarthy.Altrimenti, per fare solo alcuni nomi: AmyHempel, Ali Smith, Agota Kristof, Grace Paley, emolta poesia: Szymborska, Plath, Anne Sexton,Amelia Rosselli. Mia “maestra” resterà sempreMarguerite Duras.

Hai altre cose compiute che vorresti pubblicare?Racconti? Qualche racconto compiuto e moltissimi appun-ti per cose incompiute. Ho soprattutto unanuova storia a cui tengo molto e penso continua-mente, per ora ho scritto l’inizio e la fine ma con-fido di avere presto il tempo di scrivere il resto.

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Il trattore passa, mia madre resta. Restano le sue parole, la sua bellezza nel dolore e le sue spine sottopelle.

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Crescere è abbandonareIntervista a Ester ArmaninoElvira Grassi © Oblique Studio 2011

Tutte le foto e l’illustrazione di pagina 2 sono dell’autrice.

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