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INOS BIFFI

L'EUCARISTIA IN SAN TOMMASO "DOTTORE EUCARISTICO"

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INOS BIFFI

L'EUCARISTIA IN SAN TOMMASO

"DOTTORE EUCARISTICO"

Teologia, mistica e poesia

CANTAGALLI

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Grafica di copertina: Alessandro Bellucci

Redazione: Tommaso Gordini

© Edizioni Cantagalli Giugno 2005

ISBN 88-8272-225-2

Stampato nel mese di Giugno da Edizioni Cantagalli - Siena

EDIZIONI CANTAGALLI Via Massetana Romana, 12

Casella Postale 155 53100 Siena

Tel. 0577 42102 Fax 0577 45363 http://www.edizionicantagalli.com

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PREFAZIONE

Al mistero eucaristico Tommaso ha dedicato la sua più acuta ricerca teologica, la sua pietà più appassionata e la sua più lirica ispirazione.

L'Eucaristia gli appare di una ricchezza inesauribile: è «il sacramento della passione di Cristo», il «memoriale della sua morte», «la perfezione della vita spirituale e il fine di tutti i sacramenti», il «segno del massimo amore», «il sostegno della nostra speranza», la «perfetta comu­nione con la passione», «l'alimento spirituale», «il dolce ristoro spirituale», «il principio dell'incorporazione a Cri­sto», «il bene comune spirituale di tutta la Chiesa», «il sacramento della carità e dell'unità ecclesiale», «il cibo che divinizza l'uomo e lo inebria di divinità».

Questo volumetto, però, non offre una ricerca esau­riente sulla dottrina eucaristica del Dottore angelico. Si limita a tracciarne un breve profilo, quasi un assaggio di una teologia ampia ed elaborata, rimasta ancora non poco sconosciuta; persino si direbbe rimossa in questi decenni postconciliati, quando un diffuso giudizio super­ficiale e sommario, più esattamente un pregiudizio, ha emarginato Tommaso dalla teologia, liquidandolo come medievale e "scolastico".

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In realtà, una frequentazione diretta e assidua delle opere dell'Angelico, collocate storicamente e teoretica­mente comprese, conduce a ben altre conclusioni.

Così, a riguardo dell'Eucaristia, sono circolate valuta­zioni di una ignoranza mirabile e singolare.

Chi ne studi il tema nel "Commento alle Sentenze" (che qui non esaminiamo) nella Summa Theologiae, nelle Lecturae sul Vangelo di Matteo, su quello di Giovanni e sulle Lettere di Paolo, oltre che nell'Ufficio del Corpus Domini, si trova di fronte a una teologia dove convengono largamente sia la Scrittura — nella sua lettera e nel suo spirito —, sia il richiamo ai testi della tradizione patristica orientale e occidentale — in gran parte reperibili anche nella Catena Aurea di Tommaso ai due evangelisti ricor­dati -, sia i ripetuti riferimenti liturgici: il tutto disposto, certamente, nel contesto della Scolastica, con le sue que­stioni e i suoi strumenti di riflessione, la sua filosofia.

La riflessione tomista porta senza dubbio i segni del tempo in cui venne elaborata — con le discussioni che il metodo e le risorse scolastiche imponevano e con qualche limite che ne derivava —; ma, riconosciuto questo, la teo­logia dell'Eucaristia secondo l'Angelico risalta soprattutto come esposizione e proposizione fedele e trasparente della tradizione eucaristica della Chiesa nella molteplicità dei suoi aspetti. Si può dire che neppure un suo frammento è stato trascurato o è andato perduto.

Le analisi condotte da Tommaso con l'ausilio della filosofia - la metafisica, la logica, la teoria del linguaggio — non solo non vanificano e non impoveriscono «il

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mistero della fede», ma lo esaltano, lo illuminano e lo illustrano, rendendolo in qualche modo plausibile e dici­bile: compresa la tanto discussa "transustanziazione", che nella sua "ovvietà" e "sottigliezza", mira a rendere pensa­bile come, grazie alla "definizione" di Cristo e all'azione dello Spirito, nella permanenza delle specie il pane divenga e si possa chiamare il Corpo del Signore, e il vino divenga e si possa chiamare suo Sangue.

Solo che, per avvertire questo, occorre affrontare un percorso assai impegnativo e che resta da fare: quello di una analisi attenta e particolareggiata delle opere del "Dottore Eucaristico" - come Pio XI lo chiamava nella Studiorum Ducem —, o del "Mistico dell'Eucaristia", come anche si potrebbe felicemente definire.

Il nostro piccolo libro, pur nato da una lettura assi­dua delle opere di Tommaso, intende solo offrire, come dicevamo, un assaggio della sua contemplazione di quel «memoriale della morte del Signore», nel quale doman­dava di poter trovare una fonte inesauribile di vita e una dolcezza da gustare senza fine.

Nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore

2005, Anno dell'Eucaristia

INOS BIFFI

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CAPITOLO PRIMO

L'EUCARISTIA: «MEMORIA DELLA PASSIONE DI CRISTO», COMPIMENTO E

VERTICE DI TUTTI I SACRAMENTI

1. La teologia eucaristica di Tommaso d'Aquino risalta su ogni altra per limpidità e acutezza; ma egli non solo la seppe elaborare magistralmente: la contempla­zione dell'Eucaristia fu così intensa che giunse ad aprire la sua vena poetica e a infondere gli accenti della lirica in un ineccepibile e rifinito linguaggio dogmatico, e ne ven­nero sequenze e inni che tutti conosciamo e ancora cantiamo.

D'altronde una pietà vivissima verso il Corpo e il San­gue di Cristo accompagnò la vita del "Dottore Eucari­stico" — come venne chiamato1 —, suggellata, in certo modo, proprio da una appassionata preghiera al SS. Sacramento.

Secondo il biografo Guglielmo di Tocco, prima di ricevere il viatico, nella foresteria dell'abbazia cisterciense di Fossanova — dov'era arrivato, ormai esausto e consu­mato dalle fatiche dello studio e dell'insegnamento — Tommaso elevò questa preghiera: «Ti ricevo, prezzo della redenzione dell'anima mia; ti ricevo, viatico del mio pel-

Cfr. PIO XI, Enciclica Studìorum Ducem (Encbiridion delle Encicliche, 5, Pio XI 1922-1939, EDB, Bologna 1995, pp. 112-113).

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legrinaggio: per tuo amore ho studiato, vegliato e lavo­rato»2.

2. Ma chi studia attentamente i testi di Tommaso dedicati all'Eucaristia, ed entra in familiarità con essi, non fatica ad accorgersi che la precisione dei concetti e il rigore delle analisi non solo non spengono la sua emozio­nata passione per il SS. Sacramento, ma, al contrario, la manifestano e ne sono un segno perspicuo ed eloquente.

Se il contesto teologico, con i suoi dibattiti e i suoi problemi, moltiplica le questioni — anche le più sottili e persino, a nostro giudizio, ora, superflue —, si avverte che, dopo le loro ramificazioni e discussioni, esse alla fine sono ricondotte al cuore della teologia eucaristica cattolica sul «memoriale della passione di Cristo {{passionis Còristi} hoc sacramentum est memoriale)» (STb, III, 76, 2, 2m), così come da questo cuore erano dipartite.

Ripercorrendo gli scritti di Tommaso dedicati a quel memoriale, e riconducendone il contenuto a unità, ci si accorge di disporre della sintesi più luminosa e più com­pleta della fede cattolica sul mistero dell'Eucaristia, e che sono prive di fondamento le critiche sulla sua prevalente riduzione a filosofia, che avrebbe impoverito la riflessione eucaristica di Tommaso, distraendola dalla concretezza e dalla suggestione della Scrittura, della liturgia o della tradizione patristica.

2 "Sumo te pretium redemptionis anime mee, sumo te viaticum peregrinationis mee, prò cuius amore studiti, uìgilauì et laboraui; te predicaui, te docili, nichil unquam cantra te dixi" (Ystoria sancti Thome de Aquino de Guillaume de Tocco (1323), e. XLVII, Édition critique, introduction et notes de Claire le Brun-Gouanvic, Pontificai Institute of Mediaeval Studies, Totonto 1996, p. 198).

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3. Per l'intelligenza dell'Eucaristia in Tommaso d'Aquino importa anzitutto rilevare a che punto del­l'orbo disciplinae la collochi o dove la innesti nel dise­gno teologico della sua Somma di Teologia, dalla quale parte questa nostra presentazione della dottrina eucari­stica dell'Angelico.

Com'è ovvio, tra i sacramenti, i quali, a loro volta, vengono considerati dopo la cristologia, e significativa­mente dopo la teologia dei misteri di Cristo: i sacramenti, infatti, «ricevono la loro efficacia dallo stesso Verbo incar­nato» {STh, III, 60, intr.)\ al quale hanno il compito di incorporare: «Coi sacramenti della legge nuova l'uomo viene incorporato a Cristo» {STh, III, 62, 1, e.)4.

Essi «fluiscono dallo stesso Cristo, ereditandone una certa somiglianza» {STh, III, 60, 6, 3m)5; anzi «i sacra­menti operano in virtù della passione di Cristo, che in certa misura viene congiunta agli uomini {applicatur) mediante i sacramenti» {STh, III, 61 , 1, 3m)6. Tommaso lo va ripetendo: «I sacramenti della Chiesa in maniera speciale derivano la loro efficacia dalla passione di Cristo, la cui energia viene come innestata in noi {nobis copulatur), quando riceviamo i sacramenti» {STh, III, 62, 5, l)7; «La passione di Cristo si collega — unisce — con noi attraverso

3 Ab ipso Verbo incarnato efficaciam habent (STb, III, 60, intr.). Per sacramenta novae legis homo Christo incorporatur (STh, III, 62, 1, e.)

Sacramenta novae legis {...} ab ipso Christo effluunt et quandam similìtiidinem ipsìus in se habent (STh, III, 60, 6, 3m).

Sacramenta {...} operantur in virtute passionis Chrìsti, et passio Christi quodammodo applicatur hominibus per sacramenta, secundum illud Apostoli, Rom 6, [3]: Quìcumque baptizati sumus in Christo lesu, in morte ipsius baptizati sumus (STh, III, 61, 1, 3m).

7 Sacramenta Ecclesiae specialiter habent virtutem ex passione Christi, cuius virtus quodammodo nobis copulatur per susceptionem sacramentorum (STh, III, 62, 5, 1).

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la fede e i sacramenti»; se ne avvera, cosi, una sua «conti­

nuazione» (continuatio) (STh, III, 62, 6, e ) .

Egli anche preciserà, trattando del battesimo: «Il bat­

tesimo trae la sua efficacia dalla passione di Cristo e dallo

Spirito Santo» (STh, III, 66, 12, e.)8.

4. Ed ecco, secondo una lettura su tutta la storia della salvezza, la splendida affermazione di Tommaso: «Il sacramento è un segno commemorativo di ciò che è pre­ceduto, ossia la passione di Cristo; è segno dimostrativo di ciò che avviene in noi mediante la passione di Cristo, ossia la grazia; ed è segno profetico (prognosticum), cioè prenunziativo (praenuntiativum) della gloria futura» (STh, III, 60, 3, e.)9.

Quello che Tommaso qui afferma di ogni sacramento, in modo speciale lo dirà, anzi, lo canterà per l'Eucaristia: «Questo sacramento ha un triplice significato: l'uno rispetto al passato, in quanto è commemorativo della passione del Signore, che fu un vero sacrificio, e per que­sto viene denominato sacrificio; l'altro rispetto al pre­sente, ed è l'unità ecclesiale, alla quale gli uomini sono aggregati con questo sacramento, per cui è definito comunione; il terzo significato riguarda il futuro, dal momento che questo sacramento prefigura la fruizione di Dio, che avverrà nella patria, per cui è chiamato viatico: questo infatti ci apre la via per arrivarvi. Ne consegue che si chiama anche eucaristia, cioè buona grazia, poiché la

Bapstìmus (...) aquae efficaciam habet a passione Cbrìsti et a Spiritu Saticto (STh, III, 66, 12, e) .

9 Sacramentum est signum rememorativum eias quodpraecessit, salice/ passionis Còristi, et demonstrativum eius quod in nobis effititur per Còristi passionem, scilicet gratiae, et prognosticum, idest praenuntiativum, futurae gloriae (STh, III, 60, 3, e.)

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vita eterna è grazia di Dio, come si afferma in Rom. 6 [23}, o perché contiene realmente Cristo, che è pieno di grazia» (STh, III, 73, 4, e.)10.

5. Nell'Eucaristia si ritrova compiutamente presente l'evento cristiano e ne è la perfetta iniziazione. Il fatto che nella trattazione dei sacramenti essa succeda al batte­simo e alla confermazione, non impedisce che sia «il sacramento» per eccellenza, (STh, III, 65, 3, e ) , che «porta a perfezione tutti gli altri sacramenti», ossia «il vertice» o «il compimento dei sacramenti» (ibid.)11, al quale tutti gli altri sono relativi. «L'Eucaristia è come la perfezione della vita spirituale e il fine di tutti i sacra­menti» (STA, III, 73, 3, e.)12.

E la ragione — spiega san Tommaso — sta nel fatto che, mentre in questi opera l'energia — la «vis» o «virtus» della passione di Cristo —, nell'Eucaristia è presente «Cri­sto in persona» (ibid., 1, 3m)13; secondo il linguaggio sco­lastico, è presente sostanzialmente, quale «bene comune

10 Hoc sacramentum habet trìplkem significationem. Unam quidem respectu praeterìti, inquantum scilicet est commemoratìvum dominiate passionis, quae fuit veruni sacrificium {•••}• Et secundum hoc nominatur sacrificium. Aliarti autem significationem habet respectu rei praesentis, scilicet ecclesiasticae unìtatis, cui homines congregantur per hoc sacramentum. Et secundum hoc nominatur communio vei synaxis {...}. Tertiam autem significationem habet respectu futuri, ìnquantum scilicet hoc sacramentum est praefigurativum fruitionis Dei, quae erti in patria. Et secundum hoc dicitur viaticum, quia hocpraebet nobis viam illucpervenìendi. Et secundum hoc etiam dicitur Eucharìstia, idest bona grafia, quia gratia Dei est vita aeterna, ut dicitur Rom. 6 {23}, vel quia realiter continet Christum, qui estplenus gratia» (STh, III, 73, 4, e) .

"Potissimum inter alia sacramenta (STh, III, 65, 3, e);potissimum etperfectivum est omnium aliorum (ibid., se).

Eucharìstia {...} est quasi consummatio spiritualis vitae et omnium sacramentorum finis (STh, III, 73, 3, e).

Eucharìstia continet aliquid sacrum absolute, scilicet ipsum Christum (STh, 73, 1, 3m).

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spirituale di tutta la Chiesa»14 {STh, III, 65, 3, lm), al fine di «portare l'uomo alla piena comunione col Cristo della passione» {ibid., 3, 3m)15.

6. Ossia, se la radice di ogni sacramento è la passione di Cristo, l'Eucaristia è di questa il segno perfetto. Ecco le nitide parole dell'Angelico: della passione del Signore, «essa è il sacramento perfetto in quanto contiene il Cristo che ha patito (il «Christus passus»)» {ibid., 5, 2m)'6; l'Eu­caristia «in quanto contiene realmente lo stesso Cristo — e si tratta precisamente del "Christus passus" - perfeziona tutti gli altri sacramenti, nei quali il valore di Cristo {vìr-tus Còristi) viene partecipato» {ibid., 1, e.)17; «Mentre stava per allontanarsi dai discepoli nella sua figura fisica, Gesù lasciò loro se stesso nella forma del sacramento»18. Egli lo ha istituito perché «occorreva che in ogni tempo ci fosse presso gli uomini un segno rappresentativo della passione del Signore», visto che «non ci potè mai essere salvezza senza la fede nella passione di Cristo» {ibid., 5, e.)19.

Bonum commune spirituali! totius Ecclesiae continetur substantialiter in ipso Eucharistiae sacramento (STh, III, 65, 3, lm).

15 Eucharistia est sacramentimi passionis Christi prout homo perficitur in unione ad Christumpassum (STh, HI, 3, 3m).

1 Eucharistia est sacramentum perfectum dominicae passionis, tanquam continsns ipsum Christum passum (STh, III, 5, 2m).

17Hocsacramentum, quodipsum Christumrealitercontinet {...}est perfeethumomnium sacramentorum aliorum, in quìbus virtus Christiparticipatur (STh, III, 75, 1, e) .

18 Quando ipse Christus in propria specie a discipulis discessurus erat, in sacramentali specie seipsum eìs reliquit (STh, III, 73, 5, e) .

Quia sine fide passionis Christi nunquam potuit esse salus, secundum illud Rom 3, {25}: Quem proposuit Deus propitiatorem per fidem in sanguine ipsius. Et ideo oportuit omni tempore apudhomines esse aliquod repraesentativum Dominicae passionis (STh, III, 73,5, e) .

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San Tommaso anche scrive: «Cristo, durante il tempo di questo nostro pellegrinaggio, non ci ha privati della sua presenza corporale, ma in questo sacramento ci uni­sce a sé attraverso la verità del suo corpo e del suo san­gue», considerati sempre nella loro condizione sacrificale; ora, «una così familiare unione di Cristo con noi rende questo sacramento il segno del massimo amore e il soste­gno della nostra speranza» {STh, III, 75, 1, e.)20.

7. Tommaso usa spesso i termini «sacramento», «rap­presentazione» {repraesentatió) e «rappresentativo» (reprae-sentativus), «memoria», «memoriale»: non per indicare un semplice e labile richiamo di una realtà in ogni caso pas­sata, ma la verità di una presenza reale — sostanziale — dell'avvenimento della passione nella persona del Cristo che ha patito.

La teologia — a partire specialmente da Casel — amerà affermare che l'Eucaristia è il sacramento dell'«evento» della passione.

Ritengo che, in linguaggio diverso e senza l'esplicita successiva tematizzazione, la teologia di Tommaso dica la stessa cosa, ossia insegni che, nella modalità dei segni, raggiungendo e ricevendo il «Cristo che ha patito», si entri in reale comunione con quell'evento. «I sacrifici del­l'antica legge contenevano il vero sacrificio della passione

Quia maxime proprium amicitiae est convivere amìcis, ut Philosophus dicit IX Ethic., suampraesentiam corporalem nobìs repromittit inpraemium {...}. Nec tamensuapraesentia corporali in bac peregrinatone destituita sed per veritatem corporis et sanguinis sui nos sibi coniungìt in hoc sacramento. Unde dicit, loan. 6 {5 7}: Qui manducai meam carnem et bibit meum sanguinem, in me manet et ego in eo. Unde hoc sacramentum est maximae caritatis signum, et nostrae spei sublevamentum, ex tam familiari coniunctione Chrìsti ad nos (STh, III, 75, l , c ) .

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di Cristo soltanto nella modalità della figura»; mentre «il sacrificio della nuova legge istituito da Cristo ebbe in più la prerogativa di contenere lui stesso che ha patito, non solo nella forma di un segno o di una figura, ma nella verità» (ibid., 1, e.)21.

8. È come dire che nell'Eucaristia è veramente ed effi­cacemente in azione il sacrificio di Cristo. Il valore, l'effi­cacia, della passione di Cristo si riscontrano nell'Eucari­stia sul fondamento della presenza appunto del «Cristo che ha patito».

Per Tommaso, abbiamo visto, in ogni sacramento è "ravvivata" la passione di Cristo; nell'Eucaristia questo avviene perché a istituirne l'attualità è personalmente il Cristo della passione, o il Cristo che ha patito e che vi è "disponibile". Il profilo antiberengariano è con chiarezza evocato da Tommaso, ed esattamente in esso il linguag­gio della "rappresentazione" si risolve realisticamente in quello della "ripresentazione".

E ancora, a sottolineare il realismo della presenza della passione, egli scrive: «Ciò che è rappresentato attra­verso questo sacramento è la passione di Cristo {Quod repraesentatur est passio Christi); per ciò esso produce nell'u­omo l'effetto che la passione di Cristo ha prodotto nel mondo. È il motivo per cui, a commento del passo di Giovanni 19, 34: "Subito uscì sangue e acqua", il Criso­stomo dice: "Poiché da qui hanno avuto inizio i sacri

' Sacri fida {•••} veteris legis illudverum sacrificìum passionis Cristi contingebant solum in figura, secundum illud Heb. 10 {1}: Umbram habens lex futurorum honorum, non ipsam rerum imaginem. Et ideo oportuit ut aliquid plus haberet sacrificium novae legis a Christo institutum, ut scilicet contineret ipsum passum, non solum in significatione velfigura, sed etiam in rei veritate (STh, III, 75, 1, e.)-

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misteri, quando ti accosti al tremendo calice, accostati

esattamente come per bere dallo stesso costato di Cri­

sto"» (STh, III, 79, 1, e.)22.

9. Le parole di Tommaso, attinte al Padre greco, non potrebbero essere più perspicue ed emozionanti. Come là dove torna ad asserire: «Identica è la vittima che ha offerto Cristo e che offriamo noi» (STh, III, 83, 1, l m f ; e questo spiega perché «in questo sacramento diventiamo partecipi del frutto della passione del Signore: in una ora­zione segreta domenicale, infatti, si dichiara: "Ogni volta che si celebra la memoria di questa vittima, è in atto — o si trova in esercizio — l'opera della nostra salvezza"» (STh, III, 83, 1, e.)24; «È prerogativa di questo sacramento che nella sua celebrazione avvenga l'immolazione di Cristo», la quale invece nell'Antico Testamento si attuava solo in modo figurato (ibid., 1, e.)25.

Un'immolazione reale — noi oggi diciamo —, che non ripete quella del Calvario, ma che è la stessa nella moda­lità del sacramento.

Dicit Chrysostomus: Quia hinc suscipìunt principìum sacra mysteria, cum accesseris ad tremendum calkem, velab ipsa bibiturus Christi costa ita accedas (STh, III, 79, 1, e) .

2ìSicut Ambrosius {...} dicit, una est hostia, quam scilicet Christus obtulit et nos offerimus (STh, III, 83, 1, lm).

Per hoc sacramentum participes efficimur fructus dominìcae passionis. Linde et in quadam dominicali oratìone secreta dìcitur: Quoties huius hostiae commemoratio cetebratur, opus nostrae redemptionis exercetur (STh, III, 83, 1, e.)-

Poterat Christus dici immolari etiam in figuris veteris testamenti {...}. Sed {•••} proprium est buie sacramento quod in eius celebratione Christus ìmmoletur (STh, III, 83, l , c ) .

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CAPITOLO SECONDO

AL PRINCIPIO DELL'EUCARISTIA: L'ISTITUZIONE E LA SIGNORIA

DI CRISTO. IL MINISTERO ECCLESIALE IN SUO NOME

1. L'Eucaristia — come ogni sacramento — trova la sua possibilità e la sua origine non in una capacità o decisione della Chiesa, ma nella volontà di Cristo che l'ha istituita. Né potrebbe essere diversamente: nessuno può preten­dere il Corpo dato da Cristo o disporre del suo Sangue sparso, ma solo accoglierli da lui come dono, così come può unicamente ricevere come grazia la virtus passionis Còristi — l'efficacia e il valore della passione di Cristo — in atto in ogni sacramento.

San Tommaso non cessa di richiamarlo e già lo abbiamo sottolineato: «I sacramenti della Legge nuova scaturiscono da Cristo personalmente» {STh, III, 60, 6, 3m)!, e riescono per la sua iniziativa, anzi per la sua pre­senza.

L'apparato sacramentale, che alla fine si risolve e si esprime nell'azione della Chiesa, dipende tutto, "stru­mentalmente", dalla causa «assoluta e perfetta», o dall'«agente principale», e quindi da Gesù Cristo, e radi­calmente dal suo essere Dio: «Ottiene la sua efficacia spi-

1 Sacramenta novae legis {,..} ab ipso Christo effluunt (STh, III, 60, 6, 3m).

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rituale dalla benedizione di Cristo» (STh, III, 62, 4, 3m)2, scrive Tommaso, il quale precisa: ciò che rappresenta il nucleo essenziale e quindi necessario per l'esserci del sacramento «è stato istituito da Cristo stesso, che è Dio e uomo» (STh, III, 64, 2, lm)3. «È Cristo che opera l'inte­riore efficacia dei sacramenti, in quanto Dio e in quanto uomo» (ibid., 3, e.)4.

In quanto Dio opera nei sacramenti in virtù della sua autorità originaria —per auctorìtatem —, per cui si deve dire che «Dio solo è l'istitutore dei sacramenti» (ibid., e.)5; «la consacrazione dei sacramenti proviene da Dio stesso» (STh, III, 83, 3, 8m)6: lui, infatti, solo «penetra nell'a­nima dove risiede l'effetto del sacramento» e «da lui solo deriva la grazia che è l'effetto del sacramento» (STh, III, 64, 1, e.)7; e in quanto uomo strumentalmente, mediante il merito e l'efficienza — meritorie et effettive — della sua pas­sione (ibid., 3, e ) .

2. Va però osservato — continua Tommaso — che l'u­manità di Gesù è congiunta personalmente a Dio: ecco perché nei sacramenti risalta, rispetto a qualsiasi altra causalità, in particolare rispetto agli «strumenti estrinseci quali sono i ministri della Chiesa», il potere della ministe-rialità principale (potestas ministerii principalis), o «l'eccel-

2 Sacramentum consequiturspìritualem virtutem ex benedktione Cbristi(STh, III, 62,4, 3m).

Ea quae sunt de necessitate sacramenti, sunt ab ipso Christo instituta, qui est Deus et homo (STh, III, 64, 2, lm).

Interiorem sacramentorum effectum operatur Christus (STh, III, 64, 3, e ) . 5 Deussolus {...est} instìtutorsacramentorum (STh, III, 64, 2, e) .

Consecratio eorum est ab ipso Dea (STh, III, 83, 3, 8m).

Solus Deus operatur interiorem effectum sacramenti {...}, quia solus Deus illabitur animae, in qua sacramenti effectus consistit (STh, III, 64, 3, e) .

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lenza del potere {excellentia potestatis)» di Cristo. In altri

termini: il suo primato e la sua "signoria" {ibid., 3, e ) .

Egli è il Signore nei sacramenti.

Ed esattamente per questo egli potè conferire e far operare nei sacramenti il merito e la forza della sua pas­sione; per la medesima ragione i sacramenti valgono a santificare nel nome di Cristo, il quale solo, avendo elar­gito ad essi questo merito e questa efficacia, li potè isti­tuire, d'altronde non legandosi all'apparato dei sacra­menti stessi per operarne, come abbiamo visto, l 'ante­riore effetto», la cui attuazione appartiene esclusivamente a lui.

3. I ministri della Chiesa non hanno una loro virtus, non è di loro pertinenza purificare dai peccati e conferire la grazia: «Questo lo compie Cristo», in forza del suo potere {sua potestate): si tratti di ministri personalmente santi, o di ministri personalmente indegni i quali, non per questo, impediscono la comunione con la Chiesa e la configurazione a Cristo, secondo la finalità dei sacra­menti, destinati non a rendere conformi al ministro ma a Cristo {ibid., 5-6).

Ogni altro genere di azione nel sacramento — come quella di chi lo celebra o lo riceve - è segnata dal carat­tere della ministerialità dipendente: «opera soltanto nella modalità del ministero (per modum ministeri?)» {ibid., 1, 3m), senza una propria signoria. Gli apostoli e i loro suc­cessori «sono vicari di Dio», ai quali — come non è dato di istituire un'altra Chiesa o di trasmettere un'altra fede — non è concesso di istituire altri sacramenti: «La Chiesa di

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Cristo è edificata dai sacramenti sgorgati dal costato di Cristo appeso alla croce» (ibid., 2, 3m).

4. Nel medesimo contesto va compreso il senso della "forma" del sacramento: la forma ha il compito di dire o specificare, riscattandolo dalla sua genericità, il senso del gesto sacramentale — o della "materia" — o, come scrive Tommaso, la determinazione del «significato delle realtà sensibili (significalo rerum sensibilium)» (STh, III, 60, 6, e ) : «grazie alle parole si attua il significato delle cose (per verbaperficitursignificano rerum)» (ibid., 2m).

Ora, il principio di questo significato o definizione è ancora una volta Gesù Cristo e la relazione con lui, che solo — istituendolo — ha detto che cos'è il sacramento, continuando a dirlo, con la sua presenza, in ogni celebra­zione, in cui l'istituzione in certo senso prosegue. Nei sacramenti si usano realtà «determinate dalla istituzione divina» (ibid., 5, e ) ; essi raggiungono il loro effetto santi­ficante non per «una qualche energia inserita nella loro natura, ma per la divina istituzione» (ibid., 2m)8.

5. Tutto questo, se vale per ogni sacramento, si avvera in misura esemplare e compiuta per il «sacra­mento principale (potissimum inter sacramenta)», che di tutti i sacramenti è come la sorgente e il vertice. All'Eu­caristia Tommaso applica questa sua dottrina sulla signo­ria di Cristo nei sacramenti, sulla forma e sul ministro, anche se, forse più giustamente, si dovrebbe dire che

8 Ad sanctificationem {res sensibile*} non ordinantur ex aliqua virtute naturaliter indita, sedsolum ex institutione divina {STh, III, 60, 5, 2m).

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all'Eucaristia stessa egli ha attinto le componenti di ogni sacramento.

Nel «memoriale» o «sacramento della passione» — sacramentum dominicele passionis; memoriale dominicae passio-nis - (STh, III, 73, 5, 2m e 3m), a differenza che negli altri sacramenti — già abbiamo visto — è presente «Cristo in persona (continet {,..} ipsum Christum)» (ibid. 1, 3m), ed è la ragione per la quale l'Eucaristia «è il sacramento per­fetto della passione del Signore (sacramentum perfectum dominicae passionis)» (ibid., 5, 2m) ed è quindi, in maniera unica, azione personale di Cristo e manifestazione del suo primato.

Con rara e invidiabile chiarezza Tommaso può scri­vere: «La forma di questo sacramento è pronunziata a nome dello stesso Cristo che parla, perché si comprenda che il ministro nel compiere questo sacramento altro non fa che proferire le parole di Cristo» (STb, III, 78, 1, e.)9. Le parole sono dette esteriormente o sacramentalmente, dal ministro, ma traggono la loro forza o efficacia da Cri­sto, attualmente presente e operante, di là dalla sem­bianza sacramentale.

6. Dunque, «chiunque sia il sacerdote che pronunzia queste parole», «è come se le pronunziasse Cristo pre­sente» (ibid., 5, e.)10, dal quale scaturisce la loro «forza operativa (virtus fattiva)» (ibid.).

Forma huius sacramenti profertur ex persona ipsius Christi loquentis, ut detur intelligi quod mìnister in perfectione huius sacramenti nihil agìt nisi quodproferì verba Christi (STb, III, 78, 1, e) .

10Ac si Christus eapraesentialiterproferret (STh, III, 78, 5, e.)

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Spiega Tommaso: come la Parola di Dio (sermo Dei) ha operato la creazione, così la stessa Parola sacramental­mente «opera nella consacrazione» (ibid., 2, 2m).

Non si tratta, allora, — come invece si va superficial­mente affermando da qualcuno — di attribuire un valore magico a queste parole in se stesse: esse sono efficaci per il fatto che fu Cristo a pronunziarle11, ed ora, nella sem­bianza sacramentale, le pronunzia il ministro, ma ex per­sona Christi prolata (jbid., 2, 4m).

7. Nella forma — sottolinea ancora il Dottore angelico — si dice: «mìo corpo», indicando la persona che parla: ma con questo «ci si riferisce alla persona di Cristo», in nome del quale tali parole sono articolate (ibid., 2, 4m)12.

Né questo vuol dire che egli consideri superfluo tutto l'insieme della prece in cui tali parole sono inserite. Un'am­pia questione è da lui dedicata a un suggestivo commento all'intiero rito eucaristico, con l'illustrazione minuziosa dei vari significati dei gesti e delle parole (STh, III, 83), d'al­tronde con la persuasione che nella sua specifica e perfetta identità il sacramento è definito dalla forma, in cui esso risalta quale «Corpo di Cristo» e quale «Sangue di Cristo».

8. La dottrina sul celebrante, che parla e agisce nel sacramento dell'Eucaristia in assoluta dipendenza dal pri­mato di Cristo, viene ripresa e accentuata da Tommaso nella questione relativa al ministro (STh, III, 82), la cui azione, proprio per questo — come già sopra affermava a proposito dei sacramenti in generale — riesce di là dalla sua

1 No» {habent} vini nisi ex Christiprolatione (STh, III, 78, 1, lm). 12 Exprimiturpersona Christi, excuiuspersonahaecproferuntur(STh, III, 78, 2,4m).

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santità o indegnità personale. Citiamo anzitutto questo bel

testo dove Tommaso precisa che il sacerdote è colui al quale

«in virtù dell'ordinazione è conferito il potere di consacrare

questo sacramento nel nome di Cristo; infatti, viene costi­

tuito nel grado di coloro ai quali è stato detto dal Signore:

"Fate questo in memoria di me"»13. Egli «è l'immagine di

Cristo, a nome e in virtù del quale pronunzia le parole della

consacrazione, per cui egli è in certo modo sacerdote e,

insieme, vittima» (STh, III, 83, 1, 3m)14.

Ecco perché risulta valida anche la consacrazione di un

«cattivo sacerdote (malus sacerdos)»: «La preghiera {oratió) è

santa ed efficace in quanto proferita nel nome di Cristo (ex

persona Còristi)» (STh, III, 82, 5, 3m)15, senza, d'altra parte,

che sia dimenticata la dimensione ecclesiale del sacramento

stesso. L'Angelico non manca di ricordare che «l'orazione

nella Messa è proferita dal sacerdote in nome di tut ta la

Chiesa, della quale il sacerdote è ministro»16: da qui la sua

validità in ogni caso, com'è per «tutte le altre orazioni pro­

nunziate nelle azioni liturgiche in cui rappresenta la

Chiesa» (ibìd., 6, e.)17; «impersona tutto il popolo cattolico»

(STh, III, 8 3 , 5 , 12m)18.

Sacerdoti, cum ordinatur, confertur potestas hoc sacramentum consecrandi in persona Cbristi: per hoc enim ponitur in gradu eorum quibus dictum est a Domino: Hoc facile in meam commemorationem (STh, III, 82, 1, e) .

1 Sacerdos gerit imaginem Christi, in cuius persona et virtute verba pronuntiat ad consecrandum. Et ita quodammodo idem est sacerdos et bastia (STh, III, 83, 1, 3m).

Benedictio sacerdotìs {...} in quantum {...} proferìur ex persona Christi est sancta et efficax (STh, III, 82, 5, 3m).

Oratio in missa profertur a sacerdote in persona totius Ecclesiae, cuius sacerdos est minìster (STh, III, 82, 6, e) .

Omnes aìiae eìus orationes quasfacit in ecclesiasticis officiis, in quibus gerit personam Ecclesiae (STh, III, 82, 6, e) .

1 Gerit personam totius populi catholici (ST, III, 83, 5, 12m).

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9. Secondo le parole di Pascasio, riferite e condivise da Tommaso, che le attribuisce ad Agostino, «in quel che concerne il mistero del corpo e del sangue di Cristo il sacerdote buono non compie qualche cosa di più e quello cattivo qualche cosa di meno, dal momento che quel mistero si compie non per il merito di colui che consacra, ma per la parola del Creatore e per la forza dello Spirito Santo»: il sacerdote, dunque, — commenta san Tommaso — «consacra questo sacramento non in virtù propria, ma quale ministro di Cristo, a nome del quale (in cuius per­sona) consacra questo sacramento. Diventando cattivo, un sacerdote non cessa per ciò stesso di essere ministro di Cristo: il Signore ha infatti dei ministri e dei servi sia buoni sia cattivi. Uno può essere ministro di Cristo anche se non è giusto. E questo può avvenire perché a operare e a valere nel sacramento è l'eccellenza — noi l'abbiamo chiamata la signoria — di Cristo (hoc ad excellentiam Christi pertinet)» (STA, III, 82, 5, e.)19.

10. Il linguaggio scolastico, "tecnico", dell'Angelico non deve impacciare e impedire di cogliere il perspicuo e luminoso contenuto della sua dottrina, del resto espresso in formule limpide e felici. Il sacramento, in particolare l'Eucaristia, è un atto personale di Gesù Cristo Signore. Egli ne è il ministro originario; da lui, dalla sua presenza deriva tutto il valore del sacramento; i celebranti dipen­dono da lui, e tutta l'azione sacramentale è a suo servizio.

>9Sacerdos consecrat hoc sacramentum non in virtutepropria, sedsicut minister Christi in cuius persona consecrat hoc sacramentum. Non autem ex hoc ipso desinit aliquis esse minister Christi quod est malus: habet enim Dominus bonos et malos ministros seu servos {...}. Potest ergo aliquis esse minister Christi etiam si iustus non sit. Et hoc ad excellentiam Christi pertinet (STh, HI, 82, 5, e) .

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Se nella liturgia non emergesse la figura di Cristo, che ne è al principio ed è realmente presente a renderla valida; se i "santi segni" non portassero la sua impronta e non trovassero la loro ragione in lui; se dovessero preva­lere — accentrando in se stessi l'interesse — i ministri della Chiesa e la comunità, con le loro espressioni brillanti, le loro inventive, la loro affaccendata attività, e da questo si misurasse la riuscita del sacramento, non avremmo più la liturgia cristiana, tutta dipendente dal Signore e tutta sospesa alla sua presenza creatrice.

Anche per questo aspetto l'insegnamento di Tom­maso rimane in tutto il suo non superato splendore e nella sua attualità.

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CAPITOLO TERZO

GLI EFFETTI DELL'EUCARISTIA: LA COMUNIONE

CON LA PASSIONE DI CRISTO E L'UNITÀ DELLA CHIESA

1. Per esporre gli effetti dell'Eucaristia, e quindi la ragione della sua istituzione, Tommaso si pone in parti­colare alla scuola della tradizione eucaristica dei Padri greci e latini - Cirillo d'Alessandria, Giovanni Criso­stomo, Ambrogio, Agostino, Giovanni Damasceno — che mostra di conoscere e di fruirne largamente e con singo­lare finezza.

Egli parte dalla considerazione del suo contenuto, «che è Cristo». Come, venendo visibilmente nel mondo, egli vi ha recato «la grazia e la verità» {Gv 1, 17), così il «Verbo principio vivificante», «con la sua venuta sacra­mentale nell'uomo, vi opera la vita di grazia», com'è detto in Giovanni (6, 58): «Chi mangia di me, vivrà per me» {STh, III, 79, 1, e ) . Questo sacramento mira a ren­dere «l'uomo perfetto attraverso la sua unione con Dio» (ibid., Ira)1. Anzi, Tommaso giunge a dire che «nessuno ha la grazia prima di aver ricevuto questo sacramento, se

Perficitur spirituali* vita, ad hoc quodhomo in seipsoperfectus existatper coniunctionem adDeum (STh, III, 79, 1, lm).

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non altro con un certo qual voto fatto personalmente, come nel caso degli adulti, o tramite la Chiesa, trattan­dosi di bambini» (ibid.)1.

D'altra parte, come abbiamo visto, l'Eucaristia pro­priamente ripresenta Cristo nella sua passione — quod repraesentatur est passio Christi —, per cui nell'uomo che riceve questo sacramento «si compie quello che la pas­sione ha operato nel mondo» {ibid., 79, 1, e.)3. La comu­nione eucaristica associa, quindi, al mistero della passione del Signore.

2. La forma conviviale del sacramento — dove il Corpo e il Sangue di Cristo sono «vero cibo» e «vera bevanda» — sta, poi, a indicare come effetto sul piano della vita spiri­tuale quello ottenuto col sostentamento della vita corpo­rale: «alimenta, fa crescere, ricrea e allieta», e così «nutre la sostanza della nostra anima» (Ambrogio), e «si offre a noi che desideriamo toccarlo, mangiarlo e abbracciarlo» (Giovanni Crisostomo), (ibid.). Attingendo quindi al Damasceno — per il quale l'Eucaristia è simile al «carbone ardente» di Isaia — e a Gregorio Magno - che parla del­l'operosità dell'amore divino —, Tommaso prosegue: «La grazia spirituale è donata dall'Eucaristia insieme con l'ar­dore della carità»; ecco perché «questo sacramento, consi­derato nella sua efficacia, non soltanto conferisce l'abito della grazia e della virtù, ma anche lo rende attivo, secondo le parole di Paolo, 2 Cor 3, [14}: "La carità di

Nec aliquis habet grattarti ante susceptionem huius sacramenti, nisi ex aliquo voto ipsius, velperseipsum, sicut adulti, ve/voto Eccksìae, sicutparvuli (STh, III, 79, 1, lm).

3 Per hoc sacramentum repraesentatur quod est passio Christi {...}. Et ideo effectum quod passio Christi fecit in mundo, hoc sacramentum facit in homine (STh, III, 79, 1, e) .

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Cristo ci spinge". Per cui dalle risorse di questo sacra­mento (ex virtute huius sacramenti) l'anima viene spiritual­mente ristorata, in quanto si trova deliziata e, in certo modo, inebriata dalla dolcezza della bontà divina, com'è detto nel Cantico 5, [1]: "Mangiate, amici, e bevete, e inebriatevi, o carissimi"» (ibid., 2m)4.

Tommaso ci ha lasciato in queste righe, composte e misurate, com'è nel suo stile, uno dei suoi testi più toc­canti e ispirati: l'Eucaristia avvera l'intimità sponsale del Sacro Cantico. In precedenza aveva scritto, e già vi abbiamo accennato, che questo sacramento, nel quale avviene «una unione così familiare di Cristo», «è il segno dell'amore più grande e il sostegno della nostra speranza» (STh, III, 75, 1, e.)5.

3. Si avverte chiaramente, in queste espressioni, la vena dei canti eucaristici del Dottore angelico, dove — come vedremo — la precisione del linguaggio teologico si fonde con gli accenti lirici e la passione mistica a dare una poesia sublime. «L'Eucaristia è ricevuta saporosamente, in un contesto di amore, di gioia e di ardore. Vi troviamo l'abbozzo di tutta una letteratura eucaristica di cui san Tommaso, cantore di questo sacramento, è uno dei più significativi testimoni»6 (Raulin).

Ex virtute huius sacramenti anima spiritualiter reficitur, per hoc quod anima delectatur et quodammodo inebriatur dulcedine bonitatis divinae, secundum illud Cant. 5 {1}; Comedite, amici, et bibite; et inebriamini, carissimi (STh, III, 79, 1, 2m).

Hoc sacramentum est maximae carìtatis signum et nostrae spei sublevamentum, ex tam familiari coniunctione Christi adnos (STh, 75, 1, e) .

A. RAULIN, in Thomas d'Aquin, Somme Théologique, t. 4, Du Cerf", Paris 1986, p. 614, nota 4.

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Continuando, Tommaso aggiunge che la grazia del­l'Eucaristia non manca di rifluire sul corpo7: già ora (in praesenti), offrendo «le nostre membra a Dio quali stru­menti di giustizia» (Rm 6, 13) e «in futuro, quando il nostro corpo otterrà l'incorruzione e la gloria dell'anima» (STh, III, 79, 1, 3m)8.

Un ultimo esito è suggerito dalla compagine delle specie eucaristiche risultanti dalla fusione di una moltitu­dine di grani e di acini, ed è l'unità e la carità. Tommaso cita al riguardo la nota e mirabile esclamazione di Ago­stino: «O sacramento della pietà, o segno dell'unità, o vincolo della carità» (ibid.).

4. Su questo ordito fondamentale l'Angelico perse­gue, sviluppa e ribadisce tutta un'ampia e minuta trama di frutti eucaristici.

Anzitutto il conseguimento della vita eterna e della gloria: il significato di questo sacramento rispetto al futuro è quello di prefigurare «la fruizione di Dio, che si avrà nella patria, per cui lo si definisce viatico, in quanto ci dona la via per arrivarci» (STh, III, 73, 4, e.)9.

- Si comprende questo effetto considerando, in primo luogo, il contenuto del sacramento, ossia Cristo e la sua passione (ipse Chrìstus et passio eius repraesentata): ora, osserva Tommaso, «fu Cristo stesso mediante la sua pas-

7 Ex anima {...} redundat effectus gratiae in corpus (STh, III, 79, 1, 3m). Et infuturo corpus nostrum sortietur incorruptionem et glorìam animae (STb, III, 79,

1, 3m). 9 Hoc sacramentum est praefìgurativum fruitionis Dei, quae erit in patria. Et secundum

hoc dicitur viatkum, quia hocpraebet nobis viam illueperveniendi (STh, III, 73, 4, e.)-

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sione ad aprirci l'ingresso della vita eterna»10, esattamente com'è detto nella lettera agli Ebrei: l'eredità eterna è stata assicurata da Cristo, quale mediatore della Nuova Alleanza, con la sua morte redentrice (Eb 9, 15), e l'Euca­ristia è appunto, secondo le parole dell'istituzione e della forma, il calice del Sangue della nuova ed eterna alleanza.

— Se poi si considerano l'aspetto conviviale del sacra­mento, e quindi la refezione prodotta dal cibo spirituale {refectio spiritualis cibi), e l'unità espressa nelle specie del pane e del vino (unitas significata per species panis et vini), si deve constatare che sono realtà imperfette o incomplete, in attesa di trovare compimento nello stato glorioso11. La parola di Cristo: «Chi mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6, 52) si sta già attuando, ma solo parzial­mente: la vita eterna è ora in atto sotto forma di pegno (SU, III, 79, 2, e.)12.

5. Il seguito della riflessione è particolarmente illumi­nante per l'intelligenza del senso dell'Eucaristia. Sacra­mento della passione di Cristo, L'Eucaristia ha come fine quello di renderci adesso personalmente "compazienti" con lui, perché a questa compassione, come avvenne per il Signore, succeda anche per noi il suo destino di gloria.

In altri termini, Gesù ha istituito l'Eucaristia per lasciarci il mistero e la grazia della Croce, unica e impre­teribile via per la risurrezione, come lo fu per il Figlio

Ipse Christusper suampassionali aperuit nobis adìtum vitae aeternae {STh, III, 79, 2, e) .

Habentur quidem inpraesenti, sedimperfette;perfecte autem in statu gloriae (STb, III, 79, 2, e) .

12 Cfr. l'antifona del Corpus Domini: 0 sacrum convivium, in quo Còristi sumitur; recolitur memoria passionis eius; mens impletur grafia: et futurae gloriae nobis pignus datur.

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dell'uomo. Il testo di Tommaso è dì una invidiabile per­spicuità: «La passione di Cristo, in forza della quale opera questo sacramento, pur essendo la causa adeguata (suffi-ciens) della nostra gloria, non ci introduce subito in essa, dovendo noi "prima soffrire con Cristo", per poi "essere con lui glorificati", com'è detto in Rom 8, {17]; così, que­sto sacramento non ci introduce subito nella gloria, ma ci dà la capacità di giungervi» (ibid., lm)13.

Propriamente, quindi, l'Eucaristia non è il sacramento della risurrezione del Signore; egli è presente in essa indubbiamente come Signore risorto, ma in atto di ren­derci consorti del suo sacrificio mediante il dono del suo Corpo dato e del suo Sangue sparso, quali viatico della gloria: motivo per cui — commenta Tommaso — «questo sacramento è chiamato viatico (viaticum dicitur)» (ibid.).

6. Sacramento della passione — «fonte e causa della remissione dei peccati (fons et causa remissionis peccato-rum)» — l'Eucaristia ha in se stessa, obiettivamente, il potere di sciogliere da qualsiasi colpa (virtus ad remittenda quaecumque peccata).

Dal profilo soggettivo, tale esito è tuttavia precluso, secondo Tommaso, a chi riceva questo «nutrimento spiri­tuale» — destinato a chi è in stato di vita (quod non est nisi viventis) — in una condizione di morte spirituale (non vivit spiritualiter) (ibid., 3, e ) : nella comunione «l'uomo riceve

ì}Passio Cbristi, ex cuius virtute hoc sacramentum operatur,est quidem causa sufficiens gloriae, non tamen ita quod statim per ipsam introducami ad gloriam, sed oportet ut prius simul compatiemur, ut postea simul et glorificemur, ut dicitur Rom. 8 {17}; ita hoc sacramentum non statim nos in gloriam introducit, sed dat nobis virtutem perveniendi ad gloriam (STh, IH, 79, 2, lm).

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dentro di sé Cristo quale nutrimento spirituale, e questo non compete a chi è morto per i peccati» {ibid., 2m)14.

La stessa incoerenza si verifica tra questo sacramento, istituito per unire a Cristo, e la condizione di chi sia «affettivamente legato al peccato mortale (in affectu pec­canti mortali ter)» (ibid., e ) .

In due casi è però possibile che l'Eucaristia valga a rimettere il peccato mortale: quando se ne concepisca il desiderio — il votum —, o quando — pur in peccato mortale ma senza che se ne abbia coscienza e non vi sia ad esso attaccamento — si acceda al sacramento «con devozione e riverenza» (devote et reverenter): allora l'Eucaristia dona «la grazia della carità», suscita una vera contrizione e, di con­seguenza, la remissione dei peccati (ibid.)l\

In ogni modo — afferma l'Angelico — essa è per coloro che sono spiritualmente vivi, a differenza dei sacramenti del battesimo e della riconciliazione.

7. D'altra parte, si può osservare che l'Eucaristia, pro­prio come «nutrimento spirituale», rappresenta il vertice della presenza e della comunione alla passione di Cristo, chiamata «fonte e causa della remissione dei peccati» e quindi della vita "spirituale". Se c'è, allora, un sacra­mento a cui si debba riconoscere la virtù di generare alla grazia, questo è l'Eucaristia. E infatti essa è già obiettiva­mente e prelusivamente in atto nel battesimo, così come realmente si "riflette" nella riconciliazione. Si tratta, con-

1 Per hoc sacramentum homo sumit in se Christum per modum spirituali! nutrimenti, quod non competit mortilo in peccato (STh, III, 79, 3, 2m).

Devote et reverenter accedens, consequeturper hoc sacramentum gratiam caritatis, quae contritionem perficiet et remissionem peccatorum (STh, IH, 79, 3, e ) .

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seguentemente, di comprendere in tutto il suo significato la dottrina di Tommaso stesso sull'Eucaristia quale «sacramento perfetto in quanto contiene il Cristo che ha patito {Christus passus)» (STh, III, 73, 6, 2m) - potissimum inter alia sacramenta (STh, III, 65, 3, e); potissimum et per-fectivum est omnium aliorum (ibid., se), o quale «compi­mento», termine di convergenza e «fine di tutti i sacra­menti» (STh, III, 73, 3, e ) .

In altre parole, l'Eucaristia, in cui è esaurientemente contenuta la passione redentiva di Cristo, è già in opera in forma anticipata, rendendo spiritualmente vivi, nel battesimo; e in forma, per così dire, "riflessa" nella ricon­ciliazione.

Se la funzione del battesimo — precisa ulteriormente il Dottore angelico — è quella di iniziare la vita spirituale (ad inchoandam spiritualem vitam), quella dell'Eucaristia è di portarla a termine (ad consummandam ipsam); «per il fatto stesso che i bambini che ricevono il battesimo sono dalla Chiesa ordinati all'Eucaristia». Tommaso giunge a scrivere: «Come essi credono con la fede della Chiesa, così per l'intenzione della Chiesa desiderano l'Eucaristia, e di conseguenza ne ricevono il frutto»16. Da qui la natura e la grazia eucaristica del battesimo stesso.

D'altronde sia il battesimo sia l'Eucaristia sono «sacramento della morte e della passione di Cristo (sacra-mentum mortis et passionis Christi)».

1 Ex hoc ipso quodpueri baptizantur, ordinantur per Ecclesiam ad Eucharistiam. Et sic, sicut ex fide Ecdesiae credunt, sic ex intentione Ecdesiae desiderant Eucharistiam, et per consequens recìpìunt rem ipsius {STh, III, 73, 3, e) .

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Tommaso anche rileverà che il battesimo lo è «in quanto l'uomo viene rigenerato in Cristo in virtù della sua passione (prout homo regeneratur in Christo virtute passio­nis eius)», mentre l'Eucaristia lo è «in quanto in essa è portata a compimento l'unione dell'uomo col Cristo nella sua passione (prout homo perfìritur in unione ad Christum passum)» iibid., 3m)17.

8. Altri effetti Tommaso riconosce all'Eucaristia.

- L'effetto di rimettere i peccati veniali.

L'Eucaristia è un «cibo nutriente» (cibus nutriens). Analogamente a quanto avviene sul piano materiale, anche «sul piano spirituale ogni giorno in noi qualche cosa va perduto, sotto l'impulso della concupiscenza, coi peccati veniali, che diminuiscono il fervore della carità» ifervor caritatis): ebbene, «questo pane — ed è il pensiero di sant'Ambrogio — viene assunto quotidianamente "per riparare l'infermità quotidiana"»: una riparazione o una crescita di grazia quale risultato obiettivo, un opus opera-tum, del sacramento.

Ma Tommaso si appella a un'altra ragione, che mi parrebbe non possa non intrecciarsi con la prima: frutto — o res — di questo sacramento, egli dice, è la carità, intesa non solo come carità abituale - a sua volta obiettiva­mente "toccata" dalla comunione al Corpo di Cristo —, ma come atto o, appunto, «fervore della carità», che è l'antitesi del peccato veniale (STh, III, 79, 4, e ) , rimesso, allora, nella misura dell'amore con cui il Corpo di Cristo

Baptismus est sacramentum mortis et passionis Christi prout homo regeneratur in Christo virtute passionis eius. Sed Eucharistia est sacramentum passionis Christi prout homo perficitur in unione ad Christum passum (STh, IH, 73, 3, 3m).

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è ricevuto. L'Angelico avverte che, se effetto dell'Eucari­stia è anche «un certo attuale e dolce ristoro spirituale» iquaedam actualis refectio spiri tualis dulcedinis), questo «viene certamente impedito se si accede a questo sacra­mento con la mente distratta {mente distracta) dai peccati veniali» {STh, III, 79, 8, e ) .

— Altri effetti dell'Eucaristia ai quali solo accenniamo: la remissione della pena dei peccati, «nella misura della devozione e del fervore» {ibid., 5, e ) ; la preservazione dai peccati futuri, in quanto, unendo a Cristo, quale «cibo e medicina spirituale», essa «rinvigorisce la vita spirituale dell'uomo» {ibid., 6, e.)18 e accresce la carità {auget canta­tevi) {ibid., 3m); inoltre: il giovamento anche a quelli che non si comunicano, a motivo del carattere sacrificale dell'Eucaristia, dove si ritrova «la passione di Cristo nella quale egli si è offerto come vittima a Dio» {ibid., 7, e.)19.

Si direbbe che in questi articoli Tommaso rimane come assorto e ammirato a contemplare tutte le risorse dell'Eucaristia, nella quale egli vede «il bene comune spi­rituale di tutta la Chiesa {bonum commune spirituale totius Ecclesiae)» {STh, III, 65, 3, lm).

9. Ma un altro fondamentale aspetto va ricordato.

Pur non trattandone in maniera esplicita nella que­stione sugli effetti, ripetutamente san Tommaso presenta la comunione ecclesiale come senso o riuscita ultima — res — dell'Eucaristia. «L'Eucaristia è detta sacramento della

1 Hocsacramentum {...}per hoc quod Christo coniungitper gratiam, roborat spiritualem vitam hominis, tanquam spirituali! cibus et spirituali; medicina (STh, III, 79, 6, e ) .

19 In hoc sacramento repraesentaturpassio Christi, qua Christus "obtulit se hostiam Deo", ut dicitur Ephes. 5 {2} (STh, III, 7, e) .

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carità, che è il vincolo della perfezione» (STh, III, 73, 3, 3m)20 — egli scrive —: ma non si tratta solo della carità individuale, ma della carità che costituisce la Chiesa: «L'Eucaristia è il sacramento dell'unità ecclesiastica» (STh, III, 82, 2, 3m)21.

L'affermazione ricorre: «effetto di questo sacramento è l'ingresso alla vita eterna (introitus ad vitam aeternam)» ; «è l'unione del popolo cristiano a Cristo (unto populi chri-stiani ad Christum)» (STh, III, 74, 6, e ) ; o «popolo con­giunto con Cristo (populus adunatus Christo)» (ibid., 7, e ) ; il suo significato quanto al presente è «l'unità ecclesia­stica, alla quale gli uomini sono associati grazie a questo sacramento, per cui viene denominato comunione o sinassi» (STh, III, 73, 4, e.)22; nell'Eucaristia «il popolo viene incorporato a Cristo (populus Christo incorporatur)» (STh, III, 74, 8, 2m) - e lo simboleggia nel rito la mistione dell'acqua col vino —.

Ricorrendo alla distinzione tra il «sacramento» (sacra­mentum) e la «realtà del sacramento» — noi diremmo tra il rito (signum) e il suo risultato o la sua riuscita -, Tom­maso asserisce: «La realtà (res) del sacramento è l'unità del corpo mistico, senza la quale non ci può essere sal­vezza (unitas corporis mystici, sine qua non potest esse salus): a nessuno, infatti, è aperta la porta della salvezza fuori dalla Chiesa, come fuori dall'arca, che significa la Chiesa,

Eucharistia diàtur sacramentum caritatis quae est vinculum perfectionis (STh, III, 73, 3, 3m).

n Eucharistia est sacramentum unitati* ecclesiasticae (STh, III, 82, 2, 3m). 22 Aliam significationem habet respectu reipraesentis, scilicet ecclesiasticae unitati*, cui

homines congregantur per hoc sacramentum et secundum hoc nominatur communio ve! synaxis (STh, III, 73, 4, e) .

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nel caso del diluvio» (STh, III, 73, le.)23. E altrove: «Du­plice è la realtà di questo sacramento: una significata e contenuta, ossia Cristo stesso; e una significata e non contenuta, cioè il Corpo mistico di Cristo, che è la comunione dei santi (corpus Christi mysticum, quod est socie-tas sanctorum). Chi dunque riceve questo sacramento, per ciò stesso mostra di essere unito a Cristo e incorporato alle sue membra, il che avviene quando si abbia la fede formata (ravvivata dalla carità)»24: motivo per cui chi riceve l'Eucaristia senza questa fede, ossia in peccato mortale, contraddice il sacramento ifalsitatem in hoc sacra­mento committit) (STh, III, 80, 4, e ) .

Veramente si potrebbe rilevare che, essendo conte­nuto nei sacramento Gesù Cristo Capo, vi è, in un certo senso, contenuto anche il suo Corpo mistico, come amava sottolineare sant'Agostino.

Una volta ancora, Tommaso ha raccolto e conservato con fedeltà e lucida consapevolezza la dimensione eccle­siale dell'Eucaristia, che «fa la Chiesa».

23 Res sacramenti est unitas corporis mystici, sine qua non potest esse salus. Nulli enim patet aditus salutis extra Ecdesiam, sicut nec in diluvio absque arca Noe, quae significai Ecdesiam (STh, III, 73 ,3 , e).

Duplex autem est res huius sacramenti {...} Una quìdem quae est significata et contenta, sctlicet ipse Christus; alia autem est significata et non contenta, scìlicet corpus Christi mysticum, quod est societas sanctorum. Quicumque ergo hoc sacramentum sumit, ex hoc ipso significai se esse Christo unitum et membris eius incorporatum. Quod quìdem fit per fidem formatam (STh, III, 80, 4, e).

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CAPITOLO QUARTO

LA COMUNIONE SPIRITUALE

1. La partecipazione all'Eucaristia è riuscita, secondo san Tommaso, quando la comunione sacramentale si risolve in comunione spirituale.

Ci sono infatti due modi di ricevere il Corpo e il San­gue di Cristo, l'uno puramente sacramentale, l'altro anche spirituale. Col primo si riceve «solo il sacramento, senza il suo effetto (solum sacramentum sine effectu eius)»; col secondo si assume il sacramento e la sua efficacia pro­fonda, la sua res: allora abbiamo la «manducazione spiri­tuale nella quale si percepisce l'effetto di questo sacra­mento, consistente nell'unione con Cristo attraverso la fede e la carità» (STh, III, 80, 1, e.)'.

Diversamente, avremmo una comunione imperfetta e incompiuta: l'intenzione del sacramento resterebbe inna­turalmente monca e sospesa. La manducazione sacramen­tale è maturata ed è inclusa nella manducazione spiri­tuale.

2. Tommaso osserva che quest'ultima è possibile anche attraverso il suo desiderio: «ci sono alcuni che mangiano questo sacramento spiritualmente, prima di assumerlo sacramentalmente». Avviene — e vale anche

[Spirituali* manducatiti} per quam aliquis percipit effectum huius sacramenti, quo spiritualiter homo Christo coniungìturperfidem et caritatem (STh, III, 80, 1, e) .

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per il battesimo — quando ci sia il desiderio di ricevere l'Eucaristia {desiderium sumendi ipsum sacramentum); ma anche già prima della sua istituzione era possibile comu­nicarsi ad essa spiritualmente, secondo la dottrina di Paolo sui Padri che hanno mangiato il «cibo spirituale» e bevuto la «bevanda spirituale» (1 Cor 10, 2, ss.).

Certo, il Dottore angelico ha un concetto forte di desiderio, ben altro che una vaga e superficiale aspira­zione. Ecco perché può affermare: «Tutti sono tenuti a mangiare almeno spiritualmente (omnes tenentur saltem spi-ritualiter manducare), dal momento che questo significa essere incorporati a Cristo. Senza il voto di ricevere que­sto sacramento non ci può essere salvezza per l'uomo (sine voto penipiendi hoc sacramentum non potest homini esse salus)» (ibid, 11, e.)2.

D'altra parte, egli precisa, all'efficacia del desiderio non succede l'inutilità della «manducazione sacramen­tale», poiché la «recezione del sacramento attua con mag­gior pienezza l'effetto del sacramento (plenius inducit sacramenti effectum)» (ibid., 1, 3m).

La condizione perfetta e normale è quella dell'Eucari­stia che riesce quando il sacramento raggiunge l'inten­zione profonda che vi si trova iscritta, ossia la comunione efficace e quindi "spirituale" con la passione di Cristo.

Da qui il valore non tanto della ripetizione del sacra­mento come tale — oggi la chiameremmo liturgismo — quanto della sua efficacia, che coincide con la carità:

2 Omnes tenentur saltem spiritualiter manducare {hoc sacramentum}, quia hoc est Christo incorporai. {...}. Spiritualis autem manducatio includit votum seu desiderium penipiendi hoc sacramentum {...}. Et ideo sine voto penipiendi hoc sacramentum non potest homini esse salus (STh, III, 80, 11, e) .

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un'Eucaristia che non accresca o non sia in funzione di questa carità riuscirebbe sterile. Ed è come dire la serietà e quasi la "drammaticità" della celebrazione, radical­mente e originariamente destinata a toccare la vita nella sua relazione con il mistero del Signore crocifisso, prima che a esaltare la "ludicità" dell'uomo o il suo stare in compagnia.

3. Del più vivo interesse, per la stessa intelligenza del­l'economia del sacramento, è l'illustrazione che Tommaso fa della manducazione o assunzione spirituale, quando si chiede se anche gli angeli assumano spiritualmente que­sto sacramento. Risponde che vi è una «manducazione spirituale {manducare spiritualiter)» non mediata dal sacra­mento e dalla fede, e consistente nell'unione con Cristo attraverso la carità perfetta e la sua visione immediata: e questa è la manducazione spirituale degli angeli, non la nostra: «noi un pane simile lo aspettiamo nella patria» iibid., 2, e.)3.

Ma se è vero che gli angeli spiritualmente mangiano Cristo — etsi spiritualiter manducent Cbristum — la manduca­zione spirituale che loro compete non è quella che avviene col desiderio del sacramento, com'è per noi.

Senza dubbio «alla comunità del Corpo mistico appar­tengono sia gli uomini sia gli angeli», ma questi «nell'a­perta visione», quelli invece «nella fede», «che vede la

3 II latino di Tommaso è di una suggestiva traspatenza: Angeli spiritualiter manducant ipsum Christum, inquantum eì uniuntur fruitìone perfectae caritatis et visione manifesta — quem panem expectamus in patria — non per [idem, sicut nos hic ei unimur (STh, III, 80, 2, e) .

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verità "come in uno specchio e in maniera confusa"» e a

cui sono consoni i sacramenti (ibid., 2m).

Dove c'è la visione non c'è la mediazione della fede e

del sacramento e quindi una manducazione spirituale di

Cristo che avvenga col desiderio dell'Eucaristia.

4. Ma un'altra considerazione di Tommaso è partico­larmente originale e illuminante, quella in cui attribuisce alla manducazione spirituale di Cristo fruita dagli angeli la funzione di modello rispetto alla nostra manducazione sacramentale. La comunione eucaristica sacramentale — egli osserva — è ordinata, come a fine, alla comunione celeste con Cristo, già goduta dagli angeli. Ne consegue che «la manducazione di Cristo con la quale lo assu­miamo in questo sacramento in certo modo deriva dalla manducazione di Cristo di cui beneficiano gli angeli in patria. Per ciò si dice che l'uomo mangia "il pane degli angeli"» {ibid., 3m): questo, infatti, anzitutto e origina­riamente, riguarda gli angeli, che ne fruiscono secondo il suo aspetto proprio; è invece derivatamente pane degli uomini, che ricevono Cristo nella forma del sacramento {ibid., 2, lm). Quaggiù gli uomini colgono la presenza di Cristo mediante la fede; gli angeli lo avvertono presente con la visione immediata (ibid.).

Un primo punto interessante di questa dottrina è la natura cristologica della beatitudine degli angeli e quindi la loro aspirazione a lui: anch'essi sono saziati e appagati dalla visione di Gesù Cristo. Cristo è il Pane di tutti. Non vi è felicità che possa prescindere da lui o desiderio che non ne sia l'aspirazione.

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Un secondo punto è il carattere, in certo modo, tran­sitorio del sacramento eucaristico, che contiene realmente il Corpo e il Sangue di Cristo, ma come in uno stato di provvisorietà e di precarietà, «fin che venga» (1 Cor 11, 26), in attesa cioè che la realtà del Signore e la comu­nione con lui (res del sacramento), da celate divengano manifeste, convertendosi in soddisfacente visione.

5. D'altra parte, nell'Eucaristia, «per tutto il tempo in cui le specie rimangono, il corpo di Cristo rimane pre­sente» (ibid., 3, e.)4, per cui non si sottrae neppure a quanti non lo ricevano degnamente.

In modo efficace, tuttavia, vi partecipano solo coloro che, mediante la fede animata dalla carità, sono uniti vitalmente a Cristo e al suo «Corpo mistico che è la comunione dei santi» (ibid., 4, e.)5. «Chiunque assume questo sacramento — scrive Tommaso —, mostra per ciò stesso di essere congiunto con Cristo e di essere incorpo­rato con le sue membra»6. Fare diversamente significhe­rebbe contraddire o smentire il sacramento.

Proprio perché questo non avvenga, devono accedervi unicamente quelli che hanno con Cristo un legame "reale" e non solo la disponibilità per un puro vincolo sacramentale (ibid,, 4m), privo dell'«amore fervente, che si richiede in questo sacramento (fervor diketìonis, qui requiritur in hoc sacramento)» (ibid., 5, 2m).

Manentibus speciebus, corpus Christisub eis esse non {... desinit} (STh, III, 80, 3, e) . Corpus mysticum, quod est societas sanctorum {STh, III, 80, 4, e.)-Quicumque ergo hoc sacramentum sumit, ex hoc ipso significat se esse Christo unitum et

membris eius incorporatur (STh, IH, 80, 4, e) .

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Resta, però, che per san Tommaso il massimo osta­colo alla mensa eucaristica è il peccato di infedeltà, cioè di colui che ha rigettato la fede e quindi si è separato dalla comunione ecclesiale, quando invece l'Eucaristia è «sacramento dell'unità ecclesiale (sacramentum ecclesiasticae unitatis)» (ibid., e ) .

6. L'Angelico si chiede anche se il sacerdote possa negare il Corpo di Cristo a un peccatore. La sua risposta rivela quanto in lui sia vivo il senso del rispetto per il fedele e per il suo "diritto" eucaristico inerente alla sua condizione di battezzato. Risponde: quando si tratti di un peccatore manifesto — egli fa il caso, per esempio, di un pubblico usuraio, di un pubblico ladro — la «sacra comu­nione» non dev'essere data; quando invece il peccatore non sia manifesto, questi conserva il diritto, acquisito nel battesimo, di prendervi parte: «Siccome ogni cristiano -scrive san Tommaso — per il fatto stesso di essere battez­zato viene ammesso alla mensa del Signore, non è lecito sottrargli il proprio diritto, se non per una causa manife­sta» (ibid., 6, e.)7. «Le colpe occulte non possono essere punite pubblicamente, ma vanno rimesse al giudizio di Dio» {ibid., lm)8.

«Il sacerdote, che è al corrente del peccato — egli con­tinua — lo può ammonire in privato oppure può richia­mare in pubblico tutti in maniera generale a non acco-

7 Cum enim quilibet christianus ex hoc ipso quod est baptizatus sit admissus ad mensam Dominicam, nonpotest eis ius suum folli nisipro aliqua causa manifesta (STh, III, 80,6, e) .

8 Occulta nonpossuntpublicepuniti, sedsunt iudicio divino reservanda {STh, HI, 80, 6, lm).

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starsi alla mensa del Signore, prima del pentimento e della riconciliazione della Chiesa» (ibid., e.)9.

A questo punto, vista la sottolineatura da parte di Tommaso del valore del desiderio (desiderium) dell'Eucari­stia, potremmo domandarci: tale desiderio non potrebbe essere operante anche in quei fedeli i quali — posti in una situazione morale ed ecclesiale che impedisce il convito eucaristico ma che, di fatto, non è immediatamente risol­vibile — sono tuttavia realmente pentiti delle scelte fatte? In tal caso quel desiderio non renderebbe loro fruibile, per via non sacramentale, la grazia o la "realtà", dell'Eu­caristia?

7. Quanto l'Angelico scrive sulla comunione dei bam­bini e sulla comunione frequente, coincide esattamente con le disposizioni di Pio X, di quasi sette secoli dopo, e colpisce per la sua intelligente apertura. Per il primo caso afferma: «Quando i bambini incominciano a disporre di un certo uso della ragione, così da poter essere devoti verso questo sacramento, si può donare loro questo sacra­mento» (ibid., 9, 3m)'°. Forse, scrivendo queste parole, egli ripensava alla sua puerizia trascorsa nell'abbazia di Montecassino, dove certamente aveva ricevuto con devo­zione l'Eucaristia.

Vale per lui il principio: non si deve negare il sacra­mento a chi abbia un sia pur piccolo uso della ragione con la possibilità, quindi, di una devozione (aliqua devo-

9 Potest tamen sacerdos qui est conscius criminis, occulte monere peccatorem occultum, vel etiam in publico generaliter omnes, ne ad mensam Domini accedant antequam poeniteant et Eccksiae reconcilientur (STh, III, 80, 6, e) .

10 Quando iam pueri ìncipiunt aliqualem usum rationis habere, ut possint devotionem concipere huius sacramenti, fune potest eis hoc sacramentum conferri (STh, III, 80, 9, 3m).

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tio), per quanto esigua, nei suoi confronti. E quand'anche l'uso della ragione non sia più in atto, se in precedenza si è constatata una "devozione" eucaristica, il sacramento va conferito in punto di morte, come viatico — ma, vera­mente, non si vede perché solo in tale circostanza —. L'Eucaristia non si deve, invece, amministrare a chi non abbia mai avuto l'uso di ragione.

L'Angelico sa che i "Greci" si comportano diversa­mente sia nel caso dei bambini appena nati sia di quanti sono da sempre totalmente privi di ragione; astenendosi dal giudicare in merito, egli mantiene la persuasione che a questi «non si devono dare i sacri misteri», osservando che non ne hanno un discapito spirituale {aliud detrimen-tum vitae) (ibid.), dal momento che con il battesimo, diventando membri del Corpo di Cristo, sono già diven­tati partecipi del Corpo e del Sangue di Cristo.

In realtà, proprio per questo motivo, non si vede con quale coerenza essi si debbano privare dell'Eucaristia, che, obiettivamente, rappresenta il compimento del bat­tesimo stesso, a sua volta conferito non in una condizione di coscienza e di libertà e quindi di "devozione". Se vale per l'Eucaristia, la ragione della "devozione" dovrebbe valere anche per il battesimo.

8. Per la comunione quotidiana risalta ancora la "magnanimità" eucaristica di san Tommaso. Il sacra­mento, la cui virtus è «fonte di salvezza per gli uomini» — egli dice -, «è vantaggioso riceverlo ogni giorno, così che ogni giorno se ne colga il frutto {utile est quotidie ipsum suscipere, ut homo quotidie eius fructumpercipiat)» {ibid., 10, e ) , ed è citato a conferma sant'Ambrogio (De sacr.,

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IV, 6): «Se ogni volta che si effonde il sangue di Cristo, si effonde per la remissione dei peccati, poiché sempre ho peccato, sempre lo devo ricevere, sempre devo avere la medicina».

Dal profilo di chi si comunica: è richiesto che «si acco­sti a questo sacramento con grande devozione e venera­zione»; «se uno, quindi, avverte in sé queste disposizioni, è cosa lodevole che lo riceva ogni giorno {laudabile est quod quotidie sumat)» {ibid., lm).

Tommaso ripete questa affermazione: «Poiché tutti i giorni l'uomo ha bisogno della virtù salutifera di Cristo, egli può lodevolmente ricevere tutti i giorni questo sacra­mento» {ibid.); «Come ogni giorno si assume il cibo cor­porale, così è lodevole ricevere quotidianamente questo sacramento» {ibid.), nel quale «il memoriale della pas­sione di Cristo ci è dato sotto forma di cibo, che viene assunto ogni giorno {memoriale passionis Còristi per modum cibi)» {ibid., 2m): è un rilievo di penetrante lucidità: ogni giorno si prende parte al convito che ha come contenuto la passione di Cristo — ogni giorno si mangia la passione di Cristo —, ed è la nostra manna quotidiana, come avve­niva per il popolo ebraico nel deserto {ibid.).

9. Quanto alla «venerazione» — precisa Tommaso —, essa deve comprendere «un timore unito all'amore», ossia: un timore filiale, che genera l'«umiltà della venera­zione {humilitas reverendi)», e un amore che genera il «desiderio della comunione {desiderium sumendi)». E l'uno e l'altro atteggiamento — e quindi sia la comunione quo­tidiana sia l'astensione temporanea — esprimono la vene­razione verso questo sacramento. Ma l'Angelico manife-

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sta chiaramente la sua predilezione, rilevando che «l'a­more e la speranza, a cui continuamente ci invita la Scrit­tura, sono tuttavia da preferirsi al timore»11; e infatti, a Pietro che esclamava: «"Allontanati da me, Signore, per­ché sono un peccatore", Gesù rispose: "Non aver paura"» {ibid., 3m).

In definitiva, quando ci siano l'«amore e la speranza», la comunione quotidiana è un bene. Non sarebbe con­forme al Vangelo starsene lontani facendo prevalere il timore. Questo non sarebbe una «umiltà lodevole» {ibid., 11, lm)12.

È sorprendente come questo così lucido insegnamento di Tommaso sia stato nei secoli passati lungamente disat­teso.

1 ' Amor tamen et spes, ad quae semper Scriptum nosprovocat, praeferuntur timori (STh, IH, 80, 10, 3m).

Nonpotest esse laudabili* humilitas si cantra praeceptum Christi et Ecclesiae aliquis a comunione abstineat (STh, III, 11, lm).

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CAPITOLO QUINTO

LA CONVERSIONE EUCARISTICA E IL MODO DI PRESENZA DI CRISTO

1. Alla conversione eucaristica, e quindi al modo con cui Cristo è presente nel sacramento, Tommaso dedica diversi articoli: le loro tematiche e la loro minuta argo­mentazione ci possono sorprendere e dare l'impressione di una loro superfluità, soprattutto di fronte all'assenza di questioni che noi oggi giudichiamo di ben maggiore importanza e interesse, come una più ampia trattazione della natura sacrificale dell'Eucaristia o della sua signifi­cazione ecclesiale.

Ma occorre osservare che l'urgenza eucaristica più viva riguardava allora la presenza reale, sulla quale nel secolo XI aveva aperto la discussione Berengario, «il primo inventore» (STb, III, 75, 1, e ) , scrive Tommaso, dell'eresia di una presenza puramente sotto forma di segno (in signo); né mancavano questioni molto prati­che, bisognose, a loro volta, di una precisazione sull'e­satta modalità della presenza di Cristo nell'Eucaristia. Era quindi ovvio che la teologia vi si dovesse soffer­mare.

2. Il problema, veramente, si pone sempre, a par­tire dalla considerazione stessa dell'Eucaristia, dove nessun mutamento è percepibile dal profilo fenomeno-

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logico (quello delle specie, o degli accidenti o delle apparenze); dove, tuttavia, all'interno della prece e del rito eucaristico, la fede, senza la minima ombra di dubbio, professa l'avvenuta trasformazione dell'identità o entità del pane e del vino — o della loro "sostanza", secondo il linguaggio scolastico — nella identità o entità — o nella "sostanza" — del Corpo e del Sangue di Cristo.

Si tratta di una conversione «sostanziale» (substan-tialis), incomparabile e assolutamente soprannaturale, operata solo dalla virtù divina': in essa «tutta la sostanza del pane si converte in tutta la sostanza del corpo, e tutta la sostanza del vino in tutta la sostanza del sangue di Cristo» {ibid., 4, e.)2. Passaggio, dunque, di «sostanza» ossia di «entità» — id quod est entitatis (ibid., 3m), secondo il latino di Tommaso — dove a operare è «la forza dell'agente infinito, che ha la capa­cità di agire sull'ente in tutta la sua totalità» {ibid.)0.

D'altronde non sorprende una conversione «assolu­tamente soprannaturale»: essa è nella linea della gene­razione e del parto verginale del corpo di Cristo tra­scendenti, secondo le parole di sant'Ambrogio, citate da Tommaso, l'ordine naturale, sottratti, come dichiara il Crisostomo, ugualmente menzionato, alle leggi della necessità terrena {ibid.).

Non est similis conversionibus naturalibus, sed est omnino supernaturatis, sola Dei virtute effecta (STh, III, 75 ,4 , e) .

2 Tota substantia panis convertitur in totani substantiam corporis Cbristi, et tota substantia vini in totani substantiam sanguinis Christi (STh, III, 75, 4, e) .

Virtute agentis infiniti, quodhabet actionem in totum ens (STh, HI, 75, 4, 3m).

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3. «In questa mutazione — riconosce l'Angelico — le cose difficili sono più numerose che non nella creazione»4, e lo è in particolare il fatto che in essa, oltre ad avvenire una conversione totale del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, una realtà viene tutta trasformata in un'altra, permangono le specie senza il loro soggetto ade­guato (STh, III, 75, 8, 3m)\

Per quanto possano essere ramificati i soggetti trat­tati, la risoluzione è unitaria: grazie alle parole «pronun­ziate a nome (expersona) di Cristo» (STh, III, 78, 1, e.) - o «come se fosse Cristo presenzialmente a proferirle» (ìbid., 5, e.)6 — e grazie alla «forza dello Spirito Santo (virtute Spi­ritus Saneti)» (ibid., 4, lm).

4. Nessun indizio esteriormente percepibile - ossia nulla di «ciò che appare mediante i sensi» (quod sensu apparet) — attesta l'avvenuta conversione eucaristica. E, infatti, a ogni livello sperimentabile le specie del pane e del vino permangono veramente. Esse stanno a signifi­care la destinazione conviviale del Corpo e del Sangue di Cristo, e, insieme, a rendere possibile lo stesso convito mediante una manducazione reale, che, pure, non coin­cide con una dilacerazione fisica — cafarnaitica — del Corpo del Signore. Una tale manducazione non sarebbe una salvifica e vivificante comunione con lui. Nel Com­mento alle parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: «E lo Spirito che dà la vita; la carne non giova a nulla» (Gv 6,

In hac conversione suntplura diffidila quam in creatione (STh, III, 75, 8, 3m). 5 Non solum quodtotum convertitur in illudtotum, ita quod nihil prioris remaneat [...]

sedetiam [...] quodaccidentia remaneat corrupta substantia (STh, IH, 75,8 , 3m). bAcsi Christus eapraesentialiterproferret (STh, III, 78, 5, e.)-

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63), Tommaso scriverà: «Il Signore diceva che avrebbe dato se stesso come cibo spirituale, non nel senso che non ci sia nel sacramento dell'altare la vera carne di Cristo, ma perché viene mangiato con una modalità spirituale e divina»7.

5. A sostenere la conversione eucaristica, di là da ogni mutazione esteriore, è quindi la pura fede, che non si ferma ai sensi, ma giunge a «ciò a cui i sensi non arri­vano» {STh, III, 75, 5, 3m)8. Ripete l'Angelico: «I sensi non possono cogliere che il vero corpo di Cristo e sangue siano presenti in questo sacramento; lo può solo la fede che si basa sull'autorità divina» iibid., 1, e.)9: si tratta di «accogliere nella fede le parole del Salvatore», secondo l'affermazione di Cirillo alessandrino citata da Tommaso, — il quale ancora annoterà che l'Eucaristia «è chiamata sacramento della fede, perché soltanto per fede si ritiene che il sangue di Cristo è davvero presente in questo sacra­mento» (STh, 78, 3, 6m)10.

6. Avvenuta la conversione eucaristica sul piano della sostanza, Cristo, coerentemente, è presente nell'Eucari­stia «al modo della sostanza», non con l'estensione della quantità, com'è per gli altri corpi.

Dominus dicebat daturum se eis sicut spiritualem cibum, non quia sit in sacramento altaris vera caro Christi, sed quia quodam spirituali et divino modo manducatur (Super loannem, VI, lect. Vili, IV, n. 992); eh. p. 103, nota 1 per l'edizione.

8 {ld} adquodsensus non attingit (STh, III, 75 ,5 , 3m). 9 Verum corpus Christi et sanguinem esse in hoc sacramento non sensu reprehendi potest,

sed sola fide, quae auctoritati divinae innititur (STh, III, 7 5 , 1 , e) . Quod sanguis Christi secundum rei verìtatem sit in hoc sacramento, sola fide tenetur

(STh, ni, 78, 3, 6m).

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In altre parole: il sacramento, da un lato, contiene

Cristo integralmente {totus Christus): «È assolutamente

necessario affermare secondo la fede cattolica che in que­

sto sacramento Cristo è presente nella sua integrità»

{STb, 16, 1, c.)n-

E lo è, con questa sua integrità, sia nella specie del

pane, sia in quella del vino, sia in ogni loro parte. Lo con­

ferma la prassi ecclesiale della frazione del pane consa­

crato e l'assunzione distribuita o successiva del calice.

Inoltre, se Cristo è presente integralmente nel sacra­

mento, ne consegue che lo è con tutta la sua quantità

dimensiva; in caso contrario non avremmo presente Gesù

Cristo nella sua realtà.

Dall'altro lato, tuttavia, precisa san Tommaso - e lo attestano ancora una volta la fenomenologia o l'espe­rienza — con questa sua quantità dimensiva Cristo non si trova nell'Eucaristia secondo la modalità naturale, ma secondo una modalità propria {secundum modum proprium), dove il tutto è presente nel tutto e le singole parti nelle singole parti. Cioè «le dimensioni del corpo di Cristo non vi si trovano secondo il modo della commisurazione che è proprio della quantità» {ibid., 4, 3m)12, ma lo è «al modo della sostanza, la cui natura è presente tutta nel tutto e tutta in ogni parte» {ibid., lm)13.

1 ' Ormino necesse est confiteri secundum fidem catholicam quod totus Christus sit in hoc sacramento (STb, III, 76, 1, e).

12 Secundum modum commensurationis, qui est proprius quantitati (STb, III, 76, 4, 3m).

13 Per modum substantiae, cuius natura est tota in tato et tota in qualibetparte {STh, III, 76, 4, lm).

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7. Sempre per questa sua presenza sacramentale al modo della sostanza, si deve affermare che il Corpo euca­ristico di Cristo «non è affatto presente localmente» {ibid., 5, c.)M, cioè non si commisura nella sua quantità estensiva a un luogo che lo contenga e lo delimiti; cosi come neppure si può dire che esso sia, per se stesso, sog­getto a qualsivoglia forma di movimento o di mutazione {ibid., 6, e.)15: la scomparsa delle specie consacrate com­porta sì il venir meno della presenza del Corpo del Signore, ma non implica in esso movimento o mutazione {ibid., 3m).

È la stessa ragione per la quale il Corpo di Cristo pre­sente nell'Eucaristia può essere veduto solo con l'occhio spirituale {oculus spiritualis) {ibid., 7, e ) ; non, quindi, da un occhio corporeo, che percepisca con i sensi o con la facoltà dell'immaginazione {ibid.)16.

Trattandosi, cioè, di una presenza soprannaturale, unicamente un "occhio" soprannaturale è in grado di per­cepirla, e perciò l'intelletto divino e l'intelletto beato, partecipe per grazia di tale chiarità. «Invece dall'intel­letto dell'uomo nella condizione di pellegrino sulla terra non può essere veduto se non tramite la fede, come le altre realtà spirituali» {ibid.)". Una volta ancora basta la «sola la fede» (solafides).

1 Nullo modo corpus Christi est in hoc sacramento localiter (STh, III, 76, 5, e) . 15 Non movetur Christus per se secundum locum {...}; neque per se movetur, secundum

esse quod habet in hoc sacramento, quacumque alia mutatìone (STh, III, 76, 6, e) . Corpus Christi secundum modum essendi quem habet in hoc sacramento neque sensu

neque imaginationepercepibile est, sedsolo intellectu, qui dicitur oculus (STh, III, 76, 7, e) . 17 Ab intellectu autem hominis viatoris nonpotest conspici nisi per/idem, sicut et caetera

supernaturalìa (STh, III, 76, 7, e) .

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E siamo così riportati alla radice della professione eucaristica, tutta dipendente dalla Parola di Cristo.

8. Certo, la riflessione di Tommaso è stata indubbia­mente sottile, ma la presenza di Cristo sarebbe pensabile diversamente, senza riflessioni di questo genere, all'in­terno della "sufficienza della fede"?

Si va rimproverando a Tommaso di aver usato una terminologia filosofica nella considerazione del "mistero" eucaristico, col rischio che questo venga ridotto. La verità è tutt'altra: proprio per conservare in tutta la sua "inte­rezza" questo mistero del Corpo e del Sangue del Signore, egli ha cercato di "comprenderlo" e di dirlo con l'ausilio di una riflessione e di un linguaggio che potesse render conto proprio delle certezze della fede, dell'espe­rienza e della prassi della Chiesa.

La Chiesa crede che nell'Eucaristia è presente real­mente il Corpo e il Sangue di Cristo; essa è certa che, spezzando il pane consacrato, nella permanenza delle spe­cie, distribuisce nella sua integrità, di là dalla frammenta­zione, il Corpo di Cristo; ancora, essa conserva quel "Pane", specialmente per distribuirlo come Corpo di Cri­sto nel viatico e per adorarlo.

E la fede stessa che induce alla riflessione e spinge alla ricerca delle sue "ragioni", senza d'altra parte che queste ragioni o altre migliori stemperino il mistero, rendendolo accessibile alla filosofia, secondo il senso e l'intenzione della teologia, intesa sempre non a ridurre il dogma cri­stiano alle dimensioni della ragione, ma a introdurre la ragione stessa nell'impenetrabile luce della Parola di Dio,

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nel caso nostro nella luce di quella Parola sulla quale uni­camente la conversione eucaristica è stabilita.

9. Le molteplici e non solubili difficoltà di una tale conversione continuano a permanere; l'inesauribile e insondabile mistero dell'Eucaristia rimane sospeso tutto alla decisione della fede, che non vede; e tuttavia l'Ange­lico è convinto che la dottrina della mutazione totale "sostanziale" e della presenza del Corpo di Cristo «al modo della sostanza» in qualche misura lo rendano con­cepibile e dicibile, e specialmente che solo con tale inter­pretazione si possa salvaguardare in tutta la sua verità l'affermazione della fede che Tommaso rende con le parole di sant'Ambrogio: «In quel sacramento c'è Cristo» (ibid, 1, se.)18.

10. Sia il cristiano che intraprenda questo tipo di riflessione — il teologo —, sia il cristiano che vi rinunzi, si ritrovano alla fine nella comunione e nella confessione dell'identica fede eucaristica. È questa che per l'uno e per l'altro costituisce il solo e sufficiente fondamento — sola fides sufficit —.

Ma importa rilevare prima di tutto che lo sforzo teo­logico trova il suo impulso proprio in quella fede eucari­stica condivisa; e, poi, che anche chi non si dedichi a tale sforzo espressamente o per professione, se vuole conser­vare integralmente l'insegnamento e comprendere la prassi eucaristica della Chiesa, può avvertire che, nelle sue linee fondamentali, la riflessione di Tommaso sulla

18 In Uh sacramento Christus est [De mysteriis, 9, 58] (STh, III, 76, 1, se).

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transustanziazione ne è una illustrazione preziosa: quasi una "necessità" per poterlo plausibilmente pensare e manifestare.

Non per nulla il Concilio di Trento accoglierà, nel suo contenuto fondamentale, questa dottrina di Tommaso, nella convinzione che sia un linguaggio singolarmente felice e adeguato per dire la fede eucaristica della Chiesa: «Questa conversione, affermano i Padri tridentini, è chia­mata dalla santa Chiesa cattolica in modo conveniente e appropriato — adattissimo (convenienter et proprie, aptis-sime) — transustanziazione»19.

11. Si dirà che è un linguaggio tecnico di scuola, legato a una teologia datata, che porta dei chiari segni culturali. In realtà si tratta di avvertire che, tramite quel linguaggio, si trova detto con particolare adeguatezza e pertinenza un contenuto che non è datato.

Senza dubbio si può congetturare o ricercare un lin­guaggio differente, ma a condizione che esprima chiara­mente il medesimo dato di fede: i termini e concetti quali "transignificazione" e "transfinalizzazione" giustamente furono riconosciuti, da sé soli, inadeguati e riduttivi a tale fine.

Né, per altro, occorre che tutto un simile linguaggio passi nell'abituale catechesi, a cui in ogni caso dovrà pre­mere che la verità eucaristica a ogni livello sia trasmessa nella sua integrità e precisione, e che la conclusione sia che nell'Eucaristia si riceve, nella forma del convito, vera­mente e unicamente Gesù Cristo, «Pane della vita» {Gv

"DENZINGER-HÙNERMANN, 1642. 1652.

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6, 48), nel suo donarsi sacrificale «per la vita del mondo»

(Gv 6, 52).

12. Quanto a san Tommaso, possiamo constatare come le sottili, oggettive e incontentabili analisi di scuola, suscitate dalla fede della Chiesa e dalla sua fede, non hanno spento o raffreddato la sua devozione verso il Corpo e il Sangue del Signore. In lui il teologo, quasi lo specialista dell'Eucaristia, si è fuso a fare tutt 'uno col fedele, che dinanzi ad essa effonde le sue lacrime, il suo canto e la sua pietà.

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CAPITOLO SESTO

PRESENZA IN VIRTÙ DEL SACRAMENTO E COMUNIONE AL CALICE

1. C'è un aspetto della dottrina eucaristica dell'Angelico sul quale importa soffermare l'attenzione, ed è la distin­zione che egli fa tra quello che nell'Eucaristia è presente «in virtù del sacramento stesso» {ex vi sacramenti) e quello che lo è «per naturale concomitanza» {ex naturali concomitantia).

In virtù del sacramento, ossia, direttamente, secondo l'indicazione della forma, sotto le specie del pane e del vino sono presenti rispettivamente la sostanza del Corpo di Cristo e la sostanza del Sangue di Cristo, quali termini immediati della conversione eucaristica; per naturale con­comitanza è, invece, presente quanto «si trova di fatto congiunto {quod est realiter coniunctum)» {STh, III, 76, 1, e.) con la sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo, e cioè l'anima e la divinità. Come afferma testualmente san Tommaso: «Poiché la conversione del pane e del vino non hanno come termine la divinità o l'anima di Cristo, ne consegue che la divinità o l'anima di Cristo non si tro­vano in questo sacramento in virtù del sacramento, ma della reale concomitanza» {ibid.)\

Quia conversio panis et vini non terminatur ad divinitatem vel anìmam Christi, consequens est quod divinitas vel anima Christi non sit in hoc sacramento ex vi sacramenti, sed ex reali concomitantia {STh, III, 76, 1, e) .

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2. Come si vede, l'Angelico interpreta le parole di Cristo «corpo» e «sangue» in conformità non alla menta­lità semitica, biblica, ma a quella occidentale. Secondo la prima mentalità «corpo», dice tutta la realtà concreta di Gesù, posta in stato sacrificale e offerta come cibo ai commensali dell'Ultima Cena; allo stesso modo anche il «sangue» sta a indicare tutta la sua vita, non trattenuta per sé, ma sacrificalmente "versata". L'Eucaristia è sacrifi­cio non perché da una parte stia il Corpo e dall'altra, separatamente, il Sangue di Cristo; ambedue le consacra­zioni esprimono il carattere sacrificale. Così nel vangelo di Luca: «Questo è il mio corpo che è dato per voi» (22, 19); «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi» (22, 20).

Si deve dire, perciò, che «in virtù del sacramento» o «in virtù delle parole» nell'Eucaristia è presente sia con l'una sia con l'altra consacrazione Gesù Figlio di Dio nella condizione sacrificale, senza ricorso alla «virtù della concomitanza», e che, in qualsiasi tempo si celebri l'Eu­caristia, essa è, secondo il significato e il contenuto della sua istituzione, sacramento del sacrificio di Gesù.

3. Non deriva da questo che la seconda consacrazione sia superflua o che lo sia la comunione al calice. Il sacra­mento è costituito da tutt 'e due i segni assunti da Cristo nella cena pasquale per l'istituzione dell'Eucaristia. Essi si devono considerare non separati o alternativi, ma uniti. «Il pane e il vino — afferma Tommaso — sono due segni distinti, ma rispetto alla forma e alla perfezione sono un segno solo (forma/iter et perfective unum)» {STh, III, 73, 2, 2m).

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Ecco perché l'Angelico afferma che la comunione alle

due specie è "conveniente", o consentanea {convenit), alla

natura e alla perfezione del sacramento (STh, III, 80,

12, e.)2.

4. Da quanto abbiamo detto, e proprio in virtù del sacramento, la sola comunione, sotto la specie del pane, al «Corpo dato» è, senza dubbio, assunzione del sacrifìcio di Cristo; e tuttavia essa è giustificata unicamente da ragioni pratiche: «Poiché nel popolo cristiano, che è andato moltiplicandosi, — scrive san Tommaso — ci sono vecchi e giovani e bambini, alcuni dei quali non sono tanto accorti da usare le necessarie cautele nel ricevere questo sacramento, prudentemente in alcune chiese si osserva la norma di non dare al popolo il sangue, ma di farlo consumare al solo sacerdote» {ibid.).

Questi, però, precisa lo stesso Tommaso, «non deve assolutamente assumere il corpo di Cristo, senza il san­gue» {ibid.f. Se al popolo che non comunica al calice non proviene alcun «detrimento» {detrimentum), è per due ragioni: perché sotto l'una e l'altra specie è contenuto tutto Cristo e perché «il sacerdote offre e assume il san­gue a nome di tutti» {ibid., 3m)4.

In ogni caso, se la mancanza della comunione al calice da parte di tutto il popolo cristiano è dovuta a motiva­zioni prudenziali {provide observatur) (ibid., e), tale comu­nione, per sé, dovrebbe essere la norma. E viene da chie­dersi se veramente alla perfezione del sacramento sia suf-

2 In utroque [corpore et sanguine] consistitperfectiosacramenti (STh, 111,80,12, e) . 3 Nullo modo debet corpus Christi sumere sine sanguine (STh, III, 80, 12, e) .

Sacerdos in persona omnium sanguinem offert et sumit (STh,, III, 80, 12, 3 m).

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ficiente che comunichi al calice il sacerdote, come scrive Tommaso: «Non toglie nulla alla perfezione di questo sacramento se il popolo riceva il corpo senza il sangue, purché il sacerdote consacrante riceva l'uno e l'altro» (ibid., 2m)\

La comunione al calice concorre alla compiutezza del sacramento.

Nihil derogai perfezioni huius sacramenti si populus sumat corpus sine sanguine, dummodo sacerdos consecrans sumat utrumque (STh, III, 80, 12, 2m).

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CAPITOLO SETTIMO

L'EUCARISTIA NEL COMMENTO A MATTEO:

AL PRINCIPIO L'ISTITUZIONE DI GESÙ

1. Se la Summa Theologiae ci offre la sintesi, secondo Yordo disciplinae, della dottrina teologica di Tommaso d'Aquino, i Commentari biblici ci danno il luogo dove egli la veniva primariamente attingendo, del resto secondo il regime della scuola teologica medievale, dove la Scrittura rappresentava per eccellenza il Libro del "maestro", definito esattamente «maestro in sacra Pagina».

Per conoscere la teologia eucaristica di Tommaso come nel suo istituirsi, importano quindi particolarmente le sue "letture", come di consueto analitiche, teologiche, e tutte punteggiate di quaestiones — sul Vangelo di Mat­teo, sulle Epistole di Paolo, con i loro racconti dell'istitu­zione, e sul Vangelo di Giovanni, col capitolo sesto sul Pane di vita.

Incominciamo dalle prime due "letture", e precisa­mente dalla "lettura" sul capitolo 26 di Matteo, probabil­mente degli anni 1269-1270, e da quella sul capitolo 11 della Prima Lettera ai Corinti, riportata da Reginaldo da Piperno e risalente forse agli anni 1265-1268.

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2. Nel capitolo 26 del Vangelo di Matteo — il cui commentario nelle attuali edizioni si presenta con un testo, fissato dagli uditori dalla viva voce, non sempre accurato e talora inesatto1 - Tommaso trova il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia.

Nella sua analisi - condotta con larga attenzione alle fonti antiche già da Tommaso raccolte nella Catena Aurea2 — si ritrovano sostanzialmente i contenuti e le que­stioni eucaristiche ricorrenti nella Summa Theologiae, indi­zio, come sembra, della vicinanza di composizione delle sue opere.

3. L'Eucaristia è istituita, secondo Matteo, nel conte­sto dell'antica cena pasquale. Gesù «costituì il sacra­mento nuovo dopo il sacramento antico» (post constitutio-nem veteris testamenti novum constituit), perché apparisse la successione della «verità rispetto alla figura» (succederet veteri sacramento, sicut veritas figurae) (Gerolamo); perché quella istituzione «si imprimesse nella memoria, dal momento che le cose che si ascoltano per ultime, si stam­pano più profondamente nella memoria» (Agostino) (n. 2168)3.

Nell'antica Pasqua veniva mangiato l'Agnello come cibo; Cristo, come cibo offre il proprio Corpo, presente non semplicemente «nella forma di un segno» {sub signó) — avrebbe in questo caso un maggior realismo la «figura»

1 Citiamo da: S. THOMAE AQUINATIS, Super Evangelium S. Matthaei Lettura, Marietti, Taurini-Romae 1951 (con la numerazione).

2 Cfr. Exposìtio in Matthaeum in: S. THOMAE AQUINATIS, Catena Aurea in Quatuor Evangelia, I, Marietti, Taurini-Romae, 1951.

3 Voluit ut infigeretur memoriae: quae enim ultimo audiuntur, altìus infiguntur memoriae (n. 2168).

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che non «la verità» —, ma realmente, quale vero Agnello, come «figura e verità» (figura et veritas) (n. 2172); né la manducazione del Corpo di Cristo comporta irriverenza, poiché non il Corpo di Cristo si trasforma nel nostro corpo, ma noi siamo trasformati in lui (Agostino)4.

A motivo, poi, del realismo della presenza del Corpo di Cristo, il sacramento eucaristico è «il fine e la perfe­zione di tutti i sacramenti (finis et perfectio omnium sacra-mentorum)»: «in questo sacramento egli si trova sostan­zialmente», mentre gli altri sacramenti — tutti portati al loro compimento nell'Eucaristia5 — «contengono Cristo per partecipazione» (n. 2173)s.

4. Quanto alla scelta del pane e del vino, elementi e cibi principali comuni a tutti — così riteneva Tom­maso — essa si spiega per il fatto che Cristo volle la celebrazione eucaristica «da parte di tutti e in tutto il mondo» (ab omnibus ubique terrarum), essendo, del resto, comune anche l'olio per l'unzione, proveniente da molte olive, a significare «l'unità della Chiesa da una moltitudine di fedeli (unitas Ecclesiae ex multitudine fide-lium)» (Agostino) (n. 2175). E, ripetendo la persua­sione di sant'Ambrogio, il Dottore angelico può allora osservare che «i nostri sacramenti sono più vecchi dei sacramenti dell'antica legge: questi ebbero origine da Mosè e Aronne, mentre i sacramenti della nuova legge

«Nec tu me in te mutabis skut cìbum carnis tuae, sed tu mutaberis in me» (Confess. 7, 10).

Nullum est sacramentum quoti non perficitur in Eucharistia (n. 2173). Alia enim sacrameyita Cbristum continent per participationem, in isto autem est

Christus secundum substantiam (Pseudo-Dionigi) (n. 2173).

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da Melchisedec, che offrì ad Abramo il pane e il vino» (Ambrogio) (n. 2175)7.

5. Nella benedizione del pane — «Gesù prese il pane, lo benedisse» —, Tommaso, che non si pone propriamente nella prospettiva biblica della benedizione del pane e quindi del rendimento di grazie, illustra un triplice significato.

Essa, benedicendo il frutto della terra, revoca la male­dizione di Genesi 4, 17 — «Maledetto sia il suolo» (Remi­gio) -; concerne il contenuto del sacramento - Cristo, «benedetto» come «colui che viene nel nome del Signore» (Mt 2 1 , 9) -; e, in terzo luogo, evoca il frutto del sacra­mento, cioè i fedeli, ai quali trapassa la benedizione del Signore, come dal capo alle membra (n. 2176)8.

6. La frazione del pane, per parte sua, richiama «il mistero della passione» — «poiché nella passione sono state perforate le membra (in passione perforata sunt membra)» —: mistero che fu oggetto della libera scelta di Cristo - «Fu offerto perché lui lo volle» (Is 53, 7) (Agostino, Remigio).

La «frazione dall'unità alla moltitudine» sta inoltre a indicare l'espandersi del Verbo, che, restando uno e semplice, è venuto nella nostra molteplicità (venti in istam multitudinem); e raffigura, quale effetto, la divi­sione delle grazie, permanendo uno lo Spirito (1 Cor 12, 24) (Pseudo- Dionigi) (n. 2177).

Nostra sacramenta magis sunt antiqua quam sacramenta veteris legis, quia sacramenta veteris legis babuerunt initium a Moyse et Aaron, sedsacramenta novae legis a Melchisedec, qui obtulit Abrahampanem et vinum (n. 2175).

8 Per ìstum {fructum} benedkuntur fideles, et transit a capite ad membra (n. 2176).

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7. Come si può vedere, Tommaso — che pure aveva affermato il primato del senso letterale o storico su cui si devono fondare gli altri sensi (STh, I, 1, 10) — assume e fa proprio il metodo esegetico evidentemente accomodati-zio, ereditato dai Padri e che gli è offerto dalle sue fonti. Nella sua elaborazione teologica egli ne fa ancora largo uso, ricercando nei dati storici quanto è pertinente al "mistero" (pertinet ad mysterium) (n. 2194). L'arbitrarietà dell'accomodazione, d'altra parte, non manca di essere occasione o motivo per l'illustrazione di validi e profondi aspetti del mistero cristiano, nel caso nostro dell'Eucari­stica.

8. Il pane è da Cristo dato «ai suoi discepoli», perché questo sacramento, come è compiuto unicamente dal «sacerdote consacrato», così «non dev'essere ammini­strato se non a chi è battezzato»; anzi, gli infedeli — come avveniva nella Chiesa primitiva che ammetteva i catecu­meni solo fino al Vangelo — «neppure devono essere ammessi a vedere questo sacramento». Tra questi disce­poli si ammette, più plausibilmente, che vi fosse anche Giuda, perché con questo gesto della benignità di Gesù fosse distolto dal suo peccato e anche — osserva san Tom­maso — «per insegnare alla Chiesa che la partecipazione a questo sacramento non deve essere negata a quanti siano peccatori ancora occulti: non spetta infatti agli uomini giudicare sulle cose occulte» (Remigio) (n. 2179)9.

Ut daret Ecclesiae documentimi ut, dum esset oaultus peccator, quod non prohìberetur a recepitone huius sacramenti: homines enim non habent iudicare de occulth (n. 2179).

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9. Nelle parole di Gesù: «Prendete e mangiate: que­sto è il mio corpo», san Tommaso trova anzitutto l'invito alla «comunione spirituale», «poiché non deve essere rice­vuto se non nella fede e nella carità»10, secondo quanto è detto in Giovanni (6, 55) «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui»; alla comu­nione però «non solo in forma spirituale, ma anche in forma sacramentale {non solum spiritualiter, sed etiam sacra-mentaliter)» (Agostino).

Nelle parole «questo è il mio corpo» Cristo indica la «verità» del sacramento (designat veritatem). Esse sono la forma del sacramento e sono «parole del Signore, perché nelle parole del Signore viene effettuato il sacramento»11. «Se la parola di Elia ebbe tale forza da far discendere dal cielo il fuoco, molto di più — osserva san Tommaso — la parola del Signore avrà la forza di trasmutare un corpo in un altro» (Ambrogio) (n. 2180)12.

Ed è indubbio — egli continua — che questa forza si trova nelle parole, dal momento che «il sacerdote non le usa a nome proprio, ma a nome di Cristo»13.

Al riguardo, Tommaso precisa ulteriormente che tale forza non è immanente e autonoma in quelle parole con­siderate in se stesse; queste operano come una causa stru­mentale, dove l'efficacia è passeggera, transeunte, prove­nendo dall'agente principale, che la possiede in modo permanente e completo. Le parole, d'altronde, fanno

mNon debet accipi {corpus} nisi infide et cantate (n. 2180). 11 In verbìs Domini sacramentum conficitur (n. 2180). 12Si verbum Eliae tantam virtutem habuit quodfaceret ignem de caek discendere, multo

magis verbum Deipoterit transmutare unum corpus in aliud (n. 2180). Sacerdos pergit in persona Còristi, et non utitur verbis in persona propria, sed in persona

Còristi (n. 2181).

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parte del sacramento e «i sacramenti sono cause, ma non

come quelle principali, bensì come le cause strumentali,

che hanno un potere mobile e incompleto, derivante da

un altro soggetto» (n. 2181)14.

È, quindi, Cristo che sempre conferisce l"'energia"

consacratoria alle parole: «Questo è il mio corpo», esatta­

mente come nella istituzione, proferendole il sacerdote

appunto in persona Còristi. Si può allora dire che esse pos­

seggono tale energia radicandosi sulla «potestà di Cristo

che vi è presente» (2181)15.

E ancora a proposito della forma, Tommaso sottolinea che, mentre al di fuori dell'Eucaristia la materia non si trova trasformata, anche se in qualche caso è consacrata, si ha il sacramento e la comunicazione della grazia solo con l'effettivo esercizio o l'"uso" sacramentale — il lavacro, l'unzione, ecc. - nell'Eucaristia. Ne consegue, per l'Ange­lico, che le parole «Prendete e mangiate» non fanno parte della forma: i discepoli prendono e mangiano il Corpo di Cristo, già disponibile nel sacramento avvenuto, grazie alle parole di Cristo (n. 2183).

10. Tommaso si sofferma quindi sulla sottile que­

stione del significato del termine «questo» (hoc) nell'e­

spressione: «Questo è il mio corpo», per affermare che il

pronome, all'inizio, indica indeterminatamente la so­

stanza del pane, che risulta determinata alla fine come

Corpo di Cristo, per il passaggio dalla forma del pane alla

Sacramenta sunt causae, non skut causae principales, sed instrumentales, ab alio trameuntes (n. 2181).

^Potestas Christi {...} quae ibi assistit (n. 2181).

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forma del Corpo di Cristo, nella permanenza degli acci­denti o delle specie.

L'Angelico precisa che quelle parole non si esauri­scono sul piano del segno, senza toccare la realtà (non ad sensum, sed ad intellectum); non si limitano a indicare il pane, lasciato intatto nella sua sostanza e assunto solo come simbolo del Corpo di Cristo (non nisi ad significan-dum): sarebbe contro la natura dei «sacramenti della nuova Legge», che «causano quello che significano»16.

Neppure, proferite dal sacerdote, tali parole si ridu­cono a una pura narrazione "materiale", a una citazione. Se cosi fosse, non avremmo il sacramento, che comporta l'applicazione delle parole alla materia presente, com'è detto in Agostino: «La parola accede agli elementi e si attua il sacramento»17.

In realtà: esse sono pronunciate come memoria storica (recitative), conferendo ad esse un significato attuale, "for­male", (significative) ({verbo} dicuntur et simul recitative et significative), e con una risultanza efficace.

Occorre, infatti, distinguere da un lato le parole umane, e dall'altro le parole sacramentali, equivalenti alle parole divine, dal momento che il sacerdote «parla nel nome di Cristo e agisce come se Cristo fosse presente»18.

Le parole umane hanno soltanto la prerogativa della significazione, non dell'efficienza; le parole divine, invece, — e quindi quelle sacramentali — sono dotate di potere

1 Sacramenta novae legis efficiunt quod significant (n. 2184). 17 Accedit verbum ad elementum, et fit sacramentum (In lohann. eu. tract., 80, 3;

n. 2184). 1 Loquitur in persona Còristi, et peragit oc si Christus esset praesens (a. 2184).

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significativo e insieme fattivo19. Nelle parole del sacra­mento opera la stessa forza divina. Ecco perché il sacer­dote «parla e insieme opera»20. Il frutto è la trasmuta­zione della sostanza, nella permanenza delle specie, senza soggetto: secondo il testo limpido di Tommaso: «Co­mune è l'accidente, differente la sostanza. La sostanza viene trasmutata, rimane, come realtà comune, l'acci­dente» (n. 2184)21.

11. L'Angelico passa quindi alla illustrazione di altri aspetti sulla modalità della presenza del Corpo di Cristo, di cui è ampiamente trattato nella Summa Theologiae.

Diverse annotazioni seguono a commento della consa­crazione del vino. La prima osservazione è per dire che il sacramento eucaristico «non è stato istituito per essere compiuto sotto una sola specie, ma sotto due», perché anche «la refezione spirituale» avvenga compiutamente col cibo e la bevanda; perché col sangue separato dal corpo l'Eucaristia risalti come «commemorativo della passione del Signore (rememorativum dominicae passionis)» (Remigio).

Tommaso aggiunge un'altra, discutibile ragione, presa dall'Ambrosiaster: siccome il sangue indica l'a­nima, mentre «il pane è offerto per la salvezza del corpo», «il sangue per la salvezza dell'anima» (n. 2191), restando vero — come sappiamo — che «sotto la

Verbum humanum est solum significativum, sed dìvìnum sìgnìficatìvum et factìvum (ti. 2184).

Verba sacramentalia habent virtutem a virtute divina. Unde simul dicit, et ex divina virtute facit (ri. 2184).

1 Commune est aaidens, differens est substantia. Unde substantia transmutatur, commune aaidens manet (ri. 2184).

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specie del pane è contenuto il corpo di Cristo in virtù

del sacramento, e il sangue in virtù della concomi­

tanza», e viceversa.

Rilevando, quindi, la mistura dell'acqua con il vino, come plausibilmente aveva fatto Cristo — «nelle regioni calde è costume di non bere vino senza temperarlo con acqua» — ne coglie la pertinenza sia nel fatto che questo sacramento «è commemorativo della passione del Signore» e «dal fianco di Cristo uscì sangue e acqua» (Gv 19, 34), sia come simbolo di quanto esso produce in noi, cioè la nostra comunione con la passione: questo sacra­mento — scrive Tommaso — «è commemorativo della pas­sione di Cristo, e, perciò, ci trasmette gli effetti della pas­sione di Cristo», che ci ha lavato dai peccati e ci ha redenti nel sangue22.

E a ciò si aggiunge un altro valore simbolico: l'unione del popolo a Cristo attuata dal sacramento eucaristico, nel quale «è contenuta l'unità della Chiesa» (Ambrogio, Remigio) (nn. 2193-2194)23.

12. Successivamente, a proposito del «rese grazie», Tommaso afferma che il ringraziamento fu elevato da Gesù per la sua passione, per l'istituzione del sacra­mento eucaristico, e, infine, per l'effetto della passione: la «salvezza di tutto il mondo» (n. 2196). C'è, poi, un significato nel gesto della consegna del calice: «intese

22 htud {sacramentum} significat memoriampassionis Christi; ergo inducit in nos effeaus passionis Christi. Effectus autem est duplex, abluere et redimere. Redemit nos per sanguinem suum. {...} abluit sordes (n. 2193).

Per istud sacramentum populus unitur Christo; ideo per istam admixtionem signatur populus unìri Christo; in hoc {sacramento} unitas ecclesiastica continetur (nn. 2193-2194).

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mostrare che il frutto della passione doveva essere,

attraverso gli uni, amministrato agli altri» (n. 2197)24.

13. Nello studio delle parole a consacrazione del calice — «Questo è il mio sangue dell'alleanza...» —, l'Angelico mette in luce la similitudine e la differenza tra il sangue dell'antica e della nuova alleanza.

Anche Mosè offrì il sangue dell'alleanza del Signore per la salvezza del popolo (Es 24, 8), ma quello era san­gue di vitelli, questo è il Sangue di Cristo, e quindi effi­cace per la remissione dei peccati (Crisostomo, Remigio).

Anche quello era sangue di un'«alleanza tra Dio e gli uomini», di un testamento: ma quello suggellava la promessa di «beni temporali (de temporalibus)», questo la promessa di «beni celesti e superni (de caelestìbus et supernis)»; per cui quello fu un patto vecchio, «col quale gli uomini non venivano rinnovati, ma piuttosto invecchiati» (n. 2202)25.

Questo fu, invece:

— un patto nuovo — secondo la profezia di Geremia

(31, 31): «Io concluderò un'alleanza nuova» -;

— un patto suggellato nel sangue, fondamento della nostra fiducia (Eb 10, 19), dove la promessa ha avuto la conferma nella morte di Cristo26;

Per hoc significavit quod fructus suae passionìs decebat per alias alii ministrar! (n. 2197).

25No» innovabantur homines, sed magis inveterabantur (n. 2202). 'Per mortem Còristi confirmata est repromissio (n. 2202).

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— un patto eterno, perché riguardante «un'eredità

eterna», «oppure Cristo che è eterno»27;

- un patto non ristretto a Israele, ma destinato anche

alle genti: il sangue di Gesù è versato «per la mol­

titudine»; esso ha in se stesso (si consideretur suffi-

cientia) la capacità di purificare e di propiziare per

tutti (Remigio) (n. 2202).

San Tommaso non manca di aggiungere un rilievo anche sull'inno detto da Gesù e dagli apostoli al termine del convito pasquale: quell'inno rappresenta ciò che nella celebrazione vien detto dopo la comunione; «i fedeli, quindi, devono aspettare sino alla fine della messa», e non lasciarla prima del ringraziamento (n. 2205).

14. Tommaso, così, ha commentato la coena sacramen-

talis (ibid.) secondo il vangelo di Matteo, illuminandola

con un'ampia documentazione biblica — sostanzialmente

quella sulla quale ancora oggi l'istituzione eucaristica

viene innestata — e interpretandola alla scuola di una

larga tradizione che, anche là dove non sia esplicitamente

e analiticamente citata, egli ha di fronte e consulta nella

Catena Aurea, in cui l'ha raccolta.

Nella teologia dell'Angelico confluisce largamente il senso eucaristico della Chiesa, che essa per parte sua ripensa e riespone, non senza approfondimenti e linguag­gio nuovi, secondo le necessità della fede del suo tempo.

1 Potest referri vel ad haereditatem aeternam vel ad Christum, qui aeternus est (n. 2202).

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CAPITOLO OTTAVO

L'EUCARISTIA NEL COMMENTO ALLA PRIMA LETTERA AI CORINZI

I

Nel capitolo 11 della Prima Lettera ai Corinti1 Tom­maso ritrova il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia -già commentata nella Lectura sul Vangelo di Matteo — arricchito di altri aspetti del mistero eucaristico. Vi si riscontreranno, quindi, alcuni temi già rilevati, che per altro l'Angelico trovava e riportava in larga parte dalle Glosse che li avevano raccolti dalla tradizione.

In tal modo egli si disponeva nella continuità dell'in­terpretazione eucaristica che lo aveva preceduto, lascian­dovi l'impronta dottrinale, soprattutto "teologico-specu-lativa", con una serie di sviluppi e di approfondimenti.

1. Sull'affermazione di Paolo relativa alle divisioni dei fedeli di Corinto per cui, dice, «Quando vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore», l'Angelico osserva, citando Agostino: «Il sacra­mento dell'Eucaristia [...] è "sacramento di unità e di

1 Citiamo da: Super Primam Epistola»! ad Corìnthios Lectura in: S. THOMAE AQU1NATIS, Super Epistolas S. Pauli Lectura, Marietti, Taurini-Romae 1953 (con la numerazione). Cfr. THOMAS d'AQUIN, Commentaire de la Première Epttre aux Corinthiens, Du Cerf, Paris 2002.

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carità", e quindi non è idoneo per quelli che sono in rissa tra di loro»2; essi stanno insieme «corporalmente, ma non spiritualmente {in unum corpore, non animo)» (n. 630).

Riferendo, quindi, un'altra esegesi — ossia: non è lecito accedere alla cena del Signore, o «assumere i sacri misteri {sumere sacra mysteria)» (n. 634), dopo aver già pranzato —, Tommaso rinviene tre ragioni per le quali nell'Ultima Cena la consumazione del pasto ha preceduto l'istituzione dell'Eucaristia.

«Cristo ha dato questo sacramento dopo la cena dell'Agnello Pasquale», perché «la figura precede la verità {figura praecedit veritatem)»: la verità è il Corpo di Cristo e tutto quello che precede ne è l'ombra {Col 2, 17); perché, così, potè passare direttamente da questo sacra­mento alla passione, «di cui questo sacramento era il memoriale {{passionis} hoc sacramentum est memoriale)»; e, infine, perché «questo sacramento si imprimesse nei cuori dei discepoli, ai quali donò se stesso nel suo ultimo distacco da loro»3.

Il digiuno dalla mezzanotte fu istituito dalla Chiesa per «la riverenza verso un così grande sacramento {in reverentiam tanti sacramenti)» (n. 631).

2. Sul disprezzo gettato «sulla Chiesa di Dio» — evo­cato da Paolo — col non mangiare nelle proprie case, e sull'umiliazione di chi non ha nulla, Tommaso annota: «Per Chiesa di Dio si può intendere la comunità dei fedeli

Eucharistiae sacramentum {...} est "sacramentum unitatis et charitatis" {eh. In loann. eu. tract., 26, ò), et ideo non competit dissentientibus (n. 630).

3 Ut arctius imprimeretur hoc sacramentum in cordibus discipulorum, quibus ipsum tradidit in ultimo suo recessu (n. 631).

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o il luogo sacro, che non deve essere disprezzato [. . .}. Questi, invece, gettavano disprezzo su tutti e due, consu­mando, alla presenza della comunità dei fedeli, in un luogo sacro, i loro pasti»4; «Non è lecito — e viene richia­mato il comportamento di Gesù contro i venditori al tempio {Gv 2, 16) e la Regola di Agostino {Ep 211, 7) - il far servire a usi profani la casa di Dio deputata a usi sacri»5, a meno che ricorra una necessità (n. 636).

Ma anche il prossimo si trova, in tal caso, disprezzato, in particolare i poveri, «che arrossivano, perché, mentre gli altri mangiavano e bevevano lautamente, essi rimane­vano affamati davanti a tutta la moltitudine» (n. 637).

Rimane il principio: «La cena del Signore è comune a tutta la famiglia»6; nessuno la può considerare come pro­pria o come un bene "privato" {quasi suam, idest quasi pro-priam) (n. 639).

3- Le parole di Paolo: «uno ha fame, l'altro è ubriaco», riferite già all'assunzione del pane e del vino consacrati, danno a Tommaso l'occasione per sottolineare che nel sacramento «non permane la sostanza del pane e del vino insieme con la sostanza del corpo e del sangue di Cristo» (n. 642): affermarlo «contrasta con le parole della Scrittura {hoc repugnat verbis Scripturae)»; d'altra parte, le specie del pane e del vino, come dopo la consacrazione

Potest hic sumi Ecclesia tam prò congregatitele fidelium quam prò domo sacra, quae non est contemnenda {...}. Isti autem utrumque contemnebant, dum, praesente conventu fidelium, in hoc loco sacro convivia celebrabant (n. 637).

Non enim est libitum domum Dei, quae est deputata sacris usibus, communibus usibus applicare (n. 636).

Coena Domini est communis toti familiae quasi suam, id est, quasipropriam vindicans (n. 639).

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miracolosamente rimangono senza la loro sostanza pro­pria, così, altrettanto miracolosamente, possono nutrire e inebriare come se essa fosse presente (nn. 642-643).

«Miracolosamente (miraculose)» (n. 643) — scrive il Dottore angelico —: le sue impegnative spiegazioni euca­ristiche, dense di rigorosi concetti ed elaborate con pre­ciso linguaggio, alla fine si affidano al miracolo come all'unico e ultimo fondamento della professione e della certezza della fede. L'argomentazione — come egli la chiama nella questione che apre tutta la Summa Theologiae (I, 1, 8), dedicata alla natura della teologia e al suo metodo — non gli ha offerto delle "prove", ma solo delle "plausibilità", che lasciano intatto e inarrivabile il mistero: «La nostra fede si fonda sulla rivelazione fatta agli apostoli e ai profeti, autori dei libri canonici» (ibid., 2m)7.

4. Nella dichiarazione di Paolo che quello che insegna sulla «dominica mena» lo ha ricevuto dal Signore, Tom­maso trova il risalto della «dignità di questo sacramento» (n. 646), del quale «Cristo personalmente è l'istitutore» (n. 647)8.

L'apostolo non ha fatto altro che trasmettere ai Corinzi quanto è avvenuto all'origine. L'insegnamento eucaristico dell'apostolo risale a Cristo, «autore di questa dottrina {auctor buius doctrinaé)» (n. 645) e signore dei sacramenti.

Tommaso ricorda qui i quattro aspetti esattamente della signoria, o «potestà di eccellenza {excellentiae pote-

7 Innititur autemfides nostra revelationi apostolis et prophetis factae (STh, I, 1,8, 2m). Institutor autem sacramenti est ipse Chrìstus (n. 647).

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stas)», esercitata da Cristo nei sacramenti. Operano, anzi­tutto, in essi la sua «energia e i suoi meriti»9; è nel suo nome, inoltre, che l'azione sacramentale riceve un valore sacro10; d'altra parte, anche a prescindere dal sacramento, egli ne può comunicare l'effetto11; a lui, infine, appartiene l'istituzione di un nuovo sacramento (institutio novi sacra­menti).

«In modo particolare, era di pertinenza di Cristo l'isti­tuzione diretta e personale del sacramento eucaristico, dal momento che in esso viene offerto il suo Corpo e il suo Sangue, secondo quanto è detto in Gv 6, 52: "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo"» (n. 647)12.

5. Né manca, secondo Tommaso, di una sua "ragione" il tempo dell'istituzione: era «notte», e proprio «in virtù di questo sacramento l'anima viene illuminata (per virtutem enim huius sacramenti anima illuminatur)»; ed era «la notte del tradimento», in cui Cristo «veniva con­segnato alla passione, tramite la quale passò al Padre»: ora, questo sacramento «è memoriale della passione» (n. 648)13.

Virtus et merita {Christì operantur} in sacramentis (n. 647). In nomine eius {sanctificatur} sacramentum (n. 647).

uEffectum sacramenti sine sacramentopraeberepotest (n. 647). 1 Specialiter {...} congruebat ut hoc sacramentum ipse in sua persona institueret, in quo

corpus et sanguis eius communkatur. Unde et ipse dicìt, lo VI, 52: Panis quem ego dabo vobis, caro mea est prò mundi vita (n. 647).

13 Quando tradebatur ad passionem, per quam transivit ad Patrem, hoc sacramentum, quod est memoriale passionis, insìtuit (n. 648).

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6. Passando quindi a commentare il gesto di Gesù, che «prese il pane», l'Angelico incomincia a illustrare la necessità dell'Eucaristia.

Letta la realtà dei sacramenti come versione per la vita spirituale di quanto avviene per la vita materiale14 — per cui alla generazione fisica corrisponde la rinascita battesimale, in cui «Cristo rigenera per la salvezza»15, alla crescita corri­sponde la confermazione che dà lo Spirito Santo «per la cor­roborazione» — si comprende, come proporzionata all'ali­mentazione del corpo, la "refezione" della vita spirituale mediante l'Eucaristia, dove, sotto le specie, «Cristo è pre­sente con la sua sostanza» (nn. 650-651)16.

Una presenza di Cristo sotto le specie, al fine di poter essere assunto spiritualmente, senza la derisione degli infedeli e nell'invisibilità che accresce il merito della fede (n. 652).

E una presenza sotto le due specie per tre ragioni:

— Primo, perché 1'«alimentazione spirituale» con «un cibo spirituale» e «una bevanda spirituale», risultasse per­fetta17, a similitudine dell'alimentazione corporale che avviene col cibo e la bevanda.

— Secondo, perché l'Eucaristia risaltasse nel suo signi­ficato di «memoriale della passione del Signore {memoriale dominicele passionis) ».

— E terzo, perché apparisse l'effetto salutare di questo sacramento, destinato a salvare sia il corpo sia l'anima,

1 Corporalia sunt quaedam similitudines spirituaiium (n. 650). 15 Christus regenerat ad saluterà (n. 651).

Similiter vita spiritualispersacramentum Eucharistiae reficitur; {in quo} Christus est secundum suam substantiam (n. 651).

17 Hoc sacramentum {...} propter eius perfectionem {...}, curri sit spiritualis refectio, debet habere spiritualem cibum et spiritualem potum (n. 653).

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inclusa nel sangue (n. 65 3)18: una ragione, quest'ultima, che l'Angelico, come sappiamo, attinge dall'Ambrosiaster.

L'uso, poi, del pane e del vino si ritrova "conveniente" essendo questi gli alimenti più comuni — com'è dell'acqua e dell'olio —; nel pane, che «rafforza il cuore dell'uomo», e nel vino che «infonde allegrezza», è, inoltre, simboleg­giata l'efficacia del sacramento eucaristico (virtm huius sacramenti), mentre i molti grani e i molti acini da cui sono formati il pane e il vino «significano l'unità della Chiesa, costituita da molti fedeli»"; e, infatti, secondo il ripetuto insegnamento di Agostino, «in modo speciale l'Eucaristia è il sacramento dell'unità» (n. 654)20.

7. In particolare, il gesto di Cristo che prende il pane è significativo sia della sua oblazione volontaria alla pas­sione, di cui parla Isaia (53, 7), e di cui il sacramento eucaristico è memoriale21, sia del «potere ricevuto dal Padre» — che tutto gli aveva consegnato (Mt 11, 27) -«di istituire questo sacramento»22.

Il rendimento di grazie è invece un invito esemplare «a ringraziare per tutte le cose che ci vengono date da

1 Valet enim ad salutem corporis, et ideo offertur corpus: et valet ad saluterà animat, et ideo offertur sanguis (ri. 653).

Panis, qui ex multis granisfit, et vinum ex multis uvis, significant Eccksiae unitatem, quae constituitur ex multis fidelibus (ri. 654).

Est autem haec eucharìstia specialiter sacramentum unitatis et caritatis, ut dicit Augustinus, Super Ioannem {Traci., 26, 13] (n. 654).

Ipse volontarie passionem accepit, cuius hoc sacramentum est memoriale (n. 656). Ipse accepit a Patre potestatem istituendo hoc sacramentum (n. 656).

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Dio»23, mentre la frazione del pane è stimolo a spezzare il pane all'affamato (n. 656).

Quanto all'affermazione che Cristo prima spezzò il pane e quindi pronunziò le parole della consacrazione, mentre nella celebrazione eucaristica il pane viene spez­zato dopo, Tommaso ritiene che tali parole siano state pronunziate in contemporanea coi gesti — concomitanter —, e che Paolo ricorda il «rese grazie», ma tralascia il «bene­disse», perché lo include nella stessa espressione: «Questo è il mio corpo». In realtà "benedire" e "rendere grazie" biblicamente coincidono. Interessante il rilievo — ripetu­tamente richiamato dall'Angelico - che Gesù ha consa­crato l'Eucaristia con le stesse attuali parole del cele­brante: «Il sacerdote, mentre consacra, non pronunzia queste parole come a nome proprio, ma come in rappre­sentanza di Cristo consacrante» (n. 657)24.

8. L'invito del Signore: «Prendete e mangiate» è reso da Tommaso in questi termini: «La partecipazione a que­sto sacramento non vi spetta per un potere o un merito umano: proviene da una singolare grazia divina»25, men­tre osserva che tali parole non appartengono alla forma del sacramento. Negli altri sacramenti la materia non è trasformata, e il sacramento avviene quando essa viene effettivamente usata sul soggetto, che appare, così, su­scettivo della grazia santificante; nel caso invece dell'Eu-

3/« quo datur nobis exemplum gratias agendì de omnibus quae nobis divinìtus dantur (n. 656).

Sacerdos, dum consecrat, non proferì ista verba quasi ex persona propria, sed quasi ex persona Christi consecrantis (ri. 657).

25 Non ex potestate vel merito humano competit vobis usus huius sacramenti, sed ex eminenti Dei beneficio (n. 659).

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caristia il sacramento «si compie nella stessa consacra­zione della materia, in cui è contenuto lo stesso Cristo, che è il fine di tutta la grazia santificante» (n. 660)26.

Quanto alle parole: «Questo è il mio corpo»: stanno a

indicare «la verità e il contenuto del sacramento» (ibid.)27.

9. Su di esse Tommaso istituisce una serie di conside­razioni teologiche. Anzitutto per affermare che «vera­mente in questo sacramento si trova il corpo di Cristo nel quale il pane si è trasmutato»28. Viste le parole di Cristo: «Il mio corpo è veramente cibo e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6, 56), «è eretico {haereticum est)» — afferma l'Angelico — ritenere che «il corpo non è presente in que­sto sacramento secondo verità, ma puramente nel segno», come se Cristo avesse detto: «Questo è il segno e la figura del mio corpo» (n. 662)2S.

Altrettanto infondata è la posizione di quanti repu­tano che «vi si trovi veramente il corpo di Cristo, ma insieme con la sostanza del pane»30; e neppure si può ammettere che la presenza del Corpo di Cristo risulti in virtù di un annichilamento della sostanza del pane o di una sua risoluzione nella preesistente materia: Dio, secondo l'affermazione di Agostino, non è «l'autore della

In qua contìnetur ipse Christus, qui est finis totius gratiae sanctificantis (n. 660). 21 Continent veritatem et continentiam sacramenti (n. 660). 28 Oportet igitur dicere quod corpus Christi vere sit in hoc sacramento per conversionem

panis in ipsum (n. 662). Hoc est signum et figura corporis mei (n. 662).

30 Est ibi vere corpus Christi sed simul cum substantia panis (n. 662).

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tendenza al non essere»31, senza dire che, in questa pro­spettiva, non ci sarebbe una conversione e un inizio di presenza tramite un moto locale, inammissibile trattan­dosi di una presenza di sostanza.

10. Tommaso si sofferma ulteriormente a sottoli­neare che la conversione eucaristica riveste un'assoluta singolarità: mentre le mutazioni naturali comportano una mutazione nella forma {secundum formam), o sostan­ziale o accidentale, permanendo la materia come ele­mento comune32, nella conversione eucaristica avviene il contrario: tutta la sostanza del pane e del vino viene convertita nel Corpo e nel Sangue di Cristo, non per­manendo nessun elemento comune, per cui «questa conversione è definita conversione sostanziale o transu­stanziazione»". In essa, «mutata la sostanza, riman­gono gli accidenti, senza il loro soggetto proprio. Que­sto avviene grazie alla potenza divina, la quale, come causa prima, li sostiene senza la loro causa materiale»34. In tal modo il Corpo e il Sangue di Cristo, trovandosi non nella loro specie propria, ma in quella del pane e del vino (in specie aliena) possono essere assunti come cibo e bevanda (n. 663).

Quanto alle specie, sotto cui rimane unicamente il Corpo di Cristo, «persistono nella precedente condi-

31 Deus non est auctor tendendì in non esse (LXXXÌH Quaest, q. 21, PL 40, 16) (n. 662).

Actio naturae {...} non se extendit nisi ad immutandum aliquid secundum formam vel substantìalem vel accidentalem, unde omnis conversio naturalis dkìtur esse formalis (n. 663).

33 Dicitur ìsta conversio substantialis seu transubstantiatio (n. 663). Virtute divina, quae sicut causa prima sustentat ea sìne causa materiali (n. 663).

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zione»35: conservano, quindi, le loro primitive dimen­sioni e le loro «qualità sensibili», quasi fossero nel loro soggetto adeguato. Ne consegue che nella «frazione dell'ostia» esse vengono veramente spezzate, senza che ne risulti toccato il Corpo di Cristo36.

Questo Corpo «si conserva integro sotto qualsiasi parte [dell'ostia} divisa»37, essendo presente nella moda­lità sostanziale e non dimensionale, restando, per altro, vero che anche le dimensioni del Corpo di Cristo sono "consequenzialmente" presenti, in quanto «non sono separate dalla sua sostanza». Osserva san Tommaso: «Come prima della consacrazione tutta la verità della sostanza e della natura del pane si trovava presente sotto qualsiasi parte delle sue dimensioni, così, dopo la consa­crazione, tutto il corpo di Cristo si trova presente sotto qualsiasi parte del pane spezzato» (n. 664)38.

11. La frazione del pane non manca — aggiunge Tom­maso - di un suo significato: essa indica: «la passione di Cristo, per la quale il suo corpo venne spezzato dalle ferite»39; «la distribuzione dei doni di Cristo, da lui stesso provenienti»40; e — secondo uno sbrigativo e sommario allegorismo, allora diffuso, della frazione in tre parti — le

35 Remanent skutprius fuerant (n. 664). 3 Corpus autem Christi non attingitur ab huiusmodi fractione (n. 664).

Totum remanet sub qualibet parte ditnensionum divinarum (n. 664). Sicut ante consecrationem tota veritas substantiae et natura panis erat sub qualibet

parte dimensionum, ita post consecrationem totum corpus Christi est sub qualibet parte panis divisi (n. 664).

Significai {...} primo quidem passionem Christi, per quam corpus eiusfuit vulneribus fractum (n. 665).

0 Distributionem donorum Christi ex ipsoprogredientibus (n. 665).

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tre "porzioni" di Chiesa: pellegrinante, gloriosa e pur­

gante (n. 665).

II

1. Tommaso riprende la questione sulla verità dell'e­spressione: «Questo è il mio corpo {de ventate huius locutio-nis)» (n. 666), e a suo giudizio l'unica interpretazione valida è quella che la intende come significativa e opera­tiva della presenza del Corpo di Cristo mediante una con­versione di sostanza: «Le forme dei sacramenti — egli scrive — non sono soltanto significative, ma anche opera­tive; significando, operano»41; nel caso dell'Eucaristia, a partire dalla sostanza indeterminatamente indicata col pronome "questo"42, le parole della consacrazione (verba consecrationis) operano una conversione, per la quale conti­nua a permanere come elemento comune non una sostanza, ma soltanto le specie del pane e del vino43: «Ciò che prima della consacrazione era contenuto sotto questi accidenti non era il corpo di Cristo: corpo di Cristo lo diventa grazie alla consacrazione» (n. 669)44-

2. Quelle parole non possono riferirsi a «quanto c'è al principio dell'asserzione» e quindi voler dire: «Questa sostanza del pane è il mio corpo» - il che sarebbe falso

1 Formae sacramentorum non solum sunt significativae, sed etiam factìvae: significando enim efficiunt (a. 669).

Poniturpronomen, quod significai substantiam sine determinata specie (n. 669). 3 Accidentia, quae etprius fuerunt etpostea manent (n. 669).

Nani ante consecrationem id quod erat contentum sub bis accidentibus non erat corpus Christi, quod tamen fit corpus Cbristi per consecrationem (n. 669).

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(nn. 666, 668) —. E neppure riferirsi a quanto ci sarà «alla fine dell'asserzione» e voler dire: «Questo mio corpo è il mio corpo», il che è vero anche prima della consacra­zione.

Allo stesso modo, non può ritenersi fondata un'ese­gesi che le intenda in senso puramente narrativo, come una rievocazione storica del passato — materialiter et recita­tive -, senza riferimento al presente: resterebbe intoccata la materia e non avremmo il sacramento, che proviene dall'accesso della forma alla stessa materia — secondo la nota affermazione di Agostino: «La parola, accede all'ele­mento e ne risulta il sacramento»45.

Tali parole vanno invece formalmente, ossia "attual­mente", connesse «alla materia presente (ad materiam praesentem)» e la loro attuale efficacia ha una sua ben pre­cisa ragione: «Il sacerdote le proferisce in rappresentanza di Cristo, dal quale hanno derivato la loro efficacia; è così che esse hanno ora la medesima efficacia di quando Cristo le ha pronunziate: il valore operativo incluso in queste parole non svanisce né col mutare del tempo, né per il variare dei ministri»46.

Ugualmente, il senso delle parole: «Questo è il mio corpo» non può essere quello puramente simbolico, ossia: «Questo pane designa il mio corpo»47. Verrebbe allora a mancare l'efficacia sacramentale, e si avrebbe

5 Accedit verbum ad ekmentum et fit sacramentum {In lohann. eu. traci., 80, 3) (n. 667).

Proferì auttm ea sacerdos ex persona Cbristi, a quo virtutem sumpserunt, ad ostendendum quod eandem efficaciam habent, sicut quando Christus ea protulìt. Non enim vìrtus bis verbis collata evanescìt, neque temporis diversitate, neque ministrorum varietate (n. 667).

1 Designai corpus meum (ri. 668).

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la presenza del Corpo di Cristo solo «sub signo», quando, al contrario, «i sacramenti operano quello che simboleggiano» (n. 668)48.

3. Tommaso precisa ancora, a proposito della consa­crazione: «La consacrazione non avviene col fatto che la materia consacrata si limiti a ricevere una certa energia spirituale, ma nel fatto che viene transustanziata, secondo l'essere, nel corpo di Cristo»49.

Di là da tutto quanto possa essere fenomenologica­mente sperimentato riguardo al pane, per cui da questo profilo si constata che non è mutato nulla, sul piano del­l'essere; della realtà — e quindi dell'identità — il pane è diventato, e perciò è, il Corpo di Cristo. E siamo nel cuore del mistero, che le parole faticano a dire. La rifles­sione sull'Eucaristia, al fine di custodire e illustrare la chiara e ferma persuasione della fede della Chiesa, ha estremamente impegnato l'intelligenza e la ragione teo­logica, e ritengo felicemente: nella "precarietà" e "tecni­cità" dei suoi concetti e del suo linguaggio, la dottrina eucaristica di Tommaso mi pare rappresenti quanto di più alto, di più plausibile e di più "devoto" sia stato scritto.

4. In queste riflessioni mi pare specialmente rilevante e illuminante quanto Tommaso afferma sulla perma­nenza del valore delle parole di Cristo, che non patiscono

8 Cum sacramenta effìciunt quodfigurant (n. 668). Consecratio autem non fit per hoc, quod materia consecrata solam suscipit aliquam

virtutem spiritualem, sed per hoc quod transubstantiatur secundum esse in corpus Christi (a. 670).

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estenuazione col passare del tempo o per la mutazione

dei luoghi. Viene riconosciuta ad esse un'efficacia perma­

nente.

Importa, d'altra parte, osservare che non si tratta di

una capacità operativa "magica", annessa a tali parole

assolutamente o astrattamente considerate. Esse valgono

in precise condizioni: quando, cioè, concretamente siano

pronunziate - secondo una chiara intenzione ed entro un

altrettanto chiaro contesto - da parte del sacerdote quale

rappresentante di Cristo — in persona Christi —, sacramen­

talmente e quindi realmente presente con la sua potestas

excellentiae.

Secondo le parole dell'Angelico nella Summa Theolo-giae: «Chiunque sia il sacerdote che pronunzia queste parole», «è come se le pronunziasse Cristo presente», dal quale scaturisce la loro efficacia operativa'0.

5. La dichiarazione di Cristo: «[Il mio corpo] che sarà consegnato per voi» «tocca — commenta san Tommaso — il mistero di questo sacramento: è, infatti, il sacramento che rappresenta la passione divina, in cui egli ha conse­gnato per noi il suo corpo alla morte»51; mentre il man­dato: «Fate questo in memoria di me» equivale all'invito a ricordare «il tanto grande beneficio, per ottenere il quale Gesù si è consegnato per noi alla morte» (n. 671)".

Ex prolatione ipsius Christi haec verba virtutem consecrativam sunt consecuta a quocumque sacerdote dìcuntur, acsi Christus ea praesentialiter proferret (STh, IH, 78, 5, e.)-

Tangit mysterium buìus sacramenti. Est enim sacramentum rspraesentativum divinae passionis, per quam {Christus)- corpus suum tradidit in mortem prò nobìs (n. 671).

52T<OTZ magnum benefìcium, prò quo vobis me tradidi in morte (n. 671).

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6. Quanto all'offerta del calice dopo la cena, essa con­corre alla «perfezione» del sacramento eucaristico, il quale appare, così, un'esauriente refezione, consistente in un cibo e in una bevanda, insieme rivelandosi più perfet­tamente come rappresentazione della passione — compor­tante spargimento di sangue — e nella sua efficacia per la salvezza dell'anima e del corpo (n. 673).

D'altronde le due forme «non si attendono per ottenere il loro effetto»: esse hanno singolarmente, al compiersi delle parole, il loro valore compiuto ({habent} suum effectum) e il loro pieno significato (habent plenam significationem) (n. 673); diversamente il sacerdote pro­porrebbe all'adorazione un'ostia non consacrata. Sap­piamo che Tommaso distingue quanto avviene «in forza della consacrazione (ex vi consecrationis)» o del sacramento, e quanto invece «in virtù della concomi­tanza (ex vi concomitantiae)-»: su questa concomitanza si fonda la presenza del Sangue di Cristo, con la sua anima e la sua divinità, là dove si trova il suo Corpo, e la presenza del suo Corpo, con la sua anima e la sua divinità, là dove si trova il suo Sangue.

7. Gesù ha consegnato il suo Corpo durante la cena pasquale, mentre ha offerto il suo Sangue dopo la cena. E l'Angelico - certamente al seguito della precedente tradi­zione da lui accolta — non manca di reperirne la ragione. Il Corpo di Cristo raffigura il mistero dell'incarnazione avvenuta quando ancora sussistevano i riti dell'antica alleanza, dei quali il più importante era la cena di Pasqua con l'agnello; «il Sangue di Cristo presente nel sacra­mento rappresenta invece direttamente la passione nella

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quale fu effuso e con la quale ogni ritualità legale si con­

cluse» (n. 675)".

8. Il calice è definito da Gesù come «Nuovo Testa­mento nel mio sangue», intendendo, così, affermare - osserva san Tommaso —: «Attraverso quello che è con­tenuto nel calice viene commemorato il Nuovo Testa­mento confermato nel sangue di Cristo»54.

Più analiticamente: le parole di Gesù indicano l'alle­anza nuova sancita nel Sangue di Cristo effuso nella pas­sione", «con la promessa dell'eredità eterna (promittens haereditatem aeternam)», rispetto, invece, all'alleanza vete­rotestamentaria, sancita nel sangue figurativo dei tori, con la promessa di beni temporali (nn. 678-679).

In rapporto alla forma sul calice: san Tommaso ritiene più probabile che per la consacrazione bastino le parole quali sono state tramandate «dalla tradizione degli apo­stoli», rispetto a quanto ricorre nella Scrittura, e che per una valida consacrazione non siano sufficienti le parole: «Questo è il mio sangue», ma occorra pronunziarle tutte, così come ricorrono nel canone della Messa, in quanto sono finalizzate alla determinazione del predicato {deter­minano praedicati).

Le parole: «Versato per voi e per molti» specificano, infatti, l'efficacia redentiva del Sangue versato nella pas-

Sanguis Cbristi in sacramento directe repraesentat passionem, per quam est effusus et per quam sunt terminata omnia legalia (n. 675).

Per ìd quod in calice continetur commemoratur Novum Testamentum per Christi sanguinem confirmatum (n. 679)-

Novum testamentum seupactum confirmatum est in sanguine Christi, qui per passionem est effusus (n. 678).

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sione di Cristo (n. 682)56: un'efficacia che in sé — a meno di rendersene indegni — vale per tutti: per quanti, cioè, riceveranno il sacramento di questo Sangue e per tutti quelli per i quali il sacrificio di Cristo è offerto, quand'an­che non lo ricevano sacramentalmente (n. 682); l'escla­mazione: «Mistero della fede» rileva, invece, l'efficacia del Sangue di Cristo in rapporto alla giustificazione {vita iustitiae) mediante la fede, dal momento che la fede nel Sangue di Cristo era «nascosta e inclusa, come verità nel segno, in tutti i sacrifici dell'Antico Testamento»; a sua volta, l'espressione: «Nuovo ed eterno Testamento» mette in luce l'efficacia del Sangue di Cristo quanto alla gloria {vita gloriae), a cui si è introdotti grazie alla pas­sione di Cristo (n. 682) ".

9. Quanto alla frequentazione dell'Eucaristia, è conte­nuta nel comando: «Fate questo in memoria di me», ossia «in memoria della mia passione {in memoriam meae passio­nisi (n. 683), mentre l'aggiunta dell'acqua al vino — che avvenne probabilmente anche nella cena di Cristo «per la consuetudine di quella terra in cui, per temperare la robustezza del vino, tutti bevono vino misto ad acqua» — è finalizzata a «significare il popolo cristiano unito a Cri­sto mediante la passione»58; non osservare il rito della Chiesa che contempla tale commistione sarebbe peccato, e tuttavia la validità della consacrazione non si trove­rebbe compromessa (n. 684).

5 Còristi passioni! virtutem {...} respectu nostrae culpae, quam Christi passio abolet (n. 682).

In quam per passionem Christi introduàtur (n. 682). Aqua vino mixta significat populum christianum Christo per passionem coniunctum

(n. 684).

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10. Quelli che comunicano al pane e al calice annun­ciano, secondo Paolo, la morte del Signore, in attesa della sua venuta: essi lo fanno — scrive san Tommaso — «rap­presentandola mediante questo sacramento, fino al suo ultimo avvento», indicando, così, «che questo rito della Chiesa non cesserà sino alla fine del mondo (n. 686)»59.

11. Segue il commento sulla partecipazione "indegna"

al pane e al calice.

Una prima forma di indegnità consisterebbe nel cele­brare il sacramento dell'Eucaristia in modo difforme dalla tradizione che viene da Cristo60.

Una seconda forma sarebbe quella di «accedervi con

animo indevoto»61.

Una simile mancanza di devozione (indevotió) — pun­tualizza san Tommaso — è colpa veniale quando si acceda all'Eucaristia con la mente distratta verso le cose secolari {distratici mente ad saecularia negotia), e tuttavia con la

55' Repraesentando eam per hoc sacramentimi {,..} usque ad ultimum eius adventum, in quo datur intelligi quod hic ritus Ea/esiae non cessabìt usque ad finem mundi (n. 686). Richiamandosi a questo testo, e aSTh, III, 75 ,1 , ob. 2 e 2m. Jean Borella e Jean-Eric Stroobant de Saint-Éloy, in nota all'edizione francese del Commento di Tommaso alla Prima ai Corinti (cfr. sopra, nota 1), osservano che, se l'applicazione all'Eucaristia da parte di Tommaso del versetto di Mt 28, 20: "Ecco io sono con voi sino alla fine del mondo" è piuttosto rara, «la posizione di Tommaso è tuttavia meno categorica di quanto lascino intendere» autori come Gy e Mazza (p. 365, n. 1). D'altra parte, Gy (P.-M. GY, L'Office du Corpus Christi et S. Thomas d'Aquin. État d'une recherche, in «Rev. Se. Ph. Th.» 64, 1980, p. 507) richiama due testi di Tommaso nel Commento al Vangelo di Giovanni (nn. 963 e 1611 di S. THOMAE AQUINATIS, Super Evangelium S. loannis Lectura, citato nella nota 1 a p. 103) in cui appare il senso eucaristico del passo di Matteo, così come ricorda il testo del Commento a 1 Corinti da noi riferito (L'Office, p. 504, nota 41).

0 Aliter {...} quam a Christo traditum est (n. 688). '' Ex hoc quod aliquis non devota mente accedit ad Eucharistiam (n. 689).

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«dovuta riverenza»; in tal caso non si riceve «il frutto di questo sacramento, che è il ristoro spirituale»62.

La colpa sarebbe, invece, mortale quando l'"indevo-zione" si accompagnasse a un disprezzo del sacramento.

Si avrebbe, infine, una terza forma di indegnità quando l'accostamento all'Eucaristia fosse accompagnato dalla «volontà di peccare mortalmente».

Una tale volontà si troverebbe eliminata con la peni­tenza {tollitur per poenitentiam), ossia: con la contrizione - accompagnata dal proposito della confessione e della soddisfazione —, grazie a cui sono rimesse la colpa e la pena eterna; con la confessione e la soddisfazione, da cui provengono la totale remissione della pena e la riconcilia­zione con i membri della Chiesa {remissio poenae et reconci-liatio ad membra Ecclesiae).

Comunque — dichiara l'Angelico — «in stato di neces­sità, per esempio quando manchi la possibilità di ricorrere alla confessione, per assumere il sacramento basta la con­trizione; di norma deve, tuttavia, precedere la confessione con qualche opera di espiazione» (n. 690)63.

All'osservazione che, essendo Cristo «medico spiri­tuale» {spiritualis medicus), non parrebbe una cosa inde­gna l'accesso all'Eucaristia da parte dei peccatori, Tom­maso risponde che essa è un nutrimento spirituale {spi­rituale nutrimentum) e «non si nutre se non uno che è

Talis indevotio {... impedit} fructum huius sacramenti, qui est spirìtualis refectio (a. 689).

In necessitate quidem, puta quando aliquis copiam confessionis habere non potest, sufficit contritio ad sumptionem buius sacramenti. Regulariter autem debet confessio praecedere cum aliqua satìsfactione (n. 690).

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già vivo» , per cui «questo sacramento non e conra-

cente ai peccatori, ancora privi della vita della gra­

zia»65; e aggiunge: dal momento che l'Eucaristia è il

«sacramento della carità e dell'unità ecclesiale», un loro

accesso al sacramento comporterebbe una falsità, in

quanto professerebbero di avere la carità e la comu­

nione con la Chiesa di cui sono, invece, privi.

A un peccatore non è però vietata - precisa l'Angelico sulla scia dello Pseudo Dionigi — la visione dell'Ostia, quando abbia «la fede in questo sacramento» (n. 691)66.

12. Per l'apostolo Paolo la comunione indegna rende rei del Corpo e del Sangue del Signore.

Considerato nel suo oggetto, — spiega san Tommaso — si tratta di un peccato commesso relativamente al Corpo e al Sangue contenuti nel sacramento eucaristico; ora la gravità di una colpa è proporzionata alla dignità di colui che viene offeso (n. 692).

Una tale colpa appare, inoltre, gravissima, se si tiene conto della sua somiglianza con quella dei crocifissori di Cristo.

All'Angelico preme, tuttavia, precisare che è peccato più grave quello commesso contro la divinità di Cristo -come l'infedeltà o la bestemmia —, che non quello contro la sua umanità; così come è più grave il peccato contro l'umanità di Cristo nella sua modalità propria, o storica,

Non nutritur nisi iam vivus (n. 691). Et ideo hoc sacramentum non competit peccatoribus, qui nondum vivant per gratiam

(n. 691). {Qui} babet fidem buius sacramenti (n. 691).

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che non quello contro la sua umanità nella forma sacra­

mentale.

Dal profilo, invece, del soggetto, è più grave il pec­cato che sia generato dall'odio, dall'invidia o in genere dalla malizia, come nel caso dei crocifissori, che quello che provenga dalla debolezza «come talora avviene per quelli che ricevono indegnamente questo sacramento»67: non vi è, dunque, equivalenza ma solo somiglianza tra il peccato degli uccisori di Cristo e il peccato di chi lo riceva indegnamente nell'Eucaristia (n. 693), e al riguardo si può sottolineare il senso della misura teologica e pasto­rale di san Tommaso.

Un terzo rilievo di san Tommaso è per dire che il Corpo e il Sangue di Cristo rendono reo chi li assuma indegnamente, allo stesso modo in cui «risulta nocivo il bene usato male»68 e per notare che, coerentemente, la comunione indegna non fa scomparire il Corpo e il San­gue di Cristo che permangono nel sacramento per tutta la durata delle specie (n. 694).

13- L'ultimo testo paolino commentato riguarda l'ammonimento a «esaminarsi» prima di accedere all'Eu-caristia: «Ciascuno esamini se stesso». «E necessario — scrive Tommaso — che uno prima indaghi in se stesso, ossia esamini diligentemente la propria coscienza, perché non si trovi in lui la volontà di peccare mortalmente, o vi sia rimasto qualche peccato passato, di cui non abbia

67Sicut interdum peccarti itti qui indigne sumunt hoc sacramentum (n. 693). 6liBonum male sumptum nocet (ri. 694).

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fatto sufficiente penitenza»®. Dopo un tale «diligente esame (post diligentem examinatìonem)» potrà «serena­mente» (securus) mangiare del pane e bere al calice, che allora saranno per lui come una medicina, non come un veleno (non {...} venenum, sed medicina) (n. 696).

In mancanza di "discernimento" del Corpo del Signore — cioè quando lo si assuma, come afferma l'apo­stolo, non riconoscendone la differenza rispetto agli altri cibi70 — verrebbe mangiata e bevuta la propria condanna.

Né - sottolinea l'Angelico — questo contraddice la parola di Cristo: «Chi mangia di me, vive per me» (Gv 6, 58). In due modi, infatti, si può mangiare questo sacramento.

«Alcuni lo mangiano sacramentalmente e spiritual­mente, e sono quelli che lo ricevono in modo tale da partecipare alla realtà profonda del sacramento, ossia alla carità da cui viene l'unità ecclesiale. Ed è a loro che si riferisce la parola del Signore: "Chi mangia di me, vive per me"»71.

«Altri, invece, lo mangiano solo sacramentalmente, e sono quelli che lo ricevono in modo da non parteci-

9Necesse est ut primo homo seipsumprobet, id est, diligenter examinet consaentiam suam, ne sìt in eo voluntas peccandi mortaliter, ve! aliquodpeccatimi mortale, de quo non sufficienter poenituerit (n. 697).

7 Indifferenter ipsum assumens, sicut alias cibos (n. 697). Duplex est modus manducandi hoc sacramentum, scilicet spiritualis et sacramentalis.

Quidam ergo manducant sacramentaliter et spiritualiter, qui scilicet ita sumunt hoc sacramentum, quod etiam rem sacramenti participant, scilicet charitatem, per quam est ecclesiastica unitas. Et de talibus intelligitur verbum Domini {...}: Qui manducai me, vivit propter me (n. 698).

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parne la realtà profonda, ossia la carità»72, e sono quelli che mangiano e bevono indegnamente, per la loro condanna.

Può anche avvenire — completa san Tommaso — che il sacramento sia ricevuto solo accidentalmente, e non in quanto sacramento, com'è il caso del fedele che ignori che l'ostia sia consacrata, o del non credente privo di qualsiasi fede in questo sacramento, oppure quando un'ostia consacrata sia consumata da un ani­male (n. 698).

14. L'ultimo tema affrontato da Tommaso riguarda la frequenza della comunione. Ci sono, in merito, egli osserva, due categorie di persone. Alcuni «per il fatto che, assumendo spiritualmente questo sacramento, ottengono la vita, sono attratti alla comunione fre­quente»73; «Parecchi, al contrario, per il fatto che una comunione indegna arrecherebbe loro una condanna, sono presi da timore, per cui vi si accostano più rara­mente»74.

Ambedue gli atteggiamenti sono dichiarati merite­voli di approvazione (utrumque commendandum videtur): il primo richiama Zaccheo, «il quale con gioia ricevette Gesù nella propria casa, e in ciò va elogiato il suo

72 Quidam vero manducant sacramentaliter tantum, qui scilicet ita hoc sacramentum percipiant, quod rem sacramenti, id est charitatem, non habent (n. 698).

Ex hoc igitur quod spiritualiter sumentes hoc sacramentum acquirunt vitam, allictuntur quidam ad hoc quod frequenter hoc sacramentum assumant (n. 699).

7 Ex hoc autem quod indigni sumentes acquirunt sibi iudicium, plures deterrentur, ut rarius sumant (n. 699).

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amore»75; il secondo atteggiamento richiama invece il centurione che professa la propria indegnità a ricevere Gesù, e «in ciò vanno lodate la sua deferenza e la sua venerazione verso di lui»76.

Tommaso non manca, tuttavia, di manifestare la sua preferenza: «Poiché l'amore è preferibile al timore, sembra sia preferibile, parlando in assoluto, che uno si comunichi con maggior frequenza, che non più raramente77. Occorre, però, vedere caso per caso: «Ognuno deve vedere quale effetto abbia in sé la comunione frequente»78. «Se uno avverte che il suo fervoroso amore per Cristo aumenta e accresce la sua forza nel resistere ai peccati, che assai di fre­quente accompagnano gli uomini, deve comunicarsi spesso. Se, invece, sentisse che la comunione frequente suscita in lui una minore venerazione per questo sacramento, lo si deve esortare a comunicarsi più raramente» (n. 699)79.

L'esegesi di Paolo ha così permesso a san Tommaso di riesporre la sua dottrina eucaristica, distinguendosi per la fedeltà alla Rivelazione e alla Tradizione, per l'approfondi­mento, in cui consiste il suo apporto teologico, per la giudi-ziosità pastorale e la discreta ma viva manifestazione, ancora una volta, del suo spirito o della sua devozione euca­ristica.

7iRecepit Christum gaudens in domum suam, in quo eius charitas commendatur (n. 699). ' In quo commendatur honor et reverentia eius ad Christum (n. 699).

Quia tamen amor praefertur timori, per se loquendo, commendabilius esse videtur quod aliquis frequentius sumat, quam quodrarius (n. 699).

76'Considerare quilibet in seipso debet, quem effectum in se habeat frequens susceptio huius sacramenti (n. 699).

9 Si aliquis sentiat se proficere in fervore dilectionis ad Christum et in fortitudine resistendi peccatis, quae plurimum consequantur homines, debet frequenter sumere. Si vero ex frequenti sumptione sentiat aliquis in se minus reverentiam huius sacramenti, monendus est ut rarius sumat (n. 699).

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CAPITOLO NONO

L'EUCARISTIA NEL COMMENTO DI TOMMASO A GIOVANNI

I

I PANI MOLTIPLICATI: "SEGNO" DEL PANE DI VITA

II Commento a Giovanni (Lettura super loannemf — «uno dei più completi e profondi»2 (Torrell) che Tom­maso ci abbia lasciato — appartiene al tempo del suo secondo insegnamento parigino, probabilmente agli anni 1270-1272, e noi lo abbiamo secondo la reportatio di Reginaldo da Piperno, come sembra, non riveduta dall'Angelico.

1. È stato osservato che «tra le sue opere teologiche, il Commento sul vangelo di Giovanni occupa un posto unico. Si potrebbe persino dire che questo commento è l'opera teo­logica per eccellenza di san Tommaso; è anche l'opera che meglio può farci penetrare nell'intelligenza teologica

1 Citiamo da: S. THOMAE AQUINATIS, Super Evangelìum S. Ioannis Lectura, Marietti, Taurini-Romae, 1952; vedi la versione italiana: TOMMASO D'AQUINO, Commento al Vangelo di San Giovanni, ]-VI, Città Nuova Editrice, Roma 1990. Per la Catena Aurea relativa cfr. Expositio in Ioannem, in S. THOMAE AQUINATIS, Catena Aurea in Quatuor Evangelia, II, Marietti, Taurini-Romae.

J.-P. TORRELL, lnitiation à saint Thomas d'Aquin. Sa personne et son oeuvre, Editions Universitaires Fribourg Suisse/Editions Du Cerf, Paris 1993, p. 496.

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del Dottore angelico e svelarci ciò che vi è di più intimo nel suo cuore di santo», ossia «la sua intimità personale con la Santissima Trinità, col cuore di Gesù e quello di Maria, il suo amore per l'Eucaristia e per la Chiesa». Tale Commento «ci permette di scoprire come un "dottore", sotto il soffio dello Spirito Santo, comprende la Scrit­tura»; una tale intelligenza della parola di Dio «ci mostra chiaramente che la teologia scientifica di san Tommaso non si oppone in nulla a quella dei Padri, ma la prolunga e la precisa. Con lucidità perfetta san Tommaso assume qui tutta l'interpretazione mistica dei Padri»3.

2. A interessarci sarà esclusivamente l'esegesi al capi­tolo VI di Giovanni, dove la dottrina eucaristica di san Tommaso apparirà in tutta la sua profondità teologica e mistica, esattamente come frutto del suo essere un «santo teologo, familiare di san Giovanni»4.

Il tema di tutto il capitolo riguarda «il nutrimento spirituale col quale Cristo sostenta quelli che ha vivifi­cato»5 e va compreso all'interno del suggestivo schema teologico in cui suddivide il Vangelo di Giovanni.

3. L'intento principale del Vangelo di Giovanni è quello di mostrare la divinità del Verbo incarnato6 (n. 23), manifestata al mondo attraverso le sue opere e le

3 MARIE-DOMINIQUE PHILIPPE in: THOMAS D'AQUIN, Commentaire sur l'Evangile de Saint Jean, I, Le Prologue. La vie apostolique du Christ, Du Cerf, Paris 1998, pp. 14-15.

4 Uid.,p.26. Evangelista agit de spirituali nutrimento quo Christus vivificatos sustentat (n. 838). Ostendere dìvinitatem Verbi incarnati (n. 23).

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loro conseguenze7, e quindi attraverso quello che Cristo ha fatto nella sua vita e nella sua morte (n. 335)8.

Nella vita egli ha manifestato la propria divinità attraverso la sua signoria sulla natura {dominium quod habuit supra naturam) e la sua mutazione (mutatio naturai), e attraverso gli effetti della grazia {effectus gratiae) {ibid.) o la riforma da essa operata {reformatio gratiae), che soprat­tutto preme all'evangelista porre in luce.

Ora, «la riforma della grazia avviene mediante la generazione spirituale e i benefici conferiti ai rigenerati»9

(n. 423), ossia, a similitudine della generazione carnale: «la vita, il nutrimento e la dottrina spirituali» (n. 699)10-

4. Il «nutrimento spirituale con cui Cristo sostenta quelli che hanno ricevuto la vita»11 (n. 838) è offerto da Cristo nell'Eucaristia, che è il grande tema del capitolo sesto di Giovanni, che Tommaso commenta, ponendosi particolarmente alla scuola di Agostino e di Giovanni Crisostomo - oltre che di altri rappresentanti della Tradi­zione, in forma esplicita o implicita largamente riferiti —; e d'altra parte un commento attinto alla Tradizione l'Angelico lo aveva già condotto componendo la Catena Aurea su Giovanni, che si avverte chiaramente dietro la sua esposizione del Vangelo giovanneo, e che Tommaso, per altro, ha intimamente assimilato e fatto propria.

{Effectus et opera} quìbus manifestata estmundo divìnitas Verbi incarnati (ri. 335). Primo narrat ea quae Christus fecit in mundovivendo; secundo quomodo Christus suam

divinitatem manìfestavit moriendo (n. 335). 9 Reformatio autem gratiae fit per spìritualem generationem et beneficiorum regeneratis

collationem (n. 423). Haec tria a Christo etiam regenerati spiritualiter percipiunt. Primo quidem

spiritualem vitam; secundo vero spirituale nutrimentum; tertio spìritualem doctrinam (n. 699).

11Nutrimentum spirituale quo Christus vivificatos sustentat (n. 838).

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5. Al discorso sull'Eucaristia prelude e introduce il

«miracolo visibile, fatto da Cristo col dono del nutri­

mento corporale»12, secondo «la consuetudine di questo

Vangelo, nel quale - osserva san Tommaso — alla dot­

trina di Cristo si associa sempre qualche fatto visibile,

collegato a ciò che viene insegnato, così che dalle

realtà visibili divengano note quelle invisibili» (n.

699)".

L'esegesi di Tommaso si sofferma, quindi, all'analisi del miracolo stesso della moltiplicazione dei pani, illu­strato nella varietà e nei particolari delle sue circo­stanze e negli effetti che esso produce. Ne risulta — anche grazie al ricorso, di là dal «senso letterale (ratio litteralis)» (n. 840), al senso «mistico (mysticé)» (n. 841) — tutta un'accurata e fine analisi specialmente sull'atto di fede, sulla sua "storia" e la sua psicologia, con un rilievo significativo sulla figura e l'opera del docente, e possiamo sicuramente dire del docente di «sacra doc-trina», del quale Cristo è il modello.

Un semplice accenno ad alcuni limpidi enunciati.

Per esempio, a quello sulla sequela di Cristo «a motivo della sua dottrina», da parte di quelli che erano meglio disposti14; o «a motivo della devozione e della fede (propter devotionem et /idem)», e si trattava di

Visibile miraculum, quodfecit Christus exhibendo nutrimentum corporale (n. 838). Secundum consuetudinem huius Evangelii, in quo semper doctrìnae Cbristi adiungitur

aliquod visibile, pertinens ad illud de quo est doctrina, ut sic ex visibilibus invisibilia innotescant (a. 699).

Propter doctrinam eius, qui scilicet erant melius dispositi (n. 843).

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quanti «venivano risanati dal Signore anche perfetta­mente nell'anima» (n. 843)15-

Oppure l'enunciato su Cristo maestro: «Esercitava la funzione del dottore, sedendo con i suoi discepoli: è lui, infatti, che insegna a ogni uomo la scienza» (n. 845)16.

E sulle realtà spirituali: «Le cose terrene non saziano {terrena non satiani)»; «Le cose spirituali, invece, danno sazietà {spiritualia vero satiani)» {ibid.).

E già sull'Eucaristia: «Chi desidera ristorarsi col pane della divina parola e con il corpo e il sangue di Cristo, deve passare dai vizi alla virtù» (n. 846)17.

6. A Cristo, che solleva gli occhi al cielo e vede venire a sé la moltitudine, si devono ispirare — secondo Tom­maso — i docenti, ai quali, citando il Crisostomo, egli riserva, si direbbe, una compiaciuta e appassionata rifles­sione.

Quel gesto — scrive — è stato compiuto «perché imparassimo la maturità di Cristo, che non volge i suoi occhi qua e là, ma siede riservato e attento con i suoi discepoli»18; mentre il fatto che, com'è detto in Luca, «levati gli occhi sui discepoli, parlava {Le 6, 20)» ci insegna come egli «non sedeva oziosamente con i suoi discepoli, ma, istruendoli con cura e traendo a sé

15 Sic enim a Domino sanabantur in carpare ut etiam perfette sanarentur in anima (n. 843).

' Doctoris exercebat officìum, sedens cum discipulìs suis: ipse enim est, qui docet omnem hominem scientiam (n. 845).

Quisquis pane divini verbi, et corpore et sanguine Domini desiderai refici, debet transire de vitìis ad virtutem (n. 846).

Ut discamus Còristi maturitatem, oculos non erigentis bue aut illue, sedpudice sedentis et attente cum discipulis suis (n. 848).

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i loro cuori, era intento ai discepoli che istruiva» (n. 848)19.

In questa linea, esponendo la domanda di Gesù: «Dove compreremo pane, perché questi ne mangino?», Tommaso prosegue: «Si deve, al riguardo, osservare che ogni dottore deve necessariamente pascere la gente che viene a lui. E poiché nessun uomo ha da se stesso le risorse per pascerla, bisogna che le acquisti altrove a prezzo di lavoro, di studio, di assidua preghiera» (n. 849)20.

Afferma sempre l'Angelico: «Qualunque cosa la ragione umana possa sperimentare e pensare intorno alla verità, sarebbe insufficiente per la perfetta sazietà della sapienza {...]. Nessun filosofo, infatti, ebbe mai tanta sapienza da essere in grado di richiamare gli uomini dal­l'errore; che anzi inducono molti all'errore» (n. 854)21.

Rilevando, quindi, che, secondo Marco (6, 41), è Cri­sto che distribuisce i pani, Tommaso afferma: «Solo Cri­sto è in grado di nutrire nell'intimo; gli altri nutrono esteriormente, come dei servitori. [...] Solo Cristo, in­fatti, alimenta l'anima esausta e riempie di beni quella affamata» (nn. 861-862)22.

Neque otiose sedebat cum discipulis suis, sed, attente eos docens, et ad seipsum corda eorum convertens, dìscipulos quos docebat intuebatur (n. 848).

20 Ubi notandum quod omnis doctor necesse habet spirìtualiter pascere turbarti ad se venìentem. Et quia nullus homo habet ex se unde pascat eam, ideo oportet quod aliunde emat labore, studio, assiduitate orationum (n. 849).

2 ' Quidquid humana ratio potest experiri et cogitare de peritate, non sufficit adperfectam satietatem sapientiae {...}. Nani nullius philosophi tanta fuit sapientia ut per eam homines ab errore revocaripossent, quinpotius multos aderrorem ìnducunt (n. 854).

Christus {...} solus interìus reficit, {...} alii exterius et ut ministri reficiunt. {...} Solus enim Christus est quipascit anìmam inanem, et anìmam carentem replet bonis (n. 861).

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7. Si delinea così il senso della moltiplicazione dei pani: essa è in funzione della rivelazione e del dono di un altro Pane. I Giudei seguono e ricercano Gesù perché hanno mangiato i pani del miracolo. Al contrario, essi si devono procurare «il cibo che non perisce, ma rimane per la vita eterna», e quindi il cibo che darà a loro il Figlio dell'uomo, Cristo, sul quale è posto il sigillo del Padre. «Il nostro impegno principale e la nostra intenzione devono essere diretti alla ricerca del cibo che porta alla vita eterna, quindi ai beni spirituali. Alle realtà temporali dobbiamo mirare non principalmente ma secondaria­mente, solo procurandole a motivo del corpo corruttibile, che deve essere sostentato fin che viviamo in questa vita» (n. 896)23.

II

LA FEDE: COMUNIONE CON CRISTO CIBO SPIRITUALE

1. Cibo che non perisce «è Dio stesso, in quanto egli è la verità da contemplare e la bontà da amare, con cui lo spirito viene nutrito» (n. 895)24.

Lo è la manducazione della sua volontà, o «l'obbe­dienza ai comandi divini iipsa oboedientia mandatorum divì-norum)».

Opus nostrum, idest principale studium et intentìonem nostrani dirigamus ad quaerendum cibum, qui ducit ad vìtam aeternam, scilket bona spiritualia. Ad temporalia autem non debemus principaliter attendere, sed accessorie, idest solum ea procurare ratione corporis corruptibilia, quod sustentari oportet quamdiu in bac vita vivimus (n. 896).

Cibus est ipse Deus, inquantum est veritas contemplanda, et bonitas amanda, quibus reficitur spiritus (n. 895).

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Particolarmente cibo che non perisce è lo stesso Cri­sto, o la sua carne, «in quanto è congiunta al Verbo di Dio, che è il cibo di cui vivono gli angeli»23: un cibo incorruttibile, dal momento che «a potersi corrompere sono le cose corporali, mentre quelle spirituali, e massi­mamente Dio, sono eterne» (ibid.)26.

L'"immagine" rappresentata dal miracolo ha, dunque, adombrato Colui che è l'«autore», o il «datore del cibo spirituale», Gesù Cristo: «L'autore e il datore del cibo spirituale è Cristo»27, attraverso la sua carne, assunta e offerta a noi come alimento (n. 897).

Egli ci è stato dato dal Padre, che, nell'incarna­zione, ha impresso «il Verbo nella natura umana»28, lo ha designato per la nostra salvezza e lo ha proclamato (n. 898).

2. Al dono di questo cibo divino, che è l'opera di Dio, si deve rispondere praticando le opere di Dio — «Il cibo spirituale altro non è che fare le opere di Dio» (n. 900)29 - e di conseguenza credendo in Colui che egli ha mandato.

Si compie l'«opera di Dio», e si accoglie il cibo che non deperisce (deus divinus) (ibid.), grazie alla fede o alle opere generate dalla fede: la fede perfezionata dall'amore,

In quantum est coniuncta Verbo Dei, quodest cibus quo angeli vivunt (n. 895). Corporalia sunt corruptibilia, spiritualia vero, et maxime Deus, aeterna (n. 895). Auctor et datar cibi spiritualis est Christus (n. 897). In natura humana Deus Pater impressit Verbum (n. 898). Nihil aliud {...} cibus spiritualis quam operari opera Dei (ri. 900).

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che solo in Dio ha il suo fine e che è il «principio di tutte le opere buone» (n. 901)30.

3. Quanto al segno che i Giudei, nella memoria di Mosè, pretendono da Cristo a giustificazione della loro fede: esso consiste nel vero pane dal cielo, elargito dal Padre. Tale non era la manna data da Mosè. «Altro è colui che dona, cioè il Padre mio, e non il pane corporale, ma il pane vero dal cielo» (n. 907)31.

D'altra parte, precisa san Tommaso, anche la manna aveva una sua verità, ma solo in senso figurale, in quanto «figura del pane spirituale, cioè dello stesso Signore nostro Gesù Cristo, significato dalla manna»32, come dice l'apostolo in 1 Cor X, 3: «Tutti mangiarono la stessa esca spirituale» (n. 908).

Egli è pane vero, dal momento che viene dal cielo e dà la vita. «Cielo» va, perciò, inteso — commenta l'Ange­lico — come una realtà di natura spirituale a cui appar­tiene la vita, che altresì è capace di donare: quindi come Spirito, «che vivifica» (Gv 6, 64) o come Dio «autore della vita {auctor vitaé)» (n. 910).

Tale pane vero, «non figurale {non fìguralìs)», è esatta­mente Cristo, che è «disceso dal cielo» ed è venuto «per­ché abbiano la vita» (Gv 3, 10; 10, 10) (n. 910).

Fidei finis non potest esse nisi Deus; credere in Deum ut in finem, est proprium fideì formatae per caritatem; quae quidem fides sicformata, est principium omnium honorum operum (n.901).

Alius est qui dat, quia Pater meus, non panem corporakm, sedpanem verum de cacio (n. 907).

Figura panis spiritualis, scilicet Domini nostri lesu Christi, quem ipsum manna significahat (n. 908).

I l i

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4. I Giudei, con intelligenza carnale delle parole del Signore, chiedono avidamente un cibo carnale", come aveva fatto la samaritana, che «intendeva in senso carnale la parola relativa all'acqua spirituale» (n. 912)34. In realtà, un'uguale domanda in senso spirituale — osserva san Tommaso — deve ricorrere anche in noi, e lo facciamo quando chiediamo il pane quotidiano (inteso spiritualmente), «senza del quale non possiamo vivere» (n. 912)35.

Ma un simile pane necessario per la vita è Gesù, che dichiara di essere «il Pane della vita».

5. «Il cibo speciale della mente, da cui questa viene sostentata, è il verbo della sapienza»36.

A differenza del pane corporale - che «è pane di morte (panis mortis)», solo dando ristoro e sostenta­mento nel tempo di questa vita mortale, senza liberare dalla mortalità —, «il pane della sapienza divina è per se stesso vivificativo, senza che la morte lo possa con­trastare»37.

Inoltre, il pane corporale sa nutrire temporanea­mente una vita preesistente, mentre «il pane spirituale vivifica al punto da generare la vita: l'anima infatti in-

Verba Domini camaliter ìntelligebant; in desiderio carnalìum erant; cìbum carnalem petunt'n. 912).

5 Verbum de aqua spirituali camaliter intelligebat (n. 912). Eorumpetitio spiritualiter intellecta, nobis competit {...}, quia nonpossumus sine hoc

pane vivere (n. 912). 3 Verbum sapientiae est specialis cibus mentis, quìa eo mens sustentatur (n. 914).

Panis sapientiae divinae est per se vivificativum, nec habet mortem contrariam (n. 914).

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comincia a vivere per il fatto di aderire al Verbo di Dio», presso il quale «è la fonte della vita» (n. 9l4)38.

D'altronde, «ogni parola di sapienza deriva dal Verbo di Dio unigenito [...} e di conseguenza a essere principal­mente chiamato pane della vita è lo stesso Verbo di Dio; perciò Cristo ha dichiarato: "Io sono il pane della vita"»39

ijbid,).

6. Ma a essere pane di vita è la stessa carne di Cristo: unita al Verbo, essa è perciò stesso vivificativa; per questa ragione «il corpo assunto nel sacramento è generatore di vita»40; d'altra parte «Cristo dà la vita al mondo attra­verso tutti i misteri da lui compiuti nella sua carne; e così la carne di Cristo, a motivo della parola del Signore, è pane, ma non pane della vita consueta, ma di quella che non viene conclusa con la morte. Perciò la carne di Cristo è detta pane» (ibid.)ix.

E anche riguardo a tale pane - aggiunge san Tom­maso — sorge la domanda dello stupore, com'era avve­nuto per gli Ebrei di fronte alla manna con l'esclama­zione: «Che cos'è mai questo?»: «Niente è più mirabile del fatto che il Figlio di Dio sia diventato uomo, così che avviene a tutti di chiedersi: "Che cos'è mai questo?",

Panis spirituali* ita vivificat, quoddat vitam, narri anima incipit vìvere per hoc quod adhaeret Verbo Dei; Ps. XXXV, 10: "Apudte estfons vitae" (n. 914).

39 Quia ergo omne verbum sapientiae derivatur a Verbo Dei unigenito {...} ideo ipsum Dei Verbum principaliter dìcitur panis vitae et ideo Chrìstus dicit: "Ego sum panis vitae" (n. 914).

0 Quia caro Christi ipsi Verbo Dei unita est, habet etiam quod sit vivificativa, unde et corpus sacramentaliter sumptum vivificativum est (n. 914).

1 Per mysteria quae Christus in carne sua complevit, dat vitam mundo: et sic caro Christi, propter Domini verbum, panis est, non consuetae vitae, sed illius quae morte non referatur. Et ideo caro Christi diciturpanis (n. 914).

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ossia: Come il Figlio di Dio è figlio dell'uomo? Come da due nature abbiamo l'unica persona di Cristo? In Isaia è scritto: "Il suo nome sarà chiamato Ammirabile". E mira­bile è anche come Cristo sia presente in questo sacra­mento» (ibid.)A2.

7. Tornando alle parole di Cristo: «Chi viene a me non avrà fame, e chi crede in me non avrà sete in eterno», Tommaso rileva, sulla scia di Agostino - la sua grande fonte eucaristica —: «Venire a lui e credere in lui sono la stessa cosa, poiché andiamo a Dio con i passi non del corpo ma della mente, il primo dei quali è la fede, così come coincidono il mangiare e il bere, che significano la sazietà eterna, dove è assente qualsiasi indigenza» (n. 915)43.

Le cose temporali non levano la fame e la sete per due ragioni: sono assunte gradatamente (paulatim et quasi eum motti), per cui ne rimane il bisogno (semper restat sumen-durrì), e, dopo la momentanea soddisfazione e sazietà, lasciano persistere il desiderio {desiderium restat); esse, inoltre, si corrompono, e la loro memoria ne accende una volta ancora il desiderio44.

Al contrario, «le cose spirituali vengono assunte tutte insieme e non si corrompono né vengono meno, così che

Nihil est admirabilius quamfiìius Dei homofactus, ita ut cuìlibet contingit quaerere "Quid est hoc?", id est: Quomodo ex duobus naturis fit una persona Còristi? Is. IX, 6: "Vocabitur nomen eius Admìrabilis". Est etiam mirabile quomodo Christus sit sub hoc sacramento (n. 914).

Idem est venire ad eum et credere in eum; quia ad Deum venimus non passìbus corporis, sed mentis, quorum primus estfides. Idem est etiam comedere et bibere; utroque enim significatur aeterna satietas, ubi nulla est egestas (n. 915).

Remanet memoria ex corrupto, et generatur iterato desiderium eorum (n. 915 ).

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la loro sazietà rimane per sempre, com'è scritto nell'Apo­

calisse: "Non avranno né fame né sete"» (ibid.)4\

Solo che tali cose spirituali — tale pane — pur disponi­

bili, sono ignorate dai Giudei, a motivo della loro incre­

dulità: «Desiderate il pane, lo avete davanti a voi, e tut­

tavia non lo mangiate, perché non credete» (n. 9l6)46.

8. D'altronde, «lo stesso nostro credere ci proviene dal dono di Dio»47; da un lato, i credenti che si legano a Cri­sto sono un dono che il Padre fa al Figlio48: è il Padre che «suscita l'adesione dell'uomo alla parola del Figlio»49, e, a sua volta, il Figlio, il Verbo, «è l'epifania dello stesso Padre»50 e gli consegna, di rimando, il regno (n. 918).

Quanto all'opera del Padre: essa non consiste solo nel dono della fede, ma anche neh"«interiore inclinazione a credere (interior instinctus ad credendum)», dal momento che «quanto concerne la salvezza è tutto dono di Dio» (n. 919)51, restando per altro vero che alla via della sal­vezza — «che a tutti è aperta» — si può porre un ostacolo (n. 920)52.

9. Per parte sua, Cristo non getterà fuori quelli che

«con i passi della fede e delle buone opere (passibus fidei et

Spiritualia vero et simul sumuntur et non corrumpuntur, et ideo eorum satietas manet inperpetuam. Apoc. VII, 16: "Non esurient neque sitient" (n. 915).

Desiderati! panem, et habetìs illuni corani vos, et tamen non sumitis, quia non creditis (n. 916).

'7 Ipsum credere nostrum est nobis ex dono Dei (ri. 918). Qui in me credunt [...} Pater mihi facit adhaerere ex dono suo (n. 918). Pater {...} Filio dat, inquantum facit hominem verbo suo adhaerere (n. 918).

5 Verbum est manifestativum ipsius Patris (n. 918). Quidquid autem facit ad salutem, totum est ex dono Dei (n. 919). Cuius via, quantum in se est, omnibus est aperta (n. 920).

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bonis operationibus)» verranno a lui. Dall'espressione: «Non getterò all'esterno», l'Angelico, ancora alla scuola di Agostino, osservando quindi che Cristo «si trova all'in­terno», si sofferma a esaminare che cosa sia questo "intimo" e come si viene gettati fuori. «Poiché tutte le cose visibili — egli scrive — sono esterne rispetto a quelle spirituali, quanto più una cosa è spirituale, tanto più essa è all'interno» (n. 921)".

Ma ci sono due tipi di interiorità: l'una è profondis­sima, ed è «il gaudio della vita eterna», che, «secondo Agostino, è il segreto più intimo e più dolce, senza noia, senza amarezza di cattivi pensieri, senza ostacolo di ten­tazioni e di sofferenze. Di essa è detto in Matteo, XXV, 21 : "Entra nella gioia del tuo Signore", e nel Salmo, XXX, 21: "Li nasconderai al riparo del tuo volto", ossia nella piena visione della tua essenza. Ora, da questa inte­riorità nessuno sarà gettato fuori»54.

«Un'altra interiorità è la rettitudine della coscienza, che è il gaudio spirituale [...] e da questa alcuni saranno gettati fuori»55.

Quanto a Gesù: non getterà fuori nessuno di quelli che gli sono dati dall'eterna predestinazione del Padre, mentre «si escludono da se stessi» (ipsi se eiiciunt) quelli

Omnia visibilia cum dicantur esse quaedam exteriora respectu spiritualìum, quanto aliquid est magis spirituale, tanto magis est intrinsecum (n. 921).

5 Unum {spirituale} est profundissimum, scilicet gaudium vitae aeternae, quod, secundum Augustinum {In lohann, eu. tract., 25, 14}, est magis penetrale et dulce secretum sine taedio, sine amaritudine malarum cogitationum et dolorum; de quo dicitur Matth. XXV, 21: Intra in gaudium Domini tuì, Ps. XXX, 21: Abscondes eos in abscondito faciei tuae, idest in piena visione tuae essentiae. Et ab hoc intrinseco nullus eiicietur (n. 921).

Aliud intrinsecum est rectitudo conscientiae, quae est spirituale gaudium {...} etde isto aliqui eiiciuntur (n. 921).

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che «con l'infedeltà e il peccato recedono dal segreto della

retta coscienza» {ibid.)K.

10. Precisando ulteriormente: non sarà gettato fuori chi, dopo la superbia del peccato, ritorna a Dio venendo a Cristo attraverso l'imitazione della sua umiltà, manife­stata nel compimento della volontà del Padre (n. 923)57.

O anche: Cristo non rigetterà chi andrà a lui, ma por­terà a compimento il disegno salvifico del Padre: «Sono venuto per compiere la volontà del Padre riguardante la salvezza degli uomini» (ibid.)™.

In particolare, è volontà del Padre «vivificare spiri­tualmente — ed eternamente — gli uomini, essendo egli la fonte della vita» (n. 927)": la condizione è che «vedano» il Figlio, ossia riconoscano Gesù e quindi vi aderiscano con la fede60 e credano alla sua divinità, come si crede alla divinità del Padre: «la visione della quale, per essenza, è il nostro fine ultimo e l'oggetto della fede» (ibid.f1.

Gli stessi, sempre secondo la volontà del Padre, saranno risuscitati da Cristo, come lui è risuscitato.

Per infidelitatem et peccata a secreto rectae conscientiae recedunt (n. 921). Venìendo ad Christumper imitationem suae humilitatis, quae est in hoc quod nonfacit

voluntatem suam solum, sed Dei Patris (ri. 923). 58 Ad hoc veni, ut impleam voluntatem Patris de salute hominum (ri. 923). 59 Voluntas Patris est vivificare spiritualiter homines, quia ipse estfons vitae (ri. 927).

[Visione corporali}, quae inducit ad [idem (n. 927). 61 Cuius visioper essentiam est ultimus finis noster et obiectum fidei (n. 927).

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Ili

CONTRO LA MORMORAZIONE:

L'ATTRAZIONE DEL PADRE A CRISTO

1. A motivo della loro incredulità, i Giudei rigettano la manducazione del «cibo spirituale {cibus spiritualis)»

(n. 892), ossia di Cristo quale «pane vivo disceso dal cielo». L'affermazione di Gesù, che così si definiva, suscita in loro la mormorazione: essi — commenta san Tommaso — «non comprendevano e non desideravano un tale pane. Mormoravano, quindi, perché non avevano la mente fon­data sulle realtà spirituali, com'era loro antica consuetu­dine» (n. 930)62; «Chi mormora mostra che la sua mente non è stabilita su Dio»; «La causa della loro mormora­zione è la loro infedeltà»; «Carnali com'erano, limitavano la valutazione alla generazione carnale di Cristo, la quale impediva loro di conoscere quella spirituale ed eterna» (nn. 931, 933-934)".

2. D'altra parte, per accedere a Cristo e credere in lui occorre l'attrazione del Padre: «Per avere la fede ci è necessaria l'attrazione del Padre» (n. 940)64.

Tommaso affida a queste pagine alcuni fondamentali aspetti della sua lucida dottrina della grazia, della sua

" Quem quidem spiritualem panem non capiebant nec desiderabant. Et ideo murmurabant, quia in spiritualibm mentem fundatam non habebant, et huius rei antiquam consuetudinem habebant (n. 930).

3 Qui {...} murmurat, ostendit mentem suam in Dea non essefirmatam (n. 933); causa {...} murmuris est infìdelitas eorum (n. 934); carnalem Christi generationem solam considerabant, ex qua impediebantur ne cognoscerent spiritualem et aeternam (n. 931).

Adfidem necessaria est nobis attractio Patris (n. 940).

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psicologia della fede quale itinerario interiore a Cristo e anche della sua teologia della mistica, dove, tra riga e riga, parrebbe di avvertire, in una specie di linguaggio emotivo, pur tanto dipendente da quello agostiniano, quasi l'esperienza stessa di Tommaso.

Egli scrive: «L'uomo da sé non ha la possibilità di accedere a Cristo tramite la fede»65, per questo Cristo afferma: «Nessuno può venire a me». «Occorre per que­sto il sostegno efficace dell'aiuto divino»66 e, infatti, sog­giunge: «Se non lo avrà attirato il Padre che mi ha man­dato». «Quanto al fine o frutto [di questa attrazione} è ottimo»67: è la risurrezione: «E io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (n. 934).

In questo contesto l'Angelico è indotto a trattare anzitutto del modo con cui il Padre attrae alla fede in Cristo.

3. La «trazione del Padre (tractio Patris)» — egli precisa — non ha nulla di violento. Come l'uomo attrae persua­dendo la ragione o allettando, così fa il Padre. Questi «attira gli uomini al Figlio, dimostrando che è il proprio Figlio»68 o «mediante una interna rivelazione (per internarti revelationem)» — come nel caso di Pietro a cui il Padre ha rivelato la figliolanza divina di Gesù —, o «attraverso il potere di compiere i miracoli, che riceve dal Padre (per miraculorum operationem, quam babet a Patre)» (n. 935).

Est ergo humana facultas deficiens ad veniendum ad Chrhtum per [idem (n. 934). 1 Divìnum auxilium est efficax ad subveniendum (ri. 934). 1 Finis seu fructus est optimus (n. 934).

Trahit homines ad Filium demonstrando eum essefilium suum (ri. 935).

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Ma la trazione a Cristo quale Figlio di Dio da parte del Padre avviene anche attraverso l'allettamento: come quando ad attirare e ad allettare sia la stessa «maestà del Padre (paterna maiestas)». Ma, ad attrarre a sé, è anche il Figlio, che è la verità e che per la verità suscita amore e compiacenza.

Scrive Tommaso, una volta ancora alla scuola di Ago­stino: «Ma sono attratti anche dal Figlio, a motivo dello stupendo diletto e amore della verità, che è lo stesso Figlio di Dio. Se, infatti, come dice Agostino, ognuno è tratto dal proprio desiderio, quanto più fortemente l'uomo dovrà essere attratto a Cristo, se si compiace della verità, della beatitudine, della giustizia, della vita eterna, cose tutte che coincidono con Cristo? Se dunque dob­biamo essere attirati da Cristo, lasciamoci attirare dall'a­more per la verità, secondo quanto è scritto nel Salmo XXXIV, 4: "Trova nel Signore le tue delizie ed egli soddi­sferà i desideri del tuo cuore". Al riguardo la Sposa diceva, Cant I, 3: "Attirami dietro di te: correremo al profumo dei tuoi unguenti"» (n. 935)69.

4. Un'attrattiva — aggiunge san Tommaso —, oltre che da un oggetto esteriore, può provenire da un «istinto interiore (interior instinctus)»: e, infatti, molti sono attratti dal Padre a Cristo «sotto l'istinto dell'azione divina che

Sed trahuntur etiam a Fi/io, admirabili delectatione et amore veritatis, quae est ipse Filius Dei. Si enim, ut dicit Augustinus, trahit sua quemque voluptas, quanto fortius debet homo trahi ad Christum, si delectatur peritate, beatitudine, iustitia, sempiterna vita, quod totum est Christus? Ab isto ergo si trahendi sumus, trahamur per dilectìonem veritatis, secundum illudPs. XXXVI, 4- "Delectare in Domino, etdabit tibìpetitiones cordis tui". Hinc sponsa dicebat, Cant. I, 3: Trahe me post te; curremus in odorem unguentorum tuorum (n. 935).

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muove interiormente il cuore dell'uomo a credere»70, e la Scrittura lo conferma largamente, dov'è, tra l'altro, affer­mato che è opera di Dio sia il volere sia il fare (FU 2, 3), e che Dio lega a sé con i vincoli dell'amore (Os 2, 4).

5. Se il Padre attrae al Figlio, è vero anche — nota l'Angelico - che il Figlio attrae al Padre, in quanto uomo e in quanto Dio. In quanto uomo, lo fa come «via»: «[Cristo] conduce al Padre come la via porta al termine o al fine, mentre il Padre fa volgere a Cristo uomo dandoci il suo vigore, così che possiamo credere in Cristo (in quan­tum dat nobis suam virtutem, ut credamus in Christum)»71. E sempre Cristo conduce al Padre, in quanto Dio: ossia quale «Verbo di Dio, e manifestativo del Padre», mentre «Il Padre inclina al Figlio, manifestando il Figlio» (n. 936)72.

6. Tutta questa azione attraente del Padre e del Figlio, intesa a generare la fede, non pregiudica - si pre­mura di precisare san Tommaso — la responsabilità del­l'uomo nel caso dell'incredulità. In sé, il «cuore dell'uomo (cor bumanum)», particolarmente nello stato della natura corrotta dalla colpa originale, non ha la forza di elevarsi e, quindi, «tutti hanno bisogno di essere attirati (omnes indigent trahi)»; e, di fatto, «Dio, per quel che dipende da lui, al fine di attrarli porge a tutti la sua mano; anzi, non

Trahit multos Pater ad Filium per instinctum divinae operationis moventis interim cor hominis ad credendum (n. 935).

Christus {...} ducit ad Patrem sicut via adterminum seu finem. Pater vero trahit ad Christum hominem inquantum dat nobis suam virtutem, ut credamus in Christum (n. 936).

72 Christus est Verbum Dei et manifestativum Patris. Sic Christus trahit ad Patrem. Pater autem trahit ad Filium inquantum manifestai ìpsum (n. 936).

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solo attira la mano di chi la riceve, ma converte a sé quelli che se ne sono allontanati {...]. Dio è disposto a dare la grazia a tutti e ad attirare tutti» (n. 937)73.

Di conseguenza, «se qualcuno non riceve la grazia, la colpa non va imputata a Dio, ma a chi non la accoglie» (ibzd.)74. Certo rimane la questione della divina predesti­nazione, che Tommaso risolve, non ci sembra soddisfa­centemente, nei termini di Agostino (n. 938).

Quanto al fine e al frutto dell'azione divina e quindi della fede: essi consistono nella risurrezione «non solo alla vita della natura, ma anche alla vita della gloria»75, da Cristo meritata «attraverso tutto quello che egli ha com­piuto nella sua carne» (n. 939)76.

7. A commento delle parole di Gesù: «Sta scritto nei profeti: "E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha imparato dal Padre viene a me"» (Gv 6, 45), Tommaso riprende il tema dell'attrazione divina. Il Padre - egli scrive — attrae «rivelando e insegnando {revelando et docendo)» (n. 942), rilevando, tra l'altro, che «tutti quanti sono nella Chiesa, non sono istruiti dagli apostoli, né dai profeti, ma da Dio stesso. E, secondo Agostino, il fatto stesso di essere istruiti da un uomo deriva da Dio, che insegna interiormente {...]. L'intelligenza, che occorre in modo particolare per imparare, ci viene da Dio»

7 Deus autem omnibus ad trahendum manum porrigit quantum in se est, et, quodplus est, non solum attrahit manum recipientis, sedetiam aversos a se convertìt {...}. Deusparatus est dare omnibus gratìam, et ad se trahere (n. 937).

7 Non imputatur ei, si aliquis non acdpiat, sedei qui non accipit (n. 937). 75 Non solum ad vitam naturae, sed etiam ad vitam gloriae (n. 939). 7 Per ea quae Christus in carne sua gessit (n. 939).

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(n. 944)77. Il Padre, inoltre, attrae con la massima effica­cia78, lasciando, d'altronde, al libero arbitrio dell'uomo di assentire: «il dono di Dio» e l'assenso libero «sono neces­sari in ogni dottrina della fede» (n. 946)79. Chi, dunque, ascolta il Padre, che insegna e manifesta, e da lui impara, offrendo il proprio assenso, accede a Cristo, rispettiva­mente in tre modi, «con la conoscenza della verità, l'af­fetto dell'amore e l'imitazione delle opere. E in ognuno di questi modi ponendosi in ascolto e imparando» (ibid.f: con un apprendimento che comporti un'adesione "affet­tiva".

8. Così, «chi viene a Cristo con la conoscenza della verità — scrive san Tommaso — deve ascoltare l'ispira­zione di Dio e aderirvi con l'affetto» (n. 946)81.

Lo stesso vale per «chi viene a lui con l'amore e il desiderio (per amorem et desiderium)» (ibid.): «Bisogna che ascolti la parola del Padre e la accolga, perché ne possa cogliere il senso ed esserne penetrato. Infatti, impara una parola chi la apprende secondo il signifi­cato che ha per colui che la pronunzia. Ora, il Verbo di Dio Padre spira amore; ne consegue che veramente

'7 Omnes qui sunt in Ecclesia, sunt docti non ab Apostolis, non a Prophetis, sed ab ipso Deo. Et, secundum Augustinum, hoc ipsum quod ab homine docetur, est ex Deo, qui docet interius {•••}. Nam intelligentia, quae necessaria est praecipue ad doctrinam, est nobis a Deo (n. 944).

78 Attractio autem Patris efficacissima est (n. 946). Ista duo necessaria sunt in omni doctrina fidei (n. 946).

Per cognitionem veritatis, per amoris affectum et per operis imitationem (n. 946). 81 Qui venit per cognitionem veritatis, oportet eum audire, Deo inspirante {...} et

addiscere per affectum (n. 946).

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la impara colui che la accoglie col fervore dell'amore»

(ibid.T. Infine, «si va a Cristo attraverso l'imitazione della sua

prassi»83: imitazione quale indice della comprensione84. Anche in tal caso, si avvera l'unione tra l'ascoltare (audire) e il "com-prendere" (capere), o tra l'imparare (addiscere) e l'essere operativamente "presi" (affici).

In generale, infatti, — ricorda Tommaso — «imparare in modo perfetto nelle scienze significa giungere alla con­clusione»85, sia essa di carattere speculativo od operativo. Ora, l'imitazione è esattamente paragonabile alla conclu­sione nelle scienze operative: «Apprendere perfettamente le parole nelle scienze operative significa arrivare alla con­clusione dell'azione ad esse coerente» (ibid.f6.

9. D'altra parte, l'ascolto del Padre che porta a Cristo non avviene attraverso una sua visione immediata: solo il Figlio, che è dal Padre, lo ha veduto. «La visione o la conoscenza», infatti, osserva Tommaso, «si fonda sulla similitudine» (n. 947)87; questo vale anche per la cono­scenza di Dio da parte delle creature: queste hanno una

Hunc oportet audire verbum Patris, et capere illud, ad hoc, ut addiscat, et affìciatur. llle enim discit verbum qui capit ìllud secundum rationem dicentis. Verbum autem Dei Patris est spirans amorem; qui ergo capit illud curri fervore amoris, discit (n. 946).

Per operum imitationem itur ad Christum (n. 946). 8 Quicumque discit, venit ad Christum (n. 946). 85 In scientiis {,..} quicumqueperfecte discit, venit ad conclusionem (n. 946).

In operabilibus, qui perfecte verba discit, venit ad rectam operationem (n. 946). 87 Omnis visto sive cognitio {.. .fit} per aliquam similitudinem, secundum modum

similitudinis (n. 947).

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somiglianza limitata con lui, infinitamente distante

rispetto alla sua natura88.

Ne consegue che «nessuna creatura lo può conoscere perfettamente e totalmente, qual è nella sua natura»89. A eccezione del Figlio, che «lo vede e lo comprende total­mente»90, dal momento che «per eterna generazione ha ricevuto perfettamente la natura del Padre» (n. 947)91.

La genesi della conoscenza che Gesù ha del Padre non è l'ascolto, ma la visione, per cui essa è «immediata e aperta (immediata et aperta)»; la nostra, invece, proviene dall'ascolto del Figlio, il quale ha veduto il Padre92, così che «nessuno conosce il Padre, se non per mezzo di Cri­sto, che lo rivela, e nessuno viene al Figlio, se non con l'a­scolto del Padre che lo manifesta (n. 948)93.

10. Da queste pagine di Tommaso, ancora una volta, appaiono la superficialità e l'improntitudine di quanti, ignorandole, hanno l'abitudine di rimproverare a Tom­maso un arido intellettualismo disattento alla conoscenza che avviene nella forma del desiderio, dell'affetto e dell'e­sperienza: egli ritiene necessari, almeno nel caso della conoscenza di fede, sia l'«addiscere» sia l'«affici»: la com­prensione che matura nell'azione.

Omnis autem creatura participat quidem aliquam similitudinem Dei, sedin infinitum dìstantem a similitudine suae naturae (n. 947).

Nulla creatura potest ipsum cognoscere perfecte et totaliter, prout est in sua natura (n. 947).

90 Totaliter videt et comprebendit (n. 947). 91 Perfecte totani naturam Patris accepit per aeternam generationem (n. 947). } Nos cognitionem quam habemus de Patre, accepimus a Filio, qui vidit (n. 947).

Ut sic nullus Patrem cognoscat nisi per Christum, qui eum manifestai, et nullus ad Filium veniat, nisi a Patre manifestante audierit (n. 948).

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E fin qui l'Angelico ha illustrato l'adesione e la comu­nione con Cristo, quasi una sua prima manducazione, attraverso la fede, così fortemente e realisticamente rile­vata.

Ma, seguendo il filo del testo di Giovanni, il suo discorso diviene più esplicitamente eucaristico.

IV

LA CARNE DI CRISTO: PANE VIVO CHE VIENE DAL CIELO

1. L'affermazione di Gesù: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo» ha provocato la mormorazione dei Giu­dei, che è la tipica reazione dell'infedeltà e dell'incredu­lità. San Tommaso l'ha esaminata a lungo, mettendo in luce con finezza teologica e passione spirituale la necessità dell'attrazione del Padre per accedere a Cristo e ricono­scerlo come un simile Pane.

Ora prosegue il suo commento rilevando l'intima logica che attraversa il discorso di Cristo, che si dichiara come «il pane della vita» e, quindi, come il Pane di pro­venienza celeste.

2. «Chi crede in me, afferma Gesù, ha la vita eterna». Già la fede - osserva l'Angelico al seguito di Efesini 3, 17 («Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori») — equivale a una inabitazione e assunzione vivificanti di Cristo: «Chi crede in Cristo lo assume dentro di sé. Se, dunque, chi crede in Cristo ha la vita, vuol dire che man­giando di questo pane viene vivificato, e dunque che que-

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sto pane è pane di vita» (n. 950)M. Certo, deve trattarsi di

una fede che «perfeziona non soltanto l'intelletto, ma

anche l'affetto; non si tende, infatti, a una cosa creduta,

se non la si ama» {ibid.)^.

In altre parole: «Cristo abita in noi in due modi, cioè: nell'intelletto attraverso la fede, in quanto è fede; e nel­l'affetto attraverso la carità, che anima e perfeziona la fede [. . .] . Chi dunque crede in Cristo cosi da tendere a lui, lo possiede nell'affetto e nell'intelletto, e se aggiun­giamo che Cristo è vita eterna [...} possiamo indurre che chiunque crede in Cristo ha la vita eterna: nella causa e nella speranza, per averla un giorno pienamente nella realtà» (ibid.)96.

3. Cristo è dunque il Pane di vita, assunto già mediante la fede, e lo è perché disceso dal cielo: «Ogni pane che non venga dal vero cielo non è in grado di elar­gire una vita adeguata; dare la vita è di pertinenza del pane celeste» (n. 95 3)97.

San Tommaso individua nelle parole di Cristo una

specie di sillogismo.

Qui credit in Christum, sumit eum intra seipsum {...}. Si ergo Me qui credit in Christum habet vitam, manifestum est quod manducando hunc panem vivificatur; ergo iste panis est panis vitae (n. 950).

95 Non solum perficit intellectum, sed etiam affectum; non enim tenditur in rem creditam nisi ametur (n. 950).

9 Christus autem est in nobis dupliciter: scilicet in intellectu per fidem, inquantum fides est; et in affectu per caritatem, quae informat fidem {...}. Qui ergo credit sic in Christum ut in eum tendat, habet ipsum in affectu et in intellectu; et si addamus quod Christus est vita aeterna {...} possumus inferre quod quicumque credit in Christum habet vitam aeternam {...}, in causa et in spe, quandoque habìturus in re (n. 950).

Omnis autem panis qui non est de vero cacio, non potest vitam sufftcientem dare; ergo hoc est proprium panis caelestis quod det vitam (n. 953).

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Discende dal cielo il pane che ha in sé la proprietà di dare la vita. Ora Cristo è in grado di dare la vita. Egli è quindi pane proveniente dal cielo, un pane di natura incorruttibile, principio inesausto di vita — infatti, «le realtà celesti sono incorruttibili»98 —, a similitudine del­l'albero della vita del Paradiso: «Questo pane è stato raf­figurato nell'albero della vita posto nel mezzo del para­diso, destinato a essere in qualche modo fonte di vita per­petua» (n. 955)".

All'opposto della manna mangiata dai padri, inidonea a dare una vita incorruttibile. Essa li ha nutriti sì, ma «solo nel deserto {tantum in deserto)», per «breve spazio di tempo {breve temporis spatium)», e senza riuscire a sosten­tare per sempre (n. 953)100, a differenza, appunto, del Pane che è Cristo, dotato della prerogativa di «sostenere e di ristorare perennemente» (n. 953)10'. I padri, infatti, sono morti.

Certo, annota san Tommaso, se ci si riferisce alla morte corporale, anche i cristiani, che mangiano «il nostro pane disceso dal cielo [...] muoiono corporal­mente». Se invece si considera la «morte spirituale», si deve dire, da un lato, che «Mosè, e molti altri che piac­quero a Dio, non sono morti», e, dall'altro, che «spiri­tualmente muoiono quelli che assumono indegnamente questo pane» (n. 954)102.

98 Caelestia autem incorruptibìlia sunt (n. 955). Et ideo panis iste significata est per lìgnum vìtae quod erat in medio paradisi,

quomodo dans vitam in perpetuata (n. 955). 100 Non conservabat vitam indeficientem (n. 953).

Iste autem panis in perpetuum conservat et reficit (n. 953). 102 Qui istumpanem ìndigne sumunt moriuntur spiritualiter (n. 954).

1 2 8

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4. L'antico cibo «presenta delle convergenze con il nostro cibo spirituale» (n. 954)10}: l'uno e l'altro «sono segno di Cristo» e «figura del cibo spirituale» (jbid)m.

I due alimenti — la manna e l'Eucaristia —, se valutati solo dal profilo esteriore del segno e assunti unicamente come cibi materiali a prescindere dal loro significato spi­rituale105, non sanno eliminare né la morte spirituale né quella materiale (ibid.)106.

Quando, invece, i due alimenti sono ricevuti sia nel segno esteriore sia nel significato spirituale; quando, cioè, «il cibo visibile viene assunto mirando alla sua dimen­sione spirituale, e lo si gusti spiritualmente al fine di esserne saziati spiritualmente»107, si ha questo risultato: che «quanti hanno mangiato spiritualmente la manna, spiritualmente non sono morti»108, mentre «quelli che mangiano spiritualmente l'Eucaristia in modo degno già da adesso vivono spiritualmente, per poi vivere corporal­mente in eterno» (ibid.)™9.

Con questa discordanza rispetto al cibo dei padri: che «il nostro contiene in se stesso ciò che raffigura» {ibid.)n°, cioè Cristo.

Cibus ille cum cibo nostro spirituali convenit (n. 954). Ille et iste Christum signat. {...} Vtraque est figura spiritualis escae (n. 954). Quantum ad signum tantum {...} ut cibus tantum, non intellecto significato

(n. 954). 10 Non tollitur mors spiritualis, seu corporalis. 107 Ita sumitur cibus visibilis, ut intelligatur cibus spiritualis, et spirituali ter gustetur, ut

spiritualitersatiet (n. 954). 1 ////' qui spiritualiter manducaverunt manna, mortui non sunt spiritualiter (n. 954).

Qui Eucharistiam spiritualiter manducant et absque peccato spiritualiter vivunt nunc, et corporaliter vivent in aeternum (n. 954).

Habet ergo plus cibus noster cibo illorum, quia in se continet quod figurai (n. 954).

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Questi, — diversamente dal cibo corporale, privo in se

stesso di vita e solo vivificante se alterato e trasformato in

nutrimento per la forza dell'essere vivente (n. 957)111 —

«ha come prerogativa propria quella di dare la vita

eterna» (n. 958) m .

5. Ora Gesù procede, specificando che il Pane, che

egli offrirà, è la sua carne, ossia se stesso non soltanto in

quanto Verbo e in quanto anima, ma anche come «carne

vivificante» nella comunione eucaristica {caro vivificativa),

che trova nel Verbo - di cui è "strumento congiunto"

(organum divinitatis) — la sua efficacia vitale (n. 959)113.

Tommaso dedica, a questo punto, un'ampia e nitida considerazione teologica alle specie dell'Eucaristia, all'au­torità di chi l'ha istituita, alla verità del sacramento e alla sua utilità.

6. La specie di questo sacramento — ossia il pane frutto di molti grani (panis ex diversisgranis) - conviene al contenuto dell'Eucaristia; essa, infatti, è «il sacramento del corpo di Cristo»; ma «il corpo di Cristo è la Chiesa, che costituisce un unico corpo risultante da una moltitudine di fedeli; ecco perché l'Eucaristia è il sacramento dell'unità della Chiesa, secondo quanto è detto in Rm XII, 5: "Tutti insieme for­miamo un solo corpo"» (n. 960)1M.

111 Vìvificat alteratiti et conversus in nutrimentum virtute viventis (n. 957). 112 Virtus autem eius est dare vitam aetemam (n. 958). 113 Caro virtute Verbi adiuncti vivificai (n. 959).

Hoc est sacramentum corporis Christi; corpus autem Christi est Ecclesia, quae consurgit in unitatem corporis ex multisfidelibus, unde est sacramentum unitatis Ecclesiae Rom. XII, 5: "Omnes unum corpus sumus" (n. 960).

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7. Quanto all'autore, o "artefice", di questo sacra­mento (auctor huius sacramenti), cioè a colui che sempre deliberatamente lo accredita e lo avvalora; anzi, in certo senso, lo "genera": è Cristo. «Pur essendo il sacerdote a consacrare, è tuttavia Cristo in persona che conferisce vigore al sacramento, dal momento che anche il sacerdote consacra a nome e in rappresentanza di Cristo. Ecco per­ché, mentre negli altri sacramenti il sacerdote usa espres­sioni sue o della Chiesa, in questo sacramento usa le parole di Cristo: come Cristo ha offerto, di sua volontà, il proprio corpo alla morte, così, con la sua potenza, dona se stesso in cibo» (n. 9 6 l ) " \

In ogni celebrazione eucaristica è "in atto" l'autodo-nazione di Cristo, la sua volontà o la sua virtus — termine latino di non facile versione —, che opera tramite il mini­stro, il quale proferisce "sacramentalmente" — appunto in persona Christi — le parole della consacrazione.

Come già abbiamo rilevato in precedenza, siamo tut-t'altro che di fronte a una formula che valga in se stessa, magicamente, ogni volta che sia ripetuta: radicalmente, a pronunziare tali parole e ad attribuire ad esse infallibile efficacia, è sempre Cristo, presente in forma sacramentale nella voce del "ministero" sacerdotale.

Potremmo, anzi, meglio dire che a valere, nella loro unicità e irrepetibilità, sono sempre e solo le parole del­l'Ultima Cena, con la loro intenzione e determinazione,

Licei sacerdos consecret, tamen ipse Christus dat virtutem sacramento, quia etiam ipse sacerdos consecrat in persona Christi. Inde in aliis sacramentis utitur sacerdos verbis suis seu Ecclesiae, sed in isto utitur verbis Christi, quia, sicut Christus corpus suum propria voluntate dedit in mortem, ita sua virtute dat se in cibum (n. 961).

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alle quali le ricorrenti celebrazioni sacramentali asse­gnano come uno spazio e un tempo nuovi.

8. Per quanto concerne la verità del sacramento, Tommaso la trova affermata nella dichiarazione di Gesù: «È la mia carne». «Cristo non ha detto: "significa la mia carne", ma è la mia carne, poiché quello che veramente si riceve è il vero corpo di Cristo» (n. 962)116; d'altra parte, è il corpo di Cristo immediatamente in «virtù della conver­sione», e integralmente Cristo in forza della "concomi­tanza": «In quel mistico sacramento Cristo è veramente contenuto nella sua integrità, ma il corpo vi è presente in virtù della conversione, e invece la divinità e l'anima gra­zie alla naturale concomitanza» (ibid.)ul: è la dottrina di Tommaso che può essere riveduta, osservando che il senso biblico di "corpo" indica, propriamente, la totalità della persona di Cristo nella sua corporeità.

9. L'ultimo aspetto preso in esame è l'utilità dell'Eu­caristia: una utilità grande e universale.

Un'utilità grande, dal momento che essa «produce in noi adesso la vita spirituale e, alla fine, la vita eterna»"8

(n. 963). Importa particolarmente, al riguardo, rilevare che, secondo san Tommaso, questo avviene perché l'Eu­caristia è «sacramento della passione del Signore e quindi contiene Cristo nello stato della passione, per cui l'effica-

11 {Christus} non dicit {...}: "Carnem meam significat", sed "Caro mea est", quia secundum rei veritatem hoc quod sumitur vere est corpus Còristi (n. 962).

1 '7 In ilio mystico sacramento totus Christus continetur secundum veritatem, sed corpus est ibi ex vi conversionis, divinitas vero et anima per naturalem concomitantiam (n. 962).

Magna quidem quia efficit in nobis nunc vitam spiritualem, tandem, aeternam (n. 963).

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eia della passione del Signore equivale perfettamente all'efficacia di questo sacramento» (ibid.)n9. E, infatti — prosegue l'Angelico — «Questo sacramento non fa altro che metterci a contatto con la passione del Signore»

iibid.T. Occorre sottolineare il significato preciso del termine

latino applicare. Più che non il nostro "applicare", esso dice: «portare a contatto», «accostare», «attaccare». Nel­l'Eucaristia, proprio perché applicatio della passione, è vinto ogni condizionamento che derivi dalla distanza cro­nologica e spaziale. Ecco perché questo sacramento attua «la distruzione della morte, operata da Cristo nella sua morte, e la restaurazione della vita, compiuta con la sua risurrezione» (ibid.)n\

Tommaso distingue tra «un esserci sempre di Cristo in mezzo a noi secondo la sua presenza immediata» e un suo esserci «attraverso la supplenza del sacramento» {ibid.)122. Non è il suo stare con noi che viene alterato o ridotto, ma la sua modalità, divenuta sacramentale.

10. Oltre che grande, l'utilità di questo sacramento -a differenza degli altri sacramenti — è anche universale: «La vita che conferisce non è unicamente la vita di un solo uomo, ma — per quanto da esso dipende — la vita di tutto il mondo, esaurientemente ottenuta dalla morte di

19 Cum hoc sacramentum sìt dominkae passioni!, continet in se Christum passum, unde quidquid est effectus dominiatepassionis, totum etiam est effectus huius sacramenti (n. 963).

20 NihiI enim aliud est hoc sacramentum quam applicatio dominkae passionis ad nos (n. 963).

uìUnde manifestavi est quod destructio mortis, quam Christus moriendo destruxit, et reparatio viiae, quam resurgendo effecit, est effectus huius sacramenti (n. 963).

Non enim decebat Christum secundum praesentiam suam semper esse nobiscum; et ideo voluit hoc supplere per hoc sacramentum (n. 963).

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Cristo, com'è detto nella 1 Gv II, 2: "Egli è propiziazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo"» (n. 964)12\

Quanto alla ragione per cui «nell'immolazione di que­sto sacramento l'effetto è universale» (ibid.)l2A, essa sta nel fatto che il sacramento eucaristico «contiene la stessa causa universale di tutti i sacramenti, cioè Cristo» {tbid.T.

Ancora una volta appare come prema a san Tommaso sottolineare il primato di Cristo nei sacramenti. La genesi permanente dei sacramenti è il Signore nel mistero della sua morte.

V

MANDUCAZIONE SPIRITUALE E MANDUCAZIONE

SACRAMENTALE

1. Non sorprendono la discordia e il litigio tra i Giu­dei suscitati dall'affermazione di Gesù che il Pane vivo da mangiare è la sua carne. Osserva san Tommaso, sulla scia di Agostino: «Il Signore aveva parlato loro del cibo del­l'unità, dalla cui manducazione si diventa unanimi [. . .] . I Giudei litigavano tra loro perché non avevano assunto il

123 Universali! autem, quia vita quam conferì, non solum est vita unius hominis, sed, quantum in se est, vita totius mundi, ad quam sufficiens est mors Còristi; I lo. Il, 2: "Ipse est propitiatio prò peccatis nostris, et non prò nostris tantum, sed etiam totius mundi" (n. 964).

12 In immolatane huius sacramenti effectus est universalis (n. 964). 125 Continetur in ipso ipsa causa universalis omnium sacramentorum, scilket Christus

(n. 964).

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cibo della concordia [...} e cosi mostravano di essere car­

nali» (n. 966)126.

Ma Cristo dinanzi alla loro reazione ribadisce la neces­

sità imprescindibile del «cibo spirituale per avere la vita

spirituale, così che senza di esso la vita spirituale non può

essere sostentata» (n. 968)127; per altro distinguendo tra la

necessità della «manducazione spirituale (spirituali* man-

ducatió)» e quella della «manducazione sacramentale

(manducano sacramentalis)» (n. 969).

2. La vita spirituale, o vita nella carità, dipende asso­lutamente dalla manducazione spirituale, anzi coincide con essa. Infatti, «Chi mangia la carne di Cristo e beve il sangue spiritualmente diviene partecipe dell'unità eccle­siale, che si attua con la carità, secondo Rm XII, 5: "Voi tutti siete un solo corpo in Cristo". Chi invece non man­gia in questo modo si trova fuori dalla Chiesa, e di conse­guenza fuori dalla carità, per cui non ha la vita in se stesso, secondo 1 Gv III, 4: "Chi non ama, rimane nella morte"» (n. 969)128.

3. Quanto alla «manducazione sacramentale (sacra­mentalis manducatici)» Tommaso la ritiene necessaria, a dif­ferenza del battesimo, soltanto per gli adulti, che possono

12 Dominus locutus fuerat eis de cibo unìtatis, quo qui reficiuntur, efficiuntur unanimes {...}. Quoniam igitur ludaei cibum concordiae non sumpserant, ideo ad ìnvkem litigabant {•-.}. Ex hoc autem quod litigabant cum aliis, se esse carnales ostendebant (n. 966).

7 Gibus spiritualis necessarius est ad vitam spiritualem, adeo quod sine ipso vita spìritualis sustentari non possit (n. 968).

128 llle enim spiritualiter cameni Còristi manducat et sanguinem bibit qui particeps fit ecclesiasticae unitatis, quae fit per caritatem; Rom. XII, 5: "Omnes unum corpus estis in Christo". Qui ergo non sic manducat, est extra Ecclesiam, et per consequens extra caritatem; ideo non habet vitam in semetipso; I Io. Ili, 4: "Qui non diligit, manet in morte" (n. 969).

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accedere all'Eucaristia «con attuale riverenza e devozione (actualis reverentia et devotio)», non invece per i bambini e per quanti non abbiano l'uso di ragione, «ai quali non va in nessun modo amministrata (nullo modo eis est dando)». Egli conosce la tradizione orientale — «i Greci lo ammet­tono (hoc quidem Greci concedimi)» — insieme con la dot­trina dello Pseudo-Dionigi sull'Eucaristia «compimento di tutti i sacramenti (consummatio omnium sacramentorum)» — che d'altronde egli condivide —; e tuttavia insegna che «il sacramento dell'Eucaristia è necessario solo per gli adulti, da ricevere o nella realtà o nel desiderio (re vel voto)» (n. 969).

Veramente la tradizione dei Greci appare più coe­rente: non si comprende perché per il battesimo non occorra Inattuale riverenza e devozione», e invece sia indispensabile per l'Eucaristia.

E a proposito della comunione al calice: Tommaso conosce l'uso antico — «ancora conservato in alcune Chiese (quod etiam adhuc in quibusdam Ecclesiis servatur)» — di tale comunione ammessa per tutti, e giustifica la suc­cessiva restrizione col «pericolo dell'effusione (periculum effusionis)», rilevando che la comunione col Corpo com­prende anche quella col Sangue, a motivo della «naturale concomitanza», per la quale sotto l'una e l'altra specie è presente integralmente Cristo. Come sappiamo, l'Ange­lico — non intendendo il "corpo" e il "sangue" nel senso biblico - distingue la ragione o «forza della conversione (vis conversionis)» dalla ragione o «forza della concomi­tanza (ex concomitantia naturali)» (n. 970).

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4. Egli ritorna quindi al tema della manducazione eucaristica: essa è fonte di «una vita inesauribile (causat indeficientem vitam)», dal momento che «chi mangia que­sto pane ha Cristo dentro di sé». Perché questo avvenga — ripete l'Angelico — bisogna però che la manducazione sia «spirituale» e quindi attinga la «realtà profonda del sacramento» (n. 972)129.

Vi è nel sacramento, egli spiega, una «realtà (res)» «contenuta e significata, che è Cristo nella sua integrità», e ve n'è un'altra «significata e non contenuta, ed è il corpo mistico di Cristo» (ìbid.)XÌ0.

Ebbene, «in rapporto a Cristo contenuto e significato, mangia la carne e beve il sangue spiritualmente chi si unisce a lui mediante la fede e la carità, così da essere in lui stesso trasformato e diventare suo membro: questo cibo, infatti, non si trasforma in colui che lo assume, ma trasforma in sé chi lo assume» (ibid.)w — secondo quello che afferma Agostino e che Tommaso ama ripetere -.

5. Da qui la mirabile conclusione dell'Angelico, tipica della teologia greca e derivata dall'esegeta bizantino Teo-filatto: l'Eucaristia «è un cibo capace di rendere divino l'uomo e di inebriarlo della divinità». E «lo stesso vale in

129 Qui manducat huncpanem, habet in se Christum, qui est verus Deus et vita aeterna, ut dicitur l lo. ult., 20. Sed ille habet vitam aeternam, qui manducat et bibit, ut dicitur, non solum sacramentaliter, sed etiam spiritualiter. Ille vero sacramentaliter manducat et bibit, qui sumit ipsum sacramentum; spiritualiter vero, qui pertingìt ad rem sacramenti (n. 972).

130 {Res sacramenti} est duplex: una est contenta et signata, quae est Christus integer; altera est signata et non contenta, et hoc est corpus Christi mysticum (n. 972).

131 Sic ergo spiritualiter manducat carnem et bibit sanguinem per comparationem ad Christum contentum et signatum, qui coniungitur ei per fidem et caritatem, ita quod transformatur in ipsum et efficitur eìus membrum: non enim cibus iste convertitur in eum qui sumit, sed manducantem convertii in se (n. 972); cfr. la nota 4 a p. 67.

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rapporto al corpo mistico - qui solo significato —, se chi si comunica diviene partecipe dell'unità della Chiesa» {ibid.T1.

Ma, se chi si comunica al Corpo e al Sangue di Cristo ottiene la divinizzazione dell'uomo e la sua "immersione" o il suo "inebriamento" nella divinità, allora non sor­prende che consegua poi la vita eterna, estesa anche al corpo. Ed è lo stesso frutto che matura per chi con l'Eu­caristia entra a far parte della comunione ecclesiale. E, infatti, «l'unità della Chiesa avviene per mezzo dello Spi­rito Santo» (ibid.)m.

6. In sintesi: «Chi mangia e beve spiritualmente, diviene partecipe dello Spirito Santo, per mezzo del quale siamo uniti a Cristo con l'unione della fede e della carità e diventiamo membra della Chiesa. Ora è lo Spirito Santo che ci fa meritare la risurrezione»; Tommaso cita al riguardo Romani 8, 11 e conclude: «Per questo il Signore afferma che risusciterà per la gloria chi lo mangia e lo beve» (n. 973)134.

Appare, alla lettura di questi testi chiari e vibranti, quanto sia "misterica" la concezione che l'Angelico ha della Chiesa, come sia essenziale il ruolo da lui ricono­sciuto allo Spirito Santo nell'Eucaristia, e quanto siano superficiali i diffusi giudizi sulla sua teologia eucari-

132 Et ideo est cibus hominem divinum facere valens et divinitene inebrians item per comparationem ad corpus mysticum signatum tantum, si fiat particeps unitatis Ecclesiae (n. 972).

133 Unitas Ecclesiae fitper Spiritum Sanctum (n. 972). llk qui spiritualiter manducat et bibit, fit particeps Spiritus Sanai, per quem unimur

Christo unione fidei et caritatis, et per quem efficimur membra Ecclesiae. Resurrectionem autem facit mereri Spiritus Sanctus {...}. Et ideo dicit Dominus quod eum qui manducat et bibit resuscitabit adgloriam (n. 973).

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stica, quasi l'avesse inaridita in una gabbia di questioni filosofiche.

7. Gesù Cristo dichiara la propria carne vero cibo e il proprio sangue vera bevanda, e Tommaso osserva: egli non parla in maniera figurativa (figuraliter), come se quanto egli ha affermato della sua carne e del suo sangue avesse un significato puramente allegorico e parabolico {aenigma et parabola esset). «Secondo verità - egli ha detto — la mia carne è contenuta nel cibo dei fedeli, e vera­mente il mio sangue è contenuto nel sacramento dell'al­tare» (n. 974)135.

Le parole di Gesù si possono intendere anche come l'affermazione che egli è veramente cibo dell'uomo in quanto «cibo dell'anima {cibus animae)» — «ristoro riguar­dante specialmente l'anima»136 —; o un cibo capace di saziare pienamente, poiché il corpo e il sangue di Cristo ci conducono «allo stato di gloria, dove non c'è né fame né sete {ad statum glorìae, ubi non est esuries neque sitis)», com'è detto in Apocalisse, 7, 16: «Non avranno più né fame né sete» {ibid.).

8. Le successive parole di Gesù sono connesse e com­prese nella modalità di un sillogismo così disposto: «Chiunque mangia la mia carne e beve il mio sangue si unisce a me; ma chi si unisce a me ha la vita eterna; di

Secundum veritatem caro mea contìnetur in cibo fidelium, et sanguis meus vere continetur in sacramento altaris (n. 974).

13 Quasi diceret: baec refectio specialiter ad animam ordinatur (n. 974).

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conseguenza, chi mangia la mia carne e beve il mio san­gue ha la vita eterna» (n. 975)137.

Chi mangia la sua carne e beve il suo sangue -dichiara dunque il Signore — entra in comunione intima con lui, in una reciproca inabitazione. Questo avviene, nota l'Angelico, sia con la comunione spirituale sia con un'autentica e sincera comunione sacramentale.

Si ha la comunione "spirituale", quando uno assume la Carne e il Sangue «misticamente {mystice)» — "mistico" come sinonimo di "spirituale" —, per cui «viene incorpo­rato al Corpo mistico mediante l'unione della fede e della carità: carità per la quale Dio abita nell'uomo e l'uomo in Dio e viceversa, com'è detto: "Chi rimane nella carità, rimane in Dio", 1 Gv IV, 16» (n. 976)138.

La reciproca incorporazione si compie, inoltre, con l'assunzione sacramentale del Corpo e del Sangue quando essa sia interiormente animata dal desiderio dell'unione col Signore e sia rimossa ogni finzione del cuore, cioè ogni divergenza tra il segno esteriore dell'incorporazione e la disposizione del cuore {ibid.)™.

9. Essere così incorporati a Cristo significa avere in sé la sua vita, così come lui stesso ha in sé la vita, grazie alla

Quicumque manducat meam cameni et bibit meum sanguinerà coniungitur mihì; sed qui contungitur mihi babet vitam aeternam; ergo qui manducat meam cameni et bibit meum sanguinem habet vitam aeternam (ri. 975).

llle manducat spiritualiter {•••} qui corpori mystico incorporaturper unionemfidei et caritatis: caritas autem facit Deum esse in homine, et e converso; l, lo IV, 16: Qui manet in cantate, in Deo manet, et Deus in eo (n. 976).

In sacramento autem Eucharistiae exterius quidem signatur quod Christus incorporetur in eo quipercipit illud, et ipse in Christo. Qui ergo non habet in corde desiderium huius unionis, nec conatur ad removendum omne impedimentum ad hoc, est /ìctus. Et ideo Christus in eo non manet nec ipse in Christo (n. 976).

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sua unione col Padre: «Il Figlio a motivo della sua unione col Padre riceve la vita dal Padre; ne consegue che chi si unisce a Cristo, riceve la vita da Cristo» (n. 977)N0.

E l'Angelico precisa: Gesù, in quanto Dio, riceve dal Padre per generazione «tutta la pienezza della natura divina {totam plenitudinem divinae naturae)»; mentre a noi, per la nostra manducazione eucaristica, è data solo una partecipazione alla vita di Cristo.

Se consideriamo Cristo in quanto uomo, la similitu­dine tra Cristo e noi può essere così delineata: «Come Cristo uomo riceve la vita spirituale in virtù della sua unione con Dio, così noi riceviamo la vita spirituale nella comunione del sacramento»141, tuttavia con questa diffe­renza: che «Cristo ricevette la vita in virtù del Verbo, cui è personalmente unito, mentre noi siamo uniti a Cristo in virtù del sacramento della fede» (n. 977)'42.

VI

«CHE COSA CERCHEREMO DI PIÙ?»: LA FEDELTÀ E LA SEQUELA

1. Anche i discepoli si mettono a mormorare, giudi­cando troppo duro il discorso di Cristo.

Filiuspropter unitatem quam habet ad Patrem recipit vitam a Patre; ergo qui unitur Christo, recipit vitam a Christo (n. 977).

Sicut Christus homo accipit spìritualem vitam per unionem ad Deum, ita et nos accipimus spirituakm vitam in comunione sacramenti (n. 977).

Christus homo accepit vitam per unionem Verbi, cui in persona unitur; sed nos unimur Christo per sacramentum fidei (n. 977).

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«Un discorso è duro — osserva san Tommaso — o per­ché suscita resistenza nell'intelletto, o perché la suscita nella volontà, ossia quando non riusciamo a capirlo con l'intelletto o esso non piace alla volontà. Ebbene, in ambedue i modi questo discorso riusciva loro duro. Lo era per il loro intelletto, perché eccedeva di molto la sua debolezza: essendo carnali, non potevano comprendere quello che Cristo diceva, cioè che avrebbe dato loro da mangiare la propria carne. Lo era per la volontà, perché aveva detto molte cose relative alla potenza della sua divinità: ora, essi, benché credessero in lui come profeta, tuttavia non lo credevano Dio, per cui sembrava loro che affermasse cose a lui superiori {...}, cose che a loro non piacevano» (n. 984)143.

2. Le riflessioni che seguono rivelano chiaramente la professione di Tommaso «magister» e le sue preoccupa­zioni di docente. Egli si domanda come mai Gesù non eviti di scandalizzare i suoi discepoli, quando invece «i docenti devono evitare di suscitare scandalo nei loro udi­tori» (n. 987)144. E risponde: il Signore, «che era venuto per indurli all'appetito del cibo spirituale {...] doveva proporre loro la dottrina riguardante il cibo spirituale»

1 3 Est {•..} aliquis sermo durus, aut quia resistit ìntellectui, aut quia resistit voluntati, cum scilket illum intellectu capere non possumus, aut voluntati non placet, et utroque modo erat istis durus sermo. Durus quidem ìntellectui, quia superexcedebat imbecillitatem intellectus eorum: cum enim carnales essent, nonpoterant capere quod dicebat, se carnem suam daturum eis ad manducandum. Voluntati autem, quia multa dixit de potenfia suae divinitatis, et licet isti crederent ei sicut Prophetae, non tamen credebant eum Deum, et ideo videbatur eis quod loqueretur malora seipso {,..} eis nonplacentia (n. 984).

Cum doctores debeant vitare scandalum audientìum (n. 987).

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(ibid.y4''; lo scandalo non derivava «dal vizio del suo inse­gnamento, ma dallo loro mancanza di fede» (ibid.y46.

Tommaso aggiunge un pensiero di Agostino, e cioè che Cristo ha permesso la reazione al suo discorso «per dare a quelli che insegnano un motivo di pazienza e di consolazione nei confronti dei contestatori del loro inse­gnamento, dal momento che i discepoli hanno osato criti­care anche le parole di Cristo» (ibid.y41.

3. A proposito dell'asserzione di Cristo: «E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dove era prima?» (Gv 6, 63), Tommaso osserva che egli ha voluto, così, eliminare lo scandalo che riguardava la sua persona e le sue stesse parole.

Riguardo alla sua persona, più apertamente ne pro­clama la natura divina, affermando che, secondo la sua umanità, ascenderà là dov'era prima, dall'eternità: «nella sommità delle cose, ossia nel Padre» (n. 990)'48.

Quanto allo scandalo suscitato dalle sue parole, Cristo lo elimina dichiarando che «è lo Spirito che vivifica, men­tre la carne non giova a nulla» (Gv 6, 64). Cristo distin­gue, così, in esse un duplice senso, quello spirituale e quello carnale. Intese in senso spirituale sono fonte di vita (n. 992)149, mentre non arrecano alcun vantaggio, sono

1 5 {Dominiti} qui venerai ut duceret in appetitum cibi spiritualis, necesse erat ut eis proponeret doctrinam de cibo spirituali (n. 987).

1 Nec causabatur ex vitìo doctrinae Christi, sed ex eorum infidelitate (n. 987). Ut bene docentìbus causam patientiae et consolationis cantra malignante! eorum dieta

praeberet, cum discipuli etiam verbis Còristi detraherepraesumerent (n. 987). 1 8 In summo rerum vertice, scilicet in Patre (n. 990). 1 9 Secundum spiritualem sensum, vivificabunt (n. 992).

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anzi nocive, se intese in senso carnale (ibid.)1''0. «In realtà, il Signore diceva che avrebbe dato loro se stesso come cibo spirituale, senza che per questo nel sacramento del­l'altare non ci sia la vera carne di Cristo. Solo che essa sarebbe stata mangiata in un certo modo spirituale e divino. E in tal modo il senso corretto delle parole non è quello carnale, ma quello spirituale» {ibìd.)m.

Così comprese, le parole di Cristo, provenienti dallo Spirito (sunt a Spiritu Sanctó) (ibid.), sono principio di vita.

4. O secondo l'esegesi di Agostino: «La carne di Cri­sto, in quanto congiunta col Verbo e con lo Spirito, giova assai e in tutti i modi: diversamente invano il Verbo si sarebbe fatto carne e invano il Padre lo avrebbe manife­stato nella carne. [...] Si deve quindi dire che la carne di Cristo, presa in se stessa, non produce alcun vantaggio, esattamente come ogni altra carne. [...] Se invece sopravviene lo Spirito e la divinità, è vantaggiosa per molti, dal momento che fa dimorare in Cristo quanti la assumono: è infatti mediante lo Spirito di carità che l'uomo dimora in Dio — "Da questo si riconosce che dimoriamo in Dio ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito", 1 Gv IV, 13 —. Per questo il Signore dice: Non dovete attribuire questo effetto, cioè la vita eterna che io vi prometto, alla carne considerata in se stessa, poiché, così considerata, la carne non serve a nulla; se invece lo attribuite allo Spirito e alla divinità congiunta alla carne,

150 Secundum carnalem sensum {...} nihil vobisprosunt, immo nocent (n. 992). 151 Sed Dominus dkebat daturum se eis sicut spiritualem cibum, non quin sit in

sacramento altaris vera caro Christi, sed quia quodam spirituali et divino modo manducatur. Sic ergo dictorum verborum congruus sensus est non carnalis, sed spiritualis (n. 992).

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allora essa comunica la vita eterna [ . . . ] . Come il corpo

vive della vita corporale mediante lo spirito corporale,

così l'anima vive della vita spirituale mediante lo Spirito

Santo» (n. 993)'52.

5. Quanto alla causa della mormorazione dei disce­poli, Gesù la riscontra non nella durezza delle sue parole, ma nella loro mancanza di fede. L'affermazione: «Alcuni di voi non credono», è così commentata da Tommaso: «Il Signore non disse: "Alcuni non comprendono", ma pro­cede oltre, e indica la ragione della loro incomprensione: non comprendevano perché non credevano, com'è detto in una variante di Isaia VII, 9: "Se non crederete non comprenderete"» (n. 995)153.

D'altra parte, Gesù ribadisce che la venuta a lui è dono del Padre, della sua «grazia attraente (gratia attra-hens)» — come traduce l'Angelico —: «È Dio Padre che attira gli uomini al Figlio» (n. 997)154, per cui - come

152 Caro Christi, ut coniuncta Verbo et Spiritui, multum prodest per omnem modum: alioquin frustra Verbum caro factum esset, frustra ipsum Pater manifestasset in carne {...}. Et ideo dicendum est quod caro Christi in se considerata non prodest quidquam, et non habet effectumproficuum, nisi sicut alia caro. (...) Sedsi adveniat Spiritus et divinìtas, multis prodest, quiafacit sumentes manere in Christo: est enim Spiritus caritatisper quem homo in Deo manet {...}. Et ideo dicit Dominus: Hunc effectum, scilicet vitae aeternae quem ego promitto vobis, non debetis attribuere carni in se consideratae, quia caro sic non prodest quidquam; sed si Spiritui attribuatis et divinitati coniunctae carni, sic praestat vìtam aeternam. {...} Nam, sicut corpus vivit vita corporali per spiritum corporalem, ita et anima vivit vita spirituali per Spirìtum Sanctum (n. 993).

Non autem dixit {Dominus}: "Qui non intelligunt", sed, quod plus est, causam quare non intelligunt insinuai: ex hoc enim non intelligebant, quia non credebant; Is. VII, 9, secundum aliam litteram: "Nisi credideritis, non intelligetis" (n. 995).

Deus Pater est qui attrahit homines ad Filium (n. 997).

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insegna Agostino"5 — «lo stesso nostro credere ci è dato

da Dio» (ibid.T6.

6. A motivo della loro «perseveranza nell'incredulità (perseverant in infidelitaté)», della loro «ostinazione (perti­nacia)», molti «si ritirarono dalla fede»157, non andarono più con Cristo, mettendosi alla sequela di Satana158; «per­sero, così, la vita recisi dal corpo di Cristo, perché forse, come dice Agostino, non vi furono mai inseriti» (n. 998)159.

7. Segue l'esame sull'intenzione dei Dodici. Gesù chiese loro se intendessero restare, e lo fece per due ragioni.

Anzitutto, «perché non insuperbissero, ascrivendo a proprio merito il loro essere rimasti, mentre gli altri se ne erano andati, ritenendo di aver fatto un piacere a Cristo il non averlo lasciato» (n. 1000)160. «Mostrando di non aver bisogno della loro sequela, egli li trattiene e li conferma maggiormente» (ibid.)m.

Cristo, inoltre, interroga i Dodici perché «non vuole che stiano con lui costretti dalla vergogna — servire con­tro voglia equivale a non servire affatto —; per cui li libera anche dalla soggezione e dalla costrizione di restare,

155 In lohann. eu. tract., 27, 7. 15 Ipsum credere datur nobis a Deo (n. 997). 157 Abierunt retro afide (ti. 998). 158 Abierunt post Satanam (n. 998).

Et praecisi a corpore Christi, vitam perdiderunt, quia forte nec in carpare fuerunt, ut dicit Augustinus [In lohann. eu. tract., 27, 8].

Ne hoc quod isti, aliis recedentibus, remanserant, propriae iustitiae ascribentes, mperbirent, existimantes se gratiam ferisse Christo, eum non relinquendo (n. 1000).

' ' Ostendens se non indigere eorum sequela, magis eos detinet et confirmat (n. 1000).

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rimettendo al loro libero arbitrio il rimanere o l'andar­sene, poiché "Dio ama chi dà con cuore lieto, com'è detto in 2 Cor IX, 7"» (ibid.)162.

8. «Segue — scrive Tommaso — la dedizione di quelli che rimangono, espressa nella risposta di Pietro», il quale, «affezionato ai fratelli, fedele agli amici e legato da speciale affetto per Cristo, risponde a nome di tutto il collegio» (n. 1001)163, esaltando l'eccellenza di Cristo, elo­giando la sua dottrina e professando la fede.

L'esaltazione dell'eccellenza di Cristo si rivela nella domanda: «Signore, da chi andremo?» (Gv 6, 69): «La parola di Pietro è un grande attestato di amicizia; e, infatti, Cristo era già per loro più degno di onore che non i padri e le madri» (n. 1002)164.

L'elogio della dottrina del Signore si trova nell'affer­mazione che lui solo, rispetto a Mosè e agli altri profeti, in maniera assolutamente unica, promette la vita eterna, più della quale non resta nulla da cercare: «Che cosa cer­cheremo di più?»165.

Ed ecco la professione di fede dell'apostolo nei due misteri principali, la Trinità e l'Incarnazione: «Nella nostra fede — scrive Tommaso — due principalmente sono

1 2 Nolens eos verecundia coartari apud eum remanere — quia idem est invite servire quod penitus non servire —, aufert etiam verecundiam et necessitatevi remanendi, ponens in eorum arbitrio, an vellent remanere, an abìre, quia "hilarem datorem dilìgit Deus", ut dicitur II Cor. IX, 7 (n. 1000).

1 3 Fratrum amator et amici conservator et specialem affectum gerens ad Christum, respondetprò toto collegio (n. 1001).

1 Verbum Petri multum amicitiae est ostensivum; iam enim Christus erat honorabilior quam patres et matres (n. 1002).

' 5 Quid ergo aliud magis quaerimus? (n. 1002).

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gli oggetti da credere: il mistero della Trinità e quello dell'Incarnazione» (n. 1004)166.

9. «Abbiamo creduto e conosciuto» — afferma Pietro — e l'Angelico osserva: «Il credere deve precedere il cono­scere; se invece volessimo prima conoscere per poi cre­dere, non conosceremmo né riusciremmo a credere, come dice Agostino167, secondo Is VII, 9: "Nisi credideritis, non intelligetis"» (ibid.)ì68. Appena sopra Tommaso ha sottoli­neato la precedenza della fede sulla conoscenza, che sorge dall'affidamento, o dalla comunione.

Così per l'Eucaristia, che può essere "compresa" solo nella fiducia e nell'accoglienza delle parole di Cristo.

Ciò che non ha fatto Giuda, paragonato al diavolo «per la sua imitazione della malizia diabolica (per imitatio-nem diabolicae malitiaé)» e per la sua conformità ad essa {conformis malitiaé eius) (n. 1006).

10. Grazie all'ampia analisi del capitolo 6 di Giovanni — condotta con largo ricorso alla tradizione latina e greca, immediatamente disponibile nella Catena da lui compi­lata sul quarto Vangelo e passo passo seguita — Tommaso ha potuto ampiamente ri-trattare il tema dell'Eucaristia.

1 Infide {...} nostra duoprincipaliter credenda sunt, scilicet mysterium Trinitatis et Incarnationis: quae duo hic Petrus confitetur, Mysterium quidem Trinitatis, cum dicit: tu es Filius Dei. In hoc enim quod dicit eum Filium Dei,facit mentionem de persona Patris et Filii, simul etiam et Spiritus Sancti, qui est amor Patris et Filii, et nexus tttriusque. Mysterium vero Incarnationis, cum dicit: Tu es Cbristus (n. 1004).

In lohann. eu. tract., 27, 9. 1 8 Prius est credere quam cognoscere; et ideo, si prius cognoscere quam credere vellemus,

non cognosceremus, nec credere valeremus, ut dicit Augustinus. Is. VII, 9: "Nisi credideritis, non intelligetis" (n. 1004).

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Risaltano, così, una volta ancora le sorgenti che intes­sono e animano la sua teologia eucaristica - come tutta la sua teologia —, e che, del resto, sono evidenti ed esplicite nella stessa trattazione eucaristica della Summa Theologiae.

Sopra, il P. Marie-Dominique Philippe affermava che questo commento «ci permette di scoprire come un "dot­tore", sotto il soffio dello Spirito Santo, comprende la Scrittura», così mostrandoci chiaramente «che la teologia scientifica di san Tommaso non si oppone in nulla a quella dei Padri, ma la prolunga e la precisa»: «Con luci­dità perfetta san Tommaso assume qui tutta l'interpreta­zione mistica dei Padri»169.

In particolare, a sporgere in questo commento dell'Angelico al capitolo 6 di Giovanni, è la "mistica dell'Eucaristia". «Nutrimento spirituale col quale Cristo sostenta quelli che ha vivificato» (n. 838). La comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, per l'"attrazione del Padre" e l'azione dello Spirito, porta a compimento la "mistica" della fede — che già intimamente unisce a Cri­sto.

L'Eucaristia appare disposta dentro la storia di sal­vezza e, più profondamente, all'interno del mistero trini­tario.

1 ' THOMAS D'AQUIN, Commentaire sur l'Évangile de saintjean, l, Le Prologue. La vie apostolique du Cbrist, pp. 14-15.

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CAPITOLO DECIMO

EUCARISTIA E POESIA IN TOMMASO D'AQUINO

1. Chi legga le composizioni poetiche eucaristiche di san Tommaso, vi trova un linguaggio lineare, teologica­mente rigoroso, intellettivamente trasparente, dove il primo splendore che promana è quello della verità: splen­dor veritatìs.

Ma a questa trasparenza puntigliosa, propria di uno "scolastico", si uniscono la pietà, lo stupore ammirato e contemplativo, che accendono e trasfigurano quella teo­logia. Il mistero irraggia dall'esperienza del credente divenuto poeta; la teologia ineccepibile si riveste della bellezza e dell'emozione della lirica. La fides — direbbe sant'Ambrogio — si fa canora.

2. Si è molto discusso sulla poesia eucaristica di Tom­maso', che viene ora riconosciuto come l'autore dell'uffi-

1 Per la bibliografia cfr. J.-P. TORRELL, lnitiation à saint Thomas d'Aquin. Sa personne et son oeuvre, Editions Universitaires, Fribourg Suisse/Editions Du Cerf, Paris 1993, pp. 189-199; P.-M. GY, L'Office du Corpus Christi et S. Thomas d'Aquin. Ètat d'une recherché, in «Rev. Se. Ph. Th.» 64 (1980), pp. 491-507 (ripreso col titolo L'Office du Corpus Christi oeuvre de S. Thomas d'Aquin, in La liturgie dans l'histoire, Ed. Saint-Paul, Cerf, Paris 1990, pp. 223-245, ID., L'Office du Corpus Christi et la théologie desaccidents eucharistiques, in «Rev. Se. Ph. Th.» 66 (1982), pp. 81-86; R. WlELOCKX, Poetry and Théologie in the Adoro te deuote: Thomas Aquinas on the Eucharist and Christ's Uniqueness, in Christ among Medieval Dominicans, University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana 1998, pp. 157-174; J.-P. TORRELL, 'Adoro te'. Laplus belleprière

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ciò del "Corpus Domini" Sacerdos in aeternum, con la messa Cibavit, e dell'Adoro te devote.

Ma importa osservare che, di là dagli inni letteraria­mente poetici, un diffuso soffio di viva poesia pervade e anima tutta la composizione dell'ufficio e della messa in onore del Corpo e del Sangue del Signore, dove larga­mente si incontrano e si fondono la limpidità e la preci­sione dell'idea con la vibrazione e l'abbandono del senti­mento.

All'origine di questa diffusa poeticità si trova la sor­gente stessa, a cui attinge tutta questa esuberante com­posizione, ossia la Scrittura, i cui testi riccamente intes­sono questo ufficio e questa messa.

Immediatamente questo sovrabbondante florilegio biblico rivela la fonte originaria della dottrina eucaristica di san Tommaso: una fonte che precede e sostiene le molte, sottili e impegnative questioni che la teologia, la cultura — e quindi la stessa fede ecclesiale — via via impo­nevano al sacro dottore di dibattere e di risolvere per una "intelligenza della fede".

3. E tuttavia non si tratta di semplici citazioni scrittu-ristiche ripetute fedelmente e opportunamente scelte e collocate: spesso un tocco felice di artista le rimodella e le ricrea, rivestendole di bellezza e di attrattiva nuova. Tutta una poesia biblica si diffonde dalla innumerevole serie di antifone e responsori, che a sua volta la musica e

de saint Thomas, in Recherches thomasiennes. Etudes revues et augmentées, Vrin, Paris 2000, pp. 367-375; e, infine, lo studio sintetico molto fine di C. MARABELLI, Tommaso d'Aquino poeta eucaristico, in L'intelletto cristiano. Studi in onore di mons. Giuseppe Colombo per l'LXXX compleanno, Glossa, Milano 2004, pp. 473-491.

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il canto liturgico hanno concorso a esaltare e a rendere ancora più appassionata e contemplativa.

Ma qui l'attenzione sarà rivolta agli Inni eucaristici di Tommaso, nei quali è possibile cogliere, in una varietà di intrecci, il livello della storia, quello della teologia — fin nella sua rigorosa precisione — quello della lode e adora­zione, e quello della implorazione.

I

IL CUORE DELLA POESIA EUCARISTICA:

LA C E N A FRATERNA DI G E S Ù

Il «mistero del corpo glorioso, e del prezioso sangue {glo­riosi corporis mysterium, sanguinisque pretiosi)» porta alla me­moria di Tommaso anzitutto l'Ultima Cena, con i tratti di amicizia e di fraternità che l'hanno contrassegnata.

La notte dell'Ultima Cena

1. Canta l'Angelico nel Pange, lingua:

«Dato a noi e per noi nato da una vergine illibata, trascorsa nel mondo la sua vita e sparso il seme della parola, mirabilmente concluse il suo soggiorno. La notte dell'ultima cena, giacendo a mensa coi fratelli, osservata fedelmente coi cibi rituali la legge antica, dona se stesso in cibo ai dodici2».

Nobis datus, nobis natus ex intatta virgìne, / et in mando conversatus, sparso verbi semine, / sui moras incolatus miro clausit ordine. Il In supremae nocte coenae I recumhens cum fratribus, I observata legepiene cibis in legalìbus, I cibum turbae duodenae se dat suis manibus.

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2. E nel Sacris sollemniis:

«Si ricorda l'ultima cena, la notte nella quale cre­diamo che Cristo, secondo la vecchia legge degli antichi padri, donò l'agnello e l'azimo ai fratelli. Noi professiamo che, dopo l'agnello prefigurativo, consumato il pasto, con le sue mani fu dato ai discepoli il corpo del Signore, desti­nato tutto a tutti, e tutto per ciascuno. Ad esseri segnati dalla fragilità diede il suo corpo in cibo, e porse a uomini sconsolati il calice del sangue, dicendo: Ricevete la coppa che vi porgo, e bevetene tutti»3.

3. La stessa istituzione è cantata nel Verbum supernum:

«Il Verbo celeste, veniente dal Padre, e sempre alla sua destra, portando a compimento la sua opera, giunse alla sera della vita. Uno dei discepoli lo consegnava ai suoi nemici per esser messo a morte, ed egli si offrì loro in cibo di vita»4.

4. E, allo stesso modo, nel Lauda, Sion:

«Solenne è celebrato il giorno che ricorda la prima istituzione di quest'agape (Dies enim sollemnis agitur, / in qua mensae primae recolitur huius institutió)».

Noctis recolitur coena novissima, I qua Christus creditur agnum et azyma I dedìsse fratribus iuxta legitima / priscis indulta patribus. Il Post agnum typicum expletis epulis, I corpus dominicum datum discipulis I sic totum omnibus quod totum singulis, / eius fatemur manibus. Il Dedit fragilibus corporis ferculum, I dedit et tristibus sanguìnis poculum, / dicens: accipite quod trado vasculum, / omnes ex eo bibite.

Verbum supernum prodiens, I nec Patris linquens dexteram, I ad opus suum exiens, / venit ad vitae vesperam. Il In mortem a discìpulo / suis tradendus aemulis, I prius in vitae ferculo I se tradidit discipulis.

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Il «pane vivo e vitale (panis vivus et vitalis)» «nella mensa della santa cena alla compagnia dei dodici fratelli senza dubbio fu donato (Quem in sacrae mensa coenae, / tur-baefratrum duodenae / datum non ambigitur)».

Lo stesso inno rievoca il mandato della memoria: «Cristo dispose che in sua memoria si compisse quello che egli fece nella cena (Quod in coena Christus gessit, I facien-dum hoc expressit I in sui memoriam)».

Il compimento delle antiche prefigurazioni

Nell'Eucaristia le antiche prefigurazioni si compiono e i vecchi riti sono finiti, e sopraggiunge una realtà nuova:

«Il pane del cielo porta a compimento le prefigura­zioni» (dat panis caelicus figuris terminum)» {Sacris sollem-niis).

Esso «nei simboli è prefigurato: quando è immolato Isacco, quando è scelto l'agnello della Pasqua e ai padri è offerta in dono la manna. In questa mensa del nuovo re, la nuova Pasqua della legge nuova svuota la Pasqua (il Passaggio) antica. La novità fa fuggire la vecchiezza, la verità fa dileguare l'ombra, la luce dissipa le tenebre» {Lauda, Sion)"1.

«All'antico insegnamento succeda il rito nuovo (anti-quum documentum novo cedat rifui)» (Pange, lingua).

5 In figuris praesignatur, / cum Isaac immolatur, I agnus Paschae deputatur, I datur mannapatribus. Il In hac mensa novi regis, I novum Pascha novae legis; /phase vetus terminat. Il Vetustatem novitas, / timbravi fugat peritai, I noctem lux eliminai (Lauda, Sion).

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Lo abbiamo già ascoltato: dopo la consumazione del­l'agnello che lo adombrava, ai discepoli fu dispensato il Corpo del Signore (Post agnum typicum expletis epulis, / cor­pus dominkum datum discipulis) (Sacris sollemniis).

II

IL MISTERO EUCARISTICO E LA SUA TEOLOGIA

Mentre canta l'istituzione dell'Eucaristia, l'Angelico ne illustra il mistero.

1. L'Eucaristia è il ricordo della morte di Cristo. In uno dei suoi versi più appassionati egli esclama: «O memoriale della morte del Signore (0 memoriale mortis Domini)» {Adoro te)6.

2. Essa è «il corpo glorioso (gloriosus corpus)» e «il prezioso sangue (sanguis pretiosus)» (Pange, lingua), il «corpo del Signore {corpus dominkum)», il «sacrificio (sacrificium)», e «il pane del cielo (panis caelicus)» (Sacris sollemniis).

Tommaso dirà che il tema speciale del suo canto è il «pane vivo e vitale (Laudis thema specialis, panis vivus et vitalis)», «il pane degli angeli» che «diviene il pane degli uomini (Panis angelicus fitpanis hominum)» (Lauda, Sion).

Da qui la sorpresa ammirazione, che un altro verso esprime con vibrante commozione: «O cosa mirabile: il

Citiamo il testo e la divisione delle strofe secondo l'edizione critica pubblicata da R. WlELOCKX, Poetry and Theologie in the Adoro te deuote, p. 172.

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servo, povero e umile, si nutre del Signore»7 (Sacris solletn-

niis).

E ancora canterà: «Ecco il pane degli Angeli, diven­

tato cibo dei viandanti, veramente pane dei figli, da non

gettare ai cani»8 (Lauda, Sion).

Se «nascendo Cristo si è fatto compagno, e alimento

cenando con i suoi (Se nascens dedit socium, / convescens in

edulium)», «nella morte si offre in riscatto, e si dà come

premio nel regno (se moriens in pretium, I se regnans dat in

praemium)» (Verbum supernum).

3. Ma al poeta teologo preme precisare con rigore i vari aspetti del mistero eucaristico: la sostanza, la conver­sione, le specie eucaristiche, la loro frazione, i ministri e quanti ricevono il sacramento.

— Il Lauda, Sion li fa passare analiticamente:

«Ai discepoli di Cristo questo dogma è consegnato: il pane si trasforma in carne e il vino in sangue. Sotto diverse apparenze — segni senza sostanza — realtà sublimi si nascondono: la carne che è nutrimento, il sangue che è bevanda. E, pure, sotto l'una e l'altra specie Cristo resta tutto intero: non spezzato da chi lo assume, non infranto, non diviso, viene assunto nella sua integrità. Lo riceve uno, lo ricevon mille: quanto questi tanto quello, né assunto è consumato. E alla frazione del sacramento, non turbarti, ma ricorda: tanto Cristo è celato nel frammento,

7 0 res mirabilìs. I Manducat dominum I pauper servus et humilis (Sacris mllemniis). Ecce panis Angelorum, I factus cibus vìatorum, I vere panis filiorum, I non mittendus

canìbus (Lauda, Sion).

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quanto lo è nella totalità. La realtà non patisce divisione, la frazione coinvolge solo i segni, né lo stato si riduce e neppure la statura di chi è simboleggiato. Lo ricevono i buoni, lo ricevono i cattivi, ma con esito ineguale, di vita oppur di morte: di morte per gli iniqui, di vita per i buoni: vedi dunque di una stessa comunione quanto l'ef­fetto sia dissimile»9.

— L'inno Verbum supernum puntualizzerà:

Ai discepoli «sotto le due specie donò la carne e il san­gue, al fine di nutrire con la duplice sostanza tutto

1» !0

uomo» .

— Quanto ai ministri dell'Eucaristia, sono unicamente i presbiteri:

«Ha istituito così questo sacrificio, di esso incaricando i soli presbiteri: a loro incombe di consumarlo e di elar­girlo agli altri» (Sacris sollemniis)".

Dogma datur christianis, I quod in carnem transit panis, I et vinum in sanguinem. Il Sub diversis speciebus, / signis tantum, et non rebus, I latent res eximiae. Il Caro cibus, sanguìs potus; I manet tamen Christus totus I sub utraque specie. Il A sumente non concisus, I non confractus, non divisus, I integer assumìtur. Il Sumit unus, sumunt mille; / quantum isti, tantum ille; I nec sumptus eonsumitur. Il Fracto demum sacramento / ne vacilles, sed memento / tantum esse sub fragmento / quantum tota tegitur. Il Nulla rei fìt scissura, / signi tantum fit fractura, I qua nec status nec statura / signati minuitur. Il Sumunt boni, sumunt mali, I sorte tamen inacquali, I vitae vel interitus. Il Mors est malis, vita bonìs, / vide paris sumptionis I quam sit dispar exitus.

10 Quibus sub bina specie I carnem dedit et sanguinem, I ut duplicis substantiae / totum cibaret hominem.

11 Sic sacrificium istud instituit, I cuius offìeium committi voluit I solispresbyteris, quibus sic congruit, I ut sumant, et dent ceteris (Sacris sollemniis).

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Come abbiamo visto, la stessa precisione e lo stesso linguaggio scolastico troviamo a proposito dell'integrità di Cristo nella frazione delle specie:

«Ai discepoli fu dato il corpo del Signore, destinato tutto a tutti e tutto per ciascuno (Sacris sollemniis)12.

Ili

LA TESTIMONIANZA DEI SENSI

E LA CERTEZZA DELLA FEDE

Un'altra sottolineatura degli Inni eucaristici di Tom­maso — e di tutta la sua teologia eucaristica — è la neces­sità assoluta e imprescindibile della fede: solafides.

I sensi giudicano e si fermano secondo le appa­renze: non sanno andare oltre, non riescono a raggiun­gere, sotto le specie, la presenza della sostanza, cioè del Corpo e del Sangue di Cristo. Vedono giusto pura­mente quanto alle apparenze; ma, di là da esse, non sono in grado di percepire nulla. Perciò è detto che essi vengono meno, e falliscono. La presenza reale del Signore è attestata unicamente dalla fede, che si pone in ascolto della sua Parola:

1. «Il Verbo fatto carne con la sua parola rese la pro­pria carne pane vero, mentre il vino diventa il sangue di

1 Corpus dominicum datum discipulis I sic totum omnibus quod totum singulìs, I eius fatemur manibus (Sacris sollemniis).

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Cristo13; che, se i sensi si smarriscono, la sola fede basta a rassicurare il cuore sincero14». «La fede sopperisca all'in­fermità dei sensi (praestet fides supplementum sensuum defec-tui)» {Pange, lingua).

2. «La fede ardimentosa, di là dall'ordine naturale, conferma quello che non comprendi e quello che non vedi» {Lauda, Sion?\

3. «La vista, il tatto, il gusto non ti avvertono: si crede senza esitazione solo per quello che l'udito ha ascoltato. Credo a tutto quello che il Figlio di Dio ha asserito: nulla è più vero della parola di verità {Adoro te)»'6.

13Marabelli (Tommaso d'Aquino poeta eucaristico, pp. 479-480) traduce il fitque sanguis Christi merum con: «e il sangue di Cristo diventa vino autentico», osservando: «In questa frase non si tratta tanto, come qualche volta noi diremmo comunemente si trova pure interpretato, della transustanziazione: il pane che diventa il corpo, il vino che diventa il sangue. Qui c'è un'altra sottolineatura: si parla piuttosto di carne che diventa pane vero, di sangue che diventa vino vero» (p. 480). Viene fatto in questo modo risaltare il parallelismo con l'espressione precedente, dove si afferma che il Verbo incarnato ha reso la sua carne pane vero; successivamente sarebbe detto che il sangue è diventato «vino vero», secondo il significato di merum, «vino puro». Certo, altrove in san Tommaso non si definisce mai, come pare, il sangue di Cristo come merum, nel senso appunto di «vino vero» (anche se merum in latino ha anche il significato semplicemente di «vino»); sullo sfondo di Giovanni 6, 5 5 — caro enim mea verus — o vere — est cibus, ci si attenderebbe eventualmente la definizione del sangue come vere o verus potus (fitpotus verus). Ci sono però ragioni di rima — verum / merum I sincerum. Il cambiamento del verbo — da effìcit afit — e del soggetto, che non è più il Verbum caro, la dichiarazione che il sangue diviene merum, farebbero propendere per la versione tradizionale, che vede nel verso la dottrina della transustanziazione; in ogni caso la versione proposta da Marabelli rimane possibile, concettualmente più coerente col verso precedente, e senz'altro suggestiva.

Verbum caropanem verum, I verbo carnem effìcit; I fitque sanguis Christi merum, / et si sensus deficit, I adfirmandum cor sincerum I sola fides sufficit.

1 Quod non capis, quod non vides, I animosa firmat fides / praeter rerum ordinem (Lauda, Sion).

1 Visus, tactus, gustus, in tefallitur, I sed auditu solo tute creditur. / Credo quicquid dixit dei filius, / nichil ueritatis uerbo uerius (Adoro te).

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IV

LA LODE E L'ADORAZIONE

1. Il «Corpus Domini» è sorto come festa speciale dedicata al culto e all'esaltazione del Corpo e del Sangue di Cristo, ed è esattamente l'invito alla lode e all'adora­zione che ricorre negli Inni eucaristici di san Tommaso:

Così nel Pange, lingua:

«Canta, o lingua, il mistero del corpo glorioso e del prezioso sangue, effuso, per riscattare il mondo, dal re delle genti, frutto di un grembo generoso17»18.

«Prostrati, veneriamo un così grande sacramento (Tantum ergo sacramentum veneremur cernui)».

2. E nel Lauda, Sion:

«In canti e inni loda, Sion, il Salvatore; loda la tua guida e il tuo pastore {Lauda, Sion, salvatorem, / lauda ducem et pastorem I in hymnis et canticis)».

«Tanto ardisci, quanto puoi: egli supera ogni lode, né tu mai sarai capace di lodarlo quanto basta (Quantum potes, tantum aude; / quia maior omni laude, I nec laudare suf-fìcis)».

«L'azione misteriosa di Chi ha la signoria dei popoli, il cui sangue èpretiosus, perché effuso in mundi pretium, viene subito messa in relazione con l'accoglienza della Madre, con ii fiat di Maria, con il gesto che rappresenta il miracolo della fede» (C. MARABELLI, Tommaso d'Aquino, poeta eucaristico, p. 478).

Pange, lingua, gloriosi corporis mysterìum, / sanguinisque pretiosi, quem in mundi pretium, / fructus ventris generosi rex effudit gentium)

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V

L'IMPLORAZIONE

1. La memoria dell'istituzione dell'Eucaristia e l'ado­razione del Corpo e del Sangue del Signore si accompa­gnano e si alternano negli Inni di san Tommaso con una intensa e calda implorazione:

«O vittima di salvezza, che spalanchi la porta del cielo: le guerre ostili premono, concedi tu la forza e arreca aiuto» {Verbum supernum)19.

«Ti chiediamo, o Dio trino e uno: come noi ti ono­riamo, così vieni a visitarci, e sulle tue vie sii guida alla mèta cui tendiamo: alla luce che tu inabiti (Te trina deitas unaque poscimus, / sic nos tu visita, sicut te colimus, / per tuas semitas due nos quo tendimus, I ad lucem quam inhabitas)» (Sacris sollemniis).

«O Gesù, Pastore buono, veramente pane, abbi di noi pietà: sii tu a pascolarci e a custodirci; facci tu vedere il bene nella terra dei viventi. Tu, che conosci tutto e tutto vali, che qui pasci noi mortali, rendi i tuoi commensali di quaggiù, i coeredi e i compagni dei santi cittadini (Bone pastor, panis vere, lesu nostri miserere, / tu nos pasce, nos tuere, I tu nos bona fac videre / in terra viventium. Il Tu qui cuncta

O salutaris bastia, I quae caeli pandis ostium; / bella premunt bostilia, I da robur, fer auxilium (Verbum supernum).

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scis et vales, /qui nos pascis hic mortalesj tuos ibi commensales,! coheredes et sodalesl fac sanctorum civium)» {Lauda, Sion).

2. Ma soprattutto nell'Adoro te devote la lode al Corpo e al Sangue del Signore mirabilmente si fonde in appas­sionata e lirica preghiera. La sacra dottrina del teologo, tutta intrisa di Scrittura, e la vena ispirata del poeta si fondono con la devozione accesa dell'orante, quasi con lo spasimo del mistico, che parla dall'abbondanza del cuore e che brama di vedere Cristo di là dai veli e dai nascondi­menti del sacramento. L'inno è stato definito «una di quelle composizioni armoniose e geniali, insieme ricche e semplici, che sono servite, più di molti libri, a formare la pietà cattolica»20. «Poema teologico»21, accuratamente strutturato nel ritmo e nelle assonanze, è, insieme, tutta una invocazione personale a Gesù nell'Eucaristia:

«Devotamente ti adoro, o verità nascosta, che ti celi veramente sotto queste forme. Il mio cuore tutto a te si sottomette, poi che a contemplarti si sente tutto venir meno {Adoro te deuote, latens ueritas, / te que sub bis formis uere latitas. Il Tibi se cor meum totum subicit, I quia te contem­plai totum deficit)».

3. La non visione di Cristo, che nell'Eucaristia è asso­luta, non deve attenuare l'adesione; la deve, anzi, accre­scere, suscitando l'abbandono confidente del ladro in

20A. WlLMART, La tradition littéraire et textuelle de /'Adoro te devoce, in Auteurs spiritueh et textes devoti du Moyen Age Latin. Eludei d'histoire littéraire, Études Augustiniennes, Paris 1971, p. 361.

21J.-P. TORRELL, 'Adoro te', p. 370.

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croce o la confessione dell'apostolo Tommaso, pur nella mancanza della constatazione e del contatto delle piaghe.

Le "assenze" dell'Eucaristia devono incrementare la fede, che dà inizio all'intimità divina, la speranza e l'a­more:

«Sulla croce era nascosta solo la divinità, ma qui è occulta anche l'umanità; e, pure, l'una e l'altra credendo e professando, chiedo quello che ha implorato il ladro penitente. Con Tommaso non ravviso le ferite, e tuttavia ti proclamo mio Dio. Fa' che sempre più io creda, che in te speri e che ti ami (In cruce latebat sola deitas, I sed hic latet simul et humanitas. Il Ambo nere credens atque confitens, I peto quod petiuit latro penitens. I Plagas sicut Thomas non intueor, / deum tamen meum te confiteor. Il Fac me libi semper magis credere, / in te spem habere, te diligere)».

L'Eucaristia è il memoriale della morte del Signore: la definizione di Tommaso diventa, come già sappiamo, una piissima esclamazione:

«O memoriale della morte del Signore, pane vivo e fonte di vita per l'uomo (0 memoriale mortis domini, I panis uiuus uitamprestans homini)».

4. Memoriale della morte e pane vivo, del quale si domanda di vivere per sempre e di gustare la dolcezza l'Eucaristia è anche sangue che fluisce dal petto squar­ciato di Gesù, assimilato a un pio pellicano e invocato a purificare dall'immondezza: un sangue tanto prezioso, di

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cui anche una sola goccia sarebbe bastata a salvare da ogni delitto il mondo intero.

«Donami di vivere sempre di te, e di non cessare mai

di assaporare la tua dolcezza (Presta michi semper de te

uiuere, I et te michi semper dulce sapere)».

«Pio pellicano, Gesù Signore, mondami col tuo san­gue nella mia impurità: una sua sola goccia basterebbe a salvare da ogni crimine il mondo intero (Pie pellicane, Ihesu domine, I me immundum munda tuo sanguine. Il Cuius una stilla saluum facere, / totum mundumposset omni scelere)».

5. Soprattutto gli ultimi devoti e commossi accenti rivolti personalmente a Cristo rivelano in tutto il suo incanto e la sua emozione la poesia eucaristica di san Tommaso teologo e mistico del Corpo e del Sangue del Signore. La tradizione non conosce accenti eucaristici più devoti e più belli di questi e si comprende perché la Chiesa li abbia assunti e ancora li usi per cantare la pro­pria adorazione e il proprio fervore.

«O Gesù, che ora scorgo ancor velato, quando si avvererà quello di cui ho tanta sete? Cioè di contemplarti apertamente e quindi di essere beato nella visione della tua gloria (Ihesu, quem uelatum nunc aspicio, / quando fiet illud quod tam sicio? I Vt te reuelata cernens facie, / uisu sim beatus tue glorie)».

D'altra parte, questi versi rivelano il senso e l'esito della teologia e del lavoro teologico di Tommaso, che nella conclusione della sua vita sentiva e giudicava tutti i

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suoi scritti come «paglia». Egli era impaziente che tutto ì'enuntiabile, tutto il "castello" dei concetti si convertisse e sfociasse alla «res», alla «Realtà». Ma questa è la sete di ogni credente, cui la Rivelazione, grazie allo Spirito, abbia confidato i «segreti di Dio»: lo prende l'accora­mento di vedere Cristo e in lui di vedere Dio. Com'è detto da Dante nella Commedia: «Che del disio di sé veder n'accora» (Purg. V, 57).

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INDICE

PREFAZIONE 5

CAPITOLO PRIMO

L'Eucaristia: «Memoria della Passione di Cristo», compimento e

vertice di tut t i i sacramenti 9

CAPITOLO SECONDO

Al principio dell'Eucaristia: L'istituzione e la signoria di Cristo. Il ministero ecclesiale in suo nome 19

CAPITOLO TERZO

Gli effetti dell'Eucaristia: La comunione

con la Passione di Cristo e l'unità della Chiesa 29

CAPITOLO QUARTO

La comunione spirituale 41

CAPITOLO QUINTO

La conversione Eucaristica e il modo di presenza di Cristo 51

CAPITOLO SESTO

Presenza in virtù del sacramento e comunione al calice 61

CAPITOLO SETTIMO

L'Eucaristia nel commento a Matteo:

Al principio l'istituzione di Gesù 65

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CAPITOLO OTTAVO

L'Eucaristia nel commento alla prima lettera ai Corinzi 77

CAPITOLO N O N O

L'Eucaristia nel commento di Tommaso a Giovanni 103

I - I pani moltiplicati: "Segno" del pane di vita 103

II - La fede: Comunione con Cristo cibo spirituale 109

III - Contro la mormorazione: L'attrazione del Padre

a Cristo 118

IV - La carne di Cristo: Pane vivo che viene dal cielo 126

V- Manducazione spirituale e manducazione sacramentale 134 VI - «Che cosa cercheremo di più?»: La fedeltà e la sequela 141

CAPITOLO DECIMO

Eucaristia e poesia in Tommaso d'Aquino 151

I - Il cuore della poesia eucaristica:

La Cena fraterna di Gesù 153

lì - Il mistero eucaristico e la sua teologia 156

III - La testimonianza dei sensi e la certezza della fede 159

IV - La lode e l'adorazione 161

V- L'implorazione 162

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