San Tommaso

72
Tommaso d'Aquino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Tommaso d'Aquino (disambigua) . « Donami, Signore Dio, la vita senza morte, il gaudio senza dolore, là dove c’è la somma libertà, la libera sicurezza, la sicura tranquillità, la gioconda felicità, la felice eternità, l’eterna beatitudine, la visione e la lode della verità, o Dio! Amen. » (Tommaso d'Aquino, Piae Preces, s.3) San Tommaso d'Aquino Beato Angelico : San Tommaso d'Aquino. Dottore della Chiesa Nascita 1225 Morte 7 marzo 1274 Venerato da Chiesa cattolica Canonizza zione 18 luglio 1323 da Papa Giovanni XXII Ricorrenz a 28 gennaio Attributi abito domenicano, libro, modellino di chiesa, sole raggiato sul petto Patrono d i Teologi , accademici , libr ai ,scolari , studenti ; della regione Campania e delle città di Aquino ,Grottaminarda , Monte San Giovanni

description

note su San Tommaso dal web

Transcript of San Tommaso

Page 1: San Tommaso

Tommaso d'AquinoDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

 Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Tommaso d'Aquino (disambigua).

« Donami, Signore Dio, la vita senza morte, il gaudio senza dolore, là dove c’è la somma libertà, la libera sicurezza, la sicura

tranquillità, la gioconda felicità, la felice eternità, l’eterna beatitudine, la visione e la lode della verità, o Dio! Amen. »

(Tommaso d'Aquino, Piae Preces, s.3)

San Tommaso d'Aquino

Beato Angelico: San Tommaso d'Aquino.

Dottore della Chiesa

Nascita 1225Morte 7 marzo 1274

Venerato da Chiesa cattolicaCanonizzazio

ne18 luglio 1323 da Papa Giovanni XXII

Ricorrenza 28 gennaioAttributi abito domenicano, libro, modellino di

chiesa, sole raggiato sul pettoPatrono di Teologi, accademici, librai,scolari, stu

denti; della regione Campania e delle città di Aquino,Grottaminarda, Monte San Giovanni Campano, Priverno

Tommaso d'Aquino (Roccasecca, 1225 – Fossanova, 7 marzo 1274) fu un frate domenicano, del tempo

della Scolastica, definito Doctor Angelicus dai suoi contemporanei. È venerato come santo dalla Chiesa

cattolica che dal 1567 lo considera anche dottore della Chiesa. È venerato come santo anche dalla Chiesa

luterana.

Tommaso rappresenta uno dei principali pilastri teologici e filosofici della Chiesa cattolica: egli è anche il punto di

raccordo fra la cristianità e lafilosofia classica, che ha i suoi fondamenti e maestri in Socrate, Platone e Aristotele,

Page 2: San Tommaso

e poi passati attraverso il periodo ellenistico, specialmente in autori come Plotino. Fu allievo di sant'Alberto Magno,

che lo difese quando i compagni lo chiamavano "il bue muto" dicendo: «Ah! Voi lo chiamate il bue muto! Io vi dico,

quando questo bue muggirà, i suoi muggiti si udranno da un'estremità all'altra della terra!»

Indice

  [nascondi]

1 Biografia

o 1.1 Da Montecassino a Napoli

o 1.2 Gli studi a Parigi e a Colonia (1245-1252)

o 1.3 Il primo periodo di insegnamento a Parigi (1252-1259)

o 1.4 Il primo ritorno in Italia (1259-1268)

o 1.5 Il secondo periodo di insegnamento a Parigi (1268-1272)

o 1.6 Gli ultimi anni e la morte

2 Il pensiero di Tommaso

o 2.1 Le cinque vie per dimostrare l'esistenza di Dio

o 2.2 Processo conoscitivo

o 2.3 La Creazione secondo Tommaso

3 Importanza ed eredità

4 Culto

5 Opere di San Tommaso

6 Opere di san Tommaso pubblicate

7 Note

8 Bibliografia

9 Voci correlate

10 Altri progetti

11 Collegamenti esterni

o 11.1 Biografia

o 11.2 Le sue opere

11.2.1 Summa Theologiae

o 11.3 Su Tomismo

Biografia [modifica]

Page 3: San Tommaso

San Tommaso dipinto dal Beato Angelico

Tommaso dei conti d'Aquino nacque nel 1225 a Roccasecca [1] , nel castello paterno situato nel feudo dei conti

d'Aquino, da Landolfo d'Aquino e da Donna Teodora, appartenente al ramo Rossi della famiglia napoletana dei

Caracciolo. La sua data di nascita non è certa, ma è calcolata in maniera approssimativa a partire da quella della

sua morte. Bernardo Gui, ad esempio, afferma che Tommaso è morto quando aveva compiuto i suoi

quarantanove anni e iniziato il suo cinquantesimo anno. Oppure, in un testo un po' anteriore, Tolomeo da Lucca fa

eco ad un'incertezza: «Egli è morto all'età di 50 anni, ma alcuni dicono 48». Tuttavia, oggi, sembra che ci sia

accordo nel fissare la sua data di nascita tra il 1224 e il 1225.

Da Montecassino a Napoli [modifica]

Secondo le usanze del tempo Tommaso, essendo il figlio più piccolo, era destinato alla vita ecclesiastica e proprio

per questo a soli cinque anni fu inviato come oblato nella vicina Abbazia di Monte Cassino, di cui suo zio

era abate, per ricevere l'educazione religiosa. In quegli anni l'abbazia si trovava in un periodo di decadenza e

costituiva una preda contesa dal Papa e dall'imperatore. Ma il trattato di San Germano, concluso tra il Papa

Gregorio IX e l'imperatore Federico II il 23 luglio 1230, inaugurava un periodo di relativa pace ed è proprio allora

che si può collocare l'ingresso di Tommaso nel monastero. In quel luogo Tommaso ricevette i primi rudimenti delle

lettere e fu iniziato alla vita religiosa benedettina. Ma a partire dal 1236 la calma di cui godeva il monastero fu

nuovamente turbata e Landolfo, consigliato dal nuovo abate, Stefano di Corbario, volle mettere al riparo il figlio dai

disordini e inviò Tommaso, oramai adolescente, a Napoli, perché potesse seguire degli studi più approfonditi. Così

nell'autunno del 1239, a quattordici o quindici anni, Tommaso si iscrisse al nuovo Studium generale, l'Università

degli studi fondata nel 1224 da Federico II per formare la classe dirigente del suo Impero.

Page 4: San Tommaso

Fu proprio a Napoli, dove nel 1231 era stato fondato un convento, che Tommaso conobbe i Domenicani, ordine in

cui entrò a far parte e in cui fece la sua vestizione nell'aprile del 1244.

Ma l'ingresso di Tommaso presso i Frati predicatori comprometteva definitivamente i piani dei suoi genitori

riguardo al suo futuro incarico di abate di Montecassino. Così la madre inviò un corriere ai suoi figli, che in quel

periodo stavano guerreggiando nella regione di Acquapendente, perché intercettassero il loro fratello e glielo

conducessero. Essi, accompagnati da un piccolo drappello, catturarono facilmente il giovane religioso, lo fecero

salire su di un cavallo e lo condussero al Castello di Monte San Giovanni Campano, un castello di famiglia, per poi

condurlo a Roccasecca. Qui tutta la famiglia tentò di far cambiare idea a Tommaso, ma inutilmente. Tuttavia

bisogna precisare che egli non fu né maltrattato né rinchiuso in qualche prigione, si trattava piuttosto di un

soggiorno obbligato, in cui Tommaso poteva entrare e uscire a piacimento e anche ricevere visite. Ma prendendo

atto che Tommaso era ben saldo nella sua risoluzione, la sua famiglia lo restituì al convento di Napoli nell'estate

del 1245.

Gli studi a Parigi e a Colonia (1245-1252) [modifica]

I Domenicani di Napoli ritennero che non fosse sicuro trattenere presso di loro il novizio e lo inviarono a Roma

dove si trovava il maestro dell'Ordine, Giovannni Teutonico, il quale stava per partire alla volta di Parigi, dove si

sarebbe celebrato il Capitolo generale del 1246. Egli accolse Tommaso inviandolo prima a Parigi e poi a Colonia,

dove c'era un fiorente Studium generale sotto la direzione di fra Alberto (il futuro sant'Alberto Magno), maestro in

teologia, il quale era ritenuto sapiente in tutti i campi del sapere.

Nell'autunno del 1245 Tommaso, al seguito di Giovanni Teutonico, si sarebbe dunque messo in viaggio per Parigi

e vi avrebbe trascorso gli anni 1246-1247 e la prima parte del 1248, cioè tre anni scolastici. Qui potrebbe aver

studiato le arti, sia in facoltà che in convento[2].

Nel 1248 partì per Colonia con fra' Alberto, presso il quale continuò il suo studio della teologia e il suo lavoro di

assistente. Il soggiorno di Tommaso a Colonia, al contrario di quello a Parigi, non è mai stato messo in dubbio,

poiché è ben testimoniato dalle fonti. Il 7 giugno 1248 il capitolo generale dei Domenicani riunito a Parigi decise la

creazione di uno studium generale a Colonia, città nella quale esisteva già un convento domenicano fondato

nel 1221-1222 da fra' Enrico, compagno di Giordano di Sassonia. L'incarico di insegnare venne affidato a fra

Alberto, la cui reputazione in quel periodo era già notevole. Questo soggiorno a Colonia costituì una tappa

decisiva nella vita di Tommaso. Per quattro anni, dai 23 ai 27 anni, Tommaso poté assimilare profondamente il

pensiero di Alberto. Un esempio di questa influenza lo troviamo nell'opera nota con il nome di Tabula libri

Ethicorum, la quale si presenta come un lessico le cui definizioni sono molto spesso delle citazioni quasi letterali di

Alberto.

Il primo periodo di insegnamento a Parigi (1252-1259) [modifica]

Quando il Maestro Generale dei Domenicani domandò ad Alberto di indicargli un giovane teologo che potesse

essere nominato baccelliere per insegnare a Parigi, Alberto gli propose Tommaso che stimava sufficientemente

preparato in scentia et vita. Sembra che Giovanni Teutonico abbia esitato per via della giovane età del prescelto,

27 anni, perché secondo gli statuti dell'Università egli avrebbe dovuto averne 29 per poter assumere

canonicamente quest'impegno. Fu grazie alla mediazione del cardinale Ugo di Saint-Cher che la richiesta di

Page 5: San Tommaso

Alberto fu esaudita e Tommaso ricevette quindi l'ordine di recarsi subito a Parigi e di prepararsi a insegnare. Egli

iniziò il suo insegnamento come baccelliere nel settembre di quello stesso anno, cioè del 1252, sotto la

responsabilità del maestro Elia Brunet de Bergerac che occupava il posto lasciato vacante a causa della partenza

di Alberto. A Parigi Tommaso trovò un clima intellettuale meno tranquillo di quello di Colonia. Ancora nel 1250 era

vietato commentare i libri di Aristotele, ma tra il 1252 e il 1255, durante la prima parte del soggiorno di Tommaso,

la Facoltà delle Arti avrebbe finalmente ottenuto il permesso di insegnare pubblicamente tutti i libri del grande

filosofo greco.

Il primo ritorno in Italia (1259-1268) [modifica]

Tra il 1259 e il 1268 fu nuovamente in Italia, impegnato nell'insegnamento e nelgli scritti teologici: fu prima

assegnato a Orvieto, come lettore, vale a dire responsabile per la formazione continua della comunità. Qui ebbe il

tempo per completare la stesura della Summa contra Gentiles (iniziata nel 1258) e della Expositio super Iob ad

litteram (1263-1265).

Tra il 1265 e il 1268 è inviato a Roma come maestro reggente. Durante il suo soggiorno, assegnato alla

formazione intellettuale di giovani dominicani, Tommaso cominciò a scrivere la Summa Theologica e compilò

numerosi altri scritti su varie questioni economiche, canoniche e morali. Durante questo periodo, ebbe

l'opportunità di lavorare con la corte papale (che non era residente a Roma).

Il secondo periodo di insegnamento a Parigi (1268-1272) [modifica]

Nel secondo periodo di insegnamento a Parigi (1268-1272), la sua occupazione principale fu l'insegnamento della

Sacra Pagina e proprio a questo periodo risalgono alcune delle sue opere più celebri, come i commenti alla

Scrittura e le Questioni Disputate. Anche se i commenti al Nuovo Testamento restano il cuore della sua attività,

egli si segnala anche per la varietà della sua produzione, come ad esempio la scrittura di diversi brevi scritti (come

ad esempio il De Mixtione elementorum, il De motu cordis, il De operationibus occultis naturae...) e per la

partecipazione alle problematiche del suo tempo: che si tratti di secolari o dell'averroismo vediamo Tommaso

impegnato su tutti i fronti. A questa multiforme attività bisogna aggiungere un ultimo tratto: Tommaso è anche il

commentatore di Aristotele. Tra queste opere ricordiamo: l' Expositio libri Peryermenias, l' Expositio libri

Posteriorum, la Sententia libri Ethicorum, la Tabula libri Ethicorum, il Commento alla Fisica e alla Metafisica. Vi

sono poi anche delle opere incompiute, come la Sententia libri Politicorum, il De Caelo et Mundo, il De

Generatione et corruptione, il Super Meteora.

Gli ultimi anni e la morte [modifica]

Nella primavera del 1272 Tommaso lasciò definitivamente Parigi e poco dopo la Pentecoste di quello stesso anno

(12 giugno 1272) il capitolo della provincia domenicana di Roma gli affidò il compito di organizzare

uno Studium generale di teologia, lasciandolo libero di scegliere il luogo, le persone e il numero degli studenti. Ma

la scelta di Napoli era già stata designata da un precedente capitolo provinciale ed è anche verosimile che Carlo I

d'Angiò abbia fatto pressione perché venisse scelta la sua capitale come sede e che a capo di questo nuovo

centro di teologia venisse insediato un maestro di fama.

Il 29 settembre 1273 egli partecipò al capitolo della sua provincia a Roma in qualità di definitore. Ma alcune

settimane più tardi, mentre celebrava la messa nella cappella di San Nicola, Tommaso ebbe una sorprendente

Page 6: San Tommaso

trasformazione e dopo questa messa non scrisse e non dettò più nulla e si sbarazzò persino degli strumenti per

scrivere. A Reginaldo da Piperno, che non comprendeva ciò che accadeva, Tommaso rispose dicendo: «Non

posso più. Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho visto».

Alla fine di gennaio o all'inizio di febbraio del 1274 Tommaso e il suo socius si misero in viaggio per partecipare

al Concilio che Gregorio X aveva convocato per il 1º maggio 1274 a Lione. Dopo qualche giorno di viaggio

arrivarono al castello di Maenza dove abitava sua nipote Francesca. È qui che si ammalò e perse del tutto

l'appetito. Dopo qualche giorno, sentendosi un po' meglio, tentò di riprendere il cammino verso Roma, ma dovette

fermarsi all'abbazia di Fossanova per riprendere le forze. Tommaso sopravvisse a Fossanova per qualche tempo

e tra il 4 o 5 marzo, dopo essersi confessato da Reginaldo, ricevette il viatico e pronunciò, com'era consuetudine,

la professione di fede eucaristica. Il giorno successivo ricevette l'unzione dei malati, rispondendo alle preghiere del

rito. Morì di lì a tre giorni, mercoledì 7 marzo 1274, alle prime ore del mattino dopo aver ricevuto il Corpo del

Signore[3].

Le spoglie di Tommaso d'Aquino sono conservate nella chiesa domenicana detta Les Jacobins a Tolosa. La

reliquia della mano destra, invece, si trova a Salerno, nella chiesa di San Domenico mentre l'insigne reliquia del

suo cranio si trova custodita e venerata nella Basilica Cattedrale di Priverno.

Il pensiero di Tommaso [modifica]

Ritratto di Tommaso ad opera di Fra Bartolomeo

Per Tommaso l'anima è creata "a immagine e somiglianza di Dio" (come dice la Genesi), unica, immateriale (priva

di volume, peso ed estensione) non localizzata in un punto particolare del corpo, trascendente come Dio e come

Lui in una dimensione al di fuori dello spazio e del tempo in cui sono il corpo e gli altri enti. L'anima è tota in toto

corpore, contenuta interamente in ogni parte del corpo, e in questo senso legata ad esso indissolubilmente.

Secondo Tommaso:

Page 7: San Tommaso

« fede e ragione si possono conciliare, anzi, la ragione serve agli esseri umani per interrogarsi anche su alcuni enigmi di fede. Lo

scopo della fede e della ragione è lo stesso, se poi la ragione si trova in contrasto con la fede deve cedere a questa. »

Le cinque vie per dimostrare l'esistenza di Dio [modifica]

La certezza inoppugnabile che Dio esista ci è data dalla fede, ma la ragione ha il suo percorso che prepara

l'adesione libera dell'intelletto e della volontà dell'intera persona umana rendendo plausibile, credibile l'adesione al

Dio che si rivela. Ma tra i grandi pensatori cristiani si sono elaborati diversi percorsi razionali: mentre Anselmo

d'Aosta, sulla scia neoplatonica di Agostino d'Ippona procedeva sia a simultaneo, cioè dal concetto stesso di Dio,

da lui ritenuto id quo maius cogitari nequit (nel Proslogion, cap.2.3), sia a posteriori (nel Monologion) per

dimostrare l'esistenza di Dio, l'unico modo per arrivarci, secondo Tommaso, consiste nel procedere a posteriori:

partendo cioè dagli effetti, dall'esperienza sensibile, che è la prima a cadere sotto i nostri sensi, per dedurne

razionalmente la sua Causa prima. Si tratta di quella che chiama demonstratio quia[4], cioè, appunto dagli effetti, il

cui risultato è ammettere necessariamente che esista il punto d'arrivo della dimostrazione, anche se non è

pienamente intelligibile, come in questo caso, ed in altri, il perché (demonstratio quid, es. i sillogismi: le premesse

esprimono proprietà che sono cause della conclusione: «Ogni uomo è mortale; ogni ateniese è uomo; ogni

ateniese è mortale": essere uomo e mortale è necessaria causa della mortalità di ogni ateniese)»

Sulla base di questo sfondo di pensiero Tommaso espone le sue prove dell'esistenza di Dio, non a caso chiamate

in latino viae, cioè "percorsi", "cammini" presi come esempi di largo respiro[5]. Tutte e cinque, con piccole

variazioni, seguono questa struttura: 1) constatazione di un fatto in rerum natura, nell'esperienza sensibile

ordinaria (movimento inteso come trasformazione; causalità efficiente subordinata; inizio e fine dell'esistenza degli

esseri generabili e corruttibili, perciò materiali, contingenti nel suo vocabolario, che quindi possono essere e non

essere; gradualità degli esseri nelle perfezioni trascendentali, come bontà, verità, nobiltà ed essere stesso; finalità

nei processi degli esseri non intelligenti); 2) analisi metafisica di quel dato iniziale esperienziale alla luce del

principio metafisisco di causalità, enunciato in varie formulazioni ("Tutto ciò che si muove è mosso da un altro"; "E'

impossibile che una cosa sia causa efficiente di sé stessa"; "Ora, è impossibile che tutte di tal natura siano state

sempre, perché ciò che può non essere un tempo non esisteva"; "Ma il grado maggiore o minore si attribuiscono

alle diverse cose secondo che si accostano di più o di meno a qualcosa di sommo o di assoluto"; "Ora, ciò che è

privo di intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente"); 3)

impossibilità di un regressus in infinitum inteso in senso metafisico, non quantitativo, perché ciò renderebbe

inintelligibile, inspiegabile pienamente il dato di fatto di partenza esistente ("Ora, non si può in tal modo procedere

all' infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore..."; "Ma

procedere all' infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente; e così non avremmo

neppure l' effetto ultimo, né le cause intermedie..."; "Dunque non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che

nella realtà ci sia qualcosa di necessario. Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la causa della sua necessità in un

altro essere oppure no. D'altra parte [in questo genere di esseri] non si può procedere all'infinito..."; questo

passaggio manca, per la sua evidenza agli occhi dell' Aquinate manca nella quarta via e nella quinta via, si passa

direttamente alla conclusione; 4) conclusione deduttiva strettamente razionale (senza nessuna cogenza di fede)

che identifica il 'conosciuto' sotto quel determinato aspetto con quello "che tutti chiamano Dio", o espressioni simili

("Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è

Dio"; "Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio"; "Dunque bisogna

Page 8: San Tommaso

concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario e non tragga da altri la propria necessità, ma sia

causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio"; "Ora ciò che è massimo in un dato genere è causa di tutti

gli appartenenti a quel genere, come il fuoco, caldo al massimo, è causa di ogni calore, come dice lo stesso

Aristotele. Dunque vi è qualcosa che per tutti gli enti è causa dell' essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E

questo chiamiamo Dio"; "Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate

ad un fine: e quest'essere chiamiamo Dio".

I cinque percorsi indicati da San Tommaso sono:

Ex motu et mutatione rerum (tutto ciò che si muove esige un movente primo perché, come insegna Aristotele

nella Metafisica: "Non si può andare all'infinito nella ricerca di un primo motore");

Ex ordine causarum efficientium (cioè "dalla causa efficiente", intesa in senso subordinato, non in senso

coordinato nel tempo. Tommaso non è, per sola ragione, in grado di escludere la durata indefinita nel tempo

di un mondo creato da Dio, la cosiddetta creatio ab aeterno: ogni essere finito, partecipato, dipende nell'

essere da un altro detto causa; necessità di una causa prima incausata);

Ex rerum contingentia (cioè "dalla contingenza". Nella terminologia di Tommaso la generabilità e corruttibilità

sono prese come segno evidente della possibilità di essere e non essere legata alla materialità, sinonimo, nel

suo vocabolario di "contingenza", ben diverso dall' uso più comune, legato ad una terminologia avicenniana,

dove "contingente" è qualsiasi realtà che non sia Dio. Tommaso, in questa argomentazione della Summa

Theologiae distingue attentamente il necessario dipendente da altro (anima umana e angeli) e necessario

assoluto (Dio).L' esistenza di esseri generabili e corruttibili è in sè insufficiente metafisicamente, rimanda ad

esseri necessari, dapprima dipendenti da altro, quindi ad un essere assolutamente necessario);

Ex variis gradibus perfectionis (le cose hanno diversi gradi di perfezioni, intese in senso trascendentale, come

verità, bontà, nobiltà ed essere, sebbene sia usato un 'banale' esempio fisico legato al fuoco ed al calore; ma

solo un grado massimo di perfezione rende possibile, in quanto causa, i gradi intermedi);

Ex rerum gubernatione (cioè "dal governo delle cose": le azioni di realtà non intelligenti nell'universo sono

ordinate secondo uno scopo, quindi, non essendo in loro quest'intelligenza, ci deve essere un'intelligenza

ultima che le ordina così).

Processo conoscitivo [modifica]

Tommaso, che riteneva la conoscenza acquisibile solo attraverso la sensibilità, rifiuta la visione della conoscenza

di Agostino, che pensava che questa avvenisse tramite l'illuminazione divina.

La conoscenza degli universali però appartiene solo alle intelligenze angeliche; noi, invece, conosciamo gli

universali post-rem, ossia li ricaviamo dalla realtà sensibile. Soltanto Dio conosce ante rem.

La conoscenza è, quindi, un processo di adeguamento dell'anima o dell'intelletto e della cosa, secondo una

formula che dà ragione del sofisticato platonismo di Tommaso:

(LA)

« Veritas: Adaequatio intellectus ad rem. Adaequatio rei ad

intellectum. Adaequatio intellectus et rei. »

(IT)

« Verità: Adeguamento dell'intelletto alla cosa. Adeguamento della cosa all'intelletto. Adeguamento dell'intelletto e della

cosa. »

(Tommaso d'Aquino[6])

Page 9: San Tommaso

La Creazione secondo Tommaso [modifica]

Tommaso spiega che l'uomo non può stabilire se il mondo è infinito o se è stato creato dal nulla, poiché queste

tesi riguardano l'ambito della fede e non è possibile arrivarci razionalmente, l'uomo può solo rifarsi alle verità

rivelate che dicono che l'universo ha effettivamente un punto zero dal quale è nato.

Nelle opere di Tommaso l'universo (o cosmo) ha una struttura rigorosamente gerarchica: posto al vertice da Dio

che viene posto come al di là della fisicità, governa da solo il mondo al di sopra di tutte le cose e gli enti; al di sotto

di Dio troviamo gli angeli (forme pure e immateriali) ai quali Tommaso attribuisce la definizione di intelligenze

motrici dei cieli anche esse ordinate gerarchicamente tra di loro; poi un gradino più in basso troviamo l'uomo,

posto al confine tra il mondo delle sostanze spirituali e il regno della corporeità, in ogni uomo infatti si ha l'unione

del corpo (elemento materiale) con l'anima intellettiva (ovvero la forma, che secondo Tommaso costituisce l'ultimo

grado delle intelligenze angeliche), l'uomo è l'unico ente in contatto sia con il mondo fisico, sia con il mondo

spirituale. Tommaso crede che la conoscenza umana cominci con i sensi, l'uomo non avendo il grado di

intelligenza degli angeli non è in grado di apprendere direttamente gli intelligibili, ma può apprendere solamente

attribuendo alle cose una forma e quindi solamente grazie all'esperienza sensibile.

Un'altra facoltà necessaria che caratterizza l'uomo è la sua tendenza a realizzare pienamente la propria natura

ovvero compiere ciò per cui è stato creato. Ciascun uomo infatti corrisponde all'idea divina su cui è modellato di

cui l'uomo è consapevole e razionale, conscio delle proprie finalità, alle quali si dirige volontariamente avvalendosi

dell'uso dell' intelletto (l'uomo prende le proprie decisioni sulla base di un ragionamento pratico con cui tra due

beni sceglie sempre quello più consono al raggiungimento del suo fine).

Al di sotto dell'uomo troviamo le piante e le varie molteplicità degli elementi.

Importanza ed eredità [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Tomismo.

Page 10: San Tommaso

San Tommaso d'Aquino, ritratto di Carlo Crivelli

San Tommaso fu uno dei pensatori più eminenti della filosofia Scolastica, che verso la metà del XIII secolo aveva

raggiunto il suo apogeo. Egli indirizzò diversi aspetti della filosofia del tempo: la questione del rapporto tra fede e

ragione, le tesi sull'anima (in contrapposizione ad Averroè), le questioni sull'autorità della religione e della teologia,

che subordina ogni campo della conoscenza.

Tali punti fermi del suo pensiero furono difesi da diversi suoi seguaci successivi, tra i quali Reginaldo di

Piperno, Tolomeo da Lucca, Giovanni di Napoli, il domenicano francese Giovanni Capreolus e Antonino di

Firenze. Infine però, con la lenta dissoluzione della Scolastica, si ebbe parallelamente anche la dissoluzione

del Tomismo.

Oggigiorno il pensiero di Tommaso d'Aquino trova ampio consenso anche in ambienti non cattolici

(studiosi protestanti statunitensi, ad esempio) e perfino non cristiani, grazie al suo metodo di lavoro, fortemente

razionale ed aperto a fonti e contributi di ogni genere: la sua indagine intellettuale procede dalla Bibbia agli

autori pagani, dagli ebrei ai musulmani, senza alcun pregiudizio, ma tenendo sempre il suo centro nella

Rivelazione cristiana, alla quale ogni cultura, dottrina o autore antico faceva capo.

Il suo operato culmina nella Summa Theologiae (cioè "Il complesso di teologia"), in cui tratta in maniera

sistematica il rapporto fede-ragione ed altre grandi questioni teologiche.

Agostino vedeva il rapporto fede-ragione come un circolo ermeneutico (dal greco ermeneuo, cioè "interpreto") in

cui credo ut intelligam et intelligo ut credam (ossia "credo per comprendere e comprendo per credere"). Tommaso

porta la fede su un piano superiore alla ragione, affermando che dove la ragione e la filosofia non possono

proseguire inizia il campo della fede ed il lavoro della teologia. Dunque, fede e ragione sono certamente in circolo

ermeneutico e crescono insieme sia in filosofia che in teologia. Mentre però la filosofia parte da dati

Page 11: San Tommaso

dell'esperienza sensibile o razionale, la teologia inizia il circolo con i dati della fede, su cui ragiona per credere con

maggiore consapevolezza ai misteri rivelati. La ragione, ammettendo di non poterli dimostrare, riconosce che essi,

pur essendo al di sopra di sé, non sono mai assurdi o contro la ragione stessa: fede e ragione, sono entrambe

dono di Dio e non possono contraddirsi. Questa posizione esalta ovviamente la ricerca umana: ogni verità che io

posso scoprire non minaccerà mai la Rivelazione anzi, rafforzerà la mia conoscenza complessiva dell'opera di Dio

e della Parola di Cristo. Si vede qui un esempio tipico della fiducia che nel Medioevo si riponeva nella ragione

umana. Nel XIV secolo queste certezze andranno in crisi, coinvolgendo l'intero impianto culturale del periodo

precedente.

La teologia, in ambito puramente speculativo, rispetto alla tradizione classica, è considerata una forma inferiore di

sapere, poiché usa le armi della filosofia senza partire da qualcosa che abbia la forza della necessità filosofica, ma

Tommaso fa notare, citando Aristotele, che non si può mai dimostrare tutto (sarebbe necessario un processo

all'infinito), ed anche che si possono distinguere due tipi di scienze: quelle che esaminano i propri principi e quelle

che ricevono i principi da altre scienze, costruendo sopra di essi come su dati validi. La teologia, rivalutata, si

costruisce le basi della sua substantia. L'ideale, per uno spirito concreto come Tommaso, sarebbe superare la

fede e raggiungere la conoscenza ma, sui misteri fondamentali della Rivelazione, questo non è possibile nella vita

terrena del corpo. Avverrà nella vita eterna dello spirito.

Il sapere teologico è più elevato per l'importanza assoluta e fondamentale delle sue "ipotesi", da cui parte poi a

ragionare e sulle quali cresce il suo essere; esso è un moto a spirale della conoscenza che muove da un'ipotesi,

cioè un atto di fede, guardando Dio e l'eternità. Per l'uomo è più importante dei ragionamenti necessari che un

filosofo è riuscito a dimostrare. La filosofia è dunque ancilla theologiae e regina scientiarum, primo fra i saperi

delle scienze. Il primato del sapere teologico non è nel metodo, ma nei contenuti divini che affronta, per i quali è

sacrificabile anche la necessità filosofica.

Il punto di discrimine fra filosofia e teologia è la dimostrazione dell'esistenza di Dio; dei due misteri fondamentali

della Fede (Trinitario e Cristologico), la ragione può dimostrare solamente l'esistenza di Dio e che questo Dio non

può che essere Trinitario, il paradosso razionale, che la ragione non può spiegare: un Dio Uno e Trino. Il maggior

servizio che la ragione può fare alla fede è che dimostrare l'esistenza di un Dio non Trinitario è altrettanto

irrazionale quanto la sua affermazione, perché i motivi per non credere al Dio che emerge dal Nuovo

Testamento non sono maggiori di quelli che si hanno per credere ad un'altra divinità o per essere atei. La ragione

fornisce un secondo aiuto alla fede: mostrare che da questo mistero scaturiscono conseguenze non

contraddittorie fra loro (il mistero stesso è l'ipotesi-premessa razionale). La ragione non può entrare nella parte

storica dei misteri religiosi, può mostrare solo prove storiche che tal "profeta" è esistito, ma non che era Dio, e il

senso della Sua missione, che è appunto un dato, un fatto a cui si può credere o meno.

Il primato della teologia verrà fortemente discusso nei secoli successivi, ma sarà anche lo studio praticato da tutti i

filosofi cristiani nel Medioevo e oltre, tant'è che Pascal fece la sua famosa "scommessa" ancora nel XVII secolo.

La teologia era questione sentita dal popolo nelle sacre rappresentazioni, era il mondo dei medioevali e degli

zelanti studenti che attraversavano a piedi lepaludi di Francia per ascoltare le lectiones dell'Aquinate nella

prestigiosa Università della Sorbonne di Parigi, incontrandosi da tutta Europa .

Page 12: San Tommaso

Gli storici della filosofia richiamano l'attenzione anche sulla prevalenza dell'intelletto rispetto ad una prevalenza

della volontà nella vita intellettuale/spirituale dell'uomo. La prima è seguita da San Tommaso e dalla sua scuola,

mentre l'altra è propria di San Bonaventura e della scuola francescana. Per Tommaso il fine supremo è "vedere

Dio", mentre per Bonaventura fine ultimo dell'uomo è "amare Dio". Quindi per Tommaso la categoria più alta è "il

vero", mentre per Bonaventura è "il bene". Per ambedue però, "il vero" è anche "il bene", e "il bene" è anche "il

vero".

Il pensiero di Tommaso ebbe influenza anche su autori non cristiani, a cominciare dal famoso pensatore

ebreo Hillel da Verona.

A partire dal secondo Novecento poi il suo pensiero viene ripreso nel dibattito etico da autori cattolici e non,

quali Gertrude Elizabeth Margaret Anscombe, Alasdair MacIntyre, Philippa Ruth Foot.

Culto [modifica]

Fu canonizzato nel 1323 da papa Giovanni XXII. La sua memoria viene celebrata dalla Chiesa cattolica il 28

gennaio, la luterana, invece, lo ricorda l'8 marzo.

San Tommaso d'Aquino è patrono dei teologi, degli accademici, dei librai e degli studenti. È patrono della città e

della diocesi privernate.

L'11 aprile 1567 papa Pio V lo dichiarò dottore della Chiesa con la bolla Mirabilis Deus. Il 29 giugno 1923, nel VI

centenario della canonizzazione, papa Pio XI gli dedicò l'enciclica Studiorum Ducem.

Opere di San Tommaso

Sintesi teologiche

Scriptum super libros Sententiarum

Summa contra Gentiles

Summa Theologiae

Questioni disputate

Quaestiones disputatae de ueritate

Quaestiones disputatae De potentia

Quaestio disputata De anima

Quaestio disputata De spiritualibus creaturis

Quaestiones disputatae De malo

Quaestiones disputatae De uirtutibus

Quaestio disputata De unione uerbi incarnati

Quaestiones de Quodlibet I-XII

Commenti biblici

Expositio super Isaiam ad litteram

Super Ieremiam et Threnos

Principium “Rigans montes de superioribus” et “Hic est liber mandatorum Dei”

Page 13: San Tommaso

Expositio super Iob ad litteram

Glossa continua super Evangelia (Catena Aurea)

Lectura super Mattheum

Lectura super Ioannem

Expositio et Lectura super Epistolas Pauli Apostoli

Postilla super Psalmos

Commenti ad Aristotele

Sentencia Libri De anima

Sentencia Libri De sensu et sensato

Sententia super Physicam

Sententia super Meteora

Expositio Libri Peryermenias

Expositio Libri Posteriorum

Sententia Libri Ethicorum

Tabula Libri Ethicorum

Sententia Libri Politicorum

Sententia super Metaphysicam

Sententia super Librum De caelo et mundo

Sententia super Libros De generatione et corruptione

Altri commenti

Super Boetium De Trinitate

Expositio Libri Boetii De ebdomadibus

Super Librum Dionysii De divinis nomibus

Super Librum De Causis

Scritti polemici

Contra impugnantes Dei cultum et religionem

De perfectione spiritualis vitae

Contra doctrinam retrahentium a religione

De unitate intellectus contra Avveroistas

De aeternitate mundi

Trattati

De ente et essentia

De principiis naturae

Compendium theologiae seu brevis compilatio theologiae ad fratrem Raynaldum

De regno ad regem Cypri

De substantiis separatis

Page 14: San Tommaso

Lettere e pareri

De emptione et venditione ad tempus

Contra errores Graecorum

De rationibus fidei ad Cantorem Antiochenum

Expositio super primam et secundam Decretalem ad Archidiaconum Tudertinum

De articulis fidei et ecclesiae sacramentis ad archiepiscopum Panormitanum

Responsio ad magistrum Ioannem de Vercellis de 108 articulis

De forma absolutionis

De secreto

Liber De sortibus ad dominum Iacobum de Tonengo

Responsiones ad lectorem Venetum de 30 et 36 articulis

Responsio ad magistrum Ioannem de Vercellis de 43 articulis

Responsio ad lectorem Bisuntinum de 6 articulis

Epistola ad ducissam Brabantiae

De mixtione elementorum ad magistrum Philippum de Castro Caeli

De motu cordis ad magistrum Philippum de Castro Caeli

De operationibus occultis naturae ad quendam militem ultramontanum

De iudiciis astrorum

Epistola ad Bernardum abbatem casinensem

Opere liturgiche, prediche, preghiere

Officium de festo Corporis Christi ad mandatum Urbani Papae

Inno “Adoro Te”

Collationes in decem precepta

Collationes in orationem dominicam

in Symbolum Apostolorum

in salutationem angelicam

Opere di san Tommaso pubblicate [modifica]

Catena aurea, Glossa continua super Evangelia

vol. 1, Matteo, Bologna 2006

vol. 2, Matteo, Bologna 2007

vol. 3, Marco, Bologna 2007

Commento ai Libri di Boezio, Super Boetium De Trinitate, Expositio Libri Boetii De Ebdomadibus, Bologna,

1997

Commento ai Nomi Divini di Dionigi, Super Librum Dionysii de Divinis Nominibus

vol. 1, Bologna 2004

vol. 2, (comprende anche De ente et essentia), Bologna, 2004

Commento al Corpus Paulinum, Expositio et lectura super Epistolas Pauli Apostoli

Page 15: San Tommaso

vol. 1, Romani, Bologna 2004

vol. 2, 1 Corinzi, Bologna 2004

vol. 3, 2 Corinzi, Galati, Bologna, 2004

vol. 4, Efesini, Filippesi, Colossesi, Bologna, 2004

vol. 5, Tessalonicesi, Timoteo, Tito, Filemone, Bologna, 2004

vol. 6, Ebrei, Bologna, 2004

Commento al Libro di Giobbe, Bologna, 1995

Commento all' Etica Nicomachea di Aristotele, Sententia Libri Ethicorum, in 2 volumi, Bologna, 1998

Commento alla Fisica di Aristotele, Sententia super Physicorum

vol. 1, Bologna, 2004

vol. 2, Bologna, 2004

vol. 3, Bologna, 2005

Commento alla Metafisica di Aristotele, Sententia super Metaphysicorum

vol. 1, Bologna, 2004

vol. 2, Bologna, 2005

vol. 3, Bologna, 2005

Commento alla Politica di Aristotele, Sententia Libri Politicorum, Bologna, 1996, ISBN 88-7094-231-7

Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, Scriptum super Libros Sententiarum in 10 volumi, Bologna, Ed.

ESD, 2002

Compendio di teologia, Compendium theologiae, Bologna, 1995

I Sermoni e le due Lezioni inaugurali, Bologna, 2003

La conoscenza sensibile, Commenti ai libri di Aristotele: Il senso e il sensibile; La memoria e la reminiscenza,

Bologna, 1997

La perfezione cristiana nella vita consacrata, Bologna, 1995

La Somma contro i Gentili, Summa contra Gentiles

vol. 1, (traduzione Tito Centi), Bologna, 2000

vol. 2, (traduzione Tito Centi), Bologna, 2001

vol. 3, (traduzione Tito Centi), Bologna, 2001

La Somma Teologica, Summa Theologiae, in 35 volumi

La Somma Teologica, Summa Theologiae, in 6 volumi, Bologna, Ed. ESD

Le Questioni Disputate, Quaestiones Disputatae

vol. 1, La Verità, Bologna, 1992

vol. 2, La Verità, Bologna, 1992

vol. 3, La Verità, Bologna, 1993

vol. 4, L'anima umana, Bologna, 2001

vol. 5, Le virtù, Bologna, 2002

vol. 6, Il male, Bologna, 2002

Page 16: San Tommaso

vol. 7, Il male, Bologna, 2003

vol. 8, La potenza divina, Bologna, 2003

vol. 9, La potenza divina, Bologna, 2003

vol. 10, Questioni su argomenti vari, Bologna, 2003

vol. 11, Questioni su argomenti vari, Bologna, 2003

Logica dell'enunciazione, Commento al libro di Aristotele Peri Hermeneias, Expositio Libri Peryermenias,

Bologna, 1997

Opuscoli politici: Il governo dei principi, Lettera alla duchessa del Brabante, La dilazione nella compravendita,

Bologna, 1997

Opuscoli spirituali: Commenti al Credo, Padre Nostro, Ave Maria, Dieci Comandamenti, Ufficio e Messa per la

Festa del Corpus Domini, Le preghiere di san Tommaso, Lettera a uno studente, Bologna, 1999

Pagine di Filosofia: I principi della natura, De principiis naturae ad fratrem Silvestrum, sola trad. it., e antologia

ragionata e commentata di altri brani filosofici di antropologia, gnoseologia, teologia naturale, etica, politica e

pedagogia

Note [modifica]

1. ̂  M. Sgarbossa, 2000, pag. 63. Secondo alcune tesi, minoritarie, datate e di stampo localistico, san Tommaso

sarebbe nato a Belcastro. Fra queste, si segnalano quelle di fra' Giovanni Fiore da Cropani, storico calabrese

del XVII secolo, che lo scriveva nella sua opera Della Calabria illustrata, di Gabriele Barrio nella sua opera De

antiquitate et situ Calabriae e di padreGirolamo Marafioti, teologo dell'ordine dei Minori Osservanti, nella sua

opera Croniche ed antichità di Calabria.

2. ̂  Fino a pochi anni fa gli storici avevano dei dubbi sulla veridicità del soggiorno di Tommaso a Parigi nel

periodo immediatamente successivo a quello in cui la sua famiglia lo restituì all'Ordine. Dallo studio delle fonti,

Walz-Novarina e Pietro Calo concludono che il viaggio di Tommaso in compagnia di Giovanni Teutonico «...

senza essere certo, può considerarsi probabile... », ma erano più riservati circa la questione degli studi a

Parigi. Grandi eruditi come Denifle e De Groot si associano a questa opinione, ma altri come Mandonnet,

Chenu e Glorieux, osservano che il viaggio a Parigi non avrebbe avuto alcun senso se Tommaso non avesse

dovuto svolgervi i suoi studi, questo perché lo studium generale di Colonia non era funzionante prima del 1248,

data della sua apertura dovuta a fra Alberto al momento del suo ritorno in questa città.

3. ̂  Jean-Pierre Torrell, Amico della verità, p. 392

4. ̂  cfr. S. Th. I, q.2, a.2, c. e luoghi paralleli nei commenti aristotelici

5. ̂  Cf. Summa Theologiae, Iª q. 2 a. 3

6. ̂  Cf. Quaestio disputata de anima, a. 3 ad 1; Summa Theologiae, Iª q. 16 aa. 1-2.

Bibliografia [modifica]

Le Ragioni del Tomismo, Ares, Milano, 1979

Maria Cristina Bartolomei, Tomismo e Principio di non contraddizione, Cedam, Padova, 1973

Inos Biffi, La teologia e un teologo. San Tommaso d'Aquino, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL), [1984

Page 17: San Tommaso

Marie-Dominique Chenu , Introduzione allo studio di S. Tommaso d'Aquino, Libreria Editrice Fiorentina,

Firenze, 1953

Gilbert Keith Chesterton , Tommaso d'Aquino, Guida Editori, Napoli, 1992

Marco D'Avenia, La Conoscenza per Connaturalità, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1992

Cornelio Fabro , Introduzione a San Tommaso. La metafisica tomista e il pensiero moderno, Ares, Milano,

1997

Cornelio Fabro, La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d'Aquino, S.E.I., Torino, 1939

Marco Forlivesi, Conoscenza e Affettività. L'Incontro con l'essere secondo Giovanni di San Tommaso,

Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1993

Réginald Garrigou-Lagrange , La Sintesi Tomistica, Queriniana, Brescia, 1953

Alessandro Ghisalberti, Tommaso d'Aquino, in Enciclopedia Filosofica (diretta da V. Melchiorre), vol. XII,

11655-11691, Bompiani, Milano, 2006

(FR) Étienne Gilson, Saint Thomas Moraliste, J. Vrin, Parigi, 1974

(FR) Étienne Gilson, Realisme Thomiste et Critique de la Connaissance, J. Vrin, Parigi, 1947

(FR) Étienne Gilson, Le Thomisme. Introduction a la Philosophie de Saint Thomas d'Aquin, J. Vrin, Parigi,

1986

Marcello Landi, Un contributo allo studio della scienza nel Medio Evo. Il trattato Il cielo e il mondo di Giovanni

Buridano e un confronto con alcune posizioni di Tommaso d'Aquino, in Divus Thomas 110/2 (2007) 151-185

Dietrich Lorenz, I Fondamenti dell'Ontologia Tomista, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1992

Amato Masnovo, San Agostino e S. Tomaso, Vita e Pensiero, Milano, 1950

Ralph Mcinerny, L'analogia in Tommaso d'Aquino, Armando, Roma, 1999

Battista Mondin , Dizionario enciclopedico del pensiero di San Tommaso d'Aquino, Edizioni Studio

Domenicano, Bologna, 2002

Battista Mondin, Il Sistema Filosofico di Tommaso d'Aquino, Massimo, Milano, 1985

Vittorio Possenti , Filosofia e rivelazione, Città Nuova Editrice, Roma, 1999

Giacomo Samek Lodovici, La felicità del bene. Una rilettura di Tommaso d'Aquino, Edizioni Vita e Pensiero,

Milano, 2002

Giacomo Samek Lodovici, L'esistenza di Dio, Quaderni del Timone, 2005 ISBN 88-7879-009-5

(ES) Ramón Saiz-Pardo Hurtado, Intelecto-razón en Tomás de Aquino. Aproximación noética a la metafísica,

EDUSC, Roma, 2005

Juan José Sanguineti, La Filosofia del Cosmo in Tommaso d'Aquino, Ares, Milano, 1986

Fausto Sbaffoni, San Tommaso d'Aquino e l'Influsso degli Angeli, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1993

(EN) Robert Schimdt, The Domain of Logic According to Saint Thomas Aquinas, Martinus Nijhoff, The

Hague, NL, 1966

Rolf Schönberger, Tommaso d'Aquino, Il Mulino, Bologna, 2002

Mario Sgarbossa, I Santi e i Beati della Chiesa d'Occidente e d'Oriente, II edizione, Edizioni Paoline, Milano,

2000, ISBN 88-315-1585-3

Page 18: San Tommaso

Raimondo Spiazzi, O.P. San Tommaso d'Aquino: biografia documentata, Edizioni Studio Domenicano,

Bologna, 1997

Alfonso Tisi, San Tommaso d'Aquino e Salerno, Grafica Jannone-Salerno, Salerno, 1974

Jean-Pierre Torrell, Tommaso d'Aquino. Maestro spirituale, Città Nuova, Roma, 1998

Sofia Vanni Rovighi , Introduzione a Tommaso d'Aquino, Laterza, Bari, 2002

James Weisheipl, Tommaso d'Aquino. Vita, pensiero, opere, Jaca Book, Milano, 2003

Louis De Wohl , La Liberazione del Gigante

Michela Pereira, La filosofia nel Medioevo, Carocci, Roma, 2008.

Tommaso d'Aquino, De Magistro, a cura di Edda Ducci, Anicia, Roma, 1995

Jean-Pierre Torrell, Amico della verità. Vita e opere di Tommaso d'Aquino, Edizioni Studio Domenicano,

Bologna, 2006.

Giuseppe Barzaghi, La Somma Teologica di San Tommaso d'Aquino, in Compendio. Edizioni Studio

Domenicano, Bologna, 2009

Umberto Galeazzi, L'etica Filosofica in Tommaso D'Aquino: Dalla Summa Theologiae Alla Contra Gentiles per

Una Riscoperta Dei Fondamenti Della Morale Città Nuova, Roma, 1989.

Page 19: San Tommaso

TomismoDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Voce principale: Tommaso d'Aquino.

San Tommaso d'Aquino scrive ispirato dagli angeli

Il Tomismo è il pensiero filosofico di San Tommaso d'Aquino, da molti considerato il più significativo dell'età

medievale.

Secondo Tommaso:

« Fede e ragione si possono conciliare, anzi, la ragione serve agli esseri umani per interrogarsi anche su alcuni enigmi di fede. Lo

scopo della fede e della ragione è lo stesso, se poi la ragione si trova in contrasto con la fede deve cedere a questa. »

Indice

  [nascondi]

1 San Tommaso: allora ed ora

2 Il metodo della metafisica

o 2.1 I principi della metafisica

o 2.2 Il metodo elenchico

o 2.3 L'essere, il pensiero e il linguaggio

3 Un sistema filosofico

4 Le cinque vie di Tommaso e la metafisica

o 4.1 Le confutazioni di Kant

o 4.2 Le refutazioni alle confutazioni di Kant

5 La Trinità ed i misteri della fede

Page 20: San Tommaso

6 L'essere e gli enti

7 Causalità e Creazione

8 L'antropologia di san Tommaso

9 Etica

o 9.1 La natura dell'uomo

o 9.2 Il libero arbitrio e la morale

o 9.3 Liceità della pena di morte

10 La posizione sulla donna

11 La legge e la politica

12 Le posizioni economiche della Scolastica

13 Opere di San Tommaso d'Aquino

14 Note

15 Bibliografia

16 Voci correlate

17 Altri progetti

18 Collegamenti esterni

San Tommaso: allora ed ora [modifica]

San Tommaso d'Aquino fu uno dei pensatori più eminenti della filosofia scolastica, che verso la metà del XIII

secolo aveva raggiunto il suo apogeo. Egli indirizzò diversi aspetti della filosofia del tempo: la questione del

rapporto tra fede e ragione, le tesi sull'anima (in contrapposizione ad Averroè), le questioni sull'autorità della

religione e della teologia, che subordina ogni campo della conoscenza. Tali punti fermi del suo pensiero furono

difesi da diversi suoi seguaci successivi, tra i quali Reginaldo di Piperno, Tolomeo da Lucca, Giovanni di Napoli,

il domenicano francese Giovanni Capreolus  e Antonino di Firenze. Infine però, con la lenta dissoluzione della

Scolastica, si ebbe parallelamente anche la dissoluzione del Tomismo.

Oggigiorno il pensiero di Tommaso d'Aquino trova ampio consenso anche in ambienti

non cattolici (studiosi protestanti statunitensi, ad esempio) e perfino non cristiani, grazie al suo metodo di lavoro,

fortemente razionale ed aperto a fonti e contributi di ogni genere: la sua indagine intellettuale procede

dalla Bibbia agli autori pagani, dagli ebrei ai musulmani, senza alcun pregiudizio, ma tenendo sempre il suo centro

nella Rivelazione cristiana.

Il suo operato culmina nella Summa Theologiae (cioè "Il complesso di teologia"), in cui tratta in maniera

sistematica il rapporto fede-ragione ed altre grandi questioni teologiche.

Il metodo della metafisica [modifica]

La metafisica studia la realtà tutta secondo l'orizzonte più ampio possibile e non si occupa delle singole

determinazioni del reale, che sono oggetto delle scienze particolari, ma la studia in quanto tale.

« La scienza filosofica riguarda l'ente in quanto ente, cioè considera l'ente dal punto di vista della ratio universale di ente, e non

Page 21: San Tommaso

dal punto di vista della ratio specifica di qualche ente particolare. »

(Tommaso d'Aquino in Met. XI, l.3 n.1)

La realtà colta nella sua assolutezza ci rivela la sua struttura e i suoi principi che sono così evidenti da abbagliarci,

tanto che se è impossibile coglierne in modo completo la verità, è altrettanto impossibile non coglierla in modo

assoluto.

« Come gli occhi della nottola sono abbagliati dalla luce del sole che non riescono a vedere, ma vedono bene le cose poco

illuminate, così si comporta l'intelletto umano di fronte ai primi principi, che sono tra tutte le cose, per natura, le più manifeste. »

(Tommaso d'Aquino in Met. II, l.1 n.10)

Ecco perché lo studio della metafisica è facile e difficile allo stesso tempo. Facile perché i principi di cui tratta sono

ovvi e di per sé noti a tutti tanto da essere impliciti in ogni discorso umano. Difficile perché, per quanto siano ovvi,

questi principi non sono banali e non li si coglie mai in tutta la loro profondità.

« ...la nostra conoscenza è talmente debole che nessun filosofo ha mai potuto investigare in modo esaustivo la natura di una

singola mosca... »

(Tommaso d'Aquino in Symbolum, proemium)

I principi della metafisica [modifica]

La verità dei principi non si afferma da sola, ed è sempre colta in modo umano, ossia imperfetto; per questo al

filosofo è chiesta un'umile disposizione d'animo per accoglierla. Per cogliere questa verità nascosta non si può

partire da principi, perché sono proprio quelli che si stanno indagando, ma si deve fare

un'analisi fenomenologica della realtà e dell'esperienza dell'uomo per far emergere il non detto del detto, ossia ciò

che necessariamente si deve ammettere, anche solo implicitamente, perché quello che si dice sia un dire sensato.

Così come un illetterato può parlare correttamente la sua lingua pur non conoscendo le regole della grammatica, e

solo studiando la sintassi si rende conto delle regole che ordinano il suo parlare; regole che peraltro anche

ignorandole venivano da lui usate anche prima di conoscerle. Così tutti gli uomini nel loro pensiero e nel loro

parlare usano correttamente i principi della metafisica, almeno implicitamente, e il compito del filosofo è condurre

alla luce della ragione questi principi.

La grande forza della filosofia aristotelico - tomista è mettere in evidenza quei principi così innati nella ragione che,

essendo verissimi, è persino impossibile pensare di negarli, perché nel momento in cui li si nega ne si fa surrettizio

uso, e quindi li si riafferma.

« I principi innati nella ragione si dimostrano verissimi: al punto che non è neppure possibile pensare che siano falsi. »

(Tommaso d'Aquino in Contra Gentiles I, c.7 n.2)

Il metodo elenchico [modifica]

È da questa osservazione che nasce il famoso metodo confutativo (o elenchico), che confronta diverse tesi poste

nell'agone della dialettica per scartare quelle che si mostrano contraddittorie, o quelle che risultano estranee

all'esperienza.

I percorsi per invalidare una tesi metafisica sono, infatti, due:

Page 22: San Tommaso

nel primo si mostra l'intrinseca contraddittorietà di quegli assunti che implicano la negazione e l'affermazione

della stessa cosa nel medesimo tempo e sotto il medesimo aspetto;

nel secondo si evidenzia l'insostenibilità di tesi che non hanno riscontro nell'esperienza comune e che quindi,

non rientrando nell'indagine razionale, sono catalogabili come opinione o fede.

Il metodo confutativo procede per negazioni: scartando le dottrine contraddittorie e insostenibili fa emergere, come

una statua da un blocco di marmo, la verità, e perché la figura che viene a mano a mano emergendo sia ben

definita, bisogna ricercare tutte le tesi possibili per vagliarle e ottenere, per negazione, una verità sempre più

profonda.

In questa incessante ricerca non esiste un oggetto d'indagine perché chi ricerca si ritrova a studiare anche se

stesso, il suo pensiero e il suo linguaggio. È più corretto dire allora che la metafisica abbia un tema, un tema che è

come un orizzonte unico e ampio fino a comprendere tutto, la realtà e chi la indaga.

In proposito è bene ricordare che non è possibile separare acriticamente l'oggetto dal soggetto conoscente

giacché:

« uno e identico è l'atto del sentito e del senziente, »

(Tommaso d'Aquino in De Anima III, l.2 n.9)

per cui l'oggettività della cosa conosciuta, l'oggettività dell'oggetto, si risolve tutta nell'essere conosciuto, ossia

nell'esser presente, mentre la soggettività del soggetto si risolve tutta nella presenza dell'oggetto. Soggetto e

oggetto sono due concetti distinti ma non separabili, in quanto l'uno è tale grazie alla presenza dell'altro.

L'essere, il pensiero e il linguaggio [modifica]

L'essere, il pensiero e il linguaggio sono i poli del tema della metafisica, sono diversi modi di un'unica realtà, e

questo non perché si stabilisce arbitrariamente che il pensiero dell'uomo sia rivelatore della realtà, bensì perché

non è possibile che sia altrimenti. Il pensiero è sempre pensiero dell'essere, e l'essere è sempre colto nel

pensiero. Ipotizzare una dimensione alternativa, come per esempio l'esistenza di una realtà che fugga di per sé la

nostra conoscenza, è agli occhi del filosofo una tesi acritica e insostenibile in sede filosofica, essa può al massimo

essere considerata come opinione o fede.

« Se invero uno propone ad un altro cose che non sono incluse nei principi per sé noti, o che non appaiono chiaramente incluse,

non produrrà in lui sapere, ma forse opinione o fede »

(Tommaso d'Aquino in De Veritate, q.11 a.1 - co)

L'unità intenzionale di essere e pensiero è l'esperienza stessa, intesa come insieme di conoscenze, sentimenti,

cultura, vita e storia. L'esperienza è per questo un tema onnicomprensivo, circoscrivente e non circoscritto, tale da

escludere assolutamente che ci si possa porre al di fuori di essa.

Nello studio della metafisica non esiste un inizio privilegiato, proprio perché essa non ha un oggetto isolato di

indagine, ma un tema (e come tale non è possibile vederlo dal di fuori), non è possibile partire da principi e

dedurre conclusioni, come si usa invece fare con le scienze esatte. Ogni esperienza non ci si presenta mai in

modo di per sé concluso, ma la si coglie solo nel suo riferimento organico con tutte le altre esperienze.

Page 23: San Tommaso

L'identità di una singola cosa la si vede nella differenza dalle altre e la differenza tra le cose la si vede nell'identità

dei singoli; identità e differenza s'intendono solo dialetticamente e si semantizzano reciprocamente (Tommaso

d'Aquino in Met. X, l.4 nn.33-34). Tutte le singole cose si relazionano a tutto, ogni entità viene intesa nella

relazione con tutte le altre e all'uomo non è possibile esaurire la verità su di una cosa, perché questa coinvolge il

tutto. Se, per esempio, volessimo capire tutta la verità della Divina Commedia, non potremo esimerci dallo

studiare l'autore e il suo pensiero, e così ancora dovremo studiare il suo tempo e la mentalità della sua gente.

Quindi si dovrebbe recuperare tutta la storia precedente per capire come è potuto nascere un tale poeta, e la

storia successiva per vedere come ha influenzato la società, e così ogni nuovo elemento ne richiede un altro, in

una continua correlazione.

Un sistema filosofico [modifica]

Ma quando anche fossimo riusciti ad esaurire tutte le possibili relazioni della realtà, cosa impossibile vista la

nostra finitezza, e fossimo in grado di costruire un enorme e straordinario puzzle dove ogni pezzo s'incastra

perfettamente con gli altri, e l'insieme ci si rivelasse come un grandioso disegno di cui allora capiremmo, forse, il

senso, avremo allora finito le nostre domande? Potremmo dichiarare chiuso il problema della filosofia?

Assolutamente no. Perché quand'anche potessimo vedere l'insieme del puzzle, che è cosa ineseguibile essendo

noi stessi una tessera di quel puzzle, avremo risposto a tutte le domande del come, ma rimarrebbero insolute

quelle del perché. Perché questo disegno e non un altro? Perché questa realtà e non un'altra? Che cosa giustifica

questa realtà, che cosa le dà ragione di essere, se non può darsela da sola in modo esaustivo?

Queste domande arrivano per ultime nell'indagine filosofica, ma sono di per sé le prime, in quanto riguardano il

fondamento stesso della realtà. Dallo studio della realtà (in senso generico, lafisica), si arriva allo studio del suo

fondamento che sta oltre la realtà: la metafisica. Per condurre un discorso metafisico si può partire da qualunque

esperienza, ma se vogliamo insegnare la metafisica a qualcuno dovremo partire da esperienze che il discente

possa personalmente verificare. Come già visto la conoscenza dei principi è naturalmente insita nell'uomo e ogni

nuovo apprendimento viene allora da una conoscenza già acquisita anche se non pienamente in atto.

« I primi concetti dell'intelletto preesistono in noi come semi di scienza, questi sono conosciuti immediatamente dalla luce dell'intelletto agente dall'astrazione delle specie sensibili...in questi principi universali sono compresi, come germi di ragione,

tutte le successive cognizioni. »

(Tommaso d'Aquino in De Veritate, q.11 a.1 - co)

Uno dei migliori inizi per il discorso metafisico è quello che descrive un'esperienza accessibile e verificabile a tutti:

il processo di conoscenza e la sua espressione nel linguaggio. Non ci si aspetti però un discorso che parte da

principi e giunge a conclusioni, questo è il metodo delle scienze particolari, il filosofo deve invece partire

nell'esposizione da esperienze facilmente verificabili per introdurre una visione d'insieme della realtà che non può

essere dedotta ma intuita. Colui che ascolta, se vuole capire, deve inizialmente accettare come valide alcune

categorie di pensiero e alcune dimostrazioni, anche se la giustificazione è data in un secondo tempo. Questo

perché è più importante intendere, intuendo, l'insieme del discorso che capire ogni singola dimostrazione, la quale

dipende per la sua comprensione proprio dall'intero del sistema.

Lo sviluppo del sistema filosofico è sempre più dettagliato grazie all'esplorazione sempre più profonda della realtà,

e tutti i discorsi in questo sistema si legano tra loro con un'infinita serie di relazioni, quindi si può sostenere che la

Page 24: San Tommaso

validità del sistema è che sia rispondente all'esperienza e che tutto si tenga, ossia che non si contraddica

internamente.

Le cinque vie di Tommaso e la metafisica [modifica]

Tommaso propone dunque cinque vie[1] per dimostrare l'esistenza di Dio. Per rendere valide le argomentazioni,

Tommaso ricorre (in ordine) alle categorie aristoteliche di "potenza" e di "atto", alla nozione di "essere necessario"

e di "essere contingente" (desunta da Avicenna), ai gradi di perfezione (di stampo platonico) e alla presenza di

finalità negli esseri privi di conoscenza.

Prima via: Ex motu:

« [...] tutto ciò che si muove è mosso da un altro. [...] Perché muovere significa trarre qualcosa dalla potenza all'atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all'atto se non mediante un essere che è già in atto. [...] È dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto, una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova sé stessa. [...] Ora, non si può procedere all'infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore [...]. Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri;

e tutti riconoscono che esso è Dio. »

Seconda via: Ex causa:

« [...] in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa dell'intermedia e l'intermedia è causa dell'ultima [...] ora, eliminata la causa è tolto anche l'effetto: se dunque nell'ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe neanche l'ultima, né l'intermedia. Ma procedere all'infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente [...].

Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio. »

Terza via: Ex contingentia:

« [...] alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che cose di tal natura siano sempre state [...]. Se dunque tutte le cose [...] possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualcosa che è. [...] Dunque, non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario. [...] negli enti necessari che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere all'infinito [...]. Dunque, bisogna concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri.

E questo tutti dicono Dio. »

Quarta via: Ex gradu perfectionis:

« [...] il grado maggiore o minore si attribuisce alle diverse cose secondo che si accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto; [...] come dice Aristotele, ciò che è massimo in quanto è vero, è tale anche in quanto ente. Ora, ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere [...]. Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa

dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio. »

Quinta via: Ex fine:

« [...] alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine [...]. Ora, ciò che è privo d'intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo ed intelligente, come la freccia dell'arciere. Vi è

dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio. »

(Tommaso d'Aquino. Summa theologiae, I, questione 2, articolo 3)

Tommaso fornisce queste 5 prove dell'esistenza di Dio al culmine della metafisica, la disciplina nata nell'antichità

con l'intento di partire dalla physis (natura) per raggiungere induttivamente e per caratterizzare il mondo

immateriale ed invisibile. Forte è l'interesse di Tommaso per il mondo dei fenomeni e per le scienze (notiamo, che

Page 25: San Tommaso

ebbe anche fama di alchimista di valore: secondo alcuni, avrebbe potuto disporre, grazie al maestro Alberto

Magno, della pietra filosofale, ma si tratta di un accertato falso storico).

Però, ci avverte di non dare mai per assolutamente certe le teorie scientifiche, perché può sempre accadere che

gli uomini pensino a qualche nuova teoria, da nessuno elaborata prima. Si noterà, qui, la fiducia critica nella

ragione umana, che contraddistingue l'Aquinate: libertà di indagine, ma cautela nelle conclusioni.

Aristotele era giunto a concepire l'essere come pensiero di pensiero; essere che si pone pensando sé stesso,

superando il politeismo antico verso un monoteismo più vicino al nostro. Tommaso inizia una trattazione teologica

dell'essere, ritenendo questo compito un'opera che la ragione non può assolvere compiutamente. Si apre qui lo

spazio per l'esame di quanto la fede ci propone, come sussidio ed integrazione del lavoro puramente razionale:

Tommaso pensa che, in linea di principio, ragione e fede, provenienti entrambe da Dio, non possano mai essere in

contrasto tra loro.

Le cinque vie di san Tommaso costituiscono tuttora per la Chiesa Cattolica e per altri laici un argomento valido e

incontestato per giungere alla conoscenza di Dio.[2][3]

Le confutazioni di Kant [modifica]

Immanuel Kant argomentò che le cinque vie di san Tommaso sarebbero riconducibili alla prova

ontologica di sant'Anselmo d'Aosta, prova di cui lo stesso Kant avanzò una confutazione, sebbene anche

Tommaso l'avesse già a sua volta contestata: per Tommaso infatti la dimostrazione esclusivamente a priori di

Anselmo non sarebbe valida, perché l'uomo nelle sue conoscenze procede anche a posteriori.

Sono note tra l'altro varie refutazioni all'argomento di Kant (che comunque non si occupò mai delle cinque vie: egli

non le conosceva direttamente ma solo tramite le argomentazioni della tarda scolastica, filtrate attraverso Wolff).[4]

Le refutazioni alle confutazioni di Kant [modifica]

Le confutazioni di Kant si basavano in effetti sulla convinzione, da molti contestata, che l'esistenza non fosse una

proprietà autonoma, ma una copula ricavabile solo per via empirica: alcuni suoi contemporanei, tra

cui Fichte, Jacobi, Schelling, fecero notare che quella di Kant era un'instabile teoria della conoscenza, basata sulla

negazione (arbitraria) del realismo filosofico, che lo chiudeva nell'ambito fenomenico e impediva, ad esempio, di

usare il principio di causa nel suo valore ontologico. Per Fichte era illogico ammettere, come faceva Kant, che

l'intuizione intellettuale (strumento filosofico per eccellenza con cui poter dedurre l'essere dall'idea) non avesse

valore (cfr. Dottrina della scienza). Anche l'ultimo Schelling riformulò su queste basi la prova dell'esistenza di Dio,

per lui conoscibile tramite la reciprocità di filosofia negativa e filosofia positiva (cfr. La filosofia della rivelazione).

Hegel fu poi il più critico di tutti nei confronti di Kant, contestandogli di anteporre la critica della conoscenza alla

conoscenza stessa, creando una distinzione fasulla tra il conoscere l'oggetto e i modi del conoscere:

« Uno dei punti di vista capitali della filosofia critica è che prima di procedere a conoscere Dio, l'essenza delle cose, ecc., bisogni indagare la facoltà del conoscere per vedere se sia capace di adempiere quel compito [...] Voler conoscere dunque prima che si

conosca è assurdo, non meno del saggio proposito di quel tale Scolastico, d'imparare a nuotare prima di arrischiarsi nell'acqua. »

(Hegel)

Page 26: San Tommaso

C'è poi da aggiungere che la Chiesa cattolica non ha mai dato credito alla tesi kantiana secondo cui le prove di

San Tommaso sarebbero inconsistenti. Nell'ambito della neoscolastica, ad esempio, il teologo Alberto

Grammatico, contestando le confutazioni moderne che le erano state mosse (tra cui quella kantiana), riaffermò la

validità della dimostrazione tomista, da lui giudicata espressione di un "realismo metafisico" in opposizione alle

«varie avventure del pensiero contemporaneo germogliato dal nominalismo».

Al giorno d'oggi anche in ambito laico è stata rivalutata in particolare la quinta via di San Tommaso, ad esempio

dallo studioso Samek Lodovici, il quale ha inteso replicare alle obiezioni che le erano state mosse da Kant. Egli

spiega che per Kant il finalismo, riscontrabile nell'esperienza della realtà, poteva fare inferire l'esistenza di un

grande architetto, ma non quella di un creatore. Lodovici spiega però che «un ordinatore può solo agire

dall'esterno, mentre le attività finalizzate degli enti procedono, per così dire, dall'interno […]; solo un ordinatore che

abbia fatto le cose, cioè un Creatore, può determinare la costituzione intima di una cosa in modo che sia principio

di un agire finalizzato.»

La Trinità ed i misteri della fede [modifica]

Il Dio cristiano è Uno e Trino, ossia Dio è la comunione delle tre Persone nell'unica natura divina

(Padre, Figlio e Spirito Santo). Tommaso nota come il Padre esca continuamente fuori di sé inestasi, in

un'incontenibile esplosione di amore, rendendo il Figlio partecipe di tutto ciò che Dio ha creato; lo Spirito Santo è

la relazione di amore che lega il Padre al Figlio. Come l'Uno ineffabile diPlotino (Neoplatonismo), il Padre uscendo

fuori di sé diventa Uno-che-è, l'essere di pensiero che non avendo il bene fuori di sé (l'Uno è ineffabile e nemmeno

l'essere può vederlo o parlarne) pensa se stesso, divenendo pensiero di essere e infine (come diceva Aristotele)

pensiero di pensiero. Queste operazioni avvengono nell'eterno, dove non esiste tempo, dove non è differenza fra il

prima e il poi, e perciò non si deve confondere una priorità logico - ontologica con una temporale.

L'essere e gli enti [modifica]

La proprietà dell'essere è l'identità di unità-verità-bontà. Da ciò deriva che vi sono due cose che nemmeno Dio può

fare: Dio non può fare il male (è buono) e non può creare un altro Dio (è uno, ergo non possono esservene due).

Importante è anche che Dio non può mentire perché è vero (verità): a questo argomento ricorrerà Cartesio con i

suoi studi scolastici per dimostrare che il mondo davanti a noi è reale e non un'illusione, in quanto creazione di un

Dio che è verità e non può illuderci o mentirci.

Gli enti creati (fra cui l'uomo) sono in qualche modo lontani dall'essere con infiniti gradi di perfezione (partendo dal

più basso), non solo "sono meno" nelle singole attribuzioni, ma con infinite gradazioni viene anche a mancare la

relazione d'identità esatta fra verità, bontà, unità. Ci sono persone veramente malvagie, unitamente (senza

incoerenze interne) buone, ma non vere, ma per opportunismi, ecc.

Causalità e Creazione [modifica]

Se due enti hanno qualcosa in comune, esiste allora un ente che è loro causa. L'ente-causa ha poco o nulla in

comune con gli altri due enti che si ritengono un suo effetto. In essi causa-effetto non sono costruiti considerando

un solo effetto e una sola causa (fra due enti), ma fra tre: due "enti-effetto" e un terzo "ente-causa". La ragione

procede così a costruire non delle semplici catene causa-effetto, ma un albero ramificato in cui ogni nodo è causa

Page 27: San Tommaso

dei due enti sottostanti, suoi effetti. La causa non è un ente completamente distinto dai suoi effetti, con gli effetti e

fra loro anche la causa ha qualcosa in comune con i due effetti: due enti qualunque (anche di coordinate temporali

e/o spaziali diverse), anche se non hanno niente in comune, hanno quanto meno in comune di essere nella stessa

dimensione spaziale e temporale. In particolare, anche due enti di spazi ed epoche diverse a cui pensa un essere

cosciente sono, comunque, nello stesso spazio-tempo, sebbene solo nella sua mente; quando nessuno li pensa,

non sono proprio. Intuitivamente, se un ente è uguale a quello visibile, un istante dopo si pensa che si tratta dello

stesso ente; quanto maggiore è la diversità tanto più è ipotizzabile che quello che si manifesta per primo sia la

causa di quello successivo. La causa non è più definita dal precedere sempre un dato ente: diciamo che "A" causa

l'ente "B", se prima di "B" vediamo sempre manifestarsi "A"; si aggiunge una seconda condizione per definire un

ente come causa, che esso non ha poco o nulla in comune con gli altri due; e un'altra che si potrebbe raggruppare

con la precedente, nota come pensavano la "causa" gli antichi Greci, che la causa si dà se due enti hanno

qualcosa in comune (la causa è di due effetti). Un ente è causa d'altri quanto meno ha in comune con gli effetti.

Poiché l'essere è comune a tutti gli enti, non esiste un ente che sia causa dell'essere; la domanda "perché?"

dell'essere non può avere risposta, ossia non si può dire perché il mondo è così e non altrimenti.

Essendo l'essere comune a tutti gli enti, esso se deriva da qualcosa, non può che derivare da un non-ente, ovvero

dal nulla (che da Platone in poi è stato inteso in senso relativo anche dai filosofi che storicamente non poterono

accedere ai suoi scritti). L'alternativa, come pensava Aristotele, è ipotizzare che l'essere non abbia proprio una

causa e che il mondo esista da sempre.

Tommaso sostiene l'idea della Creazione per un motivo di fede (il racconto della Genesi), ma anche per un motivo

filosofico che è una prova a sostegno del dato di fede ed una forte convinzione personale: l'esistenza delle cause

seconde. Causa-effetto sono sinonimi di potenza-atto; parlare di cause seconde significa articolare la distinzione

aristotelica di potenza ed atto in potenza di una potenza, potenza di un atto, atto di una potenza, atto di un atto. La

potenza, come la definiva Aristotele, sarebbe potenza di un atto; quello che era chiamato "atto" è con maggior

precisione "atto di una potenza". La prima e l'ultima di queste, sono categorie ignorate dalla filosofia antica;

Tommaso estende la nozione di potenza ed atto in una che include le due categorie aristoteliche e va oltre

(aggiungendone altre due); propriamente non si dovrebbero più usare le parole "potenza" ed "atto", ma una delle

quattro categorie proposte. Il passaggio non è un vuoto cambio di parole, ma introduce due concetti che sono

sostanzialmente diversi da quelli di potenza ed atto aristotelici.

La Creazione è avvenuta una sola volta; soltanto Dio può creare; Dio può agire nel mondo soltanto creando;

ovvero il Creato non è dato una volta per tutte, ma la Creazione è continua, nel senso che in alcuni momenti (non

in ogni causa-effetto), Dio vi interviene creando.

In particolare, lo stato che precede la Creazione è potenza di potenza, non potenza come la definiva Aristotele; in

tale modo, col poter essere, è definibile una potenza che non è materia, e che può essere informe, essendo la

materia indissolubilmente legata alla forma per Aristotele come per Tommaso.

Potenza di potenza e atto di un atto sono due modi di essere, due stati, in cui atto e potenza (forma e materia) non

sono legati indissolubilmente. Entrambi dipendono dal fatto che potenza e atto possano esistere separatamente, e

uno implica quindi l'altro. Il primo afferma la possibilità del mondo di evolversi, e il secondo l'esistenza di Dio come

Atto puro.

Page 28: San Tommaso

Da notare è che il concetto di causa seconda che fonda l'idea di un mondo che evolve in modo indipendente (e

libero, nel caso dell'uomo) dalla causa prima che è Dio, è lo stesso che fonda la potenza di potenza e la

dipendenza del mondo da un Dio Creatore.

L'antropologia di san Tommaso [modifica]

L'antropologia tomista nasce dall'esigenza di conciliare la dottrina Platonico-Agostiniana dell'immortalità dell'anima

e di per sé sussistente, e la concezione aristotelica, che spiegava bene il sinolon di anima e corpo, ma, vista

secondo errate interpretazioni, poteva portare ad affermare la mortalità dell’anima. Averroè aveva provato a

superare questa difficoltà affermando che l’anima non è la forma razionale del corpo, perché l'intelletto, sia

passivo che attivo trascende il corpo ed è universale, unico per tutti gli uomini. In questo modo salvaguardava

l'immortalità dell'anima, ma finiva per annullare l'individualità dell'anima del singolo, e tale interpretazione era

contraria alla Bibbia, secondo la quale dopo il giudizio universale ogni anima si ricongiungerà col proprio corpo.

Tommaso risponde affermando che: se la forma è il principio che caratterizza la natura di un ente, e quindi anche

nelle sue specifiche facoltà, e se l'uomo è caratterizzato dal suo essere razionale e dalla sua facoltà intellettiva,

necessariamente la sua forma deve essere un principio intellettivo. L'anima è fortemente legata e relazionata al

corpo (e questo è dimostrato dal fatto che è lo stesso uomo quello che coglie i principi primi, le realtà intelligibili, e

contemporaneamente avverte i più bassi appetiti sensoriali), ma possiede un’esistenza autonoma e indipendente

dal corpo. A dimostrazione di questa duplice esistenza dell'anima (una legata al corpo, l'altra da esso

indipendente) Tommaso porta tre fatti: la reale constatazione del fatto che l'anima conosce tutti i corpi (ciò non

avverrebbe se fosse un ente reale e corporeo), la capacità di cogliere realtà immateriali o concetti universali, e la

capacità di configurarsi come autocoscienza. L'immortalità dell'anima è dimostrata dal fatto che essa è

caratterizzata dal desiderio di vita, e pertanto ogni desiderio presente sulla terra vi è stato posto da Dio, ed Egli

non ha creato nessun desiderio che non possa essere soddisfatto. Pertanto anche la "sete" di vita dell'anima deve

essere per forza soddisfatta. In questo modo, inoltre, conserva l'individualità della vita dopo la morte.

Ogni ente che si muove è mosso da altro, e nella natura non si ha un moto senza fine; al contrario, anche

in fisica ogni movimento è descritto da un vettore che ha intensità, direzione e verso e dunque pare avere un

qualche fine. Anche le traiettorie di comete ed astri, pur essendo ellittiche (senza verso, o meglio con una sua

inversione periodica), mantengono una direzione calcolabile e avranno una fine del loro movimento (prima o poi si

scaglieranno contro qualche corpo dell'universo). Anche alla luce di scoperte astronomiche posteriori a Tommaso

si è confermata l'impossibilità teorica e pratica del moto perpetuo.

Il fine è, per l'uomo, qualcosa di unico (l'uomo tende a porsi un solo obiettivo per volta) e di vero, almeno in

potenza, e completamente vero quando sarà atto raggiunto (poiché non ha senso che la ragione si dia obiettivi

velleitari e non raggiungibili). Dall'identità ampiamente dimostrata di uno, vero e buono, segue che il fine che è

unico e vero (in quanto raggiungibile) è anche il bene dell'uomo. Dunque, darsi degli obiettivi è una regola etica; il

problema del contenuto si limita alla scelta di obiettivi raggiungibili che siano veri. I mezzi che ogni io impiega per

raggiungere questo fine sono proporzionali a tale obiettivo e dunque l'"io" è un essere proporzionato al suo bene: il

bene è il fine che cerca di raggiungere e, l'"io" è in quanto agisce. L'"io" è un agire (come più tardi diranno

gli idealisti) ed è in vita solo mentre agisce e si muove per qualche cosa; Dio, come il nostro Io che è a sua

immagine e somiglianza, è un agire. Senza la Provvidenza diviene inconcepibile l'esistenza stessa di Dio. Per una

Page 29: San Tommaso

sorta di unità dei contrari, l'identità di unità, verità e bontà, che fondano le 5 vie per dimostrare l'esistenza di un Dio

trascendente, coimplica anche la continua azione di questo Dio nel mondo e nella vita di ogni Io.

Nell'atto creativo la divinità è passata da uno stato di non-mosso e non-movente ad uno stato di movente non-

mosso. Nel Creato vale che omne quod movetur ab alio movetur ed ogni ente è in uno stato di "mosso" (mosso

non-movente o mosso-movente).

Per Tommaso questo movimento non può essere eterno e tende ad uno stato di non-mosso che, a seconda del

grado di unità, verità e bontà della creatura, sarà uno stato di non-mosso e non-movente (fine di ogni movimento)

oppure il ritorno alla causa prima del movimento nello stato di movente non-mosso, ossia una creatura fuori dallo

spazio-tempo, fisicamente non più in grado di muoversi, ma comunque libera di muovere parte del mondo.

Questo movimento non è un vagare senza senso eterno, con una fine qualunque, ma ha una fine determinata

(non infinite possibili) che, essendo unica, è anche il suo fine. Dunque, la fine è il fine.

Etica [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Il male (Tommaso d'Aquino).

La natura dell'uomo [modifica]

Per Tommaso l'etica non è il pieno raggiungimento del fine ultimo dell'uomo, ma è solo un orientamento per la

condotta umana che ha lo scopo di indirizzare l'uomo al suo proprio fine. Tale fine ultimo, come per Aristotele, è la

felicità, cioè la beatitudine. Per Aristotele il "bene" era ciò che perfezionava l'uomo e portava a compimento la sua

natura, ma Tommaso va oltre, e dice che è il "sommo bene" che realizza davvero e al massimo grado la natura

umana. Poiché il carattere specifico dell'uomo è la ragione, allora, per Tommaso, l'unica "azione" possibile per

raggiungere la beatitudine è di genere intellettuale; tuttavia, al contrario di Aristotele, che poneva l'uomo stesso

come oggetto di tale "contemplazione intellettuale", Tommaso pone invece Dio come oggetto primo ed ultimo della

contemplazione. La beatitudine, per Tommaso, è infatti la "visione dell'essenza di Dio", che è nient'altro che

l'operazione più nobile e più alta dell'uomo. In ogni uomo, infatti, vi è naturale desiderio di conoscenza, poiché

ciascuno, vedendo un "effetto", vuole conoscerne la "causa"; questo vale per le cose superficiali e terrene, e tanto

più vale per le cose spirituali e divine. Se l'uomo non si sforza di soddisfare tale desiderio andando oltre il mondo

fisico, rimarrà in eterno insoddisfatto; tale, dunque, sarebbe la vera condanna eterna, cioè l'esser privati della

visione di Dio.

Il libero arbitrio e la morale [modifica]

L'etica di Tommaso si fonda sulla "libertà" dell'uomo, poiché, come egli dice, solo l'uomo possiede il libero arbitrio,

inteso nel senso originale di "libertà di giudizio", in quanto solo l'uomo è padrone del giudizio, in quanto egli solo

può giudicare attraverso la ragione il suo stesso giudizio. Inoltre, il libero arbitrio, per Tommaso, non è affatto in

contrasto con la Provvidenza divina che ordina le vicende del mondo, perché essa è "al di sopra" d'ogni giudizio e

libertà umana, e nel Suo agire già ne tiene conto; il libero arbitrio non è in contraddizione nemmeno con

la predestinazione alla salvezza, per Tommaso, poiché la libertà umana e l'azione divina di Grazia (che è la

conseguenza della predestinazione) tendono ad unico fine, ed hanno una medesima causa, cioè Dio. Per quanto

riguarda la morale, Tommaso, come Bonaventura da Bagnoregio, dice che l'uomo ha sinderesi, ovvero la naturale

Page 30: San Tommaso

disposizione e tendenza al bene e alla conoscenza di tale bene. Tuttavia, egli necessita di opportuni mezzi, per

valutare ogni caso di comportamento che gli si presenti. Tali mezzi sono:

1. La coscienza, intesa come capacità di ragionamento pratico e dunque di applicazione dei principi morali

universali alle situazioni concrete particolari;

2. La prudenza, cioè la virtù pratica che consente di valutare rettamente in ogni caso particolare;

3. La volontà, che è il mezzo per decidere se tendere ad un bene per sé stesso, oppure per tendere ad un

altro comportamento, moralmente sbagliato;

4. La virtù, ovvero l'agire secondo natura e secondo ragione. Tuttavia, la virtù è un habitus, un "abito"

consolidato nella natura.

Tommaso riprende da Aristotele le quattro virtù cardinali (ovvero giustizia, temperanza, prudenza e fortezza) ma

introduce, in più, le tre virtù teologali cristiane (fede, speranza e carità), che occorrono al conseguimento della

beatitudine eterna.

Liceità della pena di morte [modifica]

Sant'Agostino e San Tommaso d'Aquino sostengono la liceità della pena di morte sulla base del concetto della

conservazione del bene comune. L'argomentazione di Tommaso d'Aquino è la seguente: come è lecito, anzi

doveroso, estirpare un membro malato per salvare tutto il corpo, così quando una persona è divenuta un pericolo

per la comunità o è causa di corruzione degli altri, essa viene eliminata per garantire la salvezza della comunità

(Summa Theologiae II-II, q. 29, artt. 37-42). Il teologo sosteneva tuttavia che la pena andasse inflitta solo al

colpevole di gravissimi delitti, mentre all'epoca veniva utilizzata con facilità e grande discrezionalità.

La posizione sulla donna [modifica]

Nella Summa Theologiae scrive:

(LA)

« dicitur Gen. II, non est bonum hominem esse solum;

faciamus ei adiutorium simile sibi. »

(IT)

« Il Signore ha creato l'uomo, poi ha voluto creare la donna

per dargli un aiuto simile a lui. [...] »

( Iª q. 92 a. 1 co)

Questo è nient'altro che è una riesposizione del testo biblico. Ma poi Tommaso prosegue dicendo che:

(LA)

« ...necessarium fuit feminam fieri, sicut Scriptura dicit, in adiutorium viri, non quidem in adiutorium alicuius alterius operis, ut quidam dixerunt, cum ad quodlibet aliud opus convenientius iuvari possit vir per alium virum quam per

mulierem; sed in adiutorium generationis. »

(IT)

« [...] L'aiuto non è per qualsiasi altra opera, come alcuni hanno detto. [...] Infatti, per qualsiasi altra opera un maschio potrebbe essere aiutato più opportunamente da un altro maschio che da una femmina. L'aiuto quindi è per la

generazione. [...] »

(Iª q. 92 a. 1 ad 1)

Si tratta qui di altri autori della Scolastica, cosa che indica dunque la presenza, all'epoca, di un dibattito sul tema

della sessualità. Per Tommaso, dunque, la donna non avrebbe doveri pari a quelli degli uomini, ma il suo unico

dovere sarebbe la generazione, cosa che nessun uomo potrebbe fare.

Page 31: San Tommaso

Il testo prosegue poi con una breve esposizione della differenza tra riproduzione asessuata e riproduzione

sessuale, per chiarire il punto di vista: evidentemente, quello biologico. Tommaso, tuttavia, mantiene il legame con

la tradizione del pensiero cristiano medioevale del secolo precedente (definito da alcuni storici il "secolo delle

donne"), senza lasciarsi totalmente trascinare dal richiamo ai pregiudizi del mondo antico.

Pertanto, scrive anche:

(LA)

« Ad tertium dicendum quod, si omnia ex quibus homo sumpsit occasionem peccandi, Deus subtraxisset a mundo, remansisset

universum imperfectum. »

(IT)

« [...] Il mondo sarebbe imperfetto senza la presenza della

donna. »

(Iª q. 92 a. 1 ad 3)

Dalla teologia di Tommaso, attenta ai fenomeni naturali, la Chiesa deriva dunque la concezione

della sessualità come complementarità soprattutto spirituale (in ogni caso antropologica), oltre che biologica, dove

la donna non è solo un mezzo necessario per la generazione (che tale sarebbe la sua funzione biologica), ma è

anche la parte mancante senza la quale l'uomo sarebbe monco, e lo stesso mondo, inteso come ordine, sarebbe

incompleto, cioè privo di ordine. Per Tommaso, in sostanza, a livello biologico la donna è inferiore all'uomo, ma in

ogni livello (compreso quello biologico) è l'armonico che completa la disarmonia (cioè l'uomo).

La legge e la politica [modifica]

Il trionfo di san Tommaso su Averroè

Tommaso studiò a fondo il diritto e la giustizia, considerandoli i pilastri della società e differenziandone le fonti-

Infatti, la prima fonte della giustizia, per Tommaso, è la "ragione divina", insondabile e inconoscibile per l'intelletto

umano, e che pure dev'essere accettata dagli uomini con umiltà. Tale giustizia concerne la legge divina, che è

guida dell'uomo verso la beatitudine eterna. Altra fonte di giustizia è poi la "legge naturale", che è ben conosciuta

dalla ragione ed è formata da principi universali che sono comuni a tutti gli uomini (come ad esempio la

generazione). Dunque, la "legge umana" ha come suo fondamento sia la legge divina che quella naturale, ma

Page 32: San Tommaso

serve in realtà solamente a guidare ed a frenare, in certi limiti, il comportamento degli uomini che non si

sottomettono alla legge divina e che, dunque, sono malvagi per definizione.

Il teologo fa, anche, una precisa differenza tra diritto e giustizia: per Tommaso il diritto è "la proporzione tra il

profitto che il mio atto produce ad un altro individuo e la prestazione che questi mi deve in cambio"; la giustizia,

invece, è "la perpetua e costante volontà di riconoscere e attribuire a ciascuno il suo diritto".

Per quanto concerne lo Stato e la politica, Tommaso afferma che la migliore forma di governo è la monarchia, non

solo come trasposizione nell'umano della monarchia divina, ma anche in quanto il re non è il tiranno, ma è bensì

colui al quale il popolo ha delegato la propria libertà e sovranità in nome della pace, dell'unità e del buon governo

(ovvero il bene comune). Comunque, anche se riconosce la positività dello Stato (monarchico), Tommaso pone

dei solidi limiti all'azione della società e della politica quando afferma che l'uomo "nel suo essere, nel suo potere e

nel suo avere deve essere ordinato a Dio" e non alla società politica. In sostanza, afferma che, al di là dei diritti e

dei doveri sociali e politici, l'uomo deve tendere interamente a Dio, poiché il suo governo spirituale è affidato ad un

solo re, cioè Cristo. Tale però non è affatto una visione teocratica, come hanno detto alcuni, ma è la distinzione tra

la sfera visibile e la sfera invisibile dell'uomo: esteriormente egli deve obbedire ad un re terreno, ma interiormente

deve obbedire solo a Cristo Re, e può (anzi, deve) disobbedire al re terreno solo se egli viene in contrasto col re

interiore Gesù Cristo. Egli credeva che dopo la dissoluzione dell'impero cristiano l'ordine fosse mantenuto dal

Papa, il quale tratteneva l'Anticristo fungendo da Nocchiero nei confronti del Re, consigliandolo e guidandolo nella

guida del popolo e dell'umanità in generale.

Le posizioni economiche della Scolastica [modifica]

La Scolastica condannò con durezza il prestito di denaro contro interesse, come usura, qualunque fosse il tasso

d'interesse applicato. Tommaso fece un'apertura, dichiarando legittimo il pagamento di un interesse per la

disponibilità (immobilizzo) di denaro del creditore, considerando che fino alla restituzione del debito il creditore è

privato delle sue finanze.

La Scolastica sosteneva il valore convenzionale della moneta, per il quale la moneta vale soltanto se le persone

che la usano le riconoscono un valore, usandola come mezzo di scambio. Tale condizione è necessaria, ma non

sufficiente. Le monete non acquistano valore perché le persone lo riconoscono usandole; devono avere un valore

intrinseco. La Scolastica univa valore intrinseco e valore convenzionale della moneta, che sono spesso

contrapposti. Nell'Alto Medioevo cominciavano a circolare note-da-banco (poi chiamate banconote) di sola carta

che erano utilizzate nei pagamenti e valevano quanto le monete d'oro: ciò provava che la moneta può avere un

valore per il semplice fatto che le persone lo riconoscono (valore convenzionale come condizione sufficiente della

moneta).

Secondo i filosofi scolastici la moneta era una merce come le altre che serve ad acquistare altre merci. La

moneta-merce si compra contro un'altra merce che può essere un'altra moneta oppureoro; perché chi detiene

moneta possa incassare oro è necessario che la moneta possegga un valore tale da giustificare il prezzo pagato.

Tale valore non è la capacità di acquistare beni di importo equivalente che garantisce la moneta (valore della

moneta, ma non intrinseco), ma è un valore intrinseco che avrebbe anche senza essere usata come mezzo di

Page 33: San Tommaso

scambio; ad esempio l'oro con cui è coniata. In questo modo, chi compra monete compra l'oro di cui sono fatte, o

l'oro che è depositato in garanzia della nota-da-banco. Il valore intrinseco implica un valore convenzionale, mentre

non dovrebbe valere il contrario (anche se il valore convenzionale, cioè la sicurezza che altri accetteranno in

pagamento il denaro, è un valore della moneta).

Noi diremmo che la moneta è un prodotto (della zecca) e, come avviene per definizione di prodotto, pagamento e

fruizione sono contemporanei; anche per la Scolastica, la relazione fra chi acquista moneta e chi riceve in cambio

oro, altra moneta o una merce si esaurirebbe con lo scambio. Non ci sono rapporti successivi che

giustificherebbero il pagamento d'interessi. Un'apertura al mondo del credito avviene considerando che chi presta

denaro se ne priva per un certo periodo, immobilizza delle somme che da al debitore; il pagamento di interessi

secondo Tommaso è un legittimo risarcimento del denaro che il creditore tiene a disposizione del debitore.

Altrimenti chi emette moneta priva di valore intrinseco dovrebbe pagare quanti l'accettano come mezzo di

pagamento, che sono gli stessi che l'acquistano. All'atto d'emissione una moneta non legittima alcun tipo di

interessi e, se è priva di valore intrinseco, nemmeno il pagamento di un prezzo (deve essere emessa

gratuitamente). Una moneta già esistente e prestata legittima un pagamento d'interessi per il tempo per il quale la

sua disponibilità è stata sottratta al creditore.

TOMMASO D'AQUINO 

Page 34: San Tommaso

A cura di 

MAXI-RIASSUNTOAl centro della novità costituita dall'ingresso delle opere filosofiche greche nel mondo latino e dei susseguenti conflitti sulla loro compatibilità con la fede cristiana, Tommaso d'Aquino prende decisamente posizione a favore di Aristotele, sviluppando anzitutto una precisa distinzione di piani tra discorso filosofico e discorso teologico. Entrambi prendono a proprio oggetto le ultime realtà, ma lo fanno con punti di partenza differenti: il primo quella della ragione naturale, il secondo quello della rivelazione di Dio. Solo il discorso teologico raggiunge dunque il fine soprannaturale dell'uomo, ma quello filosofico risulta non solo pienamente giustificato, ma anche indispensabile: l'esistenza di Dio è per esempio dimostrabile razionalmente, e solo con questa premessa la teologia cristiana può cominciare a muovere i suoi passi. Quest'ultima ha del resto un carattere pienamente scientifico in quanto al suo interno rispetta i criteri dell'argomentazione logica quanto qualsiasi altra scienza. L'originalità della metafisica di Tommaso discende in gran parte dall'integrazione creativa di tratti neoplatonici nel quadro aristotelico di fondo. L'elemento risultante che verrà dai posteri ritenuto più caratteristico è la distinzione reale tra essere ed essenza: l'“essenza” di ogni cosa, in quanto contingente, significa una semplice possibilità, che si realizza solo quando si esprime in un “atto di essere”. Questa distinzione costituisce anche il punto di partenza per dimostrare l'esistenza di Dio e la creazione del mondo: essendo contraddittorio affermare che una cosa conferisce l'essere a sé stessa e non potendosi andare all'infinito, bisogna ammettere che all'origine ci sia lo “stesso essere sussistente”, qualcosa cioè in cui essere ed essenza non sono distinti, che va chiamato “Dio”. Una valutazione profondamente positiva della realtà creata emerge dalla teoria dei trascendentali, che mostra che ogni cosa che esiste possiede, in quanto esistente, le caratteristiche dell'unità, della verità, della bontà, della bellezza, che le vengono partecipate da Dio. La psicologia e la morale applicano tale sguardo positivo alla realtà umana. Riguardo all'anima, in polemica con gli agostiniani, Tommaso ritiene che essa ha il potere naturale di conoscere la realtà e non ha dunque bisogno di una continua illuminazione da parte di Dio. Riguardo alla morale viene rivendicato il valore di un'etica naturale, che non è annullata dalla constatazione che il fine della perfetta beatitudine a cui aspira l'uomo non può essere raggiunto con le sole forze naturali. Nella valutazione dell'atto umano Tommaso accoglie fin dove gli era possibile le coraggiose proposte di Abelardo, che assegnavano un ruolo determinante all'intenzione con la quale si agisce: per questo l'uomo

Page 35: San Tommaso

ha sempre il dovere di agire seguendo la propria coscienza, e contemporaneamente il dovere di conoscere sempre meglio che cosa è veramente bene . Uno dei tratti più caratteristici del pensiero di Tommaso d'Aquino è senza dubbio il tentativo di armonizzare, nella loro reciproca autonomia, filosofia e teologia. Per Tommaso il problema si poneva in maniera molto forte: la sostanziale accettazione della filosofia aristotelica, che pareva a prima vista conciliabile con molta difficoltà con il pensiero cristiano, poteva suscitare l'impressione di una subordinazione della rivelazione al pensiero razionale (come sembrava essere avvenuto nella filosofia araba di Averroè [1126-1198]). Bisogna quindi anzitutto mostrare che oltre le scienze filosofiche è necessaria all'uomo un'altra dottrina, superiore per valore alle scienze filosofiche e certa quanto esse. La necessità della teologia è fondata da Tommaso sulla necessità della rivelazione stessa: dato che l'uomo è diretto per la sua natura ad un fine che eccede le sue capacità naturali (un tema che diverrà più chiaro parlando della morale), per la salvezza dell'uomo è necessaria una rivelazione divina. La dottrina basata sulla rivelazione non va però confusa con la teologia razionale: quest'ultima prende a proprio oggetto Dio così come egli può essere conosciuto alla sola luce della ragione (come per esempio aveva fatto Aristotele), la teologia rivelata così come egli ha voluto rivelare sé stesso. In questo modo è assicurata anche l'autonomia della speculazione puramente razionale: tutt'altro che essere esautorata, essa diviene invece la premessa (il preambulum) della teologia, presentando le verità cui l'uomo può giungere con le sue sole forze, che attendono poi completamento dalla rivelazione. Un caso tipico è costituito dall'esistenza di Dio: Il fatto che dio esista, e altre cose di questo tipo che tramite la ragione naturale possono essere note su dio, come viene detto in Rom. 1,19, non sono articoli [= princìpi] di fede, ma premesse agli articoli: infatti la fede presuppone la conoscenza, così come la grazia presuppone la natura, e come la perfezione presuppone ciò che può essere reso perfetto. Tuttavia nulla proibisce che ciò che di per sé è dimostrabile e conoscibile venga accettato come credibile da qualcuno che non capisce la dimostrazione (Somma teologica 1, q2a2ad1). L'ultima annotazione significa questo: l'esistenza di Dio è per esempio una verità razionale, e quindi può essere “conosciuta”; ma chi non ne capisce la dimostrazione potrà semplicemente “credervi”, per esempio fidandosi di chi gli assicura che essa è corretta (se così non fosse la fede cristiana sarebbe accessibile solo al filosofo!). Ma la teologia in sé (o “sacra dottrina”, come preferisce chiamarla Tommaso) può essere definita “scienza”? Ecco per intero la discussione del problema:Per il secondo articolo si procede così: sembra che la sacra dottrina non sia una scienza. Infatti ogni scienza procede da princìpi noti per sé. Ma la sacra dottrina procede dagli

Page 36: San Tommaso

articoli di fede, che non sono noti per sé, non essendo ammessi da tutti: la fede infatti non è di tutti, come si dice in 2Tess. 3,2. Dunque la sacra dottrina non è una scienza. Inoltre, la scienza non riguarda le cose singolari. Ma la sacra dottrina tratta di cose singolari, per esempio delle gesta di Abramo, Isacco e Giacobbe, e simili. Dunque la sacra dottrina non è una scienza. Ma contro c'è ciò che dice Agostino in De Trinitate 14,7: “A questa scienza si attribuisce solo ciò tramite cui la fede che dà la salvezza viene generata, nutrita, difesa, rafforzata”. Ma ciò non appartiene a nessuna scienza se non alla sacra dottrina. Dunque la sacra dottrina è una scienza. Rispondo dicendo che la sacra dottrina è una scienza. Ma bisogna sapere che ci sono due generi di scienze. Infatti alcune sono quelle che procedono da princìpi noti alla luce naturale dell'intelletto, come l'aritmetica, la geometria e le scienze di questo tipo. Altre invece sono quelle che procedono da princìpi noti alla luce di una scienza superiore: come la prospettiva procede da princìpi resi noti dalla geometria, e la musica da princìpi noti tramite la matematica. E in questo modo la sacra dottrina è una scienza, perché procede da princìpi noti alla luce di una scienza superiore, vale a dire la scienza che posseggono dio e i beati. Quindi, come la musica crede ai princìpi trasmessile dal matematico, così la sacra dottrina crede ai princìpi rivelatile da dio. Alla prima obiezione dunque bisogna dire che i princìpi di qualsiasi scienza o sono noti per sé, o si riconducono alla notizia di una scienza superiore. E tali sono i princìpi della sacra dottrina, come è stato detto. Alla seconda bisogna dire che le cose singolari vengono trasmesse nella sacra dottrina non perché si tratti principalmente di essi: ma vengono introdotti sia come esempio di vita, come nelle scienze morali; sia anche per rendere chiara l'autorità degli uomini tramite cui giunse a noi la rivelazione divina, sulla quale si fonda la sacra Scrittura ovvero la sacra dottrina (Somma teologica 1, q1a2).In sintesi: la teologia trae i suoi princìpi da una “scienza” superiore, che è la conoscenza che Dio ha di sé stesso (e che posseggono per quanto possibile anche coloro che sono giunti alla beatitudine eterna); e come il musicista si fida delle informazioni che il matematico gli dà riguardo alla sua scienza, così il teologo (come ogni altro credente) si fida delle notizie che Dio ha dato di sé stesso rivelandosi. Ma il carattere scientifico della teologia è assicurato dal suo metodo razionale e argomentato, che permette di ricavare conclusioni logiche da premesse di fede e anche di ragione. Ciò non significa per Tommaso (come s'intenderà più tardi) che la teologia sia esclusivamente una scientia conclusionum, una scienza cioè che non fa altro che tirare conseguenze da princìpi indiscutibili: anche nei confronti dei princìpi di fede la ragione ha infatti il compito di mostrare che essi sono credibili. Ciò può essere fatto in due modi: o evidenziando l'autorità del rivelante, o dimostrando che i princìpi rivelati non solo non sono contrari alla

Page 37: San Tommaso

ragione, ma anzi si trovano intimamente d'accordo con essa. La fede non è infatti concepita come qualcosa di irrazionale e privato, ma l'atto tramite cui accettiamo come vero sulla base di buoni motivi qualcosa rivelato da qualcuno. Questo è il senso anche delle molte dimostrazioni di “convenienza”: delle opere di Dio non è possibile mostrare la necessità (ciò significherebbe negare la libertà di Dio); si può però, a posteriori, comprendere che sono coerenti con la sua natura. Un esempio tipico tra i molti possibili è la discussione sull'incarnazione di Dio: La stessa natura di dio è la bontà. ... Quindi qualsiasi cosa appartenga al carattere del bene è conveniente a dio. Ma appartiene al carattere del bene che si comunichi ad altri. ... Quindi al carattere del sommo bene appartiene che si comunichi alla creatura nel modo più alto. Ciò in verità avviene per il fatto che “congiunge a sé la natura creata di modo che venga una sola persona da tre elementi, verbo, anima e carne”, come dice Agostino in De Trinitate 13,17. Dunque è chiaro che fu conveniente che dio si sia incarnato (Somma teologica 3, q1a1c). Bisogna inoltre notare che Tommaso, nonostante affermi che l'unico scopo dei fatti “singolari” è servire o da esempio morale o da prova dell'autorità, non può rimanere fedele a quest'assunto di origine aristotelica. Una parte importante della Somma Teologica è infatti dedicata a Cristo: alla sua persona, alla sua vita, alla sua passione, morte e resurrezione, tutti aspetti o fatti singolari per eccellenza. È evidente allora che, malgrado le affermazioni di principio contrarie, la teologia di Tommaso non può rinunciare a quel fatto del tutto unico e particolare che è costituito dal compimento della salvezza nella storia. In questo modo la fede cristiana, eminentemente storica, rivendica i suoi diritti, costringendo Tommaso a trasgredire tacitamente le regole della scientificità della cultura del suo tempo. Riassumendo, in Tommaso la ragione svolge un triplice compito a servizio della teologia: 1) dimostra le premesse che permettono l'accoglienza dei princìpi di fede; 2) mostra la “credibilità”, cioè in ultima analisi la coerenza, dei princìpi di fede; 3) offre il metodo argomentativo tramite cui dedurre dalle premesse razionali e dai princìpi di fede ulteriori verità. Nel seguito toccheremo quasi esclusivamente gli aspetti più originali della filosofia di Tommaso che, proprio per le ragioni dette, è facilmente separabile dalle discussioni teologiche. Si noterà tuttavia che si tratta di una separazione che ha un carattere provvisorio: la filosofia è infatti secondo Tommaso capace di comprendere i propri stessi limiti, e dunque di attendere un completamento da una scienza guidata da una luce superiore alla ragione naturale. Inoltre, il ruolo chiarificatore che la ragione assume nei confronti degli articoli di fede fa sì che molte delle discussioni filosoficamente più interessanti si trovino in un contesto propriamente teologico.Nelle sue linee generali, la metafisica di Tommaso si presenta come un'intenzionale ripresa di Aristotele, le cui opere

Page 38: San Tommaso

proprio in quell'epoca cominciavano a circolare nella loro interezza nel mondo culturale di lingua latina. L'aristotelismo di Tommaso d'Aquino è tuttavia fortemente impregnato di elementi neoplatonici, desunti da varie fonti (Porfirio [232-304], Proclo [410-485], Dionigi l'Areopagita [5º secolo], ibn Sînâ ovvero Avicenna [980-1037]). L'influenza neoplatonica si può rilevare anzitutto nella maggiore sottolineatura della distinzione tra gli enti sensibili e quelli puramente intellegibili, distinzione che in Aristotele veniva attenuata dall'identificazione dell'ousía con la “forma”. Secondo Tommaso ciò è pienamente vero solo nel caso degli enti privi di materia (detti “sostanze separate” e identificati con gli angeli), la cui natura o essentia (questa è l'originaria traduzione latina di ousía) è solo forma; ma nel caso degli enti necessariamente possedenti materia (le “sostanze composte”, per esempio l'uomo), l'essentia è il composto di forma e materia. Tale precisazione di sapore neoplatonico in Tommaso sembra però ottenere un risultato contrario a quello originario: non una svalutazione delle sostanze composte, ma piuttosto una maggiore stima della corporeità. Affermare che la materia fa parte dell'essenza significa infatti sostenere per esempio che la perfezione dell'uomo include necessariamente anche la corporeità (donde la giustificazione razionale dell'articolo di fede sulla resurrezione della carne). Parimenti influenzata dal neoplatonismo è la diversa concezione dell'essenza. Mentre in Aristotele l'ousía e il tí én éinai (l'“essere-per-ciascuna-cosa”) erano anzitutto singolari, in Tommaso l'essentia (o quidditas) è universale, e viene così ad avvicinarsi alla nozione logica di éidos, cioè di specie. Da qui nasce un problema che in Aristotele non poteva porsi: vale a dire il problema dell'individuazione. Se l'essentia è universale, ma la realtà è del resto solo singolare (in questo Tommaso accetta integralmente la critica d'Aristotele a Platone), che cosa conferisce l'individualità alla singola cosa? Sfruttando un'osservazione marginale di Aristotele e seguendo Avicenna, Tommaso risponde che si tratta della materia: Il principio di individuazione è la materia. Da ciò sembrerebbe seguire che l'essenza, che comprende in sé la materia e assieme la forma, sia soltanto particolare e non universale. ... E dunque bisogna sapere che non la materia comunque intesa è principio d'individuazione, ma solo la materia determinata (materia signata). E dico materia determinata quella che viene considerata sotto certe dimensioni. ... Nella definizione dell'uomo viene posta la materia non determinata: infatti nella definizione dell'uomo non si pone questa carne e queste ossa, ma carne e ossa in assoluto, che sono la materia non determinata dell'uomo (Sull'ente 2,6). Nel caso dell'uomo dunque, non è l'anima in quanto tale che conferisce individualità (l'anima è forma), ma solo in quanto fatta per unirsi ad un corpo (“la moltiplicazione delle anime è secondo la moltiplicazione dei corpi”, Somma teologica 1, q72a2ad2). Diverso è il caso degli angeli:

Page 39: San Tommaso

non avendo essi materia, l'individualità sarà necessariamente data dalla forma, che dunque sarà diversa per ogni angelo e si identificherà con lui. È comunque solo l'ente pienamente individuato che può ricevere il nome di “sostanza” (traduzione del greco hypóstasis), indicante ciò che sussiste realmente e autonomamente. In questo mutamento di prospettiva c'è anche una importante conseguenza di carattere gnoseologico. Con l'affermazione dell'universalità dell'essenza Tommaso riesce infatti ad aggirare una difficoltà della filosofia aristotelica, nascente dalla giustapposizione tra l'individualità della realtà e l'universalità della scienza: in quale modo la scienza può allora avere una sua verità? In Tommaso il problema è risolto perché l'universale non è solo un prodotto dell'astrazione dell'intelletto (universale post rem), ma è anche realmente presente nella singola cosa (universale in re), anzi la precede pure (neoplatonicamente) nella mente di Dio, che possiede i modelli esemplari di tutte le cose create (universale ante rem, ovvero ideae). Questa era già la soluzione che aveva dato al problema degli universali Pietro Abelardo. La scienza dunque è valida anzitutto perché non si basa solo su generalizzazioni (in quanto tali fallibili), ma sulla capacità che l'intelletto possiede di riconoscere l'universale incarnato nelle singole cose. La totale assenza di materia negli angeli (sostenuta in polemica con il contemporaneo Bonaventura [1221-1274], che vedeva in essi la presenza di una “materia spirituale”) pone di fronte ad un ulteriore problema. Affermare che essi sono forme pure non equivale forse a designarli come “atti puri”, eguali quindi a Dio stesso? Tommaso evita questa conseguenza con la dottrina della distinzione reale tra esse ed essentia: Qualsiasi cosa non faccia parte della comprensione dell'essenza o quiddità, le viene dall'esterno ed entra in composizione con l'essenza, perché nessuna essenza potrebbe essere compresa senza ciò che fa parte dell'essenza. Ma ogni essenza o quiddità può essere compresa senza che si comprenda alcunché del suo essere di fatto (de esse suo facto). Posso infatti comprendere che cos'è l'uomo o la fenice, e tuttavia ignorare se abbiano essere nella natura reale (an esse habeant in rerum natura). Dunque è evidente che l'essere è altro dall'essenza o quiddità (Sull'ente 5,3). Ciò significa che le cose di cui abbiamo esperienza sono contingenti, non posseggono cioè in sé stesse nulla che richieda necessariamente la loro esistenza. Anche nell'angelo, liberamente creato da Dio, c'è dunque una tale composizione tra essere ed essenza, che impedisce di considerarlo un essere assolutamente “semplice”. Fin qui, Tommaso segue sostanzialmente l'opinione che era già stata di Guglielmo di Alvernia (1190-1249). Il passo ulteriore è invece più originale. Come più chiaramente viene detto in testi successivi al Sull'ente e l'essenza, la relazione tra essenza ed essere va chiarita con l'aiuto dei concetti aristotelici di potenza e atto: Nelle cose materiali si trova una duplice

Page 40: San Tommaso

composizione. La prima è quella di forma e materia, dalle quali viene costituita una certa natura [ovvero essenza]. Ma la natura così composta non è il suo essere, ma piuttosto l'essere è il suo atto. Dunque la stessa natura è in rapporto con il suo essere come una potenza con un atto. Dunque, eliminata la materia, e posto che la stessa forma sussista senza materia, rimane ancora il rapporto della forma con lo stesso essere, come della potenza con l'atto. E questa composizione bisogna intenderla negli angeli (Somma teologica 1, q50a2ad3). Quindi, i termini potenza e atto possono indicare due cose distinte: o la materia in rapporto alla forma (questo è il significato aristotelico), o l'essenza (materia più forma o forma pura) in rapporto all'essere. Quest'ultimo andrà quindi definito “l'attualità di tutti gli atti” -- per questo viene spesso chiamato anche actus essendi -- e costituisce l'autentico vertice della conoscenza metafisica. In questo modo Tommaso integra all'interno della metafisica aristotelica la tendenza neoplatonica a considerare l'“essere” come un qualcosa dotato di una sua autonomia (non solo concettuale, ma reale) rispetto a tutte le possibili determinazioni degli enti. La distinzione di Tommaso tra essere ed essenza, per quanto non venga presentata con molta enfasi da lui stesso, venne presto ritenuta il tratto più caratteristico del suo pensiero, e come tale vivacemente contestata o difesa, per lo più sotto la forma della coppia concettuale essentia / existentia (un termine quest'ultimo poco amato da Tommaso). Tale distinzione ha così costituito un punto di riferimento fondamentale per pressoché tutte le filosofie posteriori, fino all'esistenzialismo contemporaneo. Un'importanza particolare ha nella metafisica di Tommaso d'Aquino la teoria dei “trascendentali” (come saranno in realtà solo più tardi chiamati), sostanzialmente originale rispetto ad Aristotele (ma in parte ripresa da Alessandro di Hales [1185-1245]). I trascendentali sono gli attributi generalissimi che riguardano l'ente in quanto tale. Essi quindi oltrepassano, “trascendono” le categorie (o “predicamenti”), che dividono invece l'ente in differenti generi (altro è la sostanza, altro la quantità, e così via). La distinzione tra i trascendentali non è quindi reale, ma solo di ragione (e infatti “convertuntur”, dice Tommaso); proprio per questo però essi aiutano a comprendere la ricchezza di un termine -- “ente” -- che altrimenti rischierebbe di rimanere vago e indeterminato. Il passo più completo sui trascendentali si trova nella prima questione Sulla verità, che opera una precisa deduzione dei caratteri dell'ente: Alcune cose vengono dette aggiunte all'ente per il fatto che esprimono un modo dell'ente stesso che non viene espresso dal nome “ente”. Ciò accade in due maniere: nella prima cosicché il modo espresso è un qualche modo speciale dell'ente [= categorie]. ... Nella seconda cosicché il modo espresso sia un modo generale che consegue ad ogni ente; e questo modo può essere inteso in due maniere: nella prima in quanto

Page 41: San Tommaso

consegue a qualsiasi ente in sé; nella seconda in quanto consegue ad un ente in rapporto ad un altro. Se è nella prima maniera, ciò avviene in due maniere, perché esprime nell'ente qualcosa o affermativamente o negativamente. E non si trova nulla che sia detto affermativamente in modo assoluto, che possa essere inteso in ogni ente, se non la sua essenza, secondo la quale si dice che esso è; e così viene assegnato il nome “cosa”, che differisce da “ente”, secondo ciò che dice Avicenna all'inizio della Metafisica, perché “ente” viene tratto dall'atto di essere, ma il nome “cosa” esprime la quiddità o essenza dell'ente. E la negazione che consegue ad ogni ente in maniera assoluta è la non divisione, che viene espressa dal nome “uno”: infatti l'uno non è nient'altro che l'ente indiviso. E se il modo dell'ente viene inteso nel secondo modo, cioè secondo il rapporto di una cosa all'altra, ciò può avvenire in due maniere. Nella prima secondo la divisione di un ente dall'altro, che viene espressa dal nome “qualcosa”: infatti si dice “qualcosa” come se si dicesse “un'altra cosa”; dunque come l'ente viene detto “uno” in quanto è in sé non diviso, così viene detto “qualcosa” in quanto è diviso dagli altri. Nella seconda maniera secondo l'accordo di un ente con un altro; e ciò però non può avvenire se non si prende qualcosa che possa per natura accordarsi con ogni ente: e ciò è l'anima, che è in un certo senso tutte le cose, come viene detto nel terzo libro Sull'anima. Ma nell'anima c'è una facoltà conoscitiva e desiderativa. Dunque l'accordo dell'ente con il desiderio viene espresso dal nome “buono”, così come all'inizio dell'Etica [Nicomachea] si dice che il buono è ciò che tutti desiderano. E l'accordo dell'ente con l'intelletto viene espresso dal nome “vero” (Sulla verità q1a1c). In conclusione, sei sono (contando anche ens) le nozioni trascendentali: ens, res, unum, aliquid, verum, bonum. Ciò significa che ogni ente (cioè ogni cosa che ha essere) è una cosa in quanto determinato (cioè in quanto ha un'essenza), è un'unità in quanto identico a sé (come già esplicitamente rilevava Aristotele), è un qualcosa in quanto distinto dagli altri enti, è vero in quanto conoscibile, è buono in quanto desiderabile. Questo in sintesi lo schema del ragionamento di Tommaso: attributi speciali (praedicamenta) attributi generali (trascendentia) conseguono all'ente in sé affermativamente (res) negativamente (unum [indivisio]) conseguono all'ente in rapporto ad altro secondo la divisione di un ente da un altro (aliquid [aliud quid]) secondo l'accordo di un ente con un altro con l'intelletto (verum) con il desiderio (bonum) Qualche osservazione aggiuntiva. La prima riguarda il verum. Il fatto che esso sia un trascendentale dell'ente non significa che la verità sia una proprietà più delle cose che dell'intelletto: Tommaso tiene infatti ferma la nozione aristotelica di verità come corrispondenza soggettiva tra la mente umana e la realtà. Piuttosto, ogni cosa ha già, in quanto possiede essere ed essenza, una naturale predisposizione ad essere

Page 42: San Tommaso

conosciuta. La definizione di verità come adaequatio rei et intellectus, che rimarrà classica nei secoli, intende tener conto sia dell'aspetto soggettivo, che è primario, sia di quello oggettivo, che è derivato. La seconda notazione riguarda il trascendentale bonum. Esso suppone la tesi della “irrealtà” del male, che viene ripresa dal neoplatonismo: il male è soltanto la mancanza di bene, cioè di essere, e più precisamente di un essere dovuto: la cecità è un male per l'uomo, ma non per l'albero. L'ultima osservazione riguarda il pulchrum, “bello”. Esso riceve discreta attenzione, ma non viene incluso nella lista dei trascendentali in quanto sostanzialmente omologato al verum. Tommaso interpreta infatti l'esperienza estetica come il piacere che si accompagna spontaneamente alla percezione della verità: Il bello e il buono in un soggetto sono lo stesso, perché si fondano sulla stessa cosa, cioè sulla forma: e per questo il buono viene lodato come bello. Ma differiscono per il carattere. Infatti il buono propriamente riguarda il desiderio: infatti il buono è ciò che tutti desiderano. E perciò ha il carattere di fine: infatti il desiderio è quasi un certo movimento verso una cosa. Il bello invece riguarda la facoltà conoscitiva: vengono dette infatti belle quelle cose che piacciono quando sono viste. Dunque il bello consiste in una debita proporzione, perché il senso prova diletto nelle cose debitamente proporzionate, come in cose simili a sé; infatti anche il senso è una certa ragione, come ogni virtù conoscitiva. E giacché la conoscenza avviene per assimilazione, e la somiglianza riguarda la forma, il bello propriamente riguarda il carattere della causa formale (Somma teologica 1, q5a4ad1). La dottrina dei trascendentali acquista anche un immediato rilievo dal punto di vista conoscitivo. Seguendo Avicenna, Tommaso afferma ripetutamente che l'ens è il primo oggetto dell'intelletto. Quest'affermazione non è contrapposta all'altra (di origine aristotelica) secondo cui l'oggetto proprio dell'intelletto umano è costituito dalla quidditas rei materialis, ma ne costituisce piuttosto la base: ogni essenza può essere conosciuta infatti solo in quanto esistente, e ogni concetto si formerà dunque “per addizione” rispetto alla nozione trascendentale di ente. In questo modo viene affermata l'originaria e immediata consonanza della mente umana con la totalità della realtà, quantunque originariamente colta solo nella sua assoluta generalità (a questo proposito egli parla di esse commune). In questo modo è possibile fondare anche, in modo più rigoroso di quanto aveva fatto Aristotele, la supremazia del primo principio dell'intelletto, il principio di non contraddizione. Esso infatti è la diretta traduzione in un giudizio del trascendentale unum, così come in campo morale è il trascendentale bonum a costituire la premessa per il primo principio pratico: Nelle cose che cadono sotto l'apprensione di tutti, si trova un certo ordine. Infatti ciò che cade per primo sotto l'apprensione è l'ente, la cui comprensione è inclusa in tutte le cose che uno conosce. E dunque il

Page 43: San Tommaso

primo principio indimostrabile è che è impossibile contemporaneamente affermare e negare, che si fonda sul carattere dell'ente e del non ente; e su questo principio si fondano tutti gli altri. Ma come l'ente è la prima cosa che cade sotto l'apprensione in assoluto, così il bene è la prima cosa che cade sotto l'apprensione della ragione pratica, che è ordinata all'azione: tutto ciò che agisce infatti agisce per un fine, che ha il carattere di bene. E dunque il primo principio nella ragione pratica è quello che si fonda sul carattere del bene, che è: il bene è ciò che tutti desiderano. Questo è dunque il primo precetto della legge: il bene dev'essere fatto e cercato, il male evitato. E su di esso si fondano tutti gli altri precetti della legge di natura: in modo che cioè facciano parte dei precetti della legge di natura tutte le cose da fare o da evitare che la ragione pratica conosce essere beni umani (Somma teologica 2/1, q94a2c). È difficile sopravvalutare l'importanza di questa dottrina. Con essa infatti sembra giungere alla propria meta l'originaria intenzione di Aristotele, quella di costruire una scienza dell'“ente in quanto ente”. La successiva storia della filosofia in gran parte seguirà questa intuizione di Tommaso, e già Giovanni Duns Scoto (1266-1308) definirà la metafisica scientia transcendens (una definizione questa che, seppure in una prospettiva diversa, giungerà fino a Kant). In maniera simile a quanto avveniva in Aristotele , lo studio dell'ente in quanto tale culmina per Tommaso nella teoria dell'ente sommo, ovvero nella teologia: Tutto ciò che compete a qualcosa o è causato dai princìpi della sua natura, come la capacità di ridere nell'uomo, o viene da qualche principio esterno, come la luce nell'aria per influenza del sole. Ma non può essere che lo stesso essere sia causato dalla stessa forma o quiddità della cosa (intendo come causa efficiente): perché così una qualche cosa sarebbe causa di sé stessa, il che è impossibile. Dunque è necessario che ogni cosa, tale che il suo essere è diverso dalla sua natura, abbia l'essere da un altro. E poiché tutto ciò che è tramite un altro si riconduce a ciò che è per sé come alla causa prima, dunque è necessario che ci sia qualcosa che sia causa dell'essere per tutte le cose per il fatto che essa è soltanto essere. Altrimenti si andrebbe all'infinito nella cause, giacché ogni cosa che non è soltanto essere ha una causa del suo essere, come s'è detto. È chiaro quindi che l'intelligenza [l'angelo] è forma ed essere, e che ha l'essere dal primo essere che è soltanto essere (et quod esse habeat a primo esse quod est esse tantum); e questo è la causa prima, che è dio (Sull'ente 5,4). Perciò, Dio dev'essere indicato come ipsum esse subsistens, come cioè l'unico ente che è l'essere, a differenza di tutti gli altri che hanno l'essere. Non soltanto egli s'identifica con la sua essenza (come gli angeli), ma anche con il suo stesso essere. In questo modo viene confermato razionalmente il nome che Dio rivela sul roveto ardente: “Così dirai a loro: "Io Sono mi ha mandato a voi"” (Es. 3,14): questo è

Page 44: San Tommaso

infatti il nome che può indicare meglio di qualsiasi altro “il mare infinito dell'essere” (che però va tenuto chiaramente distinto dall'esse commune, l'essere che possiedono tutte le cose create considerate astraendo dalle loro determinazioni). Il brano che abbiamo riportato presenta anche la struttura fondamentale della prova dell'esistenza di Dio secondo Tommaso: la stessa esistenza di cose che posseggono un essere soltanto partecipato mostra la necessità di qualcosa che sia originariamente l'essere e dunque causa prima di tutto il resto -- ciò che appunto si indica con la parola “Dio”. Si noti che questo ragionamento ha una forma induttiva di tipo aristotelico (si parte da ciò che è sott'occhio per giungere al principio primo), ma un punto di partenza niente affatto aristotelico, e cioè la distinzione reale di essenza ed essere nelle cose diverse da Dio. Un articolo celeberrimo della Somma Teologica (I, q2a3) elenca cinque diverse “vie” per dimostrare l'esistenza di Dio, alcune di ùispirazione pi aristotelica (la prima, la seconda, la quinta), altre di sapore più neoplatonico (la terza e la quarta). La struttura delle cinque vie è però simile: in tutte infatti si tratta di mostrare come ciò di cui si ha esperienza sarebbe inspiegabile se non si ammettesse un Dio che sta al di fuori del campo dell'esperienza stessa. Ecco in sintesi i ragionamenti seguiti: il movimento è impossibile se non si ammette un primo motore che non è mosso da nulla; il divenire è impossibile se non si ammette una prima causa efficiente; il contingente o possibile non può essere se non c'è qualcosa che è di per sé necessario (questa via si identifica con la dimostrazione prima considerata); i vari gradi di essere (e anche di verità, di bontà ecc.) sono impossibili se non c'è un ente supremo in riferimento al quale giudicarli; il finalismo della natura, anche inanimata, è impossibile se non c'è un intelletto che la ordina. Sulle stesse basi Tommaso dimostra razionalmente la creazione, cioè la produzione di tutte le cose “dal nulla” (cioè “non da qualcosa di preesistente”): È necessario dire che tutto ciò che è in qualsiasi modo, sia da dio (omne quod quocumque modo est, a deo esse). Se infatti qualcosa si trova in un'altra cosa per partecipazione, è necessario che sia causato in essa da ciò a cui conviene essenzialmente (così come il ferro diventa infuocato per opera del fuoco). Ma è stato mostrato ... che dio è lo stesso essere sussistente per sé. E poi è stato mostrato che l'essere sussistente non può essere che uno. ... Resta dunque che tutte le cose altre da dio non siano il loro essere, ma partecipino dell'essere (non sint suum esse, sed participant esse) (Somma teologica 1, q44a1c). E ricevere l'essere per partecipazione è proprio ciò che si indica con il termine “creazione” (ciò tuttavia non equivale a negare l'eternità del mondo, una tesi questa che viene confutata solo dalla rivelazione: è il tema dell'opuscolo Sull'eternità del mondo contro i mormoratori). La nozione platonica di “partecipazione”, assente dalla metafisica di Aristotele , diventa allora centrale in Tommaso: essa

Page 45: San Tommaso

indica appunto la condivisione di qualche cosa da parte di chi la possiede originariamente e dunque definisce il rapporto originario tra Dio e le creature. Altrettanto importante è la nozione di “analogia”, che significa non più, come in Aristotele, solo l'uguaglianza di rapporti tra cose diverse(analogia proportionalitatis), ma anche la diversità di rapporti rispetto ad una stessa cosa (analogia attributionis). In questo secondo senso, l'analogia è una qualifica primaria della nozione di “ente”: l'essere infatti si trova in tutte le cose, ma non nello stesso modo, soprattutto nelle creature e in Dio: le prime “hanno” essere, il secondo “è” essere. È perciò possibile formulare su Dio affermazioni che, pur limitate, non sono tuttavia false. La stessa cosa si dovrà anzi dire a proposito di tutti gli attributi che si possono dire di lui: Alcune cose vengono dette di dio in maniera analoga, e non puramente equivoca, né univoca. Infatti non possiamo nominare dio se non a partire dalle creature. ... E così qualsiasi cosa venga detta di dio e delle creature si dice per il fatto che c'è un qualche ordine della creatura rispetto a dio, come al principio e alla causa in cui preesistono in modo eminente tutte le perfezioni delle cose. E questo modo di comunanza si trova tra la pura equivocità e la semplice univocità. Infatti nelle cose che vengono dette per analogia non c'è una sola relazione (ratio), come in quelle univoche, né una relazione totalmente diversa, come nelle equivoche: ma il nome che così viene detto in molti modi significa diverse proporzioni nei confronti di qualcosa di unico (Somma teologica 1, q13a5c). Uno dei più importanti fili conduttori per parlare analogicamente di Dio è costituito per Tommaso dalla teoria dei trascendentali. Se infatti Dio è “ente” nel significato più alto, i trascendentali gli competono per eccellenza: “qualsiasi cosa conviene all'ente in quanto ente è necessario che si trovi soprattutto nel primo ente” (Commento a Boezio, Sulla trinità, q1a4ob1). Si potrà dunque dire che Dio è assolutamente unico (in quanto unum), che racchiude in sé ogni possibile verità (in quanto verum), che è massimamente desiderabile da qualsiasi ente intelligente (in quanto bonum). Cose simili si potrebbero senza dubbio dire per gli altri trascendentali (anche se Tommaso non lo fa esplicitamente): Dio possiede l'essenza più ricca e anzi infinita (in quanto res), è massimamente individuato perché il suo essere coincide con la sua essenza (in quanto aliquid). Anche in questo modo Tommaso si pone sulla scia di Aristotele, considerando la teologia (razionale) come il coronamento della scienza dell'ente in quanto tale: ma contemporaneamente l'immagine di Dio -- già ad un livello puramente razionale -- muta profondamente: se da una parte c'è un Dio “pensiero di sé stesso” che non può amare il mondo pena la perdita della propria perfetta attualità, dall'altra c'è un Dio che proprio in quanto atto puro partecipa il proprio essere a tutte le creature, come dono dalla propria ricchezza. Infatti, il fatto stesso che le cose di

Page 46: San Tommaso

cui abbiamo esperienza ci sono pur non godendo della coincidenza di essere ed essenza dimostra che il loro essere è ricevuto in dono. Ciò che si deve dire dell'essere va allora ripetuto per tutti gli altri trascendentali: Dio partecipa l'essenza, l'individualità, l'unità, la verità, la bontà a tutto il creato, che così porta la traccia della sua perfezione. Per la sua importanza storica, conviene inoltre toccare il problema della potenza di Dio (affrontato con dettaglio nelle questioni Sulla potenza e riassunto nella Somma). In Dio c'è potenza? Certamente essa non c'è nel senso in cui si oppone all'atto: Dio è infatti atto puro. Tommaso sfrutta però un secondo significato di potenza, che era stato già evidenziato (ma meno usato) da Aristotele: la potenza cioè non come possibilità di essere modificato, ovvero imperfezione (potentia passiva), ma come possesso di un principio di movimento o mutamento, ovvero perfezione (potentia activa). In questo secondo senso Dio non solo è potente, ma anzi onnipotente, essendo perfettissimo. Ma che cosa significa che egli può tutto? Dio viene detto onnipotente perché può tutte le cose possibili in assoluto. ... Ma l'essere divino, sul quale si fonda il carattere della potenza divina, è l'essere infinito, non limitato a qualche genere dell'ente, ma recante in sé la perfezione di tutto l'essere. Dunque qualsiasi cosa possa avere il carattere di ente fa parte delle cose possibili in assoluto, rispetto alle quali dio viene detto onnipotente. Ma nulla si oppone al carattere di ente, se non il non ente. Esso dunque ripugna al carattere del possibile in assoluto, che è sottomesso alla potenza divina, perché implica in sé l'essere e contemporaneamente il non essere. ... Tutte le cose dunque che non implicano contraddizione fanno parte di quelle cose possibili rispetto alle quali dio viene detto onnipotente (Somma teologica 1, q25a3c). Tale precisazione consente a Tommaso d'Aquino di respingere l'opinione secondo cui il mondo creato da Dio sarebbe “il migliore possibile”: Quando si dice che Dio può fare qualcosa meglio rispetto a ciò che fa, se “meglio” è un nome, è vero: infatti di qualsiasi cosa può farne un'altra migliore. ... Ma se “meglio” è un avverbio e riguarda il modo da parte di colui che fa, allora Dio non può fare meglio di come fa: perché non può fare con maggiore sapienza e bontà (Somma teologica, 1, q25a6ad1). Insomma, lo stesso concetto di “mondo migliore possibile” è contraddittorio, perché di qualsiasi cosa finita è sempre possibile una più perfetta (allo stesso modo, per esempio, è contraddittorio il concetto di “numero maggiore possibile”). Tuttavia anche in Tommaso, soprattutto nelle opere giovanili, si trovano dichiarazioni di ispirazione neoplatonica (analoghe a quelle che molto pi saranno caratteristiche di Leibniz ), in cui viene riconosciuto anche al male un ruolo nella bontà complessiva del mondo: Un universo in cui non ci fosse nulla di male non avrebbe tanta bontà quanta ne ha quest'universo, perché non ci sarebbero in quello tante buone nature quante in questo, in cui ci sono alcune

Page 47: San Tommaso

nature buone alle quali non si aggiunge del male, e alcune alle quali si aggiunge: ed è meglio che ci siano entrambi i tipi di nature piuttosto che le prime soltanto (Commento al Libro delle sentenze, 1, d44q1a2ad5). La facoltà di parlare analogicamente di Dio non toglie che la sua essenza sia assolutamente impossibile da conoscere tramite le facoltà naturali dell'anima umana: questa, che essendo unita al corpo è la forma di una materia, può infatti conoscere solo ciò che le è connaturale: cioè le cose individuate nella materia (tramite i sensi) e le forme universali astratte dalle cose (tramite l'intelletto). Ma conoscere lo stesso essere sussistente che è Dio è al di sopra delle possibilità naturali di qualsiasi intelletto creato, che possiede l'essere solo per partecipazione. Dimostrare che Dio c'è (an est) è infatti ben diverso dal sapere che cosa egli sia (quid est). In questo modo Tommaso interpreta l'affermazione del prologo del vangelo di Giovanni: “Dio nessuno lo ha mai visto” (1,18), e contemporaneamente valorizza la tradizione della teologia “negativa” o “apofantica” (soprattutto Dionigi l'Areopagita), secondo la quale di Dio si può dire propriamente solo ciò che egli non è. D'altra parte, l'ignoranza dell'essenza di Dio è l'unico motivo per cui Tommaso contesta Anselmo d'Aosta (1033-1109), che riteneva che l'affermazione dell'esistenza di Dio sia “per sé nota”, cioè immediatamente evidente. Il difetto di questa opinione non consiste per Tommaso (come spesso poi affermato) in un indebito passaggio dal piano mentale a quello reale (per quanto riguarda Dio è perfettamente lecito dedurre dall'essenza l'esistenza), ma nella supposizione che l'uomo conosca l'essenza di Dio, il che equivale sostanzialmente ad una petitio principii. Ma dato che così non è, il concetto di Dio come essere sussistente viene formato dall'uomo solo a partire dalle cose contingenti che sono a lui più vicine: Questa proposizione: dio esiste, in quanto è in sé, è nota per sé, perché il predicato è identico al soggetto: dio infatti è il suo essere. ... Ma poiché noi non sappiamo di dio che cosa egli sia, per noi non è nota per sé, ma ha bisogno di essere dimostrata tramite le cose che sono più note dal nostro punto di vista e meno note dal punto di vista della natura, vale a dire tramite gli effetti (Somma teologica 1, q2a1c). Il risultato finale della metafisica di Tommaso è dunque differente da quello di Aristotele: la domanda sull'essere, che muove la meraviglia dell'uomo, può giungere alla fine solo ad una indicazione, ma non ad una risposta intellettualmente completa. Si potrebbe dire che anche davanti ad una pietra risulta impossibile chiarire fino in fondo che cosa significhi per essa esistere: si potrà sì dire che ciò vuol dire avere l'atto di essere partecipato da colui che è l'essere, ma quale sia l'essenza dello stesso essere rimane ignoto. La metafisica culmina così in un grande interrogativo, dietro al quale però è già assicurato che non si trova il nulla, ma al contrario la sovrabbondanza di tutte le

Page 48: San Tommaso

perfezioni che conosciamo solo imperfettamente e limitatamente e tuttavia desideriamo spontaneamente nella loro totalità. Il problema dell'essere si sposta così dal campo speculativo al campo morale. Come la fisica nel suo complesso, anche la dottrina dell'anima è in Tommaso pressoché interamente ripresa da Aristotele. Alcune correzioni dovevano però essere introdotte per renderla compatibile con la rivelazione cristiana. I due punti più delicati erano costituiti dalla dottrina dell'intelletto agente (o “produttivo”) e dall'immortalità. Riguardo al primo, Tommaso, prendendo posizione in una celebre questione che Aristotele aveva lasciato poco definita, ritiene che vada necessariamente ammesso che l'intelletto agente sia qualcosa appartenente alla singola anima: Alcuni hanno affermato che quest'intelletto separato secondo la sostanza sia l'intelletto agente, che, quasi illuminando le immagini sensibili, le rende attualmente intellegibili. Ma, concesso che ci sia un tale intelletto agente separato, purtuttavia bisogna affermare che nella stessa anima ci sia una qualche facoltà partecipata da quell'intelletto superiore, tramite la quale l'anima umana le rende attualmente intellegibili. ... E questo lo conosciamo sperimentalmente, quando percepiamo di astrarre forme universali da condizioni particolari, il che significa renderle attualmente intellegibili. Infatti nessuna azione conviene a qualche cosa se non tramite un qualche principio che gli inerisca formalmente. ... Ma l'intelletto separato, secondo i documenti della nostra fede, è dio stesso, che è creatore dell'anima. ... Dunque da lui l'anima umana partecipa la luce dell'intelletto (Somma teologica 1, q79a4c). In questo modo Tommaso modifica drasticamente anche la dottrina agostiniana dell'illuminazione: l'uomo conosce non perché attualmente lo illumini Dio (che alcuni identificavano con l'intelletto agente unico di cui parlava Avicenna), ma perché il suo proprio intelletto ha ricevuto -- una volta per tutte -- una luce naturale sufficiente a garantire l'autonomia e la correttezza della sua conoscenza. A maggior ragione risulta confutata la teoria di Averroè e dei suoi seguaci, che teorizzavano l'unicità anche dell'intelletto possibile, affermando così un'unica anima per tutta la specie umana (questo è l'argomento affrontato nell'opuscolo polemico Sull'unità dell'intelletto contro gli averroisti). La posizione di Agostino e dei contemporanei maestri francescani viene rifiutata anche da un altro punto di vista: in quanto cioè essa sosteneva che nell'uomo esistano più “forme”, che cioè le anime intellettiva, sensitiva e vegetativa siano realmente distinte. Seguendo Aristotele, Tommaso afferma invece che nell'uomo c'è un'unica anima intellettiva, che assume anche le funzioni delle anime inferiori e dev'essere dunque definita ancora “forma corporis”. Infatti, è lo stesso uomo che percepisce di sentire (tramite il corpo) e di pensare (tramite il solo intelletto). Ciò è un ulteriore segno che solo l'unione di anima e corpo può essere indicata come “uomo”. Ma non

Page 49: San Tommaso

viene in questo modo negata l'immortalità? Tommaso ritiene di no. La chiave dell'argomentazione è costituita dal mostrare che l'anima intellettuale, quantunque sia forma del corpo, è tuttavia un principio incorporeo e sussistente, cioè autonomo. Gli atti intellettuali infatti manifestano un carattere di universalità che non può essere attribuito ai sensi corporei, neanche come semplici strumenti: la corporeità impedirebbe infatti, essendo legata al qui e all'ora, lo svolgimento di una conoscenza universale. Ora, qualcosa di sussistente può corrompersi solo perdendo la propria forma. Ma l'anima è forma, ed è impossibile che una cosa si separi da sé. Dunque l'anima è incorruttibile. Ma c'è anche un argomento più immediato, di sapore agostiniano, tramite il quale si può indurre l'immortalità dell'anima: Un segno di questa cosa può essere preso anche dal fatto che ciascuna cosa naturalmente desidera essere a suo modo. Ma nelle cose conoscenti il desiderio segue la conoscenza. Il senso non conosce l'essere se non sotto il qui e l'ora: ma l'intelletto apprende l'essere assolutamente e secondo ogni tempo. Dunque chiunque ha intelletto desidera naturalmente essere sempre. Il desiderio naturale non può del resto essere vano. Dunque ogni sostanza intellettuale è incorruttibile (Somma teologica I q75a6c). Il presupposto è ovviamente costituito dalla coerenza e dalla bontà dell'intera natura, che, in quanto esistente grazie alla partecipazione dell'essere divino e ad esso orientata, non può mai ispirare un desiderio irrealizzabile. Sul piano teologico, con un argomento simile si può sostenere la convenienza della resurrezione finale dei corpi: quantunque infatti -- come si vedrà -- l'anima può giungere di per sé alla beatitudine, la riunione con il corpo la renderà più perfetta. La dottrina dell'anima di Tommaso suscitò numerose discussioni presso i contemporanei. In essa infatti sembravano essere presenti troppe concessioni alla filosofia pagana, che rendevano problematici perfino elementi essenziali della fede cristiana. Dietro alle discussioni speculative c'era tuttavia una questione fondamentale di atteggiamento culturale: in Tommaso la rivendicazione della verità della psicologia aristotelica supponeva implicitamente una piena valutazione dell'autonomia e della globale bontà dell'essere umano -- anima e corpo -- che poteva apparire pericolosa per la religione cristiana. Il tempo avrebbe in realtà dato ragione a Tommaso, e la sua psicologia divenne addirittura parte dell'insegnamento ufficiale della Chiesa: nel 1312 il Concilio di Vienna addirittura anatematizzerà chi affermi che “anima rationalis seu intellectiva non sit forma corporis humani per se et essentialiter” (DS 902). Anche nella morale Tommaso d'Aquino si ispira da vicino ad Aristotele, tanto che la sua esposizione sembra spesso obbedire solo alla preoccupazione di mettere maggiore ordine e precisione nella teoria aristotelica. In realtà, la stessa assunzione dell'etica aristotelica è molto significativa: essa sottolinea, una volta di più, che il piano

Page 50: San Tommaso

puramente naturale -- quello che era stato raggiunto dalla filosofia pagana -- mantiene una sua autonomia e validità anche all'interno della prospettiva cristiana. L'aspetto più interessante della morale di Tommaso consiste allora proprio nel modo in cui quest'ultima viene integrata all'interno della struttura classica. Il punto di partenza, così come per Aristotele, consiste nel precisare che l'uomo agisce sempre -- in maniera più o meno consapevole -- in vista di un fine, e nel cercare quale mai possa essere questo fine. Anzitutto bisogna mostrare come tutti i beni naturali, che sono alla portata delle sole forze dell'uomo, non riescono a soddisfare la sua sete di felicità: né le ricchezza, né gli onori, né la fama, né il potere, né la perfezione corporale, né il piacere, né la perfezione dell'anima, né in generale alcun bene creato può costituire la sua felicità ovvero beatitudine: La beatitudine infatti è un bene perfetto, che sazia totalmente il desiderio: altrimenti non sarebbe il fine ultimo, se restasse ancora qualcosa da desiderare. Ma l'oggetto della volontà, che è il desiderio umano, è il bene universale (così come l'oggetto dell'intelletto è il vero universale). Da ciò è evidente che nulla può soddisfare la volontà dell'uomo all'infuori del bene universale. Ed esso non si trova in nulla di creato, ma solo in dio, perché ogni creatura ha solo una bontà partecipata. Dunque solo dio può soddisfare la volontà dell'uomo, secondo le parole del Salmo 102,5: “Colui che ricolma di beni il tuo desiderio”. Dunque, solo in dio consiste la beatitudine dell'uomo (Somma teologica 2/1, q2a8c). Dire che Dio è la beatitudine dell'uomo però non basta. Bisogna precisare più da vicino in quale modo l'uomo possa conquistare questa felicità ultima: La beatitudine ultima e perfetta non può consistere in altro che nella visione dell'essenza divina. Affinché ciò sia evidente bisogna considerare due cose. In primo luogo, che l'uomo non è perfettamente beato finché gli resta qualcosa da cercare e desiderare. In secondo luogo, la perfezione di qualsiasi facoltà è in rapporto al genere del suo oggetto. Ma l'oggetto dell'intelletto è il che cos'è, cioè l'essenza della cosa. ... Dunque la perfezione dell'intelletto procede in tanto in quanto esso conosce l'essenza di qualche cosa. Se dunque un intelletto conosce l'essenza di qualche effetto, tramite la quale non possa essere conosciuta l'essenza della causa (non si possa cioè sapere che cosa sia la causa), non si deve dire che l'intelletto abbia raggiunto in senso assoluto la causa, sebbene tramite l'effetto possa conoscere della causa che essa c'è. E dunque all'uomo rimane naturalmente il desiderio, quando conosce l'effetto e sa che esso ha una causa, di sapere anche che cosa sia quella causa. E questo desiderio è la meraviglia, che causa la ricerca, come viene detto all'inizio della Metafisica. ... Se dunque l'intelletto umano, conoscendo l'essenza di qualche effetto creato, di dio sa soltanto che c'è, la sua perfezione non raggiunge ancora in senso assoluto la causa prima, ma gli rimane ancora un desiderio

Page 51: San Tommaso

naturale di cercare la causa. Dunque non è ancora perfettamente beato. Dunque per la perfezione della beatitudine si richiede che l'intelletto giunga alla stessa essenza della prima causa (Somma teologica 2/1, q3a8c). In questo modo morale e metafisica vengono legate in modo ancora più stretto di quanto già avveniva in Aristotele. Se in lui la felicità maggiore veniva individuata -- al termine dell'analisi del comportamento umano -- nella vita teoretica, che però era realizzabile solo in maniera parziale (è impossibile per l'uomo passare la vita a contemplare soltanto), in Tommaso la stessa morale è fin dall'inizio mossa da quella meraviglia che costituisce il primo movente della ricerca, e dunque orientata ad un fine ultimo di sua natura assoluto e perfetto. Si realizza allora un curioso contrasto: il fatto stesso che l'uomo possa desiderare il bene perfetto mostra che egli di fatto lo può raggiungere (altrimenti esisterebbe un desiderio naturale smentito dalla natura stessa, il che è contraddittorio); ma tuttavia le sue forze naturali sono palesemente insufficienti a raggiungerlo: ciascuna creatura infatti conosce “secundum modum substantiae eius”, cioè adattando l'oggetto conosciuto alla propria natura: ma l'essenza divina eccede infinitamente qualsiasi essenza creata. Ciò mostra la necessità di ammettere razionalmente la possibilità di altre virtù oltre quelle intellettuali (dianoetiche) e morali (etiche): quelle teologiche (o teologali), la cui realtà è testimoniata dalla rivelazione cristiana: C'è una duplice beatitudine ovvero felicità dell'uomo. Una proporzionata alla natura umana, cioè alla quale l'uomo può giungere tramite i princìpi della sua natura. Un'altra è la beatitudine che eccede la natura dell'uomo, alla quale l'uomo può giungere solo per virtù divina, secondo una certa partecipazione da parte della divinità, secondo ciò che viene detto in 2Pt. 1,4, che tramite Cristo siamo diventati partecipi della natura divina. E poiché una tale beatitudine eccede la proporzione della natura umana, i princìpi naturali dell'uomo, in base ai quali procede per agire bene secondo la sua proporzione, non bastano per ordinare l'uomo verso la suddetta beatitudine. Dunque è necessario che all'uomo vengano aggiunti da parte di dio alcuni princìpi per mezzo dei quali egli venga ordinato alla beatitudine soprannaturale. ... E tali princìpi vengono detti virtù teologiche: sia perché hanno dio come oggetto, in quanto tramite esse veniamo rettamente ordinati verso dio; sia perché solo da dio vengono infuse in noi; sia perché solo tramite la rivelazione divina, nella Sacra Scrittura, simili virtù vengono tramandate (Somma teologica 2/1, q62a1c). Le virtù teologiche -- così come enumerate da Paolo in 1Cor. 13,13 -- sono fede, speranza e amore (caritas). Ciascuna di esse porta a perfezione un aspetto dell'anima razionale in relazione al suo fine ultimo: la fede perfeziona l'intelletto, la speranza il tendere della volontà al sommo bene, l'amore il suo conformarsi al fine ultimo. La loro trattazione è compito della teologia e non più della filosofia, ma

Page 52: San Tommaso

ciò non toglie che anche su di esse è possibile e necessario riflettere in maniera razionale. Notiamo solo due aspetti interessanti. Il primo consiste nel fatto che le virtù teologiche, a differenza di tutte le altre (secondo Tommaso anche di quelle intellettuali), non consistono nel “giusto mezzo”: nei confronti di Dio non possono infatti esistere eccessi, ma anzi vi sono sempre difetti: nessun uomo -- in quanto creatura finita -- potrà infatti mai amare Dio o credere o sperare in lui quanto sarebbe giusto. Il secondo consiste nella preminenza che viene accordata all'amore. Esso è da giudicare la più grande delle virtù, anzi la loro stessa “forma” (in quanto indirizza tutte le altre al fine ultimo che è Dio), ed è l'unica ad avere un carattere definitivo: la fede riguarda infatti ciò che non si vede (dunque scomparirà quando si vedrà l'essenza divina), la speranza ciò che non si ha (e dunque non avrà più motivo quando si possederà Dio): solo l'amore conduce in assoluto all'unione con colui che si ama. Questo mostra anche che solo in un certo senso la meraviglia che motiva la vita morale è destinata ad essere spenta: nella visione dell'essenza divina infatti la cosa più importante non è comprendere Dio tramite l'intelletto, ma piuttosto amarlo: Le virtù teologiche hanno un oggetto che è al di sopra dell'anima umana. ... Ma in ciò che è sopra l'uomo l'amore è più nobile della conoscenza. Infatti la conoscenza si realizza nel fatto che le cose conosciute sono nel conoscente; ma l'amore, nel fatto che l'amante viene attratto verso la cosa amata (Somma teologica 2/1, q66a6ad1). In questo modo il tipico intellettualismo greco, che Tommaso dapprima sembra condividere, viene corretto sulla base della creaturalità dell'uomo e degli insuperabili limiti del suo intelletto. Il primo oggetto del pensiero dell'uomo è l'essere: ma questo nella sua forma più perfetta, dunque come beatitudine, è destinato a rimanere sempre incomprensibile, chiedendo solo l'adesione dell'amore. Il principio della destinazione soprannaturale dell'uomo conferisce importanza centrale ad un tema che non poteva interessare molto un'etica puramente naturale: il problema cioè dei criteri di valutazione degli atti umani. Laddove in Aristotele il loro valore veniva immediatamente attribuito dalla capacità di contribuire ad una felicità naturale, in Tommaso essi sono tanto buoni quanto rendono l'uomo meritevole di ricevere in dono -- dopo il corso della vita terrena -- la visione dell'essenza divina. In questo modo la felicità naturale non viene però negata, ma piuttosto ordinata alla felicità completa e infinita cui l'uomo aspira. È per questo che il criterio fondamentale della moralità delle azioni resta ancora la recta ratio (corrispondente all'orthós lógos aristotelico): se la ragione è in grado di dirigersi verso un fine soprannaturale, essa sarà capace anche di ordinare le azioni dell'uomo verso di esso. È insomma alla ragione che spetta l'insostituibile compito di dare senso e valore all'intero campo dei comportamenti autenticamente umani. In questa prospettiva però si

Page 53: San Tommaso

crea un grande problema, che costituirà nelle sue implicazioni tema di interminabili discussioni nella morale cristiana. Nella sua forma più semplice può essere espresso così: se tutto ciò che viene fatto volontariamente dall'uomo è scelto sub specie boni, cioè perché in esso viene visto qualcosa di buono, su quale base si potrà parlare dal punto di vista della volontà -- l'unica che rende un'azione realmente umana -- di un'azione cattiva? Ancora più semplicemente: come può esistere un peccato realmente imputabile all'uomo? Il problema nasce appunto perché viene presupposta l'esistenza di un giudice delle azioni umane che non guarda solo al loro aspetto materiale, ma piuttosto all'intenzione con la quale esse vengono compiute. La risposta di Tommaso (in buona parte ispirata a Pietro Abelardo) è piuttosto articolata. Anzitutto bisogna distinguere più cause che possono rendere cattiva un'azione umana: L'uomo, come anche qualsiasi altra cosa, ha naturalmente desiderio di bene (appetitum boni). Dunque il fatto che il suo desiderio devìi al male accade a causa di una qualche corruzione o disordine in qualcuno dei princìpi dell'uomo: così infatti si trova l'errore nell'azione delle cose naturali. Ma i princìpi degli atti umani sono l'intelletto e il desiderio, sia razionale (che viene chiamato volontà), sia sensitivo. Dunque il peccato negli atti umani accade sia per difetto d'intelletto, per esempio quando uno pecca per ignoranza; e per difetto del desiderio sensitivo, come quando uno pecca per passione; così anche per difetto di volontà, che è un suo disordine (Somma teologica 2/1, q78a1). Esaminiamo brevemente i tre casi. Il primo si verifica quando l'uomo agisce in sèguito ad un'ignoranza volontaria o a cui egli avrebbe potuto rimediare. Per esempio, nessuno potrà scusarsi dell'adulterio adducendo la sua ignoranza della legge di natura che proibisce di andare con la moglie di un altro: perché proprio questa ignoranza è colpevole. L'unica ignoranza che scusa un'azione in sé cattiva è infatti quella che non è causata da negligenza né tanto meno intenzionale. Ma che cosa accade se la ragione, senza alcuna colpa, presenta ad un uomo come buona un'azione che invece in sé è cattiva? L'uomo ha il dovere di seguirla; se viceversa agisse contro la propria ragione, commetterebbe peccato, perché sceglierebbe un'azione in quanto cattiva. Un esempio estremo e paradossale: Credere in Cristo per sé è cosa buona e necessaria alla salvezza: ma la volontà non vi si dirige se non secondo ciò che la ragione propone. Dunque, se dalla ragione ciò fosse proposto come un male, la volontà vi si dirigerebbe come ad un male: non perché sia in sé male, ma perché è male per accidente, in seguito all'apprensione della ragione (Somma teologica 2/1, q19a5). In conclusione: l'uomo ha sempre il dovere di agire secondo ragione (o, come anche si esprime Tommaso, “secondo coscienza”). Ma, parimenti, ha il dovere di rendere il più corretto possibile il giudizio della ragione. Il secondo caso succede quando l'uomo, pur conoscendo

Page 54: San Tommaso

la legge universale (che è dettata dalla ragione), si lascia tuttavia sopraffare dalla passione sensibile, che gli suggerisce un bene che per quanto abbia una sua validità (per esempio il puro piacere), è tuttavia disordinato per l'uomo, in cui la forma essenziale è costituita dall'intelletto: si tratta quindi di un bene apparente, e non di un bene reale. Il terzo caso avviene quando l'uomo coscientemente preferisce un bene subordinato ad uno sovraordinato: quando per esempio preferisce la ricchezza (che in sé è un bene) alla vita di un altro uomo (che è un bene immensamente più grande): in questo caso si può quasi dire che l'uomo scelga coscientemente il male, sebbene sarebbe più corretto dire che sceglie consapevolmente un bene palesemente minore. Sostanzialmente originale rispetto ad Aristotele è anche la dettagliata trattazione che Tommaso offre del concetto di legge, definita come “ordinamento razionale diretto al bene comune, promulgato da colui che ha la cura della comunità” (“quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet promulgata”, Somma teologica 2/1, q90a4c). È lo strettissimo nesso con la ragione umana che permette di assumere la legge come criterio della bontà dei comportamenti. Ma non è certamente la legge umana quella che interessa di più Tommaso, ma piuttosto quella che, promulgata dal Dio onniprovvidente (o meglio coincidente con il suo intelletto), tende al massimo bene comune dell'intero universo: questo è il concetto di lex aeterna. Nella misura in cui essa viene partecipata all'uomo tramite la ragione, essa va poi chiamata lex naturalis. Questa tuttavia sarebbe sufficiente solo se l'uomo fosse ordinato ad un fine puramente naturale: ma dato che la sua destinazione è soprannaturale, è necessario che egli riceva anche una lex divina positiva, tramite le quale anche la legge naturale acquisti maggiore certezza ed efficacia. La legge divina -- la cui trattazione è compito non più della filosofia ma della teologia -- è quella che la rivelazione ci trasmette nella duplice forma di legge antica e legge nuova (cioè evangelica), la seconda delle quali perfeziona e adempie pienamente la prima. Ma in che cosa consiste la legge divina nella sua forma definitiva assunta nel Vangelo? Qui la risposta di Tommaso è molto originale: la legge nuova non è una legge scritta, non contiene quindi precetti, ma piuttosto è “la stessa grazia dello Spirito Santo, che viene data ai credenti in Cristo” (Somma teologica 2/1, q106a1c), che quindi è scritta nel cuore stesso dell'uomo. La legge nuova non è così un insieme di norme da rispettare, ma piuttosto la stessa capacità, donata da Dio all'uomo, di portare a realizzazione l'obiettivo della sua perfetta umanità e perfetta felicità, nella comunione con lui. Infatti, “come l'intenzione principale della legge umana è di fare amicizia reciproca tra gli uomini, così l'intenzione della legge divina è di costituire principalmente l'amicizia dell'uomo verso Dio” (Somma teologica 2/1, q99a1). Per questo la legge nuova non è una legge che

Page 55: San Tommaso

condanna, ma piuttosto una legge che iustificat, cioè perdona: Alla legge del Vangelo appartengono due aspetti. Uno in maniera principale: cioè la stessa grazia dello Spirito santo data interiormente. Quanto a ciò, la legge nuova giustifica. Per questo Agostino dice in De Spiritu et littera, 17: “Là -- cioè nell'Antico Testamento -- la legge era posta dall'esterno, per spaventare gli ingiusti; qua -- cioè nel Nuovo Testamento -- è stata data dall'interno, per giustificarli”. Un altro elemento appartiene alla legge del Vangelo in maniera secondaria: cioè le testimonianze della fede e i precetti che ordinano gli affetti umani e gli atti umani. E quanto a ciò, la legge nuova non giustifica. Per questo l'Apostolo dice in 2Cor. 3,6: “La lettera uccide, ma lo Spirito dà la vita”. E Agostino spiega, in De Spiritu et littera, che con “lettera” s'intende qualsiasi scrittura che sta fuori dell'uomo, anche quella dei precetti morali quali sono contenuti nel Vangelo. Dunque anche la lettera del Vangelo ucciderebbe, se non ci fosse dall'interno la grazia sanante della fede (Somma teologica 2/1, q106a2c). Dunque, così come le virtù naturali vengono portate a perfezione e completate da quelle teologiche, così la legge naturale è assunta e trasfigurata all'interno della libera autocomunicazione di Dio attraverso quel dono di sé che è lo Spirito. Lo straordinario successo ottenuto lungo i secoli tanto dalla filosofia quanto dalla teologia di Tommaso d'Aquino è certamente un segno del loro valore. La profondità, l'equilibrio, l'armonia tra esigenze razionali ed esigenze di fede condussero rapidamente alla loro assunzione nell'insegnamento ordinario della Chiesa. Non va però dimenticato che il pensiero di Tommaso si sviluppa in un contesto culturale estremamente vivace e ricco, all'interno del quale la sua figura non è affatto quella di un genio isolato. Bisognerebbe anzi notare che la recezione dei secoli successivi, oltre che essere legata ad un giudizio sul valore delle tesi di Tommaso, è in gran parte motivata dalla sua grande sensibilità didattica. Il testo più letto e studiato diventa la Somma teologica, che si presenta espressamente come un'opera solo ad eruditionem incipientium, “per la formazione dei principianti”. Bisogna però rammaricarsi che spesso lo spirito del pensiero di Tommaso sia stato frainteso e dimenticato: la ricerca instancabile ed equilibrata di nuove soluzioni, rigorosamente confrontate usando tutti gli strumenti razionali e le più aggiornate premesse filosofiche, divenne così o una disquisizione puramente verbale su questioni pressoché impalpabili (che susciterà la rivolta del Rinascimento), oppure una stanca e arida ripetizione di tesi (che nella Chiesa cattolica sarà travolta dal rinnovamento ispirato dall'ultimo Concilio ecumenico). La riflessione e la valutazione della filosofia di Tommaso è così ancora oggi un compito in gran parte da svolgere.