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Informatore di vita parrocchiale

ANNO XXI - n. 2

ESTATE 2010

Direttore responsabile

Don Roberto Verga

Sede:

Piazza San Maurizio, 10 21040 VEDANO OLONA (VA)

Tel. 0332.400109 — www.parrocchiavedano.it

IN QUESTO NUMERO …

EDITORIALE ................................................................... 4

VITA PARROCCHIALE

Cronaca di una festa ......................................... 8

Incontro con Etsuro Sotoo ............................... 10

È tutto negli occhi e nel cuore ......................... 12

Le confessioni di Sant’Agostino ...................... 13

Si conosce solo ciò che si ama ....................... 14

STORIA DELLA CHIESA

Don Bosco e i suoi ragazzi ............................. 15

VITA PARROCHIALE

Famiglia, sale della terra e luce del mondo .... 19

Proposte cinematografiche ............................. 20

VITA D’ORATORIO

Oratorio feriale: sottosopra ............................. 21

INVITO ALLA LETTURA

Lettera ad un amico sulla vita spirituale ......... 22

UN SANTO PER AMICO

San Giovanni Maria Vianney - III parte........... 23

IN MARGINE ALLA MOSTRA

“Dio è morto” di Francesco Guccini ................ 27

NOTE D’ARCHIVIO ...................................................... 29

RICORDIAMO CHE… ................................................... 30

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EDITORIALE

Carissimi,

a conclusione dell’anno sacerdotale leggiamo

come spunto di meditazione la bellissima omeli-

a che il santo Padre Benedetto XVI ci ha donato

al termine delle celebrazioni del Sacro Cuore di

Gesù, posto come evento finale del cammino di

riflessione e preghiera sulla figura del sacerdo-

te.

A tutti auguro delle vacanze serene,

don Roberto

Cari confratelli nel ministero sacerdotale,

Cari fratelli e sorelle,

l’Anno Sacerdotale che abbiamo celebrato, 150

anni dopo la morte del santo Curato d’Ars, mo-

dello del ministero sacerdotale nel nostro mon-

do, volge al termine. Dal Curato d’Ars ci siamo

lasciati guidare, per comprendere nuovamente

la grandezza e la bellezza del ministero sacerdo-

tale. Il sacerdote non è semplicemente il deten-

tore di un ufficio, come quelli di cui ogni società

ha bisogno affinché in essa possano essere a-

dempiute certe funzioni. Egli invece fa qualcosa

che nessun essere umano può fare da sé: pro-

nuncia in nome di Cristo la parola

dell’assoluzione dai nostri peccati e cambia co-

sì, a partire da Dio, la situazione della nostra

vita. Pronuncia sulle offerte del pane e del vino

le parole di ringraziamento di Cristo che sono

parole di transustanziazione – parole che rendo-

no presente Lui stesso, il Risorto, il suo Corpo e

suo Sangue, e trasformano così gli elementi del

mondo: parole che spalancano il mondo a Dio e

lo congiungono a Lui. Il sacerdozio è quindi non

semplicemente «ufficio», ma sacramento: Dio si

serve di un povero uomo al fine di essere, attra-

verso lui, presente per gli uomini e di agire in

loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri

umani affida se stesso; che, pur conoscendo le

nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di

agire e di essere presenti in vece sua – questa

audacia di Dio è la cosa veramente grande che

si nasconde nella parola «sacerdozio». Che Dio ci

ritenga capaci di questo; che Egli in tal modo

chiami uomini al suo servizio e così dal di dentro

si leghi ad essi: è ciò che in quest’anno voleva-

mo nuovamente considerare e comprendere.

Volevamo risvegliare la gioia che Dio ci sia così

vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affi-

di alla nostra debolezza; che Egli ci conduca e ci

sostenga giorno per giorno. Volevamo così an-

che mostrare nuovamente ai giovani che questa

vocazione, questa comunione di servizio per Dio

e con Dio, esiste – anzi, che Dio è in attesa del

nostro «sì». Insieme alla Chiesa volevamo nuova-

mente far notare che questa vocazione la dob-

biamo chiedere a Dio. Chiediamo operai per la

messe di Dio, e questa richiesta a Dio è, al tem-

po stesso, un bussare di Dio al cuore di giovani

che si ritengono capaci di ciò di cui Dio li ritiene

capaci. Era da aspettarsi che al «nemico» questo

nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe pia-

ciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire,

perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal

mondo. E così è successo che, proprio in questo

anno di gioia per il sacramento del sacerdozio,

siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti –

soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli, nel

quale il sacerdozio come compito della premura

di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo

contrario. Anche noi chiediamo insistentemente

perdono a Dio ed alle persone coinvolte, mentre

intendiamo promettere di voler fare tutto il pos-

sibile affinché un tale abuso non possa succe-

dere mai più; promettere che nell’ammissione al

ministero sacerdotale e nella formazione duran-

te il cammino di preparazione ad esso faremo

tutto ciò che possiamo per vagliare l’autenticità

della vocazione e che vogliamo ancora di più

accompagnare i sacerdoti nel loro cammino,

affinché il Signore li protegga e li custodisca in

situazioni penose e nei pericoli della vita. Se

l’Anno Sacerdotale avesse dovuto essere una

glorificazione della nostra personale prestazione

umana, sarebbe stato distrutto da queste vicen-

de. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il

diventare grati per il dono di Dio, dono che si

nasconde “in vasi di creta” e che sempre di nuo-

vo, attraverso tutta la debolezza umana, rende

concreto in questo mondo il suo amore. Così

consideriamo quanto è avvenuto quale compito

di purificazione, un compito che ci accompagna

verso il futuro e che, tanto più, ci fa riconoscere

ed amare il grande dono di Dio. In questo modo,

il dono diventa l’impegno di rispondere al corag-

gio e all’umiltà di Dio con il nostro coraggio e la

nostra umiltà. La parola di Cristo, che abbiamo

cantato come canto d’ingresso nella liturgia,

può dirci in questa ora che cosa significhi diven-

tare ed essere sacerdoti: “Prendete il mio giogo

sopra di voi e imparate da me, che sono mite e

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umile di cuore” (Mt 11,29).

Celebriamo la festa del Sacro Cuore di Gesù e

gettiamo con la liturgia, per così dire, uno sguar-

do dentro il cuore di Gesù, che nella morte fu

aperto dalla lancia del soldato romano. Sì, il suo

cuore è aperto per noi e davanti a noi – e con ciò

ci è aperto il cuore di Dio stesso. La liturgia inter-

preta per noi il linguaggio del cuore di Gesù, che

parla soprattutto di Dio quale pastore degli uomi-

ni, e in questo modo ci manifesta il sacerdozio di

Gesù, che è radicato nell’intimo del suo cuore;

così ci indica il perenne fondamento, come pure

il valido criterio, di ogni ministero sacerdotale,

che deve sempre essere ancorato al cuore di

Gesù ed essere vissuto a partire da esso. Vorrei

oggi meditare soprattutto sui testi con i quali la

Chiesa orante risponde

alla Parola di Dio presen-

tata nelle letture. In quei

canti parola e risposta si

compenetrano. Da una

parte, essi stessi sono

tratti dalla Parola di Dio,

ma, dall’altra, sono al

contempo già la risposta

dell’uomo a tale Parola,

risposta in cui la Parola

stessa si comunica ed

entra nella nostra vita. Il

più importante di quei

testi nell’odierna liturgia

è il Salmo 23 (22) – “Il

Signore è il mio pastore”

–, nel quale l’Israele o-

rante ha accolto l’autorivelazione di Dio come

pastore, e ne ha fatto l’orientamento per la pro-

pria vita. “Il Signore è il mio pastore: non manco

di nulla”: in questo primo versetto si esprimono

gioia e gratitudine per il fatto che Dio è presente

e si occupa di noi. La lettura tratta dal Libro di

Ezechiele comincia con lo stesso tema: “Io stes-

so cercherò le mie pecore e ne avrò cura” (Ez

34,11). Dio si prende personalmente cura di me,

di noi, dell’umanità. Non sono lasciato solo,

smarrito nell’universo ed in una società davanti a

cui si rimane sempre più disorientati. Egli si pren-

de cura di me. Non è un Dio lontano, per il quale

la mia vita conterebbe troppo poco. Le religioni

del mondo, per quanto possiamo vedere, hanno

sempre saputo che, in ultima analisi, c’è un Dio

solo. Ma tale Dio era lontano. Apparentemente

Egli abbandonava il mondo ad altre potenze e

forze, ad altre divinità. Con queste bisognava

trovare un accordo. Il Dio unico era buono, ma

tuttavia lontano. Non costituiva un pericolo, ma

neppure offriva un aiuto. Così non era necessario

occuparsi di Lui. Egli non dominava. Stranamen-

te, questo pensiero è riemerso nell’Illuminismo.

Si comprendeva ancora che il mondo presuppo-

ne un Creatore. Questo Dio, però, aveva costruito

il mondo e poi si era evidentemente ritirato da

esso. Ora il mondo aveva un suo insieme di leggi

secondo cui si sviluppava e in cui Dio non inter-

veniva, non poteva intervenire. Dio era solo

un’origine remota. Molti forse non desideravano

neppure che Dio si prendesse cura di loro. Non

volevano essere disturbati da Dio. Ma laddove la

premura e l’amore di Dio vengono percepiti co-

me disturbo, lì l’essere umano è stravolto. È bello

e consolante sapere

che c’è una persona

che mi vuol bene e si

prende cura di me. Ma

è molto più decisivo che

esista quel Dio che mi

conosce, mi ama e si

preoccupa di me. “Io

conosco le mie pecore e

le mie pecore conosco-

no me” (Gv 10,14), dice

la Chiesa prima del Van-

gelo con una parola del

Signore. Dio mi cono-

sce, si preoccupa di me.

Questo pensiero do-

vrebbe renderci vera-

mente gioiosi. Lasciamo

che esso penetri profondamente nel nostro inti-

mo. Allora comprendiamo anche che cosa signifi-

chi: Dio vuole che noi come sacerdoti, in un pic-

colo punto della storia, condividiamo le sue pre-

occupazioni per gli uomini. Come sacerdoti, vo-

gliamo essere persone che, in comunione con la

sua premura per gli uomini, ci prendiamo cura di

loro, rendiamo a loro sperimentabile nel concreto

questa premura di Dio. E, riguardo all’ambito a

lui affidato, il sacerdote, insieme col Signore, do-

vrebbe poter dire: “Io conosco le mie pecore e le

mie pecore conoscono me”. “Conoscere”, nel

significato della Sacra Scrittura, non è mai sol-

tanto un sapere esteriore così come si conosce il

numero telefonico di una persona. “Conoscere”

significa essere interiormente vicino all’altro. Vo-

lergli bene. Noi dovremmo cercare di

“conoscere” gli uomini da parte di Dio e in vista

di Dio; dovremmo cercare di camminare con loro

EDITORIALE

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sulla via dell’amicizia di Dio.Ritorniamo al nostro

Salmo. Lì si dice: “Mi guida per il giusto cammi-

no a motivo del suo nome. Anche se vado per

una valle oscura, non temo alcun male, perché

tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi

danno sicurezza” (23 [22], 3s). Il pastore indica

la strada giusta a coloro che gli sono affidati.

Egli precede e li guida. Diciamolo in maniera

diversa: il Signore ci mostra come si realizza in

modo giusto l’essere uomini. Egli ci insegna

l’arte di essere persona. Che cosa devo fare per

non precipitare, per non sperperare la mia vita

nella mancanza di senso? È, appunto, questa la

domanda che ogni uomo deve porsi e che vale

in ogni periodo della vita. E quanto buio esiste

intorno a tale domanda nel nostro tempo! Sem-

pre di nuovo ci viene in mente la parola di Gesù,

il quale aveva compassione per gli uomini, per-

ché erano come pecore senza pastore. Signore,

abbi pietà anche di noi! Indicaci la strada! Dal

Vangelo sappiamo questo: Egli stesso è la via.

Vivere con Cristo, seguire Lui – questo significa

trovare la via giusta, affinché la nostra vita ac-

quisti senso ed affinché un giorno possiamo di-

re: “Sì, vivere è stata una cosa buona”. Il popolo

d’Israele era ed è grato a Dio, perché Egli nei

Comandamenti ha indicato la via della vita. Il

grande Salmo 119 (118) è un’unica espressione

di gioia per questo fatto: noi non brancoliamo

nel buio. Dio ci ha mostrato qual è la via, come

possiamo camminare nel modo giusto. Ciò che i

Comandamenti dicono è stato sintetizzato nella

vita di Gesù ed è divenuto un modello vivo. Così

capiamo che queste direttive di Dio non sono

c a -

tene, ma sono la via che Egli ci indica. Possiamo

essere lieti per esse e gioire perché in Cristo

stanno davanti a noi come realtà vissuta. Egli

stesso ci ha resi lieti. Nel camminare insieme

con Cristo facciamo l’esperienza della gioia del-

la Rivelazione, e come sacerdoti dobbiamo co-

municare alla gente la gioia per il fatto che ci è

stata indicata la via giusta della vita.

C’è poi la parola concernente la “valle oscura”

attraverso la quale il Signore guida l’uomo. La

via di ciascuno di noi ci condurrà un giorno nella

valle oscura della morte in cui nessuno può ac-

compagnarci. Ed Egli sarà lì. Cristo stesso è di-

sceso nella notte oscura della morte. Anche lì

Egli non ci abbandona. Anche lì ci guida. “Se

scendo negli inferi, eccoti”, dice il Salmo 139

(138). Sì, tu sei presente anche nell’ultimo tra-

vaglio, e così il nostro Salmo responsoriale può

dire: pure lì, nella valle oscura, non temo alcun

male. Parlando della valle oscura possiamo, pe-

rò, pensare anche alle valli oscure della tenta-

zione, dello scoraggiamento, della prova, che

ogni persona umana deve attraversare. Anche in

queste valli tenebrose della vita Egli è là. Sì, Si-

gnore, nelle oscurità della tentazione, nelle ore

dell’oscuramento in cui tutte le luci sembrano

spegnersi, mostrami che tu sei là. Aiuta noi sa-

cerdoti, affinché possiamo essere accanto alle

persone a noi affidate in tali notti oscure. Affin-

ché possiamo mostrare loro la tua luce.

“Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicu-

rezza”: il pastore ha bisogno del bastone contro

le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il

gregge; contro i briganti che cercano il loro botti-

no. Accanto al bastone c’è il vincastro che dona

sostegno ed aiuta ad attraversare passaggi diffi-

cili. Ambedue le cose rientrano anche nel mini-

stero della Chiesa, nel ministero del sacerdote.

Anche la Chiesa deve usare il bastone del pasto-

re, il bastone col quale protegge la fede contro i

falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in

realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del basto-

ne può essere un servizio di amore. Oggi vedia-

mo che non si tratta di amore, quando si tollera-

no comportamenti indegni della vita sacerdota-

le. Come pure non si tratta di amore se si lascia

proliferare l’eresia, il travisamento e il disfaci-

mento della fede, come se noi autonomamente

inventassimo la fede. Come se non fosse più

dono di Dio, la perla preziosa che non ci lascia-

mo strappare via. Al tempo stesso, però, il ba-

stone deve sempre di nuovo diventare il vinca-

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stro del pastore – vincastro che aiuti gli uomini a

poter camminare su sentieri difficili e a seguire il

Signore.

Alla fine del Salmo si parla della mensa prepara-

ta, dell’olio con cui viene unto il capo, del calice

traboccante, del poter abitare presso il Signore.

Nel Salmo questo esprime innanzitutto la pro-

spettiva della gioia per la festa di essere con Dio

nel tempio, di essere ospitati e serviti da Lui

stesso, di poter abitare presso di Lui. Per noi che

preghiamo questo Salmo con Cristo e col suo

Corpo che è la Chiesa, questa prospettiva di spe-

ranza ha acquistato un’ampiezza ed una profon-

dità ancora più grandi. Vediamo in queste parole,

per così dire, un’anticipazione profetica del mi-

stero dell’Eucaristia in cui Dio stesso ci ospita

offrendo se stesso a noi come cibo – come quel

pane e quel vino squisito che, soli, possono co-

stituire l’ultima risposta all’intima fame e sete

dell’uomo. Come non essere lieti di poter ogni

giorno essere ospiti alla mensa stessa di Dio, di

abitare presso di Lui? Come non essere lieti del

fatto che Egli ci ha comandato: “Fate questo in

memoria di me”? Lieti perché Egli ci ha dato di

preparare la mensa di Dio per gli uomini, di dare

loro il suo Corpo e il suo Sangue, di offrire loro il

dono prezioso della sua stessa presenza. Sì, pos-

siamo con tutto il cuore pregare insieme le paro-

le del Salmo: “Bontà e fedeltà mi saranno com-

pagne tutti i giorni della mia vita” (23 [22], 6).

Alla fine gettiamo ancora brevemente uno sguar-

do sui due canti alla comunione propostici oggi

dalla Chiesa nella sua liturgia. C’è anzitutto la

parola con cui san Giovanni conclude il racconto

della crocifissione di Gesù: “Un soldato gli trafis-

se il costato con la lancia e subito ne uscì san-

gue ed acqua” (Gv 19,34). Il cuore di Gesù viene

trafitto dalla lancia. Esso viene aperto, e diventa

una sorgente: l’acqua e il sangue che ne escono

rimandano ai due Sacramenti fondamentali dei

quali la Chiesa vive: il Battesimo e l’Eucaristia.

Dal costato squarciato del Signore, dal suo cuore

aperto scaturisce la sorgente viva che scorre at-

traverso i secoli e fa la Chiesa. Il cuore aperto è

fonte di un nuovo fiume di vita; in questo conte-

sto, Giovanni certamente ha pensato anche alla

profezia di Ezechiele che vede sgorgare dal nuo-

vo tempio un fiume che dona fecondità e vita (Ez

47): Gesù stesso è il tempio nuovo, e il suo cuore

aperto è la sorgente dalla quale esce un fiume di

vita nuova, che si comunica a noi nel Battesimo

e nell’Eucaristia.

La liturgia della Solennità del Sacro Cuore di Ge-

sù prevede, però, come canto di comunione an-

che un’altra paro-

la, affine a que-

sta, tratta dal

Vangelo di Gio-

vanni: Chi ha se-

te, venga a me.

Beva chi crede in

me. La Scrittura

d i c e :

“Sgorgheranno

da lui fiumi

d’acqua viva” (cfr

Gv 7,37s). Nella

fede beviamo, per

c o s ì d i r e ,

dall’acqua viva

della Parola di

Dio. Così il credente diventa egli stesso una sor-

gente, dona alla terra assetata della storia acqua

viva. Lo vediamo nei santi. Lo vediamo in Maria

che, quale grande donna di fede e di amore, è

diventata lungo i secoli sorgente di fede, amore

e vita. Ogni cristiano e ogni sacerdote dovrebbe-

ro, a partire da Cristo, diventare sorgente che

comunica vita agli altri. Noi dovremmo donare

acqua della vita ad un mondo assetato. Signore,

noi ti ringraziamo perché hai aperto il tuo cuore

per noi; perché nella tua morte e nella tua risur-

rezione sei diventato fonte di vita. Fa’ che siamo

persone viventi, viventi dalla tua fonte, e donaci

di poter essere anche noi fonti, in grado di dona-

re a questo nostro tempo acqua della vita. Ti rin-

graziamo per la grazia del ministero sacerdotale.

Signore, benedici noi e benedici tutti gli uomini di

questo tempo che sono assetati e in ricerca. A-

men.

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Cronaca di una festa

È stata una settimana veramente intensa quella

dal 10 al 16 maggio, settimana in cui si è svolta

la 3° fiera di San Pancrazio, compatrono del no-

stro paese, la cui festa liturgica si celebra il 12

maggio. Diversi appuntamenti culturali e religiosi

si sono susseguiti, raggiungendo l'apice nella

serata di giovedì 13 quando si è avuto l'incontro-

testimonianza con Etsuro Sotoo, lo scultore di

origine giapponese continuatore dell'opera di

Gaudì alla Sagrada Familia di Barcellona.

Filo conduttore di tutta la manifestazione era la

frase di Sant'Agostino “Si conosce solo ciò che si

ama”, ovvero ciò avviene quando il cuore e l'in-

telligenza dell'uomo sono mossi, sono guidati

all'approfondimento, alla conoscenza della verità

delle cose da ciò che sta a cuore, che si ama,

che coinvolge come attrattiva tutto l'essere uma-

no. È l'attrattiva verso ciò che è bello, vero e giu-

sto, una tensione verso Colui che quelle qualità

le possiede nella somma pienezza e ne è la fon-

te, cioè Dio. La figura e il pensiero di Sant'Agosti-

no sono stati lo spunto dello spettacolo teatrale,

dal titolo “Le confessioni di Sant'Agostino, messo

in scena dai ragazzi di 3° media, bravi nel calar-

si nelle parti e nel presentare testi anche difficili;

Agostino è stato protagonista anche della pre-

sentazione della mostra a lui dedicata fatta da

don Giuseppe Bolis, docente all'Università Catto-

lica di Milano, unitamente alla testimonianza di

Valentina Boschi, una ragazza ventiseienne che

sta per ricevere il Battesimo e che è stata guida-

ta, nel suo cammino di avvicinamento alla fede

cristiana, dalla lettura proprio delle “Confessioni”

del grande santo di Ippona. In questa linea della

ricerca di Dio fino ad avere “un cuore inquieto

finchè non riposa in Te” (è sempre Sant'Agostino

che parla) si inserisce l'incontro con Etsuro Soto-

o, il continuatore dell'opera dell'”Architetto di

Dio” Antoni Gaudì presso quel tempio ancora

incompiuto che è la Sagrada Familia di Barcello-

na. Nato in Giappone nel 1953, si è laureato nel

1977 all'Università delle Belle Arti di Kyoto ed ha

insegnato nelle scuole di arte del suo paese; nel

1978 ha incominciato a lavorare a Barcellona

come scultore realizzando centinaia di sculture.

Egli ha presentato la sua esperienza comincian-

do a ricordare il suo desiderio giovanile di lavora-

re la pietra: non gli bastava l'insegnamento pres-

so le scuole d'arte di Kyoto e Osaka, per cui il

suo desiderio lo ha portato in Europa, ricchissi-

ma di opere d'arte di pregevole qualità, e preci-

samente a Barcellona dove è stato introdotto

nella continuazione dell'opera lasciata incompiu-

ta dal Gaudì. “Dalla pietra al maestro”, che è an-

che il titolo della mostra dedicata all'itinerario

umano e spirituale di Sotoo, è il cammino com-

piuto: lavorando la pietra penetrava e carpiva

tutti i segreti del mestiere imparando dal mae-

stro Gaudì, ma nello stesso tempo questo pro-

cesso lo conduceva al Maestro

della vita che è Dio. Infatti, ha det-

to Sotoo: “continuando l'opera di

Gaudì avvertivo la necessita di

capire più profondamente quello

su cui stavo lavorando e di guar-

dare nella direzione dove lui (il

maestro Gaudì) guardava, ovvero

Dio e i contenuti della fede cristia-

na espressi in un'opera d'arte”. Da

qui è iniziato un percorso di ade-

sione alla fede cattolica fino a rice-

vere i sacramenti dell'iniziazione

cristiana, aiutato in questo dall'a-

mico Josè Manuel Almuzara che è

anche presidente dell'Associazio-

ne per la beatificazione di Antoni

Gaudì.

Nell'ambito della kermesse ha a-

vuto luogo anche una tavola roton-

da sul tema del lavoro con l'inge-

gner Sebastiano Rio, direttore in-

dustriale di “Ferrari auto”, l'inge-

VITA PARROCCHIALE

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gner Ielmini Riccardo

dell'Alpina Transportation

che opera nel campo dei

motori elettrici, Gabri

Elisabetta, amministrato-

re delegato della Brunel-

lo S.p.A. che opera nel

campo tessile, e il Diri-

gente dell' Ufficio Scola-

stico Provinciale Claudio

Merletti. In essa si è cer-

cato di spiegare ed e-

semplificare cosa signifi-

chi passione e responsa-

bilità sul lavoro: se è vero

che “si conosce solo ciò

che si ama” allora gli aspetti sopra citati sono

fondamentali e necessari per l'esercizio del lavo-

ro a beneficio della società e come continuazio-

ne dell'opera creatrice di Dio.

Significativo un altro momento, più strettamente

religioso, quale è stata la consacrazione dei

bambini e ragazzi a San Pancrazio, giovinetto di

14 anni che divenne martire a Roma per aver

difeso la sua fede non riconoscendo nel contem-

po l'imperatore come un dio: ai bambini è stata

consegnata una statuetta del santo, infatti le

giovani generazioni hanno bisogno di esempi

positivi e coerenti anche nell'ambito della fede

religiosa, oltre che nel processo educativo che

stanno compiendo. Gli stessi ragazzi sono stati

all'opera anche per colorare una riproduzione di

una facciata della Sagrada Familia realizzata da

un gruppo di bravi artigiani vedanesi, a grandez-

za quasi naturale e collocata all'interno del parco

Spech dove si è svolta tutta la manifestazione.

Sempre in ambito liturgico da segnalare le cele-

brazioni eucaristiche del 12 maggio celebrata da

Mons. Erminio Villa, prevosto di Tradate ,che ha

posto l'accento sulla testimonianza di fede di

San Pancrazio e su cosa vuol dire per noi oggi

fare altrettanto, e la Messa del giorno dopo, pre-

sieduta da Mons. Luigi Stucchi vicario episcopale

di Varese. Inoltre, al termine della settimana,

domenica sera, si è svolta la processione per le

vie del paese con spettacolo finale degli sbandie-

ratori di Besnate.

Ricordiamo, infine, alcuni momenti musicali che

ci sono stati: il concerto per pianoforte e archi

promosso dall'associazione “La Classica”, il con-

certo sinfonico dell'Orchestra giovanile polacca e

il concerto bandistico della Filarmonica Ponchiel-

li. La musica, nelle sue varie espressioni, eleva

l'animo alle realtà che stanno al di sopra di noi, è

un riverbero e un'espressione di quella bellezza

insita nel nostro animo che rimanda sempre alla

Bellezza per eccellenza.

Vezio

VITA PARROCCHIALE

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VITA PARROCCHIALE

Il tempo non prometteva bene: tuoni sempre

più minacciosi annunciavano un imminente

temporale. Improvvidamente mi attardai nel-

la chiesa di San Pancrazio a leggere la mo-

stra “Dalla pietra al maestro”, perché mi par-

ve cosa buona arrivare

all’incontro con qualche co-

noscenza. La tensostruttura

fu presto piena e, quando vi

giunsi, fui costretto a siste-

marmi dietro le varie centi-

naia di sedie, tra chi stava in

piedi al limite del tendone.

Poi lo vidi, anche se da lonta-

no. Era come me l’ero imma-

ginato: baffetti folti, curati,

pizzetto appena accennato,

fronte spaziosa incorniciata

da lisci capelli corvini, oc-

chiali da miope che non ce-

lavano i tratti del volto incon-

fondibilmente orientali. Tesi

gli orecchi, mentre alle mie

spalle, a pochi centimetri dalla giacca imper-

meabile, grondavano dalla tenda fiotti ormai

continui d’acqua.

Etsuro Sotoo è il famosissimo scultore giap-

ponese che da più di trent’anni lavora alla

“Sagrada Familia”, quell’enorme e stupenda

chiesa di Barcellona iniziata quasi

centotrent’anni fa da Gaudì, di cui lui è giu-

stamente ritenuto erede e continuatore. Vi

arrivò per caso, con in tasca progetti che lo

portavano altrove, e rimase affascinato, oltre

che dalla bellezza del monumento, dai gran-

di blocchi di pietra collocati alla rinfusa alla

base del cantiere: chiese di lavorare lì per-

ché sentì d’esservi destinato, sollecitato da

una tensione misteriosa, tanto più che il la-

voro d’insegnante gli pareva insufficiente e

voleva “fare”.

Conosceva la tecnica della

scultura e voleva trarre dalla

pietra il capolavoro, ma fu la

pietra a dettargli le regole

dello scolpire: “Se non segui

il suo orientamento, si fran-

tuma fino a che non ti trovi

in mano che un coccio inser-

vibile.”

Guardava a Gaudì per impara-

re, ma si sentiva impacciato;

cercava di entrare nello

“spirito” della sua opera e si

chiedeva come il maestro

avrebbe realizzato quello

che doveva fare, ma“non

capiva”. Questo anche per-

ché bisognava realizzare alcuni progetti di

cui Gaudì non aveva lasciato alcuna indica-

zione: non c’erano dati che aiutassero e

quell’edificio non era solo un’opera d’arte,

poiché ogni pietra celava un simbolo miste-

rioso per lo scultore giapponese. Sotoo era

molto preoccupato, non sapendo come fare

a compiere il passo finale che lo avvicinasse

di più al maestro.

Poi venne l’illuminazione: “Non guardare Gau-

dì, ma guardare nella direzione dove guarda-

va Gaudì”, perché “l’amore non consiste nel

guardare l’altro, ma nel guardare dove guar-

Incontro con Etsuro Sotoo In margine a un avvenimento dentro la III Fiera di San Pancrazio.

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VITA PARROCCHIALE

da l’altro”.

Fu così che scoprì il cristianesimo, lui che era

passato attraverso il buddismo e lo scintoi-

smo! Comprese che, per guardare corretta-

mente nella stessa direzione di Gaudì, biso-

gnava mettersi nella sua stessa posizione, e

cioè nella fede. Dopo il battesimo, sentì che

il suo maestro era entrato in lui: più aveva

guardato Gaudì, meno era riuscito ad avvici-

narsi a lui, ma da quando aveva guardato

nella sua stessa direzione, incredibilmente,

lui e il maestro erano diventati una cosa so-

la.

Dopo la conversione, il modo di lavorare di

Sotoo non è cambiato, ma è “molto più facile

e sicuro” ed egli lavora “con gusto e libertà”,

perché ora sa che cosa vuol fare con

quell’edificio tanto meraviglioso e sa che è la

stessa cosa che intendeva fare il suo mae-

stro.

Ora, tra i numerosi angeli di pietra che canta-

no sulla facciata della natività, vi sono anche

i suoi: cantano e suonano sorridenti perché

annunciano al mondo che Cristo è nato.

A questo punto, pioveva ancora e in lonta-

nanza i tuoni continuavano; io avevo trovato

un posto a sedere, ma ormai mi era indiffe-

rente, perché il mio cuore e la mia testa era-

no altrove, attratti dalla luce che tentava di

squarciare le mie nubi. Alla fine, credo di a-

ver capito: Sotoo vive ora ciò che

sant’Agostino ha scritto millesettecento anni

fa: “Si conosce veramente solo ciò che si a-

ma” (veramente!), che poi era il tema di tutta

quella Fiera.

Alvisio

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Cosa si può aggiungere che non sia già stato

detto, guardato, vissuto, ascoltato, interioriz-

zato? Se sei stato lì, ti porti tutto dentro in

un’esplosione di gioia, di bellezza, di gran-

dezza, di commozione… E, soprattutto, senti

il cuore gonfio di una profonda gratitudine

per un avvenimento grandioso che segna la

vita e a qualcuno l’ha cambiata.

Un intero paese è stato protagonista, con

tempi e modi diversi e puntualmente pro-

grammati: i bambini, i ragazzi, gli adulti si

sono lasciati investire da una realtà moltepli-

ce, viva e stupefacente che ha toccato e

mosso la sensibilità di ognuno, probabilmen-

te anche di chi sino allora era rimasto a guar-

dare in disparte senza lasciarsi attrarre e co-

involgere.

Se la gente non è rimasta indifferente, ha

voluto vedere ed esserci, è perché è vero

quel giudizio che io sento tanto mio: “Si vive

per qualcosa che sta accadendo ora…”.

Per una settimana si è visto all’opera un me-

todo educativo incisivo e fruttuoso, soprat-

tutto realistico. Chi ha seguito il teatro dei

ragazzi della scuola media e ha ascoltato i

lunghi dialoghi tratti dalle “Confessioni” di

Sant’Agostino, recitati con precisa memoria,

è rimasto stupefatto dall’intima partecipazio-

ne con cui i giovani attori recitavano. Forse

anche le discipline scolastiche dovrebbero

calibrare meglio metodi e contenuti sugli in-

teressi dei ragazzi per avere un seguito più

convinto…

E il tema della conoscenza (non fine a se

stessa, chiusa e sterile ma aperta e illumina-

ta dalla fede) ancora una volta ha affascina-

to e attratto. Agostino e Sotoo ne sono i testi-

moni disarmanti: le mostre e gli incontri che

li hanno visti protagonisti sono stati gli avve-

nimenti di maggiore at-

trattiva, oltre che di spes-

sore culturale ecceziona-

le.

Il senso di questa Terza

Fiera di San Pancrazio,

come delle due edizioni

precedenti, è che tutto è

per noi: celebrazioni litur-

giche, canti, giochi, musi-

ca, arte, pittura… Anche

le Ferrari, anche quella

sbalorditiva e incredibile

altissima facciata della

Sagrada Familia erano

per noi, erano per me,

poiché queste sono le

modalità con cui il Miste-

ro mi conduce a Lui.

Tutto quello che abbiamo sperimentato era

al servizio dell’io: questo ho imparato nella

settimana dedicata alla Terza Fiera di San

Pancrazio, anche se non ho potuto essere

presente a tutto. E ho percepito più in pro-

fondità che la realtà che abbiamo vissuto ha

il suo significato in un’altra cosa.

Ed è nata e cresciuta un’amicizia, rafforzata

e dilatata tra le persone dello Staff, che ha

reso più comprensibile il riconoscimento di

una Presenza speciale in mezzo a noi.

Marinelda

VITA PARROCCHIALE

È tutto negli occhi e nel cuore!

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In occasione della Fiera di San Pancra-

zio, svoltasi a Vedano Olona tra il 10 e il

16 maggio, ragazzi e ragazze di secon-

da e terza media, grazie al loro impegno

e all’aiuto degli educatori, sono riusciti a

realizzare la fantastica rappresentazio-

ne delle “Confessioni di Sant’Agostino”

che entrerà di sicuro negli annali della

ormai tradizionale manifestazione.

Parte integrante di questa esperienza è

stato l’impegno di Luisa Oneto, regista

teatrale, che è riuscita con professiona-

lità ed esperienza a far emergere le ca-

pacità nascoste dei singoli giovani atto-

ri: ognuno di loro con costanza, determi-

nazione e passione ha fatto sì che la

“performance” risultasse un’occasione

di crescita personale e di gruppo, oltre che di

riflessione per i Vedanesi.

Questo percorso, durato circa quattro mesi,

e culminato con la rappresentazione del

martedì sera, ha permesso di approfondire i

rapporti di amicizia e agli attori di migliorarsi,

non solo come tali, ma anche come persone.

Ascoltando le testimonianze dei ragazzi è

emerso che la maggiore difficoltà è stata ri-

produrre personaggi lontani nel tempo, con

linguaggio diverso, e atteggiamenti sociali

completamente opposti a quella che è la re-

altà odierna.

Lo spettacolo riproduce il travaglio interiore

di Agostino fino alla sua scoperta di Cristo,

guida per condurre una vita retta, lontana

dai piaceri terreni. Importante in questo cam-

mino è la figura della madre Monica che,

grazie alle sue lacrime colme di preghiera,

riesce a condurre suo figlio alla cristianità.

Un contributo speciale è stato offerto da don

Roberto, che con la sua determinazione,

spinto dalla voglia di fare bene, ha proposto

questa iniziativa come apertura della Fiera.

Ha colpito come i Vedanesi abbiano seguito

con attenzione la storia spirituale di uno dei

santi più misteriosi della chiesa, il quale ha

avvertito la presenza dell’Altissimo all’ inter-

no del suo cuore e ha lasciato la sua brillan-

te carriera, dedicandosi solo ed esclusiva-

mente al Signore.

Per noi ragazzi è stata un’esperienza che

porteremo nel cuore per sempre e che ci ha

fatto capire che, concludendo con le parole

di S. Agostino, «Ci hai fatti per Te, Signore, e

il nostro cuore non ha pace finché non riposa

in Te».

Luca, Filippo, Davide ed Enrico

VITA PARROCCHIALE

Le confessioni di sant’Agostino

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VITA PARROCCHIALE

Si conosce solo ciò che si ama...

Eravamo ai primi di aprile,

sprofondati nella preparazione

dell’ultimo numero della rivista

“New People”, cercando di sco-

prire il lato più umano, e quindi

più spirituale, della Coppa del

mondo in Sud Africa, quando

mi giunge a Nairobi la notizia

che Vedano stava pianificando

la celebrazione della Terza Fie-

ra di S. Pancrazio, all’insegna

del detto di S. Agostino: “Si co-

nosce solo ciò che si ama”.

Invitato alle celebrazioni, non

potei resistere all’attrazione del

programma e all’eccellenza

degli eventi che – direi – solo

Vedano sa presentare.

Ora la festa è finita, ma le im-

magini e le emozioni saranno

lunghe a morire, forse mai. E-

venti ed incontri che hanno toc-

cato le corde più profonde dei

nostri cuori, trafitti come da

una lancia che ha aperto ferite

che non guariranno più.

Agostino, sedici secoli fa, cercava la vita in tutto

ciò che il mondo materiale ed intellettuale pote-

va offrire alla sua mente sconfinata; anni dispe-

rati di ricerca fuori di sé; troverà la pace solo

quando scoprirà che quel Dio che cercava

all’infuori era dentro di sé.

Sulla scia dell’uomo, poi Santo, Agostino, abbia-

mo sentito in questi giorni urlare nella gioia

scoppiante di cuori ritrovati: “Credo!”

Il grande scultore giapponese Etsuro Sotoo

“vide” nell’opera del genio architettonico di Gau-

dì la terza dimensione delle sue grandi opere:

l’intelligenza, le mani e … la fede! Lui che voleva

domare la pietra, ne è domato e dice: “Credo!”.

Valeria, plurilaureata, non battezzata, di famiglia

atea, riprende e medita su un libro che già ave-

va letto a scuola: “Le Confessioni” di S. Agosti-

no. Ed ecco la risposta alla sua inquietudine:

“Torniamo a Cristo!” Ora i suoi interessi intercul-

turali a cui lavorava si illuminano di uno splen-

dore infinito di doni incommensurabili che solo

l’amore di un Dio infinito può comunicare. E an-

cora il grido gioioso di una vita ritrovata:

“Credo!”.

Testimoni! Testimoni di un amore di

un Dio che si fa uomo perché l’uomo

si riscopra figlio di Dio.

Lo hanno testimoniato gli Apostoli, lo

hanno testimoniato S. Pancrazio e gli

altri milioni di martiri, lo hanno testi-

moniato in questi giorni menti pro-

fonde e cuori brucianti, nelle loro

parole roventi, nell’arte, nella musi-

ca, che la Fiera di S. Pancrazio ci ha

regalato a Vedano, e noi abbiamo

conosciuto il mistero nascosto pene-

trati e condotti dalla bellezza senza

fine di un amore sconvolgente.

P. Luigi Cocchi

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Nell’archivio della congregazione salesiana si

conservano 2 documenti rari. Sono contratti di

˝apprendizzaggio”,cioè per ragazzi apprendisti,

tra i più antichi di Torino. Uno è del Novembre

1851, in carta semplice; l’altro del Febbraio

1852, in carta bollata. In essi si stabilisce: che i

datori di lavoro impiegheranno gli apprendisti sol-

tanto nel loro mestiere; che la paga aumenterà in

misura progressiva, man mano che essi im-

pareranno; che le correzioni saranno fatte unica-

mente a parole; che gli apprendisti riposeranno la

domenica e avranno 15 giorni di ferie all’anno.

I contratti saranno firmati dal datore di lavoro,

dagli apprendisti e da don Giovanni Bosco. Il

quale mette il dito su molte piaghe, con quelle

prescrizioni: alcuni padroni, infatti, usavano gli

apprendisti come servitori e sguatteri oltre che (o

invece di) insegnare loro il mestiere; li pic-

chiavano, e cercavano di farli lavorare di con-

tinuo. Con questi contratti, i peggiori soprusi ven-

gono finalmente eliminati.

Don Bosco era arrivato a Torino nel 1841, fresco

prete (nato il 16 Agosto 1815 a Castelnuovo

d’Asti, in una famiglia contadina poverissima, era

stato ordinato a 26 anni). Fino a quel momento

conosceva soltanto la povertà delle campagne,

ignorando la tragedia delle periferie cittadine.

Entrato nel convitto ecclesiastico di Torino, dal

suo direttore spirituale don Giuseppe Cafasso

ebbe questo consiglio: «Andate, guardatevi attor-

no». Così il giovane prete perlustrò la miseria ur-

bana. «Fin dalle prime domeniche», testimonierà

Michele Rua, suo allievo e poi suo primo succes-

sore, «andò per la città, per farsi un’idea delle

condizioni morali dei giovani». Ne fu sconvolto. I

sobborghi erano zone di fermento e di rivolta, cin-

ture di desolazione. Adolescenti vagabondavano

per le strade disoccupati, intristiti, pronti a qualsi-

asi cosa. Barabba, barabbotti: così li chiamava la

gente spaventata. Accanto al mercato generale

della città scoprì un vero “mercato delle braccia

giovani”. Vide, insomma, la conseguenza italiana,

torinese, della rivoluzione industriale: la prima

ondata d’immigrazione verso la capitale piemon-

tese, in cerca di fortuna.

L’impressione più sconvolgente fu quella delle

prigioni. Scrisse: «Vedere un gran numero di giovi-

netti, dai 12 ai 18 anni, tutti sani, robusti, d’im-

pegno sveglio, vederli lì inoperosi, rosicchiati dagli

insetti, stentare il pane spirituale e materiale, fu

cosa che mi fece orrore».

Uscendo, aveva deciso. «Debbo impedire a ogni

costo che ragazzi così giovani finiscano là den-

tro». Certo, anche altri preti avrebbero voluto im-

pedirlo, e qualcuno era pronto a lavorare con

splendidi risultati nello stesso campo. Ma per al-

lora i più si limitavano ad aspettare i giovani nelle

chiese e sacrestie delle 16 parrocchie torinesi,

per i catechismi comandati, rimpiangendo i bei

tempi in cui i giovani arrivavano – e non così in

massa – accompagnati da una lettera del par-

roco di origine al collega torinese. Non si accorge-

vano che ormai quei comportamenti erano saltati

per sempre, e che c’era un’altra società.

Bisognava inventare cose nuove, provare ad

esempio un apostolato volante, tanto per comin-

ciare, tra botteghe, officine, mercati, osterie, pi-

azze. Molti preti giovani tentavano. E tentò don

Bosco. Avvicinò il primo ragazzo immigrato, Bar-

tolomeo Garelli da Asti, l’8 Dicembre 1841. Tre

giorni dopo attorno a lui erano in 9, 3 mesi dopo

25, nell’estate del 1842 80. Erano selciatori,

scalpellini, muratori, stuccatori, che venivano da

paesi lontani.

Così nasce l’oratorio. Ma non è una faccenda che

si esaurisce alla domenica. Questi ragazzi hanno

STORIA DELLA CHIESA

Don Bosco e i suoi ragazzi

a cura di Gianluca

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STORIA DELLA CHIESA problemi enormi: l’occupazione fissa

di don Bosco, ormai, consiste nel ten-

tare di risolverli: cercare un lavoro per

chi non ce l’ha, ottenere condizioni

migliori a chi è già occupato, far

scuola dopo il lavoro ai più intelli-

genti. «Andavo a visitarli nelle officine,

nei cantieri. Tal cosa produceva

grande gioia ai miei giovanetti, che

vedevano un amico prendersi cura di

loro. Faceva piacere anche ai loro

padroni, che prendevano volentieri

alle loro dipendenze dei giovani assis-

titi durante la settimana e nei giorni

festivi».

Ma alcuni di questi ragazzi non sanno

dove andare a dormire, se non sotto i

ponti o in miserabili dormitori pub-

blici. Don Bosco tenta 2 volte di dare

ospitalità: la prima volta gli portarono

via le coperte, la seconda gli svuo-

tarono anche il piccolo fienile. È il

primo annuncio del grande problema. Intanto il

suo oratorio (con Messa, divertimenti, istruzione

religiosa, scuola per gli analfabeti) vaga per al-

cuni anni nella periferia torinese, fino a che trova

stabile residenza a Valdocco nella “casa Pi-

nardi” (Aprile 1846) attorno alla quale nascerà

col tempo il grandioso complesso della casa

madre dei Salesiani.

Il problema di accogliere non per alcune ore, ma

a tempo pieno, ragazzi senza casa, diventa fon-

damentale. Oltre alle centinaia che già frequen-

tano l’oratorio, nel 1846 ci sono 7 ospiti fissi, e

nasce la questione finanziaria. La prima benefat-

trice di don Bosco non è una nobildonna, ma sua

madre Margherita, povera contadina di 59 anni

venuta ad abitare con lui, che vende i pochi

gioielli che ha per sfamare i primi ragazzi. I quali

saranno 36 nel 1852, 115 nel 1854, 600 nel

1861, fino a diventare 800.

Fra i ragazzi che hanno don Bosco come padre e

maestro, qualcuno gli domanda di “diventare

come lui”. E così nasce la congregazione. Um-

berto Rattazzi, il ministro massone che ha con-

tribuito a sciogliere in Piemonte tante congregazi-

oni, insegna a don Bosco il modo di creare la sua

congregazione senza ricadere sotto le leggi laiciz-

zanti. Scrive direttamente gli articoli delle costi-

tuzioni relativi alle questioni giuridiche e finan-

ziarie; don Bosco si limita a rivedere e a correg-

gere. Così nasce la società di San Francesco di

Sales, che inizierà poi il faticoso iter per essere

riconosciuta anche canonicamente, prima da

Torino e poi dalla Santa Sede.

Nell’autunno 1853 cominciano a funzionare

nell’oratorio di Valdocco i laboratori dei calzolai e

dei sarti, con don Bosco che insegna personal-

mente; poi verranno i legatori, falegnami, ti-

pografi, fabbri. Sei laboratori per ragazzi «orfani di

padre e di madre», come si legge nel programma,

«e totalmente abbandonati».

Nel dialogo tra don Bosco e il primo ragazzo in-

contrato – l’ha lasciato scritto egli stesso – c’è la

parola “subi-to”. Quella è la parola d’ordine di

don Bosco, tirato dentro l’azione dell’urgenza,

dall’impossibilità di aspettare. Nell’incertezza

della prima rivoluzione industriale, il prete mon-

ferrino, e i primi preti salesiani che lo aiutano,

gettano le loro energie per fare ”subito” qualcosa.

Si specializzano come uomini di pronto inter-

vento, e intanto fra i ragazzi emergono quelli che

un giorno saranno capi e collaboratori di quella

cosa gigantesca che sta nascendo in condizioni

tanto misere: si chiamano Michele Rua, Giovanni

Cagliero, Giovanni Battista Francesia…

Fare qualcosa subito, dunque, perché i giovani

non possono aspettare i piani, che nessuno sem-

bra ansioso di fare. Certo, il “subito” non basta,

perché «se s’incontra uno che muore di fame,

invece di dargli un pesce è meglio insegnargli a

pescare». Ma è anche vero il contrario: «A chi

muore di fame, dà intanto un pesce, perché ab-

bia il tempo di imparare a pescare». Bisogna cam-

biare il presente, e questo fanno don Bosco e i

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suoi salesiani: essi danno ai gio-

vani pane e una casa, intanto;

insieme, procurano loro istruzi-

one professionale e religiosa,

possibilità di inserirsi nella vita

sociale, buoni contratti di lavoro.

Questo prete che non è nem-

meno laureato, che racconta i

suoi sogni e spesso fa bonarie

profezie in dialetto, diventa col

tempo una figura di rilievo nazi-

onale. Scrive la Gazzetta di

Torino l’8 Gennaio 1874:

«Trovasi a Roma il celebre don

Bosco. Egli gode grandi entrate

in Vaticano, e il Papa lo vede

assai bene. Anche presso il gov-

erno egli ha larghezza d’entra-

tura». Uomo semplice e insieme

finissimo, viene spesso consul-

tato da Pio IX sulla nomina di

nuovi vescovi. Nel Settembre 1870, poco prima

dell’occupazione italiana di Roma, il Papa si

rivolge anche a lui per consiglio: restare in Vati-

cano oppure andare a Malta, dove lo porterà una

nave inglese già pronta ? La risposta arriva

copiata in bella da don Cagliero e con accenti

biblici dà il consiglio politicamente acuto: «Che la

sentinella, l’Angelo d’Israele, si fermi al suo

posto, e stia alla guardia della rocca di Dio e

dell’Arca Santa». Pio IX decide di non partire…

Gli oratori e le case professionali di don Bosco si

diffondono in Italia e nel mondo. Il creatore

dell’opera manda missionari in America, compie

viaggi in Francia e Spagna che sono itinerari

trionfali. Il suo sistema di educazione conoscerà

fama universale. Ma lui non ebbe mai il tempo di

illustrarlo in un volume, come gli si chiedeva. Nel

1876 tirò giù appena uno”schizzo” di 9 paginette

frettolose.

Ne riportiamo una, da cui traspare la “carica” che

egli si portava dentro: «Questo sistema si appog-

gia tutto sopra la ragione, la religione, e sopra

l’amorevolezza. Esclude ogni castigo violento, e

cerca di tenere lontani anche quelli leggeri. Il di-

rettore e gli assistenti sono come padri amorosi:

parlano, servono di guida, danno consigli e

amorevolmente correggono. L’allievo non resta

avvilito, diventa amico, nell’assistente vede un

benefattore che vuole farlo buono, liberarlo dai

dispiaceri, dai castighi, dal disonore». E continua:

«La pratica di sistema è tutta appoggiata sopra le

parole di San Paolo che dice:”La carità è benigna

e paziente; soffre tutto, ma sopra tutto e sostiene

qualunque disturbo”. Perciò soltanto il cristiano

può con successo applicare questo sistema.

Ragione e religione sono gli strumenti di cui deve

costantemente far uso l’educatore. Il direttore

deve essere tutto consacrato ai suoi educandi.

L’educatore cerchi di farsi amare piuttosto che

farsi temere».

STORIA DELLA CHIESA

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Vacanza insieme!

CAMPEGGIO ESTIVO: dal 10 al 17 luglio, dalla I alla III media, a Cavalese in val di Fiemme (TN), presso l’Hotel Bella Costa prezzo: 280 € (comprendente pensione com-pleta, viaggio A/R, assicurazione)

VITA PARROCCHIALE

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FAMIGLIA , SALE DELLA TERRA E LUCE DEL MONDO

“Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdes-

se il sapore, con che cosa lo si potrà render sala-

to? A null'altro serve che ad essere gettato via e

c a l p e s t a t o d a g l i u o m i n i .

Voi siete la luce del mondo; non può restare na-

scosta una città collocata sopra un monte, né si

accende una lucerna per metterla sotto il mog-

gio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a

tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la

vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le

vostre opere buone e rendano gloria al vostro

Padre che è nei cieli.”

Matteo 5, 13-16

I cristiani devono essere il sale della terra, dice il

Vangelo di Matteo. E a maggior ragione, in questi

tempi di smarrimento, lo sono le famiglie cristia-

ne, testimonianza di una felicità possibile, di rap-

porti personali impostati sulla fiducia e il dialogo,

di accoglienza generosa dell’altro, di presenza

responsabile nella società.

Il sale serve a purificare, ma soprattutto serve a

dare sapore. Ma non può essere impiegato da

solo: deve stare dentro il cibo: allora ne esalta il

gusto e lo rende più gradevole. Se crediamo in

Gesù non possiamo vivere la nostra fede come

una faccenda privata, una specie di favore del

Signore per arricchire la nostra vita personale, o

una forza per consolarci nella difficoltà, o un’es-

perienza per diventare migliori; perché essere

sale e luce vuol dire entrare in contatto con il

mondo in cui viviamo. Una fede che non voglia

entrare in contatto con la terra , secondo questo

brano del Vangelo , non può esistere. Eppure

sperimentiamo giornalmente le fatiche di entrare

in relazione con il mondo, le sue strutture, le sue

istituzioni.

D u -

rante l’anno trascorso, aiutati dall’esempio dei

santi , filo conduttore dei nostri incontri, abbiamo

modestamente “insaporito” il nostro cammino

organizzando diversi momenti d’ascolto e condivi-

sione con amici che hanno sicuramente lasciato

in ognuno dei presenti un esempio di fede salda,

sicura, di luce capace d’illuminare la via.

I coniugi Schillirò, Savino Pezzotta , Padre Martin

(missionario nei lebbrosari del Mozambico), ma

anche la festa della famiglia, la Via Crucis al col-

le San Maffeo ed infine il pellegrinaggio al Santu-

ario della Madonna del Soccorso ad Ossuccio

(CO) sono stati momenti significativi in cui abbia-

mo offerto la nostra testimonianza, semplicemen-

te con il nostro stile : vivere nella società come

famiglie cristiane.

Ci impegniamo noi e non gli altri.

Unicamente noi e non gli altri.

Ci impegniamo

senza aspettare chi non s’ impegna

senza criticare chi non s’impegna

senza giudicare chi non s’ impegna.

Ci impegniamo perché noi crediamo all’amore

La sola certezza che basta

Ad impegnarci per sempre.

(Don Primo Mazzolari)

Prossimo appuntamento del gruppo è l’ ormai

proverbiale vacanza estiva. La foresta nera, in

Germania, sarà la meta di quest’anno. Grandi

distese di verde e boschi faranno da scenario alle

nostre passeggiate.

Pensate che il simpatico gestore della casa che ci

ospiterà ci ha già promesso una sfida calcistica

tra Germania e Italia: speriamo bene…. se il

mondiale andasse male e perdessimo un eventu-

ale confronto con la nazionale tedesca

“vendicheremo l’affronto”….

Più seriamente… l'incontro con altre famiglie, la

condivisione di intere giornate ed il confronto

quotidiano con il Vangelo sono gli ingredienti per-

ché questa esperienza permetta ad ogni parteci-

pante di portarsi a casa, come ogni volta, molto

più di quanto si aspettasse.

A presto,

Mario

VITA PARROCCHIALE

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In questo numero indichiamo le seguenti propo-

ste cinematografiche in d.v.d:

“Il giardino dei limoni” (Francia 2008), di Eran

Riklis con Hiam Abbass e Ali Suliman. È un film

che descrive le problematiche della convivenza

civile tra israeliani e palestinesi.

Salma Zidane è una donna che vive in Cisgiorda-

nia: ella è rimasta sola e possiede un bellissimo

giardino di limoni fonte anche del suo sostenta-

mento. Quando un giorno il Ministro della Difesa

israeliano viene ad abitare nella casa vicina alla

sua, la donna ingaggia una battaglia legale con

lo stesso ministro che vuole abbattere i suoi li-

moni, sostenendo che il giardino potrebbe esse-

re passaggio per attacchi terroristici nei suoi con-

fronti. In questa diatriba emergono le figure posi-

tive di due donne: la proprietaria del giardino e la

moglie del ministro che pian piano prende le di-

fese della prima; nello stesso tempo si evidenzia

l'ottusità dell'esponente del governo e del suo

entourage, tant'è che il ministro alla fine viene

abbandonato dalla moglie.

Invece commedia esilarante e divertente è “Il

piccolo Nicolas e i suoi gemitori”,(Francia 2009),

con Valerie Lemercier, Kad Merad e Maxime Go-

dart. Film che ha avuto successo in patria perché

riprende la popolarissima serie di racconti per

l'infanzia del piccolo Nicolas. Il film è apprezzabi-

le poiché è a misura di bambino e genitori, con la

presenza di una coppia di attori nella parte dei

genitori amorevoli, ma un po' imbranati, e il ritrat-

to di un bambino alle prese con maestre temibili

o amatissime, con i giochi e le rivalità tra i com-

pagni di classe e con le avventure quotidiane

all'insegna del divertimento. Il bambino, per invi-

dia “boicotta”, a modo suo e con l'aiuto dei suoi

amici, la nascita di un fratellino per poi ricredersi

ed esserne orgoglioso…

Vezio

TORNEOTORNEO SERALSERALEE

DIDI CALCIOCALCIO

“DELL’ORATORIO”“DELL’ORATORIO”

all’Oratorio di Vedano Olona dal 15 giugno al 1 luglio

Ogni sera sarà fornito il servizio cucina

Si ringraziano: Enoteca De Salve, Garden Ortoflor, Termoidraulica Gasparini, R.D.L. Impresa Pulizie e

Assicurazione Bernabei Stefano

Proposte Cinematografiche

VITA PARROCCHIALE

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VITA D’ORATORIO

Sono i giorni dell’oratorio estivo: anche a Vedano

i ragazzi e le ragazze coloreranno le strade verso

l’oratorio con le loro magliette, cappellini e ban-

dane fino al 9 luglio. Offriamo una riflessione sul-

la tradizionale proposta formativa estiva della

Diocesi a cura di don Samuele Marelli, responsa-

bile della FOM.

Dopo gli ultimi preparativi si parte, quasi

all’unisono, con l’esperienza dell’oratorio estivo

in tutta la Diocesi di Milano. Vedremo i ragazzi

incamminarsi ogni

mattina, con la loro

maglietta e il loro

cappellino, verso i

cancelli degli oratori,

forse un po’ meno

svogliati di quando

vanno a scuola.

A precederli gli ani-

matori che, durante

l’estate, si scoprono,

a sorpresa, dei veri

“mattinieri”. Qualcu-

no di loro entra prima

in chiesa, c’è anche

chi prima va a Messa,

per iniziare la propria giornata di impegno in un

modo diverso dal solito. La loro fatica è accompa-

gnata da un’autentica gioia e la loro vita, nelle

settimane di oratorio estivo, sembra prendere

una piega unificante, che fa crescere loro e chi è

intorno a loro.

Stiamo parlando di animatori adolescenti a cui

diamo la piena fiducia. La diamo noi preti e re-

sponsabili, ma soprattutto la danno i genitori che

hanno iscritto i loro figli, non solo perché - come

spesso si dice - non sanno dove mandarli, ma

anche perché credono che l’oratorio sia un posto

sicuro, in cui si cresce con un certo stile evangeli-

co e, soprattutto, vedono i loro figli tornare a casa

stanchi, ma contenti, sereni e sorridenti.

L’oratorio ha questo segreto, che in estate diven-

ta ancora più evidente: è un luogo dove piccoli e

grandi si trovano allegramente bene e dove gli

impegni vengono presi sul serio, anche dai più

giovani.

Allegria e serietà in oratorio sono le due facce

della stessa medaglia. Il senso di responsabilità

nasce dalla gratuità con cui in oratorio ci si spen-

de. Tutti quelli che volontariamente vi operano - e

sono tantissimi - danno il massimo perché credo-

no nell’efficacia della sua proposta educativa. Ma

c’è anche qualcosa in più: chi lavora in oratorio si

esercita nell’amore, prova la gioia del dare e gu-

sta sulla sua pelle la pratica del Vangelo.

L’oratorio riempie così la vita di chi dona le sue

energie e di chi le riceve.

Ecco perché l’oratorio, specialmente durante

l’estate, si conferma un laboratorio di vita eccle-

siale e si dimostra il luogo privilegiato in cui la

comunità cristia-

na esprime la pro-

pria tensione mis-

sionaria, dentro

una dimensione

educativa che ne

diventa pratica

così significativa.

Nei cortili dei no-

stri oratori i ragaz-

zi sentono che

dietro alle attività

c’è un progetto

comune, ma, so-

pra ogni cosa,

godono della for-

za di un gruppo di persone - dagli adolescenti a

qualche giovane coordinatore, ai genitori, insieme

con il prete e la suora - che anima e crea comu-

nione.

Fare in modo che le attività siano sempre orienta-

te da un progetto e costruire la vita dell’oratorio

intorno a una larga forma di corresponsabilità e

comunione sono le fondamenta su cui l’oratorio

può considerarsi sempre “nuovo”, capace di sta-

re sulla soglia come “sentinella”, con una bussola

chiara che trova nel Vangelo la sua direzione e la

sua strada.

don Samuele Marelli

Oratorio feriale: sottosopra

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INVITO ALLA LETTURA

Lettere ad un amico sulla vita spirituale

Il libro che presentiamo in questo numero è di un

autore molto noto, Enzo Bianchi, priore della co-

munità monastica di Bose. Il testo raccoglie le

lettere che Bianchi ha scritto in risposta agli in-

terrogativi di un giovane, il quale ha deciso di

porsi alcune domande sulla vita spirituale, sul

cammino del cristiano nella sequela di Gesù. Al-

cune delle questioni sono comuni non solo ai gio-

vani, ma a tutti quelli che decidono di percorrere

tale via: come pregare? Cosa fare quando il dub-

bio e la stanchezza rallentano il cammino? Come

abitare il silenzio? Cos’è l’umiltà? Come vivere la

notte della fede?

Le risposte che fornisce Enzo Bianchi sono di

grande semplicità, ma anche verità: egli non si

pone come colui che è arrivato alla fine del sen-

tiero, ma come il compagno di cammino che sug-

gerisce alcuni passi, in primo luogo quello del far

vivere lo Spirito Santo nel cuore dell’uomo, poi-

ché la vita spirituale altro non è la vita “dello Spi-

rito di Dio nell’uomo”. Allora ecco una serie di

consigli pratici e utili sul tempo della preghiera,

sulla lectio divina, sulla liturgia, sull’ascolto, sul

discernimento, fino alla lotta spirituale e alla fra-

ternità, per imparare ad avere uno sguardo sul

mondo e su di sé che si modelli allo sguardo di

Dio, per osservare e amare il mondo con i colori

della speranza, delle fede e della gioia, perché, come dice l’autore, “la vita di Gesù è

stata una vita buona, bella e felice. Questa vita buona, bella e felice può divenire per

te l’esempio grazie al quale puoi riconciliarti con la tua esistenza e imparare a vivere

giorno per giorno in pienezza. È una vita estremamente umana, che è stata assunta

per amore e nella libertà da chi, essendo Dio, si è fatto uomo, condividendo realmen-

te e quotidianamente la tua vita”.

Enzo Bianchi

Lettere ad un amico sulla vita

spirituale

Pag. 151, 10 €

edizioni Qiqajon

A cura di Sergio

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Abbiamo visto come, nella scorsa puntata, facil-

mente si spalancarono le porte del seminario per

il futuro santo. Uscirne con una talare addosso e

col biglietto della destinazione in mano, invece,

sarà tutt’altra cosa. L’alunno diligente che negli

anni della prima istruzione era l’orgoglio del ma-

estro Dumas, si scontrerà con le difficili materie

insegnate ai creandi sacerdoti, come la liturgia,

la teologia e soprattutto il latino. Sarà bocciato

per ben due volte agli

esami finali e i suoi

superiori, che arrive-

ranno al punto di inter-

rogarsi se non fosse

un errore consacrarlo

sacerdote, lo definiro-

no “ignorante” per il

suo ritardo intellettivo,

che lo poneva di tre o

quattro anni “più indie-

tro” rispetto ai suoi

compagni di classe.

Non gli gioverà il fatto

d’aver avuto, tra questi

ultimi, due promettenti

ragazzi che rispondono

al nome di Jean-

Claude Colin, fondato-

r e n e l 1 8 1 6

dell’istituto religioso

della Società di Maria,

e Marcellin Champa-

gnat, fondatore nel

1817 dell’istituto dei

Fratelli Maristi delle Scuole e futuro santo, come

Giovanni Maria Vianney.

Ce la farà a quasi trent’anni d’età – generalmen-

te si riceveva l’ordine sacro a 25 anni – dopo

aver rischiato la terza bocciatura: la sua consa-

crazione avvenne il 13 agosto 1815 per mano di

monsignor Simon, vescovo di Grenoble, che lo

destinò nel luogo da dove era venuto. Non aven-

do il coraggio di affidargli la gestione di una par-

rocchia, si preferì lasciarlo a Écully, presso il se-

minario, con l’incarico di vicario di Don Carlo Bal-

ley (il sacerdote che lo aveva introdotto agli studi

ecclesiastici) e con il divieto di amministrare il

sacramento della confessione.

Quando, due anni dopo, Don Balley morì si pose

il problema della cura d’anime. Écully era comun-

que una parrocchia troppo grande per un sacer-

dote così limitato e, quindi, si decise per il trasfe-

rimento di Don Giovanni Maria ad Ars, un piccolo

centro sperduto in mezzo alle campagne, un pa-

esino di 40 case e 270 abitanti che, fino a poco

tempo prima, era stato retto da un giovane cap-

pellano, Don Antonio Déplace, deceduto prema-

turamente a soli 27 anni, dopo appena 23 giorni

di ministero sacerdota-

le.

Il mattino del 9 febbra-

io 1818, dunque, Don

Giovanni Maria Vianney

si mise in cammino per

affrontare i 30 Km che

lo separavano dalla

sua seconda destina-

zione, una parrocchia

della quale era stata

anche pensata la can-

c e l l a z i o n e e

l’accorpamento con

quella vicina di Misé-

rieux, della quale costi-

tuiva una dipendenza.

Non era una parrocchia

facile Ars – non certo

brillante per santità,

sebbene ci fosse anco-

ra la fede laggiù, sep-

pur nascosta sotto la

cenere dell’ignoranza religiosa e di discutibili

pratiche morali – così come lo erano tutte quelle

del dipartimento dell’Ain, considerate dal clero

della diocesi di Lione come “una specie di Sibe-

ria” nella quale inviarvi i sacerdoti che

“sembravano offrire le minori garanzie”. Come

Don Giovanni Maria Vianney, dunque, che arrivò

ad Ars in una giornata di nebbia. Dopo essersi

fermato in ginocchio in mezzo alla strada, quan-

do ebbe saputo da un gruppo di pastorelli che

stava transitando sul confine della sua nuova

parrocchia. “Com’è piccolo!” disse appena giunto

alla sua destinazione, “alcune casupole sparse,

attorno a una povera cappella”, che fu il primo

luogo che visitò, dopo aver invocato l’Angelo Cu-

stode.

a cura di Mauro

SAN GIOVANNI MARIA VIANNEY TERZA ED ULTIMA PUNTATA

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UN SANTO PER AMICO

Il suo primo atto ufficiale fu la messa cele-

brata l’indomani mattina, dopo una scam-

panata che meravigliò e commosse le po-

che anime più pie, ma non scaldò più di

tanto la massa: “Ma guarda! È arrivato un

nuovo prete!” si limitarono a dire i più.

Due giorni più tardi, alla presenza di quasi

tutti i parrocchiani, si tenne la cerimonia

d’investitura a curato di Don Giovanni Ma-

ria. Il parroco di Misérieux gli impose la sto-

la sulla soglia della chiesa e poi lo accom-

pagnò all’altare, dove il nuovo parroco aprì

il tabernacolo e celebrò la sua prima messa

solenne. Durante la celebrazione mutò

l’impressione che di lui se ne erano fatta i

fedeli di Ars: il primo giorno era parso loro

come un sacerdote basso e goffo che in-

dossava scarpe da contadino e una veste

confezionata con stoffa grossolana; ora,

sull’altare, lo contemplarono, radioso e tra-

sfigurato, celebrare con un’inattesa mae-

stosità al punto che il sindaco ebbe a dire

“Abbiamo una chiesa povera, ma possedia-

mo un curato santo”.

Quella presenza massiccia alla Santa Mes-

sa fu solamente un caso, dovuto proprio

all’arrivo del nuovo sacerdote. Ben presto Don

Giovanni Maria si accorse della reale situazione

d’anime di Ars, la cui maggioranza degli abitanti

erano contadini che, costretti dal bisogno quoti-

diano, la Domenica mattina preferivano il lavoro

nelle campagne alla messa, per poi terminare la

giornata in una delle quattro bettole del paese,

dove passavano il tempo a litigare e bestemmia-

re, finendo col sperperare i pochi soldi ricavati

sudando nei campi. La situazione delle ragazze

non era tanto migliore: prive del necessario per

maritarsi e non avendo la possibilità di imparare

un lavoro, la maggior parte di esse erano capaci

solo di raccogliere il fieno e di pascolare le poche

pecore possedute dalle rispettive famiglie, men-

tre la Domenica trovavano l’occasione di svagar-

si tirando tardi in feste da ballo che iniziavano

con la luce del sole e terminavano a lume di can-

dela.

Vista questa situazione Don Giovanni Maria, che

un giorno ebbe ad esclamare: “Lasciate per 20

anni una parrocchia senza prete e vi si adoreran-

no le bestie!”, si rimboccò le maniche e, dopo

aver provvedduto a sistemare la sua nuova chie-

setta, cominciò lentamente a “lavorare” sui suoi

parrocchiani. Conosceva bene i loro stenti, lui

che veniva da una famiglia contadina, e allora

prese a frequentare le loro case e i loro campi,

conversando con loro anche di materie

“pratiche”, dalla situazione del raccolto allo stato

di salute degli animali. Tra un “Quanto grano ab-

biamo raccolto quest’anno?” e un “La cavalla ha

partorito?” riuscì così a rompere il ghiaccio, a

costituire le prime amicizie e, contemporanea-

mente, a scoprire i vizi e le virtù della sua gente.

Non tutti i suoi parrocchiani, però, erano così

lontani dalla Chiesa. Famosissimo l’episodio,

narrato in tutte le biografie del santo, del conta-

dino che tutte le sere si fermava alle porte della

chiesa, deponeva gli attrezzi di lavoro, entrava, si

sedeva su una panca e là rimaneva, in totale

silenzio, per ore e ore. Un giorno il futuro santo

gli si avvicinò incuriosito, dopo averlo spiato a

lungo, e gli chiese: “Cosa fate qui, buon uomo,in

silenzio”, ottendendone la risposta: “Sto davanti

al mio Signore: lui guarda me ed io guardo lui”.

Per ottenere la conversione delle anime l’unica

possibilità era quella della preghiera. Quando i

contadini erano nelle bettole a bestemmiare, lui

era nella vicina chiesa e, mentre nelle orecchie

gli giungevano gli alti echi delle imprecazioni,

inginocchiato davanti al Santissimo pregava per

loro e per loro preparava il Catechismo che a-

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vrebbe impartito la Domenica alla messa. Si sot-

topose anche a dure penitenze come notti pas-

sate in preghiera disteso sulla nuda terra e pro-

lungati digiuni, ai quali era stato abituato fin dai

tempi di Don Balley e che a lungo andare impres-

sionarono i suoi parrocchiani da una parte, ma

dall’altra minarono la salute del suo povero fisi-

co, provato da un’alimentazione normalmente

misera (quando poteva permettersi un po’ di pa-

tate cotte condite con un pizzico di sale, poteva

considerarsi fortunato).

Ma non bastava dire solo “Signore, Signore”, oc-

correva anche operare fattivamente, far in modo

che la Provvidenza del Signore giungesse tra

quelle case. E “Provvidenza” chiamerà la piccola

scuola che aprirà per dare non solo istruzione,

ma anche cibo e possibilità d’imparare un me-

stiere alle ragazze del paese.

Ben presto a questa scuola si aggiungeranno

due associazioni per gli adulti, dove gli uomini

erano impegnati in attività di culto e caritative,

che andavano ad affiancarsi alle normali neces-

sità del mondo contadino. Tra queste ultime

c’era il commercio dei prodotti della terra nei

mercati dei centri vicini e fu in queste occasioni

che la fama del Curato d’Ars cominciò a diffon-

dersi.

“Nessun prete ci ha mai parlato come il nostro

curato!” diceva un contadino, “Fratelli miei, Ars

non è più Ars!” ribatteva un altro e, intanto, si

diffondevano voci di miracoli e di conversioni,

attribuiti dallo stesso sacerdote a Santa Filome-

na di Roma, santa patrona delle cause impossi-

bili.

Cominciarono a girare anche notizie cattive,

messe in giro soprattutto da parte di coloro che

non riconoscevano un prete così limitato capace

di simili prodigi. A questo punto il vescovo dispo-

se un’inchiesta canonica che scagionò Don Gio-

vanni Maria e contribuì ad aumentare il numero

dei fedeli che, già da qualche tempo, numerosi

avevano preso a pellegrinare ad Ars.

Aumentarono così le conversioni, accadute an-

che a coloro che il Curato d’Ars riuscirono solo a

vederlo da lontano, senza sentirlo: tanta era la

gente accorsa, che la chiesetta non bastò e i fe-

deli furono costretti ad assistere alle celebrazioni

sistemandosi nelle viuzze attorno, mentre la

mancanza di microfoni – non ancora inventati –

impediva loro di udire la flebile voce del

sant’uomo che celebrava la messa.

Nel 1845 giunse ad Ars Padre Henri-Dominique

Lacordaire, il grande teologo che aveva restaura-

to l’ordine domenicano in Francia dopo la sop-

pressione del 1790. Ascoltata la predica di Don

Giovanni Maria, gli si avvicinò dicendogli: “Voi mi

avete insegnato a conoscere lo Spirito Santo!”

Come risposta fu fatto salire al pulpito e, dopo

averlo fatto parlare ai fedeli, il futuro santo com-

mentò con “spirito”: “Si dice che talvolta gli e-

stremi si toccano. Questo si è verifi-

cato ieri sul pulpito di Ars: si è vista

la sublime scienza e l’alta ignoran-

za”. E lasciata Ars, il Lacordaire rac-

contava a tutti quelli che incontrava

“Sarebbe da augurarsi che tutti i par-

roci di campagna predicassero bene

come lui”.

Nel frattempo continuava l’attività

pastorale rivolta ai suoi parrocchiani,

e per i loro figli nel 1849 aprì una

seconda scuola, affidandola ai Fratel-

li della Sacra Famiglia di Belley, ope-

ra che fin dalla fondazione ebbe il

sostegno di Don Giovanni Maria.

Non tutti i suoi concittadini, però, ac-

coglievano positivamente il suo ope-

rare e arrivarono al punto di scrivere

volgarità sulla porta della canonica o

d’intimargli energicamente di andar-

sene da Ars, perché aveva stufato col

suo rigore. Un giorno confiderà che

“se il buon Dio mi avesse fatto preve-

UN SANTO PER AMICO

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dere quel che avrei dovuto soffrire ad Ars sarei

morto sul colpo” e che “pensavo che sarebbe

venuto il giorno, prima o poi, in cui sarei stato

cacciato da Ars a colpi di bastone, in cui monsi-

gnore mi avrebbe interdetto e io avrei finito i

miei giorni nelle prigioni”. Senza che fossero ac-

colte le sue suppliche, più volte chiese al vesco-

vo di destinarlo ad altri incarichi e non solo per i

motivi appena segnalati. Il suo fisico, già dura-

mente indebolito dalle citate mortificazioni tem-

porali, appariva agli occhi dei pellegrini prostrato

dall’estenuante lavoro di confessore, dalle coli-

che e dai violenti mal di testa che lo assalivano

con frequenza. Tre volte tentò la fuga, ma poi

tornò sempre sui suoi passi, al pensiero dei pec-

catori che lo cercavano per redimersi e al soste-

gno morale ed economico di cui aveva bisogno

“La Provvidenza”.

E così tornava volontariamente a donarsi, impe-

gnandosi nell’attività benefica dall’una di notte

fino a sera inoltrata, un ritmo che lo portò a sfio-

rare la morte nel 1843, quando contrasse la

pleuropolmonite, malattia che all’epoca rara-

mente lasciava scampo.

Ricevuta l’estrema unzione, fece voto di far cele-

brare cento messe in onore di Santa Filomena. Il

Signore lo accontentò e lo fece restare tra le

“pecorelle” del suo gregge per altri 16 anni, peri-

odo nel quale gli saranno affiancate le Suore di

San Giuseppe di Bourges, mandate dal vescovo

a gestire “La Provvidenza”, così come l’abate

Antonio Raymond, che sarà il suo primo coadiu-

tore. Arriveranno anche le nomine a “canonico”,

(titolo solitamente riservato ai sacerdoti membri

di un capitolo, di una cattedrale o di una collegia-

ta, conferitogli dal nuovo vescovo di Belley,

mons. Georges Chalandon) e poi a “Cavaliere

della Legion d’Onore”, per opera dell’imperatore

Napoleone III, al quale mandò a dire “Dite

all’Imperatore che si tenga la sua Croce, dal mo-

mento che i poveri non hanno niente da guada-

gnare”.

Anche le ultime settimane di vita, nella caldissi-

ma estate del 1859, furono vissute dal futuro

santo all’insegna del lavoro pastorale. La notte

del 30 luglio, poco dopo la mezzanotte, si alzò

per andare a raggiungere il suo “ufficio”, il con-

fessionale, ma si sentì mancare a causa della

febbre e svenne. Non vedendolo scendere i fede-

li capirono che qualcosa di grave era accaduto e,

nel giro di breve tempo, una gran folla si radunò

attorno alla casa del parroco che, nel frattempo,

si era confessato, aveva ricevuto il viatico e be-

nedetto le ceste ricolme di oggetti religiosi che gli

avevano recato in dono i suoi concittadini. La

pietà popolare portò anche all'istituzione di una

sorta di catena della solidarietà, con gli uomini

più forti che si avvicendavano sul tetto della ca-

nonica per sostituire i teloni bagnati, posizionati

nel tentativo di lenire la calura nella sottostante

camera, nella quale il Santo Curato d’Ars si spen-

se alle 2 di notte del 4 agosto, dopo cinque gior-

ni di lenta agonia.

Sarà proclamato beato da Papa Pio X (8 gennaio

1905) e santo da Papa Pio XI (31 maggio 1925),

lo stesso pontefice che lo dichiarerà patrono dei

parroci nel 1929.

Papa Giovanni XXIII gli dedicherà la sua seconda

enciclica (Sacerdotii Nostri Primordia) mentre

l’attuale pontefice, Benedetto XVI, gli ha dedica-

to il primo Anno Sacerdotale della storia della

Chiesa, istituito in occasione del 150° anniver-

sario della morte di San Giovanni Maria Vianney

e che è concluso il 19 giugno del 2010.

UN SANTO PER AMICO

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IN MARGINE ALLA MOSTRA

“Ho visto

la gente della mia età andare via

lungo le strade che non portano mai a niente

cercare il sogno che conduce alla pazzia

nella ricerca di qualcosa che non trovano

nel mondo che hanno già

dentro le notti che dal vino son bagnate

dentro le stanze da pastiglie trasformate dentro le nuvole di fumo

nel mondo fatto di città

essendo contro ed ingoiare

la nostra stanca civiltà.

È un Dio che è morto

ai bordi delle strade, Dio è morto

nelle auto prese a rate, Dio è morto

nei miti dell’estate, Dio è morto…”.

a cura di Alvisio

Dio è morto di Francesco Guccini

Il 14 giugno Francesco Guccini ha compiuto

settant’anni e canta ancora con quella sua voce in-

confondibile 45 anni fa scrisse quella memorabile

canzone intitolata“Dio è morto", che parla aperta-

mente di corruzione e meschinità, di falsi miti e di

falsi dei. Equivocando sul titolo (che richiama

la celebre espressione nietzschiana) e frain-

tendendo il significato del testo, la Rai censu-

rò questo brano che rappresenta uno dei ver-

tici, non solo della produzione gucciniana, ma

dell'intera canzone d'autore italiana. Il so-

spetto di blasfemia per quanto riguarda que-

sta canzone può infiltrarsi soltanto in una

mente ottusa e ne è prova il fatto che essa

venne invece trasmessa da Radio Vaticana: a

favore della canzone si pronunciò addirittura

papa Paolo VI, che definì il testo “un lodevole

esempio di esortazione alla pace e al ritorno

a giusti e sani principi morali”, perché, da

persona intelligente e attenta, aveva compre-

so che la canzone in realtà non celebra la

morte di Dio, ma proclama la necessità di

una nuova rinascita spirituale e morale. È Dio

che fa la differenza! Egli risponde alle inquie-

tudini di ogni tempo: basta confrontarlo con

la realtà quotidiana, esistenziale, e dona alla

nostra vita quel significato che tanti, soprat-

tutto giovani, oggi cercano.

“Dio è morto" rappresenta una critica al falso

moralismo, all'ipocrisia imperante, al vuoto

consumismo, al rozzo edonismo. E, per capi-

re tutto ciò, basta fare attenzione all’epilogo,

dove di Dio (e non di falsi idoli) si dice aperta-

mente che "è risorto".

In fondo, la "morte di Dio" si è manifestata (si

manifesta ancora?) " ai bordi delle strade …

nelle auto prese a rate ... nei miti dell'esta-

te ... nei campi di sterminio ... coi miti della

razza ... con gli odi di partito"; ma l'autore poi

conclude:

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L'insistenza sulla "resurrezione" di Dio (cioè sull'esigenza del contatto con l’identità più profonda

e autentica dell’uomo che è il cuore, vero centro della persona), non suona retorica perché se ne

avverte la verità profonda, come del resto dichiara lo stesso Guccini: "Aggiunsi una speranza fina-

le non perché la canzone finisse bene, ma perché la speranza covava veramente".

Anche nel 2010, non sono la ricchezza, il potere, la droga, qualunque essa sia, che fanno felici. Le

nuove generazioni hanno bisogno delle ali di un ideale, di valori nobili e vanno aiutate a ricercarli.

Anche il giovane di oggi, ripiegato su stesso, che arranca inquieto su una montagna scivolosa, che

è il passaggio verso la maturità, ha bisogno di testimoni che gli facciano sentire che c’è un Dio vi-

vo e non morto e che il punto di arrivo è accorgersi che quel Dio realizza i progetti della propria

intelligenza, del proprio cuore.

Non stupisce il continuo apprezzamento di questa canzone da parte dei giovani, laici e cattolici.

Guccini guarda dall’altra parte e ironicamente commenta: "A volte mi chiedo come Auschwitz o

Dio è morto, canzoni scritte nel 1964-66, piacciano ancora così tanto e appaiano sempre attuali... Il

merito però, devo dire, non è del tutto mio ma degli sponsor di queste canzoni, i razzisti e gli im-

becilli che, a quanto pare, tornano periodicamente alla ribalta".

“Ma penso

che questa mia generazione è preparata

a un mondo nuovo a una speranza appena nata

ad un futuro che ha già in mano a una rivolta senza armi

perché noi tutti ormai sappiamo

che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge.

In ciò che noi crediamo Dio è risorto

in ciò che noi vogliamo Dio è risorto

nel mondo che faremo Dio è risorto.”

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VIVONO IN CRISTO RISORTO 17. CHIRILLO Giuseppe anni 53 08.03.2010

18. SALDARINI Giovanni Bartolomeo anni 66 26.03.2010

19. DE CARLI Gina anni 95 02.04.2010

20. ZUCCHETTI Mario Giacomo anni 87 04.04.2010

21. POZZI Ginevra anni 93 20.04.2010

22. CEREDA Luciano anni 73 30.04.2010

23. BELLISARIO Paolo anni 64 30.04.2010

24. LA NOTTE Giovanni anni 82 09.05.2010

25. MINUZZO Ivana anni 70 10.05.2010

26. BONATO Maria Luigia anni 81 12.05.2010 27. BARISON Maria Edda anni 78 17.05.2010

RINATI IN CRISTO

27.03.2010

13. CUTRUPIA Aristide

14. CUTRUPIA Laura

04.04.2010

15. NASSI Camilla

18.04.2010 16. CARAMELLA Paolo

17. LO MONACO Sofia

18. MACCHI Simone Francesco

19. MASOLO Virginia

20. MURA Marco

18.04.2010 21. BOTTINELLI Arianna

18.04.2010 22. ANTONIOLI Jan

23. AVALDI Pietro

24. PAGLIALONGA Alice

25. SANTANDREA Achille

26. SANTANDREA Matilde

29.05.2010 27. TOSI Tommaso

UNITI NELL’AMORE DI CRISTO 2. GRIGIONI Stefano e DEREANI Roberta 10.04.2010

3. ZEDDA Mauro e MIRISOLA Alessia 17.04.2010

4. ALFIERI Simone e VONA Fabiola 24.04.2010

5. MOSCHINI Andrea e MAURO Patrizia 06.05.2010

6. BEVILACQUA Luca e COPPONE Gioistella 27.05.2010 7. GAZZOLI Emanuele e LELII Giorgia 29.05.2010

8. DELL’ OCA Alberto e ENNAS Elena 01.06.2010

NOTE D’ARCHIVIO

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RICORDIAMO CHE...

Il Battesimo comunitario viene celebrato la prima domenica di ogni mese alle ore 15.00.

I genitori interessati sono pregati di ritirare in parrocchia il foglio della domanda di iscri- zione.

Il venerdì precedente la domenica dei battesimi, alle ore 20.30, RIUNIONE PREBATTESI- MALE PER GENITORI, MADRINE E PADRINI in casa parrocchiale.

Ogni primo venerdì del mese alle ore 18.00 viene celebrata una S. Messa in suffragio dei defunti nel mese precedente.

ORARIO SANTE MESSE

Festivo

ore 18.00 (sabato)

ore 8.30 - 10.00 - 11.30 - 18.00

Feriale

ore 8.30 - 18.00

NUMERI TELEFONICI UTILI

Casa Parrocchiale (don Roberto Verga) Tel. 0332.400109

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