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INFORMASAGGI MAGGIO 2018 Anno IX n.5 1 Ringraziata di tutto cuore la città di Verona, M.O.V.C. per le coraggiose e filantropiche azioni, con evidente pericolo della vita, durante le inondazioni straordinarie dell'anno 1882”, per la gioiosa accoglienza ai numerosi partecipanti al XXIV Raduno Nazionale ANC, commentato nel servizio alla pag.10, torniamo al difficile momento che attraversano l’Italia, l’Europa, il Mondo. Trascorsi invano oltre due mesi dalle elezioni senza valide prospettive di poter dar vita ad un efficiente Governo, il Presidente della Repubblica, dopo aver consultato ufficialmente i rappresentanti dei partiti politici e posto una precisa scadenza per la soluzione del problema, ha ufficialmente annunciato che, perdurando siffatta situazione, in via eccezionale avrebbe nominato un Governo neutrale con: a) limiti di durata sino a fine anno; b) ministri non rieleggibili a conclusione del temporaneo mandato; c) compito di indire nuove elezioni. Efficace tale l’intervento, che ha subito indotto Lega e Grillini a chiedere ed ottenere più giorni per le necessarie consultazioni e la ricerca di soluzione del problema per la quale avanzavano ottimistiche previsioni. Al momento, la scadenza per il definitivo incontro con il Presidente Mattarella è prevista per lunedì 14 c.m. Scontato è il successivo esame dello stesso Presidente il quale, in più occasioni, ha già avuto modo di precisare che “tutti sanno che nessuna delle grandi sfide alle quali l’Europa è oggi esposta, può essere affrontata da un qualunque Paese preso singolarmente”. Più volte ricordato in

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Ringraziata di tutto cuore la città di Verona,

M.O.V.C. “per le coraggiose e filantropiche azioni, con evidente pericolo della vita, durante le inondazioni straordinarie dell'anno 1882”, per la gioiosa accoglienza ai numerosi partecipanti al XXIV Raduno Nazionale ANC, commentato nel servizio alla pag.10, torniamo al difficile momento che attraversano l’Italia, l’Europa, il Mondo.

Trascorsi invano oltre due mesi dalle elezioni senza valide prospettive di poter dar vita ad un efficiente Governo, il Presidente della Repubblica, dopo aver consultato ufficialmente i rappresentanti dei partiti politici e posto una precisa scadenza per la soluzione del problema, ha ufficialmente annunciato che, perdurando siffatta situazione, in via eccezionale avrebbe nominato un Governo neutrale con: a) limiti di durata sino a fine anno; b) ministri non rieleggibili a conclusione del temporaneo mandato; c) compito di indire nuove elezioni.

Efficace tale l’intervento, che ha subito indotto Lega e Grillini a chiedere – ed ottenere – più giorni per le necessarie consultazioni e la ricerca di soluzione del problema per la quale avanzavano ottimistiche previsioni. Al momento, la scadenza per il definitivo incontro con il Presidente Mattarella è prevista per lunedì 14 c.m. Scontato è il successivo esame dello stesso Presidente il quale, in più occasioni, ha già avuto modo di precisare che “tutti sanno che nessuna delle grandi sfide alle quali l’Europa è oggi esposta, può essere affrontata da un qualunque Paese preso singolarmente”. Più volte ricordato in

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questi giorni è anche l’articolo 92 della nostra Costituzione che recita: ”Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”. Piene e doverose sono pertanto le preventive valutazioni in materia del Presidente Mattarella, il quale dovrà ovviamente considerare non tanto le ottimistiche dichiarazioni dei proponenti ma, con le già ricordate compatibilità europee, la loro sostenibilità per il bilancio dello Stato di sostenerne le spese relative.

Generale è la convinzione che, in materia, le responsabilità e le colpe siano dei politici, ma altrettanto censurabile è il comportamento dei tanti cittadini, dimentichi dei loro civici doveri. In proposito non posso che condividere il pensiero di molti commentatori secondo cui continuano ad esistere gli italiani, ma non l’Italia. Qualcuno ha sentenziato che la moderna società è liquida. Prova ne è che la globalizzazione ha moltiplicato i rapporti interclassisti (legittimi e delittuosi; nazionali ed internazionali), a danno e/o contro le leggi degli Stati. Inascoltati i tanti consigli e le raccomandazioni (anche di Informasaggi ) sullo specifico tema.

Doveroso mi pare perciò commentare il recente libro di Mons. Vincenzo Paglia dal significativo titolo: “Il crollo del noi di fronte ad un nuovo io”, con l’accorata esortazione a correggere il rapporto fra i due soggetti. Considerati autonomamente, essi ci portano infatti a contrapposizioni e possibili contrasti. Meglio perciò chiedersi, non “chi sono io”, ma “per chi sono io”. Posto in questa prospettiva, l’IO rafforza contemporaneamente se stesso, ma all’interno del NOI, ossia all’interno della comunità in cui vive. Ciò vale per l’uomo singolo ma anche per gli organismi legislativi sovra ordinati (Stati in particolare), sino all’ONU, se si vuole che siano sempre rispettate ed applicate le regole universalmente riconosciute, e non prevalga la forza bruta di Governanti e/o masse irresponsabili. Per connessione di materia, il nostro Monsignore affronta inoltre un argomento tanto importante quanto urgente, stante lo sviluppo sempre più veloce della tecnologia informatica. Si tratta del rischio che l’attrazione digitale catturi l’io nella sua rete globale, così isolandolo ancora una volta dal noi e, in altri termini, trattando come virtuale una realtà umana che tale non è.

A corollario di quanto sopra vorrei ribadire concetti più volte espressi ma presto dimenticati o non applicati.

Il primo è che l’atlantismo ci ha consentito oltre 70 anni di pace e, per noi, deve essere una forma culturale, prima che politica. Ricordiamocene nel valutare certe avventate decisioni unilaterali di Trump, od inaccettabili dichiarazioni di nostri politici contrarie all’UE. Rafforziamo il nostro impegno ad usare il dialogo, il confronto intellettuale, la trattativa prima di passare a vie di fatto. Ricordiamoci del suggerimento del Santo Padre di costruire ponti e non alzare muri.

Il secondo ci impone di prevedere e prevenire il futuro per organizzare le nostre azioni. In proposito mi chiedo se l’Italia sia al passo con i tempi, in materia di Cyberguerra e di Cybersecurity. Dubbi mi sorgono in tema di addestramento ed armamento dei militari in servizio. Visto che gli impegni in ordine pubblico sono sempre più frequenti, mentre quelli in combattimenti di guerra per fortuna sempre più rari, non si dovrebbero rivedere gli organici dei reparti e adattarne equipaggiamento ed addestramento? Qualche conferenza o esercitazione aperta a qualificate persone non potrebbe essere di aiuto?

Il Magnifico Rettore Giuseppe Richero

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La festa dell'Europa celebra la pace e l'unità in Europa. La data il 9 maggio, è l'anniversario della storica dichiarazione di Schuman; ma coincide anche con il giorno che segna, de facto, la fine della Seconda Guerra mondiale : il 9 maggio è infatti il giorno successivo alla firma della capitolazione nazista.

In occasione di un discorso a Parigi nel 1950, l'allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman espose la sua idea di una nuova forma di cooperazione politica per l'Europa, che avrebbe reso impensabile una guerra tra le nazioni europee. La sua ambizione era creare un'istituzione europea che avrebbe messo in comune e gestito la produzione del carbone e dell'acciaio. Il trattato che regola la CECA fu firmato a Parigi nel 1951 ed entrò in vigore l’anno successivo..

Da allora molti progressi sono avvenuti. Tuttavia, il progetto europeo si trova ad affrontare grandi sfide: dalle migrazioni, alla

sicurezza, dai problemi dell’economia alla crescita dell’euroscetticismo in alcuni paesi membri. Il motivo principale alla base dell'euroscetticismo, tradizionalmente, è stata l'idea secondo cui l'integrazione indebolisca gli stati; altre cause includono la percezione di una UE antidemocratica o eccessivamente burocratica.

Oggi, movimenti populisti esasperano le criticità dell’Europa che, nel sentire dei suoi cittadini, è soprattutto il mandante dell’austerity che ha minato la quotidianità di milioni di persone già provate dalla crisi. Per molti significa non essere “padroni a casa nostra”, cedere sovranità; così, il sogno di convivenza pacifica e libertà che nutriva la promessa europea sembra sbiadire….

Ma l’euroscetticismo ha contagiato interi Paesi. Il paradosso è rappresentato dal gruppo Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca) il quale dalla sua fondazione nel 1991 a oggi, è passato da un’alleanza volta ad accelerare l’ingresso dei quattro paesi nell’Unione Europea a gruppo interno che contesta politiche e ideologie portanti della stessa UE.

E in Italia? Oggi ai giovani dovremmo ricordare cos’ha fatto l’Europa per noi. Dov’era l’Italia prima dell’adesione alla UE e dov’è oggi: eravamo un paese uscito distrutto dalla guerra e l’Europa ci ha aiutato. Tuttavia, in Europa permangono distanze nelle condizioni sociali, nei livelli salariali, e a fronte di paesi in costante surplus ce ne sono altri in grave difficoltà. Ma non è abbastanza per dichiarare fallito l’esperimento europeo che, per anni, è progredito sempre in modo virtuoso; purtroppo da qualche tempo, il meccanismo si è bloccato e questo ha generato sfiducia. E’ stata creata la moneta unica pensando di poter omogeneizzare le economie, pur partendo da regole che mettevano molta distanza tra la politica monetaria e quella economica. Ma, oggi,

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nessuno stato può illudersi di poter andare lontano da solo nel mondo globalizzato. A quanti, anche in Italia, propongono come soluzione l’uscita dall’euro o, addirittura, dall’Unione, ricordiamo che l’Europa è una conquista quotidiana, che va migliorata tutti i giorni. Fare a meno dell’Europa vorrebbe dire regredire inevitabilmente. Prima di Brexit qualcuno poteva pensare di poter fare a meno dell’Europa, ora gli inglesi non sanno più come fare per rimediare all’errore, spinti da esigenze di consenso di breve periodo e di disinformazione, con gravi responsabilità da parte dei politici. Nessuno può più permettersi di legittimare le sue scelte con il famoso “ce lo chiede l’Europa”, perché in questo modo l’UE continua a essere vista come fonte di sacrifici. Ma non è così! Stare in Europa significa molte più opportunità, soprattutto per i giovani. Si pensi al diritto di poter circolare e trovare un futuro migliore altrove. E’ evidente che in UE il singolo stato conti meno, ma l’esperienza di molti migranti deve farci riflettere sulla differenza tra essere da soli e stare uniti.

A queste problematiche si aggiungono le “spinte autonomiste” provenienti da 45 minoranze sparse in 18 Paesi che, nel 1981, hanno addirittura costituito un partito European Free Alliance (Efa). L’obiettivo è riconoscere le identità e le culture "soffocate" dopo la fondazione degli Stati nazionali. Una sorta di "ritorno al Medioevo" da contrapporre al modello del villaggio globale. E tutto questo senza rinunciare all’ombrello delle istituzioni comunitarie….

Tra i paesi che potrebbero rivendicare la loro autonomia ricordiamo in Spagna, oltre la Catalogna, la Galizia, Andalusia, Asturia, Paesi Baschi. In Gran Bretagna, dopo la Brexit, oltre alla Scozia, la Cornovaglia, il Galles e l’Irlanda del Nord. In Germania, tra i movimenti autonomisti ricordiamo quello dei bavaresi del Bayerpartei.

In Francia, il Parititu di a Nazione Corsa rivendica l’autonomia della Corsica, ma non mollano nemmeno i separatisti occitani e quelli bretoni. Storicamente, il Belgio, è una nazione divisa in tre: Fiandre, Vallonia e regione di Bruxelles. Se in Italia si assecondassero le spinte autonomiste, si tornerebbe a una mappa “medioevale”; il Paese potrebbe infatti frantumarsi in numerosi staterelli…

Allora, quali sono i passaggi obbligati per arrivare agli “Stati Uniti d’Europa”, traguardo al quale guardano in molti europeisti? “Aumentare la convergenza delle politiche di bilancio, far conoscere di più l’Europa ai cittadini, e renderli consapevoli delle opportunità che hanno. Chi non ricorda il proprio passato è destinato a riviverlo”. Per questo c’è da augurarsi che la gente ritrovi la memoria del proprio passato per non tornare indietro rispetto a dove siamo: in un’ Europa che, con tutti i suoi limiti, ci ha permesso di vivere in pace per 73 anni!

Aldo Conidi

L’Associazione Nazionale Carabinieri, Ente Morale dotato di personalità giuridica che conta più di 200.000 iscritti, oltre 140.000 soci effettivi, circa 1.700 sezioni sul territorio nazionale e 166 organizzazioni di volontariato, fa parte di quel grande esercito di 300 mila associazioni, 1 milione di lavoratori, oltre 5 milioni di volontari che in Italia costituisce il cosiddetto “Terzo settore”. Le attività del terzo settore sono ispirate al principio costituzionale

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secondo il quale i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente e senza autorizzazione per svolgere attività di interesse generale per fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale. Ci sono associazioni che svolgono attività di alto interesse pubblico. In Italia ce ne sono moltissime e rappresentano una risorsa fondamentale per la tenuta e lo sviluppo del nostro tessuto socio-economico.

Con la legge 106/2016 e il “Codice del Terzo settore” che ne completa l’attuazione, si cerchera’ di fare ordine in questo settore al quale si riconoscono ruolo e prerogative. ll paradosso di questa Riforma è pero’ l’esclusione dal novero delle imprese sociale e ancor più in generale dagli ETS (vista la reale difficoltà di conformarsi alla disciplina fiscale degli ETS) proprio delle fondazioni e associazioni (Opere Pie, Enti morali, IPAB ecc…), fino ad oggi, tra l’altro, riconosciute nel regime di favor delle Onlus, quali soggetti che esercitano attività di utilità sociale.

Alla soluzione del paradosso interverranno molto probabilmente decreti modificativi/correttivi entro luglio 2018, in virtù di quanto previsto dall’art. 1 comma 7 della legge delega n.106/2016, per apportare modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi con i quali è stata varata la Riforma del Terzo Settore.

L’iter da seguire è complicato dal cambiamento istituzionale in corso. I due schemi di decreto devono infatti essere inviati alle “nuove” Commissioni parlamentari perché entro 30 giorni esprimano il proprio parere in merito. E’ necessario acquisire inoltre i pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza Stato/Regioni. Infine il (nuovo?) Consiglio dei Ministri dovrà approvare in via definitiva i decreti legislativi modificativi delle norme oggi vigenti.

Nel frattempo, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha diffuso una nota che chiarisce come gestire il periodo transitorio che porterà alla piena applicazione del nuovo Codice del Terzo Settore Gli argomenti toccati dal documento riguardano la definizione di ente del Terzo settore, le norme organizzative, la disciplina del volontariato, il regime fiscale, il sistema del registro unico nazionale e il nuovo sistema di governance dei Centri di Servizio per il Volontariato (CSV).

In particolare il Ministero ha ribadito i tempi necessari per adeguarsi al nuovo quadro normativo (Dlgs 117/2017):

Associazioni di Promozione Sociale, Organizzazioni di Volontariato e Onlus hanno 18 mesi di tempo a partire dal 3 agosto 2017 per modificare gli statuti adeguandoli alle nuove disposizioni;

le disposizioni fiscali entreranno in vigore in tempi diversificati, subordinati alla piena operatività del Registro unico nazionale del Terzo Settore e dell’approvazione da parte della Commissione Europea.

In attesa di questa piena operatività continuano ad essere applicabili le norme attualmente in vigore. Per quanto riguarda le Onlus è, inoltre, “in corso uno specifico approfondimento congiunto con l’Agenzia delle entrate”.

Sempre in attesa della piena operatività del nuovo sistema di registrazione degli Enti del Terzo settore, le associazioni potranno continuare ad iscriversi agli attuali registri seguendo le norme preesistenti, con una distinzione:

gli enti costituiti prima del 3 agosto 2017 dovranno possedere i requisiti necessari all’iscrizione coerenti con la vecchia normativa e avranno anch’essi a disposizione 18 mesi per gli adeguamenti;

gli enti costituiti dopo il 3 agosto 2017 dovranno possedere i requisiti previsti

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dalle disposizioni del Codice (purché queste siano applicabili in via diretta e immediata).

Quali sono però le disposizioni non applicabili immediatamente? Rientrano in questa categoria la procedura semplificata di acquisizione della personalità giuridica (art. 22) e gli obblighi di pubblicazione sul registro degli atti e degli elementi informativi (art. 48).

Si ritengono, invece, di immediata applicazione le disposizioni riguardanti: requisiti sostanziali degli Enti di Terzo Settore (in particolare art. 32 e 35 CTS,

che riguardano le Organizzazioni di Volontariato e le Associazioni di Promozione Sociale);

bilancio di esercizio (art. 13, commi 1 e 2); pubblicazione degli emolumenti e dei compensi percepiti da componenti degli

organi di amministrazione e controllo, dirigenti o associati sul proprio sito internet (questo adempimento dovrà essere attuato a partire dall’1 gennaio 2019, con riferimento alle somme corrisposte nel corso del 2018).

Nel corso del periodo transitorio le Organizzazioni di Volontariato e le Associazioni di Promozione Sociale iscritte ai rispettivi registri possono continuare ad utilizzare queste denominazioni e i loro rispettivi acronimi (OdV e APS). L’acronimo ETS (Ente di Terzo Settore) potrà, invece, essere utilizzato solo ed esclusivamente a partire dall’iscrizione nel Registro unico nazionale.

Il Codice prevede per gli enti “di maggiori dimensioni” l’obbligo di pubblicazione del bilancio sociale (art. 14) redatto sulla base delle linee guida che saranno definite tramite decreto ministeriale. La nota precisa che fino all’effettiva pubblicazione di queste linee guida la redazione e la pubblicazione del bilancio sociale restano facoltative.

Ci sono poi altre indicazioni nella nota del Ministero che pero’ al momento non interessano l’Associazione della quale ci onoriamo di far parte.

Poiche’ ho accertato in questi mesi un serpeggiante nervosismo che troppo spesso si basa sul “sentito dire”, su ignoranza del diritto e su mala fede di alcuni che sogliono discreditare il lavoro di pochi, ho sentito il dovere di precisare quanto sopra.

E’ importante pertanto che tutti i Soci ANC capiscano che per gli enti, come l’Associazione Nazionale Carabinieri, che dovranno quasi certamente adeguare i propri statuti alle nuove norme è quindi prudente attendere l’esito dei “correttivi” di cui ai paragrafi precedenti.

Ritengo inoltre pacifico ribadire che la Presidenza Nazionale ANC e’ come tutti in attesa di novità ed e’ certamente pronta non solo ad affrontare e risolvere il problema dell’adeguamento dello Statuto alla nuova norma, ma anche e soprattutto ad indirizzare in seguito gli Ispettorati e le Sezioni ANC per quanto di loro competenza.

Diamoci un primo termine a dopo le vacanze estive per ulteriori novità ed armiamoci come sempre di pazienza cogliendo magari l’occasione per dedicarci ancora con piu’ energia alle nostre attivita’ di volontariato nel superiore interesse de!la collettivita’.

Luigi Romano

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L’espressione “novus ordo“ è stata recentemente pronunciata da Vladimir Putin per dire che il Nuovo Ordine mondiale che si vorrebbe attuare … a lui non piace.

In effetti il significato attribuito alla frase di Virgilio nelle Bucoliche, non corrisponde alla esatta traduzione che sarebbe “nuovo ordine dei secoli ….” Una nuova era dunque, come è il senso dato dalla scritta posta nel retro della banconota da un dollaro a sottolineare l’inizio di una nuova era del Nord America dopo la dichiarazione d’indipendenza.

“NOVUS ORDO SECLORUM

ANNUIT COEPTIS”

La frase latina è riportata sotto una piramide con tredici file di blocchi: Tredici è stato – nel corso dei millenni – un “12 più uno”. Nello Stars and stripes, 13 come le tredici colonie fondatrici degli USA (Virginia + 12) a Filadelfia, rappresentate permanentemente nella Bandiera dalle tredici strisce ornate (così è definita) da un numero variabile di stelle, attualmente fissato in 50. In effetti, l’entrata sulla scena mondiale degli Stati Uniti, costituì – anche se non immediatamente – un cambiamento dell’Ordine mondiale in precedenza rappresentato da Spagna, Inghilterra, Russia, un declinante Impero Ottomano (Turchia) e la Francia (che venderà a Washington, con un indebitato Napoleone, la metà occidentale degli attuali USA).

Per la verità, quando il Papa tracciò una croce sulla bozza di carta geografica elaborata da Vespucci, che diede il proprio nome di battesimo al Nuovo Continente, per spartire il Nuovo Mondo, considerò adeguatamente il Portogallo, assegnando alla “Lusitania Nova” il quarto orientale dell’America meridionale: muterà nome in onore dell’albero a legno rosso-brace e diventerà il Brasile. L’Impero Portoghese si è formalmente dissolto con la Rivoluzione dei garofani, nel 1974.

In quegli anni settanta l’espressione “Medie potenze” era riferita a Paesi come Cina, India e la stessa Italia. Non la Germania Occidentale in quanto Paese (più dell’Italia) a “sovranità limitata” dagli allegati al Trattato di Pace.

Abbiamo da tempo dimenticato la definizione “Quattro Grandi” con la quale si intendeva la riunione o lo scambio di comunicazioni tra i quattro Paesi “vincitori” della seconda Guerra Mondiale: Stati Uniti, Unione Sovietica, Inghilterra e Francia (quest’ultima non invitata a Yalta). Non ne faceva parte la pur vincitrice “Red Cina” per una malintesa accettazione dell’essere rappresentata dalla Russia.

Ad onor del vero Charles De Gaulle (come ci ricorda il giovane docente Marco Valigi su “Le Medie Potenze: Teoria e prassi in politica estera” – ASERI Università Cattolica di Milano) affermò …. che la Francia era ormai solo una media potenza:

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“Proprio perché non siamo più una grande potenza, abbiamo bisogno di una grande politica. In mancanza di una grande politica, dal momento che non siamo più una grande potenza, non saremo proprio nulla”

Non c’è stata – almeno formalmente – una seconda “Conferenza di Yalta” e sono completamente cambiati i parametri di valutazione (oltre al possesso di armi nucleari od alla capacità di produrne).

Rispetto a quando Stalin chiedeva ironicamente “quante Divisioni ha il Papa? “ oggi potremmo dire che vi sono due sole “potenze globali”: Stati Uniti e Vaticano. Poi le Potenze di teatro come Cina, Russia (che promette di collocarsi al quinto posto mondiale scavalcando la Francia, dopo Giappone e Germania; un discorso a parte andrebbe fatto per l’Inghilterra che ha ricostituito una sorta di Impero Britannico su base volontaria che va dall’Australia-Nuova Zelanda all’India al Pakistan ed al Canada: 53 Paesi, multirazziali e multi-religiosi (tra i quali 15 del continente africano) che compongono il Commonwealth di 2,4 miliardi di individui. Le Potenze locali sono:

Francia

Germania (quarta potenza economica, ma ancora a sovranità limitata) e con settantamila militari USA che hanno “gli scarponi” sul suolo tedesco

Giappone (terza potenza economica, ma disarmata ed ancora “occupata”)

Italia (settima potenza, ancora per poco, ma “potenza culturale” riconosciuta)

Turchia (secondo esercito della NATO dopo gli USA) Gli ultimi spasimi del mai esistito Impero Francese hanno fatto ancora qualche guaio dopo che Sarkozy ha “ordinato” di assassinare Gheddafi in funzione anti italiana ma, questa volta, non hanno abbattuto aerei civili.

Ovviamente ci sono “Paesi emergenti” dei quali non è certificabile il potenziale economico: BRICS: Brasile, India, Corea del Sud, South Africa (due dei quali sono nel Commonwealth). Anche l’amico e maltrattato Egitto, l’Iran che non ha mai abbandonato il progetto di Serse – nonostante le Termopili - di affacciarsi sul Mediterraneo siriano-libanese.

Ma nulla – come scrive un amico giallista – è come sembra: mentre gli USA impongono sanzioni alla Russia, i Bancomat di Mosca sono “Made in USA” (ne parlerò in un prossimo articolo) e le hostess degli aerei turistici “sovietici”, che hanno ancora la falce ed il martello sulla “livrea”, scendono da aerei della Boeing “Amerikana” con motori General Electric.

Danilo De Masi

Dopo un periodo di assenza dalla letteratura e dalla dialettica afferente alle relazioni e ai diritti internazionali, coincidente all'incirca con la fine della Seconda Guerra Mondiale e i primi anni Settanta del secolo scorso, la Geopolitica è tornata in auge.

Testimonianza di ciò là si ha dal numero vieppiù crescente di pubblicazioni ad hoc, in Italia Limes, dall'essere citata in documenti governativi ufficiali e dall'interesse che provoca nell'opinione pubblica ogni qual volta vengono organizzati convegni o trasmissioni.

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Il merito di questa inversione di tendenza lo si può individuare nell'abbandono da parte degli studiosi delle teorie deterministiche, che si possono riassumere con il concetto di "Spazio vitale" e di espansionismo, di supremazia di una Potenza nei confronti di un'altra o di Paesi vicini meno determinanti sullo scacchiere internazionale. La ragione di questi punti di vista risiede naturalmente nel fatto che la Geopolitica affonda le sue radici nelle concezioni statalistiche

tardo ottocentesche. Lo svedese R. Kjellen, ritenuto il fondatore scientifico della disciplina, nel 1899

indicò nell'insieme dei problemi politici di uno Stato centrati su questioni territoriali il sentimento pressoché inevitabile di espansione dei propri confini al fine di risolverli.

La Geografia politica, così come la Politica e le Relazioni internazionali, nonostante le loro centenarie esistenze, non essendo in grado di analizzarli e di trovare gli strumenti efficaci per risolverli, venivano dunque affiancate dalla Geopolitica.

H. Haushofer, già generale del Kaiser tedesco e cattedratico all'Università di Monaco di Baviera, nel 1920 fondò una scuola chiamata Zeitschrift fuer Geopolitik, che andava propugnando sempre più forme deterministiche che legittimassero la politica assolutista e razzista del Nazismo, dapprima come forza politica nascente e poi al potere. Per questa ragione per lungo tempo certi studiosi di questioni politiche e territoriali hanno fatto coincidere la Geopolitica con la visione del regime hitleriano, ciò anche perché il principale assistente del Professore nell'Ateneo bavarese era Rudolf Hess.

Tuttavia più di una particolare matrice politica e di nazionalità la Disciplina risentiva dello spirito dell'epoca in cui vide la luce. Pochi anni dopo la elaborazione del geografo scandinavo un collega tedesco, antropologo anche, F. Ratzel, trasse dal bagaglio dal darwinismo imperante, gli elementi per una nuova concezione biologica dello Stato.

Si torna quindi alla definizione inizialmente riportata dello Stato quale organismo vivente, che dovrebbe una volta nato crescere per arrivare a svilupparsi nel modo più ampio possibile, base delle concezioni deterministiche più retrive, appunto.

Sir H. Mackinder, geografo britannico, sempre in quell'anno pubblicò "The Geographical Pivot of History" sulla stesa lunghezza d'onda.

Fuori dal Vecchio Continente, negli Stati Uniti, sempre sul finire del Diciannovesimo Secolo e l'inizio del Novecento, A. T. Mahan teorizzò la supremazia navale e il potere marittimo come strumento delle Nazioni, anche di natura bellica, per ottenere il dominio e il controllo del mare ovvero delle risorse economiche che vi giacciono e transitano in "The Influence of Sea Power Upon History".

Nel mondo anglosassone suoi tardi epigoni furono a fine Novecento N. Spykman e il più noto Z. Brzezinski, influente ministro nell'Amministrazione Carter.

Anche la sponda russa ha recentemente registrato il pensiero di un controverso geopolitico quale A. Dugin, che spinge per la supremazia di Mosca sullo scenario eurasiatico e in Donbass.

In Italia esponenti storici furono sul finire degli Anni Trenta quegli studiosi legati all'Ateneo triestino come G. Roletto e E. Massi, con " Geopolitica. Rassegna mensile

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di geografia politica, economica, sociale e coloniale " che si rifacevano alle teorie di Haushofer.

Y. Lacoste, francese, nel 1972 riporto' agli onori della cronaca la Geopolitica in quanto attore attivo del potere politico sui territori, inteso nel senso più ampio, comprendendone soprattutto la sfera economica.

Ecco, quindi, che dal nuovo filone della Disciplina, scevro di quel determinismo tanto superato e deleterio per una convivenza equilibrata tra gli Stati, inaugurato dal francese si può qui accennare, almeno, all'approdo naturalmente e logicamente complementare costituito dalla Geoeconomia.

L'economista e geopolitico statunitense E. Luttwak ha coniato verso il Terzo Millennio questo termine per definire un ambito di ricerca e di applicazione che va dall'economia internazionale alla geografia economica fino a giungere alla geopolitica, avente come fulcro la ricerca delle migliori strategie per la crescita della produttività e della competitività delle Nazioni.

Ciò affinché avere dei punti di riferimento per il Mondo globalizzato e non più bipolare come fu per oltre mezzo secolo.

Ragguardevoli ragionamenti sui temi geoeconomici vengono dall'ultimo scorcio del secolo scorso e successivamente sviluppati in anni più vicini dall'economista statunitense P. R. Krugman. Essi, infatti, sono volti a rivalutare l'importanza della componente geografica del commercio internazionale.

Marco Montesso

Si è concluso domenica 22 aprile 2018, il XXIV Raduno dell’ A.N.C., un evento di tre giorni che ha visto sfilare a Verona le molte sezioni di tutt’Italia e dell’estero. Sono stati circa ottantamila i partecipanti tra militari in congedo, familiari e personale ancora in servizio. Molti i nuclei di protezione civile che hanno sfilato ma che si sono anche occupati del servizio di sorveglianza e assistenza alla popolazione. La manifestazione aveva preso il via giovedì 19 aprile, presso il Palazzo della Gran Guardia, con l’inaugurazione della mostra “I Carabinieri da Pastrengo alla prima Guerra Mondiale”, nella quale si sono potuti ammirare numerosi cimeli storici dell’Arma.

Nel pomeriggio di venerdì 20 aprile si è svolta, per le vie del centro, una sfilata della Fanfara del 3° Reggimento Carabinieri Lombardia e delle pattuglie del 4° Reggimento a cavallo, al termine della quale in piazza dei Signori la Fanfara, accompagnata dal coro di voci bianche dell’Accademia Lirica di Verona, si è esibita in un concerto che ha riscosso il plauso di molti turisti.

Sabato 21 aprile, la giornata si è aperta con l’alzabandiera in piazza Bra e la deposizione di una corona al monumento dei Caduti, poi a seguire nei Giardini di San Zeno, si è scoperta una targa in ricordo del sottotenente Enrico Frassanito. Successivamente nella Basilica di San Zeno molti fedeli hanno potuto assistere alla S. Messa officiata dall’Ordinario Militare, S. E. Monsignor Santo Marcianò. In seguito i veronesi hanno potuto ammirare una sfilata dei mezzi storici in Corso Porta Nuova, l’inaugurazione del campo della Protezione civile in Stradone Porta Palio e le esibizioni delle unità cinofile. A completamento della giornata la Banda dell’Arma si è esibita in un eccezionale concerto nella splendida cornice dell’Arena.

Domenica 22 Aprile, alla presenza del Comandante Generale dell’Arma, Generale

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Giovanni Nistri e del Presidente dell’ANC, Generale Libero Lo Sardo, sì è svolto lo sfilamento dei reparti e delle rappresentanze delle sezioni. La sfilata è stata aperta dalla Banda dell’Arma seguita dalla Bandiera di Guerra, scortata da una Compagnia di Carabinieri in Grande Uniforme Storica. Successivamente ha sfilato il Medagliere e i Vertici dell’Istituzione in servizio e in congedo.

Dopo le Fiamme d’Argento ha sfilato una nutrita rappresentanza dell’Università dei Saggi. A seguire, hanno sfilato i ragazzi dell’ONAOMAC, le Sezioni Estere e una rappresentanza degli “Angeli del Fango”, (carabinieri impiegati nell’opera di salvataggio dopo l’alluvione di Firenze del 1966). Ha chiuso lo sfilamento, una consistente rappresentanza dell’organizzazione di volontariato dell’ Associazione con cinofili, cavalli e mezzi di soccorso. La manifestazione è terminata in Piazza Bra con la resa degli Onori alle Autorità.

Si è trattato, quindi, del più importante momento della vita associativa di un sodalizio, depositario della secolare tradizione di fedeltà dell’Arma, che si è confermato ancora una volta vivo e presente nel tessuto connettivo della società, nella quale e per la quale opera assiduamente, in naturale prosecuzione di quel vincolo di appartenenza alla comunità. A testimoniarlo, la presenza alla sfilata di numerosi Sindaci e Presidenti di Provincia con Gonfaloni, che rappresentavano idealmente quel sentimento di fiducioso affidamento con il quale sempre di più le comunità italiane gratificano i presidi dell’Arma, integrandoli a tutti gli effetti nel loro patrimonio. Un impegno, quello dell’Associazione Nazionale Carabinieri, che si esplica nel settore del volontariato e della protezione civile. Numerose anche le famiglie dei soci, provenienti da ogni parte d’Italia, la cui presenza sottolinea l’importanza del loro sostegno e dimostra come possano considerarsi esse stesse cellule della più grande famiglia dell’Arma, il cui denominatore comune è costituito dall’incondizionata adesione al patrimonio di Valori che, da sempre, contraddistinguono l’Istituzione.

Alberto Gianandrea

Subito dopo il restauro dell'acquedotto dell’Aqua Virgo, terminato nel 1570, furono iniziati i lavori per una ramificazione sotterranea secondaria del condotto, in modo da raggiungere l'area dell'antico Campo Marzio, tra le zone più popolose di Roma. Venne di conseguenza progettata anche l'edificazione di un certo numero di fontane, una delle quali era stata prevista nella piazza Giudia (ora scomparsa), sede di mercato, ma per le pressioni di Muzio Mattei venne invece costruita nella vicina piazza davanti al suo palazzo: in cambio la famiglia si impegnava a pavimentare la piazza e a tener pulita la fontana. La leggenda popolare narra, inoltre, che il duca Mattei, il cui palazzo

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si affaccia sulla piazza che alloggia la fontana, per stupire il futuro suocero (che non voleva concedergli la figlia in moglie), facesse realizzare in una sola notte la fontana. Il giorno successivo fece affacciare la promessa sposa con il padre alla finestra per ammirare l'opera. Quindi, perché nessun altro potesse più godere dello stesso spettacolo, il giovane duca fece murare la finestra, che così è arrivata a noi. Il punto debole della leggenda (oltre all'improbabile celerità della realizzazione) è che, mentre la fontana è del 1581-88, il palazzo fu costruito più tardi, solo nel 1616.

La fontana delle Tartarughe si trova, quindi, nella piccola piazza Mattei, nel rione Sant’Angelo. La fontana fu realizzata da Taddeo Landini, probabilmente su progetto di Giacomo Della Porta, anche se il disegno sembra piuttosto lontano dai suoi canoni, ed è un'elegantissima fontana composta da una vasca quadrata con spigoli arrotondati, che ospita al centro un basamento con

quattro conchiglie in marmo portasanta, che sorregge una specie di anfora la quale, a sua volta, sostiene un bacino rotondo in marmo africano bigio, con testine di putti sotto l'orlo, dalle cui bocche aperte deborda nella vasca l'acqua in eccesso. L'intera struttura poggiava su una base a gradini. Alla struttura architettonica si aggiungono le sculture: i quattro efebi, previsti inizialmente in marmo e poi realizzati in bronzo, disposti in pose uguali e simmetriche, che tengono per la coda dei delfini che riversano acqua in altrettante conchiglie, mentre le altre braccia sono sollevate sull'orlo della vasca e spingono nel catino centrale più elevato quattro tartarughe. I delfini dovevano essere otto, ma quattro non furono messi in opera, perché la pressione dell'acqua non consentiva l'elevazione prevista. Questi delfini furono poi utilizzati per la fontana della Terrina (che verrà illustrata nel prossimo numero di Grandangolare), allora posta in Campo de’Fiori e ora spostata in piazza della Chiesa Nuova.

Le tartarughe, che gli efebi sembrano spingere ad abbeverarsi nella vasca superiore e che hanno dato il nome alla fontana, furono aggiunte in un restauro del 1658, operato per volere di papa Alessandro VII, e sono attribuite a Gian Lorenzo Bernini o ad Andrea Sacchi. Le modifiche apportate forse già in fase di prima realizzazione avevano infatti sortito, come effetto, che le mani degli efebi non riuscissero più a raggiungere il bordo del catino superiore: le quattro tartarughe servirono dunque a riempire i vuoti ingiustificati, che originariamente dovevano forse essere riempiti dai quattro delfini non utilizzati. In occasione dello stesso restauro venne eliminata la base a gradini, per aumentare, abbassandone il punto di fuoriuscita, la scarsa pressione dell'acqua. Il restauro è ricordato da un'iscrizione

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suddivisa su quattro cartigli in marmo, posti sui lati della vasca principale, tra le conchiglie. Il testo, letto di seguito, recita: "ALEXANDER VII / RESTAVRAVIT / ORNAVITQVE / ANNO PONTIFIC IV".

Altri due restauri, a cura del Comune, sono ricordati in iscrizioni che portano le date del 1903 e del 1933. Successivamente la fontana è stata dotata di un impianto di depurazione dell'acqua per evitare i depositi calcarei che si formavano sulle statue e che hanno richiesto frequenti ripuliture. L'impianto di depurazione è stato sostituito nel 2003 e un restauro conservativo dei marmi e dei bronzi venne condotto ancora nel 2005-2006.

Le tartarughe furono soggette a vari furti. Nel 1944 vennero asportate (e poi ritrovate) tutte e quattro. Dopo l'ultimo furto del 1979 furono tolte e conservate nei Musei Capitolino: quelle visibili attualmente sono tutte copie, che hanno rimpiazzato anche i tre originali superstiti.

Una copia della fontana in scala 1:1 è collocata nello Huntington Park di San Francisco. L'opera, fabbricata a Roma a inizio Novecento e acquistata da William ed Ethel Crocker per la loro villa, fu donata nel 1954 alla città di San Francisco dai loro quattro figli e sistemata nel parco dall'amministrazione comunale.

Rosanna Bertini

E' da poco trascorso il centenario della nascita della musica jazz che ebbe il suo inizio ufficiale con un gruppo di musicisti di New Orleans.

Questo genere, che si è imposto fin da subito come una delle più alte espressioni musicali, vide infatti la sua prima pubblicazione discografica nel 1917 quando la “Original Dixieland Jass Band” (vds. foto a destra) incise a New York il primo d isco jazz della storia. Il 78 giri intitolato “Livery Stable Blues” con un solo brano per facciata, sarà il primo disco ufficiale di questo nuovo stile. La band, proveniente da New Orleans e fondata dal batterista Johnny Stein, aveva come leader il cornettista Dominic James La Rocca soprannominato “Nick”, nato da genitori siciliani (di Salaparuta) emigrati in America nella comunità italiana di New Orleans. Nick, già da giovanissimo, aveva seguito le orme del padre Girolamo che era un bravo cornettista ma, convinto che la musica non potesse dare un futuro concreto al figlio, gli proibì di dedicarvisi a tempo pieno. Solo dopo la sua morte nel 1904, Nick comincerà a coltivare in modo serio questa sua passione. Altro musicista di origini italiane era il batterista Tony Sbarbaro. Soprannominato “Spargo”, nasce a New Orleans da emigrati siciliani. Dopo varie

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esperienze musicali con gruppi emergenti, si unisce alla Original Dixieland Jass Band nel 1917 in occasione delle registrazioni del primo disco, rimanendovi fino allo scioglimento del gruppo avvenuto alla fine degli anni Sessanta. Gli altri elementi erano Edwin "Daddy" Edwards al trombone, Larry Shields al clarinetto ed Henry Ragas al pianoforte.

Poco dopo la formazione della band la parola Jass cambiò in Jazz, anche se l'origine di questo nome resta ancora oggi incerta.

Una delle ipotesi più accreditate è che derivi dal termine francese jaser, cioè fare rumore, gracchiare. Infatti inizialmente questo stile veniva considerato, dai puristi musicali, come rumore sgradevole, fracasso, colmo di suoni cacofonici (data anche la novità del genere). Ma c'è anche chi lo attribuisce ad una tipica espressione usata a New Orleans: “jazz them boy!” traducibile in “coraggio ragazzi!”. Una più recente ipotesi vuole che la parola sia sinonimo di vigore, effervescenza, energia, mentre alcuni la associano al termine to jizz, parola volgare che indica la virilità maschile, nata nei bordelli, quasi ad indicare una musica di basso profilo, di poco conto. Altri ancora ritengono che derivi da jar, vaso, perché i primissimi suonatori di jazz erano uomini di colore che suonavano come tamburi dei vasi rovesciati. “To play jares”, la cui pronuncia è “To play jazz”; da qui appunto il termine jazz.

In questi cento anni di musica sono moltissimi i musicisti di tutto il mondo che hanno sviluppato e approfondito il jazz, creando un repertorio sterminato. Ai primi posti si piazzano sicuramente quelli della tradizione afroamericana, ma sono tanti anche gli italiani che, con la loro tecnica e fantasia, hanno tenuto alto il nome del nostro Paese.

Ai grandi nomi di sempre del panorama mondiale come Louis Armstrong (1901-1971), Dizzy Gillespie (1917-1993), John Coltrane (1926-1967), Miles Davis (1926-1991), Chet Baker (1929-1988), Herbie Hancock (1940), Steve Coleman (1956), rispondono realtà di casa nostra altrettanto prestigiose come Franco Cerri (1926), Enrico Intra (1935), Enrico Rava (1939), Danilo Rea (1957), Roberto Gatto (1958), Paolo Fresu (1961), Fabrizio Bosso (1973), Stefano di Battista (1969), che formano il vasto panorama jazz italiano.

I più giovani di loro li abbiamo visti anche cimentarsi in performance pop, in un intreccio di suoni che ha creato un vero e proprio “genere”, basti pensare ad artisti come Mario Biondi o Stefano Bollani. Prossimamente approfondiremo la biografia di alcuni dei più importanti nomi del panorama jazz italiano, con alcuni dei quali mi onoro di aver lavorato. M° Antonio Aceti

Il M° Aceti con Danilo Rea Il M°Aceti con Stefano Di Battista

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Non pochi e molto graditi i commenti e consigli giuntimi in merito al libro presentato nello scorso numero, dal titolo “LA CITTADINANZA ATTIVA UNA ESIGENZA FONDAMENTALE PER LA VITA DELLA SOCIETA’ CIVILE”. Certamente in questo filone di pensiero si pone il pedagogico libro della Shore, recensito dalla nostra Elsa Bianchi, sulle concrete vicende storiche vissute in questi ultimi anni dalla popolazione ucraina, chiuso con la certezza che, in una società democratica, prima o poi, la coscienza si risvegli e falsità, ipocrisie e menzogne cedano finalmente il passo a verità, onestà e rispetto della dignità umana (pag. ).

Purtroppo, la già segnalata e generalizzata spinta verso l’individualismo ideologico e consumistico, lungi dal comporsi, si è accentuata in questa lunga fase postelettorale, con crescenti difficoltà per la formazione di un nuovo ed efficiente Governo. Ma tutto ciò non può – e non deve - spaventare persone del nostro livello, cresciute nel credo ricordatoci dalla Shore, oltre che orgogliosi di essere stati terror dei rei, di saper vivere fra la gente e per la gente.

E’ in questa logica di pensiero che, a parte le grandi problematiche di cui parlo ancora una volta nell’Editoriale, vorrei qui intrattenermi sull’opportunità di mantenere costanti ed aperti contatti con l’Arma in servizio e con le Forze dell’Ordine in genere, per sostenerle nella sempre più cruenta lotta contro la dilagante delinquenza. Obiettivo primario è certamente la prevenzione, che presuppone la conoscenza, oltre che delle persone socialmente pericolose, dei luoghi (quartieri, aree, locali, ed altro) per i quali esistono fondati sospetti di frequentazione da parte di soggetti di dubbia provenienza e di non chiara attività; gruppi di giovani bulli oggi di moda e tant’altro di simile. Da sollecitare non sono soltanto i maggiori controlli ma, ad esempio, anche il ripristino o l’installazione di punti utili all’illuminazione stradale e di sistemi di video sorveglianza.

Da correggere, poi, l’atteggiamento di molte vittime di reato che, con la facile scusa della mancanza di tempo, o nell’erronea convinzione che non verrà mai recuperata la refurtiva, si astengono dal denunciarlo. Il senso civico del cittadino deve invece indurle a segnalare sempre l’accaduto, non soltanto a lamentarsene in famiglia o con gli amici. Importante inoltre che, in sede di denuncia, la vittima racconti i fatti con dovizia di particolari. Per quanto possibile, l’autore (o gli autori) del crimine dovrà essere descritto nei dettagli del volto, eventuali tatuaggi, nella forma e colore dei capelli, negli indumenti che indossava con eventuali scritte od immagini, inflessioni linguistiche e/o dialettali e via elencando.

Altro errato comportamento – come gli altri da correggere - è quello di persone anziane, vittime di truffe che, non di rado, sono indotte a nascondere l’accaduto da comprensibili sentimenti di vergogna verso figli e nipoti per essersi ingenuamente fidati

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di persone sconosciute. Doveroso è concludere che, ferme restando altre forme volontarie di specifica

collaborazione con le forze dell’ordine: a) la denuncia di reati sarà sempre più valida quanto più aperto e sincero sarà il

rapporto fra vittima ed operatore ricevente, specie nell’immediatezza dell’evento quando gli animi possono essere alterati ed il racconto snaturato;

b) consigliata è la tempestiva segnalazione al “112” di un fatto costituente reato di cui si è stati testimoni, od il semplice sospetto su persone o mezzi che si aggirano nei pressi dell’abitazione o luogo di lavoro.

G.R.

Si può dire che la mia vita, al suo secondo terminale, è stata consumata tra sogni di gloria patria nell’infanzia e prima giovinezza, poi, senza interruzioni, a difendere il prossimo e la comunità nazionale dai programmatori di morte nelle guerre più o meno mondiali e dai delinquenti delle specie più diverse, particolarmente determinate a provocare stragi per conquistare benessere personale.

Nel corso della mia attività ho cercato di studiare i particolari dei fatti storici, per individuare LA VERITA’ VERA dei conflitti e dei movimenti criminali.

Mi ha aiutato la filosofia della storia per suggerire quanto “credo” di aver compreso; in sintesi dicono:

San Giovanni: la vita dell’uomo (leggasi dell’umanità) è una continua LOTTA TRA IL BENE E IL MALE. Come si può distinguere il primo dal secondo ? Facile: chi vince scrive la storia e cinge la corona del bene, mentre al perdente spetta quella del MALE ASSOLUTO;

Il filosofo Hegel affermerà che la STORIA DELL’UMANITA’ E’ UNA STORIA DI STRAGI.

Secondo gruppo di domande: “Qual è il quadro motivazionale di tale tragica verità? Risposta (sempre filosofica) di Tommaso Moro con l’opera più che valida da

sempre: LA CITTA’ DI UTOPIA, ove le genti vivono in uno stato perenne di felicità e di benessere. Attenzione però perché UTOPIA significa NON ESISTE, non è realtà ma soltanto illusioni-sogni-promesse fatte da venditori di programmi impossibili da realizzare. Purtroppo, in linea di massima, sono questi furbi che fanno la storia, con l’inganno, la presunzione e LA VIOLENZA necessaria per conquistare il potere, la ricchezza, con l’inganno e la promessa di creare LA CITTA’ DI UTOPIA (la città che non esiste.

Volendo comprendere i conflitti del mondo di ieri e di quelli di oggi, ad esempio, si può considerare LA VERITA’ VERA delle stragi del Medio Oriente. “Maledetto petrolio”.

Arnaldo Grilli

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FIUME. L’avventura che cambiò l’Italia Pier Luigi Vercesi - Neri Pozza Editore Vicenza

E’ del novembre 2017 la prima edizione del libro in

titolo, su uno dei più significativi momenti della storia patria con protagonista Gabriele D’Annunzio, che raccomandiamo ai nostri lettori ed a quanti, specie giovani, desiderano conoscere un’avventura politico-militare per lo più ignorata e non di rado malamente considerata.

Peraltro, certi sentimenti di quel periodo, secondo alcuni autori, sono ancora presenti nel nostro quotidiano, come ad esempio il sessantottismo e altre forme di ribellismo dei più giovani contro un autoritarismo e un ordinamento sociale non più consono al mondo moderno, dove per spirito del ribellismo e del rifiuto si auspica la rivoluzione,sia culturale sia armata. Vediamo di sintetizzare.

Dopo la prima guerra mondiale i sacrifici dell’Italia e la Vittoria dal Monte Grappa al Piave, vennero derisi al Convegno di Pace, dove il Rappresentante dell’Italia venne emarginato ed offeso, specie dal Presidente degli Stati Uniti e da quelli di Francia e Gran Bretagna. L’umiliazione portò ad un pianto di dolore il nostro delegato. Il Trattato di Londra ci venne brutalmente negato. Da qui il mito della “Vittoria mutilata” e Fiume venne assegnata alla nascente Iugoslavia. Dagli italiani di quella città venne lanciato a D’Annunzio l’urlo del patriottismo per impedire che ciò diventasse realtà.

Il 12 settembre 1919 il poeta-soldato, Medaglia d’oro al Valore Militare, con un pugno di Legionari (Arditi, futuristi, nazionalisti, aviatori, marinai) e ”disertori” delle varie Armi occupa la Città, che diventa un vero e proprio esperimento per una nuova forma di comunità di artisti, di combattenti, di libertari di varia provenienza ideologica e di utopia. Ogni esperienza andava vissuta, specie quelle vietate o nascoste da una società vecchia e decadente. Nasce la Carta del Carnaro a cura del rivoluzionario Alceste De Ambris, rielaborata dal Comandante D’Annunzio.

Il mondo politico nazionale e internazionale guarda con interesse e simpatia questa forma di rivoluzione culturale e di vita comunitaria. Dove tutto è permesso, l’omosessualità, il voto alle donne e la loro partecipazione attiva al nuovo mondo, il divorzio, il colpo di mano “ardito”, l’uso di droghe, la vita comunitaria, un esercito di “compagni”. Si riconosce l’Unione Sovietica, si predica con gesti audaci o semplici bravate libertà nuove, al limite, ma anche oltre la convenzionale riservatezza.

Frequenti gli assalti alle navi da carico, come gli sberleffi al nostro Governo che infine, stipulato il Trattato con la Iugoslavia” che prevede la cessione di Fiume all’Italia (tranne la parte portuale), ordina al Generale Caviglia di rioccupare la città, iniziando a bombardarla dal mare, cosa che avverrà nel “Natale di sangue” del 1920.

Fiume diventerà italiana dopo aver vissuto un’esperienza di vita comunitaria irripetibile. Da conoscere, perché tutta la struttura politico-militare verrà copiata da

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Mussolini, già reduce dalle esperienze di socialista rivoluzionario, come di D’Annunzio, socialista-nazionalista.

Da osservare che molti legionari di D’Annunzio andarono ad ingrassare il partito socialista con gli “Arditi del popolo”. Da ciò le somiglianza di certi riti e formule culturali (L’immaginazione al potere dei sessantottini).

Arnaldo Grilli

The Ukrainian Night: An Intimate History of Revolution di Marci Shore, Yale University Press, 2017.

Nel suo nuovo testo, The Ukrainian Night, Marci Shore –

Professore Associato alla Yale University – prende in esame la rivolta pro-democratica che ha avuto luogo in Ucraina nel 2014 e le sue conseguenze. Shore descrive un mondo in cui le linee del tempo si intrecciano tra loro, in cui “il pre-moderno si intersecava in modo surreale con il postmoderno: i signori della guerra usavano Twitter”. Cosa vuol dire “rivoluzione”? Cos’è che spinge le persone a rischiare la propria vita? Cosa pensano? Cosa provano?

“Volevo che il libro non si riducesse a sostenere l’una o l’altra parte. Volevo fosse uno studio su cosa significhi vivere la rivoluzione sulla propria pelle. Non si tratta solo di una decisione politica. È una sorta di trasformazione esistenziale, una trasformazione umana” afferma Shore in un’intervista con Megalie Laguerre-Wilkinson. Con vivaci pennellate l’autore ci regala un quadro in cui sulla stessa tela compaiono sia il passato insanguinato dell’Ucraina sia gli avvenimenti moderni: la rivoluzione arancione del 2004; la presidenza gangsteristica di Viktor Yanukovyč, la morsa di terrore nella quale gettò i manifestanti e la sua fuga in Russia; l’annessione della Crimea e la guerra che Vladimir Putin ha tradotto in un’allucinante realtà nel Donbass. Il tutto narrato in modo non convenzionale. Marci Shore, infatti, non era a Majdan, la piazza dell’Indipendenza di Kiev, quando è scoppiata la rivoluzione. L’obiettivo che si è prefissata, in questo suo nuovo testo, è quello di catturare i sentimenti delle persone che hanno partecipato agli eventi.

Nella prima parte del libro, descrive quanto accadde quando il presidente ucraino Viktor Yanukovyč si stava preparando a firmare un accordo con l’Unione Europea. Un accordo che, di fatto, non implicava l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione ma che, da molti, era percepito come un primo passo verso quella meta. All’ultimo momento Yanukovyč ebbe un ripensamento (forse sotto le pressioni di Putin), a seguito del quale un giornalista afgano-ucraino, Mustafa Nayyem, inviò un messaggio su facebook in cui invitava tutti a presentarsi in piazza Majdan (“Likes do not count” i “mi piace” non bastano) a mezzanotte per una protesta pacifica, a cui venne dato il nome di Euromajdan. Protesta che durò fino al 30 novembre quando, Viktor Yanukovyč decise di reprimerla inviando, alle quattro del mattino, la Berkutovtsy (la polizia che seda le sommosse), contando sul fatto che i genitori si sarebbero affrettati a riportare i propri figli a casa. Inaspettatamente, però, i genitori si unirono ai propri ragazzi, anche

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chi figli non ne aveva, in un sentimento di comune sostegno a difesa dei figli della nazione, oggetto di tirannia e violenza arbitraria.

Da Euromajdan la protesta prese il nome di Majdan unendo in un solo corpo persone di ogni età, credo e lingua. Attraverso le interviste emerge un’atmosfera di solidarietà dove “i confini che normalmente esistono tra le persone vengono azzerati” e l’individualità sembra al contempo realizzarsi con l’inclusione nella folla, nella collettività.

Nella seconda parte del libro, Shore consegna al lettore il ritratto di uomini d’affari, storici e fisici che sono andati nell’Est per combattere i separatisti sostenuti dalla Russia. Una guerra che l’autore paragona al “Teatro dell’Assurdo” narrando quanto accadde in Piazza Lenin a Donetsk quando un pensionato ortodosso battezzò un mercenario musulmano di nazionalità ceca “per aiutare la sua battaglia contro i nazisti ucraini..… che non esistevano”. Shore identifica il surrealismo esemplificato nella guerra in un divario culturale. Gli Occidentali tendevano a credere che “vi fossero limiti alla realtà”, mentre “gli Europei dell’Est sapevano che tutto era possibile”. Una paura che sottende il testo è che l’Ucraina, con la sua propaganda saturante e la sua politica dall’identità deformata, possa essere una visione del futuro dell’Occidente e non il contrario. Shore sottolinea come l’estrema destra ucraina, fonte di preoccupazione per molti Stati, alle elezioni abbia avuto risultati peggiori di quelli che invece hanno ottenuto le controparti francesi e austriache. “È stato come se il fantasma di Freud infestasse l’Europa” mentre le altre nazioni “guardavano l’Ucraina attraverso una lente di proiezione, attribuendo agli altri quello che non accettavano in se stessi”. Riflessioni che mettono in evidenza, ancora una volta, come relativismo e soggettivismo storico abbiano cambiato le modalità di rappresentazione dei fatti storici.

Spesso, purtroppo, si attribuiscono agli altri le proprie carenze, soprattutto quando l’Altro, con i suoi valori e competenze, potrebbe, per sua stessa natura, farlo risaltare. La repressione di quanto è “altro” da noi, con la violenza o semplicemente offuscando e inabissando quanto di positivo esiste al di fuori del “sé”, è quanto alla lunga fortifica l’animo di chi onestamente percorre il proprio cammino, sia esso umano, sociale o lavorativo, certi che in una società democratica, prima o poi, la coscienza si risvegli e falsità, ipocrisie e menzogne cedano finalmente il passo a verità, onestà e rispetto della dignità umana. Elsa Bianchi

La Sezione ANC di Modena, di cui è Presidente il Saggio M.llo Ca. Giandomenico Santangelo, nella mattinata del 6 maggio ha inaugurato nel centro di Modena una Stele "IN ONORE DEI CARABINIERI", in particolare dedicata al V. Brg. Celso Viglino caduto a Modena il 18 gennaio 1947 e mai celebrato.

La Stele contiene anche i nome dei Caduti e Decorati, nati o per episodi avvenuti in provincia di Modena dall'arrivo dei Carabinieri il 14 giugno 1859 in città.

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