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INFORMASAGGI MARZO 2018 Anno IX n.3 1 Come Carabiniere sono nato al lume dell’obbligo costituzionale (art. 52 del testo approvato nel 1947) che dichiara la difesa della Patria sacro dovere del cittadino. Già in vigore era la NATO, cui l’Italia fu tra i primi aderenti il 4 aprile 1949, che assunse subito anche finalità difensive contro i tentativi espansionistici dell’URSS e di protezione della Germania, parzialmente rimasta occupata dalle truppe dell’Est. Quanto sopra spiega il quasi esclusivo impegno dell’Arma territoriale nella prevenzione e repressione dei reati interni, mentre tutti gli indizi o semplici sospetti di ingerenze estere venivano prontamente segnalati agli organi civili o militari del controspionaggio. Ben diversa, e molto più complicata, è la situazione odierna. La dialettica interna infatti non è più binaria (Sinistra contro Destra), ma polifunzionale, specie sotto l’effetto della globalizzazione di cui parlerò in seguito. Una prima grossolana constatazione ci porta ad osservare intanto che la dialettica interna è oggi fra globalismo (cui aderiscono soprattutto i benestanti) e nazionalismo. Cosa fare resta un grosso dubbio per molti, a cominciare dal Presidente della Repubblica, che gode per fortuna della generalizzata fiducia degli italiani.

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Come Carabiniere sono nato al lume

dell’obbligo costituzionale (art. 52 del testo approvato nel 1947) che dichiara la difesa della Patria sacro dovere del cittadino.

Già in vigore era la NATO, cui l’Italia fu tra i primi aderenti il 4 aprile 1949, che assunse subito anche finalità difensive contro i tentativi espansionistici dell’URSS e di protezione della Germania, parzialmente rimasta occupata dalle truppe dell’Est. Quanto sopra spiega il quasi esclusivo impegno dell’Arma territoriale nella prevenzione e repressione dei reati interni, mentre tutti gli indizi o semplici sospetti di ingerenze estere venivano prontamente segnalati agli organi civili o militari del controspionaggio.

Ben diversa, e molto più complicata, è la situazione odierna. La dialettica interna infatti non è più binaria (Sinistra contro Destra), ma polifunzionale, specie sotto l’effetto della globalizzazione di cui parlerò in seguito. Una prima grossolana constatazione ci porta ad osservare intanto che la dialettica interna è oggi fra globalismo (cui aderiscono soprattutto i benestanti) e nazionalismo. Cosa fare resta un grosso dubbio per molti, a cominciare dal Presidente della Repubblica, che gode per fortuna della generalizzata fiducia degli italiani.

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Certo è che l’origine dell’esistente malessere ha origini concrete, e non strumentali; che la sua soluzione va ricercata e trovata con visione mondiale, e non semplicisticamente nazionale, come in molti si ostinano a proporre.

Iniziamo pertanto con l’ammettere che i conflitti in atto sul nostro pianeta sono numerosi ed aperti ad incerti sviluppi, mentre è persino riesplosa la minaccia nucleare. Instabile la Regione mediterranea che permane obiettivo primario per l’Italia. Quanto all’Africa, da cui provengono i flussi migratori più consistenti ed interessata a diffusi traffici illeciti con nostri connazionali, merita altrettanta attenzione. Rilevanza crescente per la sicurezza nazionale vanno inoltre acquisendo anche molte aree dell’Asia, in particolare per il terrorismo jihadista, che continua a riproporsi in formule nuove, di varia strutturazione ma tutte particolarmente insidiose.

L’internalizzazione progressiva dell’economia, come sopra indicato, indurrebbe a superare la storica, binaria dialettica Sinistra-Destra, per aprirsi a corretti interscambi planetari, divenuti realistica ed immutabile realtà. In concreto, però, si vedono sempre più le comunità statuali competere come “sistemi Paese”, per tutelare le proprie economie e imprese; per proteggere i propri sistemi finanziari da condotte ostili; per sostenere il reperimento delle necessarie risorse naturali mancanti nella nostra penisola; per contrastare i purtroppo crescenti crimini finanziari quali evasione fiscale e riciclaggio di denaro. Elementare il riconoscere che questi intenti avrebbero miglior successo se portati avanti in contesti multinazionali. Da ciò l’opportunità di sostenere l’UE, la NATO ed altri organismi internazionali seriamente impegnati nella salvaguardia del libero mercato e della legittima concorrenza. Solo in questo modo trova credito la concreta speranza che il mondo imprenditoriale possa ancora creare benessere e crescita un pò ovunque.

In chiusura, mi corre l’obbligo di ricordare quanto sia di ostacolo alla crescita economica l’attivismo della criminalità organizzata e, soprattutto, la sua capacità di inquinare il tessuto produttivo e di condizionare i processi decisionali pubblici, fungendo di riflesso da deterrente per gli investitori.

Altra raccomandazione riguarda il rafforzamento delle nostre capacità nell’universo cyber, argomento per noi relativamente nuovo ma, proprio per questo, capace di indurci a pericolosi equivoci. Su ciò ed altri temi creati dalle nuove tecnologie con annesse applicazioni, INFORMASAGGI cerca mensilmente di portare l’attenzione dei lettori, ma qualche convegno specifico organizzato in sede nazionale o locali si riterrebbe utile, così come qualche articolo di esperto del settore, inserito sulla rivista dell’ANC.

Ripetuto per l’ennesima volta l’invito alle Autorità amministrative a rilanciare l’attività di prevenzione in proprio, e solo quando necessario sotto la direzione della magistratura penale; a rivitalizzare l’azione di controllo gerarchico per smentire il detto che nessuno in Italia controlla più nessuno; faccio voti perché il senso di responsabilità, la saggezza e l’apertura ad un intelligente dialogo guidino nei futuri giorni i personaggi chiamati a formare, direttamente o indirettamente, un nuovo Governo.

Il Magnifico Rettore Giuseppe Richero

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Palermo è ufficialmente la Capitale italiana della Cultura 2018. Il 29 gennaio, al Teatro Massimo, si è svolta la cerimonia di apertura e la presentazione del programma di attività e manifestazioni che si svolgeranno lungo tutto l'anno. La cerimonia si è aperta con il coro di voci bianche che ha intonato l'inno nazionale italiano, poi è stato proiettato un breve filmato che mostra il patrimonio storico e artistico di Palermo. Presentato anche il logo ideato per Palermo capitale dalla 22enne Sabrina Ciprì, studentessa dell'Accademia delle Belle arti di Palermo. Un logo semplice che declina in quattro lingue le dominazioni che si sono succedute nel capoluogo siciliano e le culture che ne hanno posto le fondamenta. La P di Palermo in arabo, ebraico,

fenicio e greco, a sottolineare la centralità della città non solo come capitale italiana della cultura, ma anche del Mediterraneo. Quattro p come le quattro sante e le quattro lingue sulla stele della Zisa.

Dal premio, la città di Palermo riceverà un milione di euro e l’esclusione dal patto di stabilità delle spese per gli investimenti necessari per realizzare i progetti.

Durante l'anno della Cultura, si svolgeranno circa 780 iniziative, direttamente organizzate dal Comune o da enti culturali, teatri e altri partner istituzionali; oltre 50 eventi internazionali. Unione, rete, integrazione, progetti condivisi sono le parole che hanno ispirato il programma. In questo contesto sono nati progetti come "Al Medina al al Aziz", con l’obiettivo di creare un unico parco che racchiude i cantieri culturali, il castello e i giardini della Zisa. Così pure il parco Casina Cinese-Pitrè, con iniziative specifiche per unire in un unico percorso il museo etnografico, la palazzina nel cuore della Favorita e la Città dei ragazzi. Ancora, il restauro di Palazzo Butera, un percorso pedonale dalla Kalsa alla Magione per collegare monumenti, chiese, teatri e oratori.

Su questo “mosaico” si innestano le iniziative internazionali che proiettano la città verso i grandi temi del Terzo Millennio: pace, legalità, solidarietà e partecipazione, per eventi che hanno “scelto” Palermo come ribalta. Ad iniziare dall’Aga Khan Trust for Culture (AKTC) che il 2 marzo ha presentato in anteprima mondiale il progetto di ricostruzione del Suq, della moschea degli Omayyadi e del minareto di Aleppo, patrimonio UNESCO, distrutti nel 2013 durante il conflitto.

Nel giugno del 2018 Palermo ospiterà la dodicesima edizione della prestigiosa Biennale nomade d’arte contemporanea, che l’ha scelta per la sua rilevanza su due principali temi che identificano l’Europa contemporanea: migrazione e condizioni climatiche, e sull’impatto che queste questioni hanno sulle nostre città.

C’è poi la Palermo popolare, fatta di mercati che ancora oggi richiamano i colori, i suoni e gli odori dei suk arabi del X secolo. Il più grande è quello di Ballarò, nel

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quartiere dell’Albergheria, e deve il suo nome a Bahlara, villaggio presso Monreale da dove provenivano le verdure, gli ortaggi e i venditori che anticamente lo frequentavano. Il mercato della Vucciria, dipinto anche da Renato Guttuso, è oggi è in gran parte dedicato al pesce, mentre in quello del Capo si trovano soprattutto verdure anche selvatiche e dolci.

Palermo è una città visitabile in tutte le stagioni, è facilmente raggiungibile con i diversi mezzi di trasporto e offre soluzioni d’alloggio accessibili a tutte le tasche. Dal portale di viaggi e turismo PaesiOnLine si può scaricare una comoda guida turistica gratuita sulla città, con i luoghi da visitare, dove alloggiare o mangiare, fare shopping o sorseggiare un buon aperitivo. Aldo Conidi

Vladimir Putin, durante il “Knowledge Day” del 1 settembre 2017 per l’inizio dell’anno accademico, ha detto chiaramente ad una platea di 16mila studenti: “la nazione che sarà leader nel settore dell’Intelligenza Artificiale sarà la dominatrice del mondo”.

Ma che cos’è l’ Intelligenza Artificiale? Essa consiste di una serie di strumenti matematici, ma anche di psicologia, tecnologia elettronica e di informatica, tramite la quale si insegna ad una macchina a pensare come se fosse un essere umano, ma con la rapidità e la sicurezza del computer. In primo luogo, quindi, in AI si tratta di far imitare alla macchina il processo del ragionamento umano.

Ognuno di noi ha visto uno stormo di uccelli sorvolare le nostre teste disegnando formazioni sempre diverse, cambiano direzione all'unisono. Oggi quegli uccelli potrebbero essere dei droni, uno sciame di droni, ognuno dei quali è capace di colpire ed uccidere uno o più bersagli. Questi droni potrebbero non essere più comandati da un uomo, ma agire autonomamente sulla base delle informazioni ricevute. Sto parlando di “letal autonomous weapon”, armi letali autonome, ovvero dell'ultima frontiera della tecnologia militare. L'incontro più avanzato (e forse più inquietante) tra l'intelligenza artificiale e mondo militare.

Secondo gli esperti, i costi legati alla costruzione di robot autonomi stanno progressivamente riducendosi, soprattutto con lo sviluppo di droni ultra-economici a 3D che, secondo i ricercatori, potrebbero essere schierati come sciami di milioni di piccoli insetti già nei prossimi cinque o dieci anni. Ci si aspetta che gli sciami siano molto efficaci in combattimento, sia in azione difensiva che offensiva. E sono a buon mercato: il programma LOCUST della US Navy, ad esempio, stima il costo di uno sciame di 30 droni a circa mezzo milione di dollari, meno della metà del prezzo del missile Harpoon che potrebbero sostituire.

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Oltre a essere sempre più economici, i robot autonomi sono veloci, più difficili da individuare per il nemico e potrebbero essere più bravi a distinguere tra combattenti e civili sul campo di battaglia di qualsiasi altro umano, rendendoli un'alternativa “più umanitaria”.

Economici o meno, umanitari o meno, resta il problema etico sul controllo di queste armi. La ricerca sull'intelligenza artificiale sta insegnando ai computer ad apprendere e a prendere le proprie decisioni imitando i modelli del cervello umano, ma anche andando oltre.

Gli esseri umani non possono guidare uno sciame di droni. Possono dargli un compito. Ma lo sciame si coordinerà su come assolverà questo compito.

E cosa accadrebbe se questo sciame comincerà a imparare in un modo che nessuno può prevedere?

Stati Uniti, Cina, Israele, Corea del Sud, Russia e Regno Unito stanno portando avanti queste nuove armi prive di un controllo umano.

La proposta di budget del Pentagono per l'anno fiscale 2019 prevede infatti investimenti maggiori per l'intelligenza artificiale che coinvolgono tutte le forze

armate, tanto per l'addestramento quanto per i sistemi di combattimento tanto che la sicurezza americana potrà contare su ben 716 miliardi di dollari. Di questi, 13,7 saranno destinati a “scienza e tecnologia per la futura innovazione”, tra cui spicca senza dubbio l’intelligenza artificiale.

L’operazionalizzazione dell’IA sarà infatti una capacità chiave per il futuro del modo di combattere, in particolare per l’esigenza (sempre più forte) di gestire e rendere utilizzabile una gran mole di dati, i noti “big data”. Ciò appare ancora più urgente per gli USA considerando come le potenze rivali (Cina e Russia in primis) stiano concentrando ampi sforzi in questo senso con forti investimenti in questo tipo di tecnologie che porteranno a cicli decisionali più rapidi, consentendo di assimilare informazioni in volumi maggiori e di disporre di una migliore consapevolezza situazionale in merito a ciò che sta accadendo sul campo di battaglia.

Basti pensare che il governo cinese ha già approvato un progetto denominato “Artificial Intelligence 2.0”, che ha specifiche applicazioni sia nell’economia che nelle strutture militari e di intelligence. Le Forze Armate di Pechino stanno elaborando un progetto unificato in AI 2.0, una iniziativa che riguarda proprio il rapporto tra applicazioni civili e militari della AI. Un esempio è stato il concorso per il migliore sistema di riconoscimento facciale che è stato vinto, negli Usa e nel novembre 2017, dalla Yitu Tech cinese. La sfida era quella di riconoscere il maggior numero di passeggeri casualmente incontrati tra le rampe e le sale di un aeroporto civile.

La “fusione” tra mercato e Stato nel settore dell’AI, in Cina, è direttamente regolata dalla Commissione per lo Sviluppo dell’Integrazione Militare e Civile. Le Forze Armate cinesi si regolano, nell’ambito della nuova evoluzione strategica della AI, con il criterio della “costruzione condivisa, applicazione condivisa, uso condiviso” con i privati almeno per tutte le innovazioni nella programmazione e gestione automatica delle

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informazioni (e delle azioni) sul campo di battaglia e nell’area intelligence. L’AI cinese 2.0 mette allora insieme la ricerca robotica, i sistemi militari senza pilota o privi di altro personale, la nuova scienza del military brain ovvero una nuova branca teorico-pratica che riguarda perfino il controllo mentale e remoto, tramite applicazioni sull’uomo, delle macchine. Pechino, inoltre, ha creato un nuovo Istituto di Ricerca sull’argomento AI e sulle tecnologie ad essa riferite, collegato alla Commissione Militare Centrale e alle Forze Armate.

Un nuovo rapporto statunitense svela l'avanzamento tecnologico della Cina in questo campo e sostiene che entro cinque anni, le Forze Armate della Cina potrebbero eguagliare e superare quelle degli Stati Uniti per questo tipo di tecnologie. La Cina non è più pertanto in una posizione di inferiorità tecnologica rispetto agli Stati Uniti ed anzi li sta superando con massicci investimenti.

Mosca da parte sua sta studiando con attenzione, in primo luogo, i veicoli terrestri senza equipaggio, come l’Uran-9, il Nerekhta, il Vir. Sono tutti carri corazzati che possono ospitare missili anticarro e cannoni di medio calibro. Peraltro, la Russia sta sviluppando anche un programma per adattare i suoi supercomputer al deep learning, con un sistema AI chiamato, significativamente, iPavlov. Il deep learning dei computer da centinaia di petaflop (un petaflop equivale a 1.000.000.000.000.000 operazioni in virgola mobile al secondo) è un sistema AI che permette l’imitazione completa non solo del pensiero “normale” umano, quello che si definisce come “logico”, ma anche delle possibili variazioni statistiche.

Da parte sua l’Ue segue a ruota l’America per quanto riguarda i droni e la loro informatica e sta poi iniziando a finanziare alcuni progetti, anche di rilievo militare, in ambito AI 2.0. Ma si tratta comunque di obiettivi tecnologici lontani nel tempo e, in ogni caso, malgrado il sogno, o il mito, di una FF.AA. europea, l’intelligence, le dottrine evolute sul campo di battaglia e le reti neurali informative sono, quando ci sono, strettamente limitate al livello nazionale. Con i risultati che si possono facilmente immaginare, soprattutto in carenza, intellettuale e tecnologica, di una dottrina europea sulle “guerre future”.

E se i robot prenderanno il sopravvento sulle scelte dei soldati? Per questo motivo, ong e attivisti di tutto il mondo hanno recentemente lanciato la campagna “Stop Killer Robots” con l'obiettivo di arrivare a un trattato globale per impedire l'uso indiscriminato di queste tecnologie.

E' necessario un accordo per stabilire i controlli su queste armi prima che gli investimenti, l'impulso tecnologico e la nuova dottrina militare rendano difficile cambiare rotta. Dare alle macchine il potere di decidere chi vive e muore sul campo di battaglia è un'applicazione inaccettabile della tecnologia. Il controllo umano di qualsiasi robot da combattimento è essenziale per assicurare sia protezione umanitaria che controllo legale efficace e per questo le armi completamente autonome vanno bandite a livello Onu, come successo in passato con le munizioni a grappolo, le mine antiuomo e i laser accecanti.

Il messaggio di “Stop Killer Robots” è arrivato giorni fa a Monaco, durante la Conferenza mondiale sulla sicurezza, dove i leader mondiali hanno discusso sul futuro delle politiche di difesa (e delle guerre).

Per questo, già nel 2012, il Pentagono aveva emanato una direttiva per cui tali sistemi devono essere “progettati per consentire a comandanti e operatori di esercitare

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adeguati livelli di giudizio umano sull'uso della forza” in conformità “con le leggi di guerra, i trattati applicabili, le norme sulla sicurezza dei sistemi d'arma e le regole d'ingaggio applicabili”. Precauzioni che potrebbero non essere sufficienti perché qualcuno potrebbe superare dolosamente la linea della sensibilità e della moralità.

Sarebbe bene che l’Ue pensasse a questi nuovi scenari ma, oggi, immaginare che l’Unione Europea pensi è già una ipotesi di scuola…

Mi auguro unicamente che la Terza Guerra Mondiale non venga avviato dal sistema di intelligenza artificiale di uno dei Paesi del Mondo Leader di questa tecnologia.

Luigi Romano

UNA NUOVA, STRAORDINARIA OPERA LETTERARIA ILLUSTRA L’ASSOCIAZIONE DEL NASTRO VERDE E LA GENUINA FIGURA DEL

“DECORATO MAURIZIANO”. Mentre la “STORIA DELL’ASSOCIAZIONE” è il

titolo e “DECORATI DI MEDAGLIA D’ORO MAURIZIANA” il sottotitolo, il frutto della passione e della più scrupolosa ricerca, è il suo prezioso contenuto.

Curata e passata alle stampe dal nostro Presidente Nazionale, Gen. D. CC (c.a.) Nando Romeo Aniballi che apre con la sua e la prefazione del Magg. AM Filippo Palomba, l’Opera è un concentrato di storia che ben si situa nella sfera dell’associazionismo militare d’élite. Appropriatamente contraddistinto dal significativo Logo dorato di “SAN MAURIZIO”, l’Almanacco è un condensato della memoria di quegli straordinari Italiani che, onorando la loro Arma per “Dieci Lustri”, hanno “Servito” in uniforme la Patria. Accattivante già nel titolo, è un intrigante affresco di storia: un viaggio collettivo nella memoria; una ricerca intelligente che scava nella remota identità di un sodalizio a 24 karati !

Una impresa monumentale, insomma, decisamente meritoria quella del Gen. Aniballi e dei suoi collaboratori di redazione, da cui trasuda il trascorrere del tempo ed esala il rispetto delle Regole auree dell’ “Onor Militare”. Bene espresso nel pensiero: … “Nessun altro militare al mondo, ha innalzato le nostre Armi e la loro missione su questa terra con la stessa intensità con cui l’ han fatto i Decorati di Medaglia d’Oro Mauriziana.” scritto da un visitatore in uno dei tanti Registri degli ospiti custoditi nel Sacrario di Pescocostanzo (AQ).

Il volume che -come su detto- apre con la Storia di San Maurizio e prosegue con l’Organigramma spalmato su 19 Sezioni territoriali, 12 delegazioni che rappresentano oltre 2 mila iscritti e che nelle intenzioni dell’ autore, vuole anche esprimere lo sconfinato affetto che ogni Comandante nutre nei confronti dei propri colleghi e subordinati e, nel caso di specie, degli associati; possiede veste e valenza editoriale di pieno rispetto.

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La pubblicazione è, insomma, un elogio alle virtù militari e civili, morali e religiose degli insigniti della Medaglia Mauriziana: un luminoso esempio per i giovani. La pietra d’angolo di un lavoro certosino, frutto di grande intuito e di profondo attaccamento all’Istituzione. Un fil rouge che concentra in 170 pagine fitte … fitte di notizie, memoria, foto e riferimenti carichi di concretezza. Fatti documentati, analizzati ed asseverati, quindi, inscritti sui Fogli Matricolari o sugli Stati di Servizio dei protagonisti. Una gloriosa cavalcata che dal 1969 a tutt’oggi, è stata animata da coloro che hanno tutelato, salvaguardato e ispirato il rispetto per la buona terra italica e, della Legalità e della Legge, han fatto il loro baluardo. Un palinsesto di notevole impatto, incentrato sulla ricerca e la pratica applicazione delle “Cinque Doti” che circuitano il “Servire” di ciascun militare: la disciplina, le idee, la capacità di fare e di saper fare, la forza e la passione. Paradigma essenziale a cui si deve ispirare chiunque intende adoperarsi a vantaggio del prossimo e farsi testimone delle vicende di cui egli stesso si è reso protagonista. Si perché, << “Testimone” -che nel lessico greco equivale ad Eroe-, … è colui che ha vissuto e si è reso protagonista di un fatto eclatante di cui ha custodito la memoria recuperandola all’oblio e ne ha condiviso, consegnandolo alla storia, il ricordo . >> Un atto di coraggio, una scommessa importante: l’impegno coerente affinché le parole diano voce ai fatti e le testimonianze servano ad orientare le attività ed i comportamenti dei loro eredi. Un Volume, quindi, che esprime la materia viva di cui sono fatti i ricordi vissuti dal di dentro e che ispirano al rispetto dei valori primari. Bene.

Vicenda centrale, è il percorso militare di ciascun iscritto la cui storia di servizio, basterebbe ad impostare altrettanti libri storico-documentali. Storie cogenti che qui assumono un particolare significato per l’ammirazione che mantengono inalterata nel tempo, sia per l’alta tensione morale con cui riescono ad esaltare i grandi ideali e le migliori virtù dei popoli più gagliardi. Ciò di cui la nostra società, oggi, ha più che mai bisogno e che molto bene ha fatto l’ autore a farne richiamo. Un soprassalto, un tuffo nel passato che ti fa ricordare e, perché no, che ti fa ringiovanire d’un colpo.

Così è … e non potrebbe essere diversamente. Perché solamente i fatti realmente accaduti, possono suscitare emozioni e sensazioni che, come tutti sappiamo, rifuggono dalle regole rigide ed in qualche modo seguono percorsi che sono e restano loro. E’ un viaggio per certi versi singolare quanto realistico perché connotato da un itinerario preciso e non casuale che ripercorre fedelmente i luoghi e ripropone ciò che è veramente accaduto nel tempo.

Il memoriale del “NASTRO VERDE” che nell’ insieme rievoca parte di quella cronaca che ogni sodalizio, comunità o gruppo di persone possiede e dovrebbe custodire gelosamente perché ha contribuito a formare la storia del loro Paese, merita senz’altro di essere letto, ben accudito ed approfondito e studiato. Questo è quanto.

Ma molto altro ancora il lettore attento ed appassionato potrà trovarlo scorrendo di pagina … in pagina … lo stesso Annuario Mauriziano. Il quale, piuttosto che un lavoro editoriali, è da considerare un valoro aggiuntivo, uno status di cui fare sfoggio e vantarsi.

IL NOSTRO MAGNIFICO RETTORE: GEN C.A. GIUSEPPE RICHERO È SOCIO BENEMERITO DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE

di G. Giulio MARTINI - MAURIZIANO SPECIALE

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“Chi vorrà considerare con attenzione … la distanza da cui l'acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso” (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXVI, 123).

L'acqua è sempre stata ed è, per tutte le popolazioni del mondo, un elemento essenziale per il benessere della vita. La costruzione degli acquedotti fu una delle imprese più grandi e più impegnative della civiltà romana, "la più alta manifestazione della grandezza di Roma". Fino al VI secolo a.C., il Tevere, le sorgenti ed i pozzi furono in grado di soddisfare il fabbisogno della città finché lo sviluppo urbanistico e la crescita demografica resero necessario ricorrere ad altre fonti: fu allora che, grazie all'abilità dei suoi costruttori, si realizzarono gli acquedotti. Così i Romani costruirono un ingegnoso sistema di acquedotti, che rifornivano e tuttora riforniscono di acqua la città di Roma. Da quel momento in poi, ovvero dal 312 a.C., affluì a Roma una quantità enorme di acqua potabile, come nessun'altra città del mondo antico, ma forse di ogni epoca, ebbe mai e che valse alla città il titolo di "regina aquarum", ossia "regina delle acque" I Romani non furono i primi a costruire acquedotti; anche gli Egizi e i Babilonesi costruivano canali per portare acqua alle città, anche se con tecniche un po' rudimentali.

Degli acquedotti possiamo leggere in molte opere di storici. In particolare, tutte le nostre conoscenze derivano dall'opera di Sesto Giulio Frontino, che fu curator aquarum dal 97 al 103-104 d.C. Il suo trattato De aquis urbis Romae, è l'unica e più autorevole fonte per la conoscenza sulle specifiche tecniche costruttive e distributive, sull'amministrazione, la gestione e la normativa che regolavano l'approvvigionamento idrico dell'antica Roma. Frontino ci informa che “nei 441 anni che seguirono la fondazione di Roma, i Romani s'accontentarono di usare le acque tratte dal Tevere, dai pozzi e dalle sorgenti”, che però nel 312 a.C., non erano più sufficienti a coprire il maggior fabbisogno dovuto allo sviluppo urbanistico ed all'incremento demografico.

Il primo acquedotto fu costruito nel 312 a.C., e dopo di esso furono costruiti un totale di 11 acquedotti in un arco di 500 anni. Gli acquedotti erano proprietà dello stato a servizio della popolazione. La disponibilità pro capite di acqua era pari al doppio di quella attuale; Roma disponeva di 1300 fontane pubbliche, 15 fontane monumentali,

Planimetria acquedotti di Roma

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900 piscine, 11 terme e 5 bacini utilizzati per gli spettacoli come le naumachie e per i laghi artificiali. Le diramazioni degli acquedotti erano in tutto 19. In totale, gli acquedotti avevano una lunghezza pari a 420 chilometri. Era illegale inquinare gli acquedotti o collegarsi al canale senza pagare un tributo. Pochi patrizi avevano l'acqua disponibile a casa.

Fino all'epoca imperiale, la sorveglianza, la manutenzione e la distribuzione delle acque venne affidata, per due secoli e mezzo, alla cura un po' disorganizzata di imprenditori privati, che dovevano rendere conto del loro operato a magistrati che avevano altri compiti principali. Infatti competente per la cura aquarum era il censore, cioè il magistrato responsabile delle opere pubbliche, affiancato di solito da un edile curule che era invece responsabile, più genericamente, del demanio, e dai questori, che curavano l'aspetto economico, dal finanziamento per la realizzazione dell'opera alle spese di manutenzione e di retribuzione delle maestranze, nonché alla riscossione degli eventuali canoni di utilizzazione. Il censore affidava di solito la realizzazione di un acquedotto tramite la concessione in appalto, e ne curava poi il collaudo finale, mentre l'edile si occupava piuttosto della distribuzione delle acque e dell'erogazione.

Dal 33 al 12 a.C., Agrippa, con il consenso di Augusto, monopolizzò nelle sue mani il controllo di tutto l'apparato idrico della città, creando un apposito servizio. Alla sua morte la gestione passò nelle mani dell'imperatore stesso, che l'affidò ad un'équipe di tre senatori che poi trasformò in un vero e proprio ufficio, in cui uno dei tre, di livello consolare, assumeva la carica di curator aquarum. Il rango di questo funzionario era tale da consentirgli il controllo assoluto della gestione delle risorse idriche cittadine: manutenzione degli impianti, interventi, regolarità e distribuzione del flusso. Alle sue dipendenze aveva un organico molto ampio, composto da tecnici, architetti e ingegneri, da amministrativi e dai 240 schiavi di Agrippa, che Augusto trasformò in “schiavi pubblici”, mantenuti dallo Stato, con mansioni varie, a cui se ne aggiunsero, all'epoca di Claudio, altri 460 mantenuti direttamente dalle finanze imperiali. La magistratura rimase in vigore per oltre tre secoli, finché, prima con Diocleziano e poi con i suoi successori, il controllo degli acquedotti venne affidato al praefectus urbis.

Oltre agli undici condotti principali, nel tempo furono costruite diverse diramazioni e rami secondari, per cui un catalogo del IV secolo ne contava ben diciannove!

Furono gli Ostrogoti di Vitige nell'assedio del 537, a decretare la fine della storia degli acquedotti antichi Essi vennero tagliati per impedire l'approvvigionamento della città, e da parte sua Belisario, il generale difensore di Roma, ne chiuse gli sbocchi per evitare che gli Ostrogoti li usassero come via di accesso. Qualcuno fu poi rimesso parzialmente in funzione, ma dal IX secolo il crollo demografico e la penuria di risorse tecniche ed economiche fecero sì che nessuno si occupasse più della manutenzione, i condotti non furono più utilizzabili ed i romani tornarono ad attingere acqua dal fiume, dai pozzi e dalle sorgenti, come alle origini.

Rosanna Bertini

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Da più parti si è voluto informare la gente comune della diminuzione delle nascite in Italia: dopo la notizia sono apparse le proposte per una inversione di tendenza da parte di ottimisti, cui si contrappongono i pessimisti. Personalmente, sono dalla parte di questi ultimi per alcune ragioni che tento di riassumere.

L’incidenza di un capitalismo che ha fatto dell’area dell’infanzia un mercato di vendite. Ai miei tempi, i figli non costavano, non incidevano sulla spesa domestica: un pantaloncino, qualche maglietta, indumenti rivoltati del padre, del fratello e della madre. Molti manufatti si lavoravano in casa, le scarpe avevano il supporto dei chiodi e i giocattoli non esistevano oppure erano poca cosa. Si giocava cioè senza giocattoli. I maschi dormivano, se piccoli, nel lettone o in qualche altro attrezzo (di moda la scatola che chiudeva anche la macchina da cucire). In buona sostanza i figli. Poi è venuto il mondo dei consumi: la cameretta per il pupo, e tutto un corredo una volta di esclusiva disponibilità dei ricchi. Ogni giorno vitto speciale, carrozzine ed annessi in cangiante linea moda per bimbi e poppanti. Dunque la moda, la cameretta, le merendine, connesse a festicciole e regali per compleanni ed onomastici, aperte ai compagni di classe (dalle materne all’Università). Da non dimenticare poi gli attrezzi più o meno elettronici con cui giocare e parlare (si fa per dire), né i corsi pomeridiani: piscina, palloni, danza, strumenti fra i più strani, qualche lingua straniera, più tante altre cose, che mutano sempre nella forma e nella sostanza.

Non mi dilungo: basta guardarsi intorno per rendersi conto dei moltiplicati costi che, rispetto a noi classe 1928 e relativamente vicini, i genitori debbono sostenere per presentare i figli sempre all’ultima moda. In effetti i nostri figli o nipoti sono diventati oggetti di mercato ! Quale la conseguenza ? Non si fanno figli perché costano troppo. Che fare ? Nulla. Ripeto, è un continuo correre per cambiare giocattoli usati, vestiti ed oggetti fuori moda, et similia, adeguandosi ai comportamenti sociali in perenne evoluzione. Altra conseguenza: i genitori non ce la fanno e si arrangiano nella legalità, ma anche nell’illegalità, dedicandosi ai cortei per aumenti immaginifici in questo gioco del correre dietro ogni offerta pubblicitaria. Quindi la tendenza è: non fare figli.

L’umanità continuerà a vivere grazie alla migrazioni. Noi diversamente giovani abbiamo visto le migrazioni interne: oltre sette milioni di esseri umani, con valigie di cartone legate con la corda, che fuggirono dal Sud verso il Nord (triangolo industriale). Anche oggi é questa la via di fuga che, però, porta ad un Nord diverso da quello che accolse i loro nonni, perché in Padania le fabbriche anziché assumere, stanno licenziando la manodopera.

Niente paura: arriveranno (sono già arrivati) gli emigranti dai mondi dei poveri, che sostituiranno i popoli che non fanno più figli, con i loro fatti in quantità come a quei tempi nostri. D’altro canto, le migrazioni dei poveri verso i pascoli ricchi esistono da quando l’uomo scese dagli alberi. A proposito: ricordate Abramo e la terra promessa ? Ancora fanno guerre in molte parti del mondo. Questa terra è mia. No, è mia !

Questa è l’umanità con le sue migrazioni verso la città di Utopia. Arnaldo Grilli

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Dal 6 al 10 febbraio al Teatro Ariston di Sanremo si è svolto il Festival della Canzone Italiana numero sessantotto. La kermesse canora più famosa d'Italia ha registrato un ottimo successo di pubblico (52,16% di share), forse anche perché c'era una certa curiosità per la scelta di affidarne la direzione artistica e la conduzione a Claudio Baglioni. Uno dei nostri cantanti più famosi e longevi (nasce artisticamente nel 1970), si è cimentato in un compito tutt'altro che facile, essendo il Festival la manifestazione musicale più seguita in Italia e anche all'estero.

Al suo fianco Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino, un trio sicuramente inedito come, del resto, la formula di quest'anno che non contemplava l'eliminazione degli artisti in gara come di solito avviene. Infatti la competizione che ha visto venti cantanti nella categoria Campioni e otto in quella delle Nuove Proposte, si è svolta senza l'antipatica fase eliminatoria, creando semplicemente una classifica data dai voti arrivati attraverso televoto, giuria demoscopica, giuria della Sala Stampa e giuria di esperti.

Vincitore del Festival il duo Ermal Meta e Fabrizio Moro con il brano “Non mi avete fatto niente”, mentre per la sezione Nuove Proposte vince Ultimo con la canzone “Il ballo delle incertezze”. “Non mi avete fatto niente, non mi avete tolto niente, perché tutto va oltre le vostre inutili guerre”. Così recita il ritornello del brano di Meta e Moro che, già dai primi ascolti, è stato accreditato come uno dei possibili vincitori. Si tratta di un urlo di dolore, una denuncia riferita agli eventi tragici che

stanno scuotendo il mondo in questo secolo. L'idea scaturisce dopo l'attentato terroristico di Manchester del 22 maggio 2017 durante il concerto di Ariana Grande; i due autori hanno espresso, in questa canzone, un messaggio forte di speranza. E' l'urlo del mondo che, nonostante le ferite inflitte, vuole alzare la testa e guardare avanti, andare oltre l'odio e ricominciare a sperare. Testo profondo ed impegnato per una canzone che ha però rischiato di essere eliminata. Infatti, subito dopo la presentazione sul palco dell'Ariston, è partito un tam tam mediadico sui social che segnalava che eravamo in presenza di un plagio. Il ritornello sarebbe uguale a quello del brano “Silenzio” che nel 2016 ha partecipato alle selezioni di Sanremo Giovani. Subito sospesi dalla gara, il caso è passato al vaglio dei legali Rai che, dopo frenetiche consultazioni, hanno stabilito che solo il 33% dell'intero testo ricorda quello di “Silenzio” , perciò è perfettamente in linea con le direttive del Festival, ed è stato riammesso alla gara. Nel frattempo si è sollevato un vero è proprio polverone mediatico tra colpevolisti e innocentisti che, alla fine, ha fatto applaudire alcuni e gridare allo scandalo altri. Non c'è molto da dire sulle

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altre canzoni in gara, a mio parere tutte di fattura mediocre ad esclusione, forse, di “Imparare ad amarsi” del trio Ornella Vanoni, Bungaro e Pacifico e “Frida” dei The Kolors, considerando la loro giovane età, potrebbero avere buone cose da proporre in futuro.

Anche tra le nuove proposte non ravviso niente di particolarmente interessante, ma è un argomento che approfondiremo nel prossimo articolo.

Vorrei invece esprimere un giudizio positivo sull'orchestra della Rai di Roma diretta da Geoff Westley, che accompagna i cantanti con il lavoro certosino di strumentisti che, nell'ombra, dedicano la loro vita alla musica. Con meno di un mese di prove, i musicisti devono affrontare brani tutti diversi uno dall'altro, nello stile, nei ritmi, negli effetti sonori, che devono riprodurre alla perfezione, esattamente come sono nell'incisione del disco. Questi

professori d'orchestra dovrebbero forse essere messi in risalto un po' di più, perché oltre allo studio e alla preparazione tecnica sempre all'avanguardia, mettono l'anima in ciò che fanno e questo traspare dalle loro esibizioni. Sempre perfetti, impeccabili, motivati. E' soprattutto grazie a loro che il Festival è tornato grande. Se andiamo indietro nel tempo, agli anni '80 e riguardiamo le registrazioni dei festival di quel decennio, ci accorgiamo di quanto le serate fossero “anonime” spente, senza fascino, esattamente come decine di altre trasmissioni musicali del genere. La musica registrata ed i cantanti addirittura in playback, tutto finto e poco credibile.

Con il ritorno dell'orchestra nell'edizione numero quaranta del 1990 sotto la direzione artistica di Adriano Aragozzini, tutto è cambiato; dopo un decennio la musica è tornata ad essere tale, mettendo in mostra bravura o pochezza dei cantanti, cosa che non era assolutamente possibile con il playback. L'orchestra che già da sola fa scenografia, l'orchestra che accende l'emozione in chi ascolta ma, soprattutto, in chi canta su quel palco, motivandolo a dare il massimo. Al suo interno tra i musicisti, anche l'amico e collega Francesco Santucci, che ricopre il ruolo di Primo Sax Alto dal 1991, un “veterano” presente al festival da ben ventotto edizioni e che, nel corso degli anni, ha collaborato con artisti italiani e stranieri del calibro di Ray Charles, Gloria Gaynor, Tullio de Piscopo, Chaca Khan, Sahara Jane Morris, Al Jarreau, Randy Crawford, Antonella Ruggiero, Sting. Nei prossimi giorni il verdetto delle programmazioni radiofoniche di questa sessantottesima edizione del Festival di Sanremo.

M° Antonio Aceti

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Ho avuto la fortuna-disgrazia di soggiornare a lungo, per motivi di lavoro, in ventisette Paesi del mondo. In ognuno di questi, oltre agli aspetti riguardanti l’antiterrorismo locale e internazionale, in connubio con la criminalità e la dilagante corruzione, mi sono interessato al vero problema del mondo globalizzato: LA PREVENZIONE. Di cosa mi sono convinto ? Prima di tutto che i veri agenti della prevenzione non sono tanto i poliziotti ma i CITTADINI. Dopo tale constatazione e dalle esperienze a svolgere una prevenzione nel senso globale del termine.

CHE FARE IN ITALIA ?

Come primo provvedimento, i QUARTIERI debbono avere i loro “poliziotti”, che vivono in luogo, meglio se vi sono anche nati e vi hanno lavorato, ma in ogni caso consapevoli di dover pensare, più che agli interessi personali, alla prevenzione e sicurezza della zona di loro competenza.

COME FARE IN ITALIA ? Saliamo di un gradino: LA CIRCOSCRIZIONE. Ogni “pezzettino di Quartiere”

viene affidato ad un “ASSESSORE” o semplice “CONSIGLIERE” che dovrà avere una ubicazione fissa in quel “pezzettino” di società. Egli riunirà “i poliziotti-civili” del Quartiere, con i quali potrà conoscere persone e cose riguardanti il sistema preventivo. Accompagnato dal civile-volontario prenderà contatto diretto con quanti nati, abitanti, lavoratori, residenti in quel “pezzettino” di territorio. Da quel “legame” fra Circoscrizione e pezzettino di società, nascerà il vero ed efficace poliziotto. Lo stesso potrà contare su tutti gli abitanti e non solo ricevere notizie su situazioni di ogni tipo ma anche dare “consigli” su cosa fare INSIEME.

E POI ? Su questo sistema di mobilitazione civile si possono innestare progetti locali per

rimuovere difficoltà di ogni tipo (ambiente, cultura, assistenza anziani e minori, migranti , sanità e tant’altro). Molto opportuna l’organizzazione di un volontariato di pensionati, parrocchie, circoli ed altri gruppi sociali esistenti in zona.

DAL QUARTIERE ALLA CIRCOSCRIZIONE DALLA CIRCOSCRIZIONE AL COMUNE

DAL COMUNE ALLA PROVINCIA e così sino ad interessare il politico-governativo eletto dall’insieme dei nostri “pezzettini di Quartiere”.

XXXXXX

Un simile SISTEMA è stato da me visto operare. La cosa potrebbe dunque ripetersi anche in Italia se i nostri connazionali la smettessero di pensare solo al proprio orticello e al mugugno sullo Stato che ci ha lasciati soli. Senza sapere che lo Stato è il cittadino, che si deve dare una mossa, nel senso sommariamente suggerito.

A.G.

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Frequentavo la terza elementare e mi piacque moltissimo la favola di Esopo sulla formica, che lavorò tutta l’estate sotto il sole cocente, derisa dalla cicala canterina, che si concludeva con l’arrivo dell’inverno quando la prima poté tranquillamente sopravvivere, grazie alle riserve di cibo raccolte e ben conservate, mentre la seconda le chiese invano un aiuto … e morì.

Durante il corso biennale di allievo CC e V.B., frequentato negli anni 1952-54, ricordo benissimo un’elementare regola che gli istruttori di turno ci raccomandavano di osservare quando saremmo giunti ad incarichi operativi. Si trattava (e si tratta) di valutare sempre quattro fattori che, mnemonicamente, sono facili da ricordare perché tutti iniziano con la “p”: prevedere, prevenire, predisporre, perfezionare!

I due semplici ammaestramenti mi son tornati alla memoria in queste ultime settimane, quando ho purtroppo dovuto constatare che l’Italia si è lasciata sorprendere non da un evento eccezionale, come potrebbe essere un terremoto, ma da una invernale nevicata, peraltro preventivamente preavvisata dal servizio meteo. Risultato: chiusura delle scuole per più giorni, circolazione resa difficile anche ai pedoni, servizi inefficienti, e tant’altro. Le carenze previsionali e provvisionali hanno toccato poi l’apice con gli scambi della rete ferroviaria, bloccati dal gelo (anche questo imprevedibile?).

Molte sono le indagini in corso per accertare eventuali responsabilità ma, lo scolaro ed il giovane allievo di cui sopra non può dimenticare che di fronte a fenomeni simili, nella sua infanzia e giovinezza vedeva i singoli proprietari pulire l’accesso alle loro abitazioni, i Comuni organizzare squadre per garantire la viabilità essenziale.

Il progresso e le nuove tecnologie hanno moltiplicato le strategie allarmistiche ma confuso le gerarchie amministrative sulle competenze ad intervenire.

Prendiamo quindi atto che la nostra rete di servizi è antiquata e non all’altezza di uno Stato moderno. Interveniamo sul piano organizzativo ma, prima ancora, su quello educativo per ricreare una nuova e diffusa sensibilità civica.

La previsione e la prevenzione sentiamole come un personale dovere, e chiediamoci oggi se proprio non si poteva trovar modo di impedire la tragedia di Latina, di cui è stato protagonista un nostro graduato che, da tempo in notorio e brutale contrasto con la consorte, l’ha gravemente ferita con l’arma in dotazione e, in altro momento, ha ucciso le due figlie minori per poi suicidarsi.

Giuseppe del Ponte

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A Vicenza, collocazione di una effige della Virgo Fidelis

Il 2 marzo 2018, presso il salone del Centro IPARK di Vicenza, si è svolta la cerimonia di consegna dell'Effigie della VIRGO FIDELIS, patrona dell'Arma dei Carabinieri

L'iniziativa è scaturita dal Gr. Uff. Ten. Avv. Giovanni Iannetti, già Ispettore Regionale Veneto dell'A.N.C.

Alla cerimonia hanno partecipato il Gen. Br. Giovanni Pietro Barbano (Direttore del

CoESPU di Vicenza), che ha illustrato la motivazione della celeste Patrona dell’Arma ed ha porto i saluti a tutte le Autorità. Tra i presenti, il Dott. Rotondi – già vice questore

a Vicenza - in rappresentanza del Sindaco di Vicenza Dott. Variati; la dott.ssa Isabella Sala (Assessore ai Servizi Sociali); il Dott. Giulio Bertinato (Dir. Centro IPARK); rappresentanti delle Associazioni d’Arma : Ten. Giustiniano Mancini (Pres. UNUCI di Vicenza), Mar.llo Giovanni La Face (Coord. Prov.le ANC di Vicenza), Gen. Alberto Frigo (AAA) ed una folta rappresentanza di soci ANC e dell’ANA. Il Coro delle Benemerite ha collaborato alla

funzione religiosa intonando per ultimo l' Inno alla Virgo Fidelis.

Presenti familiari ed amici degli ospiti del Centro. La celebrazione della S. Messa è stata

concelebrata dai sacerdoti: Don Corrado Tombolan (Cappellano CC), da Don Adelino Bedin (Sacerdote del Centri IPARK), da Mons. Ezio Busato (già cappellano militare Alpini e Rettore della Chiesa di S. Corona di Vicenza). Dopo la benedizione, la madrina, Benemerita Vanda Zardo Pecorer, ha affisso l'effigie della Virga Fidelis nell'apposito spazio dedicato.

La cerimonia si è conclusa con un rinfresco, offerto dal Centro IPARK.

La Redazione

Da sin. Luigi Lazzari (Pres. Sez ANC Noventa

Vicentina), Gen. B. Giovanni Pietro Barbano, il

Ten Giovanni Iannetti, la madrina Vanda Zardo

Pecorer, M.llo Giovanni La Face

Don Corrado Tombolan, benedice l’effige della

Virgo Fidelis

Ten. Sebastiano Barone e Ten. Giovanni

Iannetti

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DREAMERS How Young Indians Are Changing the World Snigdha Poonam, C Hurst & Co Publishers Ltd,

2018 Nel suo nuovo libro Dreamers, (trad.

“Sognatori: come i giovani indiani stanno cambiando il mondo”), Snigdha Poonam – una giornalista di base a Dehli dove attualmente lavora per l’Hindustan Times, con precedenti collaborazioni con New York Times, Guardian, Granta, Financial Times e GQ – narra il suo viaggio nella vita dei giovani indiani fornendoci le coordinate di una mappa nella quale ha posizionato il pericoloso divario indiano tra illusione e realtà e la delicata e controversa definizione di libertà.

Il libro, diviso in tre parti, introduce una vasta tipologia di caratteri, imprenditori, leader, seguaci, gangster e malviventi, intraprendendo un viaggio conoscitivo nell’India del nord.

Nella prima parte, “There Is No Plan B” (Non C’è Un Piano B), incontriamo una serie di giovani che hanno raggiunto il successo attraverso “l’imballaggio e non la sostanza”. Un ragazzo che consegna il latte diventa un tutor linguistico che insegna agli studenti a parlare inglese e, quindi, a pensare (prima di allora i discenti non erano mai stati realmente incoraggiati ad esprimersi in classe). Un “imprenditore paesano” che, dalle fototessere per passaporti passa alla scansione delle impronte e dell’iride. Peraltro, come faccendiere raddoppia il guadagno prendendo soldi dai poveri, per servizi che avrebbero dovuto essere gratuiti, interpretando il complesso mondo dei programmi governativi.

Nella seconda parte, “I Am Ready For A Fight” (Sono Pronto Per Una Battaglia), l’autore mette il lettore a contatto con leader e soldati di fanteria: una donna che inizia una carriera nella politica studentesca in una delle storiche università indiane, un gau rakshak (gestore di mucche) che vende assicurazioni e che desidera gli venga riconosciuta l’importanza del suo ruolo.

Infine nella terza parte, “Nothing Is What It Looks Like” (Nulla È Quel Che Sembra), Poonam fornisce al lettore uno scorcio di vita dei giovani che ancora stanno lottando per emergere, alcuni dei quali ai margini del mondo dello spettacolo, altri in un labirinto di truffe e raggiri, dove l’imbroglio più grande è quello di truffare gli stessi disoccupati in cerca di lavoro.

L’ambiguità della realtà, la precarietà e l’impossibilità da parte dell’individuo di coglierne il senso è un tema che da sempre è stato spunto di riflessione filosofico-letteraria. “ ‘Seems, Madam? Nay, it is. I know not ‘seems’ ” (Amleto, Atto 1, Scena II) afferma Amleto quando la Regina Gertrude, sua madre, gli dice che sembra sconvolto per la morte del padre. L’uso del verbo “seem” sottolinea la falsità della situazione e,

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allo stesso tempo, evidenzia la credibilità e la purezza di sentimenti di Amleto. Le apparenze sono spesso ingannevoli e l’esame del mondo giovanile indiano di Poonam ne mostra tutte le sue sfaccettature, complessità, aspirazioni e ambizioni. Nel suo viaggio per le campagne e le città di questo Paese, Poonam chiedeva alle persone cosa desiderassero dalla vita: “la libertà” era sempre la risposta..

“Metropoli come Dehli o Bombay erano solite simboleggiare la libertà: libertà di lavorare in un ufficio, di vivere in un condominio, di fare la spesa nei nuovi splendenti centri commerciali”, afferma la nostra guida, che rimane scioccata da quanto le viene detto dai giovani indiani per i quali la città è diventata un luogo di schiavitù. Nonostante l’economia del Paese sia leggermente cresciuta, infatti, i posti di lavoro sono ancora scarsi e molti giovani si ritrovano ad essere inseriti nell’“economia urbana informale” come autisti o guardie del corpo, benché in possesso di titoli che avrebbero potuto dar loro accesso a posizioni lavorative di maggiore spessore.

Il significato del termine libertà, dunque, viene reinterpretato dai giovani in modi diversi, in quanto – rispetto ai propri genitori – la vita ideale ha assunto per loro connotazioni diverse.

Un vivido spaccato di potenziale umano pieno di energia volatile e ribelle: giovani che assumono rischi, che non mollano, che non si arrendono e vogliono cambiare il mondo in cui vivono benché, allo stesso tempo, rimangano fortemente radicati nel loro senso di comunità che, se positivamente convogliato, potrebbe essere una forza per il futuro sviluppo dello stesso Paese.

Quale potrebbe essere il grimaldello che permette di aprire cancelli ancora nascosti e ben serrati?

Poonam punta sulla formazione come arma per permettere ai giovani di sviluppare il pensiero critico ed offrir loro la possibilità di partecipare attivamente al processo democratico. Un iter formativo che offra campus, risorse tecnologiche e miri a formare un’ampia fascia di studenti (da cui la necessità di migliorare le strutture educative sia da un punto di vista strettamente logistico sia di docenza per ogni ordine e grado) che focalizzino l’attenzione sulla diversità e l’inclusività, con tolleranza zero verso gli atti di bullismo.

Un percorso di alta formazione in cui, oltre all’inglese, venga dato spazio anche alle altre lingue parlate in India, già forse in fase di test d’accesso alle varie università.

Insomma, quello che Poonam descrive, sarebbe una vera e propria rivoluzione nel modus vivendi e operandi di questo popolo.

Un mondo utopico in cui la meritocrazia venga riconosciuta e in cui non vadano avanti coloro che del vile servilismo fanno il loro grido di battaglia, vantando competenze che in realtà non possiedono ed esaltando come qualità mere banalità che nel quotidiano risultano essere collocate tra le più basse routine giornaliere dando credito e importanza, con discorsi convincenti, a quel poco che fanno.

Un mondo utopico che, laddove realizzabile (non solo in India), avrebbe bisogno di quell’onestà intellettuale che consente una sana crescita culturale e sociale. Un’utopia che speriamo l’India riesca presto a tradurre in realtà.

“Il resto è silenzio” (Amleto, Atto V, Scena II). Elsa Bianchi

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Ricevo volentieri la sua apprezzata lettera, inchinandomi a chi ha tanto offerto alla Patria e congratulandomi con chi fattivamente si adopera per trasmettere alle giovani generazioni gli alti valori morali dal medesimo coltivati.

Giuseppe Richero

Il Presidente della Sezione ANC di Leeds (UK), Baron Dr.Giuseppe COMPAGNINO, nel segnalare che mensilmente invia la Newsletter “Informasaggi” a tutti i propri Soci, Amici, Enti e Personalità accademiche del luogo, comunica che al Segretario, Dr. Etienne CIANTAR il Comitato del Leeds Teaching Hospitals (Servizio Sanitario Nazionale Inglese), riunitosi in seduta speciale l'11 gennaio 2018, al fine di concedere un particolare riconoscimento nell'ambito clinico e accademico ai propri Primari Ospedalieri, ha concesso il “CLINICAL EXCELLENCE

AWARD 2017” (nella foto il Dr. CIANTAR traduce la nostra newsletter ai soci di lingua inglese). Nella circostanza sottolinea che i coniugi Mrs Susan LESLEY CLARK e Mr James THOMAS CLARK, estimatori della Carabinierita’ e della Newsletter Informasaggi, desiderano ringraziare tutta la redazione USFR per il prezioso lavoro culturale che mensilmente svolge in favore di tutti i Soci (Mr Clark ha lavorato per lunghi anni come Presentation Director TV, mentre Mrs Susan è stata un’imprenditrice di successo).

La Redazione

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