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INFORMALE ESPERIENZE EUROPEE E STATUNITENSI di Leda Sighinolfi

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INFORMALE

ESPERIENZE EUROPEE E STATUNITENSI

di Leda Sighinolfi

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IL RIFIUTO DELLA FORMA COME

ESPRESSIONE DI DISAGIO

L'arte informale è la risposta artistica che

l'Europa e gli Stati Uniti danno alla profonda

crisi morale, politica e ideologica conseguente

agli orrori messi in luce dalla seconda guerra

mondiale.

Sviluppatosi nel decennio tra gli anni

cinquanta e sessanta, l'Informale si pone in

forte polemica con tutto ciò che, in qualche

modo, può essere riconducibile ad una forma,

sia essa figurativa o anche puramente

astratta.

L'Informale, dunque, nega in modo esplicito

ogni forma e con essa la conoscenza

razionale che ne deriva.

Il concetto di "informale" racchiude in se' il

disagio intrinseco nei superstiti della seconda

guerra mondiale, formato da una perdita di

fiducia nella razionalità, nel dialogo e in ogni

forma di conoscenza, che si concretizza nel

rifiuto di qualsiasi forma logica all'interno di un

contesto artistico.

Da ciò deriva l'abitudine di dipingere seguendo

procedimenti strettamente pittorici e senza

studi o strutture preliminari, ma soprattutto il

tentativo di concretizzazione del processo

creativo.

Si tratta di una corrente artistica il cui fulcro è

rappresentato dal concetto di "azione"

Le due componenti fondamentali dell'informale

si precisano nel gesto e nella materia.

Il gesto viene fortemente enfatizzato, come già

aveva fatto il Dada, in quanto lo si ritiene unico

momento veramente creativo. Arte non è

dunque la pittura eseguita ma l'atto di

eseguirla.

La materia, infine, si trova improvvisamente in

primo piano. È nella sua scelta e in quella di

tutti i possibili accostamenti tra materie diverse

che l'artista manifesta la propria energia

creativa. Un ruvido sacco, un lucido rottame

d'acciaio, un morbido pezzo di gomma, una

fredda luce al neon, una tagliente scheggia di

vetro, altro non sono che altrettanti atti artistici

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JEAN FAUTRIER

Insieme a Jean Dubuffet fu una delle principali figure dell'arte informale.

Partecipò alla XXX Esposizione internazionale d'arte di Venezia.

Nonostante la frequentazione della RoyalAcademy e della Slade School of Art di Londra, città dove visse con la madre tra il 1908 e il 1914, egli si orienta ben presto verso forme espressive anticonvenzionali ed estreme che, muovendo da Turner, tendono a una progressiva e metodica dissoluzione della forma.

Nell'inquietante serie degli Ostaggi, realizzata tra il 1943 e il 1945, l'artista ha già messo a punto un proprio linguaggio di fortissima e tragica espressività, utilizzando il colore non più come tale, ma in quanto puro elemento materico, ora ricco e colante, ora grinzoso e rarefatto, a seconda delle aggiunte di colla, segatura, olio altre sostanze ancora.

Nell'inquietante serie degli Ostaggi,

realizzata tra il 1943 e il 1945, l'artista

ha già messo a punto un proprio

linguaggio di fortissima e tragica

espressività.

. La celebre serie prende spunto

dall'esperienza personale di Fautrier.

Egli, infatti, partecipa alla Resistenza

francese e da partigiano antinazista ha

modo di assistere alle atrocità che i

soldati tedeschi compivano sui

prigionieri (gli Ostaggi, appunto) nel

cortile di una prigione che egli poteva

osservare dal contiguo ospedale

psichiatrico dove si era rifugiato

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TÈTE D’OTAGES N°14

Testa d'ostaggio n. 14 risale al 1944 e allude, pur al di fuori di qualsiasi riconoscibilità figurativa, alla testa di un partigiano morente.

Il colore, allora, si fa materia densa, quasi melmosa, lavorata a spatola e percorsa da cretti violacei che ne interrompono violentemente la continuità.

L'effetto che ne risulta è quello di una ferita dai margini slabbrati che, sfigurando un ipotetico volto spettrale, diventa l'orrenda metafora della guerra e della follia umana, sempre capaci di annientare in un solo istante tutto il bello della vita.

Galleria d'arte moderna e contemporanea di Bergamo

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PIERRE SOULAGES

Pierre Soulages ha iniziato a dipingere molto giovane. Ad appena 30 anni è già un artista noto, essendosi fatto conoscere attraverso le sue tele, astratte e cupe, in cui il nero è dominante.

Nel 1979 crea il “nero luce” e “l’oltrenero”.

Dal 1948 gli vengono dedicate in Francia e all’estero numerose mostre.

Le sue pitture si trovano nelle collezioni di più di cento musei di tutto il mondo. In occasione del suo 90° compleanno, nell’ottobre 2009, il Centre Pompidou ha dedicato a Pierre Soulages la più grande retrospettiva mai allestita per un artista in vita di questi luoghi.

Molto giovane Pierre Soulages s’interessa all’arte romana e alla preistoria. Comincia poi a dipingere.

A 18 anni si reca a Parigi per preparare il professorato di disegno e il concorso d’ingresso all’Ecole Nationale Supérieure desBeaux-Arts. Viene ammesso ma decide di non entrarci e torna a Rodez.

Durante il soggiorno a Parigi frequenta il Museo del Louvre. Ha modo di visitare anche le mostre di Cézanne e Picasso, che saranno per lui delle rivelazioni.

Nel 1940 viene mobilitato e poi congedato nel 1941. Poiché Parigi era occupata, parte per Montpellier dove trascorre molto tempo al Museo Fabre.

Quando anche Montpellier viene occupata, Pierre Soulages entra in un periodo di clandestinità durante il quale non dipinge.

Solamente nel 1946 può di nuovo dedicarsi liberamente alla pittura. Si stabilisce allora nella periferia parigina e trova un atelier a Parigi, in rue Schoelcher.

Si fa conoscere attraverso le sue tele astratte in cui il nero è dominante.

Esse si differenziano dalla pittura semifigurativa e molto colorata dell’epoca del dopoguerra.

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PAROLE DI BUIO E DI LUCE

«Un giorno stavo dipingendo, il nero

aveva invaso tutta la superficie della

tela, informe, senza contrasti né

trasparenze.

In questo eccesso ho visto in un certo

senso la negazione del nero.

La diversa trama della tessitura

rifletteva più o meno debolmente la luce

e dal buio emanava una luminosità, una

luce pittorica, il cui singolare potere

emozionale animava il mio desiderio di

dipingere.

Il mio strumento non era più il nero, ma

questa luce segreta venuta dal nero.»

Pierre Soulages

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ACTION PAINTING

Il termine ACTION

PAINTING fu usato per la

prima volta dal critico

americano Harold

Rosenberg nella importante

rivista "Art News" del

dicembre 1952.

Fu definito il più alto

contributo americano

all’arte contemporanea

Suo scopo è l’atto stesso

del dipingere espresso

generalmente su tele di

grande superficie.

Comunica all’osservatore il

senso dinamico

dell’emozione e del gesto

che la trasmette.

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Scrive A . Gottlieb , uno dei protagonisti:

“Alcuni artisti dipingevano

con un senso di

disperazione assoluta.

Sembrava ci fosse un vuoto

enorme che dovevamo

colmare.

Occorreva ristabilire dei

valori di fronte a questo

vuoto enorme, infatti alcuni

critici hanno parlato di

un’arte sull’orlo di un

baratro”

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JACKSON POLLOCK

Artista statunitense attivo dagli anni ’40.

Inizia la sua ricerca informale influenzato dalle opere della cultura dei nativi americani.

E’ in questi anni che si stacca dall’opera da cavalletto scegliendo grandi formati di tele.

Le distenderà sul pavimento e opererà facendo gocciolare i vari colori da grossi pennelli o direttamente dai barattoli stessi. Questa tecnica prenderà il nome di DRIPPING (dall’inglese to drip= gocciolare).

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JACKSON POLLOCK

« Non dipingo sul cavalletto. Preferisco fissare le tele sul muro o sul pavimento.

Ho bisogno dell'opposizione che mi dà una superficie dura.

Sul pavimento mi trovo più a mio agio.

Mi sento più vicino al dipinto, quasi come fossi parte di lui, perché in questo modo posso camminarci attorno, lavorarci da tutti e quattro i lati ed essere letteralmente "dentro" al dipinto.

Questo modo di procedere è simile a quello dei "Sand painters" ,Indiani dell'ovest. »

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IL GESTO

« Quando sono "dentro" i miei quadri, non sono pienamente consapevole di quello che sto facendo.

Solo dopo un momento di "presa di coscienza" mi rendo conto di quello che ho realizzato.

Non ho paura di fare cambiamenti, di rovinare l'immagine e così via, perché il dipinto vive di vita propria. Io cerco di farla uscire.

È solo quando mi capita di perdere il contatto con il dipinto che il risultato è confuso e scadente.

Altrimenti c'è una pura armonia, un semplice scambio di dare ed avere e il quadro riesce bene. »

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IL MEZZO

« Continuo ad allontanarmi

dai tradizionali strumenti del

pittore come cavalletto,

tavolozza, pennelli ecc.

Preferisco bastoncini,

cazzuole, coltelli e lasciar

colare il colore oppure un

impasto fatto anche con

sabbia, frammenti di vetro o

altri materiali. »

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11 agosto 1956

Gesto automatico del

dipingere = libertà del più

profondo inconscio

Affidamento al caso, alla

casualità del gesto

«Life»,nel 1951, gli dedica

quattro pagine e ci si

domanda se è lui il più

grande artista d’America

Smetterà di fare «dripping»...

Muore , alcolizzato , in un

car-crash

Un anno prima James

Dean.

Negli anni ‘60,la prima serie

di dipinti noti di Andy

Warhol si intitoleranno «Car

Crash»...

D’ora in poi si parlerà di

«esistenzialismo totale»

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Yellow- grey - black - 1948Ocean greynnes - 1953

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Pali blu, 1953

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SPAZIALISMO

Il movimento spazialista è nato intorno al

1950, fondato da Lucio Fontana.

Il primo testo teorico alla base della nascita

dello Spazialismo è stato ideato da Fontana

nel 1946 a Buenos Aires, in Argentina: il

cosiddetto "MANIFIESTO BLANCO", dove si

iniziano a delineare le urgenze di un

superamento dell'arte come sino ad allora

concepita e ormai "stagnante", inserendo le

dimensioni del tempo e dello spazio.

I pittori spazialisti non hanno come priorità il

colorare o dipingere la tela, ma creano su di

essa delle costruzioni che mostrano agli occhi

del passante come, anche in campo

puramente pittorico, esista la tridimensionalità.

Il loro intento è dar forma alle energie

nuove che vibravano nel mondo del

dopoguerra, dove la presa di coscienza

dell'esistenza di forze naturali nascoste

come particelle, raggi, elettroni premeva

con forza incontrollabile sulla "vecchia"

superficie della tela.

Tali forze troveranno l’approdo definitivo nel

rivoluzionario gesto di Fontana, che bucando e

tagliando la superficie del quadro, fece il

passo finale di distacco dalla "vecchia" arte

verso la nuova arte spaziale.

Oltre all'iconico taglio del caposcuola Fontana

vanno ricordate le più note ricerche degli altri

artisti spazialisti:

Mario Deluigi ha inciso la tela grattandone il

colore e creando con i suoi graffi

fantasmagoriche nuvole di scintille che

prefiguravano i movimenti delle particelle nella

luce.

Roberto Crippa ha ricreato sulla tela

vertiginose spirali nelle quali si può

riconoscere la forma intima dell'energia, come

nelle orbite degli elettroni attorno all'atomo.

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LUCIO FONTANA

Fontana nacque a Rosario, in Argentina, il 19

febbraio 1899 da genitori italiani e morì nel

1968 a Comabbio, un paese in provincia di

Varese.

A Milano frequentò l'Accademia di Brera e fu

in contatto con il gruppo di artisti gravitanti

intorno alla galleria del Milione, dove, nel

1931, espose le sue prime sculture astratte.

Membro del gruppo francese Abstraction-

Création, nel 1935 aderì al movimento degli

Astrattisti Italiani firmando il manifesto della

Prima mostra collettiva di arte astratta italiana

a Torino.

Tornato in Argentina nel 1946 stilò il

MANIFIESTO BLANCO, che segnò l'inizio

delle sue esperienze "spaziali"; l'anno

seguente, a Milano, sottoscrisse il primo

manifesto del movimento spaziale

1952 i primi buchi e le tele dipinte con colore

spesso misto a frammenti di vetro (Concetto

spaziale, 1952, collezione Fontana, Milano;

Concetto spaziale, 1954, Galleria nazionale

d'arte moderna, Roma)

1958 appaiono i tagli nella tela (Attese, 1958,

collezione Fontana, Milano) che F. sperimentò

parallelamente in scultura con la serie di

Nature. Seguirono cicli di opere quali La fine di

Dio (1963) e i Teatrini (1964)

Fontana giunse alla sua poetica

meditando la lezione del barocco, in cui,

come egli scrisse le figure pare

abbandonino il piano e continuino nello

spazio.

Del movimento spazialista egli fu il

fondatore e il più noto rappresentante,

presto affermato anche sul piano

internazionale

Lo spazio cessò di essere oggetto di

rappresentazione secondo le regole

convenzionali della prospettiva. La

superficie stessa della tela,

interrompendosi in rilievi e rientranze,

entrò in rapporto diretto con lo spazio e

la luce reali.

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CONCETTO SPAZIALE

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FONTANA FOTOGRAFATO DA UGO MULAS MENTRE TAGLIA UNA TELA:

COME UNA FOTOGRAFIA PUO’ ALTERARE IL SIGNIFICATO DEL FARE

ARTISTICO

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