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1 Introduzione 31.1 Interferenza di fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.2 Interferenza di elettroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81.3 L'elettrone singolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

2 Apparato Sperimentale 122.1 Il Microscopio Elettronico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132.2 Sistema di Acquisizione Dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.2.1 FPGA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

3 Il Chip APSEL 4D 273.1 Composizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273.2 Matrice MAPS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 293.3 Funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313.4 Sensibilitá ed e�cienza dei pixel . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

4 Software 374.1 Analisi O�ine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

5 Dati Sperimentali 455.1 Test di Interferenza da Reticolo . . . . . . . . . . . . . . . . . 455.2 Test di Interferenza da Doppia Fenditura . . . . . . . . . . . . 50

Bibliogra�a 55

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Sommario

Il chip APSEL 4D è un prototipo di sensore monolitico a pixel attivi realizza-to, nell'ambito del progetto di ricerca SLIM5 dell'Istituto Nazionale di FisicaNucleare, allo scopo di migliorare la tecnologia di rilevamento delle traietto-rie delle particelle attualmente in uso. Al �ne di stabilire le possibilitá ed ilimiti di questo sensore, sono stati e�ettuati test di interferenza di elettronesingolo, avvalendosi di un microscopio elettronico utilizzato come banco otti-co. L'analisi dei dati ottenuti da questo esperimento sará utile allo sviluppodi un nuovo modello di sensore di particelle, evidenziando i principali puntirispetto cui lo studio di tale chip dovrá confrontarsi. Questo esperimentoha di per sé una grande valenza didattica nell'ambito delle esperienze suifondamenti della meccanica quantistica in quanto ci permette di osservareil singolo elettrone in interazione con sé stesso. In questo ambito di lavorotrova posto il mio ruolo, che consiste nello sviluppo di un software di analisio�ine che riproduca le strutture necessarie allo studio dei dati ottenuti dalchip, individuando e correggendo al contempo problemi presenti nel sistemaprogettato.

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Capitolo 1

Introduzione

Tra la �ne del XIX secolo e l'inizio del XX la Fisica ha allargato i propriorizzonti come mai aveva fatto prima, giungendo a conclusioni che si scon-travano in maniera violenta sia con il senso comune che con le conoscenzeacquisite nei tempi passati. Giá precedentemente gli studi di alcuni �sici(C.Huygens per primo, ma soprattutto T.Young nel 1801) rivelarono che unampio spettro di fenomeni riguardanti la luce erano spiegabili unicamenteipotizzando un comportamento ondulatorio della stessa, ed esclusero per-tanto la teoria Newtoniana di una luce corpuscolare. L'interpretazione chela �sica classica dava ai fenomeni �sici risultava essere dunque distinta indue enti fondamentali ed intrinsecamente diversi: la materia, composta daparticelle, ed il campo. Un primo segnale della necessitá di riformulare ta-le spiegazione si ebbe nel 1900 con la soluzione, ad opera di M.Planck, delproblema della radiazione termica dei corpi materiali. Classicamente infattil'energia racchiusa nei modi normali del campo magnetico emesso da un cor-po a temperatura �nita T sarebbe risultata in�nita. Planck superó questadivergenza immaginando che i modi normali del campo elettromagnetico po-tessero scambiare, con la materia, solo quantitá discrete di energia, multipledella frequenza del modo stesso secondo la relazione:

E=Nhν (1.1)

dove N è un numero intero e h un valore detto quanto d'azione.Tramite questa relazione A.Einstein de�ní quindi una particella, il fotone

(termine coniato da Lewis nel 1926), dotato di un'energia hν che rappresen-ta la minima energia trasferibile da un'onda di quella frequenza. Il fattoche l'energia ceduta dalla radiazione luminosa possa assumere solo valori chesono multipli interi dell'energia del fotone fu poi provato sperimentalmenteda Einstein nel suo lavoro del 1905 sull'e�etto fotoelettrico e la sua natu-ra corpuscolare successivamente confermata dall'e�etto Compton nel 1922,interpretato appunto come urto tra un elettrone ed un fotone.

Un'ulteriore passo avanti fu compiuto da L.De Broglie nel 1924, il quale,al �ne di dare una spiegazione alla quantizzazione dei momenti angolari degli

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elettroni nell'atomo di idrogeno (osservata da N.Bohr nel 1913), ipotizzó chealle particelle materiali dovessero essere associate una fase complessa, unalunghezza d'onda e una frequenza. Partendo dalla de�nizione di fotone datada Einstein, assegnó una lunghezza d'onda (e quindi un comportamento on-dulatorio) ad oggetti massivi e dunque classicamente di natura corpuscolare.La lunghezza d'onda De Broglie, de�nita come

λ =h

p(1.2)

dove p rappresenta l'impulso della particella, ha un'ovvia dipendenza inver-sa dalla massa della particella cui appartiene, rendendo gli e�etti ondulatorievidenti solo per corpi dalla massa estremamente ridotta. Questa visioneduale basó i presupposti per la nascita della meccanica quantistica grazieal lavoro di E.Schroedinger, il quale nel 1926 calcoló l'evoluzione temporaledella traiettoria di un elettrone basandosi sul suo comportamento ondulato-rio; tale rappresentazione, detta equazione d'onda di Schroedinger, fu ripresanello stesso anno da M.Born, che propose di interpretare il modulo quadrodella funzione di Schroedinger integrato su di un volume come la probabilitádi trovare un elettrone in quel volume.

La veri�ca sperimentale di quest'idea rivoluzionaria giunse nel 1927 adopera di C. Davisson e L. Germer, i quali indirizzarono un fascio di elettroniad alta velocitá verso un cristallo i cui piani fungevano da reticolo di dif-frazione, dando prova che la de�essione ottenuta dal fascio coincideva conquella attesa dall'utilizzo di fenomeni ondulatori.

1.1 Interferenza di fotoni

Per decenni la teoria prevalente riguardante la natura della luce fu quella cor-puscolare; essa ebbe grande successo anche grazie al prestigio che I.Newtonpossedeva in ambito scienti�co, soppiantando la precedente teoria ondulato-ria di Huygens per tutto il secolo successivo. La situazione venne capovoltaquando Young, nel 1801, dimostró che la luce poteva produrre fenomeni diinterferenza, un e�etto di natura puramente ondulatoria. Tale fenomeno av-viene quando due onde coerenti si sovrappongono nello spazio, causando unamodulazione dell'intensitá dell'onda risultante che dipende dalla di�erenzadi fase Φ tra le due. Dall'interferenza di due onde uguali (stessa ampiezza Ae stesso periodo T, ma con diversa fase) si viene a creare dunque una nuovaonda con ampiezza pari a:

A1 = 2AcosΦ

2(1.3)

La dipendenza dal coseno dello sfasamento, verrá a creare, nelle zone dove leonde sono in fase, un'onda di ampiezza nulla. D'altro canto, nelle zone dove ilcoseno ha un massimo, l'ampiezza dell'onda risultante sará pari al doppio di

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quella delle onde incidenti. Poiché l'intensitá I di un fenomeno ondulatoriodipende dal quadrato della sua ampiezza, l'onda risultante dall'interferenzamostrerá un valore di I che va da 0 a quattro volte quello delle onde incidenti:

I1 = I ′ + I ′′ + 2√I ′I ′′cosΦ (1.4)

e nel caso di I ′ = I ′′ = I0 otterremo:

I1 = 4I0cos2Φ

2(1.5)

Nelle zone dove la sovrapposizione porta ad un'intesitá massima si dirá che leonde sono in fase e che la loro interferenza è costruttiva; nei punti in cui essesi annullano a vicenda, azzerando l'intesitá della risultante, si dirá che si tro-vano in opposizione di fase e che la loro interferenza è distruttiva.(�g.(1.1))L'ostacolo principale contro cui si scontrarono i �sici del tempo fu quello

Figura 1.1: Distribuzione d'intensitá causata da un fenomeno di interferenza

della creazione di due onde perfettamente identiche e coerenti, praticamenteimpossibile data la tecnologia dell'epoca. Fu Young a trovare un'elegantesoluzione alla questione facendo interferire un'onda con sé stessa ed assicu-randosi dunque la perfetta coerenza dei fenomeni luminosi in gioco. Comesorgente d'onda fu utilizzato il sole, le cui onde, data la grande distanza conl'apparato sperimentale, potevano essere considerate approssimativamenteonde piane. Il bersaglio di tali onde era una fenditura rettangolare di lar-ghezza molto inferiore alla sua lunghezza, in modo da poter considerare lafenditura stessa come una sorgente �liforme di onde. Le dimensioni dellefenditure create per l'esperimento di Young permettono di osservare ancheun secondo e�etto ondulatorio che si pone come caso particolare di inter-ferenza: la di�razione. Essa consiste nella sovrapposizione tra onde createdall'incontro del fenomeno ondulatorio con un ostacolo; nello spazio succes-sivo all'ostacolo il fronte d'onda si propaga anche in direzioni di�erenti daquelle di incidenza secondo il Principio di Huygens-Fresnel :

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Figura 1.2: L'esperimento di Young (1801)

ogni elemento dΣ di una super�cie d'onda Σ si puó considerareformalmente come una sorgente di onde secondarie sferiche la cui ampiezzaè proporzionale all'ampiezza dell'onda primaria e all'area dΣ. Laperturbazione prodotta in un punto P si puó sempre ottenere comesovrapposizione di tutte le onde sferiche elementari che raggiungono P.

L'e�etto della di�razione è quello di modulare l'intensitá del fascio luminosoche giunge su uno schermo dopo la fenditura. L'intensitá della radiazionein un punto P posto sullo schermo ad un'angolo Θ rispetto al centro dellafenditura è data da:

I(Θ) = I0

(sinc

(πasenθ

λ

))2

(1.6)

(dove la funzione sinc(x) è de�nita come rapporto seno-argomento sinc(x) =sen(x)x ) e otterremo su schermo una �gura come quella in �g.(1.3) L'incidenza

del fenomeno è piú alta quando la larghezza della fenditura è comparabilecon la lunghezza d'onda λ. La di�razione è detta di Fraunhofer nel caso incui la sorgente e lo schermo siano a grande distanza l'uno dall'altra (appros-simazione di distanza in�nita), mentre una fenomenologia analiticamente piúcomplessa detta di�razione di Fresnel avviene quando la distanza tra i duepiani è �nita. Grazie al fenomeno di di�razione otteniamo nello spazio com-preso tra S1 ed S2 un'onda sferica che si propaga con fase costante. Se sullo

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Figura 1.3: Distribuzione d'intensitá causata da un fenomeno di di�razione

schermo S2 vengono praticate due incisioni simili a quella presente su S1,poste ad una distanza d tale che λ

d sia un angolo misurabile, otterremo chetali fenditure si comportano come due sorgenti secondarie d'onda coerenti.Mettendo in relazione l'intesitá I0 dell'onda incidente sullo schermo S2 conil valore I(Θ) trovato sullo schermo F troveremo che l'interferenza prodottadalle due fenditure di larghezza a distanti d sará modulata dalla di�razionedelle onde stesse attraverso le fenditure:

I(Θ)

I0= 4

(sinc

(πasenΘ

λ

))2

cos2(πdsenΘ

λ

)(1.7)

Tale procedimento, ideato da Young, è perfettamente comprensibile in ma-niera classica, e non sembra nascondere alcuna problematica. Se peró pro-vassimo a studiare i casi limite di tale esperienza, che risultati ne trarremmo?Immaginiamo, a titolo di esempio, di creare una sorgente tanto debole daemettere un singolo fotone per volta. Esso, giunto allo schermo S2, si tro-verebbe a poter passare indistintamente in una delle due fenditure (naturacorpuscolare), e penseremmo dunque di osservare su F tuttalpiú fenomenidi di�razione, nel caso ve ne fossero le condizioni. Ebbene, anche in ta-le condizione è stato possibile osservare l'esistenza di frange di interferenzada singolo fotone, un dato assolutamente impossibile da prevedere senzaprendere in considerazione la natura ondulatoria della luce.

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1.2 Interferenza di elettroni

La natura duale della luce aprí la strada a speculazioni sulla possibilitá diestendere la trattazione ondulatoria alle particelle massive. Il primo oggettodi interesse per tale studio fu l'elettrone, scelto per una serie di motivi:

Al tempo era la particella con massa piú piccola conosciuta; questo leconferiva una lunghezza d'onda De Broglie piuttosto elevata (rispetto adoggetti piú massivi), e permetteva dunque di utilizzarla piú e�cacemente inesperimenti di interferenza.

È una particella semplice da isolare in laboratorio, poiché sono noti nume-rosi e�etti che ne consentono il rilascio controllato da parte di vari materiali(prevalentemente metalli).

È semplice calcolarne esattamente le traiettorie, una volta conosciuti icampi elettrico e magnetico nella regione in cui avviene il moto.

I primi indizi che confermarono la natura ondulatoria degli elettroni ven-nero ottenuti studiando la distribuzione angolare di elettroni di�usi da cri-stalli di Nichel, confermati nel 1961 da un primo esperimento di interferenzadi fasci di elettroni (C.Jönsson), che diede la tanto attesa �gura di inter-ferenza, con le caratteristiche previste per un fascio luminoso di lunghezzad'onda pari alla λ di De Broglie degli elettroni utilizzati. Si rese peró neces-sario attendere il 1974 (P.G.Merli, G.F.Missiroli, G.Pozzi) prima di poterosservare il fenomeno di interferenza da singolo elettrone, prova de�nitivadella natura duale di tale particella, de�nito da R.Feynman:

Un fenomeno impossibile da spiegare in maniera classica[...]. Esso contienel'unico mistero della Meccanica Quantistica.

1.3 L'elettrone singolo

Nel 1974 Merli, Pozzi e Missiroli (Universitá di Bologna) ebbero l'idea di uti-lizzare un microscopio elettronico come banco ottico per l'esperienza appenadescritta; lo strumento fungeva dunque sia da emettitore di elettroni (uti-lizzati normalmente per la microscopia), sia da interferometro, sfruttandoun meccanismo noto come Biprisma elettronico. Esso è formato da un �loconduttore del diametro nell'ordine dei decimi di micron (0,4 µm nell'espe-rimento di Pozzi) posto a potenziale positivo e posizionato tra due placchea terra. L'idea è quella di realizzare l'equivalente di un Biprisma di Fresnel(�g.1.4) dotandosi di un interferometro a divisione del fronte d'onda, ovverotramite la suddivisione del fronte d'onda incidente per produrre sorgenti dionde sferiche secondarie. Gli elettroni emessi dalla sorgente tendono a di-rigersi verso il �lamento e�ettuando uno spostamento laterale di un angolo

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Figura 1.4: Illustrazione del funzionamento di un Biprisma di Fresnel, checrea due sorgenti di luce virtuali che interferiscono tra loro

α molto piccolo che possiamo approssimativamente considerare indipenden-te dalla distanza dal �lo (approssimazione dovuta alla piccola distanza tra�lo e fascio). La focalizzazione del fascio avviene tramite l'utilizzo di lentielettroniche (il cui funzionamento verrá chiarito nel secondo capitolo), che sibasano sui parallelismi tra l'ottica geometrica e il comportamento in campielettrici delle particelle cariche notati nel 1828 da Hamilton ed ancora pri-ma da Newton (similitudine sulla quale egli tentó di basare la sua teoriacorpuscolare della luce). Giunto sul piano orizzontale del �lo posto a di-stanza a dalla sorgente, l'elettrone avrá dunque subíto uno spostamento dia α (approssimazione di piccolo angolo) e potrá essere trattato come unasorgente a sé stante di distanza a α da quella originaria. Vi saranno dunquedue sorgenti virtuali di elettroni, poste a distanza 2a α(per simmetria), cheandranno ad interagire con il �lo, il quale fungerá da separatore delle duefenditure. Nella regione W(vedi �g.(1.5)) del piano orizzontale PO, postoad una distanza b dal �lamento conduttore, si noteranno dunque le frange diinterferenza degli elettroni, la cui periodicitá X è esattamente quella attesaper un fenomeno ondulatorio di lunghezza d'onda pari alla λ di De Brogliedegli elettroni utilizzati.

x = λ(a+ b)

d(1.8)

Nell'esperimento con singoli elettroni si rivelarono elettroni laddove l'intensi-tá di interferenza presentava i suoi massimi, prova che gli elettroni viaggianoe si comportano come onde, ma interagiscono con gli strumenti come oggettimassivi. Possiamo dunque a�ermare con certezza che gli e�etti ondulatoriosservati negli esperimenti di interferenza di fasci di elettroni non sono do-vuti all'interazione tra gli elettroni stessi, in quanto nell'esperimento appenamostrato le particelle hanno una velocitá frazionaria di quella della luce edunque statisticamente la loro distanza media è compresa tra i 102 e i 103 m.

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Figura 1.5: L'esperimento di Merli, Pozzi e Missiroli (1974) - Funzionamentodel Biprisma Elettronico

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Questo signi�ca che nella fenditura passa statisticamente un elettrone allavolta e l'unica interazione che esso puó compiere è quella con la fenditurastessa, ove si comporta esattamente come un'onda.

Figura 1.6: L'esperimento di Merli, Pozzi e Missiroli (1974) - Figu-re di interferenza ottenute su lastra fotogra�ca dopo diversi intervalli diesposizione

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Capitolo 2

Apparato Sperimentale

In questo capitolo si elencheranno e descriveranno tutti gli elementi che com-pongono l'apparato utilizzato per compiere l'esperimento. Si descriverannoinoltre le relazioni che gli elementi hanno tra loro e la loro utilitá ai �ni dellabuona riuscita dell'esperienza. L'esperimento consta di quattro componentihardware fondamentali, a loro volta suddivise in piú elementi che cooperanotra loro:

La Fenditura: composta da una membrana di nitruro di silicio (Si3N4)ricoperta da una lamina d'oro in cui sono state scavate due fenditure ret-tilinee e parallele di dimensioni nanometriche tramite un fascio di ioni adalta energia. La presenza delle fenditure al posto del biprisma elettronicoè una delle di�erenze principali con l'esperimento di Merli, Pozzi e Missi-roli spiegato nel capitolo 1 e porta alcuni vantaggi che saranno descritti inseguito.

Il Microscopio elettronico: un TEM (Transmission Electron Micro-scope) modello Philips EM400T, situato nei laboratori di Bologna; emettegli elettroni per e�etto termoionico accelerandoli sino ad un'energia di 40-60keV, con la possibilitá di arrivare �no a 120 keV di energia. La decisione dilimitare il potenziale a valori molto inferiori a quelli che il microscopio puóraggiungere è stata presa per evitare che la nube di interazione di elettroniestremamente eccitati vada ad accendere piú di un pixel del sensore, facendorivelare dunque un'inesistente coppia di elettroni.

Il Chip APSEL 4D: un chip monolitico a 4096 pixel attivi, il cui fun-zionamento speci�co verrá discusso nel capitolo successivo. È alloggiato suun supporto di movimentazione bidimensionale micrometrica che consentepiccoli spostamenti sugli assi x e y in modo da ottenere una �gura perfet-tamente centrata al di sotto del �usso di elettroni e dunque una migliore�gura di interferenza. Il dato esce dal chip passando per connettori a vuo-

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to attraverso una �angia, che separa il vuoto spinto del microscopio conl'esterno.

Il Sistema di Acquisizione Dati: è composto da una Matrix Boardsu cui è alloggiata la scheda Opal Kelly XEM 3050. Essa contiene le li-brerie necessarie per interfacciare la Field Programmable Gate Array (Xili-nx Spartan-3 programmata in linguaggio VHDL) con il PC, gestendo talescambio di dati attraverso un connettore USB 2.0.

2.1 Il Microscopio Elettronico

Il banco di lavoro dell'esperimento d'interferenza è, come giá anticipato, unmicroscopio a trasmissione di elettroni (�g.(2.1)), idea mutuata dall'espe-rienza del 1974 che si propone di utilizzare lo strumento come ambiente distudio del fenomeno. Esso funge infatti non solo da rilevatore dell'interferen-za elettronica (come atteso dalla sua natura di microscopio), ma è utilizzatoanche come sorgente e fenditura, andando dunque ad incorporare tutti glielementi necessari all'applicazione che ne richiediamo. Si noti che diversa-mente dall'esperimento di Merli, Pozzi e Missiroli non viene utilizzato unbiprisma elettronico ma una fenditura reale, la cui costruzione è stata resapossibile in periodi recenti1.

Schema a blocchi

È possibile illustrare con uno schema a blocchi (�g.(2.2)) il funzionamentogenerale di un microscopio elettronico e�ettuando parallelismi con le partifondamentali di un microscopio ottico, sulle quali leggi (ottica geometrica) èstato pensato lo strumento ad elettroni.

1)Alimentatore della sorgente: alimenta il �lamento che riscaldandosifunge da sorgente di elettroni per emissione termoionica.

2)Alimentatore di alta tensione: crea una di�erenza di potenziale trala sorgente e il diaframma, che funge da anodo, andando dunque adaccelerare gli elettroni.

3)Filamento: un �lamento metallico con un'estremitá a punta compostadi tungsteno monocristallino. È la componente principale del Can-none Elettronico, ovvero del blocco che emette elettroni per e�ettotermoionico.

4)Elettrodo di controllo: consente la regolazione, da zero ad un valoremassimo, dell'intensitá del fascio che giunge sul campione.

1Il motivo per cui l'esperimento del 1974 utilizzava un biprisma elettronico derivavadall'impossibilitá di costruire un sistema di fenditure con dimensioni nanometriche

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Figura 2.1: Il microscopio elettronico a trasmissione Philips EM 400T

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Figura 2.2: Schema a blocchi di un microscopio elettronico

5)Diaframma: oltre a fungere da anodo dell'alimentatore, collima il fascioimpedendo il passaggio di gran parte degli elettroni, assicurandoci ilregime di bassa luminositá e dunque di elettrone singolo.

6)Campione: normalmente un oggetto da studiare, è nel nostro caso unastruttura d'oro e carbonio che funge da fenditura al �ne di generare ilfenomeno di interferenza.

8)Lente Obiettivo e (7)Alimentatore Lente Obiettivo: sistema di len-ti magnetiche che ingrandiscono l'immagine del campione posto nelmicroscopio.

9)Tubazione impianto da vuoto: composto da un sistema di pompe checrea condizione di vuoto spinto all'interno della colonna del microsco-pio, in modo che il libero cammino medio degli elettroni raggiungavalori superiori alla distanza fra il �lamento e il sensore e scongiuraredunque la possibilitá che gli elettroni interagiscano con il gas residuonella colonna.

10)Lente Proiettivo e (11)Alimentatore Lente Proiettivo: sistema dilenti magnetiche che ingrandiscono a loro volta l'immagine fornita dal-

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la lente obiettivo. L'ingrandimento totale del campione è quindi datadal prodotto degli ingrandimenti delle due lenti.

12)Sensore: il sensore che capta l'arrivo degli elettroni, nel nostro casoil chip APSEL 4D. In passato a tal scopo venivano utilizzate lastrefotogra�che che, colpite da elettroni, si imprimevano creando �gure diinterferenza.

Emissione di elettroni

La sorgente consiste in un �lamento metallico che sfrutta il meccanismodell'emissione termoionica per fornire al sistema un fascio di elettroni diintensitá stabilita. Il materiale utilizzato per i catodi del �lamento è un�lo di tungsteno monocristallino che ha una notevole rigiditá meccanica chene impedisce la deformazione e il suo punto di fusione (∼ 3400◦C) è il piúalto di tutti gli elementi puri, rendendolo estremamente resistente alle altetemperature raggiunte nella depurazione del materiale tramite evaporazione,che avviene a 2500 K. Dato che la presenza di eventuali contaminanti puópesantemente in�uenzare il lavoro di estrazione della super�cie del materiale(andando, di fatto, ad assorbire gli elettroni), è necessario che il �lamentooperi in condizioni di vuoto spinto dell'ordine di 10−10 Torr.

La Doppia Fenditura

La realizzazione della doppia fenditura rappresenta uno tra i principali pro-blemi nella disposizione di questo esperimento. La fondamentale di�erenzache intercorre tra la realizzazione dell'esperimento utilizzando la doppia fen-ditura al posto del biprisma elettronico consiste nel fatto che nel primo casole due fenditure sono reali, e consentono di porre l'esperimento in condizio-ne di interferenza di Fraunhofer, ben piú semplice da valutare di quella diFresnel ottenuta con il biprisma. La di�erenza tra i due regimi sta nel fattoche la �gura di di�razione di Fresnel ottenuta si forma a distanza �nita.

Tentativi in questa direzione furono fatti negli anni 50 da Möllenstedt eJönsson 2 e portarono alla creazione di fenditure di larghezza 0.6 µm spaziatetra loro 2µm.3 L'idea alla base del metodo dei due sperimentatori fu quelladi incidere elettroliticamente il campione con fasci di ioni collimati la cuiintensitá �regolata da un elettrodo soppressore. Utilizzando alcune correzionied accortezze è possibile oggi utilizzare lo stesso metodo per creare fendituredi dimensioni molto inferiori sfruttando prevalentemente la sostituzione delbanco ottico utilizzato da Möllenstedt e Jönsson con un moderno microscopioelettronico. A tal scopo viene utilizzato un miscroscopio molto simile ad unmodello a scansione elettronica (SEM ) che funge da scalpello sulla super�cie

2G. Möllenstedt e C.Jönsson : Zeits. Phys., 155, 472 (1956)3Proprio a Jönsson si deve il primo esperimento di interferenza di fasci di elettroni, nel

1961

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del bersaglio. Lo strumento (�g.(2.3)), che prende il nome di FIB (FocusedIon Beam) estrae ioni per e�etto di campo da una sorgente a metallo liquido(Liquid Metal Ion Source). Tale sorgente consiste in una punta di tungsteno

Figura 2.3: Schema a blocchi del Focused Ion Beam

monocristallino con raggio di curvatura di 10 µm, parzialmente immersain un serbatoio di Gallio liquido, a cui viene applicata una di�erenza dipotenziale di 5-30kV rispetto ad un elettrodo di estrazione. La necessitádi ottenere fasci molto intensi rende peró necessario l'utilizzo dell'e�etto diemissione di campo (FEG) piuttosto che di emissione termoionica.

L'emissione di campo (detta anche emissione a freddo) non varia in basealla temperatura dell'emettitore e la corrente di emissione è dipendente dadue soli parametri: il campo elettrico applicato al �lamento e il lavoro diestrazione del materiale utilizzato; si tratta infatti di un meccanismo quanti-stico per cui l'applicazione di campi elettrici molto forti (ordine di 1010V/m)abbassa la barriera di potenziale entro la quale é con�nato l'elettrone nel-la struttura del materiale del �lamento, aumentando di fatto la probabilitádi trovare l'elettrone al di fuori di essa. La realizzazione di campi elettriciestremamente intensi avviene tramite l'utilizzo dell'e�etto di punta, ovvero

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nella formazione, in conduttori carichi elettricamente, di un campo elettri-co di maggior entitá nelle zone del conduttore il cui raggio di curvatura èinferiore. È semplice preparare le punte richieste assottigliando il campionedi tungsteno elettroliticamente, immergendolo in una soluzione di NaOH emettendolo a contatto con il menisco del liquido. Il �lamento conduttore

Figura 2.4: Immagine della punta in tungsteno monocristallino del �lamentodi emissione

viene quindi sagomato a forma di punta (�g.(2.4)) in maniera tale che, conl'applicazione di un potenziale relativamente basso (ordine di poche migliaiadi Volt), si generi un campo elettrico dato dalla relazione:

E =V

kR(2.1)

dove R è il raggio di curvatura della punta e k una costante geometrica il cuivalore varia tra 1 e 5. È dunque su�ciente una punta con un raggio dell'ordi-ne di 10−8m per ottenere il campo desiderato con potenziali riproducibili inlaboratorio. Il liquido metallico si dispone, per l'e�etto combinato di tensionesuper�ciale e potenziale applicato, a forma di cono (Cono di Taylor-Gilbert,�g.(2.5)) con raggio di curvatura �nale dell'ordine di 10nm che si estendesulla punta del �lamento di tungsteno. L'utilizzo del Gallio come sorgen-te liquida è dovuta ad una serie di caratteristiche dell'elemento, quali l'altatensione super�ciale e bassi valori di pressione di vapore e temperatura difusione (29.76◦C). L'elevato campo magnetico generato per e�etto punta in-duce l'evaporazione degli ioni, per il 99% ioni Ga+, dalla sorgente metallica, iquali vengono poi accelerati dalla tensione di accelerazione verso il campioneda incidere. Il fascio ionico risultante, la cui intensitá è regolata tramite unelettrodo di soppressione, viene collimato dall'apertura in �g.(2.3) e focaliz-zato tramite lenti elettrostatiche sul campione, che ne assicurano dimensionilaterali (proporzionali alla corrente che puó variare da 1pA a ∼10nA) chevanno da pochi nanometri a qualche centinaio di nanometri. Per avere la

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Figura 2.5: Il cono di Taylor si estende da una punta metallica

Figura 2.6: Schematizzazione del procedimento di erosione del campione permezzo di un Focused Ion Beam

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certezza che l'area da incidere sia uniformemente colpita dal fascio si utiliz-zano bobine di de�essione elettrostastica ad alta velocitá di scansione checontrollano il tempo di permanenza del �usso ionico per corrente �ssata. Gliioni incidenti erodono la super�cie del campione (�g.(2.6)), andando cosí acreare le fenditure richieste e liberando elettroni secondari che vengono rile-vati da un SEM (�g.(2.7)). Grazie a tali elettroni il microscopio è dunque

Figura 2.7: Gli elettroni emessi dal campione dopo essere stato colpito dalFIB vengono rilevati dal SEM e da un sensore secondario, il SED (SecondaryElectron Detector)

in grado di ricostruire l'immagine delle fenditure, come è possibile vedere in�g.(2.8). Nel nostro esperimento le fenditure sono composte da una mem-brana di nitruro di silicio (Si3N4) spessa 500 nm ricoperta da una laminad'oro, sostenuta da un campione di silicio monocristallino di diametro 3mme spessore 200µm. Tale campione è forato per attacco chimico di KOH inuna �nestra centrale di 100µm x 100 µm e il suo spessore è stato scelto perminimizzare la trasparenza di elettroni da 200keV al di fuori delle fenditure.Le fenditure risultanti sono lunghe 1550nm, larghe 95nm e distanti 440nmtra loro.

Ottica elettrostatica

Come giá introdotto nei paragra� precedenti, è possibile applicare le leggidell'ottica geometrica, che regolano la proiezione dell'immagine di un ogget-to per mezzo di fotoni, anche nel caso elettronico, dato il comportamentoestremamente simile che queste due particelle paiono sperimentalmente di-mostrare. Se pensassimo di far passare un elettrone attraverso una barriera dipotenziale da una zona di potenziale V' ad una di potenziale V�> V'(�g.(2.9))

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Figura 2.8: Immagine della doppia fenditura ricavata con un SEM

Figura 2.9: Rifrazione di un elettrone nel passaggio tra una zona a potenzialeV' ad una con potenziale V� con V�>V'

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avremmo una brusco aumento della componente normale (rispetto alla su-per�cie di discontinuitá di potenziale) della velocitá dell'elettrone vy pere�etto del cambio di tensione, mentre la componente tangenziale vx rimarráinalterata. Tramite semplici argomenti di trigonometria possiamo dimostra-re dunque che l'angolo di incidenza α' e quello di rifrazione α� sono datida:

sinα′ =v′xv′

(2.2)

sinα′′ =v′′xv′′

(2.3)

ed essendo v′x = v′′x otteniamo:

v′sinα′ = v′′sinα′′ (2.4)

Utilizzando il principio di conservazione dell'energia nel caso non relativisti-co:

eV =mv2

2(2.5)

l'equazione precedente diviene:√V ′sinα′ =

√V ′′sinα′′ (2.6)

in perfetta analogia con la legge di Snell della rifrazione della luce, sostituen-do all'indice di rifrazione n un termine di potenziale. Possiamo estenderel'analogia con il caso ottico al passaggio di un fascio di elettroni attraver-so un numero �nito di super�ci equipotenziali, applicando semplicemente lalegge di rifrazione ogni volta che si incontra un gradino di potenziale. Nelcaso si abbia un potenziale che varia in maniera continua è possibile appros-simare la sua funzione con una serie di gradini �niti che dividono super�ciequipotenziali. Tramite questi argomenti è possibile creare una lente elet-trostatica, ovvero un dispositivo che sfrutta la legge di rifrazione appenaricavata per ottenere la focalizzazione degli elettroni emessi da un punto A(oggetto) in un punto B (immagine) scelto. In �gura (2.10) è possibile osser-vare un esempio di lente elettrostatica formata da due tubi coassiali posti apotenziali di�erenti. La forma del sistema fa sí che vicino all'asse di simme-tria dei due cilindri il campo elettrostatico acquisisca una simmetria sferica.In tale campo gli elettroni vengono de�essi esattamente come accadrebbeed un raggio luminoso durante l'attraversamento di una lente positiva se-guita da una negativa, che risultano essere gli equivalenti ottici della lenteelettrostatica mostrata in �gura. La costruzione geometrica dei due fasci èottenuta calcolando gli angoli di rifrazione ad ogni passaggio tra super�ciequipotenziali.

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Figura 2.10: Schema di funzionamento di una lente elettrostatica ottenutocomparandola con le lenti ottiche equivalenti (sopra). Le linee tratteggiatedelimitano il fascio di elettroni emesso dalla sorgente in A

Ottica magnetica

La focalizzazione di fasci di elettroni puó essere e�ettuata anche tramite l'uti-lizzo di campi magnetici a simmetria assiale tramite un dispositivo chiamatoLente Magnetica (�g.(2.11)). Date la complessitá e la vastezza di questoargomento, in questo paragrafo viene trattato solo un esempio dell'applica-zione di campi magnetici �nalizzati alla microscopia elettronica. Una lentemagnetica è composta da un avvolgimento di bobine percorse da una corren-te continua e stabilizzata che producono in un traferro (�g.(2.11)) un intensocampo magnetico costante nel tempo a simmetria assiale. Il moto solenoida-le tipico degli elettroni sottoposti a campi magnetici provoca una rotazionedell'immagine ottenuta attorno all'asse di simmetria della lente, senza peródistorcere in alcun modo la �gura prodotta.

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Figura 2.11: Schema di funzionamento di una lente magnetica composta da:1)avvolgimento della bobina, 2)ricoprimento di materiale ferromagnetico,3)traferro, 4)espansioni polari

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2.2 Sistema di Acquisizione Dati

Matrix Board

La Matrix Board è la scheda su cui viene montata la board che alloggia laFPGA, la quale gestisce la comunicazione tra chip e PC. È alimentata conun voltaggio di 5V, ed acquisisce dati direttamente dal Barrel-Final del chipAPSEL tramite un connettore a vuoto. Funge inoltre da partitore di tensioneper permettere il collegamento dell'FPGA, che lavora a 3.3 V di tensione,con il sensore, che lavora a 1.3 V, migliorando il segnale proveniente dal chip.

2.2.1 FPGA

La FPGA è il componente che gestisce sia la presa dati del chip, sia lamodalitá d'utilizzo del chip stesso. I dati arrivano alla scheda tramite laMatrix Board con una logica di tipo FIFO dal Barrel-Final. La soglia ditensione necessaria perché il chip APSEL 4D rilevi l'evento elettronico puóessere decisa dall'utente andando ad agire sulla FPGA che comunica il datoDAC (Digital-Analog Converter) di comparazione al chip su cui è montatoil sensore. I dati di input ed output dell'FPGA passano attraverso la schedaXEM 3050 che la supporta; essa dispone di due connettori di espansione adalta densitá con 80 pin ciascuno che lavorano in maniera diversa in base altipo di dato che devono trasmettere:

Fast: i dati in ingresso sono segnali di�erenziali, e si avvalgono dunquedi 2 pin ciascuno allo scopo di eliminare il rumore; il dato è quindi contenutonella di�erenza tra i segnali dei due pin, piuttosto che in un solo segnale.

Slow: i dati in uscita sono invece segnali non di�erenziali, e si avvalgonodi un solo pin ognuno per l'output.

I dati di Output, in particolare, possono appartenere a tre categorie,dipendenti dalla loro funzione:

Dati Logici: inviano segnali di Clock, Reset o Enable, e sono utilizzatiper gestire il sistema di acquisizione e il sensore stesso. Sono segnali di tiposlow gestiti dai connettori dell'FPGA.

Vettori: sono dati a 32 bit che vengono inviati al PC tramite la schedaOpal Kelly XEM 3050, passando dunque attraverso una porta USB; L'FPGAinvia il segnale in due vettori da 16 bit che vengono mandati in output tramiteuna logica LIFO(Last-In-First-Out), invertendo di fatto l'ordine delle dueparti.

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Il dato è scomponibile in due diverse maniere, in base alla tipologia disegnale che esso rappresenta: l'identi�cazione inizia con la lettura dei primi2 bit piú signi�cativi(msb) (chiamati Header) del dato, che riconoscono ildato come appartenente ad una delle tre categorie:

11: il dato è una rappresentazione a 30 bit del Time Counter, un clock a48 MHz proprio della scheda XEM che fornisce un dato temporaleassoluto.

10: il dato è una rappresentazione a 30 bit del BC Counter, ed è utile peridenti�care una posizione temporale assoluta dell'HIT non riconducibi-le ai soli 8 bit che ne compongono la coordinata temporale. Indica inol-tre il numero di iterazioni del Time Counter necessarie ad aumentaredi 1 il BC counter.

01: il dato identi�ca una HIT; in quest caso hanno un signi�cato solo gli ulti-mi 20 bit meno signi�cativi (lsb), il cui compito è quello di trasmetterele coordinate spazio-temporali della HIT.

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Capitolo 3

Il Chip APSEL 4D

In questo capitolo si tratteranno speci�catamente la composizione, le pro-prietá e il funzionamento del chip APSEL 4D, l'oggetto di studio di que-sta relazione. Si daranno inoltre i risultati di alcuni test atti a veri�carel'a�dabilitá del sensore proposto.

3.1 Composizione

APSEL 4D è un sensore a pixel attivi con tecnologia ST Microelectronicstriple n-well CMOS a 130 nm. Ha inoltre la caratteristica di essere un chipmonolitico, ovvero di includere sia una matrice di sensori che una parte dielettronica di lettura, detta Read-Out. Il Chip è formato da una matricedi 4096 MAPS (Monolithic Active Pixel Sensor) e dal circuito di Sparsi�edRead-Out, ed ha un'area sensibile di 10mm2. I 4096 pixel sono divisi suuna matrice rettangolare di 128 x 32 pixel quadrati di lato 50 µm, di cui il90% dell'area è sensibile, mentre il resto è elettronica di lettura. È possi-bile suddividere la struttura del chip APSEL 4D in blocchi logici, al �ne dicomprenderne il funzionamento (�g.(3.2)).

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Figura 3.1: Distribuzione dei pixel nel chip APSEL 4D

Figura 3.2: Suddivisione di APSEL in blocchi logici

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3.2 Matrice MAPS

Una particella che attraversa il sensore rilascia carica di ionizzazione, laquale, per di�usione, ha una possibilitá di cadere nella zona depleta del chipe dunque di essere rilevata. Considerando la giunzione del sensore come uncondensatore a facce piane parallele, è possibile calcolare il guadagno nelpre-ampli�catore:

V =Q

C(3.1)

dove ovviamente:

C =ε0 ∗ Sd

(3.2)

da cui si apprezza come l'ampiezza dell'area di giunzione (S ) abbia e�ettodi aumentare la capacitá della stessa e dunque di diminuire la tensione suessa. Ció porta ad un grande guadagno sul pre-ampli�catore in termini dipotenziale, e consente una miglior selezione sui segnali da esso uscenti. Perfacilitarne la lettura, i pixel sono raggruppati in quadrati da 4 x 4 chiamatiMacropixel, portando dunque la con�gurazione del chip a 32 Macrocolonne(MC 0-31) x 8 Macrorighe (MR 0-7), disposte come in �gura (3.1):

Custom Matrix/Dummy Matrix: la prima è la struttura dei 4096 MAPS,vista dal Read-Out come una matrice di latch. La Dummy Matrix èinvece una matrice di 4096 pixel �ttizi(localizzati nel Read-Out peri-ferico), utilizzata per il controllo del Read-Out in mancanza di stimoli�sici. Vengono utilizzati a tal scopo registri che emulano la matrice�sica utilizzando un bit per simulare il risultato di un latch.

Slow-Control Unit: viene utilizzata in fase di inizializzazione del circuitoed è responsabile della trasmissione e ricezione di determinati parame-tri, tra cui la selezione tra Custom Matrix e Dummy Matrix e l'utilizzodelle Maschere.

Maschere: quando, durante il setup del sistema, si riscontra un malfunzio-namento di uno o piú pixel, è possibile ricorrere a registri prede�nitiche disabilitano una riga o un macropixel, evitando dunque che la parteina�dabile del sistema vada a contaminare la bontá dei dati ottenuti.

Latch-Enable: gestisce lo stato dei macropixel; il suo utilizzo verrá chiaritoin seguito.

Time-Stamp Module: è un contatore, viene utilizzato per aggiungere in-formazioni temporali (chiamate Time-Stamp, TS) al dato puramentespaziale (in termini di coordinate sul chip) ottenuto dalle collisioni dielettroni sul sensore. Il contatore si incrementa con un clock di tem-porizzazione fornito esternamente e denominato BC Clock, di normapiú lento del clock di sistema a cui lavora tutto il resto della logicasequenziale.

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MC-Address Decoder: gestisce la scansione colonna per colonna per lalettura ed il reset dei MacroPixel colpiti. La scansione puó essereinterrotta temporaneamente se i Barrel si riempiono.

Sparsi�er: queste fondamentali unitá raggruppano i dati spaziali ottenutidalla matrice e dall'MC-Address Decoder con quelli temporali ottenutidal TS-Module, fornendo in uscita un dato a 20 bit che riunisce tutte levariabili necessarie all'analisi della hit rivelata dal sensore. Fa in modoche gli zeri (le non-HIT) sulla matrice vengano soppressi, cioe' noncodi�cati (meccanismo di Zero-Suppression), facendo passare al Barrelcorrispondente solo i dati che prensentano una HIT ed alleggerendodunque il carico di lavoro sul sistema.

Barrel: ricevono in input dati dagli Sparsi�er, mettendoli in coda verso l'u-scita utilizzando un sistema FIFO (First In-First Out). Nel caso si so-vraccarico di dati, inviano un segnale all'MC Decoder, che interrompela lettura e dá tempo ai Barrel di smaltire la coda creatasi.

Sparsi�er-OUT: riceve in input i dati dei quattro Barrel, rilasciando inuscita un unico stream di dati che li raggruppa.

Barrel-Final: l'ultimo blocco logico, che riceve lo stream dello Sparsi�er-OUT e lo mette in coda verso l'output utilizzando una logica FIFO.

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3.3 Funzionamento

APSEL 4D ha due modalitá di funzionamento:

-Custom-Mode: il Read-out è collegato alla matrice di MAPS reale.

Figura 3.3: Pixel resettato (Prima della HIT)

Quando un pixel viene colpito da un elettrone, esso deposita una caricadi ionizzazione sul sensore, che va dunque soprasoglia, rilevando un HIT,corrispondente allo stato logico 1 (�g.(3.4)). La lettura di tale evento avviene

Figura 3.4: Pixel colpito da un elettrone

ciclicamente, con un periodo dato da un clock esterno che invia un segnalechiamato Bunch-Crossing (d'ora in poi BC); ogni volta che si ha il fronte disalita di BC, i macropixel che sono stati colpiti da almeno una HIT congelanoil proprio stato, impedendo l'accensione di altri pixel (�g.(3.5)). A questopunto il Read-out legge, colonna per colonna, lo stato dei pixel presentinella macrocolonna corrispondente al MP, attribuendo ad ogni pixel accesole coordinate x e y che lo individuano sulla matrice. Finita la lettura ilRead-out invia un segnale di reset che ripristina i latch dei pixel colpiti nellamacrocolonna, per poi spostarsi alla MC colpita successiva (�g.(3.6)). Aldato in uscita viene aggiunta una coordinata temporale che ne indica l'istante

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Figura 3.5: Pixel congelato a seguito dell'avvenuta HIT

Figura 3.6: Pixel ripristinato dopo il Read-Out

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in cui è avvenuta la lettura: il Time-Stamp Module, infatti, aggiunge al datoil valore corrente a 8 bit del Time Stamp Module, e lo manda in uscita aglisparsi�er che ne traggono un dato a 20 bit suddiviso nei seguenti moduli:

<Pixel-Row><Pixel-Column-within-MP><Macro-Column-Address><Time-Stamp>

<Pixel-Row> è composto da 5 bit, ed indica a che la riga del pixel letto.Le righe sono numerate da 0 a 31 a partire dal basso.

<Pixel-Column-within-MP> è composto da 2 bit ed identi�ca a qualedelle 4 colonne presenti nel macropixel appartiene la HIT. Le colonneinterne al macropixel sono numerate da 0 a 3 a partire da destra.

<Macro-Column-Address> è composto da 5 bit ed identi�ca la macro-colonna. Le macro-colonne sono numerate da 0 a 31 a partire dadestra.

<Time-Stamp> è composto da 8 bit. Il suo valore va da 0 a 255 ed è datodagli 8 bit meno signi�cativi del BC counter.

-Digital-Mode: La matrice impiegata è quella Dummy, ed è composta da4096 Dummy Pixel (bits di registri, non latch).

È necessario programmare completamente lo stato iniziale del sistema, inquesto modo è possibile caricare un pattern di HIT noto sulla matrice digita-le, per poi veri�care che i dati in uscita dal processo di lettura corrispondanoa quelli iniziali.

Il tempo di lettura della matrice, sia in Custom, sia in Digital Mode, èin�uenzato dai seguenti parametri:

- la scansione procede in colonne; vengono lette solo quelle in cui è presenteun dato da leggere e restituire in uscita, saltando le colonne che nonhanno percepito HIT.

- la lettura avviene in parallelo; vengono raccolti dati contemporaneamenteda tutte e 32 le righe per ogni colonna letta.

- nello Sparsi�er si raccolgono tutti i dati usciti dalla matrice, ma solo quelliche presentano HIT(tra le 32 righe lette per colonna) vengono restituitiin uscita.

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3.4 Sensibilitá ed e�cienza dei pixel

I pixel rivelano il passaggio di particelle cariche con una risoluzione spaziale(sia su x che su y) di ∼ 15 µm (Dati ottenuti da una caratterizzazione alTest Beam del CERN con Protoni a 12GeV e Π + a 120GeV ).

La risoluzione temporale, data dal BC clock esterno, è nominalmente>0.4 µs, con una frequenza di clock di 20-50 MHz. Tuttavia l'esperienzadi interferenza ad elettrone singolo, come descritto nel capitolo 1.3, è statacondotta con una risoluzione temporale di 165 µs (frequenza di clock BCdi 6kHz ), comunque su�ciente per misurare la distribuzione dei tempi diarrivo degli elettroni. Negli esperimenti del 2012 si intende giungere ad unafrequenza di clock di 1MHz e dunque ad una risoluzione temporale di ∼1µs.

L'e�cienza, misurata come:

Eff =Numero di HIT rilevate dal sensore

Numero di HIT arrivate sul sensore(3.3)

si aggira su valori superiori al 90%, anche se si tratta di un parametroin�uenzato da piú condizioni:

- le HIT potrebbero non essere rivelate nel caso la carica di ionizzazionedepositata sul MAPS si disperda e non riesca ad ad oltrepassare lasoglia del pixel. Per esempio la carica potrebbe venire depositata nel10% di area del pixel che è destinata alla logica e non al sensore, e/odi�ondersi su piu' pixel.

- una maschera impedisce la lettura del pixel.

- gli elettroni potrebbero colpire un pixel quando esso si trova soprasoglia,non cambiando dunque lo stato logico del sensore (che si trova giá a1). Questo e�etto, che è proprio di un qualunque sensore, prende ilnome di pile-up.

- gli elettroni potrebbero colpire i pixel di un MP congelato in precedenza. Inquesta situazione, anche qualora non fossero giá scattati, risulterebberocomunque insensibili al passaggio di una particella.

Nel regime di singolo elettrone utilizzato in questo esperimento, peró, leultime due condizioni sono molto improbabili, e possiamo dunque ricondurrel'ine�cienza del pixel con il primo e�etto.

Vantaggi e Svantaggi di utilizzo

APSEL 4D non è un sensore de�nitivo, ma solo uno dei prototipi di unsensore che non ha ancora visto la luce; si puó citare ad esempio il fatto cheil chip ha a disposizione solo 4096 pixel, nominalmente di molto inferiori al

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numero di quelli presenti in rilevatori molto utilizzati nel campo della �sicadelle particelle.

Perché utilizzarlo allora?La caratteristica che distingue APSEL dalla maggior parte degli altri

chip è la possibilitá di rilevare un alto numero di eventi al secondo e di attri-buire ad ognuno di essi un dato temporale, in modo da poter ottenere nonsolo una �gura di interferenza totale (nel caso del nostro esperimento), maanche di poter osservare, istante per istante, le HIT presenti sul sensore edunque provare sperimentalmente la presenza di un'interferenza da singoloelettrone, fenomeno di origine puramente quantistica e non banale da osser-vare direttamente. Ecco come si presenta (�g.(3.7)) lo stato della matrice adogni istante in cui viene colpita da un singolo elettrone.

Figura 3.7: Immagine creata sullo schermo da un elettrone che colpisceAPSEL

Integrando su 500 elettroni, pochi in confronto alla statistica totale ac-cumulata, giá si comincia ad osservare la �gura (3.8) di interferenza.

Figura 3.8: Figura d'interferenza (accennata) dopo 500 HIT

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Aumentando la statistica �no a circa 100 mila elettroni si ottiene una�gura di interferenza molto piú nitida, come è possibile osservare in �gura(3.9)

Figura 3.9: Figura d'interferenza (ben visibile) dopo ∼100000 elettroni

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Capitolo 4

Software

4.1 Analisi O�ine

Questa parte della tesi illustra il lavoro che ho svolto in laboratorio svilup-pando, in tutte le sue parti, il programma di analisi dei dati acquisiti. Essoconsiste in un software, scritto in linguaggio C++, che gestisce input e outputanche tramite l'utilizzo di librerie di ROOT. Per favorire l'implementazionedel programma in processi o�ine e dunque facilitarne la chiamata, esso èstato elaborato con struttura di tipo Macro e reso utilizzabile interpretan-dolo tramite l'operatore CINT di ROOT. Il programma è stato sviluppatoin due versioni, che di�eriscono per il tipo di dato che vanno ad osservare;c'è infatti la possibilitá di operare sia sui dati dell'esperimento compiuto nel2010 (sui quali si basa questa trattazione), sia sui nuovi dati attesi per la�ne del 2012. Le di�erenze tra le due serie di dati sono infatti molteplici:

Serie di dati 2010

-scritti su �le in formato .txt .

-i dati vengono letti tramite uno stream di input formattato (utilizzandol'operatore cin) ed immagazzinati distintamente in base alla loro naturadi HIT (coordinata spazio-temporale di un elettrone che colpisce ilChip) o numero identi�cativo di HIT.

-ad ogni dato è associato un numero intero progressivo che individua uni-vocamente la HIT elettronica in mezzo alla serie di dati.

Serie di dati 2012

-scritti su �le binari .bin utilizzando 32 bit per ciascun dato.

-la lettura avviene per mezzo di uno stream di input binario (utilizzando imetodi di I/O della libreria iostream) che immagazzina indistintamente

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Figura 4.1: Esempio di output di elaborazione attuata sui dati del 2010. Nel-la �gura si possono vedere il numero e le coordinate di ogni singolo elettrone,oltre che la di�erenza temporale tra una Hit e la precedente (DELTA)

i dati come unsigned int, di�erenziando il dato solo in una seconda fasedel programma.

-serie formata da HIT elettroniche intervallate da contatori BCO CODE eTIME CODE (vedi pagina 26)che forniscono dati temporali assoluti epermettono di localizzare l'evento elettronico nel tempo in maniera piúprecisa.

-dispongono, all'inizio di ogni serie di dati, di una parte detta header chefornisce determinate informazioni utili all'identi�cazione dei parametrisperimentali con i quali è stato svolto l'esperimento.

Header

Per l'immagazzinamento di tutti i seguenti dati vengono utilizzati 32 bit, inmodo da mantenere un'uniformitá di lettura con i dati provenienti dall'ap-parato sperimentale.

Endianness: si tratta di un numero esadecimale a 32 bit noto (0x123456789)utile alla veri�ca della modalitá di lettura dati binari presente sul calcolatore(Little Endian/Big Endian). Il programma di�erenzia l'immagazzinamen-to dei dati binari letti in base al valore di questo parametro, in modo daripristinare, nel caso sia invertita (Little-Endian), la disposizione msb-lsb.

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Figura 4.2: Esempio di output di elaborazione attuata sui dati del 2012.Nella �gura si possono vedere le coordinate di ogni singolo elettrone, oltreche la coordinata temporale assoluta di ogni HIT

Run Number: è un numero intero progressivo che identi�ca la serie didati che il programma va a leggere.

Data: questo unsigned int identi�ca la data di acquisizione dei dati,suddividendo i 32 bit in:

msb : <DAY: 5 bit> : <MONTH: 12 bit> : <YEAR: 23 bit> : lsb

Ora: identi�ca l'istante di inizio della presa dati; dato che queste duranodiversi minuti, ed in generale mai meno di qualche secondo, si è consideratoprivo di utilitá l'immagazzinamento di periodi temporali inferiori al secondostesso.

msb : <15 bit 0> : <HOUR: 5 bit> : <MINUTES: 6 bit> : <SECONDS:6 bit> : lsb

Run Type: identi�ca il tipo di acquisizione dati, distinguendole traprese dati di �sica (utilizzando il fascio di elettroni), di studio del rumore difondo, simulazioni e calibrazioni del sistema.

BC Clock period in ns: identi�ca la durata in nanosecondi di unperiodo di BC Clock. Rende possibile l'assegnazione di un valore temporale

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in secondi ad ogni HIT nota la sua coordinata temporale assoluta data daABSOLUTE ZEROPOINT + TS, come spiegato piú avanti.

Soglia del comparatore (VTH): è un dato con un range che va da0 a 4095 che identi�ca il potenziale di soglia oltre il quale l'ampiezza deisegnali in arrivo dal chip rivelano la HIT elettronica (vedi paragrafo 2.2.1).La tensione in Volt si puó ottenere facilmente dall'equazione:

V = VTH1.25

4096(4.1)

Electron Energy: indica, con 7 bit, l'energia degli elettroni incidentinella presa dati selezionata; va da 40 a 100 KeV.

Target Type: identi�ca la tipologia di bersaglio che gli elettroni an-dranno a colpire: fenditure, �lo singolo o reticolo di carbonio.

La scelta di modi�care il formato dati è dovuta alla necessitá di otteneredati in formato binario e di stabilire in modo assoluto la coordinata tempo-rale di ogni HIT. Questo consente di determinare univocamente la posizio-ne nell'asse dei tempi dell'elettrone incidente, in quanto l'utilizzo del TimeStamp ad 8 bit (pagina 33) ha una periodicitá troppo limitata nel tempo.L'aggiunta di BCO Counter e Time Counter nello stream di dati consente diconfrontare il valore temporale ad 8 bit di ogni HIT con un contatore BC a30 bit con frequenza di 1MHz, il cui periodo corrisponde a piú di un'ora. Nelvecchio formato dati, infatti, il valore assoluto della coordinata temporale èstabilito all'inizio dell'esperimento e i dati presentano solo gli ultimi 8 bit delcodice BCO, rendendo possibile l'evenienza di un'ambiguitá nell'assegnazio-ne del valore temporale dato dal Time-Stamp. Questa eventualitá è ora piúimprobabile grazie alla decisione di inserire valori progressivi di BC Code inmezzo ai dati, che consentono piú facilmente di stabilire l'esatta iterazionetemporale di avvenimento dell'evento elettronico.

Il programma ottimizzato per la nuova versione dei dati, dopo aver letto32 bit da �le, utilizza una di tre funzioni che ne permettono l'analisi:

Figura 4.3: Conteggio delle varie tipologie di dato presenti in un �le di circa1.000.000 di HIT

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TIME(): chiamata nel caso il dato sia un Time Counter, separa gliultimi 30 bit e li restituisce come valore esadecimale.

BCO(): come la funzione TIME(), ma utilizzata su dati BC counter. Inpiú identi�ca una variabile, chiamata ABSOLUTE-ZEROPOINT, la qualerestituisce il counter del BC con gli ultimi 8 bi meno signi�cativi azzerati.L'utilitá di tale valore è quella di dare un punto di partenza alla coordinatatemporale di Time Stamp della singola HIT, il cui contatore è per l'appuntodato dagli ultimi 8 bit meno signi�cativi del BC counter.

HIT(): questa funzione si avvale di operazioni di bit-masking per scom-porre il dato nelle coordinate che lo compongono (vedi paragrafo 3.3). Oltrea questo è responsabile della chiamata ad una funzione DELTA() e dellacompilazione di gra�ci di distribuzione delle HIT attraverso il metodo diROOT:

graph->Fill(variabile)

su oggetti di tipo TH1I e TH2I (istogrammi di ROOT mono- e bi- dimen-sionali con dati interi).

La funzione DELTA() ha il compito di calcolare la di�erenza tempora-le che intercorre tra due successivi eventi elettronici, nonché di gra�care ladistribuzione in un'apposito istogramma monodimensionale (�g.(4.4)). I va-

Figura 4.4: Di�erenza temporale tra elettroni successivi. È evidente lavicinanza temporale tra HIT consecutive

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lori di Delta vengono regolati in modo da essere dell'ordine di pochi TimeStamp, anche se non mancano ovviamente valori superiori a questi o anchedati negativi1; questi ultimi sono comunque gestiti dal programma tramitel'aggiunta del valore 256 al termine del TS inferiore, in modo da ripristinareil corretto ordine temporale delle HIT.

Un caso particolare riguarda la possibilitá di avere un parametro Del-ta=0; tale eventualitá si mostra quando due elettroni vengono rivelati quasisimultaneamente, quindi con una di�erenza di TS inferiore ad 1 periodo diBC. Questi gruppi di dati vengono chiamati NSE Event (Non-single Elec-tron Event). Possiamo piú in generale de�nire evento l'insieme delle HITelettroniche avvertite dal sensore nello stesso periodo di TS. Il programma èin grado di contare quanti elettroni compongono un evento, gra�candoli inun istogramma di molteplicitá (�g.(4.5)). Si vuole ovviamente lavorare nelle

Figura 4.5: Plot logaritmico della molteplicitá di eventi. È evidente che lacondizione di singolo elettrone ha riscontro sperimentale

condizioni in cui la molteplicitá degli eventi polielettronici sia molto bassa.Da notare, inoltre, la presenza di un forte picco di molteplicitá 0, che sta adindicare i periodi di TS durante i quali nessun elettrone ha colpito il sensore.

Altri dati che vengono gra�cati su istogramma sono:

1Conseguenza dell'ambiguitá nell'assegnazione della coordinata temporale

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Figura 4.6: Dispersione bidimensionale delle HIT sulla matrice, dati del 2010

Distribuzione bi-dimensionale di HIT: questo fondamentale isto-gramma 2D mostra la quantitá di elettroni che hanno colpito un pixel iden-ti�candone le coordinate spaziali sulla matrice. È possibile stamparlo suschermo utilizzando due di�erenti opzioni, una utile alla visione qualitativadelle frange di interferenza (�g.(4.6)), ed un'altra (detta LEGO) che mostracon maggior precisione il numero di elettroni che colpiscono ogni determinatopixel (�g.(4.7)).

Proiezione sugli assi X e Y: due gra�ci separati che mostrano laproiezione delle HIT lungo le coordinate X (�g.(4.8)) o Y. Tali istogrammivengono utilizzati per veri�care che il pro�lo della distribuzione ottenutacombaci con quello calcolabile dalla formula d'interferenza (1.7).

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Figura 4.7: Distribuzione di HIT sulla matrice, dati del 2010

Figura 4.8: Istogramma che mostra la proiezione delle HIT sulla coordinatax della matrice.

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Capitolo 5

Dati Sperimentali

In questo capitolo saranno presentati i risultati ottenuti nei test condotti nelmese di Novembre 2010. Il sistema di acquisizione utilizzato in quell'occa-sione non disponeva di FPGA e operava ad una frequenza di clock minore diquella che si intende utilizzare nei nuovi test (6kHz rispetto ad 1MHz pre-visto per l'esperimento del 2012). I test sono stati e�ettuati su due diversitipi di campione: un reticolo di di�razione e doppia fenditura trattata nelcapitolo 2. In entrambi i casi sono stati utilizzati elettroni con un'energia di40keV, corrispondente ad una velocitá di 0.396c ed una lunghezza d'onda diDe Broglie di 5.9pm.

A causa di un problema di calibrazione una parte del fascio elettroni èstato bloccato da una �angia, creando una zona in cui gli urti dei sensoriin cui non arrivano elettroni. Tale zona è ben visibile sulla parte destra deigra�ci presentati.

Si puó notare che i pixel mappati sugli istogrammi di dispersione bi-dimensionale appaiono rettangolari; ció è dovuto ad un errore nel bit menosigni�cativo che identi�ca la coordinata y (colonna di appartenenza del pixel)ed impedisce dunque di distinguere tra due pixel adiacenti.

Per il calcolo degli errori si è utilizzato l'errore di lettura della distanzadei massimi su gra�co, stimato in 1 pixel (50µm).

5.1 Test di Interferenza da Reticolo

Il primo test di interferenza è stato e�ettuato su un reticolo di carbonio conpasso medio di 400 nm. Trattandosi di un test preliminare non si è ritenutonecessario imporre il regime di elettrone singolo, né lavorare con frequenze dilettura particolarmente elevate e si è deciso quindi di compiere osservazioniogni 3ms. Lo scopo della prova è quello di calcolare la distanza e�ettiva cheintercorre tra il bersaglio e il sensore, ottenuta tramite le particolari condizio-ni elettro-ottiche presenti nel microscopio. L'aumento di tale lunghezza permezzo delle lenti elettromagnetiche permette infatti una maggior de�nizione

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dei massimi di interferenza, tramite la relazione:

tgΘ =x

L(5.1)

dove L è la distanza tra reticolo e piano ottico, x è la distanza del massimo sulpiano ottico rispetto alla normale congiungente il piano stesso con il centrodel piano del reticolo e Θ è l'angolo di inclinazione rispetto a tale normale.La �gura di interferenza attesa per questo tipo di esperienza è analoga aquella in �g.(5.1).

Figura 5.1: Figura di interferenza da reticolo formata utilizzando un laser.

Sperimentalmente si osserva che la distribuzione degli elettroni seguela �gura di interferenza attesa ed é possibile calcolare la distanza tra duemassimi successivi.

Una primo test mostra la distribuzione (�g.(5.2)) di 131073 elettroni cheinterferiscono con il reticolo utilizzato. La posizione dei massimi è facil-mente misurabile dalla proiezione sull'asse x della distribuzione presentata(�g.(5.3)) e l'angolo Θ è calcolabile tramite l'equazione:

2dsin(Θ) = mλ (5.2)

La distanza tra il primo ed il secondo massimo risulta essere di (13±1) pixel; afronte di una larghezza dei MAPS pari a 50µm otteniamo che tale distanza èdi (650±50) µm. L'angolo Θ risulta essere di 7.375*10−6 ed è approssimabilealla tangente dell'angolo stesso.

Θ ' tg(Θ) ' 7.3 ∗ 10−6rad (5.3)

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Figura 5.2: Distribuzione bidimensionale di elettroni che interferiscono conun reticolo.

Tramite la relazione (5.1) 1si ottiene una lunghezza della camera pari a:

L =x

tg(Θ)= (88.14± 6.78)m (5.4)

per il calcolo dell'errore ∆L si è utilizzata l'equazione:

∆L =∆x

tg(Θ)= 6.78m (5.5)

Dal gra�co in �gura (5.4) si nota un elevato numero di eventi ad elettronenon singolo, risultato atteso data la decisione di utilizzare �nestre d'osser-vazione di 3ms, ovvero di oltre 18 volte maggiori di quelle preventivate perl'esperimento da doppia fenditura. Tale risultato ha ripercussioni sulla mol-teplicitá di elettroni presenti in ogni singolo evento che risulta essere in mediadi 4.086 elettroni/evento (�g.(5.5)).

Una rappresentazione convincente dell'interferenza si trova in �g.(5.6),che mostra chiaramente come la distribuzione degli elettroni di�ratti seguala distribuzione d'intensitá attesa.

1Si sono approssimati gli errori sulla lunghezza d'onda dell'elettrone e sulle dimensionidelle fenditure

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Figura 5.3: Proiezione sull'asse X della distribuzione di elettroni cheinterferiscono con un reticolo.

Figura 5.4: Distribuzione in scala logaritmica dei tempi di emissione deglielettroni nell'esperimento con reticolo

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Figura 5.5: Molteplicitá di elettroni per singolo evento in interferenza dareticolo, in scala logaritmica.

Figura 5.6: Distribuzione bidimensionale di elettroni che interferiscononell'esperimento di interferenza da reticolo.

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5.2 Test di Interferenza da Doppia Fenditura

I test di interferenza da doppia fenditura sono stati svolti con �nestre d'os-servazione di 165µs e l'esperimento è stato impostato per lavorare in regimedi elettrone singolo. Sono state prese 14 serie di dati, ognuna mediamentecontenente i dati di ∼30000 elettroni. La di�erenza tra i tempi di arrivo èstata in media di 79.49 periodi di BC clock, equivalenti ad un intervallo tem-porale di 13.1ms. Di questi elettroni, il 93.9% sono arrivati singolarmentesul sensore, con una conseguente molteplicitá media per evento di 1.069 elet-troni. La distanza tra due massimi consecutivi puó essere calcolata tramitel'equazione (1.7) e risulta, per onde di 5.9pm che interferiscono in fenditurelarghe 95nm e distanti 440nm tra loro:

senΘ =λ

2d= 6.7 ∗ 10−6rad (5.6)

x = Ltg(Θ) = (591± 45.4)µm (5.7)

dove l'errore su x si è calcolato con l'equazione:

∆x = tg(Θ)∆L = 45.4µm (5.8)

nota la lunghezza L della camera ricavata nel paragrafo precedente.

Figura 5.7: Distribuzione bidimensionale di elettroni che interferiscono condoppia fenditura.

Passiamo ora ad analizzare una singola serie di dati, in particolare quellarappresentata in �g.(5.7). Abbiamo misurato una distanza di (12±1) pixeltra i massimi di interferenza, per un totale di (600±50) µm, in linea con ilcalcolo e�ettuato.

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Figura 5.8: Distribuzione dei tempi di emissione degli elettroninell'esperimento con doppia fenditura.

Figura 5.9: Molteplicitá di elettroni ad evento in interferenza da doppiafenditura, in scala logaritmica.

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Come è possibile vedere dalla �gura (5.8), i tempi di emissione di questaserie di dati non seguono perfettamente la distribuzione di Poisson attesa,osservabile in �g.(4.4); il motivo di questa discrepanza è da cercare nel mec-canismo di scrittura dati, piuttosto che in un errore a livello sperimentale.Come spiegato nel paragrafo 4.1 il formato dei dati del 2010 non intervallavagli eventi elettronici con dei segnali temporali assoluti, provocando in fase dilettura una mancanza di univocitá nel parametro temporale (Time Stamp)dei dati. La di�erenza media dei tempi di arrivo cosí ottenuta è di 73.25periodi di BC clock (12.1ms), con una molteplicitá di elettroni ad evento di1.025 e una percentuale di eventi ad elettrone singolo del 97.2% (�g.(5.9)).

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Conclusioni

L'attivitá di ricerca svolta nel corso di questa tesi si è posta l'obiettivo ditestare il sensore a matrice di pixel attivi APSEL 4D in esperimenti di mi-croscopia elettronica al �ne di veri�carne le prestazioni in tali applicazioni.In secondo luogo si e' voluta individuare la possibilitá di utilizzare il bancoelettro-ottico di un microscopio TEM come banco elettro-ottico per eventua-li sviluppi futuri del sensore utilizzato. A questo scopo è stato studiato unfenomeno quantistico ben noto ed ampiamente analizzato, grazie al quale èstato possibile prevedere accuratamente i risultati attesi, confrontandoli conquelli ottenuti.

Come banco di prova sono stati utilizzati un microscopio a trasmissionecome sorgente di elettroni ed una fenditura nanometrica per ottenere fe-nomeni di interferenza. La fenditura è stata realizzata con la tecnica FIB(Focused Ion Beam), che prevede l'utilizzo di un fascio di ioni di gallio. La�gura di interferenza viene a crearsi sul chip APSEL, che funge da rivelato-re di elettroni ed invia i dati relativi alle coordinate spazio-temporali deglielettroni incidenti ad un sistema di elaborazione elettronica che comprendeuna FPGA per la gestione del sistema sistema e la trasmissione dei dati informato digitale, ed un PC, dove viene eseguito il programma di acquisizioneon-line e dove vengono immagazzinati in �le binari. Il programma di ana-lisi che ho realizzato legge i �le cosí ottenuti e ne decodi�ca le coordinatespazio-temporali degli elettroni, andando a creare gli istogrammi con cui e'possibile analizzare l'e�etto di interferenza da elettrone singolo, quali la di-stribuzione sul piano xy degli elettroni rivelati, o la distanza temporale traelettroni consecutivi.

I dati riportati confermano il corretto funzionamento del chip ma mostra-no la necessitá di apportare migliorie allo stesso o al sistema di acquisizionedati. Parte dei problemi osservati, quali la mancanza di univocitá per i datitemporali acquisiti o la questione dell'identi�cazione del corretto valore del-la coordinata y nei pixel a causa della mancata lettura di un bit di dato,dovrebbero essere risolti con la nuova con�gurazione del sistema con cui siintendono e�ettuare gli esperimenti di �ne 2012.

Questi si avvarranno di una speci�ca versione del software o�ine che hosviluppato per la loro analisi e che consentirá di trarre dagli esperimenti unmaggior numero di informazioni, grazie alla presenza di un'header che co-

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munica vari parametri �sici della presa dati, nonché una maggior precisionedei risultati ottenuta con l'implementazione di strumenti di esame che ap-profondiscono ulteriormente alcune proprietá delle distribuzioni elettronicheraccolte.

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Bibliogra�a

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[4] G.Matteucci, G.F.Missiroli, G.Pozzi. Interferometric and holographictechniques in transmission electron microscopy for the observationof magnetic domain structures, IEEE Transactions on MagneticsVol.Mag.20. (1984).

[5] P.Mazzoldi, M.Nigro, C.Voci. Fisica Vol.2 - Elettromagnetismo e Onde.Edises, 1998.

[6] P.G.Merli, G.F.Missiroli, G.Pozzi. Di�razione ed interferenza dielettroni - I.Di�razione, Giornale di Fisica, XV. (1974).

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[8] J.Taylor. Introduzione all'analisi degli errori. Zanichelli, 1999.

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Ringrazio innanzitutto il Prof.Nicola Semprini Cesari, il Dott.Filippo Ma-ria Giorgi e il Dott.Gian Luigi Alberghi per la loro immancabile propensionea seguire la mia corsa verso la laurea, il Dott.Giulio Pozzi per avermi aiutatoenormemente con materiale e spiegazioni riguardanti la parte elettro-ottica.

Ricordo inoltre l'apporto essenziale alla stesura dato da Chiara, che miha violentemente spronato a scrivere.

Aggiungo ringraziamenti a Luca, Tommaso, Fabrizio, Linda, Betta, Eros,Elia e tutti gli amici che hanno fatto in modo che avessi di meglio da fare piut-tosto che scrivere questa tesi, nonché la partecipazione del gruppo ALTASnella disperazione antecedente la consegna dell'elaborato.

In�ne ringrazio i miei genitori, che una volta nella vita si sentono rin-graziati da me per qualcosa e senza il quale apporto non potrei sicuramenteaver scritto una tesi in �sica.

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