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INDICE PREFAZIONE di Silvia Biferale p. 7 I SEZIONE GLI OBIETTIVI DELL’EDUCAZIONE MUSICALE NELL’INFANZIA A. Apostoli, La MLT: Teoria e prassi dell’apprendimento musicale p. 17 G. Mazzarese, Perché Gordon a Santa Cecilia p. 25 A. Nuzzaci, Acquisizioni, obiettivi e linguaggi dell’educazione musicale nella prima infanzia p. 29 S. Gorini, L’importanza della musica nello sviluppo affettivo e cognitivo del bambino (disponibile on line sul sito web dell’Associazione Culturale Pediatri all’indirizzo http://www.natiperlamusica.it/img/Importanza%20della%20musica.pdf) II SEZIONE L’IMPORTANZA DI UN ASCOLTO MUSICALE PRECOCE A. Borsacchi, L’ascolto musicale: un’esperienza che nasce nella relazione p. 48 V. Ricciotti, La musica e il corpo nel gruppo dei più piccoli p. 58 M. T. De Camillis, L'esperienza musicale nello sviluppo del bambino nei primi anni di vita p. 66 III SEZIONE STUDI E RICERCHE A. Apostoli e A. Nuzzaci, Il modello della Music Learning Theory di E. Edwin Gordon: una ricerca osservativa sulle pratiche educative musicali nella prima infanzia p. 75 F. Braga e C. Veronese, Riflessioni sull’ascolto dei bambini nell’esperienza del Falstaff p. 83 E. Cannelli, Come un bambino con difficoltà relazionali ascolta e risponde agli stimoli musicali e alla MLT p. 97 R. Nardozzi, Osservazione e analisi delle risposte cantate dei bambini al pattern di imitazione V-I grado discendente in funzione di tonica. Ipotesi di intervento. p. 105 IV SEZIONE IL MOVIMENTO COME ESPERIENZA SENSORIALE PER LO SVILUPPO DELL’AUDIATION M. Cacciavillani, Sviluppo motorio e plasticità neuronale in età evolutiva p. 119 S. Biferale, Movimento e ascolto: due esperienze sensoriali p. 127 V SEZIONE COME FAVORIRE IL PROCESSO D’ASCOLTO NELLA RELAZIONE DIDATTICA R. Toti, L’ascolto dell’ascolto p. 137 G. Pagannone, Il bambino all’Opera p. 145 V. Viola, Alla conquista dell'ascolto p. 159

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Prefazione di Silvia Biferale

Con il suo primo Convegno “Il bambino in ascolto. L’apprendimento musicale tra

senso e sensorialità”, l’Aigam si è posta lo scopo di ripercorrere obiettivi e

modalità dell’educazione musicale nella prima infanzia mediante un’analisi

arricchita di contributi provenienti da diversi ambiti di ricerca. Ci è sembrato

opportuno fermarsi a riflettere nuovamente sul senso dell’educazione musicale,

sul perché è così importante nella prima infanzia, affrontando gli elementi

costitutivi dello sviluppo del bambino e mettendoli in relazione con

l’apprendimento musicale. Abbiamo tentato di rispondere alla domanda: «A cosa

serve insegnare la musica a bambini così piccoli?» Una domanda apparentemente

semplice e banale che impone invece una riflessione aggiornata alle conoscenze

attuali dello sviluppo del bambino. Una domanda che è un invito a riflettere

ancora una volta sul perché educare alla musica prima ancora di discutere sul

come realizzare il processo educativo. Il convincimento della ricchezza scaturita

da un ri-pensare il già pensato, anche in sedi prestigiose, ha guidato la scelta del

filo conduttore degli interventi susseguitisi nelle due giornate, a partire dagli

obiettivi per finire alle modalità, agli strumenti necessari nell’educazione

musicale della prima infanzia. Ripensare per tenere viva la ricerca, non per

ripetersi ma per continuare a rinnovarsi.

Abbiamo scelto l’ascolto come punto di congiunzione tra gli strumenti e le

modalità educative, analizzandone il senso che acquista mediante la definizione

degli obiettivi dati. L’ascolto ha permesso di portare sulla scena del convegno

l’adulto e il bambino, sottolineando l’importanza di una relazione in cui, per citare

Vincenzo Ricciotti, l’educatore è «Un pifferaio che non suona per sé, distogliendo

i bambini dalla propria dimora ma, suonando per loro, in un certo senso, ve li

riconduce. La dimora, lo avrete capito, è la loro mente curiosa, desiderosa di

conoscere» (Relazione V. Ricciotti Convegno Aigam 2009).

Caratteristica dominante di tutto il Convegno è stata l’autonomia in cui ogni

relatore ha conservato la propria originalità e peculiarità scientifica, mettendola al

servizio di un pensiero condiviso. Non sono state cercate analogie o sincretismi

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forzati tra ambiti diversi, ma ognuno ha posto la propria competenza al servizio di

una comprensione più ricca dei processi di apprendimento, necessaria alla

costruzione di strumenti educativi appropriati e continuamente aggiornati.

Il Convegno è stato diviso in quattro sezioni contenenti contributi teorici ed una

sezione, “studi e ricerche”, arricchita dei lavori di ricerca nati dall’osservazione di

diversi contesti educativi musicali. L’Auditorium di Roma lo ha splendidamente

accolto e le parole del Maestro Bruno Cagli, Presidente dell’Accademia Nazionale

di Santa Cecilia, hanno aperto i lavori dando rilievo ancora una volta alla ricca

collaborazione che da anni esiste tra l’Aigam e l’Accademia e che ha visto

realizzati nel corso del tempo seminari, lezioni di Edwin Gordon e concerti per

bambini, per genitori in attesa e per adulti, con una programmazione che ha

toccato diverse città italiane e festival musicali nazionali .

Andrea Apostoli, con il suo intervento sull’importanza di considerare la Music

Learning Theory una teoria dell’apprendimento musicale e non un metodo, e ha

così aperto i lavori raccogliendo l’invito del Professor Gordon a continuare la

ricerca da lui iniziata. Le differenze sottolineate da Apostoli tra un metodo, che

per definizione non si rinnova, e una teoria strettamente connessa ad una pratica

educativa è sostanziale per considerare questo convegno come un luogo di ricerca.

La musica, l’oggetto desiderato e quasi inafferrabile protagonista delle due

giornate, è entrata in sala con Gregorio Mazzarese, il quale con il suo basso tuba

ha introdotto il tema più forte della relazione: il concetto di fatica e impegno

legato all’apprendimento musicale; fatica e impegno da parte dei docenti e degli

studenti, elementi senza i quali è impossibile intraprendere un percorso di

conoscenza della musica. La società contemporanea fornisce una grande quantità

di stimoli rispetto ai quali si rischia di perdere la funzione di discernimento. I

bambini sono continuamente sollecitati e eccitati da proposte che possono

facilmente accogliere e con altrettanta facilità abbandonare. Occorre sapere che la

musica richiede lavoro e fatica da parte di chi desidera impararla e da parte di chi

la insegna, impegnato costantemente a tenere conto dei mutamenti della società. Il

concetto di fatica e di lavoro associato all’apprendimento, diventato quasi un tabù

e sostituito nel tempo da un messaggio illusorio in cui la conoscenza è affidata

solo alle buone capacità dell’insegnante, è stato un tema più volte emerso nel

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corso dei lavori e progressivamente sempre più rivelato nella complessità di

significati che porta con sé, fino all’ultimo intervento di Valeria Viola che

conclude ricordando: «Condurre il bambino a comprendere, attraverso l’ascolto,

un brano musicale è sicuramente un’attività complessa, che richiede

partecipazione e fatica, che coinvolge emozione e intelletto, che si nutre di logica

e immaginazione. Un’attività, dunque, che promuove lo sviluppo di una creatività

cognitiva ed estetica, e che favorisce, quindi, anche la formazione del gusto,

intesa non solo come possibilità di fruire dell’opera d’arte, ma anche come

possibilità di apprezzare […] quella che riterrà essere buona musica, con una

consapevolezza che renderà la sua vita più ricca di significato». (Relazione V.

Viola Convegno Aigam 2009)

La complessità delle sfere coinvolte nell’apprendimento musicale diventa più

chiara nell’intervento di Antonella Nuzzaci sugli obiettivi dell’educazione e sulle

acquisizioni necessarie al suo conseguimento. Partendo dalla doppia valenza,

culturale da una parte, nel senso di educare alla conoscenza della musica, e di

supporto per altri generi di acquisizioni dall’altra, la Nuzzaci sottolinea

l’importanza di considerare i due versanti sempre strettamente legati tra loro.

Questo aiuta a comprendere come le conquiste musicali del bambino abbiamo

certamente un alto valore intrinseco e al tempo stesso rappresentino una base

solida per i processi di alfabetizzazione e di crescita delle competenze motorie e

relazionali. Un forte accento viene qui posto sulla necessità di rendere

l’apprendimento musicale accessibile a tutti mediante l’inserimento di esperienze

di ascolto e di riconoscimento della sintassi musicale nelle attività scolastiche fin

dalla prima infanzia, attraverso personale specializzato che abbia le competenze

adatte a mantenere viva la complessità della struttura musicale in tutte le sue

componenti. Non giocare alla musica, o con la musica di sottofondo, dunque, ma

rendere piacevole l’apprendimento musicale e, come dice Gordon, «essere musica

per loro».

Una conferma della necessità di non intendere più la conoscenza della musica

come privilegio di pochi, viene dalle esperienze di Stefano Gorini e Teresa De

Camillis. Stefano Gorini espone la sua esperienza di responsabile

dell’Associazione “Nati per la musica” e individua con chiarezza le tre principali

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motivazioni con cui la musica concorre allo sviluppo del bambino: il

rafforzamento del legame affettivo familiare attraverso un’esperienza musicale

condivisa, l’influenza della musica sullo sviluppo cognitivo del bambino e il

contributo da essa fornito per una crescita più completa della persona. Il suo

lavoro, ricco di riferimenti scientifici che verranno ripresi anche da altri relatori, si

chiude con la riflessione, divenuta argomento fondante del convegno, di quanto

l’esperienza musicale precoce permetta di sviluppare un’attitudine culturale e di

maturare un senso estetico consapevole. Teresa De Camillis, riferendo della

propria competenza di dirigente del Girotondo, Centro Comunale per l’Infanzia

del Comune di Roma che accoglie bambini da 0 a 6 anni temporaneamente

separati dalla famiglia, sottolinea la ricchezza dell’esperienza musicale precoce in

situazione di separazione forzata nelle quali un ambiente stimolante e una

competenza espressiva in più possono rivelarsi molto preziosi per mantenere vivo

un legame con il mondo esterno.

Sempre per cogliere il valore formativo dell’educazione musicale anche in

situazioni di disagio, ascoltiamo Elisabetta Cannelli. Nella sua osservazione delle

modalità d’ascolto e di apprendimento musicale di una bambina con difficoltà

relazionali e di sviluppo presenta una situazione di disagio dal punto di vista di un

insegnante di musica. La coerenza e la precisione con cui Elisabetta Cannelli

rimane aderente ai suoi obiettivi educativi, senza cadere in atteggiamenti

terapeutici non pertinenti, permette alla piccola Sara di fare tesoro via via di tutta

l’esperienza musicale progredendo nelle competenze motorie, relazionali e

musicali.

Si vede bene come l’ascolto inteso come esperienza relazionale condivisa emerga

in maniera sempre più chiara e come vengano affrontati i temi del legame

affettivo realizzato nell’ascolto musicale.

Arnolfo Borsacchi, Rita Toti e Valeria Viola ci fanno riflettere sul silenzio e

l’assenza, sulla memoria e la mancanza. La caducità del vissuto della musica si

collega alla caducità delle sue forme. Come scrisse in un indimenticabile scritto

del 1998 Mauro Mancia: «L'ascolto comporta un continuo separarsi da forme

compiute e una continua attesa di nuove forme., come se il "senso" di una

"durata" nel tempo si formasse a riempire lo iato tra una "separazione" e una

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"attesa". L'essenza temporale di un oggetto musicale è quella di "una virtualità che

attende sempre una nuova realizzazione». (Mauro Mancia Riflessioni

psicoanalitiche del linguaggio musicale 1998)

L’ascolto come un’attesa, scrive Rita Toti; l’assenza come il luogo dove può

nascere il desiderio verso la ripetizione dell’esperienza, continua Borsacchi: il

pensiero e l’audiation di E. Gordon come il frutto nato dal bisogno di sviluppare

interiormente quello iato tra separazione e attesa di una nuova realizzazione.

Partendo da questo presupposto l’educazione musicale acquista una nuova luce.

Borsacchi la definisce come quella ricerca condivisa, dall’educatore e dal

bambino, di attribuzione di significati all’oggetto ascoltato nell’obiettivo di

acquisire gli strumenti necessari, la comprensione dunque della struttura musicale,

che permettano al bambino di tenere la musica viva dentro di se, anche in sua

assenza, di poterla trasformare, di poterla rivivere sempre nuova alla luce delle

proprie esperienze e attraverso le competenze acquisite. Si delinea così lo

strumento principe dell’educazione musicale: un ascolto guidato che si lascia

rinnovare dalla relazione stessa, un ascolto disponibile a cogliere quello che per il

bambino deve ancora assumere un significato, un ascolto che è spazio e tempo,

tempo della presenza musicale e tempo del silenzio, o come dicevamo, della

mancanza. Valeria Viola invita tutti a «ri-pensare al silenzio come momento di

preparazione al suono – quindi come elemento strutturale della musica – e

soprattutto come premessa al dialogo, all’ascolto, alla comprensione e come

dimensione che favorisce la concentrazione, la riflessione”». (Relazione V. Viola

Convegno Aigam 2009)

Per parlare di ascolto in questi termini giunge utile il contributo di Silvia Biferale,

la quale esamina le funzione di ascolto e di movimento dal punto di vista

multisensoriale, ponendo l’accento sul valore che le esperienze sensoriali

rappresentano nella prima infanzia come veicoli per il bambino di scoperta del

mondo esterno e di sé. Ascolto e movimento diventano così due esperienze

inseparabili nel processo di apprendimento, due ingredienti educativi e soprattutto

due modalità espressive del bambino in ascolto. La presentazione dei meccanismi

corporei alla base dell’ascolto e del movimento da parte di Silvia Biferale e della

plasticità del sistema nervoso illustrata da Mario Cacciavillani, in un intervento

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che resta fortemente penalizzato dall’assenza in questa sede delle immagini

riccamente presenti in sala, confermano le tesi enunciate. Cacciavillani analizza le

tappe di maturazione del sistema nervoso centrale e la sua relazione con le

esperienze realizzate, ci ricorda che il processo di trasformazione del cervello

continua fino ai 20 anni, imponendo una riflessione sulla soggettività della

struttura cerebrale. I due contributi sono stati di grande importanza per

considerare l’educazione sempre come un processo educativo e i percorsi della

mente come fortemente corporei, perchè il corpo che agisce è una mente che

comprende. Ricciotti suggerisce ancora la funzione di tramite che il corpo ricopre

per rivelare la nostra natura emozionale: l’inesprimibile di cui la musica sembra

potere farsi carico. Il corpo nel quale così facilmente nella prima infanzia si

incardina il ritmo; il corpo attraverso il quale riconosciamo l’altro e possiamo

entrare in empatia con lui; il corpo che può essere preda di una eccitazione

incontrollabile e costruisce per questo i suoi confini.

Nella sezione “studi e ricerche” abbiamo avuto modo di ascoltare l’interessante

esperienza di ascolto e conoscenza dell’opera Il Falstaff di Verdi proposta in un

asilo nido e in una scuola dell’infanzia di Milano. L’opera è stata riadattata sia

nella forma musicale sia in quella narrativa affinché potesse rispettare le modalità

di ascolto e di partecipazione del bambino. Sono state proposte attività contenenti

gli elementi dell’opera, musicali, drammaturgici e semantici, prima separatamente

e poi, nella fase finale del progetto, ricomposti nella loro complessità.

Giorgio Pagannone, nel suo intervento sulla validità dell’ascolto dell’opera in

tenera età, conferma la coerenza che questa esperienza ha con la Music Learning

Theory, sottolineando come la complessità dell’opera rappresenti quella ricchezza

più volte incoraggiata da Gordon. La presenza nell’opera della voce, sia pure

accompagnata da parole, e della melodia, così diretta a toccare e evocare gli stati

d’animo più o meno noti all’ascoltatore, rappresentano inoltre un’esperienza ricca

di stimoli per il bambino.

Uno spazio più tecnico è stato infine occupato dal preciso intervento di Riccardo

Nardozzi con il suo lavoro di ricerca sui pattern tonali. La ricerca di Nardozzi

mette in luce l’importanza che il lavoro con i pattern assume all’interno di un

percorso di educazione musicale in linea con i principi della MLT di Gordon. In

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particolare essa si basa sull’osservazione e l’analisi delle risposte di bambini di

età compresa tra i 2 e i 5 anni al pattern di imitazione V-I in funzione di tonica.

L’osservazione fatta delle risposte più frequenti dei bambini suggerisce una

riflessione sulla necessità dell’insegnante di ricontestualizzare ogni volta la

risposta del bambino all’interno di una specifica funzione tonale.

Chiude il convegno la relazione di Antonella Nuzzaci e Andrea Apostoli, una

ricerca osservativa sulle pratiche educative musicali nella prima infanzia.

L’osservazione è stata effettuata sul materiale video portato in supervisione dagli

insegnanti associati Aigam. La supervisione di gruppo del lavoro svolto dagli

insegnanti in diversi contesti è un momento formativo molto importante che si

svolge nei tre anni successivi alla formazione vera e propria. L’esame del

materiale e la preziosa raccolta dei dati emersi rappresentano uno strumento utile

per analizzare il passaggio da una teoria ad una prassi educativa e per verificarne

continuamente la coerenza.

Il convegno si chiude con le parole del Presidente dell’Aigam Andrea Apostoli

che da voce al desiderio di tutti di continuare la ricerca esprimendo la

consapevolezza di aver condiviso riflessioni che ci hanno resi più forti nelle

convinzioni e nei dubbi, inevitabili e necessari le une e gli altri per rinnovarsi,

mantenendo la tensione verso l’ascolto di quei sensi ancora non noti.

Roma 21 marzo 2010

Silvia Biferale

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I SEZIONE

GLI OBIETTIVI DELL’EDUCAZIONE MUSICALE NELL’INFANZIA

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La MLT: teoria e prassi dell’apprendimento musicale

di Andrea Apostoli

Innumerevoli volte in questi anni mi sono trovato a definire la Music Learning

Theory di Gordon1. Come tante idee geniali e complesse non è facilmente

definibile e forse, se riuscissimo del tutto a definirla, perderemmo parte della sua

complessità e del suo carattere evolutivo di lavoro sempre in progress. Il de-finire

come anche il de-terminare, infatti, implicano nella loro stessa etimologia l’idea

del chiudere e del critallizzare nel tempo. Concetti quanto mai lontani da una

teoria che è nata e si sviluppa attraverso la ricerca sperimentale e osservativa

permanente.

Edwin E. Gordon afferma:

Ho viaggiato molto negli Stati Uniti e in Europa e ho sentito molte persone affermare che

la Music Learning Theory è un metodo. Non lo è. Lo chiamano il “metodo Gordon” e

questo è sbagliato. Quello che faccio è spiegare come impariamo la musica.(Gordon

2007)2

Il termine metodo, che nella sua accezione greca indica la via (hodós) per andare

oltre (metà), viene spesso utilizzato con un accezione negativa per descrivere

discipline in cui l’aspetto normativo e quello della chiusura al cambiamento e

all’evoluzione prendono il sopravvento.

In proposito trovo illuminanti le parole del padre del pragmatismo americano

Dewey:

Si può ragionevolmente dire che ogni ordinamento sociale [...] è educativo per quelli che

vi partecipano. Solo quando viene fuso in uno stampo e scorre in modo abituale, perde il

suo potere educativo 3.

1 Di seguito sempre riportata con la sigla MLT. 2 E. E. Gordon durante il corso “L’istruzione formale secondo la Music Learning Theory di E. E. Gordon” svolto a Roma presso la sede AIGAM il 2 giugno 2007. Cfr. Video proiettato durante il Convegno. 3 J. Dewey, Democrazia e educazione (1916), Trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1965, p. 7.

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La MLT di Gordon è una teoria che descrive le modalità di apprendimento

musicale del bambino a partire dall’età neonatale. Si fonda sul presupposto che la

musica si possa apprendere secondo processi analoghi a quelli con cui si apprende

il linguaggio. L’analogia, secondo Gordon, sussiste nel modo in cui la musica e il

linguaggio vengono appresi e non fra musica e linguaggio tout court.

Non si tratta dunque di un “metodo” e nemmeno di una “teoria

dell’insegnamento”, ma di una teoria dell’apprendimento da cui scaturisce una

pratica educativa che ne applica i principii fondamentali. La MLT dunque esprime

sia un modello di apprendimento che un modello educativo e di insegnamento:

Il modello di apprendimento ha un fondamento teorico, mentre quello di

insegnamento un fondamento pratico, a sua volta basato sul modello di

apprendimento: entrambi hanno per oggetto un processo e non un prodotto4.

I due aspetti appaiono così profondamente legati che la MLT può definirsi come

‘teoria e prassi dell’apprendimento musicale5.

Mi sembra utile ora riportare le parole di Gordon sulla funzione che la MLT può

avere nel percorso di educazione musicale istituzionale.

Per secoli la teoria musicale nelle sue diverse forme è stata un pilastro nella formazione

dei musicisti. Ad ogni modo, ironicamente, considerando il modo in cui viene

generalmente insegnata, possiamo dire che la teoria della musica non esiste. Infatti,

dovremmo aspettarci che una teoria della musica spieghi come la mente umana dà

significato alla musica in maniera simile alle spiegazioni dei linguisti su come la nostra

mente dà significato al linguaggio.

I corsi istituzionali di quella che comunemente si definisce teoria della musica,

generalmente previsti durante i primi anni di studio musicale, sono semplicemente ridotti

all’interpretazione della notazione musicale. (...) Nei corsi avanzati viene spiegata una

grande varietà di forme compositive e, ancora una volta, l’enfasi viene posta sulle

caratteristiche della musica invece che sulla mente che inferisce il significato della 4 E. E. Gordon, L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare (1997), Trad. it., Edizioni Curci, Milano, 2003, p.40. 5 Riguardo a questa definizione, prezioso è stato il confronto con la Dott.ssa Carla Cuomo dell’Università di Bologna.

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musica.

La teoria dell’apprendimento musicale (MLT), che è una disciplina relativamente nuova,

spiega come apprendiamo sequenzialmente la musica. E inoltre assorbe il concetto di

notazione musicale in termini di audiation notazionale, soltanto come un aspetto del più

generale concetto di comprensione musicale. Allo stesso tempo pone la teoria della

musica in una posizione evidentemente subalterna.6

Riassumiamo ora l’iter di sviluppo della MLT sia dal punto di vista teorico che

pratico. Gordon ha svolto un’intensa attività di ricerca sull’attitudine musicale

negli anni sessanta mentre era professore presso la University of Iowa. Nel

processo che lo portò alla descrizione dell’attitudine musicale e alla sua

misurazione7, era fondamentale poter trovare un indicatore di questa nel soggetto

osservato. Da questi studi nasce il concetto di audiation8, che definisce la capacità

di sentire e comprendere nella propria mente i suoni di musica non fisicamente

presente, di mantenerli in mente, elaborarli e di prevederli9. La musica può non

essere fisicamente presente quando la percezione uditiva di essa è appena

terminata oppure è avvenuta nel passato o, ancora, quando durante l’ascolto o

l’esecuzione musicale si predicono suoni che devono ancora essere eseguiti. Può 6 E. E. Gordon, Clarity by comparison and relationship, GIA Inc, Chicago, 2008, p. 65. Traduzione di chi scrive. 7 Il corpus di testi, articoli scientifici e test sull’attitudine musicale pubblicati da Gordon a partire da quegli anni è vastissimo. Per una bibliografia completa su Gordon si rimanda alla pagina web http://www.aigam.org/libri.php. Vasta è altresì l’attività editoriale nell’ambito di riviste scientifiche: Gordon è stato membro del Editorial Committee del “Journal of Research in Music Education”, Editorial Associate del “Council for Research in Music Education” membro del Board of Editors di “The Quarterly”, General Editor di “Studies in the Psychology of Music: Experimental Research in the Psychology of Music” fra i fondatori di “Early Childhood Connections”. 8 Il termine ‘audiation’ appare per la prima volta in E. E. Gordon, Learning Sequence and Patterns in Music, Chicago, GIA, 1976. L’esigenza di creare un neologismo è derivata dal fatto che il processo mentale complesso che la parola descrive non trovava nei termini già esistenti una rispondenza di significato compiuta. Prima di coniare la parola ‘audiation’ il concetto veniva da Gordon espresso con la locuzione: «Hinged mosaic relationships linked to networks of comparative pattern structures» («Mosaico articolato di relazioni legato a reti di comparazione di strutture di pattern»]. E. E. Gordon, Awaking the World through Audiation in “Audea”, XII/3, Winter 2008, p. 4. 9 Per un approfondimento sul concetto di audiation si veda E. E. Gordon, Learning Sequences in Music: Skill, Content and Patterns, GIA ,Chicago, 20036, pp. pp. 3-11 e A. Apostoli, L'apprendimento musicale in etá prescolare: il concetto di audiation nella Music Learning Theory di Edwin Gordon in Musica ricerca e didattica, a cura di A. Nuzzaci, G. Pagannone, Pensa Multimedia, Lecce, 2008, pp. 203-224.

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inoltre non essere fisicamente presente quando si legge uno spartito mentalmente,

quando si improvvisa o si scrive musica. In tutti i casi descritti si esercita

l’audiation dei suoni soltanto dopo averli percepiti a livello uditivo: «Nella

percezione uditiva abbiamo a che fare con eventi sonori immediati, mentre invece

nell’audiation con eventi sonori differiti»10.

La capacità di audiation rende dunque possibile organizzare i suoni ascoltati in

sequenze di significato musicale e, al tempo stesso, di anticipare mentalmente

quelli che seguiranno, consentendo al soggetto di ascoltare o di fare musica con

comprensione. Possiamo dunque affermare con Gordon che «Il suono in sé non è

musica. Esso diventa musica soltanto attraverso l’audiation, quando, come nel

linguaggio, gli si attribuisce significato nella propria mente»11.

Le ricerche di Gordon sull’attitudine musicale, definita come potenziale di

apprendimento musicale, hanno portato alla identificazione di due tipi di attitudine

musicale: l’attitudine musicale in sviluppo, osservata nel bambino fino a circa i

nove anni di età e quella stabilizzata, osservata da circa nove anni in poi,

nell’adolescente e nell’adulto. Le ricerche effettuate da Gordon dimostrano come

la misurazione dell’attitudine musicale in sviluppo su uno stesso individuo,

effettuata in momenti successivi dà valori diversi e fluttuanti, mentre quella

dell’attitudine stabilizzata tende a rimanere costante negli anni. Da questo risultato

si è potuto dedurre che prima che l’attitudine si stabilizzi, l’ambiente con i suoi

stimoli e le esperienze musicali vissute dal bambino influiscano sul suo sviluppo.

Questo portò Gordon a concentrare la sua attenzione sul bambino nella prima

infanzia e sulle sue modalità di apprendimento musicale e a formare un

collegamento sempre più solido tra la sua attività di ricerca in psicologia della

musica e quella che lo portò allo sviluppo di pratiche educative e didattiche.

Vediamo ora come Gordon stesso descrive questo processo.

Dal 1958 al 1962, avevo già fatto molta ricerca sull'attitudine musicale,

sviluppando il test attitudinale Music Aptitude Profile. Avevo molta esperienza

sulle metodologie di ricerca e avevo diretto molte ricerche all'università, solo che

10 E. E. Gordon, Learning Sequences in Music, GIA Publications Inc., Chicago, 19975, p. 4. 11 Ivi, p. 5.

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non sapevo come applicare questa esperienza ai bambini molto piccoli. Iniziai a

studiare Vygotsky, Piaget, Montessori e altri.

Per un periodo di tre anni, due ore al giorno, cinque giorni alla settimana, sono

andato semplicemente a osservare i bambini da zero a tre anni. Non potevo

insegnare loro qualcosa perché non sapevo ancora cosa e soprattutto come

insegnare loro, così ho lasciato che loro insegnassero a me. Durante le loro attività

di gioco spontaneo, osservavo il loro modo di cantare piccole melodie spontanee

e, soprattutto, il loro modo di muoversi ritmicamente. Osservavo tutto e prendevo

molti appunti. Le mie ricerche sull'attitudine musicale mi hanno portato a capire

quanto era importante insegnare secondo le differenze individuali di ciascun

allievo; gli insegnanti, però, volevano sapere come applicare i risultati dei miei

studi nella prassi didattica. Io, d'altro canto, non volevo vivere nella torre d'avorio

della ricerca ma, invece, provarne sul campo i risultati. Un bravo ricercatore non è

necessariamente un bravo insegnante, ma non si può essere un bravo insegnante se

non si tiene conto dei risultati della ricerca. Nella mia vita ho incontrato tanti

insegnanti che non capivano la ricerca e tanti ricercatori che erano pessimi

docenti. Posso dire dunque che ricerca e insegnamento formano un percorso

circolare nella mia vita: più insegno e più imparo; più imparo e più divento un

bravo ricercatore; più ricerco e meglio insegno.12

Questo modo di procedere fatto di teoria e pratica, di ricerca empirica e

osservativa e di pratica educativa, possiamo senz’altro ascriverlo alla corrente

pedagogica del pragmatismo americano13.

Per queste ragioni nella MLT non si può scindere l’aspetto teorico da quello

pratico. E’ una teoria che spiega come i bambini apprendono la musica, fondata su

più di 40 anni di osservazione e di ricerca sperimentale, dalla quale scaturisce una

pratica educativa che si basa sui principi della teoria e allo stesso tempo, di

12 A. Apostoli, Intervista a Edwin E. Gordon, in “I Fiati”, V, n 39 agosto-settembre 1999, p. 26. 13 Che ha come riferimento principiale la figura di John Dewey a cui è legato lo sperimentalismo in educazione. Vedi J. Dewy, Le fonti di una scienza dell'educazione (1929), Trad. it., La Nuova Italia, Firenze, 1951.

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rimando, la nutre, sollevando interrogativi a cui si risponde, ancora una volta,

attraverso l’osservazione e la ricerca sperimentale.

Questo convegno non nasce con l’idea di celebrare quanto abbiamo fatto in questi

anni, ma di promuovere sempre di più l’importanza della ricerca sperimentale e

osservativa nel campo dell’educazione musicale.

Guardando all’iter della MLT in Italia ci rendiamo subito conto che non possiamo

considerarlo come un semplice “travaso” di un’esperienza americana in Italia.

Ho conosciuto Gordon nel 1998 e sono stato il suo primo allievo italiano. Dopo il

primo Mastership in Early Childhood Music, frequentato alla South Carolina

University, nello stesso anno applicavo in Italia la MLT nei primi corsi di

Musicainfasce®. Oggi, a dodici anni di distanza, l’AIGAM è un’associazione che

ha più di 100 insegnanti associati e circa 7.500 bambini iscritti in tutta Italia ai

corsi che promuove14.

Nei primissimi anni operai e operammo senza dubbio un travaso in Italia di

un’esperienza nata negli USA. Successivamente, abbiamo messo in atto progetti

di ricerca e di osservazione oltre ad aver promosso il confronto permanente fra

tutti gli insegnanti associati AIGAM nell’ambito delle supervisioni, straordinario

strumento di crescita e di sviluppo a cui gli insegnanti partecipano due volte

all’anno in gruppi. Gli aspetti che in particolar modo sono stati oggetto di studio e

di ricerca, sono quelli legati alla relazione col bambino e alla gestione dei gruppi

di bambini, di bambini e genitori e bambini ed educatori; quelli legati alla

preparazione e all’espressività musicale messe in atto dagli insegnanti nei corsi, e

quelli legati e al movimento, al respiro e all’emissione vocale. Lo stesso Gordon,

che dal 2000 al 2008 è venuto ogni anno a Roma contribuendo sia all’indirizzo

della nostra attività formativa sia alla formazione degli insegnanti associati

AIGAM, ha più volte manifestato i suoi apprezzamenti per il lavoro fatto e per i

contributi del tutto originali che questo lavoro ha prodotto. Allo stesso modo,

durante gli incontri di studio con i colleghi del GIML - Gordon Institute for Music

Learning15, abbiamo potuto constatare come la nostra offerta formativa abbia

importanti caratteristiche di originalità rispetto al modello americano. Tali aspetti 14 Dati provenienti un sondaggio realizzato nell’AIGAM da Arnolfo Borsacchi. 15 Il 18 luglio 2008 si è svolto a Roma nella sede della nostra associaizone l’AIGAM-GIML Study Day "Educational Needs and Teaching Goals of MLT Practitioners".

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sono stati considerati da parte dei referenti del GIML come utili esempi per

possibili sviluppi dell’offerta formativa negli USA.

Vorrei avviarmi alla conclusione del mio intervento con l’augurio che la MLT in

Italia continui a svilupparsi e ad evolversi grazie ad un atteggiamento rigoroso che

ci porti ad applicarne i principi in modo non pedissequo ma rispettando, al tempo

stesso, le acquisizioni venute dalle ricerche sperimentali e dalle osservazioni

realizzate in precedenza, e che queste acquisizioni possano essere vagliate nella

loro attuale validità o messe in discussione attraverso la ricerca.

Un metodo di procedere, questo, molto diverso da quello che sembra dominare

una parte della didattica musicale e che, nel nome del fatto che è bene non

chiudersi in un metodo, porta all’idea che mescolare pratiche afferenti a diversi - a

volte diversissimi (!) - approcci educativi e didattici possa essere la via giusta da

seguire. Inoltre, questa riduzione di metodologie complesse a singole pratiche o

strumenti operativi da utilizzare in modo sincretico, rischia di generare confusione

sugli obiettivi andando a cercare altrove le motivazioni che dovrebbero fare

finalmente della musica una materia fondamentale nella scuola.

Noi crediamo invece che:

l’insegnamento della musica abbia di per sé un valore, nella misura in cui consente agli

studenti di sviluppare le proprie capacità [...] in modo da acquisire le basi per imparare a

comprendere la musica e a comunicare con essa. La musica, dunque, ha la sua ragione

d’essere [...] nei programmi scolastici e pre-scolastici senza bisogno di dimostrare che sia

utile a qualcos’altro16.

16 E. E. GORDON, L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare, trad. it. di A.. Apostoli, Milano, Curci, 2003, p. 28 (ed. orig. ingl. A Music Learning Theory for Newborn and Young Children, Chicago, GIA Publictions, 19972).

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Perché Gordon a Santa Cecilia di Gregorio Mazzarese

Intendo innanzitutto ringraziare l’associazione Gordon e il suo Presidente Andrea

Apostoli e la sua organizzazione all’interno della quale intendo menzionare in

particolare la dott.ssa Silvia Biferale.

Il lavoro di coordinamento di una stagione come “Tutti a santa Cecilia!” Mi fa

incontrare tantissime persone che si occupano delle più svariate attività.

Alcune di esse mi hanno portato a cambiare la mia maniera di proporre la musica.

Una di queste è appunto il M° Apostoli.

La collaborazione fra Accademia Nazionale di Santa Cecilia e AIGAM è iniziata

6 anni or sono durante un incontro fra Andrea Apostoli e me.

Durante il primo incontro io proposi di effettuare concerti per bambini

“extrapiccoli” in una sala colorata con festoni attaccati, magari palloncini e altri

orpelli. Con il suo solito garbo Andrea mi fermò immediatamente e mi indicò la

sua via per proporre la musica ai ragazzi piccolissimi: una sala semplice, nuda,

con un semplice tappeto per poter far muovere i piccoli ascoltatori.

Insomma mi trasmise subito il suo pensiero secondo il quale il bambino e le sue

“piccole” capacità di ascolto sono al centro dell’evento. Non ero abituato a

confrontarmi con i neonati, ero abituato ad altre capacità di ascolto.

Da allora cambiai il mio modo di pensare e immediatamente è iniziato un

cammino che ancora continua.

Il vostro compito (Il compito degli operatori musicali che si dedicano ai più

piccoli, ndr) è importantissimo. Voi operate per creare le basi per una crescita

musicale e umana delle generazioni future. La musica, più di ogni altra disciplina

artistica e umanistica, si presta per un percorso di miglioramento delle le persone

nel mondo turbinante che ci circonda.

La compressione dei tempi che viviamo nel quotidiano, dove tutto è sempre più

veloce, trova il suo contraltare nei tempi della musica.

La musica si sviluppa nella quarta dimensione, la dimensione temporale appunto.

La cosa cui tengo molto in questo periodo è non bluffare con i ragazzi.

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Cosa intendo: “Tutti a santa Cecilia!” Ha avuto come primo obiettivo quello di

“colorare” la musica, cercando di avvicinare i più giovani alla musica classica,

rendendola più accessibile e più divertente.

Molti ragazzi si sono avvicinati e sono stati “invogliati” a continuare nel percorso

musicale, tanto è vero che gli spettacoli si sono moltiplicati e sono nati ben 7 cori

di voci bianche e 3 orchestre di ragazzi in seno all’Accademia Nazionale di Santa

Cecilia. In queste compagini i ragazzi possono approfondire le tematiche musicali.

Adesso siamo arrivati alla 2^ fase e non bisogna ingannare i ragazzi facendo

credere loro che è tutto facile e che la musica si impara in un mese. Nessuna arte

ha un percorso facile.

La musica, come la pittura, la danza o qualsiasi altra disciplina, va studiata con

impegno e ci si deve applicare con sacrificio. Questo va comunicato ai ragazzi.

Tutti coloro che vorranno approfondire le loro conoscenze musicali, sia come

musicisti che come semplici ascoltatori (e chi ha studiato musica lo sa),

troveranno sul loro cammino la “barriera” dell’impegno.

Il dovere di tutti quanti noi è quello di dare energia ed entusiasmo a quante più

persone possibile per superare eventuali sconforti, senza nascondere che la

disciplina e l’impegno sono indispensabili.

Sento vicinanza di intenti con AIGAM in questo percorso. Abbiamo alzato il

livello di qualità degli spettacoli progressivamente, e non parlo della qualità

musicale, ma della qualità di predisposizione del pubblico (dei genitori

ovviamente). Addirittura quest’anno viene proposto un incontro preparatorio

prima dei concerti “Che orecchie grandi che ho!” per far arrivare preparati i

genitori agli spettacoli.

Il mio intervento di oggi vuol essere una breve descrizione di quello che è stato

fatto insieme fino ad oggi da Accademia Nazionale di Santa Cecilia e AIGAM, e

allo stesso tempo un invito a tutti gli operatori presenti ad operare per valorizzare

sempre di più gli alti contenuti che la musica ha.

Il percorso musicale che inizia, grazie alla metodologia Gordon, in età tenerissima

deve proseguire anche dopo quando l’indirizzo dei genitori diventa meno forte e

quando le distrazioni, ludiche, mediatiche o di altro tipo si fanno avanti nelle

scelte dei ragazzi.

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La musica deve avere un valore prioritario nelle future generazione non solo come

momento di svago, ma in quanto strumento di crescita e maturazione della

persona.

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Acquisizioni, obiettivi e linguaggi dell’educazione musicale nella prima infanzia di Antonella Nuzzaci

1. L’educazione musicale nella prima infanzia

Porre l’attenzione sui significati educativi che la musica assume nella prima

infanzia merita particolare riguardo soprattutto alla luce degli studi più recenti1,

che testimoniano vistosamente come i primi anni di vita siano un momento

importante per la crescita musicale dei bambini e per la costruzione dei loro

profili culturali. Negli ultimi anni docenti e ricercatori hanno rimarcato da più

parti come l'educazione musicale offra numerosi e tangibili vantaggi agli

individui, specialmente a quelli in età prescolare, prevalentemente dal punto di

vista del rafforzamento trasversale delle abilità fondamentali che attengono alla

sfera cognitiva, psicomotoria, affettivo-relazionale e sociale. Se limitassimo però

il nostro ragionamento a tale constatazione dovremmo affermare che la musica

non ha di per sé un valore positivo ma è solo un mezzo di assistenza diretta alla

realizzazione di altre forme di apprendimento e che, cioè, possiede un carattere

meramente strumentale nei confronti di altri domini. Invece, sappiamo bene che

non è così, in quanto essa assume una doppia valenza educativa: da un lato,

perché ha una funzione espressiva in sé e rappresenta un dato importante della

cultura, che si costruisce e si ascolta dentro, attraverso e con l’orecchio di

quest’ultima; dall’altro, per il tipo di supporto che fornisce agli altri generi di

acquisizione.

L’obiettivo del mio contributo è dunque quello di dimostrare che i due versanti

devono essere sempre tenuti in debita considerazione se si vuole che le conquiste

musicali nella prima infanzia abbiano un significato intrinseco e specifico e che

nel rapporto con gli altri tipi di apprendimento garantiscano l’edificazione di una

base solida per i processi di alfabetizzazione e per il rinnovamento e il

consolidamento dei diversi profili della popolazione.

                                                                                                                       1 E. E. Hannon, E. G. Schellenberg, “Speech and music perception: initial abilities and early development”, in B. Kopiez, L. Oerter (Eds.), Musikpsychologie: Das neue Handbuch, Rowolht Verlag, Reinbek, 2008, pp. 131-142.

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Partirei, quindi, dalla riflessione che la musica è prontamente disponibile più o

meno ovunque, in tutti luoghi e situazioni, e può essere impiegata in qualsiasi

contesto (professionale, individuale, sociale ecc.) o momento dell’esistenza

umana (di distensione, di diletto ecc.). Tuttavia, gli individui non sono quasi mai

in grado di distinguerne né i costituenti di base né la sintassi e questo, a mio

parere, è un fatto assai grave. L’ascolto musicale di qualità, così, come ogni altra

forma di ascolto, è determinato sostanzialmente da meccanismi di selezione e di

discriminazione positiva e riconoscimento dei significati musicali, in termini di

“denotati” e “connotati”, fondati sull’uso e sulla consuetudine a fruire di certe

tipologie e varietà musicali. Imparare ad ascoltare i suoni della musica, riuscendo

a “comprendere”, è vitale per ogni bambino poiché costituisce una tra le attività

implicanti una serie di processi cognitivi nella relazione diretta con l’ambiente.

Sappiamo, infatti, come la musica sia un fenomeno intrinseco a tutte le culture e

possa produrre benefici sorprendenti in molti campi e non solo

nell’apprendimento delle lingue straniere, offrendo numerosi vantaggi nel

coadiuvare i processi di memorizzazione e attentivi, come pure nel coordinare e

coniugare differenti aspetti e dimensioni sia psico-fisiche che culturali.

I bambini creano la propria conoscenza del mondo musicale all’interno di

articolati percorsi di apprendimento che utilizzano mezzi espressivi come il gioco,

pensiamo alle principali attività che li impegnano nei primi due anni di vita nel

desiderio di conquistare l’ambiente circostante, di scoprirne le caratteristiche ed

utilizzarle per assolvere ai propri bisogni (lasciare cadere un oggetto per la gioia

di percepirne il rumore). Per questa ragione, da più parti, si incoraggia “la ludicità

musicale” che viene solitamente richiamata come modalità privilegiata che avvia

il bambino alla comprensione musicale e accresce le sue capacità apprenditive,

soddisfacendo le sue curiosità, verificando le sue conoscenze e consolidando ciò

che ha già assimilato adattandolo ai suoi scopi. Quando un bambino impara ad

“esperire la musica” stabilisce legami diretti tra sé e il mondo, poiché essa lo aiuta

a interpretare il “chi sono io” e chi è l’altro. Il rapporto che il bambino instaura

con il mondo sonoro dipende sostanzialmente dalla realtà sociale in cui si troverà

a vivere, la quale potrà incoraggiare o meno le esperienze musicali e spingerle in

una direzione o in un’altra.

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La questione non è allora solo quella di rendere gioco il “fare musica” dei bambini

perché maggiormente divertente o di fare della musica un elemento che

accompagni il gioco stesso o ne divenga parte, quanto piuttosto quella di

trasformarla, a livello educativo, in un potente strumento di crescita e di

evoluzione culturale che contribuisca ad incrementare e a fortificare

progressivamente precise abilità rendendo piacevole l’assunzione delle nuove

acquisizioni. Se è vero che capire il “gioco musicale” è vitale se si considera che

esso ha inizio e termine nella conoscenza e che diviene sperimentazione attiva del

bambino “della e sulla” musica, è altrettanto vero che un gioco musicale senza

obiettivi, che non rientra dentro i significati di una precisa intenzionalità

educativa, finisce per essere inutile o per mettere a repentaglio altre forme di

apprendimento.

Questo perché esso racchiude in sé una serie complessa di eventi che si possono

manifestare a diversa condizione, grado e caratteristiche; se di elevata qualità,

implica che il bambino sia coinvolto, apprenda, arricchisca ed eserciti abilità, e

cioè che l’attività sia finalizzata al conseguimento di diversi vantaggi, che nei

primi tre anni di vita sono anzitutto riconducibili al ritmo2, alla musicalità e alla

strumentazione, e venga adattata dagli adulti alle esigenze individuali di ciascun

soggetto. Ciò vuol dire che le invitabili prove casuali che un bambino farà con

uno strumento che gli è stato affidato per ascoltarne il suono andranno

gradualmente sostituite da esecuzioni disciplinate dall’intervento adulto che, per

esempio, battendo ad un certo ritmo un triangolo, inviterà i bambini a fare

altrettanto.

A circa sette mesi di età i bambini spesso sono stati familiarizzati con un modello

ambiguo di ritmo e ciascuno si muove sulle ginocchia dei genitori con una

cadenza scandita dall’adulto preferendo generalmente quella a cui è stato esposto

dialogando con loro. Purtroppo però esiste ancora un diffuso senso comune che

impedisce ai bambini di appropriarsi della musica in maniera adeguata e che è

causato dall’incapacità degli adulti di guidarli ed incoraggiarli ad esprimersi. Così

come è ormai assunto che insegnare, fin dalla più giovane età, ai bambini il senso                                                                                                                        2 E. E. Hannon, S. E. Trehub, “Tuning in to musical rhythms: infants learn more readily than adults”, in Proceedings of the National Academy of Sciences (USA), CII, 35, 2005, pp. 12639-12643.

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del ritmo3 è fattibile, è altrettanto possibile aiutarli a superare impedimenti nei

loro progressi con l'introduzione o il potenziamento di esposizioni precoci ai

linguaggi musicali e alla varietà dei loro sistemi (veri e propri alfabeti) e

sottosistemi. Prima che siano abbastanza grandi per fare da soli, i bambini

acquisiscono le abilità motorie tenendo tra le mani i ritmi veicolati dalle

filastrocche che recitiamo o le canzoni che cantiamo.

Può sorprendere infatti l’idea che quando i bambini battono un certo ritmo su un

tamburo o toccano con ritmo un tamburello stiano in realtà facendo di più che

“battere” qualcosa, ossia stiano compiendo un’attività che coinvolge dimensioni

importanti dell’imparare. Educativamente il rafforzamento del ritmo (battuta e

pausa), attraverso la struttura conoscitiva del gioco musicale, incrementa e

sostiene le competenze di coordinamento dei movimenti grossolani e fini, come

pure quelle linguistiche generali o di problem solving e di ragionamento spaziale4

che sembrano apparentemente distanti tra loro, ma che in realtà agiscono in una

logica di prossimità cognitiva. È chiaro dunque che il problema non è quello

dell’“ascoltare musica”, ma di concepirla all’interno di un processo di continuità

formativa, di regolarità nella ricezione, dove i prerequisiti precedenti pesano su

quelli successivi. Invero, un bambino che faccia il suo primo ingresso nel nido

dopo i due anni o anche nella scuola dell’infanzia e che non abbia alle spalle un

ascolto canoro rischierà con molte probabilità di apparire non intonato rispetto ad

uno che ha avuto un’esposizione precoce al canto. Ciò non dipende dalle capacità

naturali, bensì dalla quantità, varietà e qualità degli stimoli e strumenti “intonati”

a disposizione che agevoleranno l’assimilazione delle diverse altezze sonore e

dalla possibilità o meno di avere imparato a disporre e ad usare determinate

costruzioni sonore. Le esperienze ambientali svolgono, dunque, un ruolo

determinante nella crescita del bambino, anche se non tutte possono dirsi

                                                                                                                       3 Il ritmo viene considerato come uno dei principali elementi della musica. È misurato in “movimento” e si verifica anche in molte delle attività della vita. Vedi: S. Young, “Contributions to an understanding of the music and movement connection”, in Early Child Development and Care, CXV, 1, 1996, pp. 1-6; M.C. Ellis, “Tempo perception and performance of elementary students, grades 3-6”, in Journal of Research in Music Education, XL, 4, 1992, pp. 329-341. 4 F. H. Rauscher, L. S. Shaw, L. J. Levine, E. L. Wright, W. R. Dennis, R. L. Newcomb, “Music training causes long-term enhancement or preschool children's spatial-temporal reasoning”, in Neurological Research, XIX, 1, 1997, pp. 1-8.

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“educative”5; invero solo quelle che accrescono i significati dell’esperienza stessa

e che contribuiscono a ricostruirla e a riorganizzarla, oltre che a gestirla e

dirigerla, all’interno di precisi contesti, possono definirsi tali.

La musica, a livello di istituzioni educative della prima infanzia, è sempre stata

considerata intuitivamente da educatori e da insegnanti come un mezzo naturale

per migliorare l'apprendimento dei bambini piccoli: per facilitarli ad esprimere le

proprie emozioni, per calmarli e per farli crescere in un clima sereno, così come

anche per estendere la fiducia in se stessi o quella tra loro e le figure di

riferimento ecc.

Accade però spesso che coloro che si occupano di prima infanzia non siano

sempre in grado di sostenere il processo di acquisizione musicale nei bambini,

vale a dire non possiedano competenze e orientamenti precisi in fatto musicale e

non siano provvisti di idonei strumenti che gli consentano di guidarli

concretamente in tale percorso6.

Esiste ormai un’ampia letteratura che fornisce linee e principi guida, programmi

ecc.7 che danno indicazioni chiare per la formazione degli educatori e che

documenta una vasta gamma di azioni di programmazione per la prima infanzia

che includono nei loro modelli esperienze musicali tra le quali non è sempre facile

rinvenire obiettivi chiaramente identificati; e questo specie quando tali modelli

contemplano interventi o proposte culturali effettuate in contesti educativi

informali e non formali. Assistiamo, in particolare, al proliferare di approcci volti

a far emergere o a coltivare un presunto “potenziale musicale” dei bambini

piuttosto che a promuovere precise abilità. Ma che siano attitudini e

predisposizioni naturali o meno a creare i “geni della musica” questo non esime

dal dovere di educare musicalmente l’intera collettività.

L’idea che l’educazione musicale non possa prendere avvio esclusivamente nel

momento in cui si dà inizio al processo di alfabetizzazione primaria, ma richieda

invece una logica di progressione e di continuità che ha origine con la nascita (per                                                                                                                        5 J. Dewey, Esperienza e educazione (1938), La Nuova Italia, Firenze, 1993. 6 G. J. Gharavi, “Music skills for preschool teachers: needs and solutions”, in Early Childhood Arts Education, XCIV, 3, 1993, pp. 27-30. 7 C. D. Alper, “Early childhood music education”, in C. Seefeldt (ed.), The early childhood curriculum: a review of current research, Teachers College, Columbia University, New York, 1992, pp. 237-263.

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qualcuno anche in età prenatale) e che accompagna l’individuo tutta la vita,

appartiene ad una visione “costruttivista” del sapere, che vede l’eredità musicale

portatrice del patrimonio simbolico della cultura e che poggia le sue fondamenta

sulla sofisticata capacità dei bambini di elaborare gli stimoli musicali.

Di generazione in generazione, comunque, sono generalmente i genitori i primi a

dare un orientamento musicale ai loro figli, a fungere da iniziatori all’ascolto

musicale8. Infatti, la ricerca ha dimostrato che essi possono fare molto per creare

occasioni che alimentino favorevolmente l’atteggiamento di un bambino e la

consuetudine a fruire di musica qualitativamente apprezzabile con la quale è

possibile incrementare e fortificare l’apparato complessivo delle sue abilità.

Tuttora accade che la famiglia non sia nelle condizioni di offrire stimoli sonori

adeguati e che il bambino rimanga escluso da tali esperienze significative (come

hanno rivelato le diverse indagini nazionali e internazionali) con conseguenze non

sempre innocue sul processo di crescita. Pensiamo, per esempio, agli effetti

culturali che derivano dal disagio socio-economico9 in cui versano alcune

famiglie. Naturalmente noi crediamo che tutti i bambini debbano avere

l’opportunità di avvalersi di stimolazioni musicali idonee e di disporre di una

varietà di sollecitazioni uditive che agevolino l’ampliamento delle capacità

percettive essenziali per impedire il perpetrarsi di quei condizionamenti socio-

culturali, che hanno allontanato gli individui dalla musica colta e li hanno indotti

invece al consumo passivo di musica dozzinale, a basso costo cognitivo, la quale,

sorretta dal conformismo, li ha spinti progressivamente ad assumere atteggiamenti

di ascolto legati alla “suggestione” piuttosto che all’apprendimento e alla

fruizione consapevole; fattori che hanno impedito al processo di

democratizzazione culturale di diffondere ed affermare una vera e propria cultura

                                                                                                                       8 P. de Vries, “Music at home with the under fives: what is happening?”, in Early Child Development and Care, CLXXIX, 4, 2009, pp. 395-405. 9 A. Zenatti, “Milieu socio-culturel et développement”, in L’education musicale, 243, 1977, pp. 93-96; A. Zenatti, L'enfant et son environnement musical, EAP, Issy-les-Moulineaux, 1981.

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musicale capace di far divenire la musica una dimensione concreta

dell’apprendimento10.

2. L’oggetto musica: valore e dimensione dell’apprendimento

La musica consiste principalmente in una sequenza di toni e percezioni di essi da

cui dipende il significato della relazione tra suoni ed implica che molti aspetti e

variabili cognitive siano coinvolte nel trattamento delle sue diverse componenti.

Benché molte ricerche abbiano focalizzato l’attenzione sulla melodia, sul ritmo (le

relative lunghezze durate e la spaziatura delle note), sull’armonia (la relazione tra

due o più toni simultanei) e sui timbri (la differente caratteristica nel suono tra due

strumenti che suonano lo stesso tono), non possiamo ignorare che l’espressione

musicale si fondi su definite costruzioni sonore significanti (dimensione

determinata) e su altezze diverse composte in maniera articolata e varia

(dimensione indeterminata), ma soprattutto sul modo in cui fin dalla nascita la

mente risponde agli stimoli sonori, che deriva dal carattere e dalla qualità

dell’esperienza11, nonché dalla consuetudine all’ascolto; condizioni queste che

possono gradualmente modificare le reazioni musicali di un individuo, come

confermato da tutti quegli studi incentrati sulle famiglie di abilità che vengono

rivedute e supportate dalle competenze musicali12.

Ciò scaturisce prevalentemente dal fatto che le capacità uditive stabiliscono a

poco a poco un preciso e specifico rapporto tra parola e musica13, anche se i

bambini non perdono quasi mai l’abilità di spostarsi a volte, letteralmente, da

quello che sentono. Bambini di età superiore a 12 mesi, per esempio, mettono in                                                                                                                        10 A. Nuzzaci, “Quando la musica d’arte diventa accessibile: un patrimonio di tutti e per tutti”, in A. Nuzzaci, G. Pagannone (a cura di), Didattica, musica e ricerca. Profili culturali e competenza musicale, Pensa Multimedia, Lecce, 2008, pp. 33-111. 11 J. Dewey, Esperienza ed educazione (1938), La Nuova Italia, Firenze, 1993; J. Dewey, Arte come esperienza (1934), a cura di G. Matteucci, Aesthetica, Palermo, 2007; B. Reimer, J. Wright (eds.), On the nature of musical experience, The Universiry Press of Colorado, Niwot, 1992, pp. 246-248. 12 T. D. Bilhartz, R. A. Bruhn, J. E. Olson, “Effect of early music training on child cognitive development” , in Journal of Applied Developmental Psychology, XX, 4, 1999 , pp. 615-636; C. Doxey, C. Wright, “An exploratory study of children’s music ability”, in Early Childhood Research Quarterly, V, 3, 1990, pp. 425-440. 13 S. H. Anvari, L. J. Trainor, J. Woodside, B. A. Levy, “Relations between musical skills, phonological processing, and early reading ability in preschool students”, in Journal of Experimental Child Psychology, LXXXIII, 2, 2002, pp. 111-130.

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atto specifici processi selettivi nell’ascolto dei suoni che la letteratura ha mostrato

come significativi specie nel complesso percorso di apprendimento delle lingue14,

il quale rende poi specializzati e peculiari quelli relativi al proprio codice assunti

sostanzialmente nell’ambiente familiare. Allo stesso modo, nei differenti contesti

culturali, i bambini imparano a riconoscere le sonorità che il loro ambiente

definisce corrette ed a riprodurle, ad appropriarsi dei suoni con tempi e modalità

diverse, anche con combinazioni nuove o inedite15.

Ascoltare la musica non è dunque solo un'attività emotiva ma un complesso

processo cognitivo, che, se da un lato alimenta le nostre emozioni e la sfera

affettiva, dall’altro coinvolge l’assunzione complessiva del senso musicale16. È

per questo che, se è indiscutibile che l'ascolto dei diversi repertori musicali può

sostenere la memoria, l'apprendimento, il pensiero, il ragionamento logico e così

via, è altrettanto evidente che se non si abituano i soggetti fin da piccoli, con

stimolazioni pluridirezionali, ad un uso selettivo della musica, questa può finire

per divenire un elemento che distrae, che interferisce, non sempre positivamente,

con altre attività piuttosto che sollecitare le diverse sfere (cognitiva, psicomotoria

ecc.). Che si tratti di una melodia organicamente semplice o di un brano più

articolato, l’ascolto mirato e intenzionale contribuirà a portare dentro l’esperienza

del bambino “una storia musicale” o “narrativa” coerente, in grado di

incrementare le sue strutture di comprensione. La “natura della musica” è

multiforme in relazione al pensiero e all’apprendimento ed agisce, con il passare

degli anni e delle influenze esercitate dalle molteplici esperienze, più in profondità

di quanto crediamo.

È lecito ritenere, comunque, che l'esposizione precoce a tipi e generi di musica

differenti abbia effetti benefici sugli individui concorrendo a migliorare le loro                                                                                                                        14 D. Fisher, N. McDonald, “The intersection between music and early literacy instruction: listening to literacy!”, in Reading Improvement, XXXVIII, 3, 2001, pp. 106-115; G. R. Kolb, “Read with a beat: developing literacy through music and song”, in Reading Teacher, L, 1, 1996, pp. 76-77; D. Langfit, “Integrating music, reading, and writing at the primary level”, in Reading Teacher, XLVII, 5, 1994, pp. 430-431. 15 J. Fagen, J. Prigot, M. Carroll, L. Pioli, A. Stein, A. Franco, “Auditory context and memory retrieval in young infants”, in Child Development, LXVIII, 6, 1997, pp. 1057-1066. 16 I. Deliège, J.A. Sloboda (éds), Naissance et développement du sens musical, Presses Universitaires de France, Paris, 1995; C. S. Woods, “Phonemic awareness: a crucial bridge to reading”, in Montessori Life, XV, 2, 2003, pp. 37-39.

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diverse forme di prestazione, che possono essere misurate più facilmente nei

bambini in età scolare ma che rimangono significative anche nei bambini in fase

prescolare, particolarmente in quelli con deficit di attenzione, iperattività ecc.

Tanto è vero, che è ancora in corso il dibattito sul ruolo che la musica svolge nel

predisporre un ambiente rilassante e migliorare l'umore o nel prevenire pensieri

intrusivi quando si studia o ci si concentra nei diversi compiti di apprendimento,

anche se sembra assai difficile assumerla come “sottofondo” per il perseguimento

delle altre acquisizioni, in quanto essa, per struttura e ritmo, impegna la logica, la

soluzione dei problemi e altre forme di ragionamento17. Riguardo l'apprendimento

e le prestazioni legate alla memoria, è essenziale ricordare come un’educazione

musicale efficace non debba nella prima infanzia avere solo una componente

vocale; sovente invece accade che l’approccio privilegiato con i bambini piccoli si

fondi “esclusivamente” sulla rievocazione delle parole delle canzoni, delle

filastrocche ecc., che sicuramente sono dispositivi capaci di contribuire a

promuovere “i significati della musicalità”, ma che non sempre incoraggiano una

proposta educativa volta ad edificare i primi elementi della grammatica musicale,

cioè tutto quello che si suppone sia musicalmente rilavante e degno di essere

ricordato. Non c’è dubbio ovviamente che le parole supportino il processo di

acquisizione musicale; infatti i bambini spesso compongono le canzoni quando

suonano degli strumenti e questo li aiuta a capire struttura e flusso del linguaggio

musicale; tuttavia occorre accertarsi che esse non rimangano l’unica via di

assunzione di tale linguaggio.

Si comprende come la musica sia un fenomeno che contribuisca a far crescere il

bambino nella sua interezza, il quale ha bisogno di appropriarsi di competenze

motorie fondamentali, come lo stare in piedi, il camminare, il correre e il saltare o

di quelle di motricità diversa quali l’afferrare, il toccare ecc. e la cui strutturazione

può richiedere l’impiego di un certo rigore musicale. Si veda allora come la

musica, a tali condizioni, riesca ad incrementare la memorizzazione di peculiari

sequenze o condotte motorie. Rispondere ad uno stimolo musicale o meno

attraverso l’uso del corpo vuol dire, ad esempio, potenziare alcune dimensioni                                                                                                                        17   A.   B.   Graziano,  M.   Peterson,   G.   L.   Shaw,   “Enhanced   learning   of   proportional   math  through  music  training  and  spatial  temporal  reasoning”,  in  Neurological  Research,  XXI,  2,  1999,  139-­‐152.    

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dello sviluppo fisico generale, che ne beneficerà a diversi livelli. È assodato come

la risposta di un bambino ad un suono sia un fatto naturale che permette di

acquisire tempi, coordinamento e ritmo. Abilità motorie dei bambini si

affineranno più rapidamente e con maggiore forza e fiducia se verranno lasciati

tempi sufficienti per consentirgli di imparare dai propri errori; aspetto questo che

include anche l’esame del rapporto musica/movimento. Un primo passo da

compiere potrebbe essere quello di far assumere loro la padronanza di un ritmo

costante. Essere in grado di esprimere una battuta ad un certo ritmo può essere

determinante per appropriarsi di un movimento coordinato, come anche per

ampliare tutte quelle capacità corporee che sono in stretta relazione con

competenze di controllo come il disegno o il taglio.

Se la melodia della musica è qualcosa che si sente, il ritmo è qualcosa che

sentiamo apprendendolo, pertanto per muoversi al tempo di musica, abbiamo

bisogno di saper distinguere un ritmo forte da uno debole. Normalmente, i tempi

forti sono più duri o più lunghi e si può facilmente prendere, trovare o interpretare

un certo ritmo. Alcuni ricercatori hanno scoperto che quando i bambini giocano

solitamente utilizzano un ritmo ambiguo, senza accenti fisici, che solo le influenze

musicali di qualità, a poco a poco, possono rendere più chiaro incidendo sul

conseguimento di altri traguardi e requisiti, come ad esempio sul modo in cui i

bambini percepiscono un battito. Cerchiamo di spiegare meglio questo concetto a

partire dall’obiettivo del nostro contributo.

3. Definire gli obiettivi dell’educazione musicale nella prima infanzia

Se è vero che la musica ha giocato un ruolo importante nell'educazione dei

bambini per diversi secoli, pur intervenendo come elemento della formazione solo

dopo i primi anni della vita infantile, ancora oggi la maggior parte degli individui

non viene esposta in età prescolare, se non casualmente, a stimoli o ad esperienze

che definiamo significative, non riuscendo quasi mai nel tempo a raggiungere

obiettivi di base dell’alfabetizzazione musicale. È noto come l’educazione

musicale permetta di affinare le possibilità di percezione e di espressione dei

bambini, le quali concorrono a stabilire un equilibrio generale che da adulti li

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spingerà a divenire fruitori musicali consapevoli18. Allo stato attuale purtroppo

però la scuola rimane l’unica via di accesso alle pratiche musicali, riconoscibili

ancora come “zone transitorie” sul piano della conoscenza, e l’apprendimento

musicale viene comunemente ricondotto alla sola capacità del bambino di

possedere tecniche strumentali specializzate al fine di suonare uno strumento, da

solo o in gruppo, mentre quasi mai viene concepito come concreta occasione per

migliorare la consapevolezza circa il ruolo e il posto che la musica occupa

all’interno dell’esistenza di ogni individuo, la quale si costruisce proprio a partire

da interventi diretti a formare in ciascuno una disposizione favorevole all’ascolto

musicale, che sul piano dell’uguaglianza delle opportunità vuol dire non

accontentarsi nei programmi di educazione sonora di mettere in gioco solo le

attitudini e le doti naturali.

È ovvio dunque che l’educazione nella prima infanzia debba dirigersi su attività

concernenti prevalentemente il suono, la voce e su pratiche strumentali che

favoriscono un primo approccio al codice musicale. Per tale ragione pare

conveniente volgersi alla realizzazione di pratiche tese a far padroneggiare ai

bambini la molteplicità e la diversità dei corpi sonori19 utilizzati secondo modalità

che facilitano, attraverso l’articolazione dei diversi approcci sensoriali e gestuali,

l’accesso al ritmo. Le azioni educative, però, sia nelle loro molteplici articolazioni

(giochi sonori e ritmici), sia nelle diverse forme di esplorazione musicale,

rimangono rispetto alla dimensione “ritmo” spesso relegate al dominio imitativo

(ripeti ciò che faccio) e non appropriativo (fate ciò che siete capaci di costruire

con padronanza). In questo quadro interpretativo, la parola ritmo non viene

associata ad un aggettivo e la creazione e la produzione in funzione di un progetto

musicale sono completamente assenti.

La musica, quale strumento atto ad accrescere le abilità cognitive, sociali,

relazionali e psicomotorie, induce necessariamente alla definizione di mete chiare

in educazione, dalle quali non si può prescindere. Tuttavia, gli obiettivi essenziali

                                                                                                                       18 A.LeBlanc, “The development of music preference in children”, in C. Peery, IW Peery, TW Draper (ed.), Music and child development, New York, 1987, pp. 137-157. 19 J. Risset J.-C., “La musique et les sons ont-ils une forme?”, in La recherche, 305, 1998, pp. 98-102; E. Dumaurier, La perception dans le monde sonore, EAP, Paris, Psychologie et Pédagogie de la Musique, 1990.

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nella scuola dell’infanzia non possono prescindere dalla necessità di mettere in

grado i bambini di divenire autonomi e di impossessarsi di quelle abilità che gli

permettano di acquisire un linguaggio vocale e sonoro ricco, organizzato e

comprensibile. Gli apprendimenti si dovrebbero sostanzialmente strutturare in

domini che pongono le basi per la creazione di un “ascoltatore competente” e che

riguardano la capacità:

- di appropriarsi del linguaggio musicale identificando suoni e ritmi e

riproducendoli;

- di dotarsi di quelle abilità e dispositivi che consentano l’acquisizione di un

ricco linguaggio vocale e sonoro;

- di fruire delle varietà del mondo musicale, imparando ad ascoltare le diverse

forme di espressione sonora;

- di agire ed esprimersi attraverso la musica (percepire, sentire, immaginare e

creare i suoni e ritmi);

- di utilizzare oggetti o strumenti sonori per produrre musica (suoni, canzoni

ecc.).

La preoccupazione principale per un’educazione musicale nella prima infanzia

consiste essenzialmente in una vasta acquisizione di repertori sonori e di canzoni,

di ritmi. Se ci riferiamo ad ambienti educativi come l’asilo nido o la scuola

dell’infanzia dobbiamo indubbiamente pensare ad azioni educative musicali rette

da competenze pedagogiche e musicali che permettano ai bambini di conquistare

abilità musicali di base, quali: saper vocalizzare per esplorare delle varianti di

timbro, di intensità, di altezza, segnare il tempo con l’aiuto di un oggetto sonoro,

tenere il tempo in situazione di imitazione, individuare e riprodurre delle formule

ritmiche semplici con il corpo o con gli strumenti, coordinare un testo parlato o

cantato e un accompagnamento corporeo o strumentale e così via.

Tale repertorio, però, acquisibile al termine della scuola dell’infanzia, non può

prescindere da aspetti riguardanti soprattutto:

- l’area psicomotoria, in termini di movimenti riflessi, movimenti

fondamentali di base, abilità percettive, abilità fisiche, movimenti

specializzati e comunicazione non verbale. Prendiamo, ad esempio, la

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capacità di discriminazione uditiva dei bambini in età prescolare oppure la

capacità di differenziare suono-rumore.

- le capacità percettive, per esempio, riguardano la discriminazione

cinestetica, la consapevolezza del corpo (bilateralità, lateralità, dominanza

sinistra-destra, equilibrio) e dell’immagine corporea, le relazioni tra il

corpo e gli oggetti circostanti nello spazio, ma soprattutto la

discriminazione uditiva, visiva, la differenziazione visiva, l’acutezza

uditiva, l’orientamento, la memoria uditiva, la discriminazione tattile, le

abilità di coordinate, come la coordinazione occhio-mano, quella occhio-

piede.

È chiaro allora che al centro degli obiettivi dell’educazione musicale nella prima

infanzia si trovano i processi di discriminazione uditiva che concernono:

- l’acutezza uditiva, quando il bambino è capace di ricevere e differenziare

vari suoni e la loro corrispondente altezza e intensità. In questa

suddivisione potrebbero rientrare comportamenti quali la differenziazione

tra suoni di vari strumenti, il riconoscimento di suoni prodotti da animali

domestici, l’individuazione dei suoni corretti delle vocali e delle

consonanti di parole pronunciate ecc.;

- l’orientamento uditivo, quando il bambino sa distinguere la direzione di un

suono e la segue;

- la memoria uditiva, quando si esprime la capacità del bambino a

riconoscere e riprodurre le esperienze uditive passate. Esempi di

comportamenti di questo tipo potrebbero includere il ripetere una canzone,

l’eseguire a memoria una sequenza sonora, il ripetere una filastrocca con

un certo tempo,

La discriminazione uditiva, proprio perché rientra nelle capacità percettive, ha

probabilmente maggiore relazione con i comportamenti cognitivi, anche se, al

momento della risposta, il bambino si esprime con un atto psicomotorio. La

sequenza motoria può costituire uno schema ritmico riconoscibile, movimento

locomotorio e non locomotorio. È facile intuire che le funzioni percettive e

motorie all’inizio siano inseparabili e che le esperienze educativo-musicali

contribuiscano a rinforzare essenzialmente alcune capacità del bambino, a

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strutturare e far percepire più efficacemente gli eventi a cui si trova esposto. È

proprio grazie all’idoneo funzionamento delle capacità percettive e alla loro

relativa stimolazione educativa che il bambino viene messo in grado di decifrare

gli stimoli elaborati dall’ambiente e poi di adattarsi ad essi. La discriminazione

uditiva è al centro del processo di acquisizione musicale ed è potente stimolo per

le “memorie” di molti tipi. Si intende qui sottolineare il ruolo che gioca la

consapevolezza “fonologica”20 all’interno dell’attività musicale, che aiuta

concretamente il bambino a concentrarsi su ciò che sta facendo, a far valere il

proprio contenuto cognitivo ed emotivo. Se è vero allora che la promozione delle

competenze musicali nei bambini produce un impatto positivo su processi interni

come l’attenzione o la memoria21 ed ha un effettivo beneficio anche sullo sviluppo

cognitivo e fisico, nonché su specifiche famiglie di abilità, come quelle

linguistiche o spaziali, non possiamo ignorare in età prescolare l’importanza di

obiettivi incentrati sull’acquisizione di tutti quei dispositivi strutturali della

personalità atti ad agevolare l’edificazione di un profilo culturale forte. È bene

precisare, che pur restando ferma la necessità di competenze specifiche, il

discorso sull’apprendimento musicale dovrebbe allargarsi investendo una serie di

abilità che possono qualificarsi come “trasversali”, acquisibili nel corso del tempo

con l’esperienza e indispensabili all’“orchestrazione” e organizzazione della

conoscenza; esse rinviano sia alla dimensione sociale, come la capacità di essere

attenti, di lavorare in gruppo, sia alle dimensioni di altri livelli come il controllo di

sé, la capacità di memorizzare, di ascoltare, di avere consapevolezza fonetica, di

comunicare con il linguaggio musicale, di rispettare le scelte degli altri, di

formulare ipotesi nelle situazione problematiche, di prendere in conto il rischio, di

valutare le risposte, di costruire i concetti fondamentali di spazio e tempo e così

via.

Si tratta, in particolare, di focalizzarsi su quelle aree di competenza che ruotano

attorno alla capacità di mettere in grado il bambino di comunicare al meglio con i

suoi coetanei e con gli adulti che lo circondano e di incoraggiarne l'espressione di

                                                                                                                       20 L. Ericson, M. F. Juliebo, The phonological awareness handbook for kindergarten and primary teachers, International Reading Association, Newark, 1998. 21 L. J. Trainor, L. Wu, C. D. Tsang, ”Long-term memory for music: infants remember tempo and timbre”, in Developmental Psychology, VII, 3, 2004, pp. 289-296.

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pensieri e idee attraverso la varietà dei linguaggi musicali e delle altre forme

espressive, come ad esempio il disegno. Vediamo a questo proposito come

“cantare e ballare la musica” aumenti le competenze motorie e potenzi la

coordinazione occhio-mano, ma provveda anche a migliorare il controllo del

proprio corpo, con la conseguenza di incrementare anche altre componenti, quali

l’autostima e la socialità.

Così, alla base dell’educazione musicale del bambino in età prescolare risiedono

le capacità cognitive del bambino, la sua espressione emozionale e la sua

autonomia. Gli anni della prima infanzia sono quelli più importanti per lo

sviluppo musicale, il quale diverrà maggiormente visibile nel periodo scolastico

quando la misurazione dei prerequisiti sarà regolata e scansionata in modo

diverso. Bambini che frequentemente giocano o cantano la musica è probabile che

abbiano nella scuola primaria un rendimento migliore in lettura22 e matematica23,

ma è pure prevedibile che siano facilitati nelle loro relazioni con gli altri. Infatti,

la scrittura, la lettura e l’ascolto musicale, così come la lettura e la scrittura

alfabetiche, sono da considerarsi strumenti indispensabili per accedere ai repertori

simbolici della cultura senza i quali si generano, per recuperare impropriamente

un’espressione di Italo Calvino, individui “dimezzati”.

In tale direzione, definire con chiarezza gli obiettivi di uno sviluppo musicale per

neonati e bambini in età prescolare diviene il focus intorno al quale ruota l’uso

delle diverse sorgenti sonore e la selezione dei “fonemi” musicali, così come

quello delle attività che coinvolgono il canto, le filastrocche, le rime ecc. o una

grande molteplicità di metri e di toni differenti. In bambini molto piccoli è

prioritario lavorare su espressioni sonore improvvisate, aspetto che richiede agli

educatori il possesso di elevate e raffinate competenze e conoscenze pedagogiche

finalizzate all’assunzione di scelte musicali appropriate all’interno di una vasta

gamma di metodologie e strumenti educativi, nonché culture e stili musicali. C’è

                                                                                                                       22 J. Barwick, E. Valentine, R. West, J. Wilding, “Relations between reading and musical abilities”, in British Journal of Educational Psychology, LIX, 2, 1989, pp. 253-257; S. H. Anvari, L. J. Trainor, J. Woodside, B. A. Levy, “Relations among musical skills, phonological processing, and early reading ability in preschool children”, in Journal of Experimental Child Psychology, LXXXIII, 2, 2002, pp. 111-130. 23 J. Cheek, L. Smith, “Music training and mathematics achievement”, in Adolescence, XXXIV, 136, 1999, pp. 759-761.

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chi suggerisce di incoraggiare la formazione musicale nei bambini piccoli

esponendoli sia alla musica dal vivo sia a quella registrata allo scopo di ampliare

la serie di “fonti” a disposizione migliorando in tal modo l’integrazione tra registri

sonori diversi.

Se è evidente come nulla però sia stato ancora fatto per disciplinare al meglio gli

obiettivi dell’educazione musicale in termini di strutturazione dei fondamenti e

dei codici principali organizzati secondo una continuità alfabetico-musicale che

attraversa la vita infantile, occorre tuttavia fare un distinguo tra educazione

musicale condotta all’interno di istituzioni quali l’asilo nido e la scuola

dell’infanzia e altre forme educative che sopravvivono all’interno dei diversi

contesti sociali, come scuole musicali, associazioni ecc. L’attività musicale

effettuata all’interno di istituzioni come quelle menzionate mirano a costruire

prioritariamente i dispositivi della “voce” e “dell’ascolto” quali strumenti culturali

di apprendimento, che forniscono ai bambini la possibilità di assumere

progressivamente i mezzi della comunicazione e dell’espressione musicale come

parte integrante di sé, ovvero li dotano dei mezzi basilari per apprezzare

armoniosamente la melodia e la sonorità della parola e del suono, sostegni

privilegiati a molti generi di apprendimento, ai movimenti e alle attività del corpo,

nonché ai differenti linguaggi.

In questo senso, diventa sempre più impellente l’esigenza di organizzare

un’adeguata formazione musicale degli educatori affinché possano riuscire a

predisporre ambienti ricchi di stimoli atti a consentire una valida esplorazione

degli elementi sonori, dei dispositivi e degli strumenti musicalmente significativi.

Attualmente si cerca di modificare la situazione culturale con corsi di

aggiornamento affidati ad operatori che non sempre sono sufficientemente

preparati in questo settore; il che impedisce il diffondersi di una corretta

informazione in merito a tali problematiche. In realtà sappiamo innanzitutto come

non sia possibile affrontare tali questioni senza una formazione pedagogica

adeguata che miri a far uscire l’educazione musicale per la prima infanzia da

schemi convenzionali che rispecchiano atteggiamenti meramente spettacolari o di

massa e di farla vivere dentro l’esperienza della quotidianità di ciascuno. Per far sì

che ciò avvenga è opportuno riferire i fatti espressivi musicali ai livelli del

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bambino e agli obiettivi che la musica dovrebbe consentire di raggiungere.

Diviene allora determinante individuare gli elementi costitutivi di un’educazione

musicale di qualità che consenta a tutti i bambini in età prescolare, senza

preclusioni di carattere sociale e/o culturale, di accedere ai “significati” di cui la

musica è portatrice. Ma per fare questo occorre mettere in atto:

• pratiche di apprendimento coerenti e rigorose che tengano conto

dell’importanza dell’ascolto e della produzione di un bambino da solo e in

gruppo;

• una riflessione sull’articolazione tra le diverse competenze e conoscenze

musicali;

• una valutazione dei supporti, delle loro specificità e dei loro adattamenti ai

bisogni musicali di ciascun bambino.

L’apprendimento della musica quale bisogno socialmente funzionale non può che

porsi come mezzo conoscitivo capace di far superare al bambino la dimensione

della “contingenza” proiettandolo in quella dell’opportunità e del cambiamento,

che maggiormente caratterizza il senso della comprensione musicale. Ma

sappiamo anche come la padronanza in certe abilità migliori quando la fiducia

venga favorevolmente incrementata e si possa giungere a fare qualcosa con

successo: ciò attiene ad una più profonda dimensione della conoscenza data dalla

costruzione della disponibilità ad apprendere la musica che non può prescindere

dalla formazione di precise competenze pedagogiche. Da questi elementi

imprescindibili bisogna partire se si vogliono elaborare proposte musicali

qualitativamente apprezzabili per la prima infanzia, che permettano di superare la

logica della discontinuità negli interventi per entrare in quella della scansione

articolata degli apprendimenti nel tempo; una logica che rappresenta,

nell’alternarsi dell’azione individuale e sociale di coloro che operano all’interno

del territorio dell’educazione musicale, un modo per opporsi alla fragilità

dell’improvvisazione che non permette ai soggetti di costruirsi un quadro

interpretativo entro il quale si definisce la competenza musicale del fruitore.

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II SEZIONE

L’IMPORTANZA DI UN ASCOLTO MUSICALE PRECOCE

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L'ascolto musicale: un'esperienza che nasce nella relazione di Arnolfo Borsacchi

E' patrimonio comune alla maggior parte delle metodologie di educazione

musicale e dei programmi di educazione musicale considerare l'ascolto di musica

come momento fondamentale del percorso di educazione musicale dell'individuo.

Esaminando nello specifico il modo in cui il tema dell'ascolto musicale

viene affrontato nei testi e nei programmi ai quali l'educatore o l'insegnante

dovrebbero fare riferimento per realizzarlo insieme ai propri alunni, si nota come

sia dato ampio spazio al trattare quale tipo di musica debba essere ascoltato, in

quale luogo, con quali finalità, quali azioni l'insegnante e gli alunni debbano

svolgere durante l'ascolto.

Meno frequentemente, invece, si parla delle differenze che intercorrono fra

l'esperienza dell'ascolto musicale e quella del semplice sentire musica e di quali

eventi o azioni, all'interno della relazione educativa, rendano possibile questa

differenziazione, che riteniamo essere il punto a partire dal quale l'ascolto

musicale diventi realmente un'esperienza educativa.

Notiamo, inoltre, come la grande varietà di metodi, di prassi educative, di

finalità più o meno palesemente espresse, renda evidente come, anche fra chi si

occupa di educazione musicale e musica, esista una molteplicità di significati o

sensi attribuiti alla musica stessa e all'educazione musicale e come, di

conseguenza, ogni teorico dell'educazione musicale ed ogni educatore musicale

aderisca a percorsi di educazione musicale, o ne crei di propri, a partire dai diversi

sensi che attribuisce alla musica.

Riteniamo che per poter parlare in modo più approfondito della valenza

educativa dell'ascolto musicale sia necessario riflettere sui concetti, le azioni e gli

oggetti che ivi entrano in gioco e provare a definirli: al momento in cui li avremo

definiti, proveremo a riflettere sul modo in cui, attraverso l'esperienza, a tali

oggetti e azioni sia attribuito un senso, o, come vedremo, piu' sensi, dall'individuo

e su come questa attribuzione di sensi nasca all'interno di una relazione e

costituisca la base a partire dalla quale l'atto dell'ascolto musicale si differenzia

dall'atto del sentire musica e diventa un'esperienza educativa.

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Successivamente vedremo come la prassi educativa della Music Learning

Theory di Edwin E. Gordon rispetti i processi di attribuzione di senso che si

attuano nei confronti della musica e faccia sì che l'educatore musicale

contribuisca, grazie alle modalità con cui propone l'ascolto musicale,

all'acquisizione, da parte del bambino, di strumenti che rendono possibile un

ampliamento dei sensi che il bambino stesso attribuisce alla musica e la scoperta

della possibilità di manipolare in modo attivo, creativo e consapevole il

linguaggio musicale, per mezzo dell'Audiation affinché pensiero e linguaggio

musicale diventino per lui, contemporaneamente, una competenza e una risorsa.

L'oggetto dell'ascolto: la musica

Riteniamo fondamentale punto di partenza del percorso che qui sopra

abbiamo brevemente descritto, focalizzare l'attenzione su cosa sia la musica.

Qualsiasi persona cui venga posta questa domanda fornisce una risposta o

più risposte: molte di queste risposte sono diverse fra loro, anche se generalmente

possiamo notare alcune costanti: dietro a tutto questo ci sono dei perché che

vorremmo provare a sintetizzare in questo paragrafo.

La musica fa parte degli Human Universals (cfr. Brown, D.E.: Human

Universals, 1991): non esiste cultura che non abbia sviluppato la musica: per

questo possiamo affermare che la musica è un oggetto culturale universale.

Analizzando l'oggetto culturale “Musica” possiamo dire che e' un

linguaggio espressivo costituito di suoni organizzati secondo regole sintattiche,

create dalle culture umane, che variano nel tempo e nello spazio.

Le innumerevoli diverse risposte che le persone danno alla domanda “cos'è

la musica?” ci fanno notare, però, come la definizione dell'oggetto culturale

“musica” che abbiamo appena dato non sia sufficiente a descrivere cosa sia la

musica per le persone: genericamente il tipo di risposta data descrive la musica

come un linguaggio espressivo che coinvolge la persona a tantissimi livelli:

emotivo, affettivo-relazionale, senso-motorio, cognitivo.

Questi livelli, o sfere, che nell'esperienza musicale sono compresenti e si

compenetrano, contribuiscono all'attribuzione di senso che l'individuo opera nei

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confronti della musica.

L'essere umano adulto attribuisce quindi, generalmente, più sensi alla

musica, sulla base delle esperienze fatte nel corso della vita con l'oggetto culturale

“musica”: riteniamo corretto affermare che nessuno di questi sensi possa o debba

essere considerato sbagliato o improprio.

La domanda che possiamo porci adesso, alla luce del tema che stiamo

affrontando, potrebbe quindi essere la seguente: l'attribuzione dei possibili sensi

che l'individuo opera sull'oggetto culturale “musica” avviene unicamente

attraverso un meccanismo basato sulle esperienze individuali con essa o vi

concorrono altri meccanismi legati alla relazione fra individui?

Questa seconda ipotesi ci appare più reale in quanto supportata da alcune

osservazioni e deduzioni che si ispirano ad altri studi relativi ai meccanismi di

trasmissione culturale e alla produzione di senso.

La prima osservazione che potremmo fare per sostenere tale ipotesi è che

se i diversi sensi attribuiti alla musica nascessero esclusivamente sulla base

dell'esperienza individuale allora dovremmo avere, nella popolazione, una

distribuzione casuale di tali sensi, mentre possiamo facilmente notare come gruppi

di persone che stanno in relazione condividano, spesso, una gran parte di questi

sensi: possiamo, quindi, affermare che all'interno di gruppi di persone, legate da

una relazione e da significative esperienze svolte insieme, esista un senso comune

della musica o meglio un senso più o meno comune, o, meglio ancora, un insieme

di sensi più o meno comuni.

La seconda osservazione nasce, invece, da un'analogia coi meccanismi di

attribuzione di senso e di esplorazione delle affordances di altri oggetti culturali,

che ai nostri occhi possono apparire più semplici e meno nobili di quello musicale

ma che riteniamo che vengano scoperti e conosciuti e in modo simile.

Pensiamo ad un artefatto qualsiasi, per esempio ad una forchetta:

l'attribuzione di senso nei confronti di tale oggetto culturale non avviene

solamente per mezzo di un'esplorazione in solitario, da parte del soggetto, di tutte

le caratteristiche dell'oggetto e di tutti i possibili atti che con tale oggetto

potrebbero essere svolti, bensì dalla compresenza di un'esplorazione individuale e

un'esplorazione guidata, che potremmo anche chiamare accompagnamento

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culturale, che si realizza nel momento in cui un altro individuo, che ha già

attribuito un repertorio di sensi all'oggetto in questione e ne ha selezionato le

affordances che ritiene più funzionali al contesto in cui l'oggetto viene proposto,

vive insieme al soggetto l'esperienza di scoperta o ri-scoperta dell'oggetto

culturale in questione, agendovi o co-agendovi in modo autentico, insieme al

soggetto, scoprendo, per così dire, le carte relativamente al senso e, di seguito

anche alle affordances, che a quell'oggetto attribuisce.

Questa sintesi fra l'esplorazione individuale e quella guidata da un

accompagnamento culturale si realizza quindi nell'intersoggettività, per mezzo di

meccanismi di identificazione, di empatia, di imitazione e di attaccamento

laddove esista una relazione affettiva molto forte fra il soggetto e

l'accompagnatore.

L'osservazione di come tale meccanismo di attribuzione di senso

intersoggettivo si realizzi, ci porta a ritenere, inoltre, e ce ne danno conferma le

recenti scoperte nell'ambito delle neuroscienze, come esso non sia vincolato

necessariamente ad una razionalizzazione o verbalizzazione delle azioni compiute

sugli oggetti o con gli oggetti culturali, ma al modo in cui l'accompagnatore, o

“compagno culturale esperto”, si relaziona con questi col corpo, con le emozioni

e con gli atti.

L'equilibrio fra le due componenti presenti in questo processo di scoperta e

di attribuzione di senso agli oggetti culturali permette così che gli individui

attribuiscano ad essi dei sensi condivisi con altri individui ma possano anche

esplorarne altri e farli propri: se l'accompagnatore culturale agisse,

paradossalmente, pretendendo dall'altro elemento della relazione un'attribuzione

di senso alle cose esattamente identica alla sua, agirebbe in una direzione tendente

alla clonazione culturale; se l'accompagnatore negasse il suo ruolo all'interno della

relazione o vi si inserisse in un modo artificioso e non autenticamente basato sul

senso che egli attribuisce alle cose, la relazione di accompagnamento culturale si

interromperebbe e l'altro si troverebbe nella condizione poco credibile di dover

assegnare un senso alle cose individualmente e sulla base di un'esperienza svolta

totalmente in solitario.

Possiamo quindi sostenere l'ipotesi che anche il processo di attribuzione di

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senso, o, come abbiamo gia' detto più volte, di sensi, nei confronti della musica, si

svolga secondo un meccanismo analogo.

Se, passando dal generale al particolare, sostituiamo al termine generale di

oggetto culturale l'oggetto Musica, possiamo, nell'istante immediatamente

successivo, riconoscere come la quasi totalità delle prime esperienze che facciamo

per scoprirne i sensi, siano esperienze di ascolto.

Nell'esperienza d'ascolto le prime attribuzioni di senso che operiamo nei

confronti della musica avvengono, quindi, sulla base del dialogo intersoggettivo

fra noi e i nostri accompagnatori culturali, siano essi, quando siamo bambini, i

nostri genitori, i nostri educatori o altri adulti o bambini coi quali stiamo in

relazione e coi quali condividiamo l'esperienza d'ascolto, a prescindere dal fatto

che essa si realizzi su loro proposta o meno.

Se riteniamo valido questo assunto possiamo quindi affermare come

all'interno di questo dialogo intersoggettivo, che ci permettte di scoprire i sensi

della musica, il nostro accompagnatore culturale svolga il delicato ruolo di vivere

con noi l'esperienza mostrandoci, nelle modalità che abbiamo descritto poco fa, i

sensi che lui attribuisce alla musica, condividendoli con noi senza aspettarsi che li

facciamo diventare interamente nostri e senza obbligarci a farlo.

Potremmo accostare a questa affermazione anche quella secondo la quale,

dal momento che anche lo stesso accompagnatore culturale vive insieme a noi

l'esperienza della scoperta dei sensi della musica, egli stesso potrà scoprirne di

nuovi dentro al dialogo intersoggettivo che avviene nella relazione: se riteniamo

vera questa osservazione possiamo dire che l'esperienza dell'ascolto è

un'esperienza di co-educazione.

L'ascolto musicale costituisce, quindi, un'esperienza educativa la cui prima

finalità è quella di attribuire senso alla musica: questo meccanismo di attribuzione

di senso, non avviene in modo statico e definitivo, ma in modo plastico e

mutevole facendo sì che, nel corso della vita, ogni esperienza musicale permetta

all'individuo di scoprire nuovi sensi della musica che, come vedremo,

costituiscono il mazzo di chiavi che apre le numerose porte sulle possibili

affordances della musica.

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Accompagnatore culturale, compagno culturale esperto, educatore musicale e guida informale nell'esperienza d'ascolto

Ci siamo dedicati finora a descrivere una delle funzioni educative

dell'ascolto musicale: quella di costituire la prima esperienza attraverso la quale si

opera un'attribuzione di sensi nei confronti della musica.

In tale descrizione il ruolo dell'”accompagnatore culturale” potrebbe essere

descritto come quello di un educatore non necessariamente consapevole della sua

funzione educativa.

Cosa avviene, invece, in quei contesti in cui l'esperienza dell'ascolto viene

vissuta dal bambino insieme ad un educatore musicale, che coincida anche col

soggetto propositore dell'esperienza stessa?

Alla luce di quanto descritto potremmo partire da un'osservazione

fondamentale: l'educatore musicale dovrebbe tenere presente la funzione

educativa dell'ascolto collegata all'attribuzione di sensi alla musica e operare nel

rispetto di quanto abbiamo concluso nel paragrafo precedente: “scoprire le carte”

sui sensi che attribuisce alla musica, in modo autentico e completo dando la

possibilità al bambino, nel dialogo intersoggettivo, di venirvi a contatto e farli

propri, ma anche rispettare gli eventuali altri sensi che il bambino dovesse

attribuire alla musica.

Assolutamente come dovrebbe fare un qualsiasi altro adulto o compagno.

A prescindere dai sensi che soggettivamente attribuisca alla musica,

l'educatore musicale può, però, farsi portatore di qualcosa in più: come persona

che domina il linguaggio musicale dovrebbe possedere la capacità di far vivere al

bambino un'esperienza che gli permetta di attribuire alla musica un ulteriore

senso, quello di essere un linguaggio espressivo che l'uomo può dominare

attivamente, e di scoprire le affordances della musica che derivano direttamente

da questa possibilità di dominio: la capacità di poter pensare musicalmente, di

sentire e comprendere interiormente la musica quando questa non è fisicamente

presente (il che coincide con il significato di base dell'audiation di Edwin E.

Gordon), l'esprimere idee musicali personali, l'interagire attivamente col

linguaggio musicale per mezzo del linguaggio musicale, l'improvvisazione ecc.

Nella prassi educativa della Music Learning Theory, per come è stata

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elaborata in Italia grazie principalmente alle intuizioni e agli studi di Andrea

Apostoli, l'educatore musicale propone, come strumento di base del percorso di

sviluppo dell'Audiation, attività di ascolto per mezzo di azioni e comportamenti

educativi che vengono riassunti col nome di Guida Informale.

Il concetto di Guida Informale, per come viene appreso dagli educatori che

in Italia si formano in Music Learning Theory presso i corsi AIGAM, coincide

con quello di accompagnatore culturale o compagno culturale esperto che

abbiamo descritto sopra.

Nella Guida Informale applicata alla Music Learning Theory, però,

esistono ulteriori obiettivi, che coincidono con quanto descritto sopra in relazione

alla scoperta delle affordances della musica legate al dominio attivo di

quest'ultima, a livello di pensiero (o Audiation) e linguaggio musicale, che

dall'Audiation risulta organizzato e gestito: gli strumenti che l'insegnante adotta

nel guidare il bambino in questa scoperta e nello sviluppo dell'audiation, vengono

proposti nel rispetto dei sensi che il bambino attribuisce alla musica momento

dopo momento e non solo: gli elementi costitutivi di tali strumenti concorrono ad

ampliare il più possibile tale repertorio di sensi e parallelamente a rendere il più

ampio possibile anche l'insieme di competenze e risorse che il bambino acquisisce

nel percorso di scoperta e assimilazione dell'audiation.

Senza entrare in modo troppo approfondito nella Music Learning Theory,

possiamo riportare qui alcuni di questi strumenti propri di questa guida informale

musicale: per non uscire dal tema di cui ci stiamo occupando, quello dell'ascolto,

eviteremo di parlare di quelli strumenti che, nella prassi educativa della MLT,

hanno il fine di guidare il bambino nell'acquisizione del linguaggio musicale nel

momento in cui questi inizia a muoversi nell'ambito dell'interazione musicale, ma

ci limiteremo a descrivere e commentare quelli più strettamente legati all'ascolto:

l'uso del canto senza parole per proporre l'ascolto di canti tonali e ritmici costruiti

su tutta la varietà e la complessità della sintassi musicale; il coinvolgimento del

corpo, durante il canto, in un movimento fluido, non vincolato ad una descrizione

stereotipizzata degli elementi ritmici o formali della musica proposta, bensì

utilizzato come strumento volto ad ampliare la gamma delle possibilità espressive

della voce e del corpo stesso durante il canto; il silenzio.

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L'educatore propone i canti senza assegnare loro sensi musicali motori,

emotivi, evocativi predefiniti, pur avendo cura di rispettare alcuni parametri

musicali dei canti, col fine di permettere al bambino di riconoscerli nel corso del

tempo: in questo modo a nessun canto viene associato un senso in modo

dogmatico ed il bambino può viverne l'esperienza d'ascolto, seguire il proprio

corpo e le proprie emozioni, osservare e interagire con l'educatore che, nel

proporre musica, si mette in gioco ogni volta in modo autentico, come Guida e

compagno culturale esperto che scopre e ri-scopre, momento dopo momento, la

musica e i suoi sensi, la musica e le sue possibilità di essere attivamente

manipolata, insieme al bambino.

Nel momento in cui, sulla base dei meccanismi che abbiamo descritto, la

musica diventa un oggetto importante per il bambino, ricco di sensi e di

sensazioni legate a diversi dominii o sfere dell'individuo, frutto delle esperienze

vissute, come abbiamo visto, nell'intersoggettività, emerge, infine, l'importanza

dell'esperienza del silenzio come parte integrante dell'esperienza di ascolto ed

evento insostituibile all'interno del quale inizia la nascita del pensiero musicale

attivo e conseguentemente del linguaggio musicale.

Definito, di solito, brevemente e in modo poco approfondito, come “il

luogo in cui si realizza la rielaborazione di ciò che è stato ascoltato”, il silenzio

costituisce, inoltre, e forse in misura maggiore, il luogo all'interno del quale

l'individuo, che ha vissuto esperienze di ascolto musicale alle quali ha attribuito i

suoi sensi, ne vive e ne sperimenta l'assenza; assenza che può generare desiderio

verso la ripetizione dell'esperienza.

Questo meccanismo non costituisce soltanto l'ultimo anello di un circolo

virtuoso che ci spinge a cercare la ripetizione dell'esperienza d'ascolto: costituisce

sopratutto il terreno su cui può nascere, laddove l'anelito verso la ripetizione

dell'esperienza sia forte e la possibilità di ripeterla sia lontana nel tempo, il

bisogno di sviluppare interiormente delle risorse che sopperiscano a tale necessità:

queste risorse ci permettono di rievocare l'esperienza dell'ascolto e di riviverla e

riteniamo che coincidano con le competenze basilari di quel pensiero musicale

che è l'Audiation.

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BIBLIOGRAFIA

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Milano.

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G. Mantovani, L'elefante invisibile. Tra negazione e affermazione delle diversità:

scontri e incontri multiculturali. Giunti 1998

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La musica e il corpo nel gruppo dei più piccoli di Vincenzo Ricciotti

Tra la parola e la musica c’è una antica concorrenza, una encomiabile

competizione. Sorte entrambe dal silenzio, da cui sono tratte dal desiderio umano

di creare, esprimersi e comunicare, ad esso sempre tornano lasciandolo

immancabilmente segnato dal loro transito. Scrive Jankélévitch:

Il più nobile di tutti i rumori: la parola – perché è quello tramite il quale gli uomini si

comprendono gli uni con gli altri – diventa, quando entra in concorrenza con la musica, il

più indiscreto ed impertinente. La musica è il silenzio della parola, così come la poesia è

il silenzio della prosa: alleggerisce la pesantezza opprimente del logos ed impedisce

all’uomo di identificarsi con l’atto del parlare. La musica tende nella sua interezza, con

un’approssimazione asintotica, verso quel limite estremo al di là del quale regna il

silenzio… È qui la sua essenza più segreta

e prosegue riferendosi a quello che definisce il “grande genio dell’infinitesimale”,

Claude Debussy:

In Debussy le innumerevoli goccioline, da cui nascono quegli innumerevoli mormori,

sono convertite in musica. L’appena udibile e il brontolio della tempesta, nella Mer, con

la loro alternanza compongono l’enorme ciclotimia oceanica. Grazie all’ambiguità

naturale del linguaggio musicale, l’analisi della schiuma marina con le sue bolle, la sua

spuma e i suoi scintillii, dà immediatamente luogo alla sintesi sonora. Talora, in questa

sinfonia fatta di mormorii, si stacca una particella liquida: quel la diesis, che le arpe

sgranano a più riprese in “Jeux des vagues”, evoca la goccia che si ostina a voler essere

udita… La sensibilità ai microsuoni, nella modernità debussiana, è la forma assunta

dall’esplorazione dell’infinitesimale. L’orecchio umano è in ascolto: lo stridio di un

insetto, il gorgogliare di una bestia notturna, il sospiro di uno stelo d’erba, lo scricchiolio

di una foglia secca… al miracoloso udito di Debussy nulla sfugge.

Potenza creatrice della musica! che fa trarre espressioni di così vertiginosa

bellezza per tentare di descrivere le immagini, le sensazioni, le emozioni che essa

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evoca in chi l’ascolta. Qui la competizione si risolve in una superiore sintesi dove

la parola ha l’andamento melodico della musica e la musica acquista l’espressività

semantica della parola. Se condividono l’attribuzione, ovvia nel caso della parola,

meno banale ma altrettanto comunemente riconosciuta in quello della musica, di

costituire entrambe un linguaggio e di possedere perciò un’intima vocazione

comunicativa, le parole e la musica hanno tuttavia organizzazioni strutturali e

modalità di accesso diverse; costituiscono espressione di capacità specifiche

differenti della mente e declinano, ciascuna in forma peculiare, aspetti specifici

della modalità umana di essere al mondo. Il loro carattere alternativo appare

radicalizzato fin nell’architettura cerebrale stessa, che confina l’una nell’emisfero

di sinistra e l’altra nell’emisfero di destra, anche se in permanente ascolto

reciproco. “Dove la parola manca, là comincia la musica; dove le parole si

arrestano, là l’uomo non può che cantare” dice ancora Jankélévitch. Qui

l’espressione “dove la parola manca” non indica, secondo me, una condizione

semplicemente difettuale della parola ma si riferisce alla superiore capacità della

musica di proseguire oltre quel limite, di attingere e dare espressione all’ineffabile.

“La musica – dice Debussy – è fatta per l’inesprimibile”. La parola è

inevitabilmente segnata dal suo vincolo alla referenza: avendo il compito di

definire, classificare, designare la realtà cui si riferisce per consentire la

condivisione di contenuti cognitivi tra individui impegnati nello scambio

comunicativo, deve acquisire caratteri di specificità e precisione. Dice G. Steiner:

Persino quando è surreale, perfino nelle poesie assurde, perfino quando si innalza

all’estasi visionaria, il discorso verbale rimane lineare e sottomesso alla sequenza

temporale. È vincolato dall’avarizia della logica, col suo ordine causale e la

segmentazione del tempo tra passato, presente e futuro. Per quanto le nostre parole siano

polisemiche, per quanto sottile e ricca di fantasia sia la nostra espressione

dell’immaginario, il principio di identità, i punti finali in fondo alle frasi e gli assiomi di

continuità rendono dispotici il discorso e la scrittura.

Ma allora cos’è questo inesprimibile di cui la musica sembra potere farsi carico,

cosa c’è in questo mondo liminare cui il linguaggio fa fatica ad attingere e dove la

musica appare più felicemente insediata? Ebbene, questo inesprimibile è il corpo,

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il tramite per il quale si rivela la nostra natura emozionale. A volte il corpo è

animato dalle nostre emozioni in modo così facile, rapido e misterioso da

costituire un’esperienza indicibile e perciò, anche in virtù di questo, perturbante.

Forse il canto umano è l’espressione più felice di questo chiasma tra mondi

diversi: “Il canto è, al tempo stesso, la più carnale e la più spirituale delle realtà, –

afferma ancora Steiner – usa il diaframma e l’anima”. Supremamente significante

ed anche, a rigore, priva di significato la musica aggira le attitudini simbolico-

rappresentative dell’intelletto, mediate dal linguaggio e può invadere il corpo con

la forza della trance, suscitare la disciplina cieca col ritmo martellante della

marcia, attenuare l’impeto delle emozioni violente, sollevare l’animo oppresso

dalla cupezza. Può costituire una delle cose per cui vale la pena di vivere, come

dice Woody Allen in Manhattan, a proposito della sinfonia Jupiter o trattenere chi,

privo di speranza, si accinge ad un atto definitivo, come per Wittgenstein quando

scrive che più volte il movimento lento del Terzo Quartetto di Brahams lo aveva

trattenuto quando si trovava sull’orlo del suicidio. Mentre il linguaggio, come si è

visto, in virtù della sua capacità di designare e di riferirsi ad oggetti, pone in

evidenza la realtà esterna e forza l’attenzione verso di essa mettendo, per così dire,

tra parentesi l’Io, la musica, non riferendosi precisamente ad alcuna realtà

esteriore, costringe l’Io a prendere coscienza della propria consistenza corporea,

di essere sede di una esperienza emozionale. Non essendo strutturata

narrativamente e riferendosi a contenuti emotivi più generali, la musica è forse più

idonea ad intercettare il materiale amorfo del mondo interiore della prima infanzia.

E proprio i bambini piccoli, nell’età quindi in cui il linguaggio non ha ancora così

profondamente modellato la loro mente, sono così naturalmente ricettivi alle

esperienze emotive che la musica procura. Possono commuoversi tanto

profondamente da arrivare a piangere, come mi è capitato di osservare, quando

una dolce melodia raddoppia la forza espressiva di immagini particolarmente

toccanti. Ed è a volte sorprendente la facilità e la rapidità con cui trascrivono, per

così dire, nei movimenti del proprio corpo le strutture temporali del ritmo, come

risuonando fisicamente insieme ad esso. Il ritmo è così irresistibile perchè si

incardina in una costitutiva strutturazione cerebrale che ci consente fin da neonati

di sincronizzare il tasso di attivazione neurale con il periodo degli input che

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riceviamo dall’esterno e, per altri versi, di operare delle codifiche transmodali. Su

un piano diverso, l’alternarsi ritmico dei moduli espressivi concorda con una

modalità tipica di funzionamento della mente infantile: la ripetitività. È esperienza

comune con i bambini piccoli come essi trovino particolarmente interessante il

ripetersi di esperienze, indipendentemente dal ruolo di attori o di spettatori che vi

giocano: amano rivedere gli stessi spettacoli, cartooons ad esempio, ascoltare più

volte le stesse favole, mal sopportando eventuali “variazioni sul tema”, versare

ripetutamente, con tenace dedizione, il contenuto di un recipiente in un altro. La

ripetizione degli stessi atti, quasi una sorta di personale magia, dà loro la

sensazione della propria efficacia; consentendo di ritrovare l’uguale li conforta di

fronte all’imprevedibilità del mondo cui si affacciano e li fa sentire potenti e meno

soli. Il ritmo della ninna nanna, così simile all’alternarsi regolare del respiro e dei

battiti del cuore, li accompagna, rassicurandoli, nel loro transito verso il sonno.

“Sbadigliare, ridere, ballare sono contagiosi. È l’empatia non l’intelligenza che ha

fatto di noi umani la specie vincente”, dice l’antropologo Franz De Waal.

In effetti nel gruppo dei bambini piccoli un corpo che si muove al ritmo della

danza ha un effetto mimetico irresistibile: immancabilmente qualcuno si aggiunge,

poi un altro e un altro ancora, in breve può accadere che tutto il gruppo si animi

all’unisono. La scoperta, negli anni ’90 dei neuroni a specchio ha consentito una

comprensione scientifica di questi fenomeni di così comune osservazione ed ha

sottratto l’imitazione alla designazione negativa che le veniva generalmente

conferita, riconsiderandola come una delle modalità fondamentali di

funzionamento della mente umana, base dell’empatia e della capacità

intersoggettiva. L’esperienza dell’altro avviene originariamente nelle forme del

sentire corporeo nel doppio versante di vissuto emotivo interno della presenza

dell’altro e dell’apprezzamento percettivo della corporeità altrui. I gruppi di

bambini piccoli hanno caratteristiche specifiche molto particolari: la

comunicazione e lo scambio non si costituiscono e non circolano in modo

organico e continuativo ma al contrario, attraverso interazioni sporadiche, contagi

emotivi fulminei e rapidi abbandoni, momenti di intensa fusione collettiva ed altri

di isolamento e disgregazione. I bambini piccoli sono in una fase così iniziale

della costruzione della propria identità, ancora sulla soglia della percezione

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distinta di ciò che è interno o che è esterno, proprio o altrui, da stabilire il rapporto

con gli altri soprattutto sulla base di una occasionale contiguità, al di fuori di una

precisa intenzionalità o di un progetto consapevole di azione sociale ma per una

affettività agita, intensa quanto breve. Nell’altro, in particolare se coetaneo,

incontrano un possibile rispecchiamento e/o un rivale che suscita desiderio di

contatto, eccitazione, rabbia, paura, abbandono. Solo poco alla volta si rassicurano

sui possibili confini reciproci ed è con gradualità che si crea comunità e nasce la

possibilità dello scambio. Eppure questi bambini, che sembrano interessati e

assorti ognuno su di sé, sul proprio fare, sul proprio orizzonte percettivo,

risentono immediatamente di qualunque cambiamento che intervenga nel gruppo,

anche lontano da sé, e che alteri l’atmosfera di fondo. Apparentemente isolati e

slegati dall’insieme sociale che li circonda sono, al contrario profondamente in

contatto col clima sensoriale ed emotivo comune che circola nel gruppo, come

uno sfondo sincretico e silenzioso che non appare finchè qualcosa non ne

modifichi l’assetto, non ne muti l’equilibrio o non si percepisca l’assenza di

qualcosa di consueto. Solo allora il gruppo, la sua atmosfera, il suo essere un

fluido contenitore emotivo viene percepito dai singoli come qualcosa di essenziale,

che consente ed alimenta il fare ed il sentire di ciascuno, che permette ad ognuno

di sentirsi “con”, di appartenere. Nel gruppo dunque, il bambino sperimenta le

prime forme di intersoggettività ed affina le sue capacità empatiche e

comunicative ma fa anche esperienza di pressioni istintuali, a volte difficili da

contenere, e di angosce disintegrative la propria consistenza identitaria che la

presenza ravvicinata dell’altro sempre comporta. Freud considera gli stimoli come

una pressione continua cui l’Io cerca di far fronte con la propria funzione

paraeccitatoria. D’altronde la vita pulsionale, se da una parte sorregge l’organismo

può trascinarlo però nel disordine. Così, nel gruppo, il corpo è più facilmente

preda di una eccitazione che può sommergere le ancora immature capacità

integrative dell’Io ed espandersi a macchia d’olio, contagiando gli altri membri.

La musica, in questi frangenti, può essere d’aiuto ad evitare che l’eccitazione

monti e si scarichi in forma incontrollata, evitando la disorganizzazione e

mantenendo il legame. Quando l’interazione “si scalda” e la parola dell’adulto,

che dà forma simbolica e contiene, non trova più orecchie che l’ascoltino, la

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musica ed il gioco, ad esempio, fungono da mediatori e consentono così la ripresa

di un’attività di simbolizzazione. Il gruppo, come si è detto, rivela con più

evidenza al bambino la propria corporeità eccitata e questa può costituire per lui

un’esperienza perturbante, come ogni confronto con una forza ignota che

minaccia di sovrastarlo. La musica, dando a questa esperienza forma, ordine, se

vogliamo, e durata può renderla più piacevolmente evidente e più controllabile.

Può permettere al bambino di maneggiarla con più sicurezza favorendo così, per

dirla con Winnicott, l’insediamento della psiche nel corpo, in modo da

raggiungere un’armonica fusione di entrambi ed evitare la colonizzazione dell’una

sull’altro. Così il corpo acquista profondità simbolica e la mente consistenza e

forza. Amica del gruppo, la musica ne presiede, dagli albori dell’umanità, i riti e

le forme comunitarie: risuona sotto le volte dipinte delle chiese, accoglie i capi di

stato in visita ufficiale, anima la festa, si offre generosamente lì dove è più

autorizzata a farlo. Nei gruppi di bambini incontra e si accompagna spesso a

quell’altra modalità di essere al mondo così caratteristica dell’infanzia: il gioco.

Nel gioco e nell’esperienza creativa il bambino riesce a realizzare, meglio che in

altre forme espressive, una trasformazione dell’esperienza emotiva che, più che

essere compresa, deve essere metabolizzata per divenire una realtà psichica nuova.

La musica, come il racconto immaginifico di fiabe, dove i personaggi

rappresentano altrettante figure del teatro interno di ognuno, sono gli strumenti

più adatti ed accettati dai bambini per entrare in contatto e dare forma a ciò che li

abita e che non riescono a pensare, che non possono rifiutare o espellere, ma

lentamente far loro e trasformare, per utilizzarne l’energia e la potenza creativa.

Come ogni esperienza autenticamente creativa, come la fantasia, come

l’esperienza culturale tout court, il gioco nasce e si sviluppa in quella zona

liminare, tra mondo esterno e mondo interno, tra Me e Non-Me che Winnicott

qualifica, per l’appunto, come transizionale. Ma anche Malher parla di un altro

mondo, abitato dalla musica, sulla cui soglia “le oscure sensazioni prendono il

sopravvento” sulle parole. Una terra di mezzo quindi, sempre precaria e con molti

nemici, due fra tutti, ed i più agguerriti: l’eccitazione e la ragione cioè, nel primo

caso il sopravvento del corpo sulla psiche che, non riuscendo ad integrarne la

spinta pulsionale, lo consegna all’attività orgiastica, che interrompe il gioco,

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oppure la colonizzazione del corpo da parte della psiche, ed ecco dunque la

compostezza, maschera degradata della serenità. Possiamo forse trovare in questa

pagina di Rabelais una testimonianza, per certi versi folgorante, della comunione

così frequente e così felice tra musica e gioco. Nel capitolo ventiduesimo del

Gargantua e Pantagruele Rabelais fa un lungo elenco dei giochi di Gargantua, di

cui cito un breve estratto:

E allora egli giocava: … a pizzica orecchio, al pero, a pimpompetto, al trallallà, al circolo,

alla troia, a pancia-a-pancia, alle vallette, a verghetta, a spannino, a ci sto anch’io, a

spegnimoccolo, ai birilli, al volano, al piastrello, a far centro, a prendi Roma, a

toccamerda, al Siam, a boccia corta, alla greca, alla pentolaccia, al rimbalzino, al

castelletto, all’infilata, a fossette, alla ronfa, alla tromba….

Non vi sembra che, mano a mano che le ascoltate, le parole perdano il loro

significato e una voglia di saltare, come fanno i bambini su una corda, si

impadronisca del vostro corpo? E sì che possiamo dar ragione a G. Steiner quando

afferma: “La musica mira, consapevolmente o no, a riportare nella propria totalità

il testo e a svuotarlo del suo significato lessicale e grammaticale. Cerca di

appropriarsi della fonetica delle sillabe significanti il linguaggio”.

Vorrei concludere il mio contributo richiamando una figura ben nota a tutti noi,

abitava ad Hamelin e faceva il pifferaio . Il suo potere trascinatore che convocava

irresistibilmente dietro di sé lo stuolo dei bambini, così sensibili alla musica, è lo

stesso potere inquietante dell’aulos di Marsia e di Pan, simbolo della forza

incantatrice di Dioniso e perciò, secondo Platone, da bandire a favore della cetra,

strumento di Apollo, dio della misura. Per me incarna anche la figura del maestro,

che non arriva alla mente ed al cuore dei suoi allievi se non li trascina dietro di sè,

se non li se-duce. Il maestro esplora, propone, saggia, accoppia la propria mente

con quella del bambino, offre oggetti mentali, a volte scarta e mette da parte per

tempi più favorevoli. Ma, se seduce, lo fa per procura, per conto dei bambini

stessi. Un pifferaio che non suona per sé, distogliendo i bambini dalla propria

dimora ma, suonando per loro, in un certo senso, ve li riconduce. La dimora, lo

avrete capito, è la loro mente curiosa, desiderosa di conoscere.

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BIBLIOGRAFIA

V. Jankélévitch, Quelque part dans l’inachevé, Gallimard, Paris 1978, pp, 18-28;

V. Jankélévitch, La musique et l’ineffable, Colin, Paris 1961 :

A. Phillips, Sul baciare, il solleticare e l’essere annoiati, Il Pensiero Scientifico,

Roma 1995

F. Rabelais, Gargantua e Pantagruele, Einaudi, Torino 1981, vol. I, pp. 69-71

G. Steiner, Errata, Garzanti, Milano 2000

D. Winnicott, Sulla natura umana, Raffaello Cortina, Milano 1989

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L’esperienza musicale nello sviluppo del bambino nei primi anni di vita

di Maria Teresa De Camillis

Le scoperte di medici, psicologi e pedagogisti, confermati dai risultati della

ricerca e dall’osservazione scientifica, hanno portato ad una nuova visione del

bambino in epoca neonatale dello sviluppo. Il bambino non è più visto come

essere caratterizzato solo da bisogni fisiologici ma è considerato un individuo

capace di entrare in relazione con gli altri fin dalla nascita e di apprendere in

autonomia, senza bisogno di insegnamenti finalizzati al risultato o alla

prestazione. Inoltre, nei primi anni di vita, il bambino sembra incline a

comunicare in modo musicale o con modalità vicine al linguaggio musicale. Fin

dalla nascita, il suono è un mezzo speciale di relazione con la madre, il continuum

di un linguaggio fatto di vibrazioni sonore già presenti durante la gravidanza. Il

suono ha una grande importanza fin dai primi istanti della vita e rappresenta per il

bambino una presenza rassicurante. Nei primi mesi di vita, la comunicazione fra

mamma e bambino assume delle caratteristiche sonore evidenti. Nel dialogo

intimo fra i due, la madre accompagna le proprie espressioni facciali con

vocalizzazioni di suoni, piccole melodie, ritmi, che vanno ad integrare quel

repertorio comunicativo che Stern1 definisce “coreografia del comportamento

umano”.

Il bambino nei primi anni di vita, con il suo immenso potenziale fisico e psichico,

con una missione che lo spinge a crescere per completarsi e realizzare se stesso, è

un miracolo davanti agli occhi di genitori, insegnanti, educatori.

Lo sviluppo del bambino, che inizia prima ancora della nascita, continuerà negli

anni a venire, ma certamente è nei primi 3 anni di vita che esso compie un

cambiamento sorprendente sia nell’ambito fisico (solo nel primo anno di vita

triplica il peso) che in quello psichico, passando da una condizione di dipendenza

dall’adulto ad una graduale autonomia psicofisica e dunque all’indipendenza.

                                                                                                                       1 D. Stern, Il mondo interpersonale del bambino. Boringhieri, Torino 1987

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Parlare della crescita del bambino significa parlare di tutte le persone che di lui si

occupano e che hanno nelle mani la possibilità di favorirne uno sviluppo felice e

creativo. Per sviluppare la ricchezza propria di ogni essere umano è necessario un

aiuto adeguato, ovvero un aiuto educativo appropriato, tanto più importante

quanto più il bambino è piccolo, perché nei primi anni si pongono le basi dello

sviluppo della personalità di ogni essere umano.

Maria Montessori2 osservando i bambini ha scoperto “il segreto dell’infanzia” e le

leggi che ne regolano lo sviluppo, proponendo il ruolo dell’adulto come di chi dà

“aiuto alla vita”, il cui compito fondamentale è di non farsi ostacolo allo sviluppo

del bambino. Lo scopo principale dell’educazione è quello di aiutare l’essere

umano a conoscere chi è e che cosa può fare per poter crescere e realizzarsi.

Quindi, conoscere bene il bambino è quella parte ineludibile di “sapere” che

consente all’adulto educatore di aiutarlo a raggiungere un alto livello di

integrazione affettiva, intellettuale e morale, che si esprimerà nel “saper fare” e

poi nel “saper essere”. Va evidenziato come nel corso degli ultimi 30/40 anni è

cambiata la visione del bambino e del mondo infantile, prima considerato come

una totale confusione, con molte sensazioni disorganizzate, per cui si riteneva

compito dell’adulto soltanto quello di stimolare i riflessi del bambino

“educandolo” al mondo adulto. Questa visione si è modificata a seguito di

numerose scoperte scientifiche che hanno portato a generalizzare non soltanto “tra

gli addetti ai lavori”, che il bambino, fin da piccolo non è solo un essere fragile e

immaturo, ma è un “infante competente”3. Questo concetto di bambino fin dalla

nascita in grado di vedere, di udire, di sentire gli odori, di essere sensibile al tatto

e ai cambiamenti nella postura del corpo, era già stato sottolineato da M.

Montessori molti anni prima, quando evidenziava che in particolare i primi 3 anni

di vita sono il periodo nel quale la mente e il corpo devono armonizzarsi e tutto il

seguito della crescita dipenderà molto dalla qualità di questa prima fase di

sviluppo. Le conquiste che il bambino realizza durante il primo periodo della sua

vita sono il prodotto di una mente inconscia, inconsapevole e privilegiata, dotata

di particolari potenzialità e che funziona ovunque e sempre nello stesso modo: un                                                                                                                        2 M. Montessori, Il segreto dell’infanzia. Garzanti, Milano 1972. 3 L. Camaioni La prima infanzia, Il Mulino, Bologna 1980. L. Camaioni Manuale di psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna 1993.

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miracolo sempre uguale nel tempo e nello spazio, che rende il bambino identico a

se stesso. Una mente diversa da quella dell’adulto, che non ha bisogno di maestri

per svilupparsi perché segue le direttive della natura e che accompagna il bambino

nei primi sei anni di vita per poi lasciare il posto ad una mente che ragiona. Una

mente che M. Montessori4 definisce “assorbente”. Il bambino fa suo tutto ciò che

lo circonda: abitudini, costumi, ecc.. si fissano nella sua mente stabilmente. Ma il

bambino che apre le braccia al mondo per assorbirlo non è solo un ricettore

passivo delle impressioni che ne riceve, è anche un attivo ricercatore di queste.

Il bambino dunque vede, sente, sa muoversi e si esprime anche con suoni e parole,

seguendo il proprio originale stile di sviluppo. Benché altri autori abbiano

descritto l’infante e la sua intelligenza pratica e sensomotoria già nei primi anni di

vita, esistono numerosi studi che rilevano nei bambini piccoli capacità percettive

più mature rispetto alle capacità motorie.

Il bambino è un essere straordinariamente competente, tuttavia, durante la

crescita, lo diventerà sempre più, poiché si intersecheranno nel corso dello

sviluppo sia la sua dotazione genetica, sia le occasioni di esperienza che gli

vengono fornite, la cultura cui appartiene e la relazione con gli adulti che lo

allevano.

La musica è dunque un veicolo di comunicazione alla pari della lingua parlata

fatta di parole, consiste in suoni e gruppi di suoni che la rendono simile alla

struttura di una lingua. Il movimento di per sé produce suono e anche quando non

lo sentiamo per via uditiva, lo percepiamo in forma di vibrazione, onda, quindi per

via tattile.

La musica promuove da subito il coinvolgimento del senso uditivo, del senso

tattile e di quello visivo, nonché del movimento e delle emozioni correlate, e dalla

attuazione di questo sviluppo senso-motorio ed emotivo, il bambino progredirà

nel suo cammino di vita. A questo punto si può comprendere come la musica non

sia unicamente un’arte dell’intrattenimento, ma una comunicazione alternativa

quando non complementare a quella verbale.

Maria Montessori5 riferisce:

                                                                                                                       4 M. Montessori, La Mente del Bambino, Garzanti, Milano 1972. 5 M. Montessori, L’autoeducazione, Garzanti, Milano 1992.

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Immaginate come sarebbe meraviglioso se noi fossimo capaci di mantenere la prodigiosa abilità del bambino il quale, mentre è intento a vivere gioiosamente, saltando e giocando, è capace di imparare una lingua con tutte le sue complicazioni grammaticali. Che meraviglia sarebbe se tutto il sapere entrasse nella nostra mente semplicemente vivendo, senza richiedere sforzo maggiore di quello che ci costi respirare o nutrirci.

Se il bambino apprende naturalmente la lingua materna, perché non dovrebbe

altrettanto naturalmente apprendere il linguaggio musicale? Se il suono è

complementare alla parola detta, è evidente che una musica cantata, una

canzoncina per bambini, non fornisce uno stimolo adeguato. In questo caso,

infatti, la parola prenderebbe il sopravvento perché intrisa anche di un più

evidente significato simbolico che tentiamo di decifrare nel corso della vita per

farci capire. La proposta appropriata può essere dunque di ritmo e di armonia e

non di testo cantato.

È questa la premessa che ha spinto il Centro Comunale per l’Infanzia del Comune

di Roma “Il Girotondo” che dirigo6, ad avvicinarsi con interesse, alcuni anni fa

(2004-05), all’esperienza musicale proposta dall’AIGAM, da noi chiamata subito

“musica in fasce”, perché vi partecipano bambini di pochi giorni di vita fino ai 18

mesi di età. Nell’esperienza di musica in fasce è l’interazione che consente lo

scambio comunicativo, e quindi l’utilizzo della comunicazione musicale. La

strutturazione dell’attività musicale (due volte la settimana) prevede un saluto

iniziale e uno in chiusura, per mezzo del quale l’insegnante può stabilire un

contatto individualizzato che mantiene nel corso della lezione attraverso lo

sguardo, dedicato ora all’uno ora all’altro bambino. Questo tipo di didattica è

funzionale al coinvolgimento di tutti i partecipanti.

Dice Bruner7:

Il sistema di supporto per l’acquisizione del linguaggio è il format: una struttura di interazione standardizzata che contiene dei ruoli delimitati, costituita da un ambiente familiare e di routine che consenta al bambino di capire cosa accade.

                                                                                                                       6 Il Girotondo accoglie bambini di età compresa tra 0-6 anni, temporaneamente separati dalla famiglia, che vivono stabilmente nella comunità. 7 J. S. Bruner, Il linguaggio del bambino, 1983, trad. it. Armando, Roma 1987.

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Il bambino raccoglie nel tempo una serie di informazioni sull’ambiente che gli

consentono di esplicitare le sue intenzioni per mezzo di messaggi convenzionali

riconosciuti nel format: i più piccoli restano in fase di ascolto tranquilli e assorti, i

più grandicelli (8-18 mesi) sono attenti e attivi, rispondono con interesse

all’attività musicale. Tutti producono suoni con la voce, con il movimento, o con

entrambi. Alcuni di loro battono le manine spontaneamente, oppure, associando i

suoni proposti alla musica dei loro carillon, vanno a tirare la cordicina per farli

suonare. Chi di loro già cammina, gira nella stanza dedicata alla musica e a

momenti sembra ballare o tentare di saltellare a ritmo. Quando sono più taciturni e

composti, i bambini mostrano interesse, sorpresa e gradimento con lo sguardo,

osservando prolungatamente l’insegnante e l’interazione tra gli altri bambini e tra

i bambini e l’insegnante. Il bambino ha bisogno di un tempo di assorbimento, del

silenzio, della possibilità di rispondere e di chiedere secondo i suoi tempi. Quando

un bambino emette un vocalizzo e l’adulto lo ripete, egli si sente confermato,

ripete più e più volte i suoi suoni ed è gratificato nell’essere ascoltato ed imitato.

Questo gioco di riproduzione è il primo dialogo del bambino. Come la lettura di

una favola è un momento di intimità, uno scambio affettivo, che stimola la

comunicazione, anche prima che il bambino comprenda gli esatti passaggi della

trama, così la lezione di musica è un momento dedicato al bambino, nella cura e

nell’attenzione individualizzata.

Poiché il suono sta nel movimento e il movimento può andare a ritmo…,

l’ambiente della musica è lo stesso, pensato secondo il metodo Montessori, in cui

i piccoli del Girotondo vivono. Il bambino sperimenta qui la musica con il corpo,

sul corpo e nel corpo, è libero di crescere in sicurezza e autonomia. Sperimentare

vuol dire fare da soli, vuol dire non essere indotti a battere le manine o a ballare

ecc… tipo di insegnamento questo che non è più imitazione ma distrazione, che

rapisce lo sguardo e le energie del bambino sottraendolo al momento musicale.

Questa esperienza musicale è quanto mai necessaria quando i bambini sono

separati dalla famiglia di origine, poiché contribuisce ad offrire al bambino un

ambiente stimolante e interessante, un’altra via di comunicazione, legando così

linguaggi verbali e non al linguaggio musicale, mettendo il bambino sempre più in

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sintonia con l’ambiente del mondo esterno e perché no, ponendo le basi per un

futuro piccolo musicista!

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III SEZIONE

STUDI E RICERCHE

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Il modello della Music Learning Theory di E. Edwin Gordon: una ricerca osservativa sulle pratiche educative musicali nella prima infanzia di Andrea Apostoli e Antonella Nuzzaci

Andrea Apostoli

1. Una breve introduzione

La riflessione di un ente formatore sui risultati e sulle ricadute della formazione

degli educatori nel loro lavoro con i bambini è un fatto molto importante. La

ricerca che qui proponiamo ci fa fare un passo avanti in un percorso che da

sempre, attraverso la pratica delle supervisioni degli educatori e degli insegnanti,

l’AIGAM mette in atto. L’attività di formazione permanente che l’AIGAM

prevede per i suoi associati, oltre ai corsi, ai seminari e ai laboratori, contempla

che gli iscritti partecipino a due incontri di supervisione all’anno per i primi tre

anni della loro attività. Le supervisioni sono utili agli educatori per cercare di

definire più chiaramente gli obiettivi che si pongono e di approfondire singoli

aspetti del loro lavoro.

La ricerca che qui presentiamo può essere intesa come un ulteriore passaggio nella

direzione del miglioramento delle pratiche educative, che sicuramente daranno

alla scuola di formazione dell’associazione importanti riscontri capaci di ri-

orientare proficuamente i diversi interventi.

Fare un’osservazione diretta sull’attività di supervisione infatti permette di

verificare l’applicazione di quei principi generali che la MLT esprime nell’azione.

È possibile riscontrare in quei paesi dove esistono associazioni o istituti Gordon

che non effettuano le supervisioni una certa disomogenità di attuazione dei

principi della MLT che fanno registrare sensibili differenze nelle pratiche musicali

di educatori e insegnanti di quelle realtà rispetto al contesto italiano con

l’AIGAM. Si sono potuti infatti individuare stili educativi diversi

nell’applicazione della MLT negli USA, in altri paesi Europei e Italia. Ciò

dipende proprio dalle supervisioni, che, ad uno sguardo superficiale, possono

essere interpretate come una forma di controllo o un tentativo di legare gli

educatori ad un modello educativo rigido, mentre in realtà sono tese a favorire la

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crescita e l’autonomia di ogni singolo professionista secondo caratteristiche

specifiche legate alle sue peculiarità di educatore e di musicista. La supervisione

infatti non è una forma di “controllo” del supervisore sull’attività dell’educatore e

non sottintende alcuna forma di sanzione. Il supervisore e il gruppo dei

supervisionati lavorano insieme su obiettivi comuni da raggiungere realizzando un

“travaso” di competenze e di pratiche educative fra i diversi soggetti in

supervisione e di quelle di altri gruppi. Inoltre, con le supervisioni avviene un

processo di carattere osmotico per il quale il supervisore osservando certe pratiche

educative messe in atto spontaneamente da un certo professionista le recepisce e

le condivide con i supervisionati presenti e con i formatori riuscendo ad incidere

così in maniera sostanziale sulla loro formazione. L’attività di ricerca, di cui

anticipiamo qui alcuni aspetti, può dunque considerarsi un prezioso strumento in

grado di fornirci indicazioni importanti per comprendere e orientare al meglio

l’attività di formazione che viene correntemente condotta dall’AIGAM.

Antonella Nuzzaci

2. La ricerca sulle pratiche educative musicali nella prima infanzia Perché e come analizzare le relazioni e le pratiche educativo-musicali all’interno

del modello gordoniano e quali significati attribuirgli? È questa la domanda dalla

quale siamo partiti quando è stato chiesto un supporto pedagogico alla

comprensione dell’approccio interpretativo elaborato da E. Edwin Gordon nella

Music Learning Theory e alla sua applicazione in contesto italiano. A dare questa

risposta non poteva che essere una ricerca incentrata non solo sui principi teorici

del modello, cosa nota ormai in tutto il mondo (Gordon è infatti uno dei principali

riferimenti teorici nell’ambito della psicologia dell’apprendimento musicale in

territorio statunitense), quanto sui significati delle pratiche, dei processi, delle

azioni e delle relazioni che si sono affermate intorno alla Music Learning Theory

nel nostro paese e che vanno oggi assumendo una forte espansione in assenza di

specifiche forme e di precisi orientamenti in questo settore. Uno studio di tal

genere doveva volgersi a considerare il tipo di formazione e di supervisione che

l’AIGAM predispone per i suoi associati, che vengono elaborate allo scopo di

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costruire competenze professionali e di controllare l’andamento del tipo di

interventi messi in atto da ciascun educatore.

In particolare, le procedure di videoregistrazione consentono di comprendere la

qualità delle interazioni tra i partecipanti e i destinatari (bambini 0-5) dell’azione

educativa, sia in contesti come le istituzioni per l’infanzia sia in altri generi di

situazione informale. La varietà dei contesti implicati nella ricerca è stato un

punto nodale che ha richiesto, per essere affrontato, un preciso riscontro e una

chiara classificazione dei luoghi e delle condizioni di applicazione della MLT, in

base anche all’età dei soggetti interessati.

Il compito della ricerca era, in primo luogo, quello di agire su tre assi centrali:

la teoria della MLT di E. Edwin Gordon dal punto di vista dei suoi costrutti,

ovvero dell’individuazione del modello interpretativo sottostante, della sua

decentrazione ed esplicitazione, il quale si incentra sulla spiegazione di come

si impara quando apprendiamo la musica; si fonda su un vasto corpus di

ricerche e sperimentazioni e prevede una vera e propria “metodologia” per

l’insegnamento musicale che passa attraverso il concetto di “audation”,

termine coniato dall’autore e che costituisce il fondamento principale del suo

pensiero;

il tipo (e ruolo) di formazione erogata dall’AIGAM agli associati (chi sono,

da dove vengono, che tipo di percorso viene loro proposto ecc.);

la funzione svolta dalle supervisioni annuali, ovvero dalla verifica

dell’esercizio delle competenze di coloro che si “formano” musicalmente

nell’AIGAM, i quali vengono sottoposti, attraverso videoregistrazione, ad

una valutazione della qualità dell’applicazione dei principi gordoniani.

In secondo luogo,

- di descrivere il profilo del sistema di azioni educativo-musicali entro il

quale agisce l’educatore AIGAM;

- di studiare la concordanza del modello in funzione della sua applicazione;

- di ri-definire il sistema di azioni sulla base di alcuni descrittori di qualità.

La metodologia impiegata ha, pertanto, contemplato contemporaneamente più

livelli di analisi:

- la teoria della MLT;

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- gli interventi formativi che si svolgono su tutto il territorio nazionale;

- il materiale visivo campionato relativo alle supervisioni effettuate nell’ultimo

quinquennio dall’AIGAM.

Ricordiamo che negli ultimi anni la supervisione in campo educativo ha ricevuto

molta attenzione, anche se solo di recente ha iniziato ad essere esaminata in modo

sistematico ed empirico. In questo caso, la supervisione è un genere di pratica che

permette di rilevare il livello di comprensione del modello interpretativo utilizzato

e viene concepita come una forma di valutazione esterna. In tal senso, si riferisce

a due diverse accezioni: in parte ad un controllo della prospettiva verso la quale si

dirige l’azione, cioè al ruolo che la guida esperta (qualificata) esercita sui meno

esperti (supervisionati); in parte ad una meta-prospettiva, in cui il supervisore

aiuta il supervisionato a raggiungere la distanza che intercorre tra ciò che fa e ciò

che sarebbe opportuno fare rintracciando, al contempo, nuove dimensioni

nell’azione (elaborazione e riflessione con il supervisore e il gruppo interno o

esterno). È dunque da intendersi come un processo di riconoscimento del percorso

intrapreso dal supervisionato in merito al processo educativo, al fine di facilitarne

lo sviluppo di riflessione. Sembra che nella combinazione tra “esecuzione pratica”

e riflessione si sviluppi una competenza professionale che cementa i principi alle

prassi e fondi la conoscenza esplicita della pragmatica implicita della conoscenza.

Il rapporto tra la pratica educativa e la supervisione può essere descritto come una

potenziale tensione dialettica tra educazione e settore, che consente all’educatore

di essere un attore e di riflettere insieme al supervisore su ciò che significa essere

un “mediatore della formazione musicale nella prima infanzia”. L’educazione

musicale in fase prescolare è caratterizzata da un elevato grado di complessità, che

non sempre può essere ricondotta a strategie lineari per risolvere i problemi, ma

presuppone nuove forme di intervento. Ciò esige un approccio multidimensionale

al fenomeno dell’azione e alla molteplicità delle soluzioni possibili.

In sostanza la supervisione è una pratica che aiuta a sostenere l’apprendimento

professionale degli educatori nelle variazioni delle condizioni professionali e

personali nelle diverse fasi del processo educativo, nonché l’impegno e l’efficacia

del loro percorso professionale.

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La ricerca si basa su dati provenienti principalmente da un’osservazione diretta

dell’attività di supervisione, la cui tecnica è stata la ripresa video di un intero

intervento di un educatore. Pur fondandosi su diversi livelli di analisi e

prevedendo l’impiego di tecniche miste, il progetto ha studiato l'efficacia degli

educatori in azione e le variazioni delle loro condizioni professionali, personali e

di lavoro nelle diverse fasi del percorso professionale. Si è riscontrato che

educatori ed insegnanti non necessariamente imparano attraverso l'esperienza e

che la perizia non sempre è ancora acquisita in modo incrementale, cioè che sono

esposti a maggiore rischio di essere meno efficaci nelle fasi successive della loro

vita professionale e che i contesti di apprendimento professionale in cui operano

gli educatori all’interno delle differenti istituzioni od organizzazioni per l’infanzia

sono, per definizione, diversi da quelli che lavorano nella scuola, dal momento

che gli insegnanti sono essenzialmente impegnati in un lavoro incentrato sui

processi di istruzione. La possibilità di esercitare efficacemente l‘attività

professionale in contesti diversificati si riferisce alla loro capacità di gestire

positivi e negativi “scenari” in diverse fasi della vita professionale. Si suggerisce,

pertanto, che per essere adeguata, la pratica professionale deve essere progettata

tenendo conto della varietà dei contesti nei quali si svolgono gli interventi

educativi e gli scenari esterni che questi mettono in discussione, in termini di

impegno, risorse e scopi fondamentali.

3. Il progetto e l’analisi del materiale di supervisione Questo progetto ha utilizzato il materiale video delle supervisioni per cogliere

alcuni aspetti relativi alle prassi degli educatori AIGAM, a cui seguiva un

commento fornito dal supervisore su tale esperienza. L’uso delle videoriprese

suscita qualche considerazione sul senso dell’osservazione riflessiva quale

strumento che aiuta gli educatori “non esperti” a diventare qualificati

professionisti, poiché stimola all’esame del comportamento osservato e alla

pianificazione dei comportamenti futuri. I risultati indicano che il video sollecita

resoconti interessanti per la riflessione, non solo perché incoraggia “un commento

più riflessivo e appropriato” da parte dell’educatore relativo anche ai principi e

alle norme sostenute dall’AIGAM, ma anche per il fatto che, grazie alla sua

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tecnica di elicitazione, permette di effettuare una valutazione delle prestazioni

educative più ampia e approfondita rispetto a quelle che si sarebbero potute

mettere in atto con un’osservazione tradizionale sulla base, per esempio, di

resoconti. Inoltre, i risultati della ricerca internazionale indicano che il supervisore

nell’interazione con l’educatore “non esperto” viene influenzato positivamente

quando la deduzione attraverso video è utilizzata a sostegno delle tradizionali

forme di osservazione fondate su altri approcci.

Le videoriprese analizzate sono per ora circa 40 e sono state trattate attraverso due

strumenti elaborati ad hoc.

Non parleremo in questa sede dell’osservazione diretta degli apparati e dell’azione

sulla formazione, mentre faremo un breve excursus sulla ricognizione delle

registrazioni e dell'analisi condotta sulle sedute videoregistrate.

Per la codifica e l’analisi sequenziale, contenutistica e funzionale dei video è stato

creato uno strumento ad hoc che potesse definire i modelli comportamentali di

interazione con i quali si sono state determinate le caratteristiche e le limitazioni

dei vari tipi interazione e comunicazione, tenendo ovviamente conto della

letteratura di riferimento. L'analisi descrittiva è stata organizzata sulla base di

specifici descrittori ed effettuata da parte di due osservatori esterni sullo stesso

prodotto; essa si è diretta alla precisazione dei contesti educativi interessati e delle

specifiche tipologie di intervento attivate. Per ora tutte le sedute esaminate

riguardano l’azione educativo-musicale diretta a destinatari della fascia 0-3 anni.

Lo strumento osservativo utilizzato è composto da:

- una sezione strutturale che raccoglie le variabili cardine (Regione di

provenienza del materiale, località, ecc.);

- una sezione descrittiva relativa al materiale visivo osservato (profilo della

ricerca);

- una sezione relativa alle esigenze della MLT;

- una sezione relativa alla concordanza tra azioni dell’educatore e principi

della MLT.

Dal punto di vista metodologico vengono rilevate tre principali categorie di

comportamento:

- il tipo di comunicazione e relazione musicale realizzata tra educatore e bambini;

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- il grado di funzionalità, intenzionalità e coerenza delle azioni adottate;

- il grado di adeguatezza e pertinenza delle azioni e delle pratiche musicali rispetto

alle caratteristiche dei destinatari.

Tutto questo conduce ad un’analisi più appropriata delle relazioni e delle pratiche

educative e ad una verifica del loro funzionamento in relazione alla definizione di

eventuali indicatori di qualità dell’attività.

Tra le conclusioni meramente provvisorie che possono essere fatte, considerato

anche il poco raffinato trattamento statistico impiegato, ci limitiamo ad affermare

che l’Educatore AIGAM sembra agire e rispettare in linea di massima i principi

della MLT, i cui “focus” centrali sono: un utilizzo della voce ad elevata efficacia

musicale, un rispetto dei tempi di risposta dei bambini, una scansione della

turnazione musicale, che si esprime prevalentemente verso i singoli soggetti

piuttosto che verso il gruppo; una reazione non sempre appropriata del tipo di

intervento, della velocità dei tempi di reazione rispetto ai comportamenti e alle

emissioni musicali dei bambini; una forte aspettativa dell’educatore AIGAM nei

confronti delle risposte fornite dai bambini. Tra i principali caratteri dell’azione

ricordiamo che la comunicazione musicale veicolata dalla MLT appare

sostanzialmente re-interpretata, anche se l’azione risulta coordinata dal punto di

vista dei principi gordoniani; una scarsa fissità dell’azione e delle funzioni

musicali, una interazione musicale retta da un forte coinvolgimento di bambini ed

educatori, una comunicazione prevalentemente collettiva, un’azione non sempre

coordinata e fluida sul piano del coordinamento movimento-suono, un uso non

sempre appropriato dei processi di discriminazione/riconoscimento, un utilizzo

non sempre appropriato dei pattern, dei ritmi e delle sequenze musicali.

Restano da indagare appropriatamente molti aspetti tra i quali ricordiamo: risposte

pertinenti o feedback adeguati, attenzione prestata ai bambini, attenzione prestata

alle azioni, attenzione prestata all’intervento, uso delle emissioni sonore dei

bambini per nuove produzioni, guida alla discriminazione della nota base, guida

alla discriminazione uguale/diverso, il controllo della produzione “canta con i

bambini” ecc.; ma soprattutto deve essere studiato in modo significativo per la

MLT

- l’uso del movimento degli arti e del corpo in modo libero a flusso continuo;

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- l’uso del movimento per lo svolgimento dei pattern di imitazione e di

assimilazione;

- l’uso del movimento nello spazio.

Il lavoro di raccolta e di analisi, come già detto, deve ancora concludersi ed i

risultati forniti sono ancora troppo parziali e non organizzati sul piano della

lettura per dare conto in modo appropriato dei risultati e dell’intero processo.

La descrizione sommaria qui presentata è infatti meramente indicativa e sono

necessari ulteriori approfondimenti per stabilire la fondatezza di quanto

sostenuto; anche se, ad un primo sguardo, essa ci fa guardare con speranza al

futuro dell’educazione musicale nella prima infanzia.

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Riflessioni sull’ascolto dei bambini nell’esperienza del Falstaff di Federica Braga e Claudia Veronese

§1. Il progetto “la musica e la scuola: Falstaff”

Il progetto, ideato dall’Accademia del Teatro alla Scala di Milano e realizzato

grazie al finanziamento della Regione Lombardia, rappresenta - dopo Il turco in

Italia e Don Giovanni - la terza edizione di un programma che persegue la

diffusione della cultura musicale e teatrale nelle scuole di ogni ordine e grado.

Con esso ci si propone di avvicinare bambini e giovani a un genere, quello

dell'opera lirica, normalmente considerato non adatto alle loro età, privilegiando

alla formazione frontale tradizionale una metodologia didattica interattiva, che

ponga l'accento sull'acquisizione del sapere tramite il “fare” e dia spazio alla

dimensione pratica ed esperienziale dell'apprendimento.

§2. Falstaff a misura di bambino: l'intervento di AIGAM e le sue finalità.

Con l’intento di avvicinare per la prima volta anche un pubblico di

giovanissimi ( le precedenti edizioni si rivolgevano a ragazzi dai 6 anni in poi ), si

Falstaff visto dai bambini: il naso grosso, il ciuffo di capelli, il viso tondo

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chiede ad AIGAM - quale associazione che si occupa di educazione musicale

nella primissima infanzia - di partecipare al progetto studiando un intervento

didattico che consenta di proporre l'opera verdiana a bambini di una fascia d’età

compresa tra 0 e 6 anni, coinvolgendo così anche istituzioni quali asili nido e

scuole materne.

Quello operistico è un genere articolato: contiene elementi che

appartengono sia all’ambito musicale che a quello teatrale; la sua

rappresentazione avviene con l’ausilio di scenografie, costumi, recitazione e un

testo letterario (libretto) che contiene l’oggetto della rappresentazione (i

personaggi con i loro connotati psico-fisici e sociali, i dialoghi, le didascalie e la

caratterizzazione stessa dell'azione drammatica).

In generale un bambino posto davanti a un oggetto composto da molteplici

elementi non è in grado di percepirlo nella sua complessità se prima non ha messo

in atto un processo di destrutturazione che gli consenta di cogliere la particolarità

di ogni singola parte. AIGAM quindi progetta il suo intervento proponendo un

approccio in cui l’opera lirica viene elaborata attraverso il paradigma scientifico

che guida tutto il suo operato, cioè la Music Learnig Theory (MLT) del suo

Presidente Onorario Edwin Gordon.

I diversi aspetti del componimento operistico verdiano (musicali,

drammatici e scenografici) vengono scorporati e presentati ai bambini con tempi e

approcci didattici mirati. In tal modo Falstaff diventa più comprensibile per le loro

capacità cognitive. AIGAM predispone gli strumenti che saranno adottati nei

successivi laboratori sperimentali:

a) la Favola

La vicenda di Falstaff, contenuta nel libretto dell’opera scritto da Arrigo Boito, è

rivista e adattata per essere narrata come una favola, all’interno della quale

trovano spazio i contenuti prettamente drammatici dell’opera.

b) Il materiale musicale

Dall’intero materiale musicale dell’opera si selezionano i temi più conosciuti,

arrangiandoli per sole voci secondo criteri di varietà, complessità e ripetizione;

come indica la MLT essi sono così adattati all'ascolto da parte dei bambini. Nei

successivi laboratori i brani vengono proposti sia attraverso l'uso di un cd che

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contiene le tracce registrate, sia cantati dal vivo dalle docenti AIGAM e dalle

educatrici.

c) Le attività di “ascolto giocato”

Alla lettura della favola di Falstaff e all’ascolto dei brani tratti dall’opera, nel

lavoro con i bambini si affiancano attività volte a far vivere loro un’esperienza

pratica dei contenuti favolistici e musicali dell'opera, attraverso il gioco e il

movimento.

Le attività di ascolto giocato rappresentano la sintesi dei due elementi in

precedenza separati: come nell’opera l’aspetto teatrale si fonde con quello

musicale, creando un tutt’uno che è più della somma delle singole parti.

§3. La ricerca di AIGAM

3.1 Gli obiettivi

A settembre 2007 AIGAM rende operativo il progetto nella città di Milano,

all’interno di un Asilo Nido e una Scuola Materna nella periferia nord del

Comune. Questo consente di formulare una ricerca che, rimanendo all’interno del

generale scopo del lavoro (ovvero avvicinare i bambini all'opera lirica), indaga in

particolare due questioni: l'apprendimento musicale dei bambini e l'interazione tra

questi e la sfera emotiva, comunicativa.

Il primo aspetto preso in considerazione dallo studio ha inteso verificare se

l'utilizzo della MLT come mezzo didattico rendesse questo genere musicale

fruibile dai bambini e se ne favorisse il godimento e l'apprendimento. Si è voluto

inoltre osservare se proponendo in modo adeguato l’elemento musicale, esso

potesse essere maggiormente apprezzato dai bambini rispetto agli altri che

compongono l’opera.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, la ricerca si è proposta di indagare

se questa esperienza migliori in maniera significativa la comprensione e

l’espressione dei propri e degli altrui stati d’animo e se il tipo di ascolto sollecitato

attraverso la musica favorisca una generale capacità di relazione e di ascolto di sé

e degli altri.

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3.2 La fase preparatoria e il training: strumenti e procedure Il lavoro si è svolto in due fasi : una preparatoria e una di training. Nella

prima fase è stato presentato il progetto alla direttrice didattica delle strutture

coinvolte nel lavoro, la quale ha a sua volta individuato le educatrici che

avrebbero partecipato alle attività con i bambini. E' stato illustrato a tutti i

partecipanti quali sarebbero stati il percorso e le metodologie utilizzati, nonché

cosa ci si aspettava dall'osservazione dei bambini durante la ricerca.

All’interno della fase preparatoria è rientrata la valutazione degli spazi a

disposizione della struttura, compiuta assieme allo staff educativo. Essa ha portato

ad individuare gli ambienti idonei nei quali condurre il lavoro e a fornire

indicazioni precise su come predisporre il setting di ogni incontro: è importante ai

fini del progetto scegliere un ambiente neutro dove i bambini possano trovare

sempre punti di riferimento precisi e stabili. Un setting sicuro e definito tutela e

favorisce l'espressione naturale dei bambini, senza costringerli a una continua

rilettura dell’ambiente.

In questa fase iniziale si stabilisce anche l’entità dei gruppi di studio, che

vedono il coinvolgimento di circa 30 bambini divisi in due gruppi di età

omogenea: 15 bambini di 24 mesi e 15 di 5 anni. La scelta dei bambini è stata

operata dalla coordinatrice didattica e dalle educatrici delle due scuole coinvolte

nel progetto, seguendo criteri quali la predisposizione alla musica di alcuni

bambini, la difficoltà espressiva, la capacità di concentrazione o di relazione di

altri. Trattandosi di scuole comunali di periferia i gruppi hanno una composizione

eterogenea per appartenenza sociale ed etnica: la percentuale di bambini stranieri

era molto alta.

Sebbene il progetto sia reso operativo sia con bambini del nido che della

materna, sono questi ultimi ad essere i soggetti della ricerca. Solo nella scuola

materna, infatti, la presenza di uno spazio sufficientemente ampio e con

caratteristiche adeguate (silenzio, mancanza di arredamento) ha consentito di

predisporre un setting adatto per l’uso di tutti gli strumenti del progetto:

narrazione della favola, ascolto delle tracce cantate e lavoro musicale, attività di

ascolto giocato.

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Purtroppo il progetto non copre la totalità degli allievi della scuola.

Tuttavia, volendo garantire anche ai bambini esclusi dalla sperimentazione

condotta da AIGAM di avvicinare Falstaff è predisposta per loro una soluzione

alternativa che prevede la narrazione della favola e l'ascolto del materiale

musicale (sia l'originale verdiano che le tracce rivisitate da AIGAM) da parte delle

educatrici, durante l'orario scolastico. Accanto a ciò si stabilisce che tutti i

bambini della scuola vivano insieme il momento finale della ricerca: la festa nella

quale si “incontrerà” Falstaff. Unire i due gruppi a conclusione del lavoro, oltre ad

aver permesso di prestare fede - pur nella diversità dei contenuti - a un principio

di equità di trattamento, è stato di estremo interesse ai fini della ricerca (si veda

quanto indicato nel §4).

La fase di training ha invece riguardato il vero e proprio intervento sul

campo. L'intero progetto è durato circa due mesi, per un totale di 16 incontri (2

incontri a settimana di 30 minuti ciascuno) in cui i bambini erano accompagnati

dall'educatrice di riferimento e dalle insegnanti AIGAM.

Potendo incontrare i bambini in due momenti diversi durante la settimana,

si è scelto di dedicare il primo incontro al solo materiale musicale dell’opera

arrangiato da AIGAM, esplorandolo attraverso la MLT: si cantano dal vivo i brani

che riproducono le arie e i temi famosi di Falstaff, definendoli entro certe ritualità;

si guidano i bambini all'uso del corpo come fondamentale mezzo espressivo ed

euristico della sintassi musicale. Altri strumenti di lavoro utilizzati sono stati l'uso

esclusivo della voce cantata nonché il limitato ricorso al linguaggio verbale

(circoscritto ai soli momenti di preparazione dell'incontro e di saluto iniziale e

finale). Molta importanza è stata riconosciuta al silenzio e a una modalità di gioco

non intrattenitorio che favorisse l'introspezione, la scoperta e l'auto-

apprendimento da parte del bambino.

Il secondo incontro settimanale è dedicato alle attività di ascolto giocato:

rappresenta il momento di sintesi e unione tra i contenuti musicali esplorati

durante il primo incontro settimanale e quelli favolistici e drammaturgici, questi

ultimi affidati esclusivamente al lavoro delle educatrici le quali, seguendo le

indicazioni date di volta in volta, li esplorano con i bambini nell’ambito delle

attività settimanali.

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Temendo che il tempo intercorso tra un incontro e l’altro e i tanti stimoli

della vita di tutti i giorni possano precludere l’attenzione dei bambini rispetto al

lavoro, si crea un espediente per mantenerne viva l'attenzione: la cesta in cui

Falstaff viene gettato nel fiume dalle Dame di Windsor si trasforma,

nell’immaginario dei bambini, in un grande pacco regalo con un bel fiocco rosso.

In tutti gli incontri esso ricompare stimolando la curiosità dei bambini di scoprire

cosa ci sia dentro. Durante la Festa Finale (che coincide tra l’altro con l’arrivo del

Natale) il regalo è aperto dai bambini con grandissima emozione, trovando al suo

interno tutti gli elementi della favola che passo dopo passo l'hanno costituita

durante il percorso, rendendo il suo protagonista vero e vicino ai bambini. L'opera

diventa così un contenitore, dentro il quale trovano spazio la fantasia e le

emozioni, la musica, i personaggi. La favola e Falstaff sono un grande regalo con

cui ogni bambino può giocare e interagire in piena libertà.

Queste, in sintesi, le attività di ascolto giocato, con una breve descrizione del

lavoro svolto per ognuna di esse:

Quand’ero paggio: esplorazione dei contrasti vocali (voce

femminile/maschile, tanti/pochi); lavoro sull'espressività della voce (cosa esprime

Falstaff disegnato da un bambino

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Falstaff con la sua voce grossa e profonda?); spazio di risonanza proposto

attraverso l'immagine del pancione di Falstaff.

Va’ vecchio John, va' per la tua strada: lavoro sullo spazio di risonanza

per ottenere voci con timbro diverso; attività relative al concetto di ambiente

scenografico e drammaturgico (si osserva cosa la musica suggerisce ai bambini in

termini motori ed espressivi, a seconda che la scena si svolga in situazioni con

caratteristiche diverse).

I rintocchi della mezzanotte: lavoro sulla percezione del tempo e degli

stati d’animo che sono suscitati da una generale attesa e da una particolare ed

evocativa situazione drammatica ( appuntamento nel bosco durante la notte ).

Il guardiaboschi: analisi del contrasto tra voce sola e polifonia. L

'immagine delle radici dell'albero per parlare di sostegno e appoggio: radicamento

del corpo nel terreno per cantare; i bambini sono alberi singoli, lontani, vicini,

tanti, pochi o un unico albero se uniti; analisi della diversa percezione del corpo

nello spazio.

Bocca Baciata: puro ascolto.

L'Amor, l'amor: puro ascolto.

Dalle due alle tre: lavoro sulla diversa intenzione espressa dalla voce

maschile e quella femminile: nel canto cosa vuole esprimere la dama? E i mariti?

Pizzica pizzica: contrasto tra solo e tutti. I bambini riproducono la scena

dell'opera: fate e folletti fanno gli scherzi a Falstaff.

La festa finale: ultimo incontro della sperimentazione che coincide con il

Natale. Si ricrea un’atmosfera di festa, così come accade a conclusione

dell’Opera. I bambini aprono la cesta/pacco regalo dove per ciascun bambino c'è

in dono una foto con dedica personale, la piuma del cappello di Falstaff ( quella

originale della scenografia del Teatro alla Scala ) e un dvd contenente le scene

dell'Opera affrontate durante gli ascolti giocati. Tutti i bambini (della

sperimentazione e non) si riuniscono, per continuare insieme la giornata di festa

conclusiva. Le scene principali vengono proiettate su una parete. Si prende

visione dei personaggi e delle vicende esplorati durante il percorso. Falstaff e la

sua storia abitano la scuola e le menti dei bambini.

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3.3 Due attività con i bambini: Quand'ero paggio e I rintocchi della mezzanotte.

Quand'ero paggio

Dopo aver lavorato solo con la musica nella lezione precedente (la prima

del progetto), l’incontro introduce Sir John Falstaff. L’attività ha lo scopo di

definire le caratteristiche drammaturgiche e musicali del protagonista dell'opera e

di lavorare sulla diversità dei timbri vocali. La traccia AIGAM dell'aria di Verdi,

infatti, è tutta giocata sulla contrapposizione tra voce maschile

e femminile e tra il “solo” e il “tutti”.Il tema è proposto tre volte, con un

arrangiamento diverso per ogni ripetizione:

a) voce maschile (Falstaff) solo

b) voce maschile (Falstaff) + voce femminile 1 (Dama 1)

c) voce maschile (Falstaff) + voce femminile 1 (Dama 1) + voce femminile 2

(Dama 2)

I bambini, emozionati, ascoltano con grande attenzione ed uno di loro si

accorge che nella terza proposta Falstaff canta assieme alle due dame. Comincia

un gioco: dopo aver ascoltato le proposte b) e c) i bambini indovinano quante

sono le voci femminili.

I diversi timbri delle voci suggeriscono un’altra attività, questa volta

motoria e connessa all'uso della voce: adulti e bambini cantano l'aria camminando

dapprima con una pancia enorme e molto pesante, poi magrissimi e con un corpo

leggero; tornati ad avere una pancia pesante ci si rotolano sopra e sotto, la

allontanano e la ritrovano, la lanciano in aria quando è pesante e quando è leggera.

La pancia di ogni bambino si unisce a quella degli altri: adulti e bambini si

prendono la mano e si nascondono sotto a un tendone di stoffa. Entrano nella

pancia di Falstaff e ascoltano il suo canto prima da vicino, poi da lontano e si

interrogano sull’effetto che questo comporta. Tornati al puro ascolto dell'aria

verdiana i bambini e gli adulti riflettono nuovamente sulla differenza timbrica

delle voci e si interrogano su cosa la provochi e su come sia possibile ottenere una

voce profonda, grossa o, al contrario, dolce e sottile. Viene introdotto il concetto

dello spazio di risonanza, sviluppato nell'incontro successivo.

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I rintocchi della mezzanotte L’attività lavora sul legame tra musica ed emozioni: adulti e bambini

fanno alcune considerazioni sul fatto che sia la musica a esprimere l'atmosfera di

suspence attraverso i rintocchi, cantati da Falstaff con una voce profonda,

misteriosa e magistralmente accompagnati dai cambi armonici degli archi: la

musica sembra prendere la parola al posto di Falstaff. I dodici rintocchi

consentono anche di affrontare con i bambini il tema dell'emozione dell'attesa e di

riflettere su che cosa si prova aspettando qualcosa di piacevole o che, al contrario,

non piace o addirittura spaventa. A un momento introduttivo, in cui l'educatrice

parla di questi temi con i bambini, segue l’attività pratica vera e propria. La stanza

è allestita con del materiale psicomotorio al fine di rappresentare una foresta: i

bambini si ritrovano tutti in un punto A della stanza (la grande quercia); a turno

ciascuno di loro partendo da lì deve arrivare “in orario” a un punto B (la cesta-

pacco regalo) ascoltando Falstaff che pronuncia, da uno a dodici, i rintocchi: non

si può arrivare né prima né dopo!

Ogni bambino fa il suo percorso quindi i rintocchi vengono ascoltati e

cantati/contati da tutti molte volte. L'emozione è palpabile ma l’attività motoria

aiuta a contenerla. Quando tutti arrivano all'appuntamento le insegnanti AIGAM

pensano a un momento catartico in cui si possano esprimere le emozioni

liberamente proponendo l'ascolto di “Pizzica pizzica” ed una corsa vorticosa di

tutto il gruppo nella stanza per lasciare così fluire la tensione accumulata

nell'attività precedente.

La foresta nell’attività “I rintocchi della mezzanotte”

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§ 4. Risultati significativi Il lavoro svolto ha permesso di confermare l'ipotesi di partenza, cioè che

sia possibile sottoporre ai bambini l'ascolto della complessa realtà musicale di

un'opera, avendo cura di introdurre alcuni accorgimenti quali la traduzione del

libretto in fiaba e la rivisitazione del materiale musicale, ottenendo un “Falstaff a

misura di bambino” e quindi fruibile da parte di un pubblico giovanissimo. Conta

cioè il criterio con cui gliela si propone.

L’idea della grande cesta/pacco regalo simboleggia l'importanza di dare

alla musica un ambito di ascolto chiaro e definito (un preciso momento nella

routine scolastica dei bambini, un tema, un ambiente idoneo, etc..) per facilitare

l'assorbimento della sintassi musicale.

In quest’ottica si è rivelata particolarmente efficace la scelta di separare i

contenuti musicali da tutto il resto, dedicando un intervento a settimana

esclusivamente alla musica dell’opera verdiana.

Allo stesso modo l’aver affidato l’esplorazione degli aspetti extra-musicali

dell'opera alle educatrici e l’aver poi trovato il momento di sintesi e unione dei

due ambiti nel secondo incontro settimanale ha favorito l'ascolto musicale e il

processo di apprendimento che da questo è scaturito: gli elementi non musicali

dell’opera hanno in tal modo potuto fungere da amplificatori della musica stessa,

evitando che la loro elaborazione ne distraesse l’ascolto e la comprensione.

I bambini hanno potuto incontrare tutti gli elementi dell’opera,

concentrandosi su ciascuno separatamente. Questo gli ha permesso di porsi in un

differente atteggiamento di ascolto e attenzione, a seconda delle attività proposte.

Solo in seguito hanno operato una sintesi tra il lavoro fatto durante i due incontri

settimanali: nessuna confusione di aspetti né di ruoli quindi, bensì l’intento

comune di creare un contesto favorevole all’ascolto. I bambini hanno dimostrato

di essere attratti dalla musica per lo meno alla pari, se non più che da altri aspetti

dell'opera.

L’osservazione dei bambini durante la Festa Finale, dove sono presenti

non solo quelli che hanno partecipato all’intero progetto ma anche tutti gli altri,

rafforza l’importanza della separazione dei contesti prima della loro sintesi. Alla

proiezione del filmato dell’Opera i bambini che hanno goduto dell’intera

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sperimentazione manifestano, paragonati agli altri, una generale e più alta capacità

di concentrazione e ascolto. Rispetto a coloro i quali hanno goduto solo

parzialmente della sperimentazione ( ovvero senza l’intervento e la mediazione

delle insegnanti AIGAM e, soprattutto, senza la separazione dei contesti ) i

bambini che hanno seguito il percorso si rivelano più attratti dalla parte musicale

dell’opera rispetto a quella favolistica: la musica ha consentito al gruppo

sperimentale una comprensione più profonda della storia. La MLT ne ha inoltre

sviluppato la capacità di ascolto, un ascolto che è più di un sentire: è audiation 1,

un ascolto fatto di comprensione sintattica del linguaggio musicale. Lo testimonia

il fatto che i bambini della sperimentazione conoscono le arie a memoria e le

cantano, per di più senza parole, sia assieme ai personaggi dell’opera sia quando

questi non sono in scena e l’aria è suggerita solo dall’orchestra.

Anche la seconda ipotesi di partenza della ricerca è stata confermata: il

lavoro sul contenuto musicale dell'opera ha ampliato ed approfondito la risonanza

emotiva che la sola traccia drammatica della trama limitava. Attraverso i feedback

settimanali delle educatrici e il modo in cui i bambini hanno vissuto alcune

situazioni di ascolto giocato si è constatato che la musica e il movimento

favoriscono la comprensione e l'elaborazione di emozioni quali la paura, la

vergogna, la rabbia, la gelosia, la verità e la finzione. Nell'attività legata all'ascolto

dei “Rintocchi della mezzanotte”, ad esempio, la musica ha dato la possibilità ai

bambini di riconoscere e indagare stati d'animo altrimenti lasciati in superficie.

§ 5. Conclusioni

Per AIGAM la sperimentazione ha prodotto i risultati sperati, contribuendo

a sviluppare la musicalità dei bambini e a favorire, nei confronti

dell'apprendimento musicale e della musica in generale, un atteggiamento più

aperto negli adulti a loro vicini. Tutto il progetto è documentato in un dvd

interattivo realizzato dall'Accademia del Teatro alla Scala e sarà distribuito a tutte 1 Il termine audiation è stato coniato dal Professor Gordon e sta a significare << la capacità di

sentire e comprendere, nella propria mente, musica che non è, o non è più, fisicamente presente. L'audiation rappresenta in musica ciò che il pensiero rappresenta per il linguaggio. Generalmente i bambini iniziano a sentire e comprendere internamente la musica ( audiation ) quando hanno circa cinque anni di età e dopo aver superato le fasi dell'audiation preparatoria>>. Tratto da Edwin Gordon, L'apprendimento musicale del bambino dalla nascita all'età prescolare, Ed Curci, 2003 Milano.

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le scuole della Regione Lombardia che ne faranno richiesta. La ricerca di AIGAM

ha rappresentato una

sperimentazione che potrà essere riproposta in futuro: riadattato il materiale

musicale e fatte alcune scelte importanti come quella di separare il piano musicale

e drammaturgico dell'opera, l'esperienza di Falstaff ha mostrato che anche l'Opera

lirica può essere terreno di esplorazione per i bambini.

Il progetto Falstaff si inserisce pienamente all’interno di alcune riflessioni

che stanno spingendo AIGAM ad ampliare e ripensare la proposta formativa

rivolta agli educatori della Scuola dell'Infanzia: l’esigenza di arricchire con nuove

tematiche la sua offerta porta AIGAM a integrare con un'ottica maggiormente

culturale il consueto punto di vista tecnico in cui si muove la MLT.

Se è indiscutibile che per lavorare con il linguaggio musicale secondo i

principi della MLT occorra un musicista ( una sorta di “madre-lingua” della

musica ) è decisivo, all'interno di asili nido e scuole materne, il sostegno degli

educatori, quali figure di riferimento dei bambini. Ben lungi dall'essere relegati a

meri spettatori del momento educativo, gli educatori hanno il ruolo di favorire,

assieme alle famiglie a casa, la capacità di ascoltare la musica nei bambini,

facendo di essa un evento maggiormente condiviso e vissuto consapevolmente

nella società.

AIGAM nella formazione degli adulti “non addetti ai lavori” sempre più si

occupa di un altro importante obiettivo: diffondere la buona musica. Se gli adulti

impareranno ad ascoltare buona musica ( musica d'arte come viene definita da

Andrea Apostoli, Presidente dell'Associazione ), se potranno avvicinarla più di

quanto non si faccia oggi e se, in ultima analisi, avranno la possibilità di viverla,

allargando i propri orizzonti culturali e facendo scelte inconsuete e curiose,

daranno la possibilità ai bambini di vivere in una società più musicale e aperta,

accogliente rispetto all’ascolto e alla comprensione dell’ “altro”. Consentiranno

non solo ai bambini ma anche a loro stessi di essere più musicali. Il progetto

svolto in collaborazione con l'Accademia del Teatro alla Scala si inserisce a pieno

titolo nel flusso di queste importanti considerazioni.

Grazie alla MLT - che si è rivelato il mezzo didattico più idoneo per

rendere comprensibile il significato e la sintassi musicale dell’opera verdiana e per

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contribuire allo sviluppo dell’attitudine musicale dei bambini - Sir John Falstaff è

letteralmente entrato a far parte della vita dei bambini, seppur attraverso un

intervento molto limitato nel tempo (appena due mesi). A dimostrarlo sono i

racconti delle educatrici, dei genitori e dei bambini stessi. Per Matteo, ad esempio,

Falstaff è un omone con un pancione tondo, un ciuffo di capelli bianchi ed uno

strano vestito. Ha una faccia burlona, due occhi vispi e un naso rosso da gran

beone, un po’ vecchio, un po' stanco ma con una bella voce. Secondo Lea si tratta

di un signore che ama cantare e che ha tanti amici e amiche, dame e cavalieri,

folletti e fate che, a loro volta, si divertono a cantare con lui.

Non deve sorprendere che tutto questo sia stato possibile in un così breve

lasso di tempo, perché i bambini hanno una grande capacità di concentrazione e

assimilazione per il mondo, quando il mondo li avvicina con rispetto e asseconda i

loro tempi e i loro bisogni. Se la sperimentazione del Falstaff è stata tanto efficace

pur in soli due mesi lo si deve al fatto che dalla MLT un bambino si sente

rispettato e ascoltato e, per questo, certamente crescerà sapendo ascoltare.

§6. Note

Realizzazione del progetto : 1) Arrangiamento e registrazione tracce dell’opera per sole voci :

Andrea Apostoli (Presidente AIGAM);

Claudia Gori (Pianista Accademia di Santa Cecilia);

Arnolfo Borsacchi, Federica Braga, Angelo Capozzi, Dario Cesarini, Cristina

Gansca, Rosa Pirovano, Giada Ulivi, Claudia Veronese (Musicisti e Insegnanti

AIGAM).

2) Favola: Silvia Biferale (Segretario Generale e Responsabile Formazione AIGAM)

3) Attività di ascolto giocato: Andrea Apostoli (Presidente AIGAM)

Alessandra Maria Ferrari (Musicista e Insegnante AIGAM)

Sperimentazione e Ricerca :

Federica Braga e Claudia Veronese (Musiciste e Insegnanti AIGAM)

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Christian Silva (Accademia del Teatro alla Scala e ideatore del progetto Falstaff)

Studio Barzan (Registrazioni audio)

Settore educazione e servizi all’infanzia del Comune di Milano

Asilo nido e Scuola Materna di Via Pallanza (Milano)

Si ringraziano:

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Come un bambino con difficoltà relazionali ascolta e risponde agli stimoli musicali e alla MLT di Elisabetta Cannelli

Sono un’Insegnante Associata AIGAM e circa un anno fa ho cominciato

un corso di Musicainfasce® in un asilo nido. Il primo giorno di lezione la

coordinatrice mi fece presente che in un gruppo c’era una bambina, che qui

chiamerò Sara, che aveva qualche ritardo nel linguaggio e problemi di relazione.

Mi accorsi che tra le educatrici c’era timore che la lezione, tenuta da

un’insegnante che la bambina non conosceva, potesse avere risvolti negativi,

invece, con grande meraviglia, la preoccupazione che Sara non riuscisse a

sostenere la nuova situazione non solo si rivelò infondata, ma aprì uno scenario di

possibilità espressive anche per lei, scenario che fino a quel momento nessuno

aveva considerato; il resto del gruppo, invece, si rivelò più timido e diffidente.

Mi misero al corrente che Sara nella sua giornata all’asilo passava molto

tempo da sola nel suo angolo con i suoi giochi, i suoi interessi erano scarsi, non si

relazionava in alcun modo con gli altri bambini e si poteva notare assenza di

linguaggio e stereotipie motorie.

L’unica cosa che faceva uscire Sara dal suo angolino era la musica:

quando le educatrici cantavano delle canzoncine per bambini lei era la prima ad

avvicinarsi.

La risposta di Sara suscitò in me la convinzione che la musica fosse il solo

veicolo per relazionarsi con il mondo e con gli adulti di riferimento.

La mia esperienza didattica con i bambini mi ha portato a relazionarmi in

situazioni tra le più disparate, ad esempio avendo avuto l’opportunità di lavorare

in contesti particolari come nel Carcere di Rebibbia (dove i bambini vivono

insieme alle mamme detenute) e nella Casa famiglia “Il Girotondo”, mi ha

portato a credere che, la Music Learning Theory alla quale i corsi di

Musicainfasce® si ispirano, pur non avendo in alcun modo finalità terapeutiche,

può essere di grande supporto alla crescita e allo sviluppo del bambino.

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La Music Learnig Theory del Prof. E. E. Gordon, è una teoria scientifica

che analizza come il bambino apprende la musica. Ogni bambino nasce con delle

potenzialità, delle attitudini che gli permetteranno di “capire” e apprendere la

musica che sono più alte al momento della nascita e che man mano si riducono. Si

può intervenire esponendo il bambino a specifici stimoli musicali a partire dai

primi giorni di vita. Se un bambino ha la possibilità di ascoltare della musica

prodotta con la voce e trasmessa attraverso una relazione affettiva, il suo desiderio

di interagire con il mondo passerà anche attraverso i suoni e il ritmo.

Questo processo è simile e parallelo all’apprendimento del linguaggio

materno: ogni bambino ha la possibilità di ascoltare la propria lingua fin dalla più

tenera età e i genitori non fanno altro che favorire un apprendimento naturale

parlando e relazionandosi con lui, sarà il bambino ad imparare in autonomia.

L’apprendimento della musica funziona nella stessa maniera. Se un adulto si

presta ad essere modello musicale potrà guidarlo in maniera informale senza

costrizioni e richieste ma semplicemente lasciandolo esplorare il mondo musicale

che lo circonda.

Cantare delle canzoni senza parole è la via più facile per entrare in una

relazione musicale con un bambino. In questa maniera gli diamo la possibilità di

formare il suo vocabolario. L’esplorazione del bambino, sappiamo, passa

attraverso il movimento perciò quando ci rivolgiamo a lui cantiamo e lo facciamo

semplicemente muovendoci.

Durante le prime lezioni Sara era attenta e coinvolta e aveva

un’interazione motoria meno stereotipata che in altre situazioni: alternava al suo

correre per la stanza momenti di ascolto nei quali reagiva con movimenti

spontanei. Il suo desiderio di relazionarsi fu subito evidente e fu sancito da un suo

primo contatto fisico, e notai subito che la sua volontà di comunicare passava per

l‘azione. Sara, comunque non parlava, ma emetteva un suon fisso, un’ecolalia,

mentre la sua interazione motoria si rivelò molto espressiva e pensai di interagire

con quella.

Il suo vocabolario subito si presentò ampio ed articolato. Fui sorpresa nel

notare svariate modalità di battere le mani, tanti modi di muoverle, altrettanti per

le braccia, i gomiti, utilizzava spesso più modi di oscillare, di girare di rotolare,

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una varietà quasi strabiliante. Questi movimenti avvenivano come reazione agli

stimoli musicali: canti melodici e ritmici.

Ero spesso io a imitare i suoi movimenti, più tardi era lei che imitava i

miei, la nostra comunicazione così si arricchiva di scambi motori. Le sue azioni

motorie le interpretavo anche come espressioni dei suoi sentimenti e dei suoi stati

d’animo ad esempio: correre per la stanza emettendo le sue ecolalie era un modo

per dimostrare felicità e gratitudine, ridere per esprimere gioia e contentezza,

piangere per esprimere tristezza e turbamento, il suo apparente disinteresse per

esprimere delusione e disagio, il suo girarmi intorno per richiedere attenzione, la

sua partecipazione come voglia di condivisione.

Voglio riferire un episodio che si è ripetuto spesso: quando Sara entrava

nella stanza e mi trovava seduta ad aspettare gli altri bambini, diventava

impaziente e mi faceva capire che dovevo cominciare, allora mi prendeva le mani

e le allargava, e con questo gesto voleva indurmi a cantare, poiché sapeva che

associavo sempre alla musica il movimento; qualche volta mi toccava la bocca ad

indicare il luogo da cui uscivano i suoni che le procuravano piacere. Quando

aveva bisogno di un “sostegno” affettivo si avvicinava, mi abbracciava o si sedeva

in braccio, in qualche modo con il contatto mi dimostrava gratitudine. Devo dire

che Sara ed io ci siamo “capite” subito e questa relazione affettiva ha sicuramente

contribuito alla sua evoluzione musicale, fu questo il motivo per cui non fui

sorpresa più di tanto nel constatare subito come il suo “ascolto” fosse realmente

partecipato.

Quello che più mi colpì era la sua sensibilità e io nel corso delle settimane

e dei mesi avevo imparato a percepirla e cercavo di andare incontro alle sue

esigenze, ma capitava che lei rimanesse delusa quando mi rivolgevo ad altri

bambini e interagivo con loro, allora si allontanava, ma bastava coinvolgerla di

nuovo e tutto tornava come prima. Alla fine della lezione era sempre restia a

uscire, a volte voleva che l’accompagnassi io in classe, in altre situazioni si

lasciava prendere dall’educatrice, certi giorni non ne voleva sapere e si metteva a

piangere. Capitava anche che, allontanatasi dalla classe arbitrariamente, tornasse

indietro nella stanza e riproducesse la lezione appena trascorsa con urla, suoni e

gesti.

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Quando durante le prime lezioni introdussi il paracadute Sara insieme ad

altri bambini ci si tuffò subito con molta enfasi e gioia, rimaneva lì a pancia sotto

e non usciva finché non lo rimettevo a posto. La cosa interessante era che dentro il

paracadute Sara si trovava insieme ad altri bambini che semplicemente tollerava

pur non interagendo con loro; erano gli altri, che vedendola partecipe degli stessi

giochi, spesso si avvicinavano cercando contatti fisici, è capitato anche che un

bambino si rivolgesse a lei con un pattern vocale…

La sua modalità di rispondere agli stimoli musicali, inizialmente non era

diretta, era più che altro una reazione che privilegiava l’aspetto motorio, che si

presentava molto articolato e spontaneo, e che man mano si trasformò da tentativi

e accenni a vere e proprie imitazioni.

La sua interazione vocale, per molto tempo invece, si presentò statica

poiché Sara in questa e in altre circostanze reagiva con un suono fisso, a volte

emettendolo a bocca chiusa quasi come un mugolio, a volte urlando e aprendolo

in un EEEEH prolungato. In qualche occasione, però notai che l‘altezza del “suo

suono” non era più fissa (SOL – SOL #) ma cominciava ad essere inerente al

contesto melodico che le avevo proposto, e in qualche circostanza Sara pronunciò

qualche sillaba. Sara riconosceva le canzoni melodiche e ritmiche che gli cantavo:

ricordava e associava i movimenti che avevo proposto per quel canto, oppure

accostava lei nuovi movimenti alle stesse canzoni. Capitava che, in autonomia,

sottolineasse la fine di una canzone sempre con uno stesso movimento ad esempio

battere le mani al muro, era sorprendente notare come sentisse quale era il

momento esatto. Il suo pensiero musicale era ben sviluppato. Lei poteva

prevedere nella sua mente lo svolgimento e la conclusione di una canzone.

Il Prof. Gordon definisce con il termine audiation la capacità di sentire e di

comprendere mentalmente la musica. La capacità potenziale di realizzare

l’audiation è legata all’attitudine musicale che, a sua volta, è una caratteristica

innata dell’individuo, così come la capacità potenziale di pensare. La musica pur

non essendo un linguaggio possiede una sintassi; si può quindi, attraverso

l’audiation, percepire un ordine logico dei suoni che la compongo.

La sua interazione ritmica fu da subito molto precisa e puntuale. Sara con

il suo dondolio o con il suo battere le mani in vari modi e il suo correre

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dimostrava chiaramente di avere competenze ritmiche notevoli che dimostrava

nelle sue manifestazioni spontanee. Vorrei sottolineare il fatto che rivelazioni

delle sue attitudini musicali avvenivano senza pressioni di nessun genere e in

maniera del tutto inaspettata, poiché non sempre erano in risposta alle mie

proposte.

Riflettendo a posteriori ho capito che Sara anche in altre circostanze aveva

la sua modalità di interagire e relazionarsi: il suo correre avanti e indietro

ripetutamente era un tentativo di mettersi in comunicazione con l’ambiente

circostante, anche il “suo suono fisso” aveva una modalità comunicativa, solo che

in una relazione verbale questi aspetti non assumevano nessun significato. Nel

contesto prettamente musicale, invece, queste modalità venivano spesso utilizzate

anche dagli altri bambini: correre per la stanza, emettere suoni, era un modo per

“ascoltare” e interagire con la musica. Sara si è così sentita riconosciuta e questo

le ha dato sicurezza e ha cominciato a trasformare questa sua modalità di

relazionarsi anche in altre maniere: da una gestualità apparentemente casuale è

passata al coordinamento motorio relativo a sottolineare specifiche parti della

sintassi musicale, dal suo suono fisso è passata a suoni contestualizzati e alla

pronuncia di sillabe, da un apparente distacco per la realtà circostante è passata ad

un’attenzione costante e ad esprimere stati d’animo. Vorrei infine raccontare

come, poco prima delle vacanze estive, tornata all’asilo per salutare le educatrici

ed entrando in classe, ho visto Sara corrermi incontro con un grande sorriso,

avvicinandomi a lei con grande stupore mi sono sentita battere la sua mano contro

la mia, gesto che è stato accompagnato da un caloroso “ Cia”.

Ho rivisto Sara a distanza di cinque mesi dal nostro ultimo incontro, nel

suo contesto famigliare e con grande emozione ho potuto notare come il lavoro

svolto in tanti mesi abbia continuato a sviluppare le capacità espressive e

comunicative della bambina. I suoi primi tentativi di emettere alcune sillabe sono

evoluti a tal punto che ormai Sara canta svariate melodie utilizzando la sillaba

neutra PA. Le sue stereotipie motorie sono scomparse quasi del tutto, le sue

ecolalie sono sempre più rare, e riesce a cantare interi brani!

La tabella qui di seguito riportata nasce dalla necessità di monitorare le

risposte di Sara durante il ciclo di lezioni di Musicainfasce® svolte da ottobre

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2008 a giugno 2009. Queste risposte non prendono in considerazione solo gli

aspetti musicali, ma anche relazionali e intenzionali.

Ho individuato tre campi d’osservazione, ogni campo ha un ambito e

un’interazione specifica:

- RISPOSTE CASUALI – ambito motorio, vocale, motorio/vocale –

relative interazioni

- RISPOSTE EMOTIVE AFFETTIVE – ambito relazionale, emozionale

– relative interazioni

- RISPOSTE D’ATTENZIONE ED INTENZIONALI – ambito

dell’attenzione, imitazione motoria, motorio/intenzionale – relative

interazioni

Possiamo osservare da un’attenta lettura della tabella come inizialmente

Sara si relazioni soprattutto reagendo agli stimoli musicali con risposte del tutto

casuali. L’aspetto motorio è abbondante e costante in tutte le lezioni, mentre

quello vocale si intensifica sempre più nel tempo, come quello vocale/motorio.

Le risposte emotive affettive come la ricerca da parte sua del contatto

fisico e il tirar fuori degli stati d’animo come ridere e piangere non sono sempre

presenti se non in una prima fase, poi, probabilmente per una stabilizzazione della

relazione instaurata, diventano più sporadiche.

Le risposte d’attenzione e intenzionali inizialmente passano per lo sguardo

e l’attenzione dimostrata nell’osservazione, poi cedono il posto all’imitazione sia

motoria che vocale che si fa sempre più preponderante verso la fase finale del

corso, mentre l’intensificarsi dell’interazione specifica quale la strutturazione dei

movimenti per sottolineare le parti delle canzoni, è il segnale che dimostra

l’evoluzione massima del suo percorso.

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Osservazione e analisi delle risposte cantate dei bambini al pattern di imitazione V-I grado discendenti in funzione di tonica. Ipotesi di intervento di Riccardo Nardozzi

L’osservazione e lo studio di una specifica competenza di tipo musicale nei

bambini che frequentano i corsi di musica tenuti da insegnanti che applicano i

principi teorici della Music Learning Theory1 di Edwin E. Gordon, nasce dal

desiderio di approfondire alcuni aspetti particolari della teoria stessa, così da

sviluppare nuove riflessioni possibilmente finalizzate ad un più attento,

controllato ed efficace intervento educativo.

Nella MLT il lavoro con i pattern costituisce il cuore delle lezioni di musica con i

piccoli allievi.

Secondo l’ottica gordoniana, infatti, i bambini possono apprendere la musica

nella stessa modalità con cui apprendono la lingua parlata. Ai pattern, pertanto, si

attribuirà, nel percorso di apprendimento musicale, la stessa importanza che le

parole hanno per il piccolo all’interno del processo di apprendimento linguistico2.

L’osservazione che ho condotto negli ultimi mesi riguarda la risposta dei bambini

in fase di imitazione (idealmente dai 2-4 ai 3-5 anni) alla proposta di uno specifico

pattern tonale.

Nella MLT i pattern tonali sono costituiti dall’unione di suoni che, sentiti e

compresi interiormente, svolgono le funzioni di tonica, di dominante e di

sottodominante che, come noto, sono le funzioni propulsive e primarie all’interno 1 Da ora in poi MLT. 2 Nello specifico, infatti, i pattern sono brevi sequenze di due, tre o più suoni con specifiche funzioni musicali che, sentite e comprese interiormente, formano un insieme. Gli insegnanti di musica che applicano la MLT cantano i pattern attraverso la sillaba neutra ‘pam’, senza l’utilizzo di altre sillabe o addirittura di intere parole, così che i bambini possano concentrare l’attenzione solo sulla musica.

Attraverso i pattern gli insegnanti costruiscono dunque un dialogo musicale con i loro giovani allievi. Gli adulti cantano un brano per creare il contesto musicale, dopodiché propongono i pattern ai piccoli. Quando questi li imitano in modo non accurato, l’adulto, prima di riproporre il pattern in modo corretto, imita a sua volta i suoni emessi dai bambini per far sì che questi acquisiscano e facciano propria la tecnica dell’imitazione e affinché possano accorgersi col tempo della differenza tra una esecuzione non accurata e una esecuzione accurata dei suoni imitati. Poiché è necessario per il bambino sviluppare in modo separato l’aspetto tonale della musica da quello ritmico, gli insegnanti che applicano la MLT, durante le lezioni con i loro piccoli allievi, proporranno a questi brani tonali e brani ritmici e, di conseguenza, pattern tonali e pattern ritmici separatamente.

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dell’armonia diatonica nel sistema tonale occidentale. I pattern tonali diatonici

sono invece quelli che non rispondono a precise funzioni musicali all’interno di

un contesto, ma si caratterizzano per l’utilizzo esclusivo di tre gradi congiunti

della scala. Questi ultimi, di facile riproduzione per un bambino molto piccolo in

quella che Gordon identifica come fase di acculturazione, permettono

all’insegnante di costruire con l’infante un primo dialogo sonoro, in modo tale da

abituarlo ed iniziarlo al dialogo di tipo imitativo. Un bambino, infatti, comincerà a

portare avanti i primi tentativi di imitazione dei pattern non appena si sarà reso

conto della differenza tra le proposte di pattern dell’adulto e le sue vocalizzazioni

sonore. Da questo momento in poi, i pattern tonali proposti dall’insegnante, che

avranno ora le funzioni musicali di cui si è detto, mireranno all’imitazione sempre

più accurata da parte del bambino, fino alla sua sviluppata capacità di cantarli

intonati coordinando voce, respiro e movimento.

Si tratta di un percorso graduale, dunque, che parte dal più semplice per

giungere al più complesso. Durante la fase di imitazione del bambino,

l’insegnante di musica si adopererà, pertanto, affinché questo venga esposto e

risponda prima a pattern in funzione di tonica, poi a pattern in funzione di

dominante. Inoltre, è necessario che il piccolo sia esposto a pattern di tonica

formati da due suoni, e cioè, ragionando col ‘do mobile’, le quarte e quinte giuste

ascendenti e discendenti corrispondenti a Do e Sol nel maggiore e a La e Mi nel

minore, prima di essere esposto e rispondere a pattern di tonica di tre suoni, con

una combinazione delle sillabe tonali Do, Mi, Sol o La, Do, Mi. Per quanto

riguarda i pattern di dominante, al bambino verrà data la possibilità di rispondere

a pattern che includano tre suoni prima di quelli che ne includono quattro

(settima). Nella proposta dei pattern con funzione di tonica composti da due

suoni, i bambini tendono a rispondere ad una quinta giusta discendente (V-I)

prima che ad una quarta discendente (I-V).

È chiaro dunque che il pattern V-I grado, cadenza perfetta, con funzione di

tonica, associato alle sillabe tonali in senso discendente Sol-Do in modo maggiore

e Mi-La in modo minore, acquisisce notevole importanza all’interno del percorso

di apprendimento musicale del piccolo essendo uno dei primi, se non il primo

pattern, per i motivi appena accennati, con una precisa funzione musicale a cui il

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bambino in fase di imitazione viene esposto e risponde. Il percorso di imitazione

sempre più accurata da parte del piccolo parte, dunque, anche e soprattutto

dall’esposizione a questo specifico pattern.

Tempo fa, nel portare avanti le mie lezioni di musica, ho cominciato a notare,

nei bambini che non imitano ancora accuratamente i pattern proposti dall’adulto,

una tendenza frequente a rispondere e tentare di imitare il pattern in questione

intonando un intervallo di terza discendente, maggiore o minore.

Per cercare di capire la portata di tale fenomeno, ed inoltre se questo realmente

si verificasse come una tendenza generale o piuttosto fosse invece semplicemente

da considerarsi in termini ridotti alla mia singola esperienza, ho cominciato ad

appuntare, subito dopo o durante le lezioni di musica, su specifiche tabelle, le

risposte ai pattern di imitazione di alcuni bambini presi a campione all’interno di

gruppi diversi per circa 10 lezioni, in un arco di tempo, quindi, di circa due mesi e

mezzo, chiedendo ad un collega insegnante di fare altrettanto nelle sue lezioni, ed

ho preso poi visione di otto video registrati da altri tre insegnanti durante le loro

lezioni con i bambini in fasce di età comprese tra i 2 e i 5 anni. Per quanto

riguarda la compilazione delle mie schede, nello specifico ho considerato un

campione di bambini in numero di 6, all’interno di cinque gruppi differenti.

Nell’arco di tempo della ricerca, ho annotato, di volta in volta, le loro risposte

cantate ai pattern di imitazione di due suoni a cui venivano esposti durante la

mezz’ora di lezione settimanale. Per ciascun bambino, in particolare, ho annotato

il modo del canto contestualizzante proposto (maggiore o minore), il tipo di

pattern di imitazione di due suoni proposto al bambino dopo il canto, la sua

risposta in gradi.

Su un totale di 138 risposte complessive annotate dei 6 bambini presi a

campione nell’arco di tempo della ricerca, 63 sono intervalli di terza discendente.

Quasi la metà, dunque. Una percentuale altissima se si pensa che l’altra metà è

occupata da tutti gli altri tipi di risposte. Nell’osservazione effettuata, sui 63

intervalli di terza intonati dai bimbi, 52 seguono un pattern di imitazione formato

dai gradi V-I in senso discendente, che, ad ogni modo, è stato effettivamente

quello a cui i miei allievi sono stati maggiormente da me esposti.

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C’è da aggiungere, inoltre, che almeno una volta nei tempi di studio ciascuno

dei 6 bambini presi a campione, tranne uno, ha imitato accuratamente il pattern

V-I grado. Ma, generalmente, la risposta accurata è quasi sempre stata sostituita

da un intervallo di terza e, ad ogni modo, è arrivata in tutti e 5 i casi sempre solo

successivamente all’intervallo di terza, a distanza di diverse lezioni o, in un caso,

all’interno di una lezione stessa. Analizzando i dati raccolti dal mio collega, ne è

conseguito che i risultati, in rapporto, sono molto simili ai miei.

Dai dati presi in analisi, considerando quindi il totale delle annotazioni, risulta

in conclusione una tendenza generale da parte dei bambini a rispondere al pattern

di quinta discendente in funzione di tonica con un intervallo di terza discendente,

maggiore o minore, prima di riuscire ad intonarlo accuratamente e, in senso più

generale, a prescindere dal tipo specifico di stimolo, risultano e spiccano evidenti

la facilità e la spontaneità dei bambini in questa determinata fascia di età,

all’incirca compresa tra i 2-3 e 4-5 anni, nell’intonare la terza.

Le motivazioni, d’altro canto, possono essere diverse. Non è infatti una novità

che l’intervallo di terza discendente sia un intervallo particolarmente legato al

mondo dell’infanzia. C’è da considerare, infatti, che nell’apprendimento degli

intervalli è necessario guardare all’aspetto di ampiezza piuttosto che a quello

armonico. Gli intervalli di seconda e di terza sono più facili da riprodurre per un

bimbo anche se hanno un rapporto armonico più complesso. Sono, perciò, quelli

più frequentemente intonati all’inizio dai bambini, come da tempo rivelano

diverse e più ricerche, tra cui quelle effettuate dallo psicologo Gardner e dai suoi

collaboratori nel 1981, riportate all’interno di uno scritto il cui titolo è già di per

sé piuttosto significativo: I bambini cantano una canzone universale?3

3 H. Gardner, Do babies sing a universal song?, in «Psychol. Today», 15, p. 12, pp. 70-76. Si

è detto che i primi pattern che Gordon consiglia di proporre ai bambini nei primi stadi del percorso sono quelli diatonici, formati cioè proprio da seconde, che i bambini intonano con naturalezza e con facilità. Viene naturale pensare che il salto successivo più semplice sia essere, appunto, l’intervallo di terza, non già una quinta. I bambini, dunque, risponderebbero alla quinta con l’intervallo in quel momento per loro più facile da eseguire tra quelli più vicini a quello proposto.

La riproduzione ed il riconoscimento degli intervalli è un vero e proprio apprendimento, simile a quello linguistico, perciò progressivo e per livelli.

D’altra parte credo che la spiegazione dell’alta percentuale di riproduzione dell’intervallo di terza discendente da parte dei bambini sia da legarsi proprio anche ad una vicinanza e interscambiabilità con il percorso di apprendimento del linguaggio parlato, che immancabilmente influenza il piccolo. In un sistema in cui l’orecchio del bambino è fin dalla nascita inevitabilmente incardinato col sistema linguistico, è facile pensare che l’intervallo in questione corrisponda, con

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Si può notare come osservazioni di questo tipo portino a riflettere

sull’esistenza di un percorso standard che si verificherebbe, secondo ipotesi, nella

maggior parte dei bambini, i quali, prima di riuscire a imitare la determinata

funzione musicale di tonica data dai gradi V-I, passerebbero attraverso non solo

percorsi propri e personali, legati a fattori diversi, ma anche attraverso oggettive

tappe comuni, come, per l’appunto, l’intervallo di terza discendente che

potremmo a questo punto definire come un ‘pattern tappa’, intendendo cioè una

competenza che anticiperebbe la successiva capacità di imitazione dell’intervallo

di quinta da parte del bambino.

Supposizione, questa, che può porre le basi per sperimentazioni nel tempo che

abbiano come fine quello di apportare ed aggiungere vantaggi ad un sistema

educativo in continua crescita. Tuttavia, per poter illustrare la mia idea di lavoro

al riguardo, debbo prima necessariamente soffermarmi su un ulteriore aspetto

della mia ricerca, che considero il più interessante ed importante: si tratta di una

considerazione cui mi hanno portato soprattutto l’analisi e l’osservazione dei

video registrati da tre colleghi insegnanti, 8 lezioni singole in tutto. Innanzitutto i

video confermano, una volta di più, la presenza massiccia della risposta di terza

discendente, in alcuni casi addirittura esclusiva, da parte dei bimbi in fase di

imitazione non ancora accurata, al pattern V-I discendente.

Ho considerato, nella visione degli otto video, tutte le risposte dei giovani

allievi, che hanno un’età compresa tra i 2 e i 5 anni, al pattern oggetto di studio.

Su un totale di 24 proposte del pattern V-I discendente, ben 16 risposte dei

bambini corrispondono ad un intervallo di terza discendente.

ogni probabilità, a livello cerebrale, ad un’area di sensibilità maggiore, e sia da considerarsi, anche in termini evoluzionistici, più ‘utile’ perché più vicino al parlato.

Le ninne-nanne sono per lo più costruite su intervalli di terza; i bambini canticchiano con fare derisorio sulla terza minore discendente (quattro quarti: Sol-Mi/crome, Sol-Mi/crome, Sol-Sol-Mi-La/semicrome, Sol-mi/crome); sulle terze i bambini recitano filastrocche, conte, cantilene, fanno il girotondo…

È lecito pensare che sia soprattutto secondo natura se i bambini intonano con facilità l’intervallo di terza, senza dover necessariamente pensare che questo avvenga perché è l’intervallo a cui sono maggiormente esposti nei primi anni di vita. Quest’ultimo aspetto, infatti, sarebbe forse da intendersi più come una conseguenza, che svolgerebbe poi pertanto anche una funzione di rinforzo del fenomeno, piuttosto che come una causa. Detto in altri termini, è lecito pensare che i bambini intonino con facilità l’intervallo di terza non perché abbiano ascoltato tante ninne-nanne durante i primi mesi di vita, ma al contrario che queste siano costruite sull’intervallo di terza proprio perché di più semplice riproducibilità per l’infante.

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L’aspetto interessante riguarda, in ogni caso, la funzione tonale della terza

intonata dai bambini. La mia ipotesi, infatti, da cui scaturisce poi la mia idea per

una possibile sperimentazione da effettuarsi, è che i bambini, ogni qualvolta

rispondono intonando un intervallo di terza discendente come risposta non ancora

accurata al pattern discendente V-I grado in funzione di tonica, lo facciano

mantenendo sempre la funzione dell’arpeggio di tonica anche quando

apparentemente non sembra. Mi sono reso conto, infatti, che era necessario

considerare, nell’analisi delle risposte dei piccoli, un ulteriore aspetto

fondamentale, che riguarda l’estensione vocale generale di bambini in questa

fascia di età.

Generalmente, stando a quanto scrive Susan Lovergrove Graziano nel volume

di didattica musicale per il canto Oggi si canta, l’estensione utilizzata dagli

insegnanti di musica inizialmente per i loro giovani allievi dovrebbe essere

compresa tra il Do e il Sol centrale, per «rispettare l’estensione media della voce

giovane», anche se poi consiglia di allargarla gradualmente all’ottava4.

Edwin E. Gordon afferma:

Nel bambino l’estensione della voce parlata e quella della voce cantata, non ancora

pienamente sviluppata, tendono a sovrapporsi. Con il tempo la voce cantata potrà sviluppare un’estensione che va approssimativamente dal La sotto al Do medio al La sopra al Do medio, mentre quella iniziale si estende soltanto dal Re sopra al Do medio al La sopra il Do medio5.

Sarà da considerare, dunque, pur tenendo conto delle distinzioni tra bambino e

bambino, una estensione iniziale vocale dei piccoli generalmente compresa,

stando a quanto letto, all’incirca tra il Do centrale e il La centrale.

Sui 16 pattern di imitazione V-I grado discendenti in funzione di tonica cui i

bimbi rispondono intonando una terza discendente, 8, la metà, vengono intonati

dagli insegnanti con due suoni che rientrano nella gamma dell’estensione vocale

dei bambini.

La maggior parte dei canti utilizzati dagli insegnanti che applicano i principi

teorici della MLT, infatti, sono generalmente scritti in keyality (altezze assolute)

che permettano poi una esecuzione di pattern che anche un bambino possa 4 S. Lovergrove Graziano, Oggi si canta. La voce e il canto nella didattica musicale, Ricordi, Milano 1999, p. 8. 5 E. E. Gordon, L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare (1990), a cura di Andrea Apostoli, Curci, Milano 2003, p. 76.

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intonare. Tuttavia, il canto di alcuni brani, con un trasporto di tonalità effettuato

dall’insegnante, porta, talvolta, all’esecuzione di pattern intonati per mezzo di

suoni assoluti che non rientrano ancora nelle possibilità di emissione cantata dei

bimbi in questa fascia di età.

Ho potuto in tal modo osservare, che, ogni qualvolta al bambino venga

proposto il pattern di tonica V-I discendente in altezze per lui di possibile

intonazione, la terza discendente con cui, come visto, risponde nella maggior parte

dei casi in cui si trova in fase di imitazione non ancora accurata, rientra sempre

nell’arpeggio in funzione di tonica del brano e del pattern proposto. In altre

parole, il bambino risponde non con un qualsiasi intervallo di terza discendente,

ma con la successione dei gradi III-I o V-III.

È quanto succede in tutti gli 8 casi presi in esame in cui, sui 16 pattern V-I a

cui i bimbi rispondono con una terza discendente, gli insegnanti intonano i due

suoni all’interno di una gamma che rispetta le possibilità di intonazione del

giovane allievo e attraverso le keyality preferite dal bambino.

Nella tabella sottostante sono riportati tutti e 8 i pattern e le relative risposte in

altezze assolute. La tonica non scende mai al di sotto del Do centrale e non supera

mai il Mi medio6.

PATTERN V-I discendente in

funzione di tonica proposto dall’insegnante dopo il brano

cantato (altezze assolute)

Risposta dei bambini con un intervallo di terza discendente

(altezze assolute)

Gradi delle risposte del bambino all’interno della scala del brano

proposto

La3-Re3 (Maggiore) Fa+3- Re3 III-I Sib3-Mib3 (Maggiore) Sol3-Mib3 III-I

Si3-Mi3 (Minore) Sol3-Mi3 III-I La3-Re3 (Maggiore) Fa+3-Re3 III-I Sol3-Do3 (Minore) Mib3-Do3 III-I

Sol3-Do3 (Maggiore) Sol3-Mi3 V-III Sol3-Do3 (Maggiore) Sol3-Mi3 V-III

Sib3-Mib3 (Maggiore) Sib3-Sol3 V-III

6 Si noteranno il terzo caso nella tabella, in cui probabilmente il bimbo non avrebbe comunque potuto intonare il quinto grado perché forse troppo alto, corrispondente alla nota Si3, e l’ultimo, in cui il bambino si spinge di un semitono sopra il La medio.

È chiaro, infatti, che la gamma Do3-La3 - o Re3-La3, stando a quanto afferma Gordon vada intesa in senso generale, tenendo a mente la possibilità di eccezioni di più toni o semitoni sopra o sotto la scala che sottintendono le ovvie differenze tra i bambini, legate non solo alla propria fisicità, ma anche all’età anagrafica e alle pregresse esperienze personali con la musica.

C’è inoltre da evidenziare, a tal proposito, che Gordon parla di corrispondenza tra l’estensione di canto iniziale dei piccoli e l’estensione di audiation, a sottolineare, dunque, una capacità di pensare i suoni in altezze che corrispondono all’iniziale capacità di ampiezza nell’emissione degli stessi, e viceversa.

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Negli altri 8 casi tra i 16 presi qui in esame, il pattern viene invece eseguito

dall’insegnante con altezze che il bambino, con ogni probabilità, non riesce

ancora a intonare.

Il bambino, pertanto, non risponde più attraverso una terza discendente con i

gradi III-I o V-III, ma con quelli che corrispondono ad altri gradi della scala.

Tuttavia io credo che il piccolo non faccia altro che rispondere, per mezzo di un

trasporto spontaneo, in una tonalità che rientri nelle sue corde e nella sua

estensione di audiation. Detto in altri termini, credo che quei gradi vadano ancora

intesi all’interno di un arpeggio di tonica e che siano, dunque, ancora da intendersi

come gradi III-I o V-III, ma all’interno di una tonalità diversa, di possibile

intonazione per il bambino. Il bimbo, dunque, nel suo tentativo di imitare il

pattern V-I in funzione di tonica, risponderebbe con una terza discendente, che

apparterrebbe alla funzione di tonica del brano proposto se solo la keyality di

questo rientrasse nelle sue corde, come accade nei precedenti 8 casi, ma, non

riuscendo ad intonare o a ‘sentire’ in audiation i gradi III-I o V-III in quelle

altezze, lo fa attraverso un trasporto naturale ed inconsapevole. Per cui i gradi

nelle loro risposte non saranno, in questi casi, da intendersi con la funzione che

nella teoria avrebbero in quella determinata scala, ma sempre all’interno della

funzione di tonica.

In altre parole, risposte che, in quanto altezze assolute, all’interno della

tonalità del brano contestualizzante andrebbero intese ad esempio come gradi

VIII-VI discendenti oppure come gradi VI-IV discendenti, secondo la mia ipotesi

andranno piuttosto intese come suoni di una nuova tonica, quella che appartiene al

bimbo. Edwin Gordon parla spesso di intonazione e tempi personali dei bambini.

Dai nostri dati risulta che la tonica prescelta dai bambini è quasi sempre una nota

compresa tra il Do e il Mi.

Si osservino i dati raccolti negli ulteriori 8 casi in oggetto, dove tali risultati

sono confermati:

PATTERN V-I discendente in

funzione di tonica proposto dall’insegnante dopo il brano

cantato (altezze assolute)

Risposta dei bambini con un intervallo di terza discendente

(altezze assolute)

Gradi delle risposte del bambino all’interno della scala del brano

proposto

Fa3-Sib2 (Maggiore) Sol3-Mib3 VI-IV Fa3-Sib2 (Maggiore) Sol3-Mib3 VI-IV Fa3-Sib2 (Minore) Sol3-Mib3 VI-IV Sol3-Do3 (Minore) La3-Fa3 VI-IV

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Sol3-Do3 (Minore) La3-Fa3 VI-IV Reb3-Solb2 (Maggiore) Fa3-Reb3 VII-V

Re3-Sol2 (Maggiore) Sol3-Mi3 VIII-VI Si3-Mi3 (Maggiore) La3-Fa+3 IV-II

Come mostra la tabella, in tre casi l’insegnante intona la quinta discendente

con funzione di tonica con le altezze assolute Fa3-Sib2. È chiaro che la tonalità di

Sib non sembra rientrare tra quelle adatte al bimbo. Il discorso vale a maggior

ragione per i due casi in cui la tonica intonata dall’insegnante corrisponde alle

note Solb2 e Sol2. Ci sono, poi, due pattern in cui la tonica corrisponde al Do

centrale e il quinto grado al Sol centrale. In tutti e due i casi ci si potrebbe

aspettare, stando a quanto detto sin ora, una risposta corrispondente alle note

Mib3-Do3 oppure Sol3-Mib3. La risposta La3-Fa3 credo sia da intendersi con i

gradi V-III, evidentemente spostati di un tono sopra. In altre parole, credo sia da

intendersi come caso evidente in cui la capacità di estensione e di audiation del

piccolo rientri in quella indicata da Gordon come iniziale: Re3-La3. Il bambino

effettuerebbe, cioè, in questo caso, un trasporto salendo di un tono, e rispondendo

alla tonalità di Do minore con quella di Re minore.

L’ultimo caso, che include un pattern V-I compreso tra le note Si3-Mi3

sembra confermare il caso limite della tabella precedente: non riuscendo il piccolo

ad eseguire la nota Si3, perché probabilmente troppo alta, anziché rispondere qui

con un Si3-Sol+3, risponde ancora una volta nella keyality Re, intonando appunto

i gradi V-III, La-Fa+.

Ma si analizzino singolarmente i 5 casi più evidenti, quelli in cui la keyality

del brano e del relativo pattern proposto è piuttosto lontana dalle toniche preferite

dal bambino: in tre casi corrisponde al Sib2, in uno al Sol2, in uno al Solb2.

Per quanto riguarda i primi due casi in Sib2, se ragioniamo considerando che,

come fin ad ora è sembrato essere, il piccolo mantenga il modo7, in questo caso

maggiore, la risposta del bambino Sol3-Mib3 al pattern Fa3-Sib2 sarebbe da

intendersi coi gradi III-I discendenti in tonalità di Mib3 maggiore, che, come si è

7 Si noterà che, seguendo l’ipotesi dell’intervallo di terza intonato dall’allievo come appartenente all’arpeggio di tonica, se si considera il mantenimento del modo, quando il pattern di quinta proposto segue il modo maggiore si considererà l’intervallo di terza discendente del bambino come un III-I grado se costituito da due toni (terza maggiore), come un V-III grado se costituito da un tono e un semitono (terza minore); viceversa, quando il pattern proposto segue il modo minore, si considererà l’intervallo di terza del bimbo come un III-I grado se costituito da una terza minore, come un V-III grado se costituito da una terza maggiore.

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visto, rientra perfettamente tra quelle più comode e preferite dai bambini.

Nell’altro caso, il terzo nella tabella, invece, le stesse note eseguite dal bambino,

Sol3-Mib3 saranno stavolta da intendersi come un V-III dell’arpeggio di tonica in

Do3 minore (trasporto di un tono sopra).

Negli ultimi due casi rimasti da analizzare (sesto e settimo nella tabella), il

bambino risponde con ogni probabilità intonando i gradi III-I nella tonalità di Reb

maggiore come risposta al pattern Reb3-Solb2 e intonando i gradi V-III in tonalità

di Do3 maggiore con le note Sol3-Mi3 in risposta al pattern Re3-Sol2.

Ancora una volta, dunque, anche in questi ulteriori 8 casi, la tonica del

bambino corrisponde ad una nota compresa tra le altezze assolute Do e Mi.

Ritengo, pertanto, che il discorso sulla tonica personale del bambino sia

strettamente correlato con la sua iniziale capacità di estensione vocale e di

audiation.

In sintesi, l’ipotesi conclusiva di quanto sin qui analizzato è la seguente: i

bambini tendono a rispondere, in fase di imitazione non ancora accurata, al

pattern in funzione di tonica costituito dai gradi V-I discendenti attraverso un

intervallo di terza discendente che mantiene sempre, o nella maggior parte dei

casi, la funzione e il modo del pattern proposto.

Arrivo, dunque, a conclusione di quanto sin qui osservato, alla mia ipotesi di

intervento e sperimentazione.

Se è vero dunque quanto sin qui ipotizzato, si potrebbe tentare, ogni qualvolta

i piccoli intonano la terza, di rinforzare la funzione di tonica sempre con l’intero

arpeggio costituito dai tre suoni, cantandolo ogni volta come ulteriore risposta al

canto del bimbo, dopo aver imitato la sua risposta non accurata costituita

dall’intervallo di terza.

Solitamente gli insegnanti che applicano la MLT nelle loro lezioni di musica

tendono a proporre all’allievo, quando questo si trova in fase di imitazione, i tre

suoni arpeggiati nella stessa funzione e ad andare quindi avanti con il percorso

educativo quando nell’imitazione non accurata del pattern di due suoni eseguito

dal piccolo osservano che il bambino si è finalmente reso conto della distinzione

tra la sua imitazione e l’esecuzione dell’adulto. Gli insegnanti, infatti, possono

rendersi conto di questa raggiunta consapevolezza nel bambino osservandolo.

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Scrive Gordon: «un segno che tale transizione è avvenuta o sta per avvenire può

essere costituito dallo sguardo fisso che sottintende il sussistere di audiation»8.

Gordon parla, inoltre, anche di altri segnali nel bambino utili all’adulto per

accorgersi che il piccolo ha preso coscienza della differenza tra quello che ha

appena cantato e ciò che è stato cantato dall’adulto: si riferisce alla bocca

socchiusa e alla testa inclinata9.

La mia idea è di provare a proporre al piccolo sempre l’intero arpeggio di

tonica costituito dai gradi V-III-I in successione, dopo aver imitato la sua risposta

costituita dai gradi III-I o V-III a prescindere dalla consapevolezza raggiunta

dall’allievo della distinzione tra il suo intervallo di terza e la quinta intonata

dall’insegnante. In questo modo, infatti, il canto del bambino verrebbe sempre

ulteriormente contestualizzato all’interno della funzione di tonica, la sua terza

verrebbe sempre ‘messa dentro’ la funzione, dandogli così la possibilità di

abituarsi ad ascoltare l’intervallo di terza da lui intonato come appartenente ad una

precisa funzione tonale.

Si potrebbe in tal modo osservare se un procedimento educativo di questo tipo

aiuti il bambino ad interiorizzare prima nel tempo e più facilmente la funzione di

tonica, portandolo inoltre ad intonare prima l’intervallo di quinta.

È chiaro che per poter portare avanti un’esperienza di osservazione simile è

necessario raccogliere e analizzare i dati in un arco di tempo sufficiente e con

continuità, prendendo a campione più bambini e mettendo a confronto i dati di

coloro ai quali viene proposto questo tipo di percorso con quelli che saranno più

tardi esposti all’intero arpeggio di tre suoni. Bisognerà, inoltre, sempre tener

presente l’intero percorso nonché il livello di attitudine tonale personale di

ciascuno, potendo in tal modo legare i traguardi raggiunti da ognuno ai giusti

rapporti e alle giuste correlazioni e valutazioni.

Una considerazione mi sembra però più importante e necessaria di tutte, ed è

proprio quella cui ha portato la presente ricerca: è chiaro che si potrà rinforzare

ogni volta la funzione di tonica del brano attraverso l’intero arpeggio,

contestualizzando così, come detto, all’interno dell’intero arpeggio l’intervallo di

8 E. E. Gordon, L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare, cit., p. 79. 9 Cfr. Ivi, p. 80.

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terza discendente intonato dal bambino, se lo si mette nelle condizioni tali per cui

possa intonarlo effettivamente all’interno della funzione di tonica nella keyality da

noi proposta. Il che vuol dire, dunque, che si dovrà prestare attenzione a cantare i

brani tonali contestualizzanti in maggiore e in minore, prima dell’esecuzione del

pattern di tonica costituito dai gradi V-I in senso discendente, tenendo in

considerazione l’estensione tonale iniziale dei piccoli, di modo che le toniche

corrispondano a quelle più naturali per i bambini.

Questo rappresenta un aspetto importante a livello educativo, a prescindere

dalla mia idea di intervento. Credo, pertanto, che il miglior modo di concludere il

mio intervento, sia quello di citare ancora una volta direttamente il prof. Gordon,

invitando tutti, e gli insegnanti di musica che lavorano con i bambini piccoli in

primis, a riflettere sulle sue parole:

Un aspetto importante è l’ambito tonale delle canzoni che si cantano […]. La nota più

bassa della canzone non dovrebbe mai scendere al di sotto del Re, una seconda maggiore

sopra il Do medio, e solo in rare circostanze essere più alta del La, una sesta maggiore

sopra il Do medio. Questa è l’estensione entro cui il bambino comincia a imparare a

realizzare l’audiation. La tessitura di una canzone, cioè l’estensione in cui rientra la

maggior parte delle note, merita un’attenta considerazione quando supera quella descritta,

dovrebbe essere contenuta quanto meno entro l’ambito tonale di audiation […]. I pattern

tonali cantati ai bambini durante la fase di imitazione dovrebbero rientrare nei limiti

dell’estensione iniziale della loro voce cantata, che è identica alla loro estensione iniziale

di audiation10.

10 E. E. Gordon, L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare, cit., pp. 60, 76.

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IV SEZIONE

IL MOVIMENTO COME ESPERIENZA SENSORIALE PER LO SVILUPPO DELL’AUDIATION

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Sviluppo motorio e plasticità neuronale in età evolutiva di Mario Cacciavillani

Cenni di neurogenesi e motricità prenatale Il sistema nervoso dell’embrione umano appare all’inizio della terza settimana di

sviluppo sotto forma di un ispessimento cellulare detto placca neurale su cui sono

localizzate le prime cellule nervose. Successive modificazioni della placca neurale

porteranno prima alla formazione di un canale e quindi alla formazione del tubo

neurale.

Il sistema nervoso appare quindi come una struttura tubulare, riempita di liquido,

dalla quale origineranno le varie porzioni delle strutture nervose centrali (cervello

e midollo spinale) e in seguito di quelle periferiche.

Perché il sistema nervoso possa svilupparsi è necessario che cellule precursori

(neuroblasti) posizionate negli strati più interni del tubo neurale possano prima

migrare verso strati più esterni e quindi differenziarsi in neuroni.

Il processo di migrazione avviene attraverso il supporto strutturale di cellule dette

gliali che hanno soprattutto una funzione trofica e di sostegno.

Il processo di differenziazione o maturazione avviene con l’emissione dal corpo

cellulare del neurone di lunghe estroflessioni citoplasmatiche chiamate neuriti,

che poi diventeranno assoni e dendriti.

Alla sesta settimana di vita embrionale cominciano a svilupparsi gli emisferi

cerebrali e alla settima settimana i neuroni cominciano a comunicare tra loro ed è

possibile registrarne l’attività elettrica.

Alla fine del secondo mese sono osservabili i primi movimenti caratterizzati da

lente estensioni del capo a cui seguono movimenti rapidi o lenti di braccia,

gambe, dita, stiramenti, movimenti di suzione, deglutizione, singhiozzi, sbadigli.

Verso il quarto-quinto mese di gravidanza si verificano importanti cambiamenti

della motricità, in particolare per la presenza di momenti di immobilità fetale che

preannunciano quell’alternanza di attività e di riposo presente nel neonato.

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A partire dal settimo mese di gestazione il feto trascorre periodi sempre più

regolari di sonno seguiti da momenti di veglia.

Principali tappe dello sviluppo motorio nell’età evolutiva Nella prima infanzia si verifica un rapido sviluppo delle capacità motorie. In

pochi mesi il bambino acquisisce la capacità di manipolare oggetti, muoversi

nell’ambiente ed esplorarlo.

Lo sviluppo di queste abilità è conseguente all’interazione tra i cambiamenti che

avvengono nel sistema nervoso, in particolare nella corteccia cerebrale, fattori

ambientali e caratteristiche biomeccaniche dell’individuo.

È in questo periodo che comincia il lento processo di mielinizzazione delle fibre

nervose che consentirà lo scambio veloce delle informazioni tra i vari centri

nervosi. La mielina infatti è quella guaina di sostanza grassa che circonda i

prolungamenti delle cellule nervose (assoni) e che permette la conduzione rapida

dei segnali elettrici lungo gli assoni, oltre ad avere una funzione di tipo trofico

sull’assone stesso.

È proprio questa mielinizzazione che permetterà al cervello di controllare i

movimenti del corpo in modo sempre più efficiente e lo scambio di informazioni

tra emisfero destro e sinistro.

In particolare, intorno ai 3-6 mesi di vita lo stabilirsi di efficienti connessioni

nervose tra le aree occipitali, temporali e parietali consente al bambino di

controllare i muscoli del corpo (collo, tronco, braccia e infine gambe), di

percepire sempre meglio i messaggi visivi e uditivi.

Al 9-10 mese inizia a maturare la corteccia frontale e lo sviluppo delle lunghe

fibre nervose permette che diverse aree cerebrali (visive, uditive, motorie,

sensoriali) possano scambiarsi informazioni.

A cominciare da questo periodo fino alla fine del 2° anno il cervello di un

bambino è fortemente impegnato alla sintesi di nuove proteine, in particolare per

la produzione di sinapsi. Le sinapsi sono quei minuscoli bottoni attraverso cui i

prolungamenti dei neuroni (assoni e dendriti) entrano in contatto con i

prolungamenti o con i corpi cellulari di altre cellule nervose. In questo periodo la

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produzione di sinapsi è superiore di circa il 150% rispetto a quella che si verifica

in un adulto.

Dalla fine del 2° anno inizia invece un processo chiamato di potatura sinaptica che

è la conseguenza di una competizione neuronale: si affermeranno infatti quei

neuroni e quelle sinapsi che verranno rafforzati dalle esperienze che essi

registrano a discapito di altri circuiti che verranno eliminati.

Il processo di trasformazione del cervello non cessa con la prima infanzia ma va

incontro a profonde trasformazioni anche negli anni dell’adolescenza e la

maturazione cerebrale continua fino a oltre i 20 anni.

La specie umana è caratterizzata da una lenta maturazione cerebrale e da un lungo

processo di apprendimento. Il nostro comportamento non dipende infatti da un

pacchetto di informazioni già determinate ma dalla plasticità con la quale il

cervello si riorganizza in base alle esperienze e agli apprendimenti individuali.

La combinazione di una diversità genetica di base, di una diversità nelle

esperienze di vita e di una componente casuale fa del cervello di ciascuno di noi

un elemento unico e irripetibile.

Plasticità neuronale Nei primi anni di vita le diverse aree cerebrali presentano una notevole plasticità

nel senso che non presentano rigide competenze ma riescono ad acquisire diverse

funzioni. Questa capacità la si può constatare osservando l’esito di alcune lesioni

cerebrali. Se in età infantile si verificano dei danni corticali, anche gravi, la

corteccia residua riesce ad espletare quelle funzioni svolte in precedenza dalle

aree corticali danneggiate.

Il cervello infantile presenta quindi una grande plasticità. Più in particolare sono

state evidenziate due tipologie di modificazioni cerebrali: una di tipo strutturale in

cui una certa popolazione di neuroni particolarmente sollecitata recluta neuroni

adiacenti e una di tipo funzionale in cui una certa popolazione particolarmente

sollecitata si riorganizza in modo da essere più efficiente.

È dimostrato che i rapporti tra una particolare struttura e una particolare funzione

variano nel tempo a seconda delle necessità e delle pressioni dell’ambiente.

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Ad esempio è noto che alcune funzioni, motorie e sensitive, sono localizzate in

specifiche aree corticali dove si possono tracciare delle mappe topografiche

(homunculus motorio e sensitivo), che vuol dire che ogni parte del corpo è

mappata su un’area precisa della corteccia.

Queste mappe corticali si presentano come caricature del nostro corpo: un gran

faccione, una bocca e una lingua enorme, mani esagerate e un tronco esile.

Questa sproporzione tra l’estensione di alcune regioni del corpo e la loro

rappresentazione corticale può essere spiegata pensando alla densità di

terminazioni presenti in alcune regioni: le mani esplorano il mondo più di un

gomito e invieranno quindi al cervello una quantità enormemente maggiore di

informazioni. Allo stesso modo la rappresentazione centrale dei movimenti della

mano, della bocca e della lingua è enormemente più estesa di quella dei

movimenti di altre parti del corpo in quanto il controllo di questi distretti è di

fondamentale importanza e impegna quindi un numero enormemente superiore di

cellule nervose.

Queste mappe corticali non sono fisse e immutabili ma i loro confini possono

variare nel corso delle vita adattandosi a nuove esigenze dei territori periferici.

La rappresentazione corticale di una particolare funzione sensoriale o motoria è

quindi variabile, plastica e soggetta a profondi rimaneggiamenti.

Con il progredire della crescita il programma genetico interagisce sempre di più

con l’ambiente esterno, con tutto quel complesso di stimoli, sollecitazioni,

variabili culturali in cui si sviluppa un neonato, un lattante, un bambino. Il

cervello quindi può essere plasmato dall’esperienza nella sua organizzazione

strutturale e funzionale.

Il controllo del movimento

Un qualsiasi movimento del nostro corpo non rappresenta l’atto finale di un

comando che partito dalla corteccia motoria arriva, tramite alcune vie nervose, a

provocare la contrazione muscolare. Il controllo corticale del movimento

volontario coinvolge quasi tutta la neocorteccia.

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L’azione finale non è altro che l’integrarsi di un insieme di vie, di circuiti e di

informazioni retroattive senza le quali un movimento perderebbe in precisione e

in fluidità e risulterebbe rigido e scoordinato.

Un movimento deve essere iniziato, eseguito e controllato.

Partiamo dall’inizio. Quando pensiamo di compiere un’azione la decisione viene

presa dalle aree anteriori della corteccia frontale che attivano la corteccia

premotoria, situata anteriormente alla corteccia motoria nel lobo frontale, e infine

si eccitano i neuroni piramidali (per la loro forma a piramide) situati sulla

corteccia motoria. Da quest’area partono i messaggi che dovranno raggiungere i

vari muscoli del corpo. Questi messaggi corrono lungo le vie nervose piramidali,

giungono al midollo spinale dove prendono contatto con altri neuroni motori i cui

prolungamenti, usciti dal midollo, trasmettono il segnale, tramite i terminali

sinaptici (sinapsi neuro-muscolare), ai vari muscoli generando il movimento.

Per compiere un gesto non basta però che i muscoli implicati in quel movimento

siano efficienti ma è necessario che il “sistema piramidale” che abbiamo descritto

sia in continua relazione con il “sistema extrapiramidale” costituito da centri di

integrazione (in particolare i gangli della base) che si trovano nella parte più

interna degli emisferi e che regolano oltre al tono muscolare, l’accuratezza, la

velocità e la scioltezza del movimento.

Per realizzare una corretta organizzazione motoria è necessario inoltre l’intervento

di un’altra struttura cerebrale: il cervelletto. Sono le connessioni con i centri e le

vie cerebellari che permettono la sequenza dettagliata, fluida e coordinata delle

contrazioni muscolari nei vari gruppi motori implicati in una particolare azione.

Nel controllo della motricità sono coinvolte anche aree cerebrali che ricevono

messaggi direttamente dal nostro corpo, relativi allo stato di tensione dei muscoli

e alla posizione delle varie parti del nostro corpo (stimoli propriocettivi).

In particolare i muscoli scheletrici, possiedono due propriocettori

meccanosensitivi: i fusi neuromuscolari che misurano la lunghezza e l’entità

dell’allungamento dei muscoli e gli organi tendinei del Golgi i quali valutano la

forza generata da un muscolo, misurando la tensione del suo tendine.

Esistono, inoltre, svariati meccanocettori nel tessuto connettivo delle articolazioni,

specialmente all’interno delle capsule e dei legamenti.

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Sono proprio queste informazioni retroattive (feedback) che permettono a livello

inconscio un continuo controllo sullo stato del nostro corpo e su come viene

eseguito un particolare movimento.

A un livello meno inconscio esiste anche un controllo sensoriale del movimento.

Infatti con la vista e altre vie di senso controlliamo di continuo l’azione che

stiamo compiendo riuscendo ad apportare immediate correzioni.

Il movimento volontario è quindi il risultato della relazione tra diverse vie e centri

nervosi non solo specificatamente motori.

Nel nostro cervello esiste inoltre un altro meccanismo, diciamo imitativo, in grado

di reagire ai movimenti eseguiti da altri esseri umani e di copiarne lo schema.

Proprio per la capacità di rispecchiare le azioni degli altri questi neuroni,

localizzati nella circonvoluzione frontale inferiore e nel lobo parietale inferiore,

sono chiamati “neuroni specchio”.

Se osserviamo qualcuno afferrare un oggetto, nel nostro cervello si attivano quei

neuroni che nella corteccia premotoria preparano all’azione, senza arrivare

comunque a eccitare i neuroni motori e quindi a provocare un’azione simile.

L’osservazione di un’azione induce nell’osservatore l’attivazione dello stesso

circuito nervoso che ne controlla l’esecuzione.

Più in generale i neuroni specchio paiono essere coinvolti oltre che

nell’apprendimento attraverso l’imitazione, molto importante soprattutto nella

fase infantile, anche nei sofisticati meccanismi di comprensione delle azioni altrui.

La dimostrazione dell’esistenza nel cervello umano di neuroni appartenenti o

comunque strettamente legati al sistema motorio in grado di “percepire” l’azione

compiuta da altri, può radicalmente cambiare il modo di concepire il rapporto tra

azione, percezione e processi cognitivi.

Più in generale questa scoperta potrebbe aiutarci a capire i meccanismi

neurofisiologici della nostra capacità di comprendere il significato delle azioni

altrui, di afferrare le intenzioni che ne sono alla base, di imitarle e di entrare in

relazione empatica con gli altri.

Si può incominciare a considerare il movimento non più come una serie di vie

neuronali finalizzate ad attivare una specifica sequenza motoria ma come un

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punto di partenza per lo sviluppo delle funzioni mentali sin dalle prime fasi delle

vita postnatale.

BIBLIOGRAFIA

C. Fazio - C. Loeb, Neurologia, vol. I, Società Editrice Universo, Roma 1996

E. Boncinelli, Il cervello, la mente e l’anima, Mondadori, Milano 1999

A. Oliverio, Prima lezione di neuroscienze, Editori Laterza, Bari 2008

M. Iacoboni, I neuroni specchio, Bollati Boringhieri, Torino 2008

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Ascolto e movimento, due esperienze sensoriali di Silvia Biferale

L’educazione musicale nella prima infanzia, secondo la Teoria

dell’Apprendimento Musicale di E. E. Gordon, si realizza creando contesti nei

quali sia possibile un’immersione nella musica cantata, dove si realizzi un ascolto

fatto anche di movimenti e piccoli gesti, dove l’educatore sia musica con tutto il

suo corpo per essere oggetto di imitazione e rispecchiamento del bambino e

inaugurare così il processo di apprendimento. La realizzazione di questi requisiti

educativi, sottoposti a continue evoluzioni e progressive modifiche, passa per una

ricerca accurata della corporeità della voce dell’educatore: voce intesa come

presenza e relazione e non come performance musicale; voce nata dall’ascolto e

che nell’ascolto si rinnova; voce coerente col movimento che non sarà descrittivo

o narrativo, ma ingrediente stesso della voce e della musica. Il movimento è

sempre presente nelle teorie e nelle pratiche educative musicali più note. Tuttavia

il movimento che affronteremo nelle pagine che seguono è un movimento che non

ha un significato simbolico preesistente, che non mira a descrivere o a mimare

una situazione emotiva o ambientale: esso nasce dall’ascolto musicale e ne è

un’espressione costitutiva tanto quanto il suono.

Questa prospettiva nuova, che considera l’ascolto e il movimento entrambi

come esperienze multisensoriali, appare fondamentale per comprendere come il

bambino realizzi il suo processo di apprendimento e come le sue risposte agli

stimoli possano essere motorie o sonore a seconda dei contesti, delle

caratteristiche individuali e delle competenze raggiunte. L’ascolto e il movimento

si presentano, quindi, nel processo di apprendimento, sia come due strumenti

educativi sia come due possibilità espressive mediante le quali si realizza

l’intenzione relazionale e affettiva del bambino e dell’educatore.

È noto come le modalità precoci del bambino di sperimentare il mondo

siano prevalentemente sensoriali: si compiono mediante l’udito, il tatto, la vista e

tutte quelle informazioni provenienti dal mondo circostante e dal suo mondo

interno (come la fame o il dolore), le quali progressivamente parteciperanno alla

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costruzione del suo involucro corporeo e psichico. Non tutte le esperienze

sensoriali lasceranno traccia naturalmente (basti pensare a quante sollecitazioni il

mondo esterno impone), ma solo quelle che avranno un significato affettivo

relazionale, che si troveranno all’interno di una relazione con parti di sé o con

l’altro, che non saranno accessibili alla memoria perché appartengono a tempi

precoci dello sviluppo, restando però custodite nel corpo.

Dall’ambito vasto e complesso del mondo sensoriale verranno trascelti e

posti qui in esame l’ascolto e il movimento, nel tentativo di analizzarne le

connessioni e le funzioni relative allo sviluppo del bambino, mantenendo

l’attenzione all’aspetto multisensoriale di ognuna delle due esperienze.

La definizione di ascolto come esperienza sensoriale è immediatamente

evidente poiché l’udito è uno dei cinque sensi, l’orecchio un organo di senso;

tuttavia l’ascolto non mette in gioco solo l’orecchio, ma tutto il corpo in quanto

esperienza sensoriale complessa. Il suono e la voce sono, infatti, vibrazioni

raccolte dalla pelle, dalle ossa, dai liquidi interni; tutto il corpo partecipa alle

modificazioni che dall’esterno e dall’interno si realizzano nell’ascolto in una

dinamica relazionale, in uno scambio continuo con l’altro. Il suono entra e dilata il

corpo ponendo l’ascoltatore allo stesso tempo dentro e fuori di sé in una

vibrazione che da fuori a dentro lo modifica e lo mette in relazione con l’altro,

dall’uno all’altro, dall’uno nell’altro. E’ il corpo intero in gioco, in un passaggio

continuo che struttura il senso della relazione in uno spazio condiviso. Ascoltare

è, quindi, un’esperienza sensoriale che coinvolge tutti i recettori corporei, i

propriocettori, i recettori cutanei, l’orecchio, in un perenne ascolto di sé e

dell’altro.

Durante il pluriennale lavoro di educazione musicale nella prima infanzia,

svolto dagli insegnanti Aigam secondo la Music Learning Theory di E. E.

Gordon, sono state compiute molte osservazioni del neonato in ascolto della voce

materna o di una melodia cantata dall’insegnante. Queste osservazioni rivelano

con chiarezza le modificazioni toniche di tutto il corpo del bambino immerso

nell’esperienza d’ascolto, come se egli esprimesse un linguaggio motorio

costituito di modulazioni di tono corporeo in risposta a modulazioni sonore. Il

piccolo ascoltatore inarca la schiena, allarga le braccia, spalanca la bocca e gli

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occhi, si lascia accarezzare o scuotere dal suono che lo tocca, risponde col corpo e

con la voce al dialogo instaurato. E’ difficile separare nelle prime fasi della vita la

risposta motoria da quella sonora. Mai come in questa età la voce è corpo e, in

assenza di voce, è il corpo a parlare mediante il proprio movimento. Durante tutto

il periodo preverbale la voce costituisce per il bambino un significato che precede

quello semantico: il contenuto dell’ascolto è nel tono, nel colore e nella grana

della voce, nei movimenti che la accompagnano, nel ritmo che li scandisce;

l’esperienza di ascolto è multisensoriale, così come le risposte che ne derivano.

Le osservazioni sin qui riportate impongono di conseguenza una

riflessione sulla componente sensoriale del movimento, al centro di molte ricerche

nell’ambito delle neuroscienze, poiché mostrano come da una significativa

afferenza sensoriale, l’ascolto in questo caso, si possano avere molteplici risposte

motorie.

Il vecchio concetto per cui le aree della corteccia cerebrale che si

occupano di realizzare il movimento sono solo delle aeree “esecutive” è da tempo

superato. Oggi si parla, invece, di aree sensomotorie, per sottolineare il fatto che

le informazioni sensoriali e motorie trovano uno stesso luogo di elaborazione nel

cervello.

Il neurologo francese Alain Bertoz ha pubblicato nel 1997 un lavoro dal

titolo Il senso del movimento, introducendo il concetto di movimento come sesto

senso. Con un raffinato gioco di parole, egli prende in analisi due significati del

senso del movimento. Nel primo considera la sensorialità del movimento come un

senso aggiuntivo ai cinque sensi ben noti: un sesto senso, quindi, il movimento

sensoriale. Nel secondo introduce la capacità di predizione del sistema motorio, il

sesto senso, dotato cioè di funzione anticipatoria di ciò che sta per accadere nella

realtà che ci circonda.

Bisogna capovolgere completamente il senso in cui si studiano i sensi: bisogna

partire dall’obbiettivo perseguito dall’organismo e capire come il cervello interroga i

recettori regolando la sensibilità, combinando i messaggi, pre-specificando i valori

stimati, in funzione di una simulazione interna delle conseguenze attese dell’azione!1

1 A. Bertoz, Il senso del movimento, Mc Grow-Hill Libri Italia Milano 1998, p….

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Il cervello non è più, nell’analisi di Bertoz, un calcolatore che cerca

l’adattamento migliore al mondo esterno, bensì un “simulatore” che escogita

ipotesi e crea modelli.

Le ricerche nate dall’osservazione dello sviluppo motorio e cognitivo del

bambino hanno messo in evidenza come il movimento fin dalla primissima

infanzia costituisca lo strumento principale di cui il bambino dispone per fare

esperienza sia del mondo esterno sia del mondo interno. Mediante il movimento

egli misura il proprio corpo e il mondo che lo circonda. Esplora lo spazio, fa

esperienza del tempo che lo separa dall’oggetto desiderato, verifica e progredisce

nelle sue competenze motorie e nella conoscenza del proprio corpo. Possiamo dire

che il movimento è un’esperienza fondante la strutturazione del sé corporeo. Sono

presenti in letteratura studi di bambini che, avendo vissuto il primo periodo

dell’infanzia in condizioni di scarse possibilità di movimento a causa o di

patologie o per scarsi stimoli esterni, hanno presentato ritardi nello sviluppo

dell’apprendimento non solo delle competenze motorie, ma anche di quelle

relazionali e linguistiche.

Gli studi più recenti del sistema motorio aiutano a comprendere meglio le

rapide osservazioni fin qui esposte. Sintetizzando possiamo dire che il sistema

motorio è formato da una rete di aree frontali e parietali strettamente connesse con

le aree visive, uditive, tattili, e dotate di proprietà funzionali molto più complesse

di quanto si potesse sospettare. Si è scoperto, in particolare, che in alcune aree

esistono neuroni che si attivano in relazione non a semplici movimenti, bensì ad

atti motori finalizzati e rispondono selettivamente alle forme degli oggetti sia

quando stiamo per interagire con essi sia quando ci limitiamo a osservarli. Se ci

troviamo di fronte a un oggetto grande e pesante si attiveranno neuroni necessari a

sollevarlo già discriminati attraverso l’informazione sensoriale che la vista

dell’oggetto ci ha preliminarmente fornito. Questi neuroni appaiono in grado di

discriminare l’informazione sensoriale, selezionandola in base alle possibilità di

azione che essa offre, indipendentemente dal fatto che tali possibilità si realizzino

in un atto motorio. Si può perciò dire con certezza che il sistema motorio non ha a

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che fare con singoli movimenti, ma con azioni. In altre parole non viene

programmato il gesto di allungare un braccio, di aprire una mano e di chiuderla

attorno all’oggetto, ma viene programmato piuttosto il gesto dell’afferrare

quell’oggetto preciso con il suo peso supposto: viene programmato anche quando

non eseguito, finendo così per creare quel vocabolario motorio che contribuisce a

costituire la conoscenza del mondo esterno.

Attraverso questi atti prende corpo l’esperienza dell’uomo dell’ambiente

che lo circonda e il significato che le cose assumono di conseguenza. Come scrive

G. Rizzolatti:

Lo stesso rigido confine tra processi percettivi, cognitivi e motori finisce per

rivelarsi in gran parte artificioso: non solo la percezione appare immersa nella dinamica

dell’azione, […] ma il cervello che agisce è innanzitutto un cervello che comprende. Si

tratta, come vedremo, di una comprensione pragmatica, preconcettuale e prelinguistica, e

tuttavia non meno importante, poichè su di essa poggiano molte delle nostre tanto

celebrate capacità cognitive2.

La comprensione pragmatica operata dal sistema motorio, le sue relazioni

col sistema sensoriale e la plasticità dell’intero sistema nervoso centrale, così

riccamente e chiaramente illustrata da Mario Cacciavillani in questo convegno,

sono requisiti fondamentali alla realizzazione di processi di apprendimento

durante tutta la vita e la loro conoscenza appare evidentemente importante nella

creazione di progetti educativi.

Per tornare all’apprendimento musicale nella prima infanzia dobbiamo

considerare, quindi, il movimento e l’ascolto, di una voce prima e della musica

poi, come componenti strettamente legate tra loro.

Ricercatori di Montreal (Chen, Zatorre, Penhune) hanno studiato,

attraverso le neuroimmagini, la capacità dell’essere umano di tenere il tempo e

seguire una pulsazione ritmica di un brano musicale ascoltato, verificando una

attivazione della corteccia motoria. Questa attivazione, presente durante l’ascolto

della musica, è riscontrabile anche in assenza della musica, in una condizione

2 G. Rizzolatti - C. Sinigaglia, So quel che fai, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006, p. 3.

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d’immaginazione di un brano musicale noto, in presenza, quindi, di un pensiero

musicale: il che ci conferma un cervello che “agisce” attraverso l’attivazione della

corteccia motoria al fine di comprendere grazie alle relazioni tra le afferenze

sensoriali e quelle motorie.

La Music Learning Theory di Edwin E. Gordon fonda le proprie radici

precisamente su questo presupposto teorico, prima ancora che le scoperte delle

più moderne ricerche lo fondassero scientificamente, affidandosi all’osservazione

del bambino nel suo processo di apprendimento musicale. Il professor Gordon

scrive: «I bambini cominciano a rispondere al ritmo naturalmente, con un

movimento precoce, probabilmente perché il corpo conosce ancor prima che la

mente comprenda»3.

Questo tipo di comprensione si realizza anche attraverso l’attivazione dei

neuroni specchio. Senza entrare nei particolari, che richiederebbero uno spazio

espositivo qui non disponibile, è importante in questo contesto sottolineare come

il sistema di neuroni specchio (SNS) sia localizzato principalmente nelle aree

frontali motorie e sia responsabile del riconoscimento degli altri, delle loro azioni,

e perfino delle loro intenzioni mediante il patrimonio motorio acquisito

dall’osservatore. Il nostro cervello è in grado di “comprendere” atti compiuti dagli

altri, ma anche emozioni percepite da una persona osservata, senza dover fare

alcun tipo di ragionamento, basandosi “soltanto” sulle proprie competenze

motorie. Mediante queste nuove acquisizioni scientifiche si aprono riflessioni sul

processo imitativo, sulla “simulazione incarnata”, per citare Vittorio Gallese4,

sull’empatia e sul rispecchiamento: tutte funzioni oggi considerate indispensabili

allo sviluppo del bambino, avendo perduto la loro accezione negativa, e che si

realizzano prevalentemente nelle aree motorie del cervello, di un cervello il quale

agisce per comprendere. Hanno ben scritto Gallese, Keysers e Rizzolatti: «Non ci

limitiamo a vedere con la parte visiva del nostro cervello, ma utilizzando anche il

nostro sistema motorio»5.

3 E. E. Gordon, L'apprendimento musicale del bambino dalla nascita all'età prescolare, Edizioni Curci, Milano 2003, p. 18. 4 Cfr. V. Gallese, Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale. Meccanismi neurofisiologici dell’intersoggetività, in “Rivista di Psicoanalisi”, LIII, 2007. 5 V. Gallese, C. Keysers, G. Rizzolatti, A unifying view of the basis of social cognition, in “Trends in Cognitive Sciences”, VIII, 2004, p. 396.

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Questo sistema dei neuroni specchio è dunque decisivo per definire che

l’origine della capacità di agire in un soggetto è certamente individuale, ma

soprattutto sociale e relazionale. In questo modo ci ricorda, dunque, l’importanza

dell’intersoggettività, della possibilità di condividere immediatamente percezioni,

emozioni e sensazioni. Ci ricorda ancora quanto sia fondamentale la cura della

relazione affettiva educativa all’interno della quale è possibile favorire il processo

di apprendimento. Possiamo quindi ripetere con Oliver Sacks «l’ascolto di una

melodia è un ascolto con la melodia»6.

In conclusione, per tornare alla riflessione sugli strumenti educativi nella

prima infanzia e alla imprescindibilità della esperienza di ascolto da quella

motoria, ci sembra molto pertinente ricordare il concetto di ascolto avanzato da

Jean Luc Nancy. Il filosofo francese considera l’ascolto come una azione

condivisa: «un reciproco risuonare di corpi tesi all’ascolto»7.

Sono parole che facciamo nostre: l’ascolto e il movimento vanno

considerati come due esperienze sensoriali non solo perché si riferiscono ad aree

corticali comuni, ma perché sussistono come azioni condivise, come azioni

costitutive del processo di apprendimento in quanto e nella misura in cui lo sono

della relazione affettiva sottesa.

BIBLIOGRAFIA

A. Bertoz, Il senso del movimento, Mc Grow-Hill Libri Italia, Milano 1998.

V. Gallese, C. Keysers, G. Rizzolatti. A unifying view of the basis of social

cognition in “Trends in Cognitive Sciences”, VIII, 2004.

V. Gallese, Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale. Meccanismi

neurofisiologici dell’intersoggetività, in “Rivista di Psicoanalisi”, LIII, 2007.

E. E. Gordon, L'apprendimento musicale del bambino dalla nascita all'età

prescolare, Edizioni Curci, Milano 2003.

J. Nancy, All’ascolto, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002.

G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai, Raffaello Cortina Editore, Milano

2006.

6 O. Sacks, Musicofilia, Adelphi Edizioni, Milano 2008, p. 24. 7 J. Nancy, All’ascolto, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002, p. 23.

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O. Sacks, Musicofilia, Adelphi Edizioni, Milano 2008.

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V SEZIONE

COME FAVORIRE IL PROCESSO D’ASCOLTO NELLA RELAZIONE DIDATTICA

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L’ascolto dell’ascolto di Rita Toti

Come riflettere sulla funzione dell’ascolto, di quali modi di ascolto o di

quali livelli? Possiamo occuparci del livello semantico, in cui entra in gioco il

nostro sapere, la nostra conoscenza che impegna l’ intelletto, oppure del livello

rappresentativo per il quale l’ascolto apre scenari, immagini e fantasie che si

intersecano con le memorie di ognuno e che spesso accompagna puntualmente il

livello semantico, o ancora del livello emotivo che risponde alle sollecitazioni di

ogni tipo che l’ascolto propone. Una considerazione però si affaccia immediata:

questi tre livelli di ascolto sono operanti contemporaneamente e hanno una attività

correlata, sempre, anche quando non ne siamo coscienti. È proprio da questo

punto di vista che vorrei occuparmi dell’ascolto, tenendo presente che non sto

pensando ad una funzione spontanea del nostro esistere quanto, al contrario, a ciò

che può essere conquistato nel tempo, che è soggetto ad una continua evoluzione e

che, sicuramente, racchiude in sé la possibilità di farci vivere e provare ciò che

potrebbe passare inascoltato.

Il titolo di questo mio breve contributo è stato tratto dal pensiero di Haidé

Faimberg, psicoanalista francese che si occupa della possibilità di rivelare le

possibili e traumatiche trasmissioni inconsce attraverso le generazioni, mediante

l’ascolto o meglio “l’ascolto dell’ascolto”. Quattro parole che aprono uno spazio

di profondità più complesso ed articolato dello spazio sancito da due entità che

comunicano: entrambe emittente e ricevente. Nell’ambito psicoanalitico questa

modalità di ascolto, di cui la Faimberg scrive, viene individuata come funzione di

ascolto che l’analista presta alle risposte dei pazienti ai propri interventi: risposte e

ascolto, quindi, dentro una relazione dove si aprono scenari e possibili significati e

ogni evento rimanda a altri vissuti e si ricongiunge a ogni possibile senso.

L’ascolto è una parte fondamentale del lavoro di ogni analista. Fin dalla fine

dell’ottocento Freud, fondatore della psicoanalisi, mise a punto il metodo della

cura mediante le parole. Associazioni libere, sogni o fantasie, tutto espresso con le

parole che un ascolto esperto poteva accogliere, rintracciando nessi e significati

che la coscienza negava.

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Oggi la psicoanalisi, non da sola per fortuna ma insieme ad altri settori del

mondo scientifico, prende in considerazione e promuove studi e ricerche sugli

aspetti psichici che precedono la rimozione che inaugura l’inconscio, quegli

aspetti definiti anche rimozione primaria, per cui possiamo affermare che presta

orecchio a ciò che si pensa sia presente fin dall’inizio della vita, quando ancora

non esiste il pensiero, ma solo il corpo che sente e che esperisce.

Nell’ambito di questo convegno, vorrei occuparmi dell’ascolto con questa

accezione più ampia, di più largo respiro, non solo quindi come orecchio prestato

alla possibilità della nascita di un senso, ma come movimento interno mosso

dall’ascolto, movimento generato da uno stimolo sensoriale tout court. Sensazione

e movimento: già nel lontano 1895 l’innervazione motoria e quella sensoria

venivano considerate da Freud alla stessa stregua e questo, inevitabilmente, mi

appare come prima possibilità di legame, possibilità di avvio di una eventuale

messa in forma dentro una catena associativa a cascata; forse in un segmento

temporale ci è dato osservare l’incipit di qualcosa che inizia a vivere. L’ascolto in

questo senso è attenzione, è apertura dei sensi perché possano raccogliere un

movimento, un palpito vitale.

Mahler sull’esperienza dell’ascolto della sua seconda sinfonia dice «La

cosa, nella sua totalità suona come se venisse a noi da qualche altro mondo» e poi

ancora «tutte le cose più importanti sono quasi impossibili da cogliere con

precisione». Proust sostiene che «la musica, mostrandoci il bisogno e le

complessità nascoste delle nostre anime, è più determinata del linguaggio».

La preziosità quindi del sensibile si può cogliere solo mediante l’ascolto,

frutto di una disponibilità interna a stabilire relazioni che possano andare oltre il

conosciuto. Relazione con l’esterno che si snoda tra presenza e assenza e

relazione con l’interno, anche qui tra parti di sé presenti che si muovono e parti

che si chiudono nel silenzio dell’assenza.

Penso all’ascolto che ogni donna in gravidanza dedica alla vita del feto e a

quanta parte abbia, fin dall’inizio, l’ascolto e la disposizione all’ascolto per il tipo

di relazione che si strutturerà dopo la nascita. All’inizio è ascolto del silenzio, da

cui prende forma l’idea di una presenza con tutte le possibili implicazioni

fantasmatiche e emotive che questa suscita. Relazione interna tra parti

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riconosciute come parti di sé e parti di sé che si vanno formando, riconosciute

come altro. Già quindi nella preistoria della relazione, la funzione dell’ascolto

come spazio interno non saturo, predispone le basi per un futuro incontro con ciò

che ancora non si conosce e mette la mente genitoriale in un assetto di attesa e di

capacità accogliente. Dimensione che prende sempre più spazio e assume una

caratteristica maggiormente attiva con la nascita del bambino. Ma anche il

bambino si trova da subito immerso in una sonorità in parte conosciuta, perché

ascoltata dall’interno, e in parte nuova perché proveniente dopo la nascita

dall’esterno. Dall’esterno rumoroso dentro il quale si mischia a altri stimoli,

diventando così contemporaneamente lo stesso suono e uno diverso. La sonorità

della presenza materna e della sua lingua dà forma e peculiarità al tipo di rapporto

e a quanto lo accompagnerà nelle successive trasformazioni. Mi piace pensare che

l’ascolto permette ad un fenomeno di esistere e di entrare in una rete di relazioni,

forse perché penso, in modo anche azzardato perché in contrasto con posizioni e

pensieri diversi, che l’esistenza non sia in sé un valore assoluto tale da poter

prescindere da qualsiasi forma di riconoscimento, anche il più piccolo, ma sia, al

contrario, segno in attesa di diventare possibilità di senso solo dentro una

relazione. Il bambino all’inizio della sua vita non sa di esistere, non ha un

funzionamento psichico che svolge la funzione autoriflessiva, quella funzione che

permette ad ognuno di sapere di sé. Dal momento della nascita il neonato

percepisce attraverso lo sguardo materno che c’è un oggetto di attenzione e di

cura, potremmo dire d’amore, sperimenta che tale attenzione produce

appagamento e benessere e con il tempo gradatamente, sempre attraverso la

relazione con l’ambiente e con quello sguardo, scopre e riconosce di essere

quell’oggetto. Ma soprattutto l’incontro con la capacità di ascolto dell’ambiente

potrà conferire alla percezione di sé il valore di essere degno di ascolto e quindi di

esistere. Penso che l’attenzione e la cura non possano prescindere dall’ascolto,

quanto piuttosto che si appartengano così strettamente da costituire esse stesse lo

spazio della relazione.

Penso, quindi, che si venga toccati dalla sonorità o dal silenzio della

presenza dell’altro prima ancora che dal suo discorso, quando ancora è

sensazione, emozione, prima del senso.

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L’ascolto è anche udito, funzione di un organo che, all’inizio della vita e

per un po’ di tempo, non può chiudersi volontariamente all’esterno. Quando per

un malfunzionamento questo succede, è causa di danno per l’evoluzione di

strutture e di funzioni cognitive preposte all’apprendimento di sé e dell’altro. Ma

sappiamo anche che il nostro corpo è in grado di sentire mediante altri sensi e

anche coloro che difettano dell’udito, soprattutto quando questa mancanza

avviene dopo l’infanzia, possono sviluppare una capacità di mettersi in relazione

con l’esterno, usando il loro corpo come bussola: il corpo non solo come

strumento di orientamento spaziale, ma in quanto organo che esprime ciò che

recepisce e sente. Fra i grandi del mondo dell’arte ci sono esempi illustri noti a

tutti. Quindi ascolto e spazio, spazio di risonanza, spazio emotivo, ma anche

tempo perché l’ascolto prevede l’attesa, attesa di un qualsiasi segno compreso il

silenzio. L’ascolto, quindi, si muove da un polo all’altro: il luogo dell’altro, il

paziente, diventa oggetto di ascolto per tornare poi ad essere riascoltato. Non

parlo quindi esclusivamente di parole e di tutto ciò che emette un suono, ma anche

di silenzio, di pausa, di ciò che affiora nella presenza, ma soprattutto nell’assenza

dell’altro, di ciò che potrebbe essere oggetto di aspettativa e tuttavia mancare. È

anche tutto ciò che si torna a riascoltare. Nel mio lavoro, così come credo nel

vostro, l’ascolto occupa un posto di primo ordine: mezzo che a volte si fa fine.

Sembra quasi creare il tessuto che da forma all’evento, ciò che lega colui che

ascolta a ciò che sente. L’ascolto è relazione.

In ambito psicoanalitico, come abbiamo visto, lo spazio e il tempo

dell’ascolto sono coordinate di un secondo tempo, quello dell’attesa che segue la

possibilità di tollerare l’assenza, il silenzio, la possibile perdita dell’oggetto da cui

può nascere il pensiero. Una risposta, un segno, un suono non possiedono senso

se privi di ascolto, ma solo dentro la relazione possono trovarlo.

Ecco che allora ai nostri occhi appare una immagine complessa fatta di

suoni o parole che si muovono che vengono ascoltate che toccano e ritornano e

attivano sensi, accendono altri suoni, stimolano risposte emotive. L’ascolto

utilizza tutti i sensi: è la persona che ascolta. L’ascolto quindi dilata lo spazio, il

tempo, e noi stessi.

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Anche quando parliamo di risonanze attivate da suoni o da silenzi, da

pause, da ritmi, da toni o da inflessioni, da presenze o da assenze, stiamo parlando

di un sentire che è sempre un risentire, un sentirsi sentire per cui il sentire o è

soggetto o non sente. Così scrive J. L. Nancy e ancora che la sonorità conferisce a

questa struttura riflessa, per la quale il sentire è sempre un risentire, una maggiore

pregnanza con l’evidenza di una struttura aperta, spaziata e spaziante: luogo di

risonanza, dello scarto del rinvio, dello spazio e al tempo stesso incrocio,

mescolanza, rinvio dal sonoro al sensato, dall’orecchio agli altri sensi.

Quando si parla si è toccati anche dalla propria sonorità. «Infatti il suono è

da un lato suono parlato e in quanto tale da noi stessi prodotto e formato; ma

dall’altro lato, come suono udito, è una parte della realtà sensibile che ci

circonda» afferma Humboldt. Questa definizione sottolinea la perennità di questa

duplice faccia del segno fonetico, oggetto che più di ogni altro si presenta al

soggetto come una parte di sé stesso che ritorna a lui dall’esterno (P. Aulagnier ).

Penso di rivolgermi ad un pubblico raffinato in tema di ascolto e

risonanze, sicuramente ad orecchi allenati a cogliere assonanze, dissonanze, ma

anche capaci di lasciare che tutto questo trovi spazio e suono dentro di sé. Ritorno

al titolo e al suo valore relazionale, all’ascolto dell’ascolto che inaugura la

relazione tra un soggetto che ascolta e qualcosa o qualcuno al di fuori che emette

un segno della propria presenza. Relazione con l’esterno quindi, con un esterno

presente che assume una forma ascoltabile, esterno noto o sconosciuto che rivela

le sue molteplici facce. Su un altro piano, differenziabile solo teoricamente, c’è

l’ascolto interno di chi si tende all’ascolto. Apertura all’esterno ma soprattutto

all’interno di sé, tra parti di sé che sono in una forma di relazione. In questo caso

l’ascolto è tendere verso, è attesa dell’altro, attesa dell’altro che si palesa dentro di

sé. Un’attesa che muove emozioni, affetti, che si apre a una risonanza inaspettata

che sempre ci sorprende. Si apre anche alla mancanza di ciò che ci si aspetta e non

arriva e, anche in questo caso, l’ascolto darà forma ad una presenza emotiva più o

meno nota, più o meno piacevole.

Funzione complessa perché, come abbiamo affermato, l’ascolto segue una

stimolazione plurisensoriale come via di accesso multipla situata in una

metaforica interfaccia tra interno e esterno, tra ciò che accade e il movimento

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avvertito. Di certo accade qualcosa che non è necessariamente esterno a noi e di

cui il nostro corpo, tutto, si fa contenitore. Può essere un contenitore silenzioso, a

volte muto quando l’ascolto tace, a volte, quando siamo più fortunati, un Sé

corporeo che ricorda esperisce e riconosce. In tutti i casi, ascoltare mette nella

condizione di poter sentire e conoscere parti di noi a cui dare espressione e credo

sia un elemento importante della creatività. Il mondo dell’arte è testimonianza di

quanta parte abbia la sensibilità e l’ascolto dei suoi movimenti, nella creazione

delle opere di cui possiamo godere. La capacità di stabilire e mantenere un

contatto interno con quanto è possibile ascoltare, oltre ad ampliare uno spazio di

conoscenza, è motore di espressione e di crescita.

Freud sosteneva l’importanza del recupero di affetti e emozioni

sconosciute, spesso causa di disagio e sofferenza, come strumento di cura rivolto

ai pazienti ma che inevitabilmente implica anche gli analisti. Come si potrebbe

interrogare un fantasma senza fare i conti con l’affetto o con gli affetti coinvolti?

Non è, quindi, solo prerogativa del paziente ma riguarda la coppia al lavoro. Ciò

che un analista non ha processato dentro di sé, non può essere ascoltato sul piano

terapeutico.

Prima di concludere ritorno all’ascolto dal punto di vista musicale e

emotivo. Schopenhauer affermava che la musica è particolarmente adatta a

esprimere parti della personalità che stanno al di sotto del livello

dell’autocomprensione cosciente.

Infatti «la musica può andare oltre l’abitudine, oltre l’uso

dell’intellettualizzazione, in modo tale che le sue strutture simboliche sembrano

penetrare , come un doloroso raggio di luce, proprio le parti più vulnerabili della

personalità», così scrive dell’ascolto musicale Martha Nussbaum. Ella sostiene

che la musica, essendo priva delle strutture oggettuali e narrative a cui siamo

abituati nel linguaggio, ha spesso un’affinità con i materiali emotivi arcaici, senza

forma dell’infanzia. Può quindi raggiungerli e recuperarli nella loro nitidezza,

perché non ancora appannati dal pensiero e dalle sue strutture logiche. Sembra

quindi che la musica abbia il potere di eludere le nostre strutture difensive e che

possa stabilire un contatto più diretto con aspetti emotivi non controllati e

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manipolati, con estremo godimento e vantaggio di chi può prestare un ascolto

disponibile.

Q. Tarantino quando scrive una scena ha bisogno che qualcun altro la

legga, poiché può ascoltarla solo attraverso le orecchie dell’altro.

Freud consigliava agli allievi di lasciarsi stimolare dalle capacità degli

artisti che, in modo più diretto e meno pensato, riescono a raggiungere quei luoghi

interni, che per gli analisti, a volte difesi dalle loro teorie, sono terreno da

conquistare. Non so se gli artisti si riconoscano questo privilegio che a tutti gli

altri piace pensare naturale e spontaneo, oppure, se questa fatica incessante della

conquista appartenga un po’ anche a loro. Se anche nel loro lavoro ciò che ad altri

sembra immediato, non sia piuttosto sempre frutto di impegno e di attenzione.

Credo che sia più frequente questa eventualità, e presumibilmente Freud alludeva

a sensibilità diverse, sicuramente più complesse e articolate, che appartengono a

tutti coloro che vivono il mondo dell’arte.

Rosolato suggerisce che con la musica l’inconscio fornisce il suo quadro

ad una metafora, …come tracce mnestiche di un momento narcisistico nel quale il

bambino crea attivamente, per mezzo della voce l’unione perfetta con la madre. E

ancora Anzieu che il bambino rievoca con i giochi vocali la presenza della madre

assente, crea attivamente intorno a sé usando suoni infraliminari, un ambiente

sonoro, una sfera sonora che cade in disuso nella formazione del linguaggio

comunicativo.

Penso che questa sonorità pur cadendo in disuso, rimanga come presenza

dall’origine sconosciuta e forse anche mai pensata, ma tale da poterci

accompagnare attivamente per tutta la vita.

BIBLIOGRAFIA

D. Anzieu, L’Io pelle, Borla, Roma …

P. Aulagnier, (1975) La violenza dell’interpretazione, Borla, Roma, 2005.

H. Faimberg, (1987) Trasmissioni della vita psichica tra generazioni, Borla,

Roma, 1995.

S. Freud, (1895) A proposito di una critica della “nevrosi d’angoscia”, OSF, 2.

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J. L. Nancy, (2002) All’ascolto, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004.

L. Nissim Momigliano, (2001) L’ascolto rispettoso, Raffaello Cortina Editore,

Milano 2001.

M. Nussbaum, (2001) L’intelligenza delle emozioni, Il Mulino, Bologna 2004.

M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Torino, Einaudi 1978.

A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, vol. II, Laterza

Roma Bari 1986.

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Il bambino all’Opera di G. Pagannone

Che l’opera in musica sia un patrimonio culturale del mondo occidentale, è fuori

discussione. Che sia un genere adatto ai bambini è invece un fatto meno ovvio e

scontato (anche se negli ultimi anni si contano molte iniziative di divulgazione e

di avvicinamento all’opera nelle scuole, nonché varie proposte editoriali sul

tema). E meno scontata pare la funzionalità di questo genere in prospettiva

gordoniana, visto che si tratta pur sempre di musica con testo. Sarà dunque

compito di questa mia breve relazione cercare di sostenere, in via teorica – e

proprio secondo una prospettiva gordoniana – le ragioni di un accostamento

precoce al mondo dell’opera e alla musica operistica. La relazione sul Falstaff di

Federica Braga e Claudia Veronese ha in qualche modo anticipato questa mia

“difesa d’ufficio”; cercherò qui di esporre alcune riflessioni di carattere generale.

Mi concentrerò soprattutto su tre concetti fondamentali, che riguardano da vicino

la Music Learning Theory. Mi riferisco all’ascolto, al canto e alla complessità.

Cercherò di trattarli separatamente, anche se sono interconnessi.

1. Ascolto (assorbimento)

Il concetto di ‘ascolto’ è piuttosto complesso. Sappiamo bene che c’è differenza

tra udire ed ascoltare, o tra hearing e listening1. Qui farò riferimento piuttosto al

concetto di ‘assorbimento’ (absorption), che è il primo, fondamentale stadio nel

percorso di apprendimento musicale tracciato da Gordon2. Uno stadio che a mio

                                                                                                             1 Una bibliografia sull’ascolto e sulle tipologie di ascolto e di ascoltatore sarebbe troppo vasta. Basti qui rimandare a Th. W. Adorno, Tipi di comportamento musicale, in Id., Introduzione alla sociologia della musica (1962), Einaudi, Torino 1971 e 2002, pp. 3-25. In chiave pedagogica-didattica, cfr. M. Della Casa, Educazione musicale e curricolo, Zanichelli, Bologna 20012 (in particolare pp. 51-70) e G. La Face Bianconi, La didattica dell’ascolto, in “Musica e Storia”, XIV/3, 2006, pp. 511-541 (si veda anche la bibliografia in nota 2). In prospettiva storica, cfr. H. Besseler, L’ascolto musicale nell’età moderna (1969), Il Mulino, Bologna 1993. 2 Cfr. E. E. Gordon, L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare (1990), Curci, Milano 2003, in particolare pp. 49-54. A proposito dell’assorbimento, durante la relazione ho proiettato in sala una foto tratta dalla Scuola di Barbiana di Don Milani, dove si vede un ragazzino sugli 8-9 anni seduto a gambe incrociate davanti ad un giradischi ed assorto

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avviso non può e non deve rimanere circoscritto al periodo neonatale, ma deve

accompagnare tutto lo sviluppo musicale. Lo stimolo auditivo, sonoro, specie se

di qualità (non tanto nella riproduzione, quanto nella fattura), è infatti di

fondamentale importanza per l’apprendimento della musica, come di una qualsiasi

lingua, prima ancora delle regole grammaticali. Lo dice chiaramente Gordon, e lo

dicono tutte le esperienze didattiche più aggiornate.

In fase di assorbimento il bambino si forma infatti «un vocabolario di ascolto e

cantato»3, ed è importantissimo che questo vocabolario sia ricco e vario perché

poi in futuro egli possa comprendere ed usare al meglio il linguaggio appreso.

Bene: l’opera può dare un contributo elevato in tal senso, visto che rappresenta

forse la forma più evoluta e perfetta di “canto”. L’uso della voce, seppure di una

voce impostata, chiaramente artefatta (ma anche la voce di chi legge o recita per i

bambini lo è), la ricchezza della trama melodica e dello stesso sostegno

strumentale offrono al bambino uno stimolo musicale quanto mai ricco e “denso”,

che sia un’aria mozartiana o verdiana, un concertato rossiniano, una scena

wagneriana. Uno stimolo peraltro molto accattivante. Ho ancora in mente

l’atteggiamento di assorto e attento stupore dei miei figli, in tenerissima età,

all’ascolto di un’aria di Vivaldi, o della celebre aria della Regina della Notte nel

Flauto magico di Mozart: l’uso della voce in questi brani è stupefacente, e credo

che niente meglio di una prova ardua affascini i bambini, che si tratti di

performance musicale o di qualsiasi altro tipo4.

A conclusione di questo paragrafo si può dire che sì, è possibile ed è opportuno

ascoltare la musica operistica, già in tenera età. Anzi, più si è piccoli, meglio è.

L’esperienza didattica suggerisce infatti che con la crescita il gradimento nei

confronti della musica d’arte e dell’opera diminuisce, e il gusto dei ragazzi tende                                                                                                                                                                                                                                                                                                        nell’ascolto, con sguardo fisso, concentrato (questa fotografia è stata pubblicata nel volume La parola fa eguali, a cura di M. Gesualdi, Libreria editrice fiorentina, Firenze 2005, che raccoglie documenti e inediti su Don Lorenzo Milani e la scuola di Barbiana; si trova nella sezione “Scuola di Musica”, all’interno dell’antologia fotografica in fondo al volume, pp. 155-188). Non che Don Milani avesse molto da dire sull’educazione musicale, ma il suo sano ed accorto pragmatismo gli suggeriva che per far apprendere una lingua straniera, nonché la musica, era necessario battere innanzitutto sull’ascolto, ovvero sull’assorbimento. 3 Gordon, L’apprendimento musicale del bambino, cit., p. 17. 4 Sotto quest’aspetto, l’ascolto visualizzato, cioè in video, contribuisce a rendere più vivida l’impressione musicale, a catturare l’attenzione. L’occhio vuole la sua parte, ma il canto resta pur sempre in primo piano: il bimbo non potrà non subire l’effetto della musica. Tanto più nelle arie citate, per via dei lunghi vocalizzi.

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ad appiattirsi sulla musica di consumo5, pop o dance – quella che sentono

“propria” in virtù di un’esposizione continua ai media (tv o internet), e di

un’aderenza più o meno consapevole all’identità di gruppo, un’identità molto

sentita soprattutto in età adolescenziale (di solito, si tratta di musica molto ritmica

e povera melodicamente, a differenza di quanto avviene nell’opera). La qualità

della musica assorbita da piccoli può dunque incidere sui gusti musicali, oltre che

sull’apprendimento stesso della musica e sulla crescita culturale6.

È pur vero che l’opera è teatro in musica, dunque l’ascolto non può prescindere, o

comunque deve fare i conti con l’aspetto scenico e drammatico. Il che può anche

rappresentare un’opportunità o perfino un vantaggio a livello didattico, perché –

l’esperienza del Falstaff presentata in questo convegno lo dimostra7 – l’ascolto

                                                                                                             5 Mi si perdonerà se faccio uso, nel mio intervento, della dicotomia “musica d’arte” / “musica di consumo”, che può suscitare forse qualche perplessità o resistenza in qualcuno. Al di là della scelta terminologica, che mi sembra preferibile ad altre (musica colta/leggera; classica/commerciale, ecc.), credo sia una distinzione utile, a patto di considerare le due categorie come poli di un ampio spettro, e non come insiemi separati, dove collocare la “buona” e la “cattiva” musica (si veda a tal proposito il bel saggio di L. Bianconi, La musica al plurale, in Musica, ricerca e didattica. Profili culturali e competenza musicale, a cura di A. Nuzzaci e G. Pagannone, Pensa Multimedia, Lecce 2008, pp. 23-32; disponibile online: <http://www.saggiatoremusicale.it/saggem/ricerca/bibliografia/bianconi_musica_al_plurale.pdf>). Come ho avuto modo di osservare in una discussione in sala, tra la Macarena e la Nona di Beethoven c’è un abisso, e non c’è dubbio che l’una rappresenti il polo (infimo) della musica di consumo, e l’altra uno dei sommi vertici della musica d’arte. Più difficile è gestire le aree intermedie (è più musica d’arte un valzer di Strauss o una canzone di De André, o un song di Gershwin?). E non è detto che la musica nata con finalità estetiche, cioè per essere fruita come oggetto d’arte, sia sempre bella; e viceversa, che la musica di consumo, pensata per un uso più disimpegnato e intrattenitorio, sia sempre brutta o banale. Mi vien da dire comunque che la musica d’arte contiene in sé una qualche forma di complessità (non solo intrinseca, ovvero prettamente musicale – armonica, melodica, ritmica, timbrica, testurale, ecc. –, ma anche nella intenzionalità estetica o concettuale), e spesso richiede un certo “sforzo” di comprensione al compositore come all’ascoltatore (l’idea dello sforzo, della sana “fatica” è stata sostenuta, credo a ragione, da Gregorio Mazzarese nel suo intervento). E non è detto che la complessità sia sinonimo di “pesantezza”. Mozart in tal senso è un ottimo esempio. Egli ebbe a sostenere, con una punta d’orgoglio, che la sua musica era in grado di accontentare sia gli ascoltatori esperti sia i semplici amatori. Ecco, l’apparente semplicità e gradevolezza della sua musica nasconde pur sempre una qualche forma di complessità, da orecchie raffinate. E viceversa, la sua complessità di scrittura riesce comunque piacevole all’ascolto. Poi certo c’è anche un’arte musicale più “difficile” ed ermetica: si pensi a certe composizioni di Bach, o a Schönberg e alla Scuola di Vienna, che richiedono una maggiore consapevolezza e competenza da parte dell’ascoltatore. 6 A tal proposito, vorrei rimandare ancora a Don Milani, alle sue battaglie culturali in favore delle fasce più umili della società, quando afferma che «Il nuovo ballo dura di moda quanto lo si fa durare e cade appena si smette di montarlo, ma la cultura è irreversibile. Il povero che ha assaggiato le gioie del sapere non torna indietro, ne vuole ancora. Mentre chi ha assaggiato le gioie artificiali se ne stufa e ne vuole altre sempre diverse e sempre più effimere» (Don Milani, La parola fa eguali, cit., p. 110). Tanto più, aggiungerei, se le “gioie del sapere”, dunque anche della musica di qualità, vengono assaporate fin da piccoli. 7 Si veda anche il contributo di Andrea Apostoli nel volume Didattica del melodramma, a cura di chi scrive, Pensa Multimedia, Lecce, in corso di stampa.

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viene contestualizzato in una storia, in una vicenda, dunque si abbina all’aspetto

narrativo o rappresentativo, che hanno un indubbio appeal sui bambini8. Qui mi

premeva però insistere sui valori musicali del linguaggio operistico e

sull’importanza dell’assorbimento, in senso linguistico-musicale appunto.

2. Canto

Il canto è il fondamento dell’opera, ed anche il fulcro della prassi didattica

gordoniana. Con la differenza che in Gordon il canto è da intendersi come musica

con la voce, senza testo. Nell’opera il canto è l’insieme di parole e musica. È però

interessante considerare la natura, peraltro mutevole, del rapporto tra i due fattori,

e la ricchezza musicale del canto operistico. Lo farò partendo da un frammento

del celebre film Amadeus di Miloš Forman (1984). (A questo punto, viene

proiettato lo spezzone del film. Siamo verso la fine: Mozart rientra a casa dopo

una notte di bagordi e non trova moglie e figlio, bensì la suocera, che gli fa una

bella ramanzina, rimproverandogli la vita dissoluta. Nel film l’immagine della

donna che urla improperi si lega per dissolvenza a quella della celebre aria della

Regina della Notte, «Der Hölle Rache». La trovata è di sicuro effetto; chi ha avuto

modo di vedere il film la ricorderà facilmente.)

Mozart rimane affascinato non da quello che sua suocera dice, ma

dall’“intonazione” del suo parlato; dunque dagli aspetti prosodici, o se vogliamo

“musicali”, dello sfogo della donna9. Questi aspetti prosodici – registro acuto,

gamma ampia di altezze, sbalzi di registro – si ritrovano, amplificati e sublimati,

nell’aria della Regina della Notte, che esprime, in modo affine, ma con ben altri

mezzi, un moto d’ira irrefrenabile. La musica coglie il livello profondo

dell’emozione, quello che difficilmente si può dire o esprimere a parole, e gli fa

da cassa di risonanza. Cito a questo proposito due pensieri. Il primo risale

nientemeno che a Confucio:

                                                                                                             8 In tal senso, potrebbe giovare un’antologia di brani d’opera, del genere di quelle della fortunata serie Ma che musica! (Edizioni Curci, Milano 2006 e 2008), curata da Andrea Apostoli, con il bel contributo grafico di Alexandra Dufey. 9 Sugli aspetti prosodici o tratti soprasegmentali del linguaggio verbale, insiste molto M. Della Casa (cfr. ad esempio Educazione musicale e curricolo, cit., pp. 134-146) e in chiave didattica C. Delfrati, La parola espressiva, Principato, Milano 2001.

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Alle passioni che ci agitano vorremmo noi dare quasi forma visibile; ma le parole non

bastano, e le moduliamo; neppur ciò è sufficiente, e allora queste voci modulate si

prolungano in canto10.

L’altra è di Jean Starobinski, uno dei più apprezzati intellettuali del nostro tempo:

l’opera divenne un luogo in cui lo slancio passionale ebbe la possibilità di rappresentare il

suo eccesso sotto la protezione della bellezza11.

La frase di Confucio coglie bene il dislivello tra parola e musica, quasi che nel

canto – specie in quello operistico, diremmo noi duemilacinquecento anni dopo –

la prima tenda a dissolversi nella seconda, e non la musica ad assecondare la

parola12. L’aria di Mozart sopra citata è la perfetta sintesi dei concetti sopra

espressi: i lunghi vocalizzi della Regina sono allo stesso tempo l’acme della

passione, ma anche una forma sublimata, vocalmente inebriante, della stessa

passione. Una voce che “patisce” e allo stesso tempo “incanta”.

L’opera è dunque il luogo per l’espressione delle passioni o delle emozioni,

sublimate attraverso la “musica della voce”. Essa arricchisce non solo il

vocabolario musicale, ma anche quello emotivo; insegna cioè a conoscere un

ampio ventaglio di passioni, attraverso la loro formalizzazione simbolica, ossia

mediante la poesia e soprattutto la musica, che spesso trascende le stesse parole e

le trasforma in puro canto13. La melodia operistica diventa una sorta di diagramma

delle emozioni, con i suoi picchi, i suoi sbalzi, i suoi respiri14.

                                                                                                             10 Traggo la citazione da C. Puini, Il Buddha, Confucio e Lao-Tse. Notizie e studii intorno alle religioni dell’Asia orientale, Sansoni, Firenze 1878, p. 336. La frase, come spiega Puini, sta nella prefazione al Libro delle Odi (Shi-ching), antica raccolta di poesie cinesi, sistematizzata e raccolta da Confucio e dai suoi discepoli. Questa massima, in forma incompleta, è citata da C. Delfrati, Progetti sonori. Corso di educazione musicale, Morano, Napoli 1990, p. 252. 11 J. Starobinski, Le incantatrici, Edt, Torino 2007, p. 9. 12 Si badi, sto semplificando un discorso complesso. Per un’idea di massima dei rapporti tra parola e musica, ovvero sui vari stili vocali, si veda il mio contributo: Didattica del melodramma. La vocalità, in “Riforma e Didattica”, XI/2, 2007, pp. 37-42. Per un’ampia e approfondita disamina delle convergenze e divergenze tra i due sistemi, lingua e musica, si veda L. Bianconi, Sillaba, quantità, accento, tono, in “Il Saggiatore musicale”, XII/1, 2005, pp. 183-218. 13 È il caso dei lunghi vocalizzi nell’aria in oggetto, e in genere nel canto “melismatico”, che fa cioè largo uso di “melismi” o vocalizzi. All’estremo opposto abbiamo invece lo stile cosiddetto “recitativo”, dove invece il canto è rigorosamente sillabico – una nota per ogni sillaba – e si

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Nell’ottica della Music Learning Theory, che punta molto sul canto puro (senza

parole), e sulla relazione didattica attraverso il canto, l’opera può dunque

costituire un serbatoio vastissimo di brani, da ascoltare o anche da cantare o

imitare, come abbiamo visto a proposito del Falstaff. Brani tra loro assai

differenti, di epoche, personaggi, registri e stili vocali differenti, ed esprimenti

passioni differenti. Brani fruibili come musica pura, nel caso si togliesse del tutto

la parola, come suggerisce Gordon, oppure da ascoltare in tutta la loro bellezza,

ricchezza e complessità, in una fruizione di tipo di auditivo-simbolico, con

l’ausilio cioè della narrazione o della visione.

Certo, ragionando sempre in chiave gordoniana, la fase dell’imitazione pone

maggiori problemi rispetto all’assorbimento, perché il canto lirico va oltre le

possibilità canore dei bambini (per quanto questi, ne ho la prova, si cimentano a

volte anche nelle prove più estreme; vedi Regina della notte). In tal senso – e solo

in tal senso – non è un canto alla portata dei bambini. A meno che non si scelgano

brani o frammenti appropriati, come nella selezione proposta nel Falstaff. Per

restare al Flauto magico di Mozart, certamente un’aria di Papageno è più

“riproducibile” e di immediata fruizione per il tono popolare, ma certamente

sarebbe un peccato non poter ascoltare almeno un’aria della Regina della Notte,

per l’enorme ricchezza melodica e vocale.

In ultima analisi, un’educazione o una didattica musicale che prenda in

considerazione l’opera metterà inevitabilmente l’accento sul canto, che –

ripetiamo – è un po’ il perno della MLT. Chi impara a sentire e a cantare

internamente la musica diventerà certamente anche un buon esecutore o un

ascoltatore sensibile. E ciò va ribadito con forza, in una realtà scolastica come

quella italiana, dove l’ascolto musicale, men che meno dell’opera, è poco                                                                                                                                                                                                                                                                                                        spalma sul discorso verbale, senza mai sopraffarlo o dominarlo. Il canto ornato mette in primo piano la musica, i valori musicali, il recitativo o il canto sillabico danno più rilievo al testo verbale, rendono più comprensibili le parole. 14 Herbert Spencer sosteneva che «tutta la musica è, nella sua origine, vocale» (p. 88) e che «le variazioni della voce sono il risultato fisiologico di variazioni del sentimento» (H. Spencer, L’origine e la funzione della musica, in Id., Filosofia dello stile, a cura di D. Drudi, Alinea, Firenze 1981, pp. 85-127: 88-89). Da par suo, Curt Sachs distingue tra canto “logogenico”, originato dalla parola, e canto “patogenico”, che «deriva da uno stimolo irresistibile che fa affiorare le estreme possibilità del cantante» (C. Sachs, La musica nel mondo antico, Sansoni, Firenze 1963, p. 28). Sull’educazione dei sentimenti, cfr. L. Bianconi, La forma musicale come scuola dei sentimenti, in Educazione musicale e formazione, a cura di F. Frabboni e G. La Face Bianconi, FrancoAngeli, Milano 2007, pp. 85-120.

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praticato, e spesso si privilegiano attività strumentali di “pronto uso” (strumentini

ritmici, flauti dolci), perdendo di vista la possibilità di assorbire e praticare la

musica d’arte, in tutta la sua complessità e in tutte le sue forme, e le enormi

potenzialità del canto, sia ascoltato sia praticato.

3. Complessità

Cercherò infine di ragionare sulla “complessità”, e di chiarire cos’è che rende

complessa l’opera in musica. Complessità intanto è il contrario di semplicità,

facilità, banalità. E la complessità è ricchezza per un bambino, come abbiamo già

avuto modo di sottolineare. Se consideriamo gli aspetti intrinsecamente musicali –

melodia, ritmo, armonia, agogica, timbrica, dinamica – non c’è dubbio che la

complessità della musica operistica si coglie soprattutto a livello melodico e in

subordine a livello timbrico15. Non che gli altri aspetti non contino16; ma la

melodia è un po’ la quintessenza dell’opera. Un bravo compositore d’opera sa

soprattutto disegnare melodie che aderiscano alle parole e alle situazioni

drammatiche, e che restituiscano pensieri, sentimenti, caratteri dei personaggi più

delle parole stesse. Egli conosce alla perfezione i registri vocali e le possibilità dei

cantanti, sa cesellare il profilo melodico, sa fare un uso accorto di ascese e discese

melodiche, di acuti o picchi di voce, di respiri. E se tra i cinque aspetti basilari

dell’audiation, ossia della rappresentazione mentale della musica, figura proprio il

                                                                                                             15 Mi riferisco all’uso particolare della voce, e alla strumentazione cangiante, ossia al ruolo dell’orchestra e dei timbri strumentali nel dare un particolare colore al brano. 16 Non si vuol negare l’importanza ad esempio del ritmo o dell’armonia (per il primo aspetto mi vengono in mente l’aria di Don Giovanni, «Fin ch’han del vino», oppure il coro dei gitani nel Trovatore, o lo stesso «Pizzica pizzica» del Falstaff; per il secondo brani come l’«Ave Maria» nell’Otello di Verdi), e nemmeno lo stretto connubio tra melodia, ritmo e armonia (l’aria della Regina della Notte ha ad esempio un ritmo svelto, pulsante, che ha facile presa sui bambini). Ma certamente l’aspetto melodico è, nella maggioranza dei casi, preminente.

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riconoscimento della «direzione dei suoni»17, ossia del profilo melodico, si capisce

quali opportunità offra in tal senso l’opera e in particolare la melodia operistica18.

C’è poi da considerare un aspetto più generale della complessità dell’opera, al

quale abbiamo già accennato. Parlo della presenza simultanea di parola-musica-

scena (wort-ton-drama, detto in termini wagneriani). L’opera non è solo un

seguito di belle melodie, ma una rappresentazione scenica in forma musicale.

Dunque chi ascolta – anzi, vede – l’opera e si accinge a comprenderla dovrebbe

tener conto degli elementi in gioco, e quindi considerare la musica, la melodia,

come un ingrediente fondamentale ma non esclusivo; come parte del tutto19.

Dunque sì, si può anche estrarre un frammento melodico e lavorarci sopra, vuoi

con il semplice ascolto vuoi con il canto, ma spesso il valore di una melodia

operistica non è dato solo dalle qualità intrinseche, bensì dalla situazione o

“posizione” drammatica. Un esempio: la celebre «Donna è mobile» (dal Rigoletto

di Verdi) è un motivetto da osteria, e tale deve essere sulla scena20. Probabilmente

questo grado di complessità nell’opera si coglie appieno da adulti, ma penso sia

opportuno ribadire il concetto di “musica scenica”, per mettere in guardia dal

rischio di usare l’opera come un mero repertorio di melodie, e di giudicare queste

solo in base ai valori puramente musicali.

Per concludere, vorrei citare un esempio che a mio avviso rappresenta la

quintessenza dell’opera italiana dell’Ottocento, e forse una delle scene più

commoventi dell’intero genere operistico, apprezzata anche da Wagner (che non

era tenero nei confronti dell’opera italiana): l’aria finale della protagonista (cfr. il                                                                                                              17 Cfr. Gordon, L’apprendimento musicale del bambino, cit., p. 33. Gli altri aspetti per «la comprensione di una sintassi elementare», relativi cioè ad un livello minimo di audiation, sono: la «nota base» (ossia la tonica), «le diverse durate», la «posizione dei macrobeat» (ossia degli accenti forti) e il «tempo» (binario, ternario, inusuale). 18 Riguardo al profilo melodico, segnalo il bell’articolo di Stefano Melis, Il ‘filo’, in S. Melis, G. Pagannone, Il ‘filo’ e l’‘ordito’: dall’ascolto alla teoria musicale e ritorno, in «Quaderno di Teoria, Analisi e Pedagogia musicale (Curci)», I, n. 1, 2008, pp. 65-81: 66-76 (disponibile anche online all’indirizzo: <http://www.saggiatoremusicale.it/saggem/attivita/2008/musicatraconoscerefare/melis-pagannone.php>). 19 Sull’essenza dell’opera in musica si veda il mio saggio Il melodramma: saperi, funzioni, dimensioni, in Pagannone (a cura di), Didattica del melodramma, cit. 20 Verdi sfrutta peraltro quella canzone in senso tragico, con effetto di raggelante contrasto, quando la fa risuonare da lontano (“da dentro”), dopo che Rigoletto ha raccolto il sacco che avrebbe dovuto contenere il cadavere del Duca; questi invece canta ancora la canzone, essendo stato “graziato” dal sicario a scapito di Gilda, la figlia di Rigoletto.

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testo e la musica in appendice) nella Norma (1831) di Vincenzo Bellini –

compositore ammirato proprio per le sue eccelse melodie21. Qui la bellezza della

linea melodica si coniuga alla perfezione con la situazione drammatica, e sortisce

un effetto catartico, nei personaggi come negli stessi spettatori. Non sto ad

analizzare in dettaglio tutto il brano, che è bipartito (minore/maggiore). Nella

parte in minore c’è la supplica di Norma, la quale ha appena confessato al padre e

al suo popolo la sua terribile colpa: lei, sacerdotessa dei Galli, amante segreta di

un proconsole romano, con il quale ha pure generato due figli. Nella parte in

maggiore si svolge un lungo crescendo che trascina nella commozione tutti gli

astanti (Norma sta per essere giustiziata e invoca la grazia per i figli). Se è vero

che l’effetto del poderoso crescendo è dato anche dal coinvolgimento di tutta

l’orchestra e del coro, oltre che dalla graduale ascesa della melodia, vale

comunque la pena soffermarsi sull’aspetto melodico, a partire dalla supplica in

minore.

Ciò che caratterizza melodie di questo tipo è la lunga gittata, il fatto cioè che la

linea melodica si dispiega ad ampio raggio, e non per frasi a corto respiro e per

cadenze ravvicinate. Si parla in tali casi di melodie continue, o “lunghe”22, nel

senso che sono sì articolate, ma si spingono in avanti, verso un culmine, un picco

vocale ed emotivo. La frase singola è incapsulata in un disegno globale di forte

tensione emotiva.

Nella parte in minore il canto di Norma unisce l’eleganza degli abbellimenti a una

nobile fierezza, evidente negli ampi intervalli (spicca soprattutto il salto di settima

discendente Mi-Fa#). Nella perorazione conclusiva la melodia raggiunge due

acuti, prima sul Sol e poi sul Si, per poi posarsi finalmente sulla tonica Mi, a

conclusione di una traiettoria melodica mirabile per varietà di profilo e, nel

contempo, per coerenza motivica e unità del “tono” espressivo.

La parte in maggiore si giova dell’intervento degli altri personaggi e del coro.

Consiste in un’unica, graduale, grandiosa ascesa della melodia, a partire da una

piattaforma stabile iniziale, che serve da “rampa di lancio”. Se ne disegniamo il                                                                                                              21 Si pensi peraltro alla celebre «Casta Diva», sempre dalla Norma, esempio mirabile di melodia ornata. 22 Sulle melodie lunghe, cfr. il mio articolo Tra «cadenze felicità felicità felicità» e «melodie lunghe lunghe lunghe». Di una tecnica cadenzale nel melodramma del primo Ottocento, in “Il Saggiatore musicale”, IV, 1997, pp. 53-86.

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profilo, ne otterremo una sorta di lunga curva sbilanciata (lunga ascesa, discesa

più rapida):

Il culmine sul La – con “fortissimo” a piena orchestra e colpo di piatti –, riesce

davvero irresistibile, per via della lunga preparazione. Questo tipo di melodia in

crescendo fece scuola nell’opera dell’Ottocento, e si trova soprattutto nei pezzi

concertati, a più voci23. Di solito l’intero arco melodico viene ripetuto, per

replicarne l’effetto24.

In estrema sintesi, l’opera offre un impareggiabile repertorio di melodie, e

presenta quella “varietà” e “ricchezza” linguistica auspicata da E. Gordon e la sua

scuola, se non altro perché la musica operistica nasce dal dramma e dunque deve

dar voce a personaggi, vicende, situazioni mutevoli e sempre nuovi (al di là dei

clichés, degli stereotipi, delle convenzioni formali e drammaturgiche, che hanno

condizionato, spesso sveltito il lavoro dei compositori; e tuttavia son mutati

anch’essi25). C’è da augurarsi che in futuro le giovani generazioni possano avere

                                                                                                             23 Alcuni musicologi angloamericani hanno ribattezzato questo tipo di melodia in crescendo “groundswell” (letteralmente: “rigonfiamento sul fondo”), perché l’effetto ricorda quello dell’onda marina che sale e s’ingrossa fino ad infrangersi. Si veda a proposito J. Kerman, T. Grey, Verdi’s Groundswells: Surveying an Operatic Convention, in Analyzing Opera: Verdi and Wagner, ed. by C. Abbate and R. Parker, University of California Press, Berkeley 1989, pp. 153-79. Si veda anche, in chiave didattica, il contributo di Giuseppina La Face Bianconi in Pagannone (a cura di), Didattica del melodramma, cit. 24 L’effetto della graduale ascesa è tanto irresistibile che di solito trascina con sé tutti i personaggi in scena, buoni e cattivi, amici e nemici, come se i sentimenti particolari si coagulassero o si fondessero in un “sentire comune” (qui, la compassione per Norma, a dispetto delle parole di condanna pronunciate dal coro). 25 Ne cito una su tutte: la “solita forma”, ossia il modello macroformale per la composizione di arie, duetti, concertati valido per buona parte del repertorio operistico italiano dell’Ottocento (cfr. H. Powers, “La solita forma” and “The Uses of Convention”, in «Acta Musicologica», LIX, 1987,

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sempre maggiori opportunità di entrare in contatto con l’opera in musica e di

giovarsene, per il loro arricchimento musicale e culturale.

 

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Appendice. Bellini, Norma, scena ultima [Fonti: libretto della prima rappresentazione (Milano, Carnevale 1831-32); Partitura Ricordi n. 115216] NORMA Deh! non volerli vittime (MINORE; versi settenari) del mio fatale errore... Deh! non troncar sul fiore quell’innocente età. Pensa che son tuo sangue... Del sangue tuo pietà.* NORMA Padre! tu piangi! (MAGGIORE; versi quinari doppi) OROVESO

Oppresso è il core. NORMA Piangi e perdona. OROVESO

Ha vinto amore. NORMA Ah! tu perdoni. – Quel pianto il dice. NORMA e POLLIONE Io più non chiedo. – Io son felice. Contento/a il rogo – ascenderò. OROVESO Ah! consolarmene – mai non potrò! [NORMA Tu mel prometti?... OROVESO Io tel prometto.]† CORO Piange!... prega!... che mai spera? [versi ottonari] Qui respinta è la preghiera. Le si spogli il crin del serto, sia coperto – di squallor! (I Druidi coprono d’un velo nero la Sacerdotessa)

                                                                                                             * In partitura: «Abbi di lor pietà.» † Verso aggiunto da Bellini.  

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Alla conquista dell’ascolto di Valeria Viola

L’esperienza quotidiana ci insegna che oggi la musica è una presenza

costante che invade tempi e luoghi della vita quotidiana: c’è musica nei bar, sui

mezzi di trasporto, nei ristoranti, nelle sale d’attesa di stazioni, aeroporti, alberghi,

ecc.; in altre parole c’è musica quasi ovunque, ovvero in luoghi in cui,

differentemente da una sala da concerto, l’individuo è impegnato a svolgere

determinate attività e non necessariamente è interessato all’ascolto di musica.

In alcuni casi la musica viene diffusa a basso volume, è musica

strumentale, dai toni non troppo invadenti, fatta spesso di tante musiche già note,

talvolta arrangiate e orchestrate. Questo tipo di musica, altrimenti detta musica di

sottofondo, si inserisce in particolare in quelli che l’antropologo Marc Augé

definisce nonluoghi 1 , ovvero in tutti quei luoghi che hanno carattere di

provvisorietà, di passaggio (come i centri commerciali, le sale d’attesa, i mezzi di

trasporto) e dove l’individuo transita senza lasciare traccia di sé. In questi spazi la

musica sviluppa una funzione architettonica: non è diffusa per essere ascoltata,

ma solamente per familiarizzare con l’ambiente, per renderlo più accogliente e

amichevole.

In altri casi invece, al dilagare di musica viene associato il culto

dell’amplificazione: in alcuni negozi o nei pub, ad esempio, è raro riuscire a

comunicare senza dover gridare. In tal caso la musica diviene protagonista

indiscussa, capace di limitare altri tipi di esperienze non correlate ad essa.

Ecco allora che la musica, diffusa ad alto o basso volume, può divenire

fonte di fastidio, disturbo per colui che è costretto a subirla senza possibilità di

scelta. È come se la diffusione di musica avesse smarrito il carattere di «evento

consensuale»2, tanto da divenire un vero e proprio abuso, che prevarica e minaccia

1 Cfr. M. Augé, Nonluoghi, Eleuthera, Milano 1997. 2 T. Magrini, Per un’ecologia sonora, in “Il Saggiatore musicale”, IV, 1997, p. 495. Nel presente saggio l’autrice analizza alcuni aspetti del processo di trasformazione in atto in campo musicale in seguito all’invenzione dei mezzi elettronici. In particolare la studiosa mette in evidenza come «il carattere “colloquiale” dell’evento sonoro, […], la sua natura di avvenimento consensualmente

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la libertà individuale di gestire i propri tempi e i propri spazi vitali e rappresenta

un serio ostacolo per chi desidera silenzio. L’iperdiffusione musicale rappresenta

uno dei tanti fattori che ha ridotto la presenza del silenzio nella nostra società, fin

tanto che l’uomo di oggi, ormai abituato a tale mancanza, sembra aver

dimenticato il significato profondo della parola ‘silenzio’. Anzi, è come se si fosse

diffuso un atteggiamento di rifiuto, di paura del silenzio vissuto come vuoto, e per

contro, un bisogno continuo di suoni e rumori che riempiano questo vuoto. Eppure,

se è vero come dice John Cage che il silenzio non esiste, come può l’uomo averne

paura? Il silenzio di cui parla Cage è il silenzio come negazione nel suono, in

senso assoluto. Il silenzio assoluto non esiste, poiché, dice il compositore, «né lo

spazio vuoto, né un tempo vuoto, esistono. Qualcosa da vedere, qualcosa da udire,

c’è sempre»3. Il silenzio infatti, anche se in apparenza ne costituisce l’opposto, è

affermazione del suono, esiste solo in relazione ad esso. È allora importante ri-

pensare al silenzio come momento di preparazione al suono – quindi come

elemento strutturale della musica – e soprattutto come premessa al dialogo,

all’ascolto, alla comprensione e come dimensione che favorisce la concentrazione,

la riflessione. Come ci insegna lo psichiatra Eugenio Borgna, “noi siamo un

colloquio”4: ma non può esserci un colloquio senza ascolto e non si può ascoltare

se non si fa silenzio. Ecco allora che il “silenzio” è indispensabile per far sì che

esista un colloquio nella musica e con la musica, un silenzio che invece

l’iperdiffusione musicale sembra negare.

Non è mia intenzione discutere nello specifico in questa sede i tanti aspetti

dell’iperdiffusione musicale5. Mi interessa invece affrontare il problema dal punto

di vista educativo, focalizzando l’attenzione sugli effetti che il dilagare di musica

può avere rispetto alle capacità di ascolto di ciascun individuo.

prodotto e condiviso da un gruppo sociale, sono oggi solo aspetti possibili ma non più necessari della musica». 3 J. Cage, Silenzio, Antologia da Silence e A Year from Monday, Feltrinelli, Milano 1971, p. 27. 4 E. Borgna, Noi siamo un colloquio, Feltrinelli, Milano 1999. 5 Mi riferisco, ad esempio, agli effetti negativi sulla salute, quindi sulla qualità della vita; alle conseguenze sui comportamenti sociali e sulle relazioni tra uomo e ambiente; alle possibili forme di tutela giuridica dall’aggressione sonora e ai suoi risvolti economici. Sull’argomento cfr.: Musica Urbana. Il problema dell’inquinamento musicale, a cura di C. Cuomo, prefazione di G. La Face Bianconi, CLUEB, Bologna 2004.

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Dove c’è musica, dovrebbe esserci anche attenzione da parte di chi la

ascolta; tuttavia, situazioni in cui la musica diventa una presenza invasiva,

inducono a non prestare attenzione a quello che si ascolta; questo accade perché,

come ho già detto, si è impegnati a svolgere altre attività e non si è interessati

all’ascolto di musica; oppure perchè si è ormai talmente abituati alla presenza di

musica ovunque, che non ci si fa neanche più caso. È evidente che tutto ciò può

avere conseguenze negative sulle modalità di ascolto musicale, quindi anche sul

rapporto tra l’individuo e la musica. Se consideriamo la comprensione come «un processo attivo a due

partecipanti, un testo musicale e un ascoltatore, in cui quest’ultimo compie un

lavoro atto a trasformare ciò che è sconosciuto […] in un complesso di

conoscenze controllabili e integrabili nel suo sistema culturale»6, allora è chiaro

che la partecipazione attiva del soggetto che ascolta rappresenta una delle

condizioni necessarie e indispensabili per comprendere la musica in ogni sua

forma e manifestazione. Nella nostra società, che non incoraggia affatto tale

condizione, l’individuo è invece molto spesso disorientato, incapace di dare senso

alla moltitudine di messaggi musicali.

Ascoltare è un’attività volontaria, che si distingue nettamente dal semplice

udire. Purtroppo, il continuo bombardamento sonoro a cui siamo sottoposti

quotidianamente sta portando verso la banalizzazione dell’ascolto: ci stiamo

abituando a modalità di ascolto passivo, involontario, non intenzionale.

Sia ben chiaro: ogni individuo è libero di ascoltare musica anche

passivamente. Tuttavia, questo tipo di atteggiamento da un lato, e la costante

presenza di musica dall’altro, abituano a comportamenti di nonascolto e

favoriscono il circolo vizioso di una sempre maggior tolleranza verso la diffusione

indiscriminata di musica. Quello che serve per porre rimedio a tale situazione non è certo una

maggiore informazione sulla musica che ci circonda; infatti, l’industria musicale

si preoccupa fin troppo di pubblicizzare i suoi prodotti e di informare il

consumatore per orientarlo nell’acquisto. Piuttosto bisogna intervenire sul piano

6 M. Della Casa, Educazione musicale e curricolo, Zanichelli, Bologna 1985, p. 66.

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educativo nei termini di un’educazione musicale che sia in primis educazione

all’ascolto: ad un ascolto critico della musica.

Se il bambino vive in una società costantemente invasa da suoni e rumori,

risulta indispensabile fornirgli gli strumenti adeguati per organizzare il suo

universo percettivo e per sapersi orientare in modo consapevole tra questa miriade

di stimoli sonori. Ascoltare è un’attività consapevole, intenzionale, che produce

una conoscenza: non c’è comprensione senza ascolto. Conoscere, comprendere la

musica e i messaggi che essa veicola non può prescindere da un ascolto cosciente

ed effettivo, a cui bisogna necessariamente educare.

È da queste considerazioni che nasce l'esigenza di strutturare un percorso

di educazione musicale che si proponga di far conquistare la consapevolezza e,

soprattutto, il piacere dell’ascolto; ed è in questa prospettiva che la Music

Learning Theory7 di Edwin E. Gordon si configura come “modello” ideale per far

si che ciò avvenga. Proprio attraverso la MLT, infatti, noi possiamo educare alla

musica per formare ascoltatori intelligenti8.

Nella MLT tutto parte dall’ascolto. Durante l’acculturazione i bambini

apprendono principalmente attraverso l’ascolto, e proprio l’acculturazione svolge

una funzione fondamentale nel processo di sviluppo dell’audiation. È sulla base

del vocabolario musicale d’ascolto che il bambino svilupperà in seguito il suo

vocabolario cantato, letto e scritto. Tuttavia l’ascolto non nasce per caso; anzi, è

molto importante per l’insegnante trovare le strategie adeguate e creare le

condizioni necessarie per favorire il processo d’ascolto.

Sicuramente è utile per l’insegnante partire dal presupposto che

l’apprendimento nasce dalla relazione adulto/bambino e che la capacità

dell’adulto di mettersi in ascolto è fondamentale ai fini dell’apprendimento. Come

dice Gordon, compito dell’adulto è «essere musica»9 per il bambino: l’adulto,

infatti, attraverso la voce e il corpo in movimento, guida il bambino all’interno

della relazione e lo fa cercando di essere per lui un buon modello di musicalità:

ovvero mettendosi in ascolto, guidandolo nell’ascolto, cantando per lui e non

7 D’ora in avanti MLT. 8 E. E. Gordon, L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare, Edizioni Curci, Milano 2003, p. 5. 9 Ibid.

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insegnando canzoni, muovendosi e non chiedendogli di muoversi, lasciandolo

libero di assorbire la musica .

Altrettanto utile è considerare l’apprendimento come un processo naturale

in cui l’allievo è impegnato come costruttore attivo10 del proprio sapere, e dove la

conoscenza, il sapere nascono dall’esperienza11. La MLT pone le basi per un

percorso che, partendo proprio dall’esperienza, conduce il bambino allo sviluppo

dell’audiation, ovvero di quella capacità di pensare la musica. Quel pensiero

spesso erroneamente considerato come qualcosa di tagliato fuori dall’esperienza,

che invece, come sostiene John Dewey, nasce proprio dall’esperienza, a patto che

essa sia effettivamente educativa, ovvero che favorisca l’acquisizione di nuove

future esperienze qualitativamente di grado più elevato. Lo stesso Gordon dice

che quello che ascoltiamo e comprendiamo in audiation diventa una componente

essenziale di un audiation più complessa e determina lo sviluppo futuro delle

capacità di apprendere, improvvisare e creare musica12.

Determinante sarà dunque la qualità dell’esperienza, che dipenderà

inevitabilmente dalla complessità dell’attività proposta: è fondamentale infatti

che il bambino sia incoraggiato ad ascoltare il linguaggio musicale in tutta la sua

varietà e complessità, sin dalla nascita. Un ascolto che coinvolgerà il bambino

nella sua interezza, e che soprattutto nei più piccoli sarà principalmente un ascolto

di tipo corporeo. Tuttavia, dice Gordon, mai forzare il bambino all’ascolto. Anzi,

si dovrà semplicemente esporlo alla sua cultura musicale e incoraggiarlo ad

assorbirla, ricordando che sarà molto più facile per il bambino provare

soddisfazione quando è impegnato in attività che favoriscono la comprensione

della musica, piuttosto che in occasioni di puro intrattenimento musicale. Come ci

insegna Gordon, il divertimento è qualcosa di transitorio, mentre invece la

capacità di ascoltare e comprendere la musica ci sostiene per tutta la vita13.

10 Cfr. L. Cerrocchi, Relazione e apprendimento nel gruppo-classe, Mario Adda Editore, 2002. 11 Uso qui il concetto di esperienza nel senso di John Dewey. Cfr. J. Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia editrice, Firenze 1949. 12 Cfr. E. E. Gordon, Learning Sequences in Music. Skill, Content and Patterns, GIA, Chicago 2003. 13 Gordon, L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare, cit., p.19.

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Alla luce di tali riflessioni, possiamo definire l’ascolto come un’esperienza

sensoriale che conduce al senso musicale, che produce conoscenza e che

promuove ed esalta la creatività14, e dove l’azione creativa non è affatto intesa

come attività casuale e spontanea, bensì come un’attività complessa, che

coinvolge cognitivo ed emotivo, che si nutre dell’esperienza, purché attiva e

consapevole, e che non nasce d’un tratto, ma richiede applicazione, tenacia, sforzo.

Come sostiene Ornella Andreani Dentici,

il processo creativo è visto come la rottura di un equilibrio, la ricerca e la

ricostruzione di una nuova struttura, e come un’alternanza di diversi tipi di operazioni

mentali che predominano nelle varie fasi ma non sono mai esclusivi. Il risultato finale

sembra a volte raggiunto per caso, ma è sempre sostenuto da una lunga preparazione,

ricerca e motivazione15.

L’azione creativa, dice Bruner, è un’azione «euristica»16, che trae origine

dalla capacità di interconnettere elementi antinomici, di tenere insieme logica e

fantasia, intelletto ed emozione, conscio e inconscio17.

Condurre il bambino a comprendere, attraverso l’ascolto, un brano

musicale è sicuramente un’attività complessa, che richiede partecipazione e fatica,

che coinvolge emozione e intelletto, che si nutre di logica e immaginazione.

Un’attività, dunque, che promuove lo sviluppo di una creatività cognitiva ed

estetica18, e che favorisce, quindi, anche la formazione del gusto, intesa non solo

come possibilità di fruire dell’opera d’arte, ma anche come possibilità di

14 Per un approfondimento sul concetto di ‘creatività’ vedi: J. B. Bruner, Il conoscere. Saggi per la mano sinistra, Armando, Roma 1968; O. Andreani Dentici, Intelligenza e creatività, Carocci, Roma 2001; F. Frabboni – F. Pinto Minerva, Introduzione alla pedagogia generale, Laterza, Roma 2003. 15 Andreani Dentici, cit., p. 78 16 Bruner, cit., p. 46. 17 Frabboni – Pinto Minerva, cit., p. 50. 18 Ivi, pp. 50-56. Secondo gli autori, lo sviluppo di un pensiero creativo impegna la pedagogia su due piani: quello della formazione intellettuale, per lo sviluppo di una creatività cognitiva, e quello della formazione estetica, per lo sviluppo di una creatività estetica. La creatività cognitiva indica la «capacità di ragionare in modo versatile su qualunque problema, […] di apprendere e di elaborare saperi, nonché di riflettere su di essi»; la creatività estetica investe «l’insieme delle esperienze sensoriali, razionali e immaginative attraverso cui il soggetto interagisce con l’ambiente circostante, appropriandosi, percettivamente, cognitivamente e affettivamente, della realtà naturale e culturale, nella pluralità di forme e colori, profumi e sonorità che la caratterizzano».

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apprezzare «oggetti e strumenti […] che possono arricchire di stimolazioni

emotive l’esperienza quotidiana e ravvivarne l’ambientazione»19.

Come ci insegna Gordon, la capacità di ascoltare e comprendere la musica

è importante perché grazie ad essa il bambino imparerà ad apprezzare e ad

ascoltare quella che riterrà essere buona musica, con una consapevolezza che

renderà la sua vita più ricca di significato20.

È importante, dunque, da un punto di vista pedagogico, il recupero della

dimensione estetica nel quotidiano, in una prospettiva di continuità con la vita

reale, ma anche di discontinuità con tutto ciò che risulta inautentico e banale

nell’esperienza di tutti i giorni.

La Music Learning Theory di Gordon, io credo, può dare un prezioso

contributo allo sviluppo del pensiero creativo, quindi dell’intelligenza estetica.

BIBLIOGRAFIA

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M. Augé, Nonluoghi, Eleuthera, Milano 1997.

Bertin G. M., Educazione e alienazione, La Nuova Italia, Firenze 1973.

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1971.

L. Cerrocchi, Relazione e apprendimento nel gruppo-classe, Mario Adda Editore,

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F. Frabboni – F. Pinto Minerva, Introduzione alla pedagogia generale, Laterza,

Roma 2003.

E. E. Gordon, L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età

prescolare, Edizioni Curci, Milano 2003.

19 G. M. Bertin, Educazione e alienazione, La Nuova Italia, Firenze 1973, p. 240. 20 Gordon, L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare, cit., p. 14.

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T. Magrini, Per un’ecologia sonora, in “Il Saggiatore musicale”, IV, 1997.

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RELATORI ANDREA APOSTOLI, Presidente AIGAM, musicista, docente presso l’Università della Valle d’Aosta

SILVIA BIFERALE, Responsabile formazione AIGAM, terapista della riabilitazione, insegnante

Middendorf e Atem-Tonus-Ton

ARNOLFO BORSACCHI, Musicista, Insegnante Didatta AIGAM

FEDERICA BRAGA, Musicista, Insegnante Didatta AIGAM

MARIO CACCIAVILLANI, Neurologo CEMES, Padova

ELISABETTA CANNELLI, Musicista, Insegnante Associato AIGAM

MARIA TERESA DE CAMILLIS, Psicologa, psicoterapeuta, responsabile del Centro Comunale per

l'infanzia "Il Girotondo" di Roma

STEFANO GORINI, Pediatra, referente nazionale Associazione Culturale Pediatri del progetto “Nati

per la musica”

GREGORIO MAZZARESE, Responsabile settore Education Accademia Nazionale di Santa Cecilia

RICCARDO NARDOZZI, Musicista, Insegnante Associato AIGAM

ANTONELLA NUZZACI, Docente di Pedagogia Sperimentale, Università della Valle d’Aosta

GIORGIO PAGANNONE, Musicologo, Università della Valle d’Aosta

VINCENZO RICCIOTTI, Neuropsichiatra infantile, Psicoanalista Associato SPI

RITA TOTI, Vicepresidente AIGAM, Psicoterapeuta Psicoanalitica, Associato SIPP

CLAUDIA VERONESE, Musicista, Insegnante Associato AIGAM

VALERIA VIOLA, Musicista, Insegnante Associato AIGAM

COMMISSIONE SCIENTIFICA ORGANIZZATIVA

SILVIA BIFERALE

MARIA FUSTO

MICHELA GUERRATO

VALERIA VIOLA

FOTOGRAFIA della locandina di PAOLA BIFERALE