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INDICE e PROGRAMMA D’ESAMI

ARGOMENTO PAG

Introduzione 4

1 Rischio e fattori di rischio connessi ad attività lavorative 11

2 Livelli e tipi di prevenzione e di tutela della salute 14

3 Monitoraggio ambientale e biologico dell’esposizione agli inquinanti; valori

limite e loro impiego

17

4 Infortunio e malattia professionale e relativa compilazione della modulistica di

denuncia

29

5 Anamnesi attività lavorativa ed eventuali rischi ad essa connessi 31

6 Patologie da agenti fisici: rumore 32

7 Patologie da agenti fisici: radiazioni ionizzanti 39

8 Patologie da agenti fisici: vibrazioni 44

9 Patologie da agenti fisici: baropatie 48

10 Patologie da agenti fisici: alte e basse temperature 58

11 Peculiarità della diagnosi clinica ed eziologica in medicina del lavoro 61

12 Inquadramento legislativo ed epidemiologico della medicina del lavoro 63

Introduzione: Rischi e patologie da metalli 75

13 Intossicazione da piombo 77

14 Intossicazione da mercurio 86

15 Intossicazione da cromo 89

16 Intossicazione da cadmio 92

17 Intossicazione da solventi 98

18 Intossicazione da pesticidi 104

19 Intossicazione da monossido di carbonio 110

Introduzione alle broncopneumopatie professionali 115

20 Pneumoconiosi 117

21 Asma bronchiale ed alveoliti allergiche 131

22 Broncopneumopatie croniche 137

23 Tumori da cause occupazionali 142

24 Dermatiti irritative ed allergiche 148

25 Disadattamento lavorativo 151

26 Igiene industriale 158

27 Videoterminale 164

28 Movimenti ripetitivi 169

29 Movimentazione manuale dei carichi 171

30 Rischio biologico 174

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Questo lavoro è stato realizzato per dare una mano ai ragazzi che si apprestano a preparare l’esame si Medicina del Lavoro. Le informazioni che trovate su questo manuale le abbiamo ricavate dalle lezioni, dai libri di testo e da internet. Sicuramente non vuole essere un’alternativa ai libri consigliati ma vuole semplicemente affiancarli. Abbiamo trattato abbastanza estesamente tutti gli argomenti del programma, per fornirvi uno strumento completo che vi possa velocizzare la ripetizione, attirando la vostra l’attenzione sugli aspetti che più interessano i professori in sede d’esami. Questo lavoro è stato realizzato con la stessa metodologia con cui abbiamo gli sviluppato gli altri: reumatologia sistematica cardio-pneumo farmacologia e tossicologia oncologia can B medicina del lavoro sanità pubblica oftalmologia neurologia geriatria pediatria can B neonatologia medicina legale emergenze can B

Gli autori

Emmanuele Soraci

Carmelo Mazzeo

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INTRODUZIONE

La medicina del lavoro è quella disciplina che si occupa delle malattie professionali, patologie cioè che

conseguono ad una esposizione lavorativa.

Il rischio può essere chimico, fisico, biologico, dovuto a stress o a varie situazioni ambientali.

Una disciplina corollario della medicina del lavoro è l’igiene industriale che esamina tutte le situazioni

lavorative, per es. nelle cave o nelle miniere; studia gli interventi necessari per abbattere il rischio.

Serve a completare la disciplina, il cui obiettivo principale è la prevenzione.

• Esistono tre figure mediche per eccellenza nella storia della medicina legale che si susseguono dal

1300 al 1700:

1. AGRICOLA: fu il primo a parlare di patologie respiratorie come la silicosi, tbc, cancro, in

termini di prevenzione ambientale (cioè fatta sull’ambiente e non sul lavoratore); per

esempio se il problema era la polvere, la prevenzione consisteva nell’uso di acqua: nei cantieri

edili si butta l’acqua per evitare il sollevamento delle polveri.

2. PARACELSO: approfondì lo studio della silicosi, ma per primo parlò di intossicazioni (lui

parlava di avvelenamenti ma oggi si parla di intossicazioni) da piombo, mercurio ed arsenico

3. RAMAZZINI: padre della medicina del lavoro, medico di base che andò ad esaminare da vicino

i luoghi di lavoro dei suoi pazienti, che erano tutti affetti da tosse, e si rese conto che c’erano

polveri che potevano esserne la causa. È stato anche il precursore dell’igiene industriale,

sostenendo che non basta conoscere la patologia ma bisogna conoscere il luogo dove il

soggetto lavora. Egli ha scritto un trattato sulle correlazioni tra rischio e patologia,

classificando le varie cause. Ha introdotto per primo quello che poi sarebbe stato introdotto

nella nostra legislazione dalla legge 626/94 la quale prevede una visita medica in ambiente

lavorativo per valutare come lavora l’operaio e quali sono i rischi che corre e cosa fare per

evitare questi rischi.

Nell’ambito della medicina del lavoro è inclusa l’ergonomia che si occupa di adattare il lavoro al

lavoratore e rappresenta un aspetto importante della prevenzione in ambiente di lavoro.

La malattia professionale consegue ad una esposizione lavorativa, ad un rischio lavorativo e si

manifesta dopo un certo periodo di esposizione chiamato periodo di latenza che ad es. nel caso

dell’asbestosi o della silicosi è di 15-20 anni mentre una silicosi acuta può manifestarsi anche nel giro

di un anno.

Il rischio zero in ambito lavorativo non esiste. Qualunque lavoro infatti comporta dei rischi. Il fatto che

si manifesti o meno il danno è una cosa differente.

L’infortunio è un evento indesiderato dell’attività lavorativa che si verifica in un periodo concentrato

di tempo in occasione di lavoro. La nostra normativa prevede che il periodo di lavoro si estenda da

quando il lavoratore mette piede fuori dalla propria abitazione a quando rientra in casa.

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Nella denuncia occorre motivare quando e come è avvenuto l’infortunio, il percorso compiuto, il

mezzo di trasporto utilizzato. L’infortunio è un evento traumatico, lesivo, concentrato nel tempo con

determinate caratteristiche che lo contraddistinguono al livello assicurativo.

Nella nostra disciplina è fondamentale l’anamnesi lavorativa ed essendovi dei risvolti medico-legali,

noi medici del lavoro siamo chiamati spesso a stabilire se quella patologia sia di tipo professionale o

no. Se ad es. un soggetto ha una neoplasia polmonare da esposizione ad asbesto, è necessario essere

certi del fatto che quel soggetto sia stato esposto effettivamente ad asbesto, dobbiamo cioè accertare

l’esistenza del rischio e che l’agente lesivo, raggiunta una dose lesiva, sia stato concentrato nel tempo

necessario affinché la malattia si potesse manifestare.

Non avremo la certezza assoluta ma la possibilità di esprimerci in senso probatorio per il si o per il no.

Per es. nella costruzione di tegole e mattoni è necessaria argilla cruda che va mescolata con acqua,

modellata e infornata. Colui che lavora in questo settore è esposto al rischio polveri; se un lavoratore

denuncia una patologia professionale, voi non potete concludere a priori che quel lavoratore è affetto

dalla malattia denunciata per il solo fatto che il soggetto rientra in una categoria a rischio. Infatti se

questo lavoratore è stato addetto solo all’impasto dell’argilla, voi pensate che nell’impasto con acqua

ci sia polvere? No. Pertanto questo lavoratore non è esposto al rischio.

Altro concetto importante in medicina del lavoro è che la salute non è solo assenza di malattia ma

uno stato completo di benessere psico-fisico e sociale. Quindi il medico del lavoro deve occuparsi non

solo del rischio di patologie professionali ma impegnarsi a configurare il migliore ambiente di lavoro.

Altri concetti importanti sono il rischio e il pericolo.

Il rischio di un lavoro è la potenzialità di un determinato agente di causare un danno al lavoratore: per

es. nelle cave c’è rischio polveri ma non è detto che quel rischio possa determinare la patologia.

Il pericolo è la proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare

danni. Per es. un radiologo deve tener presente il pericolo delle radiazioni ionizzanti.

I fattori di rischio lavorativo possono essere di natura chimica, fisica (es. rumore, radiazioni

vibrazioni), biologica (per es. operatori biologici, veterinari), biodinamica, relazionale.

Molte volte il rischio non è puro, semplice ma composito: per es. chi lavora con il martello

pneumatico è esposto a tre tipi di rischio: da rumore, da vibrazione e da polveri.

Per quanto riguarda il rischio relazionale, bisogna ricordare che l’ambiente di lavoro non è regolato

solo da un rapporto esclusivo lavoratore-lavoro ma da una compartecipazione dei lavoratori. Il

mobbing è un rischio relazionale che comporta la discriminazione di alcuni lavoratori da parte di altri.

La prevenzione non è un costo ma un investimento! L’INAIL ha catalogato le malattie professionali in

una tabella in cui figurano asbestosi, silicosi, ma non altre patologie. Per le malattie catalogate esiste

la presunzione legale del rischio: se sono un lavoratore dell’industria estrattiva, faccio la denuncia di

una patologia professionale, senza dovere dimostrare nulla e l’INAIL accerterà se sono o meno

malato.

Invece per le patologie non catalogate il lavoratore deve dimostrare che la causa della malattia sia di

natura professionale.

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Quando viene accertata l’esistenza di una malattia professionale, per es. da polveri, in base

all’invalidità riconosciuta viene corrisposta un’indennità, una rendita che viene erogata ogni mese.

Dopo due anni entra in campo nuovamente l’INAIL per valutare lo stato di salute del lavoratore: la

malattia può risultare confermata, aggravata o revocata. Per le silicosi e le asbestosi esiste la rendita

di passaggio che viene erogata tutta in una volta, sono due anni di pensione anticipata, per

permettere al lavoratore di cambiare lavoro per eliminare il rischio.

Nel posto di lavoro devono esserci le condizioni che garantiscano la tutela non solo fisica ma anche

morale del lavoratore e che tutelino gli interessi della collettività, non solo quelli individuali.

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Negli anni ’50 sono stati varati due decreti: il 547 relativo agli infortuni e il 303 relativo alle norme

lavorative generali. Quest’ultimo stabiliva la periodicità delle visite a cui doveva sottoporsi il

lavoratore nella sua azienda lavorativa: per es. ogni sei mesi il lavoratore esposto a polveri.

Altri decreti erano il 385 sulle radiazioni ionizzanti; lo statuto dei lavoratori e l’ISPESL che oggi è

inglobato nell’INAIL.

Oggi con i nuovi decreti è il medico competente a stabilire la periodicità delle visite per controllare lo

stato di salute dei lavoratori ed esprimere un giudizio di idoneità alla mansione specifica.

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La periodicità di questi accertamenti di norma è annuale ma può assumere una cadenza diversa in

funzione della valutazione del rischio. I decreti che segnano l’inizio della nuova epoca legislativa e che

cominciano a descrivere le patologie in dettaglio e le modalità di comportamento sono:

-decreto 277/91 che introduce il concetto di medico competente;

-decreto 626/94 per regolamentare la sicurezza sui luoghi di lavoro; fece scalpore in quanto superava

alcune leggi precedenti, dando una forma organica alle normative sulla sicurezza nei luoghi di lavoro;

-decreto 81/08 (testo unico sicurezza lavoro) che rappresenta il nostro caposaldo. Esso garantisce

tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro. E’ stato varato nell’aprile 2008 con l’intento di creare un testo

che raccogliesse tutta la normativa di sicurezza; non è proprio un testo unico ma sulla sicurezza ha

raccolto la maggior parte delle norme. Il decreto prevede che ogni datore di lavoro faccia una

valutazione periodica dei rischi all’interno della propria azienda e qualora siano presenti rischi che

comportano la sorveglianza sanitaria, deve nominare un medico competente.

Il MC è un medico specializzato in medicina del lavoro, o in igiene e medicina preventiva o in medicina

legale oppure in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica.

La sorveglianza sanitaria comprende:

- una visita medica preventiva per valutare l’assenza di controindicazioni al lavoro al quale il

lavoratore è destinato e quindi la sua idoneità alla mansione specifica, in merito alla quale il medico

competente può esprimere un giudizio di idoneità completa; parziale temporanea o permanente con

prescrizioni o limitazioni; nella temporale vanno precisati i limiti temporali di validità;

-una visita medica periodica.

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Quindi il MC svolge la sorveglianza nei luoghi di lavoro attraverso dei protocolli definiti in funzione dei

rischi ed istituisce sotto la propria responsabilità una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore

soggetto a visita. Il datore di lavoro indice almeno una volta all’anno una riunione a cui partecipano il

datore di lavoro stesso o un suo rappresentante; l’RSPP e il medico competente qualora venga

nominato.

Il datore di lavoro può delegare, ove necessario, una persona che risponda a determinati requisiti e la

delega deve essere specifica, non deve essere irrealizzabile e non deve esserci ingerenza da parte del

delegante. L’unica cosa che non è delegabile è la valutazione di tutti i rischi e la designazione del

responsabile del servizio di

prevenzione e di

protezione dai rischi.

A proposito di prevenzione

è opportuno stabilire una

scaletta di interventi,

immediati o dilazionati,

privilegiando quelli a

vantaggio della collettività

rispetto a quelli individuali.

Il primo intervento deve essere sull’ambiente e poi sull’uomo; cioè l’eliminazione del rischio deve

cominciare alla fonte. Il lavoratore deve essere informato sui rischi e i pericoli del proprio lavoro.

Il medico competente deve accertare lo stato di salute lavorativa e l’idoneità specifica al lavoro

specifico,riconoscendo le opportune limitazioni. Per es. nelle cave un lavoratore può risultare idoneo

a svolgere determinate mansioni ma non idoneo al sollevamento pesi. L’idoneità specifica al lavoro

specifico è un concetto ampio che comporta una sana e robusta corporazione. Però se consideriamo

per es. un calzolaio, il soggetto può svolgere il proprio lavoro anche se non ha più le gambe. Il giudizio

espresso dal medico competente non è inattaccabile: io lavoratore infatti posso fare ricorso (entro 30

giorni dalla data di comunicazione del giudizio) all’organo di vigilanza territorialmente competente

che disporrà la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso, dopo eventuali ulteriori

accertamenti.

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Chi è oggi il medico del lavoro? Medico che mira a promuovere il benessere del lavoratore (termine

usato anche in ambito legislativo, non è lo stato di salute ma supera lo stato di salute, quindi usato in

modo azzardato in campo legislativo secondo la prof: il datore di lavoro per legge deve garantire il

benessere del lavoratore, quindi deve creare delle condizioni ottimali, il che è molto difficile in questi

tempi) e che ha l’obiettivo di studiare il lavoro e le condizioni in cui l’uomo espleta le sue attività, e

predispone livelli di azione “terapeutici” rivolti al lavoro per ridurre o eliminare eventuali patologie

correlate.

Il medico del lavoro per fare ciò non solo deve conoscere l’organismo e come reagisce dal punto di

vista fisiologico e patologico ma anche come le sostanze usate in ambiente lavorativo vengono

metabolizzate e se possono essere metabolizzate: per esempio un lavoratore di una raffineria di

Milazzo può essere esposto al benzene, idrocarburo che può essere nocivo (può determinare danni al

sistema emopoietico come la leucemia); ma come? Come penetra il benzene? Qual è l’organo target?

Sono tutte domande a cui un medico del lavoro deve sapere rispondere per essere in grado di

individuare l’origine professionale di una patologia: il benzene è introdotto per via respiratoria ma

l’organo target non è il polmone ma il rene; viene metabolizzato quindi non posso cercarlo nel sangue

in quanto ha un’emivita brevissima, si va a cercare un suo metabolita nelle urine di inizio e fine turno

e si vede se il soggetto è esposto a benzene; se lo cerco nel sangue di certo non troverò nulla, quindi il

paziente potrebbe avere una leucemia indotta da intossicazione al benzene di cui però non viene

individuata la causa lavorativa, il che è grave in quanto né il soggetto né gli eredi in tal caso ricevono

l’indennizzo da parte dell’INAIL (istituto nazionale per le assicurazioni e gli infortuni sul lavoro), ci

possiamo trovare di fronte a famiglie che non solo perdono l’unica fonte di reddito ma non ricevono

né l’indennizzo né la reversibilità di quest’ultimo agli eredi a causa dell’ignoranza del medico di base

che nel sospetto di un tumore di natura professionale dovrebbe fare la denuncia all’autorità

giudiziaria e un certificato di malattia professionale.

NOTA: è un obbligo morale e deontologico che un medico pensi che può esserci una causa

professionale e quindi è d’obbligo fare un’anamnesi lavorativa

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ARGOMENTO 1

RISCHIO E FATTORI DI RISCHIO CONNESSI AD ATTIVITÀ LAVORATIVE

CLASSIFICAZIONE DEI RISCHI (di tutte le attività lavorative): i rischi possono essere:

1) FISICI: possono essere generici (possono succedere a qualunque lavoratore, come urti, tagli,…)

o aggravati (radiologi):

� Meccanici(urti,punture e tagli)

� Termici (calore radiante, fiamme libere,freddo)

� Elettrici e/o magnetici (contatto con elementi in tensione,…)

� Radiazione: non ionizzanti (UV, laser) e ionizzanti

� Pressione barometrica (altitudine o profondità: sommozzatori ed aviatori che vanno

incontro a patologia da alta e bassa pressione)

� Rumore (ipoacusia da rumore è la patologia che ne deriva) e/o ultrasuoni

NOTA: i rischi possono essere sanitari ed extrasanitari

2) CHIMICI (anche questi possono essere sanitari ed extrasanitari)

� Aerodispersi: polveri

� Liquidi: detergenti, disinfettanti

� Gas

� Sostanze irritanti e/o sensibilizzanti

3) BIOLOGICI

� Virus

� Batteri

� Protozoi

� Funghi

4) ORGANIZZATIVI o TRASVERSALI: sono i “nuovi rischi”, detti organizzativi in quanto sono dovuti

ad una cattiva organizzazione del lavoro:

� Movimentazione manuale dei carichi (determina spesso dolore lombo-sacrale o low-back

pain)

� Patologie da movimenti ripetitivi (patologie da sovraccarico degli arti superiori)

� Patologie da uso di videoterminale

� Sindrome dell’edificio malato (sick building syndrome): in tal caso sono coinvolti anche

rischi chimici, come le polveri, il radon (elemento radioattivo), ma anche biologici come

infezione da Legionella Pneumophila

� Rischi psico-sociali: stress, burn-out, mobbing

� Rischio da attività lavorative a turni o notturni (per alterazione del normale ritmo biologico

sonno-veglia).

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Per avere uno schema di analisi da seguire durante il sopraluogo o la valutazione dell’ambiente

lavorativo i fattori di rischio possono essere divisi in 4 gruppi:

� Primo gruppo

Sono i fattori di rischio comuni a tutti gli ambienti, lavorativi ed extralavorativi, e che fanno parte di

qualsiasi ambiente di vita. Sono anche detti fattori del microclima. Per ognuno di essi c’è un range

ottimale al di sopra e al di sotto del quale l’organismo non ha più la sensazione di benessere e

possono insorgere patologie permanenti o transitorie.

• Umidità

• Temperatura

• Pressione

• Illuminazione

• Ventilazione

• Rumore

� Secondo gruppo

Sono fattori specifici per i vari ambienti di lavoro. E’ molto difficile individuare con esattezza la

presenza di specifiche sostanze e le loro concentrazioni. Per conoscerne la reale pericolosità è

indispensabile effettuare delle misurazione e analizzare qualitativamente di cosa si tratta.

• Polveri

• Gas

• Radiazioni ionizzanti

• Fumi

• Vapori

• Vibrazioni

• Elettricità

� Terzo gruppo

Fatica e sforzo fisico. Il lavoro muscolare può essere misurato in termini di dispendio di calorie. La

fatica può essere fisiologica o patologica, ed è difficile quantificare il limite fra esse. In genere quella

fisiologica scompare con il riposo notturno, mentre quella patologica non scompare completamente e

quindi si accumula (fatica residua) ed è detta anche fatica cronica. Oggi questi problemi sono in

diminuzione, ma la conseguenza è sempre la patologia osteoarticolare.

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� Quarto gruppo

Fatica psicologica e difficoltà di adattamento all’ambiente lavorativo. Comprendono una moltitudine

di fattori di rischio emergente e di grande interesse. Ritmi eccessivi, monotoni, lavoro parcellizzato

con mansioni invariate.

Questi problemi possono in genere essere superati con una maggior attenzione all’organizzazione del

lavoro, ma vi sono implicati anche fattori più profondi della psiche umana e quindi difficili da valutare.

In genere il lavoratore non è esposto ad un solo fattore di rischio. Molti fattori inoltre (come lo stress

e la fatica, ma anche il rumore e l’illuminazione) possono già di per sé favorire il verificarsi di un

infortunio oltre che la comparsa di malattie professionali.

Distinzione:

• Malattie da lavoro: tutte le patologie correlate in qualsiasi modo (causa o concausa) al lavoro

• Malattie professionali: le malattie da lavoro indennizzate come tali dall’INAIL nella tabella delle

malattie professionali o perché addotte di prova certa di causa lavorativa dal lavoratore.

Esistono degli strumenti che permettono la registrazione dei rischi corsi da ogni individuo. Questi

devono avere un carattere di continuità per essere significativi:

• Registro dei dati ambientali: uno strumento che memorizza tutti i valori connessi con un

particolare fattore di rischio (ad esempio un igrometro, un termometro che lascia traccia sulla

carta eccetera). Ce ne devono essere per tutti i fattori di rischio connessi con la particolare

lavorazione.

• Registro dei dati biostatici: riporta tutti i dati connessi con il gruppo omogeneo dei lavoratori. Vi

devono confluire:

o Le assenze dal lavoro

o Gli infortuni

o Le malattie sia professionali che non

o Le visite preventive periodiche con i loro risultati

• Libretto personale di rischio: di ogni lavoratore, e vi vegnono annotati tutti i dati riguardanti i rischi

ai quali il lavoratore è esposto:

o Mansioni svolte

o Caratteristiche dell’ambiente di lavoro, con dati sui FR e sulle misurazioni disponibili

o Risultati delle visite preventive svolte

• Libretto sanitario personale: riporta l’anamnesi familiare e lavorativa del soggetto.

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ARGOMENTO 2

LIVELLI E TIPI DI PREVENZIONE E DI TUTELA DELLA SALUTE

La prevenzione delle malattie del lavoro si attua tramite una serie di azioni di informazione, di

modifica dell’ambiente di lavoro e di attività sanitarie volte alla riduzione del rischio.

ATTIVITÀ DI PREVENZIONE

Provvedimenti volti a limitare la formazione e diffusione nell’ambiente di fattori nocivi

- Ambiente di lavoro idoneo, scelta delle tecnologie più sicure, disposizione delle macchine,

attivazione di idonee strutture igieniche, scelta dei materiali da trattare

- Organizzazione del lavoro che tenga conto delle esigenze umane psicologiche e fisiche

- Non applicare l’esportazione del lavoro fuori dalla fabbrica (lavoro a domicilio) a sostanze

tossiche, che provocherebbero la contaminazione anche dei familiari del lavoratore (aumento

della esposizione al piombo e asbesto di figli di lavoratori esposti)

- Sostituzione (se possibile) delle sostanze con altre meno tossiche. Ad esempio il benzolo sostituito

con xilolo e toluolo, ha permesso la diminuzione di casi di leucemia in alcuni settori lavorativi. Ma

ad esempio l’esano, il più moderno e sicuro sostituto del benzolo nelle colle, può essere

neurotossico e provocare paralisi flaccida. Inoltre ogni sostanza a dosi adeguate è tossica.

- Isolamento delle fonti di rischio: se non è possibile la sostituzione di una sostanza si frappone una

barriera fra essa e il lavoratore, costruendo anche ambienti climatizzati e isolati, introducendo ad

esempio il controllo a distanza della produzione.

- Ventilazione generale e aspirazione localizzata: la generale serve a dare all’ambiente la giusta

temperatura e umidità, ma non consente l’eliminazione di polveri e altri tossici. Questi vengono

rimossi da un sistema di aspirazione che li capta nel punto di produzione, aspirandoli in una

direzione che li allontana dal lavoratore, che non deve essere con il viso fra la sorgente di

inquinante e la cappa di aspirazione (quindi gli aspiratori devono essere messi in basso, ad

esempio sul banco di lavoro).

Provvedimenti volti a limitare l’esposizione diretta a fattori nocivi

- Mezzi di protezione personale: maschere, respiratori, guanti, occhiali, cuffie e tappi

fonoassorbenti che si usano quando i mezzi precedenti non possono ridurre il rischio al di

sotto della soglia limite di esposizione.

I filtri per le vie respiratorie devono essere adattati all’inquinante, e non tutti i tipi di filtro

vanno sempre bene: qualcuno ferma le polveri, qualcuno i fumi, eccetera.

Le maschere devono essere adattate individualmente al volto dei portatori, onde garantire

una perfetta tenuta.

Il problema è che questi mezzi spesso sono mal tollerati dai lavoratori, che vi rinunciano.

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Sorveglianza Sanitaria

La sorveglianza sanitaria è un insieme di atti medici per prevenire le patologie correlate ai rischi

lavorativi. Essa infatti scatta nel momento in cui ci sia il rischio.

Ad esempio se il videoterminalista non lavora più di 20h a settimana, o un lavoratore è esposto a

meno di 80dB come rischio acustico, eccetera, la sorveglianza non si fa.

La sorveglianza sanitaria è effettuata per legge da un medico specialista in Medicina del lavoro

(Medico competente), che opera in piena indipendenza rispetto al Datore di lavoro in modo da

valutare e dare suggerimenti per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori secondo

scienza e coscienza.

Consiste nella valutazione dell'idoneità specifica del lavoratore alla mansione lavorativa attraverso

l’accertamento delle condizioni di salute del lavoratore in funzione del rischio che il lavoro comporta.

La valutazione comprende accertamenti:

- preventivi (che sono effettuati sia prima dell’assunzione che prima di un cambio di

mansione),

- periodici (che sono effettuati a intervalli di tempo).

Tali accertamenti comprendono l'esame clinico (visita medica) e indagini diagnostiche.

Questi accertamenti sono effettuati allo scopo di verificare l’assenza di controindicazioni (ovvero la

presenza di alterazioni dello stato di salute) alla mansione lavorativa a cui il soggetto è destinato, al

fine di valutare l’idoneità del soggetto stesso.

Gli accertamenti periodici, che comprendono, oltre all'esame clinico, una serie di indagini mirate al

rischio, hanno lo scopo di

(i) controllare le condizioni di salute dei lavoratori al fine di formulare un giudizio relativo

all’idoneità alla prosecuzione dell’attività lavorativa a rischio,

(ii) verificare se un’eventuale compromissione dello stato di salute del lavoratore sia

conseguenza dell’attività lavorativa,

(iii) verificare l’eventuale presenza di altre alterazioni che, pur non essendo correlate con

l’esposizione, siano ritenute in grado di compromettere lo stato di salute qualora

l’esposizione stessa prosegua.

Visite su richiesta: Oltre ai precedenti, ulteriori accertamenti sanitari possono essere richiesti dal

lavoratore che ritenga esistere un rapporto tra i disturbi lamentati e i rischi professionali a cui è

esposto.

Il giudizio di idoneità sintetizza conoscenze relative alla situazione lavorativa a rischio e conoscenze

mediche relative allo stato di salute o malattia del lavoratore. Esso è un giudizio finalizzato alla

prevenzione e caratterizzato da componenti etiche e sociali non trascurabili.

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Il giudizio di idoneità è obbligatorio per l’inizio delle attività lavorative a rischio e per la prosecuzione

di attività a rischio. Ciò comporta che non possono svolgere attività a rischio i lavoratori privi di tale

giudizio e che il lavoratore è obbligato a sottoporsi agli accertamenti previsti. In questo caso di

giudizio di non idoneità il lavoratore può essere allontanato dall’attività a rischio in modo temporaneo

o definitivo.

Per evitare eventuali abusi o possibili errori, avverso il giudizio di inidoneità alla mansione formulato

nel corso dell’accertamento periodico, è ammesso il ricorso all'organo di vigilanza.

Per ogni lavoratore viene istituito e periodicamente aggiornato un documento sanitario contenente

informazioni sullo stato di salute e sul rischio professionale. Si tratta di un documento, cartaceo e su

supporto elettronico, ove sono annotate le condizioni psicofisiche di ogni lavoratore, compresi i

risultati degli accertamenti strumentali e di laboratorio, nonché quelli specialistici. Tutto il personale

del Servizio di Sorveglianza Sanitaria che ha accesso a tale documentazione è tenuto al segreto

professionale.

Allo scopo di favorire il consenso e la partecipazione dei lavoratori all’attuazione della sorveglianza

sanitaria, è previsto che al lavoratore venga spiegato il significato degli accertamenti diagnostici da

effettuare in rapporto al rischio associato al lavoro, venga fornito il risultato degli accertamenti

biologici e copia degli accertamenti diagnostici.

Art. 41. del D.Lgs 81/2008

Sorveglianza sanitaria

6. Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche di cui al comma 2, esprime

uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:

a) idoneità

b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni

c) inidoneità temporanea

d) inidoneità permanente

6-bis. Nei casi di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 6 il medico competente esprime il proprio

giudizio per iscritto dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al datore di lavoro.

7. Nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea vanno precisati i limiti temporali di

validità.

9. Avverso i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase pre-assuntiva, è

ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all'organo di

vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la

conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.

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ARGOMENTO 3

MONITORAGGIO AMBIENTALE E BIOLOOGICO DELL’ESPOSIZIONE AGLI INQUINANTI; VALORI LIMITE

E LORO IMPIEGO.

Col termine monitoraggio intendiamo ogni forma di indagine ricorrente e sistematica, di natura

biologica, epidemiologica o altro, compiuta su popolazioni umane, animali, vegetali o su ambienti

minacciati da un qualsiasi tipo di inquinamento (acustico, radioattivo, biologico…) che ha come fine la

programmazione di interventi di gestione, conservazione o risanamento.

Questo viene fatto in rapporto ad appropriati standard di riferimento.

Il monitoraggio ambientale è la misura delle sostanze tossiche nell’ambiente di lavoro.

Il monitoraggio è la misura delle sostanze tossiche nei liquidi biologici.

Monitoraggio ambientale

Col monitoraggio ambientale ci poniamo l’obiettivo di misurare e valutare la presenza di agenti lesivi

per la salute dei lavoratori nell’ambiente di lavoro, in relazione a standard prefissati.

Ha le seguenti finalità:

• Verifica delle condizioni di inquinamento dell’ambiente in rapporto ai limiti di riferimento

• Studio di correlazione fra la concentrazione di inquinanti nell’ambiente e nei fluidi biologici dei

pazienti esposti.

• Verifica dell’efficacia di interventi di bonifica o di contenimento della presenza di inquinanti

• Controllo dell’efficacia dei sistemi di contenimento (“abbattimento”)

• Archiviazione dei dati ambientali, ai fini epidemiologici e statistici. E’ importante perché la

maggior parte degli effetti sui lavoratori sono in tempi lunghi, e per risalire alla causa di una

malattia professionale è necessaria la ricerca dell’esposizione cumulativa nei precedenti 10-15

anni.

• Libretto di rischio personale per ciascun lavoratore con i valori di ogni singola esposizione nel

tempo

• Controllo delle sorgenti di emissione presenti in fabbrica

• Sperimentazione sul campo delle tecniche di campionamento e di analisi.

Limiti di riferimento di concentrazione

Alcune sostanze danno un danno sempre, indipendentemente dalla concentrazione (ad es. i

cancerogeni).

Anche il fosgene è un gas che provoca sempre edema polmonare, indipendentemente dal tempo (t)

di esposizione e dalla concentrazione (C). Per queste sostanze non c’è una dose soglia.

La maggior parte dei prodotti invece ha una sua dose soglia di danno, calcolata come rapporto E = t X

C (dove E significa esposizione) al di sotto del quale non si ha danno (Dose soglia di effetto).

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I limiti di esposizione sono di due tipi:

• Limiti basati sulla capacità di proteggere la salute (Healt Based Limits): sono limiti accettabili

(meglio “non inaccettabili”) per proteggere la salute umana. Sono cioè calcolati solo in base alla

salute fisica dell’individuo, e non prendono in considerazione altri fattori. Sono detti anche

massimi accettabili.

• Limiti di esposizione “accettati”: limiti adottati dopo aver valutato l’evidenza di effetto sulla

salute e anche ogni altro fattore di tipo socioeconomico o politico, e sono detti anche massimi

accettati.

Questi sono più alti che quelli accettabili, in quanto spesso è impossibile, dal punto di vista sociale,

raggiungere i limiti ideali sia perché è costoso, sia perché si possono avere delle riserve di vario

tipo (ad esempio non si può chiudere completamente il traffico in città, o bloccare la produzione

del petrolio). La popolazione accetta di avere un piccolo rischio pur di ottenere dei benefici

tecnologici. E’ un compromesso fra salute e possibilità reale di mantenere un certo stile di vita.

Spesso questo è un problema perché la popolazione non è omogenea, e quella lavorativa è più

sana rispetto a quella generale: i limiti che si adottano per la popolazione lavorativa in genere

sono più alti, e questo spesso è difficile da accettare dal punto di vista morale, ma necessario dal

punto di vista politico. Un esempio che fa capire questo sono i cellulari; gli ultimi studi (4/01/2001)

del National Cancer Istitute indicano che l’uso dei cellulari ripetuto per molti anni ha un rischio

provato, anche se basso, di effetti biologici cellulari rilevanti, che non sono associati, per ora, alla

cancerogenesi, ma comunque ad un rischio generico.

Probabilmente questo rischio si manifesterà in futuro in un aumento delle neoplasie cerebrali.

Questo sarebbe sufficiente, in un concetto di limite di esposizione Healt Based, a bloccare l’uso dei

telefonini finché non si sa se sono dannosi. La popolazione ha un grande vantaggio da questo uso,

e quindi non ne rinuncia per un rischio piccolo, remoto e non certo.

� La metodologia per stabilire i limiti si basa su varie proprietà della sostanza:

• Dati tecnici: proprietà chimico fisico, uso e produzione

• Dati tossicocinetici: assorbimento, distribuzione, biotrasformazione, eliminazione, organi

bersaglio e organi d’accumulo

• Dati tossicologici: effetti e meccanismi d’azione, tipi di studio eseguiti (in vitro o in vivo, su

uomini o animali, casi clinici di effetti dannosi, studi epidemiologici sulle popolazioni lavorative

per tempo prolungato), e sapere l’importanza di questi studi, tipi di effetto, rapporto

dose/risposta, e soprattutto conoscere i livelli di no-adverse effects.

• Individuazione di lacune nelle conoscenze scientifiche

A questo punto si adotta un fattore di sicurezza, ossia un limite provvisorio che si basa su una

concentrazione che negli studi è stata provata come innocua, ad esempio 100. Su questo adotto un

fattore di sicurezza, ad esempio 2, e allora metto come limite la metà della concentrazione innocua,

per essere sicuro che anche la popolazione più sensibile sia protetta.

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Dopo si mette, sulla scorta di altre informazioni, un limite Healt Based.

La storia dei limiti di sicurezza parte nel 1893, con monossido di carbonio nelle miniere. Nelle miniere

d’oro del Sudafrica per la silicosi nel 1916 con la concentrazione di silice nell’aria. Già nel 1941

compare una serie di standard proposti dall’ACGH (America Conference of Governamental Higenist),

che ancora oggi gestisce la maggior parte delle concentrazioni standard, prodotti ogni anno in dei

libretti di riferimento con la concentrazione accettabile di ogni sostanza.

Valore limite di esposizione

L’obiettivo primario è mantenere la concentrazione ambientale a valori più bassi del limite di

esposizione.

L’ACGH da il TLV (Threshold Limit Values) o VLE (Valore Limite di Esposizione in italiano) per ogni

singola sostanza, e avverte che valgono per quasi tutti i lavoratori, perché in ogni ambiente ci sono

persone per molte cause ipersensibili.

I valori sono derivati da studi epidemiologici, sull’uomo, sull’animale e sui sistemi cellulari.

Le unità di misura sono riferite a:

• Peso: mcg/m3

• Volume: parti per milione (ppm)

• Indice numerico: particelle per cm3

In USA gli esperimenti sull’uomo sono spesso fatti su persone che per ottenere sconti di pena si

sottopongono a studi non sicuri. Faro di civiltà come sempre.

Ci sono tre tipi di limite fissati dall’ACGH:

• Valore limite ponderato: concentrazione media ponderata nel tempo alla quale si ritiene che

quasi tutti i lavoratori possano essere esposti per 8 ore al giorno, per 40 ore settimanali per

tutta la loro vita, senza avere con elevata probabilità effetti dannosi.

Nessuna garanzia se questi limiti di concentrazione e di tempo non sono rispettati. La CAM si

calcola con una formula matematica che altro non è se non una media delle esposizioni.

• Valore limite per brevi esposizioni: solo per alcune sostanze, massima concentrazione

ambientale alla quale i lavoratori possono essere esposti per 15 minuti continui senza

accusare:

o Fattori irritativi inalterabili

o Alterazioni croniche e irreversibili dei tessuti

o Stato di ottundimento del sensorio in grado di favorire infortunio

Non sono ammesse più di 4 esposizione al giorno separate da 60 minuti, e che mai superino

nel complesso la concentrazione massimale giornaliera.

• Valore limite massimo: concentrazione che mai deve essere superato, in nessun caso, in una

singola esposizione. (E’ poco usato).

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Per i cancerogeni si stabiliscono dei criteri che le dividono in 5 classi di rischio:

• A1: cancerogeni certi per l’uomo

• A2: sospetti (formaldeide)

• A3: cancerogeni animali

• A4: non classificabili come cancerogeni

• A5: nessun sospetto di cancerogenesi

Molte sostanze non rientrano nella classificazione.

- Per tutte le sostanze l’esposizione deve essere minima possibile.

- Per le sostanze A1 per le quali non esiste un limite di sicurezza, il contatto deve essere zero.

- Tutti gli esposti ad A1 con VLE (valore limite di esposizione), A2 e A3, devono essere controllati in

modo da avere un valore di esposizione più basso possibile.

I Valori Limite di Esposizione non hanno valore assoluto; infatti:

• Esistono per poche sostanze

• Variano nel tempo in relazione alle conoscenze

• Vi sono diversità fra i vari Paesi

• Non sono valutate le interazione fra diversi inquinanti ed altri fattori lavorativi o non lavorativi

• La concentrazione non è il solo fattore che definisce la pericolosità di una sostanza, come ad

esempio lo sforzo fisico, aumentando la ventilazione, può aumentare l’assorbimento di una sostanza.

• Non sono considerate le condizioni individuali di tossicocinetica, le malattie e l’ipersensibilità

accertate.

Per tutti questi motivi, oltre al controllo ambientale esiste il Monitoraggio Biologico.

Monitoraggio Biologico

Le sostanze tossiche sono in genere misurate nell’aria nell’ambiente di lavoro: ma l’assorbimento dei

tossici avviene anche attraverso molte altre vie, soprattutto la via orale (soprattutto quando si mangia

nell’ambiente di lavoro), e la pelle, che è la via di ingresso di moltissime sostanze anche molto

tossiche, come gli organofosforici.

In alcuni casi misurare la concentrazione nell’aria può essere del tutto inutile. Inoltre a volte sostanze

innocue nell’aria possono trasformarsi in veleni nel fegato; anche la concentrazione esterna può

essere fittizia, perché all’interno del corpo le sostanze si possono depositare raggiungendo una

concentrazione elevata e pericolosa.

Il monitoraggio biologico è una misurazione periodica della concentrazione di una sostanza tossica e

dei suoi metaboliti nei mezzi biologici (sangue, urina, aria espirata sono i più facili da rilevare), che si

dicono indicatori di dose, in quanto danno una misura della dose di tossico assorbito dal lavoratore.

Oppure si misurano gli effetti precoci indotti da una sostanza dell’organismo, che sono detti

indicatori di effetto, e che servono per anticipare gli effetti più gravi.

I compiti del monitoraggio biologico sono:

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o Accertare il grado di esposizione globale, attraverso tutte le vie, e identificare la dose assorbita, e

anche in ambienti diversi da quelli monitorati con il monitoraggio ambientali (se uno è esposto ad

una sostanza anche a casa oltre che al lavoro il suo rischio non può essere uguale a quello dei

colleghi).

o Valutare la risposta del singolo ad un determinato tossico

o Svelare esposizioni non documentabili non il monitoraggio ambientale

o Valutare a quale concentrazione una sostanza o i suoi metaboliti possono compiere le più precoci

alterazioni sui tessuti e definire quindi la massima concentrazione biologica accettabile. Questa

(detta anche MAC biologico) è orientativa. Non va confuso con il valore fisiologico della

popolazione normale, ma è riferito soltanto all’esposizione lavorativa (piombemia normale 40

ug/dl, mentre MAC biologico della piombemia è 60-70 ug/dl).

I mezzi utilizzabili per eseguire il monitoraggio biologico devono essere agevole e privo di rischi,

eseguibili su ampie popolazioni. In genere si usano:

• Sangue (invasivo)

• Urine (miglior compromesso fra attendibilità e non invasività)

• Aria espirata media e alveolare

• Capelli, unghie, saliva (per niente invasivi ma poco utili)

Indicatori di dose

� Indicatori di esposizione (o di dose esterna): caratterizzano e quantificano l’esposizione ad una

sostanza e si correlano molto bene con la concentrazione ambientale, ad esempio la piombemia, o

la concentrazione di gas anestetici nelle urine. Non misurano però la dose, ossia la concentrazione

della sostanza nell’organo bersaglio, ma ne forniscono una stima.

� Indicatori di dose interna: misurano la dose all’organo bersaglio. Sono poco disponibili e

difficilmente individuabili. Spesso gli indicatori ematici sono una stima fedele della dose, ad es. la

piombemia.

� Indicatori di accumulo: misurano la quota di sostanza accumulata nei tessuti da dove viene

rilasciata lentamente. Attivazione neutronica, fluorescenza a raggi X, che permettono di vedere

l’emissione dell’energia da organi di deposito come indice della concentrazione delle sostanze da

identificare.

Indicatori di effetto

Evidenziano alterazioni biologiche precoci a livello dell’organo critico che viene interessato per primo

dalla concentrazione critica, cioè tale da indurre alterazioni reversibili o meno, alla ricerca dell’effetto

subcritico. Queste alterazioni si riflettono in alterazioni misurabili. Ad esempio, ↑ALA urinaria può

essere una misurazione del danno midollare del piombo, la carbossiemoglobina come indice del

danno del CO nella funzione respiratoria.

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Alcuni sono abbastanza specifici, altri molto meno, come l’esposizione del midollo osseo alle

radiazione valutata sulla misura della ↓piastrine.

Il piombo agisce al livello dell’ALA-deidrasi, la protoporfirogeno ossidasi e l’eme sintetasi,

bloccandole. I metaboliti alla base (ALA, protoporfirina IX, coproporfirinogeno III) si accumulano e

possono essere misurati.

Fattori che influenzano gli indicatori biologici

Fisiologi

• Età (es. cadmio, piombo)

• Sesso (piombo)

• Dieta (arsenico, mercurio, acido ippurico)

• Fumo di tabacco (cadmio, CO, IPA, benzene)

• Alcool (ALA, Xilene, toluene, stirene)

Patologici

• Carenza di ferro

• Anemia (cadmio, piombo, Hg)

• Nefropatie (qualsiasi sostanza urinaria)

• Pneumopatie (solventi e misure nell’aria espirata)

• Farmaci

• Preparati omeopatici o naturali (che non sono inoffensivi!)

Tempo di campionamento

� Le sostanze tossiche assorbite hanno metabolismo del tutto diverse e alcune di loro hanno

breve emivita, spesso minore di 5 ore, come l’esano o il bromo, stilene, CO. In questo caso

bisogna misurare le sostanze:

- Prima del turno (almeno 16 ore dalla esposizione precedente)

- Durante il turno

- Immediatamente alla fine del turno

� Alcune sostanze hanno emivita intermedia (maggiore di 5 ore) e che si accumulano durante la

settimana lavorativa. Allora vanno fatte:

- All’inizio della settimana (dopo 2 giorni dall’ultima esposizione

- A fine settimana (dopo 4-5 giorni di esposizione continua)

� Sostanze a lenta eliminazione, che si depositano e persistono per anni, possone essere

misurate in qualunque momento.

Monitoraggio biologico dei cancerogeni

Esiste la possibilità di misurare gli addotti delle sostanze cancerogene al DNA, che si formano per la

presenza di gruppi reattivi elettrofili presenti nella sostanza nativa o dopo attivazione. Questi addotti

hanno una correlazione con l’esposizione. Possono essere misurati in tessuti surrogati come i linfociti

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periferici, che hanno una memoria storica dell’esposizione al cancerogeno. Attualmente questo non è

specifico.

Alcuni indicatori di danno al DNA sono:

• Aberrazione cromosomiche

• Scambi fra cromatidi fratelli (SCE)

• Micronuclei: si formano per la rottura di parti di cromosomi nel corso della mitosi

Il test di Comet è un test fatto su una cellula ovarica di criceto, non trattata, che viene confrontata

con una cellula identica ma trattata con la sostanza cancerogena mediante elettroforesi che dimostra

la frammentazione del nucleo. Può essere fatto in numerose cellule di numerosi tessuti, anche

sull’uomo, prendendo cellule normali e cellule del soggetto esposto.

Ha il vantaggio della semplicità e di poter essere applicato a molte situazioni.

CENNI PRATICI SUL MONITORAGGIO

Fonometro

Il fonometro viene inserito in un ambiente di lavoro e lasciato in sede otto ore. Rileva sia la media

ponderata che i picchi di esposizione delle persone presenti in quel luogo.

Si può anche utilizzare un’apparecchio portatile che valuta l’esposizione del singolo soggetto.

Al di sopra di 85 dB il suono è considerato dannoso, sopra a 120 dB provoca dolore.

Centralina microclimatica

Misura contemporaneamente:

• Temperatura

• Umidità

• Luce

• Ventilazione (importante per le patologie da calore)

Dosimetri per radiazioni ionizzanti

Secondo la legge non si deve superare un quantitativo di radiazioni in un certo periodo di tempo.

Questa dose complessiva viene misurata valutando una pellicola radiosensibile che il paziente porta

addosso (targhette o placchette) o nelle zone del corpo esposte (mani, sotto forma di anelli).

Luxmetro

Importante per la misurazione dell’illuminazione dove si svolge un lavoro che richiede la visione da

vicino (orafi, orologiai, montaggi di precisione).

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Campionamento delle sostanze chimiche

Il problema principale è la rilevazione delle sostanze che sono presenti nell’aria, per le quali spesso

non è possibile una misurazione istantanea.

Si usa in genere una pompa che aspira una quantità prestabilita d’aria al minuto, alla quale si applica

un filtro (per le polveri) o una fiala contenente una sostanza che adsorbe selettivamente fumo e

polveri. Successivamente si fa la misurazione esprimendo il rapporto fra l’aria aspirata e la quantità di

materiale raccolto.

--------------------

Lezione del prof sull’argomento.

Focalizziamo ora la nostra attenzione sul monitoraggio ambientale e quindi andiamo a valutare le

sostanze tossiche che possiamo trovare nell’ambiente di lavoro. Si tratta di gas, vapori, metalli,

tossine animali e vegetali, pesticidi, fungicidi, erbicidi e tante altre sostanze. Se si trovano in

concentrazioni abbastanza elevate possono causare effetti dannosi sulla salute del lavoratore. Nello

specifico distinguiamo:

- inquinanti inorganici: metalli (As, Cr, Ni, Pb, Cd, Hg) e composti inorganici non metallici.

- inquinanti organici: composti organici volatili (VOC), i fenoli, gli anti-parassitari e i pesticidi.

- inquinanti fisici: radiazioni, rumore, onde elettromagnetiche.

- inquinanti biologici: batteri, acari, muffe.

Quali sono gli effetti sulla salute di questi inquinanti, qualora raggiungano una concentrazione

elevata? Ci sono due possibilità:

> intossicazione acuta: si verifica quando la concentrazione degli inquinanti s’innalza improvvisamente

nell’aria dell’ambiente di lavoro, superando in breve tempo la soglia di tossicità; è quello che si

verifica in caso di incidenti.

> malattie professionali, che corrispondono ad una intossicazione cronica, che si verificano quando il

lavoratore è soggetto a prolungate esposizioni anche se a livelli contenuti di sostanza inquinante ( x

es. la silicosi).

Come facciamo noi a vedere in un ambiente la concentrazione di una sostanza?

Attraverso il campionamento. Sappiamo che tutti i materiali sono dotati di “schede di sicurezza”:

Si tratta di un vero e proprio documento tecnico, molto significativo ai fini informativi sulle sostanze

chimiche, infatti dicono se sono sostanze cancerogene o meno, quali caratteristiche fisiche

posseggono ecc.

Quindi la prima cosa da fare è consultare queste schede di sicurezza, successivamente si procede al

“campionamento” dell’aria e quindi alla conseguente analisi di laboratorio che ci consente di

conoscere l’esatta concentrazione della sostanza in quell’ambiente di lavoro. A questo punto

dobbiamo sapere l’effetto che tale sostanza ha sul lavoratore in quella precisa concentrazione. A tal

proposito ricorriamo agli “indici di riferimento”, ovvero standard di qualità dell’aria che

rappresentano i livelli di esposizione accettabili da parte dei lavoratori. Tali valori di riferimento

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prendono il nome di “valori limite di esposizione” e sono stati fissati per la maggior parte delle

sostanze presenti nei nostri ambienti di lavoro.

I più usati sono i TLV (Valori Limite Soglia), che indicano le concentrazioni delle sostanze disperse

nell’aria al di sotto delle quali si ritiene che la maggior parte dei lavoratori possa rimanere esposta

ripetutamente senza alcun effetto negativo x la salute. Quindi è chiaro che più il TLV è basso, più la

sostanza è pericolosa.

I TLV si distinguono in 3 tipi: TLV-TWA; TLV-STEL; TLV-C.

Il TLV-TWA è il valore limite per esposizioni prolungate nel tempo; è quello più usato e rappresenta la

“concentrazione media” ponderata nel tempo degli inquinanti presenti nell’aria dell’ambiente di

lavoro, nell’arco dell’intero turno lavorativo e alle quali si presume che il lavoratore possa trovarsi

esposto 8 ore al giorno per 5gg alla settimana x tutta la durata della vita lavorativa, senza risentire di

effetti dannosi.

Il TLV-STEL è il valore limite per esposizioni di breve durata (max 15 minuti).

Il TLV-C è il valore limite di soglia massima; indica la concentrazione che non può essere mai superata

durante tutto il turno lavorativo, neanche per un istante. Questo è previsto solo per sostanze ad

azione immediata. Quindi è il valore che non va mai superato.

In genere i valori dei TLV sono espressi in mg/m cubo.

Questi TLV costituiscono un indice da tenere in considerazione se non altro come soglia di attenzione

per la vita lavorativa.

Quali sono gli obblighi per il datore di lavoro?

Sicuramente sono obbligatorie le schede di sicurezza, che devono essere a disposizione dei lavoratori;

le analisi delle sostanze inquinanti; l’impegno per la riduzione dell’inquinamento (introducendo

prodotti e preparati “ecologici” , non tossici e tecnologie “pulite”); il rispetto dei limiti TLV.

Prima di passare al monitoraggio “biologico”, facciamo un esempio in merito al monitoraggio

ambientale, parlando di un inquinante che si ritrova in molti ambienti lavorativi e cioè il BENZENE.

Allora che cos’è il benzene? La sua formula chimica è C6 H6; fa parte dei composti organici aromatici,

è un liquido incolore che può essere irritante a concentrazioni elevate. Su scala industriale viene

prodotto attraverso il processo di “raffinazione del petrolio”, è contenuto nelle benzine, in modo

particolare nella benzina verde. In Italia le legge n.413 stabilisce che il benzene nelle benzine non deve

superare l’1% in volume.

Quali sono le fonti di benzene? Il benzene deriva sia da fonti naturali: emissioni vulcaniche e incendi

boschivi, sia da fonti artificiali, riferibili ad attività umane, come le emissioni industriali, il fumo di

tabacco, i gas esausti dei veicoli a motore…

Altre fonti sono: colle, vernici, cere per mobili e detergenti. Una certa esposizione si ha anche quando

si pompa la benzina nei serbatoi delle automobili.

Abbiamo quindi un’ “esposizione occupazionale” per chi lavora ad esempio nelle raffinerie del

petrolio, negli impianti petrolchimici, nelle industrie del cuoio, nei laboratori…

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L’altra esposizione è “extra-occupazionale”, come il fumo di sigaretta, gli impianti di riscaldamento e

l’inquinamento dovuto al traffico veicolare. La principale via d’intossicazione è la via aerea, solo una

piccolissima quota è introdotta per contatto diretto o per ingestione.

Gli effetti sulla salute si distinguono in :

- tossici acuti, in caso di fughe improvvise; il distretto più interessato è il SNC, con lesioni di vario

grado a seconda della quantità di benzene inalata. Nei casi più gravi si può avere la morte del

soggetto.

- tossici cronici, in questo caso i danni sono a carico del sistema emopoietico, determinando anemia,

leucopenia e piastrinopenia.

L’affezione che preoccupa di più è il cancro del sangue (leucemie), correlato all’esposizione al benzene

(piccole quantità/decine di anni). Per questa ragione esso è considerato come una sostanza

cancerogena a tutti gli effetti. La legge del 2002 ha stabilito di abbassare i livelli di benzene nell’aria ad

una quantità non superiore a 5mg/m cubo.

Vediamo ora come viene misurato il benzene, cioè monitorato. Il rilevamento viene effettuato

mediante strumentazione automatica, anche se non molto utilizzato.

Si ricorre più spesso al campionamento passivo.

I campionatori passivi si basano sul principio della diffusione molecolare e impiegano come

assorbente il carbone attivo, contenuto in una cartuccia di acciaio inserita nel corpo cilindrico

diffusivo; le sostanze, una volta adsorbite dal carbone attivo, sono poi estratte in laboratorio (in

genere con metodi cromatografici).

In questo caso il campionatore è il “radiello”, uno strumento costituito da 3 parti: - un corpo diffusivo;

- una cartuccia assorbente e - un supporto. Si usa per il controllo della qualità dell’aria sia in ambienti

esterni che interni. Ovviamente noi l’abbiamo considerato per il benzene, ma può essere utilizzato

anche per altri inquinanti.

Quali sono i vantaggi? A differenza del campionamento attivo, questo metodo non richiede

alimentazione; si tratta poi di usare uno strumento semplice e soprattutto a basso costo.

Per concludere, come possiamo limitare il benzene nell’aria? Sicuramente una soluzione utile è

l’utilizzo di “marmitte catalitiche”, che riducono notevolmente la quantità di benzene nei gas di

scarico rispetto alla marmitta normale. Poi, la riformulazione delle benzine con un contenuto di

benzene <1% ; la riduzione delle inalazione durante il rifornimento di benzina e infine il rafforzamento

nella popolazione generale di una campagna antifumo.

MONITORAGGIO BIOLOGICO

Ricordiamo che il monitoraggio biologico è la misura delle sostanze tossiche nei liquidi biologici, in

genere nel sangue e nelle urine. Quali sono le vie di penetrazione del tossico? La via inalatoria

(attraverso polveri, fumi, vapori), che è la via principale; la via cutanea (cromo, cobalto); per

ingestione. Una volta penetrata nell’organismo la sostanza può rimanere inalterata (metalli) o essere

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metabolizzata in parte o totalmente nel fegato (solventi): in quest’ultimo caso si cercano i

“metaboliti” per fare un buon monitoraggio biologico.

I test usati per il monitoraggio biologico sono di 2 tipi:

- gli indicatori di dose, che costituiscono il dosaggio dei tossici realmente assorbita,

indipendentemente dalla via di penetrazione. Essi costituiscono in pratica gli indici di esposizione;

- gli indicatori d’effetto, che rappresentano le modificazioni biochimiche precoci dei vari organi e

apparati che conseguono all’esposizione.

I materiali biologici che si possono utilizzare sono: il sangue (intero o il plasma o il siero ), le urine e

raramente i capelli, le unghie e la saliva.

I test biologici sono validi solo quando si conosce con esattezza il metabolismo della sostanza in

esame: l’assorbimento, la distribuzione, la biotrasformazione, le vie d’eliminazione e l’emivita.

Di conseguenza, se io mi trovo di fronte a tossici a lento turnover posso fare la determinazione a fine

settimana lavorativa; se, al contrario, sono tossici a rapido turnover, la determinazione viene fatta a

fine turno. Tra quelli eliminati rapidamente abbiamo il benzene, il fenolo, il cromo… Tra quelli a lento

turnover, il mercurio. Ci sono poi alcune sostanze che si accumulano nell’organismo negli anni e il

prelievo può essere fatto in qualsiasi momento: piombo e cadmio.

Anche qui, come per il monitoraggio ambientale abbiamo dei valori di riferimento e sono detti “indici

biologici di riferimento”, che sono dei valori di concentrazione al di sotto dei quali si ritiene che la

maggior parte dei lavoratori esposti non subisce effetti negativi sulla salute. Vediamo ora degli esempi

sul monitoraggio ambientale.

Consideriamo un metallo, il cadmio.

Anche qui troviamo un’esposizione occupazionale (batterie, vernici, plastiche) e una extra-

occupazionale (fumo di sigaretta). In natura lo si trova insieme allo zinco. Penetra nell’organismo

soprattutto attraverso le vie respiratorie. È una sostanza che si distribuisce a fegato e rene; non

subisce una biotrasformazione perché è un metallo e viene eliminato con le urine e con le feci; ha

un’emivita di 1-3 mesi nel sangue e di 10-30 mesi nell’organismo.

La sua presenza può provocare nel soggetto nausea, vomito, diarrea, crampi muscolari, rinorrea,

dispnea ecc. Possiamo misurare il cadmio urinario o quello ematico. In entrambi i casi si misura con lo

spettrofotometro ad assorbimento atomico con fornetto di grafite.

Parliamo ora del piombo.

C’è sia un’esposizione occupazionale che extra-occupazionale; viene introdotto soprattutto per via

respiratoria. Si distribuisce nel plasma e nei fluidi extra-cellulari, nei tessuti e nelle sclere.

Dal momento che nel sangue più del 95% del piombo è contenuto nelle emazie, nel monitoraggio

abbiamo bisogno di sangue intero, trattato con anti-coagulante (domanda d’esame).

Non subisce biotrasformazione; viene eliminato con urine e feci. La tossicità può essere acuta, in caso

di incidenti oppure cronica, andando a delineare il quadro di “saturnismo” , malattia professionale

che colpisce l’apparato gastro-intestinale, il SNC, i reni, i muscoli.

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La caratteristica del Pb è quella di legarsi ai gruppi sulfidrilici di alcuni enzimi, in particolare ALA-

deidrasi e la ferro-chelatasi, alterando cosi la sintesi dell’emoglobina. Nelle urine avremo quindi

Acido-delta amino levulinico, che sarà quindi l’indicatore d’effetto, oppure accumuli di uro o copro

porfirine a seconda della tappa enzimatica colpita. L’organo critico è quindi l’apparato emopoeitico.

Riprendiamo ora il benzene.

Se consideriamo il suo metabolismo, è vero che lo possiamo trovare tal quale ma si può anche

trasformare in benzene epossido, a sua volta trasformato in metaboliti fenolici o in acido fenil-

mercapturico o ancora in acido trans,trans-muconico. Questi 2 ultimi metaboliti si dosano con metodi

cromatografici in fase liquida.

La sua emivita è di 9 ore. Gli effetti sulla salute li abbiamo visti precedentemente e consistono in

un’intossicazione acuta o cronica.

Per quanto riguarda il toluene andiamo a ricercare, invece, l’acido ippurico, ortogresolo e acido

benzoico.

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ARGOMENTO 4

INFORTUNIO E MALATTIA PORFESSIONALE E RELATIVA COMPILAZIONE DELLA MODULISTICA DI DENUNCIA

DEFINIZIONI

Infortunio: evento violento che si verifica per causa e in occasione di lavoro in un tempo ristretto e

può determinare un’inabilità temporanea o permanente fino alla morte.

Es: il medico che si punge con un ago in ospedale ha un infortunio, se si punge a casa no; se un

soggetto va a trovare un parente in ospedale e qui scivola non è un infortunio perché non sussistono

le 3 condizioni: “per causa” e “durante l’attività lavorativa” in un “tempo ristretto”

NOTA: il criterio temporale fa la differenza con la malattia professionale.

Quando si parla di medicina del lavoro il termine esatto è infortunio, non incidente.

Malattia professionale: evento che si verifica per causa ed in occasione del lavoro ma in un tempo

diluito.

Esempio: un’ipoacusia da lavoro o un intossicazione da piombo o un’asbestosi non sono immediate

ma necessitano di una esposizione nel tempo, sono graduali.

LA DENUNCIA DI INFORTUNIO E IL PRIMO CERTIFICATO MEDICO

La legge prevede che in caso di infortunio sul lavoro con prognosi superiore a 3 giorni, occorso ad un

lavoratore, il datore di lavoro è obbligato ad effettuarne denuncia entro due giorni dal momento in

cui riceve il certificato.

In tale circostanza, la valutazione se un evento possa considerarsi o meno infortunio sul lavoro non

spetta al datore di lavoro. Egli si limita a ricevere il certificato e constatare che di infortunio si tratta

perché così ha dichiarato il lavoratore e trascritto il medico.

L'obbligo di denuncia scatta dunque nei casi in cui il certificato medico prescriva una prognosi

superiore a 3 giorni, mentre nessuna comunicazione va effettuata per convalescenze di uno, due o tre

giorni.

In alcuni casi il primo certificato medico è seguito da un secondo che si limita a prolungare il periodo

di convalescenza del lavoratore. In tali circostanze è necessario fare attenzione alla somma dei giorni

di prognosi prescritti dai due certificati.

Assumiamo che il certificato di infortunio indichi 3 giorni di prognosi. Ebbene se al 4° giorno il

lavoratore torna al lavoro, il datore di lavoro non deve fare alcuna denuncia, salvo l'obbligo di

annotare l'evento nel libro infortuni. Se però il lavoratore, invece di rientrare al lavoro, invia in

azienda un ulteriore certificato medico con la prescrizione di altri giorni di riposo, la prognosi totale

diventa superiore a 3 giorni ed il datore deve effettuare la denuncia entro due giorni dalla ricezione

del secondo certificato.

In tutti i casi in cui sia necessario il lavoratore infortunato deve essere inviato al Pronto Soccorso che

rilascia il primo certificato medico.

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A chi deve essere inviata la denuncia

La denuncia deve essere inoltrata entro i termini sopra indicati ad entrambi i seguenti enti:

A. sede INAIL territorialmente competente in relazione alla residenza o al domicilio del lavoratore

(dunque non ha rilevanza la sede dell'impresa o il luogo in cui è avvenuto l'infortunio);

B. autorità di pubblica sicurezza territorialmente competente in relazione al comune in cui è

avvenuto l'infortunio.

Riguardo a tale ultimo aspetto, per autorità di pubblica sicurezza si intende

A. la Questura, nel caso in cui l'infortunio avvenga in un comune che fa anche da capoluogo di

provincia;

B. il Sindaco del comune in cui è avvenuto l'infortunio, nel caso in cui il comune non sia capoluogo di

provincia.

In che modo può essere inviata la denuncia

In linea generale, l'obbligo può essere adempiuto:

A. con la consegna brevi manu della denuncia direttamente presso gli sportelli degli enti competenti;

B. con l'invio, mediante lettera raccomandata, all'indirizzo degli enti competenti.

Nel primo caso, la denuncia deve essere consegnata agli sportelli entro il termine di scadenza; in caso

di utilizzo del mezzo postale, la raccomandata deve essere inviata entro il termine di scadenza.

Quali dati deve contenere la denuncia

La denuncia di infortunio deve contenere i dati anagrafici di azienda e lavoratore, adeguate

informazioni su tipologia di lavoro effettuata, luogo, data, ora, dinamica e conseguenze

dell'infortunio, nonché i dati completi sulla retribuzione e sulle ore lavorate dall'infortunato nei

quindici giorni precedenti l'evento (nel mese precedente in caso l'infortunio sia occorso a lavoratori

con qualifica impiegatizia).

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ARGOMENTO 5

ANAMNESI LAVORATIVA ED EVENTUALI RISCHI AD ESSA CONNESSI

Quando raccogliete l’anamnesi ricordatevi sempre di chiedere ai pazienti che lavoro fanno: bisogna

fare sempre l’anamnesi lavorativa! Ovvero la raccolta di dati relativa all’attività lavorativa del

soggetto; nell’anamnesi lavorativa è importante:

o valutare tutte le attività svolte dal paziente in quanto esistono patologie dovute ad

esposizione pregressa in età infantile, che poi si manifestano in tarda età;

o conoscere le noxe lavorative: oggigiorno i casi di silicosi sono pochi e si hanno per lo più nei

soggetti anziani in quanto con l’uso dell’acqua nei cantieri si è risolto il problema della polvere,

le nuove patologie che invece riscontriamo sono patologie da movimenti ripetitivi, come chi

lavora in catene di montaggio, chi lavora con il mouse, al videoterminale;

o chiedere non solo il tipo di lavoro svolto ma anche la modalità, da quanto tempo e per quanto

tempo viene svolto; esempio: ad un calzolaio potrebbe essere plausibilmente riconosciuta una

malattia lavoro correlata per i movimenti ripetitivi a cui è sottoposto, ma se ripara solo due

paia di scarpe alla settimana (caso successo alla prof) queste non concretizzano un rischio

lavorativo.

È quindi importante cercare di capire se in ogni caso specifico c’è quella che viene definita

congruità di rischio: c’è la malattia ma c’è stata la causa lavorativa che l’ha determinata? C’è il

nesso di causa (anello di congiunzione tra causa ed effetto)?

Se ho una ipoacusia da rumore (ha la caratteristica di una curva a cucchiaio e coinvolge

entrambe le orecchie) c’è un’attività lavorativa che ti espone a rischio o no? Se non c’è non si

tratta di una malattia professionale, ma di malattia extra-lavorativa.

NB: le malattie professionali (ovvero contratte durante e per cause dell’attività lavorativa)

sono identiche alle malattie non da lavoro; per esempio un asma allergico alla farina è una

malattia lavoro-correlata, ma i sintomi e la positività al prick test sono uguali a quelli di un

bambino che ha un asma allergico a farina e cereali; quindi le malattie professionali e lavoro-

correlate da un punto di vista clinico e patogenetico sono le stesse di quelle non professionali,

è l’etiologia che è diversa.

Altro esempio è il tumore del polmone, che clinicamente è sempre lo stesso ma cambia

nell’etiologia: sia un soggetto che ha avuto un asbestosi che un forte fumatore possono

andare incontro a tale neoplasia. Quindi la chiave principale è il nesso causa-effetto, non la

patologia che è clinicamente la stessa sia che abbia una causa lavorativa che non; la diagnosi

differenziale non è clinica ma è data solo dall’anamnesi lavorativa: quando c’è una causa

lavorativa prevalente e dimostrabile non può essere esclusa e quindi nel dubbio si va a favore

del lavoratore (come dicevano i latini dubbio pro reo, anzi meglio pro misero).

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ARGOMENTO 6

PATOLOGIE DA AGENTI FISICI: RUMORE

Il rumore è uno dei rischi più importanti in medicina del lavoro. Fino a pochi anni fa determinava il

maggior numero di patologie lavorative. Oggi è stata superata da altre patologie lavorative: es. traumi

della colonna, ecc.

Definizioni:

- suono: è la sensazione data dalla vibrazione di un corpo in oscillazione. Tale vibrazione, che si

propaga nell'aria o in un altro mezzo elastico (gas, liquido, solido) raggiunge l'orecchio che,

tramite un complesso meccanismo interno, è responsabile della creazione di una sensazione

"uditiva" direttamente correlata alla natura della vibrazione.

L’evento fisico alla base della sensazione acustica è una variazione dello stato di riposo delle molecole

del mezzo attraversato. Il periodico concentrarsi e allontanarsi delle molecole determina una

variazione della pressione che dà origine ad un fenomeno che viene percepito come sensazione

acustica dall’udito. Il suono è prodotto da una sorgente che è in grado di perturbare lo stato di riposo

delle molecole. Esse iniziano ad oscillare in avanti ed indietro trasferendo la loro energia alle particelle

vicine, determinando così la trasmissione del suono a distanza. Le modificazioni di pressione del

mezzo attraversato dall’onda acustica, rispetto al tempo, sono rappresentate graficamente da una

linea curva posta sopra e sotto una retta che identifica il teorico stato di riposo del mezzo stesso. Nel

caso più semplice l’oscillazione delle particelle ha un andamento sinusoidale (tono puro) che è

caratterizzato da: frequenza ed ampiezza delle oscillazioni.

La frequenza (No di cicli al secondo) viene misurata in Hz. Questo fenomeno determina la sensazione

acustica di tonalità. Si distinguono:

- tonalità gravi <500Hz

- tonalità medie tra 1.000 e 3.000 Hz

- tonalità acute >3.000 Hz

- ultrasuoni >15.000/20.000 Hz (non percepiti dall’orecchio umano).

L’intensità della sensazione acustica è viceversa determinata dall’ampiezza delle vibrazioni. Tanto

maggiore è l’ampiezza tanto maggiore è la sensazione acustica d’intensità.

Il suono puro è prodotto da sorgenti che emettono frequenze uniche (onde acustiche regolari e

periodiche) (toni puri). In realtà solo il diapason emette suoni puri. Per tutte le altre sorgenti abbiamo

una frequenza fondamentale e frequenze complementari a questa.

- Il rumore è invece prodotto da onde irregolari e non periodiche che generano una sensazione

sgradevole e fastidiosa dell'orecchio. È dunque una definizione soggettiva.

I parametri del Suono sono: Frequenza, intensità e spettro.

Lo spettro è la rappresentazione grafica dell’evento sonoro.

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La frequenza è il numero di cicli per secondo e si misura in Hz. La voce di conversazione è compresa

tra 500 e 1.500 Hz. La frequenza 4.000 ci interessa perché è quella che determina più frequentemente

ipoacusie da rumore.

C’è una spiegazione a ciò. Ricordando che la membrana basilare è tono-topica, la parte deputata alla

percezione dei suoni di 4.000 Hz è quella vascolarmente più fragile, quindi si danneggia per prima.

L’intensità è la potenza di un suono e si misura in decibel (dB), che è un’espressione logaritmica. OdB

non rappresenta assenza di evento sonoro, ma la minima potenza sonora percepibile da soggetti

normoacustici. Quindi ci sono soggetti che sentono anche -5/-10 dB. Questo perché tale misura è

stata fatta su un campione che ha una distribuzione gaussiana ( è la stessa cosa della pressione

arteriosa o della glicemia).

Ogni aumento/diminuzione di 3dB rappresenta il raddoppiamento/dimezzamento dell’intensità

sonora. Questo è dovuto al fatto che è una misura logaritmica. Quindi passare da 83 a 80 dB vuol dire

dimezzare il rischio sonoro (infatti 80dB+80dB=83dB). Inoltre sempre perché parliamo di misure

logaritmiche, se un lavoratore è esposto per 4 ore a 80 dB e per 4 ore a 90 dB, nelle 8 ore è

sottoposto a 88.8dB e non a 85!

Per renderci un po’ conto di questi numeri portiamo degli esempi:

- 40dB in un ambiente giudicato silenzioso

- 60/65 dB è l’intensità della voce che esce dalla bocca

- 110 dB è il martello pneumatico

- 120 dB è la soglia del dolore, cioè provoca fastidio

- 140 dB è la soglia al di sopra della quale potrebbero esserci reali problemi di danni acuti

all’orecchio: soglia estrema o di dolore fisico.

Danni provocati dal rumore

Si dividono in due grosse famiglie:

- Danni uditivi

- Danni extrauditivi

1.Danni uditivi

Circa i danni uditivi oramai conosciamo quasi tutto.

La sordità si instaura in 4 fasi:

1. Ridotta capacità uditiva temporanea dopo esposizione a rumore, sensazione di orecchie

ovattate

2. Apparentestato di benessere

3. Difficoltà alla percezione dei toni acuti

4. Difficoltà a percepire la conversazione

La fase 4 si instaura quando l’esposizione al rumore ha una durata tale da non consentire il recupero

uditivo e si parla pertanto di: ipoacusia da rumore

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Ogni soggetto appena finita l’esposizione di un suono sopra gli 80dB subisce un danno temporaneo,

con un temporaneo abbassamento di soglia (TTS). Il max della perdita uditiva si ha dopo 2 min dalla

cessazione dello stimolo.

I soggetti esposti sempre a rumore, la notte (cioè con l’orecchio a riposo) recuperano l’udito. Ma

questo solo all’inizio. Quando dopo 6/12 mesi il recupero non avviene più, significa che c’è stato un

danno. Adesso parliamo di abbassamento permanente di soglia (PTS)

Si và in contro ad un graduale deterioramento della capacità uditiva. Si arriva ad un certo punto (circa

dopo 10 anni) oltre il quale non si ha deterioramento. Attenzione questo se il soggetto è esposto alla

stessa intensità di rumore. Se aumento l’intensità del rumore, la PTS continua a diminuire.

Al cessare dell’esposizione cessa il danno da rumore. Quando non è possibile perdere l’udito quando il

soggetto non lavora (es. in pensione). Un lavoratore ha 4 anni di tempo per denunciare la perdita

uditiva per cause lavoratrice. Sennò non può più denunciare.

Per quantificare l’esposizione di un lavoratore al rumore si utilizza il livello equivalente cioè il livello,

espresso in dB, di un ipotetico rumore costante che, se sostituito al rumore reale per lo stesso

intervallo di tempo T, comporterebbe la stessa quantità totale di energia sonora

livello di esposizione giornaliera al rumore: valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli

di esposizione al rumore per una giornata lavorativa nominale di 8 ore, definito dalla norma

internazionale ISO 1999:1990 punto 3.6. Si riferisce a tutti i rumori sul lavoro, incluso il rumore

impulsivo.

Accanto al livello sonoro continuo equivalente viene infine utilizzato un secondo parametro,

comunemente noto come livello di picco.

Tale livello è definito come:PRESSIONE ACUSTICA DI PICCO (Ppeak): valore massimo della pressione

sonora acustica istantanea ponderata in frequenza C. E’ molto importante nella valutazione del

rumore impulsivo.

È noto infatti che a parità di contenuto energetico medio, un rumore che presenta caratteristiche di

impulsività costituisce un fattore di rischio aggiuntivo per la salute di cui bisognerebbe tenere conto

nella valutazione del rischio.

Il D.Lgs. 81/08 ha posto questi valori limite:

- Valori limite di esposizione LEX,8h = 87 dB

- Valori superiori di esposizione che fanno scattare l’azione LEX,8h = 85 dB

- Valori inferiori di esposizione che fanno scattare l’azione LEX,8h = 80 dB

1. se non vi è il superamento del valore inferiore di azione (LEX8h< 80 dB) il datore di lavoro ha

solo l’obbligo della valutazione del rischio

2. se vi è il superamento del valore inferiore di azione LEX8h> 80 dB il datore di lavoro ha

l’obbligo di:

� Misurare dei livelli di esposizione

� Informazione e formazione

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� Sorveglianza sanitaria a chi ne fa richiesta o qualora il M. C. ne conferma

l’opportunità

� Messa a disposizione dei D.P.I. (Dispositivi di Protezione Individuali)

3. se vi è il superamento del valore superiore di azione LEX8h> 85 dB il datore di lavoro ha

l’obbligo di:

� Sorveglianza sanitaria

� Elabora ed applica un programma di misure tecniche ed organizzative volte a

ridurre l’esposizione al rumore

� Fa tutto il possibile per assicurare che vengano indossati i D.P.I.

� Perimetra / limita l’accesso e munisce di adeguata segnaletica

4. se vi è il superamento del valore limite di esposizione LEX8h> 87 dB il datore di lavoro ha

l’obbligo di mettere in atto delle azioni immediate:

� riduzionedell’esposizione

� individuazione cause

� modifiche misure preventive e protettive

La normativa prevede che il datore di lavoro, nell’ambito del processo di valutazione, deve prendere in

considerazione, per quanto possibile a livello tecnico, tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei

lavoratori derivanti da interazioni fra rumore e sostanze ototossiche e fra rumore e vibrazioni. infatti

l’esposizione a solventi addizionata all’esposizione a rumore:Aumenta il rischio di perdita dell’udito ed

ha un possibile effetto addizionale (riduttivo) sulla capacità di comprensione del parlato.

Sostanze ototossiche

D.P.I.(dispositivi di protezione individuale)

- inserti (ovatte e filtri da introdurre nel condotto uditivo)

- cuffie (adatte a esposizioni prolungate, più efficaci degli inserti, permettono l’ascolto della

voce di conversazione)

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- caschi (indicati per attività particolarmente rumorose, ingombranti, non permettono l’ascolto

della voce di conversazione)

tali dispositivi devono:

- Conferire protezione adeguata max 80 dB(A) e min 65 db(A)

- Essere Adeguati alle condizioni di lavoro

- Rispondere alle esigenze ergonomiche o di salute (vanno scelti previa consultazione dei

lavoratori o dei loro rappresentanti)

- Obbligo di addestramentoall’uso

- Inoltre il D.L. deve verificarne l’efficacia, Verificando che non si siano determinati

peggioramenti nella funzionalità uditiva dei lavoratori del gruppo omogeneo; nel caso

affrontare il problema con il M.C.

metodo SNR. Utilizzando il metodo SNR si sottrae il valore relativo alla “riduzione semplificata del

livello di rumore (SNR)” dichiarato dal produttore del DPI dalla misura del livello di pressione acustica

ponderata C rilevato sul luogo di lavoro (LCeq): L’Aeq = LCeq - SNR

ES. LCeq = 105 dB; SNR = 30 dB(A)

L’Aeq = LCeq – SNR L’Aeq = 105 – 30 = 75 dB(A).

Importante: per essere pienmente efficace, il dispositivo antirumore deve essere usato con continuità

per tutta la durata dell’esposizione al rumore

ES. Ambiente con rumore stazionario LCeq = 105 dB

Protettore auricolare con attenuazione (SNR) = 30 dB

• Se il protettore auricolare è indossato per 8 h, il livello effettivo all’orecchio è : L’Aeq,8h = 105 –

30 = 75 dB

• Se il protettore auricolare è indossato per 7 h e 30 min, il livello effettivo all’orecchio è:L’Aeq,8h

= 105 – 12 = 93 dB

Caratteristiche del danno da rumore

1. ipoacusia percettiva: cioè il danno è alla coclea (organo di percezione)

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2. è incentrata all’inizio sui 4.000 Hz. Quindi all’inizio il soggetto ha dei danni e non se ne

accorge (la nostra voce si aggira su frequenze comorese tra 500 e 2.000 Hz). Ad esempio il

paziente riferisce di sentierci bene, ma se si trova in una stanza dova parlano più persone non

capisce bene cosa dicono. Una cosa caratteristica è che non sentono il ticchettio dell’orologio.

3. è bilaterale: L’energia sonora infatti si allarga a ventaglio con una diffusine ubiquitaria. L’unica

eccezione è quella del cacciatore dove la distanza della sorgente è troppo piccola perché ciò

possa avvenire.

4. è simmetrica

Diagnosi

Anamnesi: è fondamentale l’anamnesi lavorativa. La legislazione italiana prevede che l’anamnesi

lavorativa sia fatta in maniera scientifica, cioè si dovrebbe conoscere esattamente il livello di

esposizione giornaliera al rumore. Inoltre il medico deve indagare se il soggetto sia stato esposto a

sostanze ototossiche (antibiotici, solventi, ecc.)

Capita che la parotite abbia dato un danno subclinico, poi il pz và a lavorare in ambienti rumorosi e

sviluppa ipoacusia. Si è portati a pensati che tutto il danno l’abbia dato i rumore, invece così non è.

Esami strumentali: audiometria, impedenziometria (esame semi-oggettivo) ; potenziali evocati uditivi

(esame oggettivo).

Alla fine si può arrivare alla TC e all’RM.

2.Danni extrauditivi

A differenza di quelli uditivi, su questi non si ha certezza assoluta, cioè gli studi sono spesso

contraddittori.

Tra i danni che alcuni autori mettono in evidenza ricordiamo:

- Aumento pressione arteriosa

- Aumento frequenza cardiaca

- Disturbi neurovegetativi: ad es. insonnia

- Disturbi genitali: negli uomini diminuzione di spermatozoi, nelle donne dismenorrea

- Disturbi psichici: studi inglesi hanno messo in evidenza come tra i ricoverati di ospedali

psichiatrici c’erano statisticamente più pazienti che abitavano in zone ad alto rumore (vicino

agli aeroporti, agli svincoli, ecc). Questi studi non sono stati né smentiti né confermati.

Il fonometro

Il fonometro è uno strumento elettronico che reagisce al suono in maniera simile a quella

dell'orecchio umano traducendo la pressione sonora percepita in un segnale elettrico. Quindi è un

misuratore del livello di pressione acustica.Il fonometro è essenzialmente costituito da microfono,

preamplificatore, filtri, amplificatore, rettificatore RMS, compressore logaritmico ed indicatore

digitale (o analogico).

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In funzione della precisione, le Norme

Internazionali (IEC, ANSI, BS, DIN) hanno

fissato tre diverse classi:

Classe 1: precisione

Classe 2: industriale

Classe 3: sorveglianza

Secondo le Norme IEC651, la lettura delle

misure di un fonometro deve avere una

precisione entro 0,7dB per la classe 1, 1dB

per la classe 2 e 1,5dB per la classe 3.

I fonometri più semplici danno la misura del livello istantaneo del rumore; ci sono strumenti più

complessi che elaborano questa misura per dare:

� livello equivalente (Leq), ossia l'integrale del rumore nel tempo: praticamente un valor medio

(si parla di fonometri integratori)

� analisi del rumore alle varie frequenze (analizzatori in bande di ottava e 1/3 ottava)

� analisi statistica

� analisi di evento

� analisi architettoniche: tempo di riverbero RT60 e perdita di trasmissione attraverso parete

Gli strumenti più moderni, specialmente di classe 1, possono comprendere diverse o tutte le varie

funzioni. Ma: perché tanti tipi di strumenti se il valore da misurare è sempre un livello di rumore? La

risposta apparirà evidente più avanti. Va detto subito però che il livello in dB non definisce

completamente un rumore. Altri parametri possono essere utili per dare un giudizio sulla tollerabilità

di un rumore.

Esempio tipico: il gesso che stride sulla lavagna; in questo caso è importante associare al modesto

livello del rumore un dato importante: la frequenza del rumore, responsabile del senso di fastidio

provocato dal fenomeno. Ci sono poi casi in cui è importante non il livello istantaneo di rumore, ma il

valore mediato nel tempo (livello equivalente), quando per esempio il livello di rumore è molto

variabile: si ha così il fonometro integratore.

Sono inoltre disponibili fonometri che elaborano le misure, le accumulano, le memorizzano; con i

fonometri a microprocessori (DSP, che sta per Digital Sound Processing), oltre alle solite funzioni, si

possono fare analisi statistiche, analisi ambientali protratte per parecchi giorni senza interruzione,

esame di eventi particolari (es.: passaggio di un aereo, di un treno,...) con interfacciamento a

computer e stampanti.

Recentemente sono entrati sul mercati gli analizzatori di rumore in tempo reale portatili, che, nel

formato di un normale fonometro, possono dare prestazioni multiple e svolgere compiti diversi in

parallelo, memorizzando i dati internamente e rendendo così molto agile e veloce il compito del

professionista.

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ARGOMENTO 7

PATOLOGIE DA AGENTI FISICI: RADIAZIONI IONIZZANTI

Le radiazioni ionizzanti sono radiazioni capaci di provocare il fenomeno della ionizzazione. Hanno cioè

un’energia sufficiente ad espellere un elettrone (pari all’energia di legame) quando colpisce un atomo

o una molecola.

Le radiazioni ionizzanti possono essere di tipo:

- Corpuscolate: raggi α (elettroni accelerati), neutroni, protoni, raggi β (nuclei di elio – 2 protoni e 2

neuroni)

- Elettromagnetiche: raggi X e raggi γ

In generale le radiazioni le possiamo definire come un mezzo con cui l’energia si propaga nello spazio.

Questa propagazione d’energia può essere con trasferimento di massa (corpuscolate) o senza

trasferimento di massa (elettromagnetiche).

Volendo esprimere ciò in altri termini, diciamo che le radiazioni corpuscolate hanno una natura fisica

(siamo nella fisica sub-atomica). Esse hanno un maggiore potere ionizzante ma un minor potere di

penetrazione (i raggi α vengono arrestate da un foglio di carta, le β da un foglio di alluminio di 3mm).

Le radiazioni elettromagnetiche hanno invece una natura energetica e sono molto più penetranti

quindi più pericolose (per arrestare i raggi γ ci vuole uno schermo di piombo spesso 10cm).

Le attività lavorative in cui si usano le radiazioni ionizzanti sono in costante aumento:

� Applicazioni mediche: diagnostica e cura con raggi X, radioisotopi, RMN, radio e

cobaltoterapia

� Attività di ricerca: radionuclidi e raggi X

� Estrazione e manipolazione di: radio, uranio, ferro ed altri minerali che contengono sostanze

radioattive come contaminanti

� Centrali nucleari

� Applicazione industriale:

- Gammagrafia per controllo di materiale

- Fabbricazione di vernici fosforescenti e loro uso

- Produzione di radioelementi.

L’esistenza di un rischio concreto nell’uso delle radiazioni ionizzanti è da tempo suffragata da

osservazioni estemporanee, retrospettive e sperimentali. Nessun rischio è accettabile di per sé, ma

può divenirlo nella prospettiva del beneficio che si ricava dall’uso di tecnologie che ad esso

espongono.

Le radiazioni ionizzanti possono infatti agire negativamente sulla salute dell’uomo determinando:

A) Effetti deterministici: effetti che si manifestano con certezza nei soggetti esposti, quando viene

superata una dose soglia. Es. Radiodermiti, la cataratta, la s. acuta da pan-irradiazione. La loro

gravità è proporzionale alla dose ricevuta (es. eritema, epidermide secca, epidermide essudativa,

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ulcerazione, necrosi), ma anche all’intensità, alla concentrazione temporale e alla radiosensibilità

del substrato. A livello cellulare si ha un’alterazione delle strutture di membrana e degli organelli.

Gli apparati più sensibili sono: midollo osseo, cute, app. digerente, ma anche cristallino, toroide,

sinapsi del SNA, gonadi.

Clinicamente possiamo avere:

• Sindrome ematopoietica: dose minore di 500 Rad. Inizialmente si ha una manifestazione generale

con anoressia, nausea e vomito, a rapida remissione. Alla sintomatologia fa seguito un danno soltanto

a carico del midollo emopoietico, che è l’organo più sensibile, consistente nell’arresto dell’emopoiesi.

Questo si rende manifesto dopo una latenza di 1-3 settimane, con leucopenia, anemia e

piastrinopenia, con le relative complicazioni. L’exitus è nel 50% dei casi.

• Sindrome gastro-entero-emorragica: dose maggiore di 500 Rad. Si manifesta con anoressia, nausea

e vomito e diarrea transitoria, a rapida remissione. Alla sintomatologia fa seguito un danno della

mucosa gastro-enterica, radiosensibile, che va in necrosi. Il danno si manifesta dopo una latenza di 3-

7 giorni con vomito, diarrea, dissenteria, emorragie alimentari, e gravi turbe elettrolitiche che portano

al collasso cardiocircolatorio e all’exitus. Se si sopravvive, si manifesta in seguito la sindrome

ematopoietica.

• Sindrome neurologica: dose maggiore di 2000 Rad. Nausea, vomito esplosivo, diarrea, sonnolenza e

atassia, con prostrazione profonda, compiono immediatamente. C’è un lieve miglioramento della

sintomatologia nelle successive 24 ore, entro le quali però compare una gravissima sindrome da

liberazione delle catecolamine del sistema nervoso autonomo dai depositi, con ipotensione e shock

refrattari alla terapia. L’exitus è la regola.

• Sindrome neurologica immediata: dose maggiore a 5000 Rad: convulsioni ed exitus entro 24 ore

per arresto respiratorio. A dosi maggiori, fino a 20000 Rad, c’è morte immediata per paralisi bulbare.

B) Effetti stocastici: effetti che si manifestano con una certa probabilità in una frazione dei soggetti

esposti con incidenza casuale del tutto o nulla. Attenzione che qua gli effetti dannosi possono

essere indotti anche da modeste radiazioni ionizzanti. Solo la probabilità e non la gravità è

proporzionale alla dose.

Le alterazioni sono a livello del DNA con danni genetici che si manifestano con effetti tardivi

comparsa di tumori solidi o leucemie (soprattutto tiroide, mammella, cute, polmone, ossa, fegato

e milza).

Inoltre alterazioni genetiche e cromosomiche indotte sulle gonadi irradiate possono trasmettersi

alla prole, con un incremento di aborti spontanei, mortalità neonatale e malattie e malformazioni

congenite di tutti i tipi.

C) Danno all’embrione-feto: la radiosensibilità varia a seconda dello stadio di sviluppo (prima

dell’impianto, nel periodo dell’organogenesi, nella fase fetale). Il ritardo principale è il ritardo

mentale.

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Modalità d’irradiazione: irraggiamento esterno (RX,TC,..) e irraggiamento interno (med. nucleare).

I fattori che agiscono sul livello di esposizione esterna sono:

- Distanza

- Tempo

- Schermatura

- collimazione.

Radioprotezione

La radioprotezione si rivolge specificamente alla limitazione della probabilità di accadimento degli

effetti stocastici essendo di per sé ovvio che gli effetti deterministici possono essere del tutto

prevenuti attraverso l’attenzione posta al non superamento della dose-soglia caratteristica di

ciascuno di essi.

L’accettazione dell’ipostesi di assenza di un dose-soglia per gli effetti stocastici conduce di per sé a

tale considerazione: nella realtà concreta si potrà solo perseguire un grado di prevenzione parziale, il

più elevato compatibilmente col raggiungimento degli scopi per i quali sono impiegate le sostanze

radioattive.

I principi generali della radioprotezione sono:

- Principio di giustificazione: la giustificazione ha alla base il principio che “nessuna attività umana

deve essere accolta a meno che la sua introduzione produca un beneficio netto e dimostrabile”.

Nel contempo è importante valutare se i risultati sperati non siano conseguibili con prestazioni

alternative non comportanti l’uso di radiazioni ionizzanti.

- Principio di ottimizzazione: ha alla sua base il principio ALARA (As Low As Reasonably Achievable)

che “ogni esposizione alle radiazioni deve essere tenuta tanto bassa quanto ragionevolmente

ottenibile”.

- Principio di limitazioni delle dosi: sono fissati limiti di dose per i lavoratori e la popolazione, che

non devono essere superati nell'esercizio di attività con radiazioni ionizzanti. Tale principio non si

applica alle esposizioni mediche.

La radioprotezione degli operatori sanitari e della popolazione è disciplinata dai D.L.vi 230/95 e

241/00 e si basa su 3 strumenti operatici:

- La sorveglianza fisica

- La sorveglianza medica

- La vigilanza

1.La sorveglianza fisica è affidata all’esperto qualificato, laureato in fisica, ingegneria o chimica e

dotato di apposita idoneità. Compete all’esperto qualificato: misurare le dosi e le contaminazioni negli

ambienti di lavoro, valutare le dosi assorbite dai lavoratori e la classificazione delle zone lavorative in:

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- Zone ad accesso libero

- Zone interdette: cioè inaccessibili in condizioni ordinarie in quanto zone controllate o sorvegliate.

Zona controllata: ogni luogo in cui esista una sorgente di radiazioni ionizzanti e nella quale persone

professionalmente esposte possano ricevere sul corpo intero dosi di radiazioni >6mSv/anno. Es. sale

di rontgen-diagnostica e di radioterapia con acceleratore lineare nei momenti nei quali l’emissione di

radiazioni è operante; le sale di telecobaltoterapia, la camera calda dove vengono manipolati

radioisotopi, le sale di degenza dove sono presenti pz sottoposti a radioisotopo-terapia, ecc.

Zona sorvegliata: <6 mSv/anno.

I lavoratori sono suddivisi in 3 categorie:

- Esposti per motivi professionali di categoria A: specialisti radiologi, medici nucleari, tecnici di

radiologia, ecc. La dose efficace potenziale è >6 mSv/anno

- Esposti per motivi professionali di categoria B: personale sanitario che si trovi occasionalmente in

zona controllata; specialisti esposti nel contesto di attività complementari. La dose efficace

potenziale è tra 1 e 6 mSv/anno

- Popolazione residua: la dose efficace potenziale è < 1mSv/anno

Per gli individui esposti professionalmente, la dose efficace massima ammissibile per irradiazione

sull’intero corpo è di 20mSv/anno; la dose equivalente massima ammissibile è di 150mSv/anno

per il cristallino, 500mSv/anno per la cute e le estremità.

Per la popolazione (individui NON esposti professionalmente) la dose efficace massima

ammissibile per irradiazione sull’intero corpo è di 1mSv/anno; la dose equivalente massima

ammissibile è di 15mSv/anno per il cristallino, 50mSv/anno per la cute e le estremità.

2.La sorveglianza medica è basata su visite mediche preventive e periodiche, accertamenti

laboratoristici e strumentali, visite specialistiche, giudizio di idoneità. Ha lo scopo di valutare lo stato

generale di salute.

È affidata al medico autorizzato per i lavoratori di categoria A e sia al medico autorizzato, sia al

medico competente per i lavoratori di categoria B.

Il medico autorizzato, rispetto al medico competente, ha in più una specifica idoneità nazionale che gli

conferisce tale qualifica.

Il sistema sorveglianza fisica + sorveglianza medica se applicato con dovuto rigore, si è dimostrato

molto efficiente ed assolutamente corrispondente alle esigenze di una razionale radioprotezione.

Mentre la sorveglianza fisica è un vero e proprio strumento di prevenzione primaria, la sorveglianza

medica è uno strumento di prevenzione secondaria del rischio oncologico ed è indirizzata in modo

individuale e specifico al singolo lavoratore.

3.La vigilanza è l’insieme delle azioni, valutazioni, interventi, controlli attraverso i quali lo Stato

garantisce al lavoratore professionalmente esposto e alla popolazione il rispetto dei loro interessi

sanitari.

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Le aziende sanitarie ed ospedaliere hanno l’obbligo di emettere norme interne di protezione e

sicurezza relative alle radiazioni ionizzanti che recepiscono i contenuti dei D.Lvi. tali norme sono

rivolte ai dirigenti, agli operatori, al controllo degli impianti di radiodiagnostica, alle apparecchiature

radiologiche mobili, ecc..

Ogni attività propria dei lavoratori esposti è proibita ai minori di 18aa.

Le lavoratrici esposte sono obbligate a notificare il proprio eventuale stato di gravidanza.

Chiunque operi in zone controllate è tenuto ad utilizzare, durante il periodo d’irraggiamento, i mezzi

di protezione ambientali ed individuali di colta in volta necessari (grembiule e guanti di piombo,

collare protettivo per la tiroide, occhiali anti-X).

La valutazione della dose assorbita nell’intero arco dell’attività lavorativa mensile è determinata con

l’uso di opportuni strumenti di rilevazione (dosimetri personali). Il più comune è costituito da cristalli

termoluminescenti posti all’interno di un contenitore di materiale plastico. I cristalli intrappolano

l’energia della radiazione ionizzante e la rilasciano sotto forma di luce quando vengono sottoposti ad

impulso termico.

Il dosimetro per il corpo intero verrà posizionato in pratica sul taschino del camice; il dosimetro ad

anello o a bracciale verrà portato sull’arto più esposto. Durante l’uso dei grembiuli piombiferi il

dosimetro personale verrà posto al di sotto dell’indumento protettivo.

- La dose assorbita, misura la quantità di energia che la radiazione cede alla materia.

L’unità di misura è il gray (Gy) che equivale all’assorbimento di 1 joule (J) di energia per kg di materia.

- La dose equivalente tiene conto anche del tipo di radiazione: dose equivalente = dose assorbita x

EBR (fattore di peso della radiazione)

- La dose efficace tiene conto anche dei tessuti che sono stati investiti dalla radiazione ed è definita

come la sommatoria su tutti gli organi della dose equivalente relativa al singolo organo per il suo

fattore di ponderazione tissutale.

.

La dose efficace è utilizzata per descrivere molto sinteticamente gli effetti delle radiazioni ionizzanti

sugli individui e sulla popolazione. Si misura in sievert, Sv.

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ARGOMENTO8

PATOLOGIE DA AGENTI FISICI: VIBRAZIONI

Le vibrazioni fisicamente hanno le stesse caratteristiche del rumore.

Le vibrazioni meccaniche possono essere definite come un movimento oscillatorio di un corpo solido

intorno ad un punto o posizione di riferimento. Per la semplicità d’uso e l’efficacia dei sensori

disponibili per la misura, l’accelerazione è il fenomeno fisico che viene normalmente utilizzato per

caratterizzare le vibrazioni, e viene espressa in m/s2.

Il potenziale lesivo degli strumenti vibranti è correlato quasi esclusivamente alla frequenza ed

all’accelerazione. Quanto più è elevata la frequenza tanto meno l’effetto lesivo si propaga dal punto

di contatto

In questo capitolo abbiamo 2 grosse famiglie:

1. Vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio

2. Vibrazioni trasmesse al corpo intero:

� Possono provenire dai piedi (vibrazioni dal suolo)

� Possono provenire dal fondo schiena (autisti)

Le statistiche ci dicono che circa il 26% (poco più di un quarto) dei lavoratori è esposto a vibrazioni

meccaniche.

• Vibrazioni inferiori a 2 Hz: agiscono su tutto l’organismo. Sono provocate da alcuni mezzi di

trasporto e determinano nell’uomo effetti noti come “mal di mare”, “mal d’auto”, ecc (stimolazione

vestibolare).

• Vibrazioni comprese fra 2 e 20 Hz: agiscono su tutto l’organismo e sono prodotte dagli autoveicoli,

dai treni, dai trattori, dalle gru, ecc. e sono trasmesse all’uomo attraverso i sedili e il pavimento e

determinano nell’uomo alterazioni degenerative a carico della colonna vertebrale

• Vibrazioni superiori a 20 Hz: prodotte principalmente da utensili portatili e trasmesse agli arti

superiori. Agiscono: su settori limitati del corpo e sono prodotte da trapani elettrici, motoseghe, ecc e

determinano sull’uomo lesioni osteoarticolari a carico dell’arto superiore e disturbi neuro-vascolari

(angioneurosi) a carico dell’arto superiore.

Vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio (HAV)

le vibrazioni meccaniche che, se trasmesse al sistema mano-braccio nell'uomo, comportano un rischio

per la salute e la sicurezza dei lavoratori, in particolare disturbi vascolari, osteoarticolari, neurologici o

muscolari.

Si riscontra in lavorazioni:

• in cui si impugnino utensili vibranti o materiali sottoposti a vibrazioni o impatti.

• in cui vi è contatto delle mani con l'impugnatura di utensili manuali o di macchinari condotti a

mano.

Esempi martello pneumatico, trapano, motosega, tagliaerba, decespugliatori, smerigliatrici, ecc.

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Sindrome da vibrazioni mano-braccio

Insieme di segni e sintomi associati a prolungata esposizione a vibrazioni ad alta frequenza che si

trasmettono al sistema mano-braccio

• Alterazioni vascolari

• Alterazioni neurologiche

• Alterazioni muscolo-scheletriche

Lesioni vascolari:

tra le lesioni vascolari ricordiamo la orma secondaria del fenomeno di Raynaud(comunemente

denominata “sindrome del dito bianco”) . È la quarta patologia professionale indennizzata dall’INAIL. In

aree geografiche a clima caldo la prevalenza varia tra 0 e 5% nei lavoratori esposti. Invece nei Paesi

Nordici la prevalenza è pari a 80-100% tra i lavoratori esposti contemporaneamente a basse

temperature e vibrazioni. Inoltre c’è una prevalenza maggiore tra i fumatori di sigaretta. Clinicamente

c’è l’interessamento delle dita maggiormente esposte al microtrauma vibratorio, con comparsa di

pallore locale e delimitato alle dita.

Lesioni neurologiche:

• Neuropatie del nervo mediano, ulnare e radiale del polso (tunnel carpale)

• Compromissione della componente sensitiva: Ipoestesie, parestesie, riduzione della sensibilità

termica, riduzione della presa di precisione

La s. del tunnel carpale è la compressione del nervo mediano nel canale del carpo. I primi sintomi

sono: intorpidimento, formicolio, dolore al braccio, ala mano e alle dita (1°,2°, 3°e metà del 4°)

specialmente nel periodo di riposo notturno il pz si risveglia dal sonno per i forti dolori al braccio e

alla mano insensibile. Dopo un po’ di movimenti o dopo avere applicati degli impacchi freddi il tutto

passa. Quando la patologia si aggrava la scomparsa della sensibilità è permanente e di conseguenza si

avranno delle difficoltà nella presa degli oggetti leggeri (es. le tazzine). La diagnosi viene fatta con

l’anamnesi, la clinica (segni di Phalen e Tinel) e l’elettromiografia. La pressione,attraverso per esempio

un martelletto, sul polso può scatenare il dolore e le parestesie(segno di Tinel). Inoltre tenendo in

flessione o estensione forzatamente il polso per circa trenta secondi si provoca formicolio nel

territorio del nervo mediano(test di Phalen).

Lesioni muscolo scheletriche:

• Lesioni tendinee: polso; tendinite dei muscoli flessori della mano; epicondilite, epitrocleite

• Lesioni osteoarticolari di tipo cronico-degenerativo con particolare interessamento di polsi e

gomiti: artrosi dei polsi, artrosi ed osteofitosi dei gomiti (sperone oleocranico). Cisti, vacuoli delle

ossa carpali e metacarpali.

Vibrazioni trasmesse al corpo intero (WBV)

le vibrazioni meccaniche, se trasmesse al corpo intero, comportano rischi per la salute e la sicurezza

dei lavoratori, in particolare lombalgie e traumi del rachide. Nel dettaglio:

- Patologie del rachide lombare

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- Disturbicervico-brachiali

- Disturbidigestivi

- Disturbi circolatori nel sistema venoso periferico

- Effettisull’apparatoriproduttivofemminile

- Effetticocleo-vestibolari

Si riscontra in lavorazioni a bordo di: Camion, autobus, trattori, ruspe, escavatori, pale meccaniche,

ecc. Volendolo dire meglio:

- mezzi di movimentazione usati in industria ed edilizia,

- mezzi di trasporto

- in generale macchinari industriali vibranti che trasmettano vibrazioni al corpo intero.

Quando sono superati i valori d’azione il Datore di Lavoro deve elaborare un programma di misure

tecniche organizzative per ridurre al minimo l’esposizione. Se, nonostante le misure adottate, il valore

limite di esposizione è stato superato, il datore di lavoro prende misure immediate per riportare

l'esposizione al di sotto di tale valore, individua le cause del superamento e adatta, di conseguenza, le

misure di prevenzione e protezione per evitare un nuovo superamento.

Sorveglianza sanitaria: Vanno sottoposti a sorveglianza sanitaria i lavoratori esposti a vibrazioni

superiori al valore di azione,1 volta l’anno o con periodicità diversa decisa dal medico competente

con adeguata motivazione.

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Metodi di valutazione del rischio

- banca dati: tuttavia non è sempre semplice trovare nella Banca Dati l’attrezzatura

sufficientemente simile a quella effettivamente in uso.Nel caso in cui l’attrezzatura

effettivamente in uso sia datata e non soggetta a corretta manutenzione, l’impiego della

banca dati potrebbe comunque portare ad una sottostima del rischio.

- utilizzo valori dichiarati dal produttore:tuttavia essi non vanno utilizzati quando il macchinario

non è usato in maniera conforme a quanto indicato dal costruttore oppure non è in buone

condizioni di manutenzione;

- strumenti di misura: Quando non è possibile fare ricorso alle banche dati esistenti, occorre

rivolgersi alla misurazione strumentale, che richiede: Personale tecnico qualificato,

Attrezzature specifiche e Metodologia appropriata

Dispositivi di Protezione Individuale

- guanti anti vibranti

- sedili antivibranti

- silentblock: sono supporti antivibranti utilizzati per ridurre le vibrazioni che raggiungono le

cabine delle macchine movimento terra e dei trattori agricoli

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ARGOMENTO 9

PATOLOGIE DA AGENTI FISICI: BAROPATIE

Con il termine baropatie intendiamo tutte quelle alterazioni che si manifestano in occasione della

variazione della pressione atmosferica.

Noi viviamo ad una pressione di 760mmHg pari ad 1atm, tutto ciò che avviene in variazione in più o in

meno di questo livello comporta degli effetti che noi facciamo rientrare nelle baropatie.

Le baropatie sono state osservate nel 1670 da Boyle,il quale notò la comparsa di una bolla d’aria

formatasi nell’occhio di un serpente che era stato pressurizzato in una camera iperbarica.

A seguire nel 1841 venne osservata la malattia da decompressione. Questa fu messa in evidenza in

occasione della costruzione del ponte di Brooklin,quando si notò che gli operai provenienti dalle

immersioni,all’uscita dalle campane barometriche, assumevano una posizione curva e presentavano

delle artralgie.

Il primum movens della patologia barometrica è rappresentato dalla variazione della pressione

atmosferica, di quella che noi siamo abituati a vivere nella nostra vita di relazione, cioè a livello del

mare a 760mmHg. Queste variazioni pressorie determinano dei danni di diverso tipo:

a) danni di tipo meccanico da variazioni della pressione in toto

b) danni di tipo biochimico e tossico da alterato assorbimento e metabolismo dei gas a causa

delle variazioni delle rispettive pressioni parziali

c) malattia da cassoni

A) DANNI DI TIPO MECCANICO DA VARIAZIONI DELLA PRESSIONE IN TOTO

DANNI MECCANICI DA VARIAZIONE DELLA

PRESSIONE IN TOTO

� BAROTRAUMATISMI DELL’ORECCHIO E AEROTITE

MEDIA

� BAROTRAUMATISMI SINUSALI

� ODONTALGIA BARICA E AERODONTALGIA

� LESIONI POLMONARI

� LESIONI ADDOMINALI

� VIBICI, COLPO DI VENTOSA, SCHIACCIAMENTO

� DECOMPRESSIONE ESPLOSIVA

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La superficie del nostro corpo che possiede un’estensione all’incirca di 1.5-1.8m2, esposta alla

pressione di 1 atm subisce una pressione che è la sommatoria di tutte le pressioni parziali esercitate

dai singoli gas costituenti l’atmosfera. Tale sommatoria corrisponde all’incirca a 15-18 tonnellate.

Ci sono delle leggi a cui i gas rispondono. Un gas è comprimibile quando sottoposto a variazioni

pressorie risponde a determinate regole.

LEGGE DI BOYLE-MARIOTTI

Pressione x Volume =costante

Aumentando la pressione si riduce il volume, se aumenta il volume si riduce la pressione, la costante

si mantiene. Quindi tutto quello che noi osserviamo è dovuto a tutte queste variazioni pressorie che

avvengono quando subiamo 1 atm differente. Tale situazione si verifica in quei lavori che avvengono

in profondità. Si avrà una pressione maggiore a seconda della profondità raggiunta, ed ecco che si

parla allora di pressione relativa,ovvero la variazione pressoria che abbiamo al di sotto del mare ogni

10m che corrisponde ad 1atm.

Noi a 30m avremo una pressione relativa di 3 atm però ai fini del computo della pressione che esiste

sul nostro organismo dobbiamo tenere conto pure della pressione atmosferica perché questa si

somma alla pressione relativa, quindi noi a 30 m avremo una pressione relativa di 3 atm ma una

assoluta di 4 cioè quella che noi subiamo non è 3 atm ma 4.

Vediamo cosa succede ad un palombaro. Il suo equipaggiamento consiste in una tuta che lo protegge

dall’acqua, costituita da un materiale più o meno elastico di natura gommosa, al fine di consentire dei

movimenti. L’unica parte rigida è lo scafandro,con un oblò che lo ricopre, una finestra per la visione

anteriore e due laterali. Rientrano “nell’armatura” pure i due calzari zavorrati con del piombo .Il

palombaro non va giù autonomamente, non si tuffa con le pinne, scende per gravità. E’ collegato ad

una barca, al punto madre, con un tubo, una sorta di cavo d’acciaio che gli manda l’aria compressa,

quindi lui non ha alcun comando, viene semplicemente guidato.

Ora sappiamo benissimo che i fondali non sono tutti uniformi, se il palombaro si trova in un punto

vicino ad uno strapiombo e accidentalmente si rompe il cavo ke lo sostiene, non potendo nuotare,

precipita rapidamente verso il fondo ed in tale frangente si evidenzierà un rapido incremento della

pressione che lo interessa(supponiamo che da 10m precipiti a40m, subirà una pressione relativa

di3atm in poco tempo!). La tuta si restringerà perché compressa rapidamente e addirittura

conficcandosi al di sotto dello scafandro si determinerà all’interno di questo una depressione tanto

rapida che il palombaro potrà essere risucchiato contro la parete di tale scafandro e subire fratture

craniche, traumatismi, fino a giungere persino a morte. (FENOMENO DELLO SQUEEZE, colpo di

ventosa).

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Tra gli altri danni possibili si colloca il barotraumatismo dell’orecchio.

Il sub che scende in profondità subisce la press esterna. Importante a riguardo è il fenomeno della

manovra del Valsalva, che permette di compensare la press interna a quella esterna in modo tale che

il timpano si equilibri, al contrari se ciò non dovesse avvenire, il timpano subendo una pressione

eccessiva andrebbe incontro a rottura. Se l’individuo è guidato dall’ alto può essere recuperato, al

contrario se è in autonomia. Infatti L’ acqua che entra nell’ orecchio medio, venendo a contatto con il

labirinto, con il sistema dei canali semicircolari, comporta perdita dell’equilibrio e dell’ orientamento

per cui non si riesce più a distinguere la superficie dal fondo. Se l’ incidente avviene entro i 10 m il sub

ha buone probabilità, se sta buono, di risalire a galla per via di quella spinta verso l’alto che subisce un

corpo che s’immerge, cosa che non accade al di sotto dei dieci metri e si va a fondo.

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MECCANISMO ATRAVERSO CUI SI REALIZZA IL BAROTRAUMATISMO

DELL’ORECCHIO MEDIO

1 = aumento della pressione barometrica

2 = riduzione della pressione barometrica

Ancora altri danni meccanici: lesioni polmonari, addominali, decompressione esplosiva.

B) DANNI DI TIPO BIOCHIMICO E TOSSICO DA ALTERATO ASSORBIMENTO E METABOLISMO DEI

GAS A CAUSA DELLE VARIAZIONI DELLE RISPETTIVE PRESSIONI PARZIALI

DANNI DA ALTERATO ASSORBIMENTO DEI GAS

GAS ATTIVI: OSSIGENO

ANIDRIDE CARBONICA

GAS INERTI: AZOTO

ARGON

ELIO

UN AUMENTO O UNA DIMINUZIONE DELLA

PRESSIONE BAROMETRICA DETERMINA UNA

MODIFICAZIONE DELLA QUANTITA’ DI GAS

INTRODOTTI NELL’ORGANISMO ATTRAVERSO IL

MECCANISMO DELLA RESPIRAZIONE E

CONSEGUENTEMENTE UNA ALTERAZIONE DEI FINI

MECCANISMI CHE NORMALMENTE VI SI SVOLGONO

DANNI DA ALTERATO ASSORBIMENTO DI GAS

� PATOLOGIA DA OSSIGENO

IPEROSSIA

IPOSSIA

� PATOLOGIA DA ANIDRIDE

CARBONICA

� PATOLOGIA DA AZOTO

Composizione dell’aria:

Ossigeno 21%, Anidride Carbonica 0.0003%, Azoto 78%, Acqua 0.07%

LEGGE DI DALTON:

In una miscela di gas,la pressione parziale esercitata da ogni singolo componente è uguale a quella

che quel componente eserciterebbe se da solo occupasse l’intero volume.

PO2 0.21x760=159.6mmHg;PN2 0.78x760=592.8mmHg; PCO2 0.0003x760=0.228mmHg;

PH2O 0.0007x760=0.532mmHg

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I gas respirati in miscela nell’attività subacquea come O2 e CO2 possono dare fenomeni irritativi ma in

special modo di maggior interesse è il ruolo svolto dall’N2 il quale oltre ad essere presente in quantità

elevate, ha una affinità di legame per i gas 5 volte maggiore che per i liquidi.

Secondo la legge di Henry, ogni gas ha una particolare solubilità nel liquido in cui viene a contatto;

l’azoto ha una maggiore facilità a disciogliersi nei tessuti che contengono grasso (es. il nostro

cervello).

In fase di discesa la miscela gassosa subisce un passaggio in soluzione, i gas per la pressione che

subiscono passano in soluzione nella fase liquida, portandosi nei liquidi organici e nei tessuti con una

velocità che assume un andamento sinusoidale, con rapidità nella fase iniziale fino a raggiungere la

quota di saturazione a secondo la profondità che si raggiunge. Una volta accaduto ciò, qualunque sia

la profondità, non si verificano più fenomeni di solubilizzazione, s’instaura una fase di equilibrio che si

mantiene x tutto il tempo che si resta a quella profondità. Poi il valore si inverte nella fase di risalita

con un meccanismo speculare che va rispettato. La saturazione completa si raggiunge in 12 ore,

ovviamente questo non è un periodo che interessa l’attività subacquea in quanto non si permane in

profondità per un così lungo periodo.

La superficie respiratoria ha una elevata estensione che corrisponde all’ incirca a 100m2, dalla quale

viene fuori la grande quantità di scambi gassosi che si verificano.

Il nostro polmone ha un punto di equilibrio negli scambi che dev’essere rispettato nel senso

temporale. Praticamente quando si verificano le decompressioni, il passaggio del gas da liquido ad

aeriforme viene smaltito nei nostri polmoni con una velocità che non è pari a quella della

solubilizzazione ma dev’essere dato il tempo, cioè c’è una parte legata all’intrinsecità della superficie

per cui ci consente di smaltire una grossa quantità, però se la riemersione avviene più rapidamente

del meccanismo di smaltimento allora è chiaro che una parte spinge verso l’alto e si determina un

accumulo del materiale da eliminare che passa in circolo e forma delle bolle.

PATOLOGIE DA OSSIGENO

Effetto Lorraine-Smith: irritazione dei tessuti bronco-alveolari successiva a prolungate ore d’inalazione

di ossigeno puro.

Effetto Paul Bert: tossicità dell’ossigeno sul sistema nervoso centrale.

Come si determina? In seguito ad una discesa in profondità una parte dell’ossigeno si discioglie

passando in soluzione nei liquidi; il nostro organismo utilizza più facilmente l’ossigeno che è disciolto

piuttosto che quello legato all’Hb, determinando in tal modo il fenomeno di arterializzazione del

sangue venoso. Ciò determina un ridotto trasporto dell’anidride carbonica e quindi un incremento

della presenza di tale sostanza in circolo che stimolerà i centri nervosi ad aumentare la ventilazione, la

quale a sua volta comporterà vasocostrizione cerebrale e quindi una riduzione del flusso ematico

nell’organo.

Le bombole di gas per le lavorazioni subacquee ed altre attività, sono graduate e calibrate in base

appunto all’attività da svolgere ma soprattutto alla profondità che bisogna raggiungere. Sappiamo che

l’azoto ha un effetto narcotizzante intorno ai 40-45 m e tale conoscenza è fondamentale affinché non

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si commettano errori, e per una profondità oltre questi limiti, si sostituisce nella miscela l’elio. Anche

l’elio non è scevro di inconvenienti, ad es. quello acustico per azione sulle corde vocali (la voce diviene

più acuta, effetto della voce chioccia), ma soprattutto cosa importantissima è la sua rapida diffusione

che porta da un lato a brusche desaturazioni e dall’altro ad una iperconducibilità termica che si

traduce in maggiori perdite di calore.

La quantità di azoto che si discioglie nel sangue è direttamente proporzionale alla pressione e alla

velocità. Durante la risalita la pressione esterna si riduce mentre quella interna dei gas è ancora

superiore alla pressione esterna. Ad es. che il passaggio da 30 m a 10 m comporta la riduzione in

assoluto della pressione esterna però quella interna dei gas è come se si trovasse alla pressione

precedente, quindi essendo maggiore i gas ritornano tumultuosamente dalla fase soluzione alla fase

aeriforme determinando la formazione di bolle. Queste possono essere silenziose oppure fornire dei

sintomi che ci permettono d’intervenire comprimendo il soggetto per riportarlo alla profondità

precedente, affinché il gas ritorni in soluzione e poi gradualmente riportarlo in superficie. Le bolle

ovviamente possono interessare qualunque distretto ma generalmente hanno l’effetto maggiore nelle

zone dove ci sono distretti vascolari di tipo terminale. L’effetto embolico può comparire anche a

distanza di tempo, cosa che accade ad es. nei lavoratori dei cassoni, in tali soggetti le bolle si hanno in

prossimità delle epifisi prossimali o distali delle articolazioni e a lungo andare si osservano dei

fenomeni barotraumatici, ovvero necrosi asettiche.

C) MALATTIA DEI CASSONI

Il cassone è una struttura

in cemento armato, la

parte inferiore è una

camera capovolta vuota,

che viene appoggiata sul

fondale collegata alla

superficie per mezzo di

una sorta di scala, un

camino. Il sub entra in una

zona in cui si ha la stessa

pressione del fondo e

dove si ha la permanenza

per riequilibrare la

pressione atmosferica con

quella del fondale. Nei

soggetti che lavorano sul fondale è difficile ipotizzare un fenomeno decompressivo indesiderato

poiché scendono e risalgono in maniera graduale per via della scala, però nel caso in cui sopraggiunga

un malore sarà necessario intervenire rapidamente, non si può aspettare di fare il fenomeno di

L camera di lavoro

C camino o caminata

E camera di equilibrio o

campana

Ac aria compressa

P1 P2 porte di entrata

V valvola di scarico dell’aria compressa

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decompressione ed in tal caso si deve ipotizzare un effetto embolico che poi verrà compensato in

superficie.

Ricapitolando diciamo che il fenomeno embolico è più facile che si verifichi nei sub che lavorano in

discesa libera o nei palombari che abbiano subito un danno del sistema di collegamento, non nei

lavoratori dei cassoni, tranne il caso citato prima.

La malattia da cassoni è dovuta a tutte quelle alterazioni riconducibili agli effetti dovuti alla variazione

di pressione (formazione di bolle nei tessuti ecc..).

Forme iperacute: si determinano a seguito di una necessaria riemersione rapida �malattia da

decompressione

Forme acute

Forme mioartralgiche

Forme neurosensoriali

Forme cutanee

Forme croniche

Fattori predisponenti alla malattia da decompressione:

• aumento del grasso corporeo (più N2 si discioglie, più aumenta la probabilità di formazione

delle bolle)

• disidratazione

• stato di affaticamento

• alcool

MALATTIE DEI CASSONI:FORME CLINICHE

� FORME IPERACUTE

� FORME ACUTE

� FORME MIOARTRALGICHE

� FORME NEUROSENSORIALI

� FORME CUTANEE

� FORMA CRONICA: CARATTERIZZATA ESCLUSIVAMENTE DA ALTERAZIONI

OSTEOARTROSICHE CHE NEGLI STADI AVANZATI DELLA MALATTIA SONO DEL TUTTO SIMILI A QUELLE DELL’ARTROSI DEFORMANTE

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• acqua fredda

• immersioni non coadiuvate dal computer (in superficie si registrano i tempi e le quote di

discesa, perché poi il programma calcola il periodo di risalita)

• immersioni numerose e consecutive

Sintomi della malattia da decompressione:

di tipo 1: dolore alle articolazioni, edema, arrossamento, prurito;

di tipo 2: vertigini, respiro corto, affaticamento, senso di torpore fino allo stato di incoscienza.

D.P.R. DEL 20 MARZO 1956 N. 231

� DECOMPRESSIONE

UNIFORME: LENTAMENTE E PROGRESSIVAMENTE PER PRESSIONI INFERIORI A 1,5 ATMOSFERE

SBALZI: RIDUZIONE DELLA PRESSIONE A TAPPE SUCCESSIVE PER PRESSIONI SUPERIORI A 1,5

ATMOSFERE (UN DECIMO DI ATMOSFERA AL MINUTO)

� SELEZIONE DEL PERSONALE: OPERAIO DI SESSO MASCHILE DI ETA’ COMPRESA TRA 20 E 40 ANNI. OLTRE 2,5 AT. SOTTO I 35

ANNI

� CONTROLLO PERIODICO DELLA SALUTE DEL LAVORATORE:

PRIMA CHE INIZINO IL LAVORO E DOPO LA PRIMA

COMPRESSIONE, SUCCESSIVAMENTE BIMESTRALMENE O

DOPO OGNI ASSENZA PER MALATTIA O DOPO OGNI

INTERRUZIONE SUPERIORI A 15 GIORNI

� ORARI E TURNI DI LAVORO: DURANTE IL LAVORO E’ VIETATO

FUMARE O CONSUMARE BEVANDE ALCOLICHE

Esistono delle norme di protezione per coloro che sono esposti a queste tipologie di lavoro.

• Decompressione (uniforme per le immersioni fino a 1.5atm, a sbalzi quando le pressioni

superano tale profondità).

• selezione del personale (sesso maschile; 20-40anni, età considerata in ragione alla pressione a

cui si va a lavorare, dopo i 20-25m non si possono superare i 35anni).

• controllo periodico della salute del lavoratore (prima, durante, dopo le immersioni ed in caso

di assenza per malattia).

• orari e turni di lavoro.

Per tutte queste patologie è prevista l’assicurazione obbligatoria INAIL (D.P.R. N. 482 DEL 09.06.1975)

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PRESUNZIONE LEGALE DEL RISCHIO: il lavoratore rivendica la patologia che ritiene aver contratto in

sede lavorativa e non deve dimostrare niente perché è compito dell’ente assicuratore accertare la

natura e l’eventuale nesso causale della suddetta patologia.

MAL DI MONTAGNA

DOVUTO AD UNA SCARSA TOLLERANZA ALL’IPOSSIA.

DIVENTA EVIDENTE OLTRE I 3000 METRI E SI MANIFESTA DOPO QUALCHE ORA DI PERMANENZA IN QUOTA E SPESSO DURANTE LA NOTTE

� QUADRO LIEVE: INAPPETENZA

NAUSEA

MAL DI TESTA

SENSO DI STORDIMENTO

VERTIGINI

STANCHEZZA ECCESSIVA

INSONNIA

� QUADRO GRAVE: EDEMA POLMONARE

DIFFICOLTA’ RESPIRATORIE

TACHICARDIA

TOSSE

OPPRESSIONE TORACICA

GRAVE PROSTAZIONE

EDEMA CEREBRALE

MAL DI TESTA

VOMITO

DIFFICOLTA’ A CAMMINARE

PROGRESSIVO TORPORE

COMA

IPOBAROPATIE

Condizioni in cui la pressione atmosferica che circonda il lavoratore è inferiore a quella del livello del

mare. Si verificano in coloro che stazionano a grandi altezze, raggiunte rapidamente o gradualmente.

(aviatori, addetti alle costruzioni di funivie o rifugi in alta montagna ecc..).

Un errore che non bisogna commettere mai è quello di pensare che salendo in quota si riduca

l’ossigeno, in realtà si riduce la pressione parziale, che non viene utilizzata come normalmente

avviene negli scambi gassosi, noi risentiamo gli effetti dovuti a questa riduzione.

L’ossigeno resta sempre nella quantità del21%; la pressione diminuisce in funzione dell’altezza. Il

nostro organismo salendo in quota attua dei meccanismi di compenso secondari al fatto che risente

della mancanza dell’ossigeno:

- iperventilazione (incrementa gli scambi respiratori e determina un aumento della tensione

alveolare e arteriosa dell’ossigeno;favorisce l’eliminazione dell’anidride carbonica turbando

l’equilibrio acido-base a causa della riduzione della CO2, seguirà aumento del pH e alcalosi

respiratoria).

- Poliglobulia (ovviamente si verifica nel meccanismo che s’instaura cronicamente, ma

nell’immediato il nostro serbatoio che è la milza immette g.r. in circolo con una istantanea

contrazione della suddetta in una risalita rapida).

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La permanenza nella fase di acclimatazione viene compensata con l’aumento della produzione di Hb,

stimolata dall’eritropoietina, a sua volta stimolata dalla ipossia.

Considerazione importante nel quadro della poliglobulia è data dall’aumento della viscosità del nostro

sangue che porta a fenomeni trombotici e d’ipertensione polmonare. A ciò il nostro apparato

cardiovascolare risponde aumentando, parimenti alla ventilazione polmonare, la frequenza cardiaca

che risulta un meccanismo valido nell’immediato.

Forme di ipobarismo:

- Acute (viene raggiunta una bassa pressione in brevissimo tempo, già a 4000m, determinandosi

l’effetto ebbrezza dei fondali, situazione analoga a ciò che si verifica in profondità nel sub, il

quale subisce l’azione narcotica dell’N2).

- Subacute (mal di montagna, si manifesta solo in soggetti che si trovano ad alta quota ma in

fase di equilibrio instabile e non appena inizia un’attività muscolare l’organismo non è in grado

di rispondere adeguatamente alle richieste degli scambi gassosi).

- Croniche (condizione che perdura da tempo, ipossia).

Sintomi:

- Astenia (scarsa eliminazione dei cataboliti acidi)

- dispnea

- cefalea

- vertigini

All’esame obiettivo si osserva la cianosi, l’extrasistolia, edema polmonare.

AEREOEMBOLISMO DISBARICO:

Osservato durante l’ultima guerra mondiale, negli aviatori, i quali sia per difesa che per attacco

dovevano raggiungere elevate quote in brevissimo tempo, si verificava la medesima cosa che accade

ad un sub che emerge, ovvero il passaggio immediato dell’azoto dalla fase liquida a gassosa, con

l’insorgenza di fenomeni embolici.

AEROTITE BAROTRAUMATICA:

Durante un improvviso aumento della pressione atmosferica, come nel caso di un'immersione

subacquea o durante le fasi di atterraggio di un aeroplano, l'aria deve passare nell'orecchio medio

attraverso il rinofaringe e la tromba di Eustachio per mantenere la stessa pressione in entrambi i lati

della membrana timpanica. Se l'apertura della tuba di Eustachio non si verifica, come nel caso di una

rinofaringite allergica, la pressione nell'orecchio medio sarà minore della pressione atmosferica

provocando una retrazione della membrana timpanica.

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ARGOMENTO 10

PATOLOGIE DA AGENTI FISICI: ALTE E BASSE TEMPERATURE

LESIONI DA CALORE

Colpo di calore

Alterazione dell’equilibrio termico dell’organismo, che interviene o con l’aumento della temperatura

interna o con un eccessivo aumento di quella esterna tale da rendere inefficaci i meccanismi di

dispersione termica (vasodilatazione e sudorazione). I fattori ambientali sono essenziali, essendo

sufficiente una temperatura non eccezionalmente elevata (anche 35-40°C) ma con alto livello di

umidità. Nel clima secco si deve arrivare fino a 50-60°.

Anche i fattori intrinseci sono importanti, fra cui:

• Vagotonia

• Iposurrenalismo

• Obesità

• Alcolismo

• Malattie CV

Il quadro acuto si manifesta con respiro difficoltoso, cute e mucose secche, e un notevole aumento

della T che raggiunge i 43-44°C in poco tempo. Successivamente si ha irritazione del SNC con perdita

di coscienza, tremori e convulsioni.

Il quadro subacuto ha una serie di prodromi, con astenia, sonnolenza, sete intensa, cefalea, nausea.

Se non si interviene, in pochi giorni si hanno manifestazioni del SNC (anche deliri, tremori,

irrequietezza, convulsioni), circolatorie, disnoiche, renali (da disidratazione). Caratteristici sono i

crampi da calore, derivati dalla difficoltà di mantenere le adeguate concentrazioni ioniche nel

muscolo per la disidratazione. L’esame del cadavere non è peculiare.

Colpo di sole

Azione diretta del sole sul capo e sul SNC in individui esposti a lungo alla luce senza adeguata

esposizione della testa. Sono importanti le radiazioni infrarosse, meno quelle UV. I sintomi sono

prevalentemente neurologici con cefalea, tremori, agitazione psicomotoria, a seguito convulsioni,

coma e infine la morte.

L’esame autoptico ha come peculiarità il ritrovamento di una emorragia sottomeningea ad ombrello,

unica manifestazione che può portare al sospetto del sole.

Ustioni

Azione localizzata del calore convogliato alla cute per mezzo di:

• Corpi solidi o fiamme libere → bruciature (possono arrivare al IV grado)

• Liquidi o gas → scottature (si fermano al III grado)

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E’ molto importante il mezzo, infatti il contatto con liquidi o gas vaporosi rende l’ustione molto

frequente e anche a basse temperature (40-45°C) perché impedisce il raffreddamento cutaneo,

mentre per lo stesso motivo il calore radiante è dannoso solo sopra a 100°C.

• I grado: arrossamento cutaneo eritematoso per iperemia attiva, dolore.

• II grado: aumento dell’edema e necrosi degli strati superficiali dell’epidermide, bolle sierose

limpide, dolore e prurito, cicatrizzazione senza tracce residue.

• III grado: distruzione dei tessuti superficiali per necrosi coaugulativa. Si formano escare (croste

di colore bruno) che cadono lasciando sotto ulcere e piaghe facilmente infettabili. I processi

riparativi formano cicatrici deturpanti e cheloidi.

• IV grado: carbonizzazione completa dei tessuti, che si riducono a H, C, N, e O e lasciano ceneri

combuste nerastre e friabili. Le ossa possono andare incontro a calcificazione, i visceri interni

ad esplosioni e lacerazioni per il riscaldamento ed espansione dell’aria e del liquido in essi

contenuti. La coagulazione delle proteine tissutali provoca la rigidità da calore, così intensa da

poter provocare fratture, che si differenzia dalla rigidità cadaverica per l’impossibilità di essere

vinta.

Malattia da ustione: sopra il 20% della superficie corporea interessata da lesioni di III grado, che si ha

in tre fasi:

• Shock neurogeno primario vasovagale

• Shock secondario ipovolemico (emorragia e essudazione dalla cute ustionata)

• Compromissione renale da ipovolemia e iperfiltrazione di prodotti delle lesioni riassorbiti nella fase

successiva all’edema.

Valutazione della natura vitale o non vitale delle lesioni

Importante perché spesso il cadavere viene bruciato per ottenere un occultamento di prove.

Valutare:

• La presenza di ustioni di grado 1 e 2; l’eritema e l’arrossamento non si verificano nel cadavere.

• Le bolle a contenuto sieroso limpido-chiaro non si producono nel cadavere, e se sono a contenuto

gassoso o nerastro sono putrefattive

• Osservare se il paziente ha respirato prodotti di combustione, con ricerca di fuliggini e fumi

nell’albero bronchiale (non indicativo bocca e naso), e ricerca della carbossiHb.

LESIONI DA BASSA TEMPERATURA

Assideramento

Esposizione al freddo dell’organismo che ne supera le capacità omeostatiche. Ne deriva il progressivo

rallentamento del metabolismo, fino alla morte.

Il sistema compensa indefinitamente perdite di 3-4 calorie al minuto, di più si raffredda; si raggiunge

quindi la paralisi funzionale delle attività metaboliche cellulari (reversibile), a T diverse per le varie

regioni del corpo (31°C cellule corticali, 28° diencefalo, 25-26° bulbo). A 22-24° tutte le cellule si

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paralizzano, e questo punto anche se viene riscaldato l’organismo in genere ha già subito danni letali.

La morte avviene attorno ai 20°C.

Anche qui la rapidità e la possibilità di assideramento dipendono da fattori esterni (umidità, vento) e

interni (malnutrizione, magrezza, astenia, distonia vegetativa). L’alcool facilita il raffreddamento a

dosi elevate per l’inibizione del SNC e la vasodilatazione: in piccole dosi però migliora i processi

ossidativi e quindi serve molto come “antigelo”, ma solo un goccetto!

Clinicamente si ha una prima fase di scarica adrenergica (fra 37 e 34 gradi), con pallore, brividi,

midriasi, ipertensione e tachicardia. Fra 34 e 24 gradi abbiamo una attenuazione di questi riflessi

connessa con la diminuzione fino all’arresto delle attività cerebrali anche pontine, e quindi

bradiaritmie, cianosi cutanea, dispnea e ipopnea, marcata ipoglicemia. All’esterno si nota un

invincibile tendenza la sonno con perdita della coscienza, accompagnata da uno stato di profondo

benessere. Fra 24 e 18 gradi si arriva al coma e morte.

All’autopsia reperti generici come fluidità aumentata del sangue, edema polmonari e emorragie

puntiformi disseminate, evidenti soprattutto nella mucosa gastrica dove si associano a piccole

erosioni (macchie di Wichniewski), non costanti e non specifiche.

Perfrigerazione

Turbe circolatorie e tissutali per esposizione a variazione della T ambientale. Si tratta cioè di una

condizione simile all’assideramento, con le stesse cause, ma che manifesta i suoi effetti soprattutto o

esclusivamente su alcuni tessuti o apparati, come quello respiratorio (corizze, sinusiti, farigniti,

bronchiti), cardiovascolare (crisi anginose, vasospastiche, vasculopatie periferiche), locomotore

(reumatismi), SNC (nevralgie e paresi), e digerente (gastroenteriti).

Spesso a queste condizioni, soprattutto nell’apparato respiratorio, si osserva una aumentata

suscettibilità alle infezioni. Le perfrigerazioni possono essere considerate come una via di mezzo fra il

congelamento e l’assideramento.

Congelamento

Azione locale della bassa temperatura: questa può essere una T ambientale che agisce su parti

scoperte (naso, mani, piedi umidi), o locale per il contatto lavorativo o accidentale con oggetti molto

freddi (azoto liquido, serpentine frigorifere). Il congelamento ha tre gradi:

• I grado: reazione vasocostrittrice cutanea con pallore, anestesia cutanea, anchilosi, che porta

all’iperemia passiva (eritema pernio)

• II grado: comparsa di flittene sierose od emorragiche per aumento dell’iperemia passiva

• III grado: necrosi tissutale, per comparsa di trombosi vascolare da ristagno ematico e da

agglutinazione delle emazie. Il fenomeno è responsabile della necrosi con gangrena secca o umida

a seconda dell’intervento di batteri. I fenomeni cicatriziali sono deturpanti e retraenti. Infezioni

anaerobie e complicazioni renali.

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ARGOMENTO 11

PECULIARITÀ DELLA DIAGNOSI CLINICA ED EZIOLOGICA IN MEDICINA DEL LAVORO

La diagnosi delle malattie professionali si avvale di strumenti particolari rispetto all’anamnesi ed

esame obiettivo.

All’anamnesi si valuteranno anche:

• Fenomeni di arresto-ripresa: osservazione della sintomatologia o indici di danno, se si migliorano

con la sospensione del lavoro (nel week-end o durante le ferie).

• Anamnesi lavorativa: precedenti esposizioni a fattori di rischio che possono influire con la

patologia sospettata.

• Ci si avvale anche di particolari visite specialistiche e di esami specifici (ad esempio i test di

reattività bronchiale vengono fatti non solo con la metacolina, ma anche con polveri specifiche

prelevate dall’ambiente di lavoro e fatte maneggiare in ospedale al paziente).

• Il ruolo epidemiologico è importante, e si basa sull’osservazione della sintomatologia dei colleghi

esposti allo stesso ambiente.

Si giunge dunque ad una diagnosi di malattia e poi eventualmente ad una diagnosi di malattia

professionale sulla base di esami specifici che mettono in relazione una causa lavorativa con la

malattia riscontrata.

Difficoltà della diagnosi in medicina del lavoro

• Incostanza del fenomeno arresto-ripresa, che quando c’è è molto indicativo

• Assenza o difficoltà di acquisizione di dati ambientali, tossicologici o epidemiologici

• Conoscenza limitata della tossicologia dei singoli inquinanti e delle loro interazioni

• Conoscenza limitata degli effetti tossici a lungo termine e della cancerogenesi (oltre 500 sostanze

nuove ogni anno).

• Spesso le patologie da lavoro sono croniche, e possono mancare i dati epidemiologici

• Le acquisizioni in materia vengono da osservazioni cliniche, manca una epidemiologia del lavoro.

Importanza della diagnosi in medicina del lavoro

• Evitare che la malattia si aggravi, spesso promuove la guarigione

• Evidenziare l’esposizione a FR nell’attività lavorativa

• Consente interventi precoci sugli altri lavoratori esposti

• Consente l’individuazione e l’eliminazione del FR dall’organismo

- Saturnismo → chelanti

- Polineurite da esano → interventi precoci prima di arrivare alle paresi

- Asma → bonifica dell’ambiente

• Consente l’indennizzo del lavoratore

• Contribuisce a svelare la tossicità di una sostanza

• Garantisce il lavoratore e il datore di lavoro

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Ruolo del MMG

Il medico di medicina generale espone in genere il sospetto di patologia da lavoro, ed è favorito dal

rapporto stretto e continuativo con la sua utenza. In Italia c’è una collaborazione stretta con il medico

competente delle ASL per la medicina del lavoro.

In una patologia, ad esempio, come quella della bronchite cronica, le numerose concause di essa

devono essere valutate dopo aver fatto la diagnosi.

Nel gioco delle concause, il lavoro può essere:

• Causa

• Concausa

• Fattore aggravante (ad esempio saldatore con asma bronchiale intrinseca, provoca crisi più

frequenti e più gravi, terapia meno efficace, aumento della rapidità di progressione del danno

polmonare).

Non sempre una malattia che ha fra le sue cause una lavorativa è realmente una malattia

professionale.

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ARGOMENTO 12 INQUADRAMENTO LEGISLATIVO ED EPIDEMIOLOGICO DELLA MEDICINA DEL LAVORO

NORMATIVA sul LAVORO e sulla SICUREZZA nei luoghi di lavoro

1. decreto n° 303 (“norme generali per l’igiene dei luoghi di lavoro”, non più in vigore con

l’81/08): risale al 1956, quindi bisogna arrivare agli anni ‘50 perché si abbiano leggi che

tutelino il lavoratore riguardo a patologie che sono sempre esistite; perché la normativa è così

recente? Esistono più motivi:

• il concetto del rispetto della dignità e della salute dell’uomo è un concetto di recente

acquisizione, e ancora oggi non è completamente affermato soprattutto al sud

• le guerre hanno notevolmente inciso

• situazione economica dell’Italia che era un paese prevalentemente agricolo (la

rivoluzione industriale è vero che è arrivata nel 1700 ma nel nord Italia, nel sud dopo;

quindi la necessità pressante di avere una normativa che tutelasse i lavoratori non è

esistita mai e quando finalmente si inizia ad avere con il decreto 303, la cosa assurda è

che si tratta di un decreto che non tutela il lavoratore ma il luogo di lavoro (docce,

bagni, spogliatoi, armadi devono essere adeguati).

Fino all’81/08 il 303 era una sorta di Bibbia usata dagli ufficiali di polizia giudiziaria o dei vigili sanitari

che andavano nei locali, nel 2008 è stato abolito, ma questo non vuol dire che non esiste più, è stato

semplicemente acquisito, trasferito nell’81/08,

2. legge 300 o statuto dei lavoratori (“norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori,

della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”):

risale al maggio 1970, prima di tale data i lavoratori non potevano neanche scioperare; è solo

con questo statuto e dopo tante lotte di classe che vengono sanciti i diritti dei lavoratori. Con

questo statuto (in particolare con l’articolo 5) il datore di lavoro non può mandare a visita

medica un lavoratore dal suo medico di fiducia (spesso al fine di licenziarlo o per stabilire la

stato di gravidanza di una donna che se era incinta non veniva assunta; NOTA: questo non può

più essere fatto grazie allo statuto del lavoratori) in quanto deve rispettare la libertà del

lavoratore, unica cosa che può fare è inviare il lavoratore in qualunque momento a visita

collegiale (collegio di medici super-partes, che non prende la parte né del datore di lavoro né

del lavoratore, ma tutela sia l’uno che l’altro emettendo un verdetto sulla possibilità o meno

del soggetto di lavorare ed eventuali limitazioni)in una struttura pubblica (che può essere un

reparto di medicina del lavoro o l’ASL territorialmente competente); la visita da parte del

medico di fiducia del datore di lavoro è prevista solo una volta l’anno.

NOTA: fino a qualche anno fa questo decreto veniva esteso anche all’assunzione di droghe, ma

con l’81/08 il datore di lavoro può effettuare accertamenti sull’uso di sostanze di abuso in

particolari attività lavorative a rischio (es: autisti di mezzi pesanti), non a tappeto.

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3. decreto legislativo 277 del 1991 (chiesto agli esami): oggi abrogato; introduce due importanti

novità:

a) per la prima volta il legislatore afferma che esistono attività lavorative che mettono

estremamente a rischio i lavoratori, che devono quindi essere sottoposti

obbligatoriamente a visita medica da parte di un medico specialista in medicina del lavoro;

queste attività lavorative sono quelle che espongono a:

� rumore (ipoacusia da rumore professionale)

� amianto (nel 1992 viene eliminato dalla produzione, lavorazione e commercio;

domanda trabocchetto degli esami: quando la prof chiede la patologia da asbesto e

chiede in particolare chi sono i soggetti esposti ad amianto non bisogna dire i soggetti

impegnati nella produzione di navi, serbatoi,ecc, ma i soggetti addetti allo

smaltimento di tale materiale, come ad esempio l’eternit;

� piombo

b) per la prima volta viene fuori la figura del MEDICO COMPETENTE, medico con specifiche

competenze, il cui compito era visitare i lavoratori impiegati in quelle attività a rischio;

negli anni 90,però non c’erano molti specialisti in medicina del lavoro ed allora il legislatore

ha fatto una sanatoria con cui tutti coloro che avevano una esperienza triennale come

medico di fabbrica acquisivano d’ufficio la competenza per visitare (articolo 55 della 277

del 91, secondo cui qualunque medico con qualsiasi specializzazione o senza,

semplicemente laureato, purché avesse un’esperienza triennale come medico di fabbrica

aveva l’autorizzazione ad esercitare come medico competente; NOTA: all’esame

specificare questa piccola postilla della 277 quando la prof chiede i requisiti del medico

competente).

4. testo unico 1124 del 1965 (“testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria

contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”): con questo documento l’INAIL

stabilisce una forma assicurativa per i lavoratori, obbliga il datore di lavoro ad assicurare i suoi

lavoratori (se a rischio). L’importanza del testo unico 1124 è che crea un’organizzazione

sistematica delle patologia da lavoro: esistono delle tabelle elaborate dall’INAIL in cui si

precisano:

a) attività lavorative a rischio (prima colonna),

b) patologie che possono essere contratte (seconda colonna)

c) periodo massimo di indennizzabilità (terza colonna) che stabilisce il tempo massimo di

manifestazione del danno dall’esposizione al rischio (es: per l’ipoacusia da rumore, il

periodo massimo di indennizzabilità è di 5 anni, quindi se si smette di lavorare nel 2000 e si

fa una richiesta nel 2006, il tempo è scaduto e non si ha alcun riconoscimento, in quanto si

è visto da particolari studi che il danno non si manifesta dopo un certo periodo di tempo

dall’esposizione, quindi se l’ipoacusia si realizza dopo tale tempo le cause probabilmente

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sono altre; esistono anche delle percentuali di correzione che tengono in considerazione,

in base all’età, un eventuale coinvolgimento della presbiacusia, ovvero del progressivo

deterioramento della funzione uditiva con l’età, questa è in genere solo del 10% );

NB: il periodo massimo di indennizzabiltà esiste per tutte le patologie tranne che per le

neoplasie in cui il periodo di riconoscimento è illimitato.

Quindi è con il testo unico 1124 che nascono le tabelle delle malattie professionali; oggi

esistono altre tabelle ma queste del 1124 non sono mai state abolite, sono una pietra angolare

della medicina del lavoro; oggi l’INAIL riconosce altre patologie che qui non sono state

contemplate in quanto dal 1965 ad oggi sono nate altre patologie come quelle del video-

terminale, la sindrome del tunnel carpale da movimenti ripetuti, che l’INAIL riconosce come

malattie professionali.

5. decreto 626 del 1994 (non esiste più, ma questo non vuol dire che è stato cancellato ma solo

che è stato recepito, inglobato ed integrato nel decreto 81/08): è un’importante svolta nella

normativa della sicurezza dei lavoratori e per la tutela della salute per vari motivi: (NOTA: la

prof ama spiegare per schemi che poi dovrebbero essere approfonditi dallo studente, questo è

un ottimo metodo di studio per avere le idee chiare, che la prof capisce già all’esame: se

chiede la definizione dell’ipoacusia da rumore bisogna dire direttamente la definizione e non

parlare invece del rumore):

� per la prima volta il legislatore mette l’attenzione su 2 nuovi rischi (secondo la 277 del 91

erano solo rumore, amianto e piombo):

a. MMC (movimentazione manuale dei carichi): tutti coloro che fanno sollevamento

pesi,che sollevano, spingono e trainano pesi sono sottoposti a sorveglianza

sanitaria, ovvero insieme degli atti (visita medica ed accertamenti) fatti da un

medico competente; esempio di soggetti che fanno movimentazione sono gli

infermieri;

b. Videoterminale (attività relativamente nuovo che non veniva quindi specificato

negli anni 60);

� individua in maniera quasi chiara (sarà chiara con l’81/08) le figure responsabili della

sicurezza in campo lavorativo:

a. Datore di lavoro (DR)

b. Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP)

c. Medico competente (figura di fiducia del datore di lavoro, infatti è nominato dal

datore di lavoro stesso)

d. Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS)

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Che differenza c’è tra medico competente e medico del lavoro?

Chi si specializza in medicina del lavoro è medico del lavoro, se non voglio fare attività privata e non

voglio seguire aziende non sono medico competente perché il medico competente è un incarico che è

dato dal datore di lavoro, quindi chi è medico competente è medico di un’azienda, chi insegna

medicina del lavoro è un professore universitario, un ricercatore associato. Il medico del lavoro è un

medico competente. Il medico del lavoro fa una diagnosi, diventa medico competente solo quando ha

un incarico scritto da parte del datore di lavoro che paga il medico competente, in tutto il resto sono

dipendente dal ministero dell’università.

La valutazione del rischio fa riferimento all’art.28. Da anni è ormai obbligatorio fare la valutazione

dello stress lavoro correlato ai sensi dell’ accordo Europeo del 2004 in cui c’è scritto che il datore di

lavoro deve avere una maggiore attenzione nella prevenzione e nella salute del lavoratore.

Decreto legislativo 81/08: Testo unico sulla sicurezza sul lavoro

Contenuto

La norma, ha riformato, riunito ed armonizzato abrogandole, le disposizioni dettate da numerose

precedenti normative in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro succedutesi nell'arco di quasi

sessant'anni, al fine di adeguare il corpus normativo all'evolversi della tecnica e del sistema di

organizzazione del lavoro.

In ambito legislativo, la denominazione Testo unico è tra l'altro erronea, in quanto la sicurezza è di

competenza concorrente tra Stato e Regioni; difatti all'art.1 comma 2 si sottolinea la clausola di

cedevolezza di questo decreto legislativo, ovvero nel caso in cui un soggetto con competenza in

materia di sicurezza (regioni) legiferi in opposizione al d.lgs. 81/2008, esso viene a decadere sul

territorio di competenza dell'organo legiferante.

Innovazioni

Il d.lgs 81/2008 propone un sistema di gestione della sicurezza e della salute in ambito lavorativo

preventivo e permanente, attraverso:

• l'individuazione dei fattori e delle sorgenti di rischi;

• la riduzione, che deve tendere al minimo del rischio;

• il continuo controllo delle misure preventive messe in atto;

• l'elaborazione di una strategia aziendale che comprenda tutti i fattori di una organizzazioni

(tecnologie, organizzazione, condizioni operative...)

Il decreto, inoltre, ha definito in modo chiaro le responsabilità e le figure in ambito aziendale per

quanto concerne la sicurezza e la salute dei lavoratori.

Al testo degli articoli del decreto sono stati aggiunti altri 51 allegati tecnici che riportano in modo

sistematico e coordinato le prescrizioni tecniche di quasi tutte le norme più importanti emanate in

Italia dal dopoguerra ad oggi.

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DECRETO 81/08Testo unico

Quello che è il testo unico in realtà, non è un testo unico, sembra un gioco di parole ma in realtà un

testo unico vero è proprio non si è creato, abbiamo fatto i riferimenti legislativi tra i decreti principali,

nel tempo ce ne sono stati molti altri e per questo nasce l'esigenza di chiuderli in un unico testo.

Quindi il testo unico doveva essere un unico testo nel quale si racchiudeva tutta la legislazione

precedente, perché man mano che si formavano delle nuove normative non venivano abrogate quelle

precedenti e quindi si aveva un caos.

Molto spesso l'Italia pur approvando le leggi non le mette in pratica, quindi facendo parte dell'unione

europea, siamo stati sanzionati per la non applicazione.

La legge 626 nasce proprio per fare in modo che l'Italia si adeguasse agli standard europei. Dopo

questo decreto l'esigenza di creare un testo unico dopo cinquant'anni di legislazione si è creata in

seguito alla tragedia della Thyssenkrupp, ma cercando di creare un testo unico molto in fretta non si è

avuto un prodotto ottimale, quindi noi tutt'oggi in realtà non abbiamo un testo unico, viene definito

erroneamente testo unico ma in realtà non lo è.

Il risultato è un ulteriore decreto legislativo!

Vengono abrogati:

Decreto 303/56 tranne l'articolo 64

277/91

626/94

L'abrogazione di un decreto legislativo non significa l'annullamento, ovvero non esiste più il

riferimento normativo, ma il concetto di tutela viene acquisito e ottimizzato.

Esempio: considerando il decreto 277, non significa che il riferimento normativo sul rumore, amianto,

piombo, non esista più, significa invece che non è associato al 277 ma è compreso nell'81/08.

Quando all'esame parleremo di amianto o di asbesto, di pneumoconiosi, io chiederò il riferimento

legislativo su cui dovete fare affidamento che è il 277 e il 626 del ‘94.

Schema generale dell'81/ 08:

Questo viene suddiviso per titoli:

titolo 1 disposizioni generali

titolo 2 luoghi di lavoro

titolo 3 uso delle attrezzature di lavoro e della DPI

titolo 4 cantieri temporanei o mobili

titolo 5 segnaletica di sicurezza

titolo 6 movimentazione manuale dei carichi

titolo 7 video terminali

titolo 8 agenti fisici (rumori, vibrazioni, radiazioni)

titolo 9 sostanze pericolose (sostanze chimiche, cancerogeni)

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titolo 10 agenti biologici

titolo 11 atmosfere esplosive

titolo 12 disposizioni penali

titolo 13 disposizioni finali

finalità (articolo 1)

Le novità nell'81/08 introduce sono:

-età

-genere femminile

-immigrati

Facendo un esempio: l'immigrato lavora ed è messo in regola, il datore di lavoro ha l'obbligo di fornire

all'immigrato le informazioni sull'attività che dovrà svolgere, ma deve anche spiegare a quale rischio

andrà a incorrere e bisogna accertarsi che lui lo capisca, facendo una controprova, 1 test di

comprensione.

Definizioni (articolo 2)

Prevenzione: è l'attuazione di un complesso di disposizioni, di misure necessarie in relazione alle

particolarità del lavoro.

La prevenzione quindi, non è una definizione, ma è un concetto di conoscenza dei cicli lavorativi, se

non si conosce il ciclo lavorativo, non si è in condizione di attuare una strategia di prevenzione.

Esempio: se un infermiere deve seguire una movimentazione manuale dei carichi, ovvero deve

sollevare un paziente, le condizioni di lavoro variano a seconda del tipo di paziente, infatti se un

paziente è paraplegico o tetraplegico, sarà necessario utilizzare dei macchinari opportuni, non solo

l'azione lavorativa del singolo infermiere, quindi in questi casi si parla di "prevenzione ambientale",

prevenzione degli spazi per le carrozzelle,ecc; se l’ infermiere deve invece eseguire la movimentazione

di un singolo paziente collaborante, le misure preventive si riferiscono alla modalità con la quale

infermiere deve sollevare il paziente (flettere le gambe, avvicinarlo a sé, sollevarlo lentamente ecc)

Quindi la prevenzione è un concetto di messa in atto di strategie che sono strettamente associate alla

conoscenza dell'ambiente di lavoro.

Articolo 2, c. 1

Prevenzione: attuazione del complesso delle disposizioni o misure necessarie che secondo le

particolarità del lavoro, le esperienze e la tecnica, vengono messe in atto per evitare o diminuire i

rischi professionali.

Articolo 2, b

Datore di lavoro: è la figura che ha maggiore responsabilità, è colui che ha il potere di spesa, è colui

che deve mettere in atto un complesso sistema di prevenzione, protezione, valutazione dei rischi

dell'azienda, è lui che nomina il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, deve nominare

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il medico.

La legge dice che il datore di lavoro che ha un'impresa con dipendenti, è responsabile dei rischi

lavorativi dei suoi dipendenti, quindi responsabile della loro salute, pertanto l'inadempienza di queste

misure determina un reato penale.

Il datore di lavoro può delegare, però il responsabile è sempre lui.

Chi vigila sull'azione corretta dei datori di lavoro?

ASL territorialialmente competenti, l'ispettore di polizia, l'ispettorato del lavoro.

il servizio dello STRESAL che è l'organismo di vigilanza dell'ASL formato da medici, ispettori, tecnici

ecc, al Sud è particolarmente attento all'abusivismo edilizio, non solo all'abuso di per sé, ma anche

alla messa in regola dei lavoratori, necessario perché un tempo i datori di lavoro non mettevo in

regola i lavoratori, se ci scappava il morto li registravano il giorno stesso, ovviamente questo non è più

possibile con l'81/08.

Ripetiamo la definizione di datore di lavoro: è un soggetto titolare del rapporto di lavoro con il

lavoratore, o comunque il soggetto che secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il

lavoratore presta la propria attività ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità

produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.

Il datore di lavoro può fare tutte le deleghe che vuole, ma ci sono delle cose sulle quali lui non può

delegare:

1) documento di valutazione dei rischi DVR (io datore di lavoro quando inizio l'attività devo avere sul

materiale cartaceo o telematico tutto ciò che riguarda l'azienda, come si chiama l'azienda, ragione

sociale, planimetria, vie di fuga, di che cosa si occupa, in quali locali, come sono i locali, quante

finestre ci sono quante luci ci sono ecc.)

2)nel fare tutto questo il datore di lavoro deve rivolgersi ad altre figure, in particolare deve nominare

il responsabile del servizio di prevenzione protezione RSPP, ovvero colui che ha grandissima

responsabilità sulla struttura dell'azienda. In assoluto questa nomina deve essere fatta dal datore di

lavoro stesso e non da un delegato!!!!

3) deve nominare il medico competente, (la nomina di quest'ultimo la prof dice poi, che può essere

delegabile)

Articolo 2,d,c.

Le figure alle quali il datore di lavoro si può rivolgere si chiamano:

a) dirigente

b) preposto

Differenza tra pericolo e rischio

Esempio: il coltello è uno strumento che ha la lama e per questo può essere un pericolo, da come lo

usi poi, puoi aumentare o diminuire il rischio, se si dà il coltello ad un bambino si aumenta la

probabilità di creare problemi.

quindi il coltello è un pericolo, il rischio è la modalità con cui lo usi.

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Pericolo: è la qualità o proprietà intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di procurare

danni, la lama del coltello in questo caso, è una proprietà intrinseca dello strumento.

Rischio: è la probabilità del raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego

o di esposizione ad un determinato fattore o agente, oppure ad una loro combinazione. Il rischio

pertanto è la possibilità di determinare un danno a seconda di come si usa lo strumento, in questo

caso il coltello.

Medico competente (domanda d'esame)

Prof: tenendo in considerazione il fatto che il medico competente è colui che viene nominato per

visitare i lavoratori, secondo voi tutti lavoratori devono essere sottoposti a visita?

risp: solo quelli a rischio.

prof: infatti ci sono dei lavori, nei quali i lavoratori non sono sottoposti a rischio, ad esempio: il

guardiano di giorno, quindi in questo caso non c'è un rischio per il lavoratore e non deve essere

sottoposto a visita.

Il rischio del lavoratore viene stabilito dal documento DVR che viene realizzato dal datore di lavoro

coadiuvato da tecnici specifici, viene convocato il medico competente ed è lui che stabilisce se il

lavoratore è a rischio oppure no.

Requisiti

Il medico competente, non può essere un medico qualsiasi, un medico di famiglia o altro, deve avere

dei requisiti specifici:

1) medici che nonostante non siano specializzati in medicina del lavoro, ma che hanno acquisito una

esperienza triennale come medico di fabbrica, sono stati autorizzati dall'articolo 55 del decreto

legislativo 277 del 15- 8-91 ad essere convocati come medico competente.

2) gli specialisti in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica

3) specialisti in igiene e medicina preventiva, o in medicina legale

su quest'ultima apriamo una piccola parentesi:

quando è venuto fuori il decreto legislativo 81-08 ovviamente c'erano molti lavoratori esposti al

rischio che necessitavano di una visita di un medico competente, quindi si sono creati più posti di

lavoro che hanno richiesto la presenza anche di altri tipi di specialisti, oltre quelli di medicina del

lavoro.

Prima con il decreto 626, solo gli specialisti in medicina del lavoro, potevano svolgere la funzione di

medico competente, ma successivamente dietro grosse pressioni esercitate dagli altri specialisti in

particolare quelli di igiene, si è fatta una breccia in questa legge e si avuta un'apertura anche altri tipi

di specialisti.

È necessario prendere in considerazione anche un altro aspetto: gli specialisti di igiene e quelli di

medicina legale, non avevano una preparazione adeguata per poter consentire l'adempimento al

ruolo di medico competente, paradossalmente però riuscivano ad avere un titolo che gli consentiva di

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esprimere un giudizio di idoneità su lavoratori, senza un addestramento specifico, quindi si è creata in

sostanza, una grossa discrepanza tra il titolo acquisito e le capacità lavorative e la preparazione degli

altri tipi di specialisti.

Articolo 38

Dal maggio del 2008, con questo decreto, i nuovi specialisti di igiene e di medicina legale non possono

esercitare il ruolo di medico competente con titolo;

ovviamente c'è stata una ribellione, sostenuta da quegli specializzandi che già stavano svolgendo

questo ruolo, quindi anche in questo caso si è creata una sanatoria e si è stabilito, che coloro che

hanno fatto negli anni precedenti al 2008, almeno 2 anni di esperienza, documentata presso l'azienda,

possono continuare a svolgere il ruolo di medico competente; chi ha solo il titolo senza esperienza

prima del 2008 non lo può fare.

Nonostante il fatto che questo decreto, sanciva l'esclusione dei nuovi specializzandi in igiene medicina

legale, per ovviare alle continue ribellioni di questa "casta", il legislatore ha stabilito che questi nuovi

specializzandi per poter esercitare il ruolo di medico competente, dopo la specializzazione, possono

fare due anni di master, con i quali acquisiscono l'autorizzazione a svolgere questo compito.

Articolo 25 (i compiti del medico competente) domanda di esame!

1) collabora con il datore di lavoro per fare la sorveglianza sanitaria

2) formazione e informazione dei lavoratori

3) programmazione del servizio di primo soccorso

4) sopralluogo nell'azienda almeno una volta l'anno

5) partecipare alla riunione periodica aziendale una volta all'anno

Nella slide, tra i compiti ci sono anche: la valutazione dei rischi e la promozione della salute che la

professoressa non ha citato.

Sorveglianza sanitaria

È esposta nell'articolo 2, ed è l’ insieme di atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute e

sicurezza dei lavoratori, in relazione all'ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionale e alla

modalità di svolgimento dell'attività lavorativa.

Il medico competente, una volta convocato dal datore di lavoro, fa una dichiarazione di intenti:

stabilisce i lavoratori che deve visitare, valuta l'entità dei rischi è in base a quest'ultimi valuta cosa

dovrà fare.

Il medico competente fa la visita medica per l’accertamento legato al rischio (esempio: se io visito un

soggetto che lavora al videoterminale, ovviamente non gli faccio le analisi del sangue, perché il rischio

legato alla sua attività professionale coinvolge la componente visiva e muscolo scheletrica).

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articolo 41

vengono effettuate visite mediche:

1) pre-assuntive

2) preventive (subito dopo l'assunzione prima che il lavoratore cominci a lavorare)

3) periodiche (in genere ogni anno, salvo i casi previsti dalla legge)

4) su richiesta del lavoratore o straordinaria (esempio: il lavoratore è stato visitato giorno 1

settembre, ed è risultato idoneo per far un sollevamento pazienti, dopo di che si evince che, il

lavoratore ha un'ernia e si stabilisce che non può più sollevare pazienti, a questo punto il lavoratore

non aspetta un anno, quindi la periodicità, per farsi visitare dal medico competente, quindi fa una

richiesta al datore di lavoro, perché le sue condizioni di lavoro sono variate. È il lavoratore che fa la

richiesta al datore di lavoro, di una visita straordinaria).

La domanda è questa: io datore di lavoro, che ho un lavoratore assenteista, posso chiedere al medico

una visita straordinaria?

no, per l'articolo 5 che dice che, la visita straordinaria, è un beneficio a cui può avere accesso solo il

lavoratore e non il datore di lavoro.

Continuando…

5) su richiesta del datore di lavoro ( quando il lavoratore si assenta per più di 60 giorni consecutivi)

6) se c'è un cambio di mansione

7) alla cessazione del rapporto di lavoro (ma state attenti e non me lo dite così da solo, all'esame!,

ovvero quando il lavoratore smette di lavorare deve essere sottoposto a visita medica, ma non in

tutte le attività lavorative!

Soltanto nei casi previsti: lavoratori che sono esposti a sostanze cancerogene o radiazioni.

esempio: se io ho un tecnico radiologo, il quale vuole cambiare azienda, devo sottoporlo a visita in

modo tale da accertare che quando lavorava nella mia azienda non aveva patologie legate alla

professione, quindi non aveva un principio di tumore.

Prof: Dopo che il medico competente ha fatto le sue valutazioni, può dare la cartella clinica del

lavoratore al datore di lavoro?

risp: no

prof: io consegno delle cartelle che sono sigillate e che sono coperte dal segreto professionale, il

datore di lavoro deve tenerle sigillate, solo se viene fatto un controllo dell'ASL, si può leggere quello

che il medico competente aveva scritto.

prof: questo non significa che al datore di lavoro, che ha richiesto l'accertamento, non bisogna dire

nulla sulle condizioni della lavoratore, si deve dare un giudizio di idoneità che è un atto pubblico.

Quanti sono i tipi di idoneità (domanda d'esame)

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Articolo 41

Idoneità (il soggetto può lavorare)

idoneità con delle limitazioni:

temporanea (esempio: un infermiere che movimenta i pazienti, ha avuto la frattura del polso, è

guarito, è tornato a lavorare, ma ancora ha difficoltà a sollevare il braccio, a movimentarlo, lo posso

mettere a lavorare? dirò allora che è temporaneamente non è idoneo a sollevare pesi, ma può fare

tutte le altre mansioni di infermiere).

Permanente (se io ho invece un infermiere che ha avuto un infarto, lui per tutta la vita non potrà

sollevare pazienti allora io dirò che idoneo come infermiere ma non può sollevare pesi in maniera

permanente).

non idoneo:

permanente (se io ho un autista o soccorritore dell'ambulanza, che ha avuto un infarto gravissimo,

posso dire che non può sollevare carichi? in questo caso il lavoratore fa solo la funzione di sollevare

carichi quindi lo posso rendere idoneo?è permanentemente non idoneo!).

temporaneo (Se invece lo stesso autista ha avuto un trauma al braccio o alla gamba,

temporaneamente non idoneo, significa che può recuperare l'idoneità).

La legge prevede che se il lavoratore è permanentemente non idoneo e il datore di lavoro dimostra

che non lo può collocare in altra mansione, il lavoratore può essere licenziato per giusta causa.

Ricorso avverso nei confronti del giudizio del medico competente

Prima di arrivare l'invalidità, se io do il giudizio di non idoneo al lavoratore, quest'ultimo può fare

ricorso per non appoggiarsi al solo giudizio del medico competente, ma ci vogliono tre anni prima che

si risolva, quindi nel frattempo lo stesso ha perso il lavoro.

Cosa significa fare un ricorso? verso chi deve essere fatto? verso l' ASL territorialmente competente,

ovvero si chiede di essere sottoposto nuovamente a visita per avere un nuovo giudizio.

Come si può esprimere l'ASL territorialmente competente?

Può accettare-rigettare-modificare il giudizio precedentemente dato dal medico competente.

accettare= confermare il giudizio del medico competente.

rigettare= il giudizio del medico competente è completamente sbagliato, il soggetto può lavorare.

modificare= se il medico competente che ha fatto non idoneo per i turni di notte, con la nuova

verifica, tu sei non idoneo e turni di notte e non puoi sollevare pesi.

Articolo 35

Riunione periodica: è il momento in cui le figure della sicurezza si confrontano, quest'ultime sono(il

datore di lavoro, o un suo rappresentante, il medico competente e l'RLS)

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argomenti:

- documento di valutazione del rischio

- infortuni e delle malattie professionali

-comunicazione da parte del medico competente di dati anonimi collettivi, riguardanti lo stato di

salute dei lavoratori dell'azienda, incluso lo stress da lavoro correlato.

-come sono stati scelti i dispositivi

-formazione dei lavoratori dei dirigenti perché è obbligatorio per legge che debbano essere fatti dei

corsi.

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INTRODUZIONE: Rischi e patologie da metalli

Nelle patologie da metalli ci sono degli esami distinti in due categorie:

– esami che indicano una esposizione a un determinato metallo

– esami che indicano l’effetto dell’esposizione al metallo stesso.

Vedremo ad esempio nel saturnismo che l’esecuzione della piombiemia indica semplicemente che il

soggetto è esposto al rischio piombo ma non indica che è ammalato quindi si parla di indice di

esposizione.

Al contrario gli indicatori di effetto per il piombo sono l’ALA deidratasi ematica e urinaria, le

zincoprotoporfirine e la protoporfirinuria che se alterati sono un indice di malattia per cui il medico

competente ha l’obbligo di allontanare il soggetto dall’esposizione al metallo per un determinato

periodo di tempo dando una non idoneità temporanea ed effettuare dei controlli successivi per

verificare quando il paziente può tornare a lavoro.

La presenza di metalli nell’organismo riveste notevole importanza. È noto come un’alterazione quanti-

qualitativa interferisca nei processi biologici; in generale si parla molto circa le carenze ed i relativi

quadri clinici; lo stesso non può essere affermato per quel che concerne i quadri patologici delle

intossicazioni di origine professionale, spesso poco conosciuti dalla gran parte dei medici.

Tossicocinetica dei Metalli

Come tutte le sostanze anche i metalli hanno una loro via di assorbimento

Inalazione

• Soprattutto polveri e fumi. Vapori di mercurio

• Dimensioni e solubilità→deposizione, ritenzione e assorbimento

• Solubili→passaggio direeo nel sangue

• Insolubili→macrofagi alveolari→sistema linfafco

• Fumo di tabacco: cadmio

Il fumo di tabacco ha già un contenuto di cadmio per cui i lavoratori esposti al cadmio che in più sono

fumatori hanno una maggiore possibilità di ammalarsi perché c’è un accumulo

Ingestione

• Diretta: disattenzione norme igieniche di

• Indiretta: clearance muco-ciliare

Cutaneo

Composti organometallici: piombo tetraetile, metil-mercurio

Distribuzione

Dipende dal fatto che il metallo sia legato o meno a qualche sostanza

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• Se il metallo è presente in forma ionica e libera, la sua distribuzione è completa, secondo il

gradiente dei vari compartimenti. La quota libera è spesso responsabile degli effetti tossici

• Se il metallo è legato alle proteine plasmatiche si distribuisce più lentamente, Il legame

proteico è reversibile ed in equilibrio con la quota libera.

• Albumina, transferrina (Fe), ceruloplasmina (Cu), metallotioneina (Zn) + Cd, Hg, Cr, Co…

• A livello tissutale, il legame proteico determina un accumulo del metallo; questo

meccanismo di deposito protegge i siti bersaglio dall’azione lesiva del metallo fino ad un

certo limite. Ad esempio il piombo viene accumulato nelle ossa fino a una certa quota poi

quando in eccesso viene deviato verso l’organo bersaglio che nel caso del piombo è il rene

L’Escrezione può essere di tipo:

urinario, biliare o tramite feci

Agli esami non chiederanno la tossico cinetica del’assorbimento ma il singolo metallo con la patologia

specifica.

Gli effetti che si possono avere dopo l’esposizione ai metalli durante l’attività lavorativa sono:

Irritazione e Allergia: prova ne sia che il nichel nella bigiotteria o nei bottoni del jeans possono dar

luogo a un eczema di tipo allergico.

Tossicità acuta e cronica che distingue l’infortunio sul lavoro dalla malattia professionale.

Es di tossicità acuta: quando c’è un grosso incidente nelle fabbriche con rilascio di polveri e fumi in

grosse quantità che fanno finire il lavoratore in rianimazione parliamo di infortunio sul lavoro e non di

malattia professionale perché nell’infortunio il rischio si sviluppa nell’arco del turno lavorativo mentre

nella malattia professionale il rischio è diluito nel tempo.

La tossicità cronica può portare a questi effetti:

Teratogenesi: quindi alterazioni dell’embrione

Mutagenesi: quindi alterazione del dna

Cancerogenesi

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ARGOMENTO 13

INTOSSICAZIONE DA PIOMBO

PIOMBO (Pb)

Si presenta allo stato naturale spesso insieme ad altri metalli per cui si trova sottoforma di solfuro di

Pb, carbonato di Pb e solfato di Pb.

Si distinguono intossicazioni di tipo professionale ed extraprofessionale perché questi metalli si

possono trovare nell’ambiente per cui anche il comune cittadino è soggetto a rischio di

intossicazione.

INTOSSICAZIONE DA PIOMBO EXTRAPROFESSIONALE

• Scarichi industriali (fonderie, industrie ceramiche, ecc.)

– Via respiratoria

– Catena alimentare

• Pericolose modalità di conservazione e preparazione di cibi e bevande

– Contenitori smaltati o chiusi con saldature con leghe al Pb contenenti cibi o bevande

acidule

– Bevande alcoliche preparate con serpentine con saldature al Pb

– Tubature contenenti Pb usate per la distribuzione di acqua potabile che oggi non

esistono quasi più

• Picacismo (frammenti di vernice muraria): è una mania che porta a ingerire frammenti di

vernice in bambini o in adulti con problemi psichici.

Es. si presentano alla nostra osservazione 4 soggetti della stessa famiglia (nonno, nonna, figlia e

nipotino di circa 10 mesi) della provincia di Reggio Calabria che dopo essersi sentiti male si sono

ricoverati in un ospedale in Calabria dove nessuno ha saputo dire loro cosa avessero per cui sono

andati in America dove hanno diagnosticato una intossicazione da piombo dopo aver fatto un prelievo

per piombiemia. Una volta tornati in Italia abbiamo analizzato tutti i tipi di pentole e stoviglie che

usavano per cucinare perché il piombo è presente nelle ceramiche ma non abbiamo riscontrato nulla.

Alla fine abbiamo analizzato il vino fatto in casa da loro che si è rivelato vino al piombo perché per una

maggiore igiene avevano piastrellato la vasca dove pigiavano l’uva con piastrelle da pavimento che

notoriamente sono piene di piombo a causa dei coloranti che le rendono lucide per cui durante la

fermentazione (poi si corregge e dice pigiatura)tutto il piombo fuoriusciva dalle mattonelle. Anche il

bambino aveva una intossicazione da piombo perché lo assorbiva dal latte della madre.

INTOSSICAZIONE DA PIOMBO DI TIPO PROFESSIONALE

Una delle cose principali che vogliamo sapere agli esami quando chiediamo il saturnismo è quali sono

le categorie di lavoratori esposti, l’intossicazione extraprofessionale la dovete sapere per conoscenza

vostra ma a noi di medicina del lavoro interessa quest’aspetto, non solo per i metalli ma in generale

per tutte le patologie che vi vengono chieste.

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La prof sottolinea la fabbricazione e manutenzione di accumulatori, di industria della ceramica,

preparazione di vernici, vetrificazione delle terraglie, la lavorazione del cristallo perché voi sapete che

la purezza del cristallo si distingue dalla presenza o meno di piombo, industria della plastica, della

gomma

ASSORBIMENTO (Pb)

• Via alimentare

– > extraprofessionale

– Con alimenti (anche 40-50%)

– Età (bambini 30-40%, adulti 10%)

• Via respiratoria

– > professionale (vapori, fumi e polveri)

– Polveri � diametro < 1 micron

• Via cutanea

– >Pb organico (Tetraetile, tetrametile, stearato, naftenato, ecc.)

L’assorbimento per via alimentare è soprattutto extraprofessionale mentre per i lavoratori

l’assorbimento è soprattutto per via respiratoria in particolare legato all’inspirazione di polveri

<1micron. Nella via cutanea bisogna sottolineare il piombo tetraetile che veniva usato come additivo

nella benzina (la vecchia benzina al piombo) in qualità di antidetonante. Oggi non è più utilizzato nella

benzina e purtroppo vengono utilizzate le ammine aromatiche che sono notoriamente cancerogene

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quindi era meglio lasciare il piombo. Per ridurre il rischio da ammine ci sono le marmitte catalitiche

che però devono avere una giusta manutenzione.

DISTRIBUZIONE (Pb)

• In circolo

– Globuli rossi (90%)

– Plasma

• Proteine

• Quota libera = frazione “diffusibile” “attiva”

• Tessuti di accumulo

– Ossa (90%)

• Tessuto trabecolare in equilibrio con la frazione diffusibile, facilmente mobilizzabile

• Tessuto corticale compatto delle ossa lunghe (70%), qui emivita Pb fino 7 anni

• Rilascio in circolo con acidosi metabolica, decalcificazione ossea, fratture ossee,

malattie infettive, ecc.

– Fegato e rene (emivita circa 2 mesi)

La distribuzione è soprattutto nei globuli rossi e nei tessuti d’accumulo quali l’osso e poi fegato e rene

che sono gli organi bersaglio

ESCREZIONE (Pb)

• Escrezione fecale

– Via biliare

– Secreto pancreatico

– Secreto ghiandole intestinali

– Disepitelizzazione intestinale

• Escrezione urinaria

– Filtrato glomerulare

– “Escrezione tubulare”

• Latte

• Sudore

• Capelli

• Unghie

EFFETTI TOSSICI(Pb)

• Sangue

– Alterazione emoglobinogenesi

– Danno diretto ai GR

• Rene

– Tubulopatia subacuta

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– Tubulopatia cronica

– Nefropatia mista

• Sistema nervoso

– Encefalopatia saturnina (rara negli adulti,oggi, ma ancora possibile in bambini)

– SNP

Sul sangue abbiamo un’alterazione dell’emoglobinogenesi che si vede sulla catena dell’eme e un

danno diretto sui globuli rossi. A livello renale si passa dalla tubulopatia acuta alla cronica fino al

cosiddetto rene grinzo saturnino. Oggi grazie all’azione dei sistemi di prevenzione difficilmente

troviamo lavoratori con saturnismo conclamato. Penso vi abbiano accennato ai dispositivi di

prevenzione individuale (DPI) che si usano quando non si può abbattere al 100% il rischio. Es. quando

c’è una fonte di rumore che non può essere eliminata del tutto (rischio residuo) si devono fornire al

lavoratore i tappi o le cuffie o i caschi di protezione. Questo era per dire che essendoci delle misure di

prevenzione difficilmente vedremo il saturnismo franco.

ALTERAZIONE SULLA SINTESI DELL’EME

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Effetti:

Globuli rossi

• Riduzione ALA Deidratasi

• Aumento Protoporfirina IX

Urine

• Aumento escrezione ALA

Aumento di escrezione di Coproporfirina III

Se in un soggetto esposto al piombo abbiamo una piombemia elevata andiamo a cercare come indici

di secondo livello l’ALA-deidratasi ematica che se diminuita ci dice che il soggetto può avere dei

problemi legati all’esposizione al piombo e lo allontaniamo. Si può esaminare anche la protoporfirina

IX e a livello urinario l’escrezione dell’ALA e delle copro porfirine. Una volta facevamo il dosaggio

della zincoprotoporfirina ematica.

ALTERAZIONI DEI GLOBULI ROSSI

• A livello del midollo osseo

– Denaturazione acidi nucleici con deficit della maturazione degli eritroblasti e messa in

circolo di emazie con granulazioni basofile

– Aumentata emolisi intrasplenica

• A livello del circolo sanguigno

– Alterazione pressione osmotica

– Riduzione emivita eritrocitaria

ALTERAZIONE A LIVELLO RENALE

• Tubulopatia prossimale subacuta

– riduzione clearance dell’urea (con clearance della creatininina normale e in assenza di

proteinuria), riduzione del trasporto tubulare di acido urico (iperuricemia)

– Manifestazioni reversibili

• Tubulopatia prossimale cronica

– Fibrosi peri-tubulare interstiziale ed arteriolare

– Atrofia e dilatazione tubulare (rene grinzo saturnino)

– Lesioni irreversibili

• Nefropatia mista

– Alterazione dell’epitelio vascolare glomerulare e tubulare

– Evoluzione verso insufficienza renale cronica

– Ipertensione arteriosa cronica

Delle alterazioni dei gr la prof non dice nulla mentre sulle alterazioni renali dice che il problema è

nella riduzione della clearance dell’urea e nella riduzione del trasporto di acido urico con conseguente

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iperuricemia che sono comunque manifestazioni di tipo reversibile allontanando il soggetto

dall’esposizione mentre la tubulopatia prossimale cronica è irreversibile e porta al rene grinzo

saturnino.

ALTERAZIONI DEL SISTEMA NERVOSO

• Encefalopatia saturnina acuta

– Meccanismo angiospastico, microemorragie, edema cerebrale

– Adulto dose soglia 150 mcg/dl

• Encefalopatia saturnina sub-acuta

– Deficit delle funzioni superiori (deficit di attenzione e memoria, ecc.)

• Paralisi nervi periferici

– Paralisi n. radiale

• Deficit velocità di conduzione

• EMG: fibrillazioni, ridotto numero di unità motorie reclutate sotto sforzo

massimale

– Atrofia nervo ottico

Le alterazioni del sistema nervoso spesso sono sfumate e si possono confondere con altre patologie

quindi è sempre bene chiedere l’attività lavorativa del soggetto

Il saturnismo si manifesta in due fasi:

• Fase di impregnazione (pre-saturnina) oggi è difficile da vedere

Si manifesta con l’orletto gengivale di Burton

• Pigmentazione bluastra all’orletto gengivale dovuta alla precipitazione

dell’idrogeno solforato prodotto dai batteri residenti del cavo orale che insieme

al solfuro di Pb danno questa colorazione

• Fase di intossicazione franca (intossicazione florida)

– Alterazioni delle condizioni generali

• Cefalea, anoressia, perdita di peso, astenia, mialgie

– Anemia normocromica-normocitica e punteggiatura basofila

– Colica saturnina

• Scialorrea, sapore metallico, stipsi, dolore in regione ombelicale o diffuso,

abbondante sudorazione, vomito, dolore che si risolve con apertura dell’alvo

• Azione spastica del Pb sulla muscolatura liscia

– Ipertensione arteriosa

• Per spasmo delle arteriole renali, reversibile se non ci sono state alterazioni

arteriosclerotiche o a seguito di IRA

– Polineurite motoria

• Soprattutto paralisi del n. radiale, se totale “caduta della mano”, se parziale

“mano che fa le corna”

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– Encefalopatia

• Sintomi da Ipertensione endocranica

• Atrofia nervo ottico

E’ importante che voi sappiate cosa sia la colica saturnina perché all’esame vi potrebbero chiedere la

diagnosi differenziale tra un addome acuto da appendicopatia e un addome acuto da colica saturnina.

La risposta è che nell’appendicopatia l’addome è intrattabile perché il soggetto ha dolore mentre

nella colica saturnina è trattabile e più lo si palpa più il soggetto sta meglio perché c’è una

problematica di tipo muscolare che si rilassa con la palpazione

• Fase di intossicazione cronica

– Nefrosclerosi saturnina

– Ipertensione arteriosa

Nelle slide è presente questa terza fase ma lei non ne parla

Ora parliamo del monitoraggio che viene fatto come detto prima grazie agli indicatori di effetto

• ALA Deidratasi (ALA-D)

– Riduzione ALA-D eritrocitaria

– Indicatore direttamente collegato alla Pb B anche a bassi dosaggi di Pb B (anche 20-25

mcg/dl)

– Normalizzazione rapida dopo riduzione della Pb B

– In esposizioni gravi e croniche la riduzione della ALA-D può persistere più a lungo

– Fattori confondenti: elevata alcolemia, anemia iperrigenerativa (es. emolitica, post-

emorragica)

• Aumento di Protoporfirina IX eritrocitaria (EP)

– Aumenta lentamente (a partire da circa 35 mcg/dl di PbB da alcune settimane ad alcuni

mesi), sorta di plateau, ritardo nel decremento (possibile anche dopo anni), per questo

è anche indice di pregressa esposizione

• Aumento della ZincoProtoporfirina eritrocitaria (ZPP)

Questo è il valore limite che si presenta a livello ambientale secondo il Decreto legislativo 81/08

calcolato sulle 8 ore lavorative: 0,15 mg/m3 ed è importante perché noi oltre che visitare il paziente

dobbiamo fare un monitoraggio ambientale per cercare eventuali falle causa di inquinamento.

Il valore limite biologico VLB è 60 mcg/dl (PbB) per i lavoratori mentre per le lavoratrici fertili con

PbB uguale o superiore a 40 mcg/dl si deve effettuare l’allontanamento dall’esposizione.

La terapia non vi interessa.

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ARGOMENTO 14

INTOSSICAZIONE DA MERCURIO

Il mercurio è l’unico metallo liquido a temperatura ambiente famoso per essere presente nei

termometri che oggi non sono più fabbricati perché una volta rotti potevano essere causa di

intossicazione.

FONTI DI ESPOSIZIONE PROFESSIONALE USI ATTUALI

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USI PASSATI

FONTI DI ESPOSIZIONE EXTRAPROFESSIONALE

• Il mercurio è presente nel suolo, nella atmosfera e nelle acque in un equilibrio geochimico che

tende a mantenere costanti le singole concentrazioni ed i vari dei composti inorganici ed

organici.

• Analisi degli strati di ghiaccio in Groenlandia dimostra inquinamento dall’inizio del 1900 fino ai

giorni nostri

• Inquinamento di acque dolci e di mare attraverso scarichi industriali

• Intossicazione per ingestione di cereali contaminati con pesticidi organomercuriali

• Inquinamento della catena alimentare sia di mare (batteri che trasformano il metallo in

composto organico che contamina il plancton e da questo i pesci come il pesce spada,il tonno

anche se per intossicarci dovremmo mangiarne chili) che di terra (cereali contaminati,

trasportano il Hg dagli animali da allevamento fino alle nostre tavole)

ASSORBIMENTO

• Via respiratoria

– Prevalente in ambito occupazionale

• I vapori di Hg (mercurio inorganico e suoi sali) vengono assorbiti a livello alveolare

fino all’80%, contro 0,01% a livello G .I.

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• Composti organici (es. metilmercurio, se inalato come vapore, assorbimento fino

all’80%)

• Via gastrointestinale (intossicazione volontaria o accidentale)

– Sali di mercurio penetrano attraverso questa via in % dal 2 al 10%

– Composti organici assorbimento anche fino al 95%

• Via cutanea

– Ingresso accidentale (rottura termometri, ecc.)

DISTRIBUZIONE

• Interessati tutti i tessuti, con qualche predilezione

• Hg metallico:

– Sangue (50% plasma –albumina-, 50% GR)

– Hg metallico viene ossidato nel sangue e nei tessuti a ione Hg

– Forma ossidata (ionizzata) in equilibrio con forma non ionizzata che, liposolubile, passa

rapidamente barriera emato-encefalica e placentare

• Accumulo SNC area parietale, occipitale, cervelletto

• Reni

• Composti inorganici si accumulano a livello renale (tubulare)

• Hg organico

– Prevalentemente all’interno dei GR 90%

– Composti arilmercurici rapidamente metabolizzati a Hg inorganico

– Composti alchilmercurici: equilibrio sangue - tessuti (10% nel SNC, area calcarina) lento

anche 4 gg.

– Metilmercurio, a livello epatico, si trasforma in Hg metallico con danni diretti epatici e

successivi renali o in gravidanza danni al cervelletto del feto.

ESCREZIONE

• Mercurio inorganico (emivita 60 gg)

– Via urinaria

• Glomerulare

• Escrezione tubulare

– Via fecale

• Bile

• Secrezione ghiandolare intestino

– Annessi cutanei

• Unghie

• Capelli

– Aria espirata, Sudore, Latte

• Mercurio organico (emivita 70-90 gg)

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– 90% feci

– 10% urine

– Piccola quota come mercurio inorganico per dealchilazione batterica

INTOSSICAZIONE ACUTA

• Esposizione a concentrazioni elevate di vapori di Hg (1-3 mg/m3)

– Bronchite, bronchiolite irritativa

– Polmonite chimica (molto rara), edema polmonare acuto, exitus

– Tremore, irrequietezza

• Assorbimento per via intestinale

– Precipitazione proteine mucosa

– Alterazioni capillari dei villi e dei tubuli renali

– Necrosi mucose e sottomucose

– Necrosi tubulare renale

– Sapore metallico, anemia, scialorrea, turbe neuropsichiche, vomito, colite ulcero

necrotica, diarrea muco emorragica, ematuria, iperazotemia, ipercreatininemia, anuria

• Lesioni cutanee

– Irritative: eritema, edema, papule, pustole, ulcere

– DAC

INTOSSICAZIONE SUB-ACUTA

• Sintomatologia prevalentemente respiratoria

– Tosse di tipo irritativo

• Sintomatologia gastrointestinale

– Vomito, diarrea

• Alterazioni stomatologiche

– Dolore gengivale

– Ulcere della mucosa orale

• Manifestazioni renali

– Proteinuria

INTOSSICAZIONE CRONICA

• Sintomi generali di esordio: anoressia, astenia, lievi turbe digestive, calo ponderale

• SNC

– Eretismo psichico: irritabilità, perdita del self-control, della memoria, ritmo sonno-

veglia alterato, sindrome depressiva, test psicomotori alterati anche precocemente

– Tremore statico ed intenzionale (classiche anomalie della scrittura) che si risolve

durante il sonno ma che peggiora con stimoli emotivi, fatica, bevande alcoliche

– Scosse tonico-cloniche durante il sonno

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– Asinergie, adiadococinesia, nistagmo, turbe della parola

• SNP

– Polineurite sensitivo-motoria: parestesie arti, turbe dei riflessi, crampi e fascicolazioni,

riduzione velocità di conduzione

– Degenerazione assonica

• Apparato digerente

– Anoressia, vomito, nausea,

– Stomatite con scialorrea, ulcere mucosa orale con sanguinamenti, perdita di denti,

orletto gengivale mercuriale grigio-argenteo

• Apparato renale

– Sindrome nefrosica

• Edemi e proteinuria (albuminuria)

– Interessamento glomerulare e tubulare

– Lentamente regredisce al cessare dell’esposizione

• Altri sintomi

– Riniti, congiuntiviti irritative

L’intossicazione cronica si manifesta classicamente nel SNC con eretismo psichico ed è simile a ciò che

si manifesta dopo una lesione vascolare celebrale quindi ci si può confondere. Le alterazioni a livello

renale ci sono sempre per tutti i metalli e la proteinuria ci sta sempre quindi se lo dite agli esami vi

salvate.

INDICATORI DI DOSE

• Mercuriemia (Hg-B) valore limite 15mcg/L

– Tende ad aumentare progressivamente per circa un anno in esposti cronici fino ad un

plateau e decresce lentamente dalla fine dell’esposizione anche per alcuni anni, in fase

di plateau diviene un buon indicatore di dose recente

– Mercuriemia in intossicazione da metilmercurio correla con la concentrazione del

metallo nel SNC

• Mercurio urinario (Hg-U) valore limite 35mcg/g

– Anche per il Hg-U si denota una fase di ascesa delle concentrazioni di circa un anno,

quindi raggiunto un plateau diviene un indicatore di dose recente, eliminazione

urinaria protratta per anni dopo fine esposizione

• Mercurio nei capelli (Hb-H)

– Indicatore di accumulo (pregresse esposizioni)

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ARGOMENTO 15 INTOSSICAZIONE DA CROMO (Cr)

Forme chimiche del cromo:

• Composti cromosi bivalenti

– Instabile e facilmente ossidabile

• Composti cromici trivalenti

– Stabile

– Composti del Cr+++ scarsamente tossici e poco assorbibili

• Cromati o composti esavalenti

– Capacità ossidante, attività tossica sul citoplasma e dotato di proprietà mutagene

L’assorbimento è anche qui per via respiratoria, alimentare e transcutanea e l’escrezione è

prevalentemente per via urinaria se l’intossicazione è avvenuta per via inalatoria e intestinale se

l’intossicazione è avvenuta per via alimentare

ESPOSIZIONE PROFESSIONALE

• Metallurgia del Cr

• Edilizia (presente nel cemento)

• Fabbricazione di composti al cromo (es. bicromati)

• Cromatura elettrolitica

• Concia delle pelli

• Litografia

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• Verniciatura

• Tintoria

• Industria fotografica

Qualcuno potrà chiedervi agli esami come è presente il cromo nell’edilizia e voi direte che si trova nel

cemento sottoforma di bicromato di potassio. Spesso quando vedete dei muratori con un eczma

nelle mani è riconducibile al bicromato di potassio per cui noi facciamo un patch test e valuteremo

dopo 24-48 ore la grandezza del ponfo che si viene a creare nel punto di contatto della sostanza per

diagnosticare o meno una dermatite da contatto.

EFFETTI TOSSICI

• Effetti irritativi e necrotici

– Dermatite ulcerativa

– Ulcere del setto nasale fino a perforazione(è la manifestazione più frequente)

– Faringo-laringo-tracheo-bronchiti irritative

– Gastroduodeniti, ileiti, coliti

• Effetto sensibilizzante

– Eczema da cemento o dei conciatori

• Effetto oncogeno

– Prevalente a livello polmonare e a livello dei seni paranasali

• Effetto nefrotossico

Particolare affinità tossica per il tubulo più che per i glomeruli.

QUADRI CLINICI

• Intossicazione acuta

– Manifestazioni irritative ed ulcerative delle mucose di ingresso con relativo corredo

sintomatologico

• Dolore addominale, vomito di materiale ematico, diarrea

• Tosse, emottisi

• Oliguria o anuria

• Morte per collasso cardiocircolatorio

• Intossicazione cronica

– App. respiratorio

• Ulcera, atrofia, perforazione setto nasale o a carico della mucosa orale,

faringea, esofagea, laringea, tracheale, iperemia, edema, ulcerazione delle

corde vocali

– App. gastroenterico

• Ulcere o infiammazioni emorragiche (stomaco, intestino tenue, colon) con

manifestazioni di enterorragia

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ASPETTI PREVENTIVI

Monitoraggio biologico

– Cromo urinario ACGIH 2002

• BEI 10 mcg/g creat (durante il turno)

• BEI 30 mcg/g creat (fine settimana)

• Valore di riferimento 2 mcg/L

– Cromo ematico DFG/EKA 2002

• 20-30mcg/L

• Valore di riferimento 10 mcg/L

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ARGOMENTO 16 INTOSSICAZIONE DA CADMIO (CD)

Anche questo come il piombo esiste in natura come inquinante di altri minerali quali Zn, Cu, Pb, As.

I principali composti del Cd di interesse industriale sono l’ossido di Cd (CdO), solfato di Cd (Cd(SO4)),

solfuri di Cd (CdS), Cloruro di Cd (CdCl2)

ESPOSIZIONE EXTRALAVORATIVA

• Inquinamento atmosferico (assorbimento circa 0,5 mcg/die)

– Emissioni prodotte da attività industriali ed estrattive, incenerimento rifiuti solidi

urbani

• Zone rurali 1-5 mcg/m3, zone urbane a seconda del livello di contaminazione 5-

700 mcg/m3

• Inquinamento idrico e degli alimenti (ass. circa 10 mcg/die)

– Contaminazione da fertilizzanti e pesticidi, o attività industriali

– Particolarmente ricchi crostacei, molluschi, verdura a foglia, patate, carne (fegato),

latte

• Fumo di tabacco (10-15 mcg/die)

– 1 mcg/g tabacco

• Massimo valore tollerabile di apporto di Cd 7 mg/Kg settimana

• Accumulo progressivo dalla nascita, metallo da accumulo

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Il problema è soprattutto di chi abita vicino ad un inceneritore, per fertilizzanti perché possono

inquinare la falda acquifera e i pesticidi quando non viene rispettato il periodo stabilito per far

decantare il pesticida per cui l’agricoltore raccoglie per motivi economici il frutto troppo presto quindi

è sempre bene lavare la frutta o mangiarla senza buccia. Inoltre dovete sapere che spesso le mele

vengono paraffinate per essere rese più lucide. Avevamo già detto prima che il cadmio si trova anche

nel fumo di tabacco per cui un lavoratore esposto fumatore è più a rischio anche perché è un metallo

da accumulo che si accumula progressivamente dalla nascita.

ESPOSIZIONE PROFESSIONALE

• Estrazione, raffinazione e separazione

• Siderurgia

• Fabbricazione accumulatori alcalini

• Industria elettronica

• Tubi e schermi fluorescenti

• Produzione e impiego di Pesticidi

• Industria materie plastiche (teflon, PVC)

• Industria vetro e specchi

• Produzione e impiego di pigmenti (a chi piace colorare ricordate che esiste il cosiddetto giallo

cadmio come anche il rosso carminio)

• Saldatura, brasatura, pittura

ASSORBIMENTO

• Assorbimento per via intestinale

– Dal 6% al 20% della quota introdotta

– Diete povere di Ca e Fe aumentano l’assorbimento

– A livello occupazionale, può essere importante la quota ingerita del pulviscolo

depositato sull’orofaringe

• Assorbimento per via respiratoria

– 10% per particelle di 5 micron

– 50% per particelle di 1 micron

– Livelli doppi di Cd in fluidi biologici in soggetti fumatori rispetto ai non fumatori

Ricordate che la via principale di assorbimento dei lavoratori è sempre quella respiratoria mentre

quella alimentare è dovuta più a una cattiva igiene.

DISTRIBUZIONE

• Sangue

– Quota intraeritrocitaria 70-90%

– Quota plasmatica (emivita 2 ore)

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– Incremento progressivo per i primi 3-4 mesi di esposizione

– Metallotioneina: proteina di legame del Cd in circolo ed anche a livello tissutale

ESCREZIONE

• Escrezione renale

– È la quota prevalente per filtrazione glomerulare; parziale riassorbimento a livello del

tubulo contorto prossimale

– Accumulo di Cd a livello del tubulo prossimale, ulteriore escrezione tubulare quando

superata la capacità di accumulo del tubulo

• Accumulo soprattutto renale (30-50%, emivita 10-30 anni)

– Corteccia renale

• Fegato (emivita 5-15 anni)

• Muscolo

• Polmone

• Ossa

• Testicoli, prostata, tiroide, annessi cutanei

Distinguiamo al solito una intossicazione acuta(infortunio) da una cronica(malattia professionale)

INTOSSICAZIONE ACUTA

• Intossicazione per via respiratoria

– Prevalentemente implicato l’ossido di Cd

– Concentrazione letale per via respiratoria 5mg/m3

– Polmonite da Cd (1-2 mg/m3)

• Latenza 3-24 ore: sapore metallico, sensazione di bruciore al naso e prime vie

aeree, tosse, dispnea, febbre, dolore toracico simil-pleuritico

• Alcuni casi evolvono verso un quadro di edema polmonare non cardiogeno,

quindi dopo alcuni gg polmonite interstiziale “chimica” (marcata ipossiemia,

leucocitosi periferica, elevata cadmiemia e cadmiuria), con mortalità del 20%.

• Intossicazione per via gastrointestinale

– Meno probabile per lo scarso assorbimento intestinale e per le proprietà emetiche del

Cd, 30-40 mg possono essere fatali

– Nausea, scialorrea, crampi addominali, diarrea

– Prevalente la risoluzione spontanea

Importante è la polmonite da cadmio che è detta chimica e si presenta come polmonite interstiziale

che se non riconosciuta può portare a morte,quella per via gastrointestinale è meno frequente

INTOSSICAZIONE CRONICA

• Effetti renali

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• Effetti sull’apparato respiratorio

• Effetti sul tessuto osseo

• Effetti cancerogeni

• Ipertensione arteriosa

• Anemia

• Effetti sull’apparato riproduttivo

A livello renale il danno interessa tutto il nefrone ma prevalentemente si manifesta a carico del

tubulo contorto prossimale

• Il Cd interagisce con molecole strutturali membrana, carriers, enzimi intracellulari verso

i quali il Cd esercita una inibizione competitiva (Zn e Cu)

• Cellula tubulare normale deposito di Cd-metallotioneina fino a concentrazione critica

• Segni iniziali: proteinuria a basso p.m. (Beta2microglobulina, alfa1-microglobulina,

1Retinol Binding Protein (RBP), metallotioneina (MT), N-Acetil Glucosamminidasi

(NAG), fosfatasi alcalina intestinale (IAP)

• Sindrome di Fanconi secondaria (aminoaciduria, ipercalciuria, iperfosfaturia, glicosuria

normoglicemica)

Danno glomerulare

• Riduzione del filtrato glomerulare e talvolta proteinuria ad alto p.m. : albuminuria,

incremento transferrinuria

Danno al tubulo distale

• Deficit di acidificazione e concentrazione, attivazione sistema R-A

Deficit idrossilazione 1-OH-colecalciferolo (alteraz. metab. Vit. D)

Essendo il danno soprattutto a livello del tubulo contorto prossimale andiamo a cercare proteinuria a

basso p.m.

A livello respiratorio può causare

• Alterazioni trofiche mucosa nasale ed ipo-anosmia

• Gradi variabili di fibrosi polmonare

• Enfisema polmonare

A livello del tessuto osseo

• Malattia “Itai-Itai” Storicamente, tutti gli episodi importanti di contaminazione da cadmio

sono il risultato dell'inquinamento da estrazione e fusione di metalli non ferrosi. Il più grave

incidente ambientale riguardante il cadmio è avvenuto nella regione giapponese di Jintsu,

dove le colture di riso per il consumo locale venivano effettuate con acqua di irrigazione

attinta da un fiume contaminato da cadmio proveniente da operazioni di estrazione e fusione

dello zinco che si svolgevano a monte della regione stessa.

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• La malattia riscontrata nel 1946 in una zona del Giappone, caratterizzata da osteomalacia con

fratture patologiche, a incidenza prevalente fra donne di eta medio-avanzata, multipare. I

sintomi prevalenti erano dolori articolari e mialgici, da cui il nome dato alla sindrome "Itai,

itai" (grido di dolore equivalente a "ahi, ahi") così denominata per gli acuti dolori localizzati alle

articolazioni..

• Alterazioni osteopeniche in forma mista di osteomalacia e osteoporosi renali

– Turbe della sintesi della Vit. D

• Discromie superficie coronale soprattutto incisivi e molari (dal colletto alla superficie

occlusale), deficit di mineralizzazione (blocco della pirofosfatasi dentale) necrosi pulpare

EFFETTI CANCEROGENI

DIRETTIVE EUROPEE

– R45 “può provocare il cancro”

– R49 “può provocare il cancro per inalazione”

A voi interessa sapere che nelle sostanze contenenti cadmio di solito c’è la scritta R45 se può

provocare il cancro o R49 se può provocare il cancro per inalazione.

Per la prevenzione occupazionale noi dosiamo il cadmio soprattutto a livello urinario e la proteinuria a

basso peso molecolare.

Monitoraggio biologico CdU, b2-microglobulina U, N-acetil-glucosaminidasi (NAG) U

Altri metalli

MANGANESE

E’ un elemento essenziale per l’organismo

ESPOSIZIONE LAVORATIVA

Saldatura, industria metallurgica, produzione ed uso di pigmenti, produzione di batterie a secco;

additivi alimentari, fertilizzanti, pesticidi, fiammiferi

Anche in questo caso l’assorbimento avviene sia a livello respiratorio che alimentare,si concentra

negli eritrociti e si lega alla alfa2-microglobulina che lo trasporta al fegato dove lega la trans

manganina, Distribuzione: fegato, rene, encefalo, polmone ed ossa (45%!) , Escrezione biliare e fecale;

molto scarsa l’escrezione urinaria.

MONITORAGGIO BIOLOGICO

• MnU, MnB (Manganesio urinario e manganesio ematico)

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EFFETTI CRONICI

• Manganismo (pseudo-Parkinson). L’inibizione degli enzimi deputati al metabolismo delle

catecolamine causa una degenerazione localizzata ad alcune aree del SNC. Insonnia, astenia,

apatia, irritabilità.

• Febbre da fumi metallici

• Irritazione vie aeree, asma. Polmonite manganica

NICHEL

Allergie da contatto cutaneo

Neoplasie polmonari?

ALLUMINIO

L’intossicazione da alluminio si può presentare soprattutto nei soggetti che fanno dialisi

Farmaci: antiacido, antiulcera, aspirina tamponata, antidiarroici.

Morbo di Alzheimer?non si sa se c’è un collegamento tra l’assunzione di alluminio e la malattia

Questi ultimi tre metalli non ve li chiederà mai nessuno.

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ARGOMENTO 17

INTOSSICAZIONE DA SOLVENTI

Per agenti chimici si intendono tutti gli elementi o composti chimici, da soli o in miscuglio, allo stato naturale o ottenuti, utilizzati o smaltiti (anche come rifiuti), mediante qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o no e siano immessi o no sul mercato.

Sensibilizzanti possono determinare ipersensibilità con reazioni allergiche caratteristiche alle

successive esposizioni.

Cancerogeni possono provocare danno o aumentare la frequenza. Un composto in ambito lavorativo

si dice cancerogeno quando può provocare o aumentare la frequenza rispetto alla popolazione

generale questo perché nessuno di noi ha rischio 0.una sostanza cancerogena può Si dice che

qualsiasi lavoratore a contatto con queste sostanze presenterà il cancro,ovviamente non è cosi la

cancerogenicità è specifica per un determinato organo e dipende dalle modalità di manipolazione..

Mutageni perché possono produrre difetti genetici od aumentare la frequenza.

Tossici possono provocare o rendere più frequenti effetti nocivi senza dare danni alla prole o

influenzare le capacità riproduttive.

(se le sostanze non sono presenti negli organi bersaglio non si tratta i malattia professionale)

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A proposito di rischio chimico è impossibile stabilire le quantità e quali siano gli organi bersaglio in

maniera precisa, quindi, si deve tener conto delle caratteristiche chimiche di un composto.

Più è volatile più è pericoloso perché si disperde nell’ambiente.

Un composto è instabile, ovvero reattivo se reagisce facilmente con le macromolecole biologiche:

lipidi, acidi nucleici, carboidrati anche se sono meno dannosi.

Viene definito tossico in quanto reagisce con le molecole dell’organismo. Se l’interazione non avviene

il composto non è tossico.

Tutto parte da due molecole che s’incontrano, quella esterna interagisce con la molecola interna.

Più alta è l’interazione di molecole più è serio il danno.

L’instabilità è segno di pericolosità.

La volatilità di un composto lo rende più facilmente assorbibile attraverso la cute e per via inalatoria

ed è più pericoloso rappresentando la prima via di assorbimento nel lavoro, mentre in farmacologia

no anche se le vie sono simili, ma la loro importanza è diversa rispetto a quando noi introduciamo per

volontà delle sostanze. Sono i vapori che si depositano sulla cute e che entrano in contatto con le vie

aeree.

Quando si parla di solubilità s’intende liposolubilità ed idrosolubilità.

Un composto idrosolubile è più facilmente assorbito nelle prime vie aeree che sono più umide.

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Un composto liposolubile è più facilmente assorbito o attraverso la cute. Una volta assorbito

nell’ambito della distribuzione avrà degli organi bersaglio. Gli organi adiposi (S.N.P.) sono i più colpiti.

La soglia dell’odore è un parametro di sicurezza importante ed è la concentrazione nell’ aria alla quale

il soggetto esposto inizia a percepire un odore. Ad esempio nelle sale operatorie si utilizza molto

spesso una miscela di protossido d’azoto e alogenati. Il protossido è presente in quantità superiori

nella miscela rispetto agli alogenati, ma ha una soglia dell’ odore altissima non si sente ed è più

tossico. Gli alogenati sono più forti si avverte la loro presenza in sala operatoria. Sono presenti in

quantità minore nella miscela d’aria inalata dal paziente e sono meno tossici. È importante che un

composto tossico abbia un odore per avere la percezione.

Ad esempio il gas di città in natura non ha odore e viene dato quell’odore in modo tale da avere

percezione della sua presenza nell’ambiente visto che ha una soglia dell’odore molto bassa.

La temperatura d’ebollizione, la tensione di vapore ci dicono quanto un composto sia volatile.

Un composto è volatile quanto più bassa è la temperatura in cui si verifica il cambiamento di stato.

La risposta di un organismo ad un determinato agente dipende dal numero di molecole che

interagiscono. Le proteine sono siti più critici rispetto ai carboidrati o lipidi soprattutto se si tratta di

proteine enzimatiche o acidi nucleici perché più sensibili. Più alto è il numero d’ interazione più alto

sarà l’effetto tossico.

Il numero d’interazione delle particelle con il sito di legame dipende dalle proprietà chimico fisiche.

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Ad esempio una molecola con un basso peso molecolare passa più facilmente attraverso le

membrane e magari anche per trasporto passivo e quindi non ha limite. La modalità d’interazione è

molto importante, bisogna considerare come viene utilizzato un composto a freddo o a caldo (in

questo caso svilupperà più vapore) se in un ciclo chiuso, l’abbigliamento e le modalità di lavorazione.

Va considerata la modalità d’esposizione e la proprietà intrinseca del prodotto di essere pericoloso

perché questi fanno la differenza. Importanti sono i fattori biologici specifici dell’individuo, lo stato di

salute, le sue condizioni metaboliche ad esempio se il fegato è in grado di eliminare questi composti, il

livello d’ immunità e quindi quanto è in grado di contrastare l’agente e la suscettibilità degli organi

bersaglio. Il microclima dell’ambiente perché la temperatura e il livello di umidità influenzano la

volatilità.

Se c’è molto caldo non si fa un uso corretto dei dispositivi di protezione, bisogna vedere se c’è una

buona ventilazione; quindi l’ambiente condiziona la pericolosità di un composto.

Gli agenti di rischio chimico sono:

- Gas: aereiformi a temperatura ambiente

- Vapori:Liquidi volatili a temperatura e pressione ambientali

- Fumi: solide (aerosol) o liquide (nebbie o vapori condensati).

I gas sono pericolosi perché entrano liberamente nelle vie aeree e l’apparato respiratorio è l’organo

bersaglio. Sono anche pericolosi perché sono contenuti nelle bombole con forma poco definita e si

possono urtare e fare esplodere. I gas che ritroviamo in ambito ospedaliero sono: CO, Elio, ossigeno e

propano.

I gas tossici si dividono fondamentalmente in:

Gas irritanti: danno effetti locali, flogosi, broncospasmo ed edema polmonare.

Gas asfissianti: hanno azione sistemica e provocano asfissia per mancanza d’ ossigeno nell’organismo

perché tendono a sostituirsi all’ ossigeno.

Anche i vapori possono essere tossici come i vapori della candeggina perché sono irritanti agli occhi e

alla mucosa e provocare broncospasmo nei soggetti asmatici.

Quando il gas è inerte diventa pericoloso solo quando la sua quantità riduce del 17% la quantità di

ossigeno nell’ambiente esempio CO non CO2. Infatti ha un’affinità chimica per l’ossigeno superiore

all’ossigeno stesso e quanto basta per spiazzarlo.

Tossicità dei gas

- Penetrano attraverso le vie aeree autonomamente o veicolati dal pulviscolo.

- Assorbimento passivo.

- L’esposizione massiva è sempre lesiva per l’apparato respiratorio.

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- Solubilità: L’inalazione dei gas più solubili nelle prime vie aeree (Cl,ammoniaca) spesso

determina solo irritazione della mucosa. Viceversa i meno solubili (NOx,O3) possono penetrare

fino al polmone e di esercitare una tossicità sistemica.

- Reattività: Alcuni gas (es. ossidi di zolfo e di azoto, ozono, fosgene) sono altamente reattivi.

Produzione di composti ossidanti. (possono dare anche dermatite da contatto).

SOLVENTI

Solventi organici: sono composti eterogeni dal punto di vista chimico e modo d’uso, ma sono

accumunati dal fatto di essere estremamente volatili. Sono alcoli, aldeidi, chetoni, vernici, collanti,

esteri ecc..

L’assorbimento dipende dalla concentrazione ambientale e dall’attività fisica perché con l’aumento

della gittata cardiaca e della frequenza si ha una rapida distribuzione in tutto il corpo.

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TOSSICITA DEI SOLVENTI

EFFETTI ACUTI sul S.N.C

Eclatanti: exitus, perdita di coscienza, paralisi, convulsione

Insidiosi: depressione, apatia e riduzione della performance

EFFETTI CRONICI sul S.N.C e PERIFERICO

Eclatanti: cancerogenesi, effetti riproduttivi e sullo sviluppo, danno epatico

Insidiosi: depressione, riduzione della performance.

Esempi di sostanze tossiche:

Benzene: può avere effetti tossici che vanno dall’anemia aplastica fino alla leucemie.

Xilene: viene prodotto ed utilizzato come miscela (o,m,p). Poiché probabilmente ha anch’esso dei

metaboliti intermedi epossidi potrebbe essere cancerogeno.

Alcool metilico: è facilmente assorbito e biotrasformato in aldeide e quindi acido formico che

determina il suo tipico effetto tossico, l’acidosi metabolica; entrambi inibiscono la citocromo ossidasi

riducendo le riserve energetiche della cellula.

Si spiegano cosi i danni cellulari al nervo ottico e la cecità.

Tricloro etilene: è un alogeno con elevata affinità per i lipidi. Un metabolita intermedio epossido è

probabilmente responsabile della sua sospetta oncogenicità; per questo motivo è stato vietato l‘uso

nelle lavanderie.

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ARGOMENTO 18

INTOSSICAZIONE DA PESTICIDI

Detti anche antiparassatari o fitofarmaci, i pesticidi sono un gruppo di sostanze estremamente

tossiche immesse volutamente nell’ambiente dall’uomo allo scopo di eliminare forme di vita animale

o vegetale, parassitarie o dannose.

Sono spesso responsabili di intossicazione, specie nei bambini, per la estrema facilità di assorbimento

di alcuni di essi e per il loro aspetto colorato.

Si usano ancora perché la loro sospensione porta gravi danni all’economia e anche alla salute pubblica

(il DDT, uno dei più dannosi che si accumula nell’ambiente per moltissimo tempo, quando fu

temporaneamente sospeso provocò un aumento dei casi di malaria in Africa).

Altri problemi derivano dalla commercializzazione in moltissime diverse produzioni (oltre 50.000)

spesso contenenti più principi attivi, e dal loro uso talvolta sconsiderato, talvolta criminale.

Classificazione

Per il loro impiego si distinguono in:

• Erbicidi: fanerogame superiori (derivati degli acidi carbossilici)

• Anticrittogamici (fungicidi): crittogame parassite (carbamnati, organostannici)

• Insetticidi (organofosforici, carbamati, organoclorati, piretroidi)

• Rodenticidi

• Molluchicidi (solfato di rame)

• Acaricidi

In base alla struttura chimica:

• Organoclorati (DDT)

• Metilcarbanmati (struttra semplice)

• Clorofenossicarbossilici

• Sali di rame

• Dipiridilici (da noi poco, fra qui il Paraquat, letale in dose di 10 ml)

• Ditiocarbamati

• Dinitrofenoli

• Piretroidi (-trin) insetticidi puri

• Organostannici

• Organofosforici

In base alla tossicitภsono rappresentate diverse classi determinate dal Dl 1255/68 e successivi

aggiornamenti:

I. Contenenti principi attivi con DL50 (50% della dose letale) per Os nel ratto < 50 mg/Kg

Contenenti principi attivi con DL50 per Os nel ratto > 50 mg/Kg ma che possono provocare con

il normale impiego intossicazioni mortali nell’uomo

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II. Contenenti principi attivi con DL50 per Os nel ratto fra 50 e 500 mg/Kg

Contenenti principi attivi con DL50 per Os nel ratto > 500 mg/Kg ma che possono provocare

con il normale impiego intossicazioni mortali nell’uomo

Composti di classe I con principio attivo in concentrazione minore del 30%

III. Contenenti principi attivi con DL50 per Os nel ratto > 500 mg

Composti di classe IV ma con intossicazioni di lieve entità

Composti di classe I e II ma in concentrazione molto bassa

IV. Composti con rischi trascurabili per l’uomo

Composti di classe III in concentrazione molto bassa

Fonti di rischio

Professionale (assorbimento respiratorio, orale o cutaneo)

� Produzione di pesticidi

• Esposto ad un numero limitato di pesticidi (se ne producono al massimo 1-3 tipi per fabbrica)

• Esposizione costante che non varia nel tempo

• Strutture e protezioni abbastanza efficaci

• Esposizione continua

• Possibile esposizione ad intermedi di sintesi a volte anche più tossici del prodotto finito

� Utilizzo di pesticidi

• N° elevatissimo di possibili esposizioni

• Esposizione variabile a seconda delle varie attività agricole svolte (disinfestazione dura alcune

settimane durante l’anno)

• Non ci sono sistemi di sicurezza, eccetto chi usa trattori con cabine pressurizzate o

mascherine, comunque meno efficaci dei sistemi in fabbrica.

• Rientro nei campi trattati per vedere l’effetto. E’ la causa più frequente di intossicazione

perché specie gli organofosforici penetrano facilmente nella pelle e rimangono nel campo per

diversi giorni.

� Erogazione dei pesticidi con aerei ed elicotteri

� Derattizzatori

� Floricoltori: le serre sono ambienti protetti in cui la concentrazione dei fitofarmaci può essere

elevata, e l’umidità e l’alta temperatura, favorendo la vasodilatazione, aumentano l’assorbimento

cutaneo.

Extraprofessionale (assorbimento orale e respiratorio)

• Stoccaggio di pesticidi in luoghi inopportuni ( bambini che giocano nei dintorni e che possono

toccare anche piante trattate)

• Impiego domestico di insetticidi e fungicidi

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• Legno delle abitazioni trattato (pentaclorofenolo)

• Frutta e verdura (in genere ci sono quantità sotto la dose giornaliera ammissibile).

La dosa ammissibile viene calcolata in genere con dati chimici, farmacocinetici, metabolici, unendo i

dati relativi a cancerogenesi, mutagenesi e neurotossicità. Si calcola l’effetto sull’animale, e poi si

applica un fattore di sicurezza (100 o 1000 a seconda della tossicità del prodotto).

Fattori che influenzano l’esposizione

• Metodi di applicazione

• Condizioni climatiche e metereologiche

• Intensità di attività fisica durante l’esposizione (↑ ventilazione)

• Igiene personale

• Durata del lavoro

• Uso di mezzi di protezione

• Livello culturale e conoscenza dei rischi

La nebulizzazione con trattore è rischiosa perché le particelle sono piccole e quindi si ha un

assorbimento respiratorio maggiore, che si somma all’assorbimento cutaneo che già avviene in fase di

preparazione.

ORGANOFOSFORICI

Rappresentano il gruppo di antiparassitari più impiegato in Italia. Sono esteri ciclici di acido

pirofosforico, fosforico e tiofosforico. Sono stati sintetizzati anche a partire dai gas nervini della

seconda guerra mondiale, anche se in campagna si tende ad usare quelli a minor stossicità. Fra di essi

il più noto e il parathion, il primo composto del genere sintetizzato.

Tossicocinetica

Assorbimento orale, cutaneo e respiratorio.

Vengono rapidamente metabolizzati e non si accumulano nell’organismo.

In genere la loro tossicità deriva dalla capacità di questi composti di inibire l’acetilcolinesterasi,

enzima che inattiva l’acetilcolina dopo il legame alla placca motrice e alle sinapsi gangliari del SNA, e

alle sinapsi viscero-effettrice del SNA parasimpatico.

Questo provoca una stimolazione continua di queste strutture che alla fine induce paralisi respiratoria

e morte.

Molti di questi composti non si accumulano, ma il legame con l’eniza è stabile per diverso tempo e si

ha una sorta di accumulo dell’effetto.

Nell’organismo possono esservi reazioni chimiche che rendono il composto più tossico di quanto non

sia, processi di attivazione metabolica. Ad esempio la sostituzione di S con O nel paration (produce il

paraxon) e altre reazioni di dealchilazione ossidativa che avvengono dopo il legame con la

colinesterasi, rendendo tale legame permanente (invecchiamento dell’enzima).

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L’effetto tossico è comunque dovuto alla concentrazione di sostanza libera, e avviene

abbondantemente nonostante la presenza di numerosi meccanismi di detossificazione, anche molto

efficaci e rapidi, perché basta la presenza in circolo di concentrazioni tossiche di principio attivo per

provocare il legame all’enzima. Anche i carbamati in maniera più blanda possono legarsi alla

colinesterasi.

Clinica

Intossicazione acuta

Gli effetti sono principalmente sul SN periferico e centrale, perché i composti sono molto liposolubili e

quindi le sinapsi maggiormente interessate sono proprio quelle del SN.

Alcuni esteri fosforici necessitano di attivazione metabolica prima di poter provocare un effetto

nocivo, e quindi sono capaci di attivare le sinapsi colinergiche della cute o delle vie aeree dove

entrano in contatto, prima di dare effetti sistemici.

Altri, necessitando di una attivazione endogena, provocano soltanto effetti sistemici:

• Effetti locali:

- Cute: sudorazione localizzata

- Occhio: miosi e ↓ della capacità di accomodamento

- Mucosa delle vie aeree: costrizione respiratoria, iperemia, rinorrea

- GE: vomito, diarrea, dolori addominali.

• Effetti sistemici

Gli effetti muscarinici si manifestano per primi, in genere entro 30 minuti dall’esposizione, gli altri

seguono in poche ore, gli effetti centrali per ultimi. In genere l’exitus avviene per la paralisi dei

muscoli repiratori.

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Intossicazione cronica

Molto meno importante, ormai è comunque accertata la possibilità di una neuropatia periferica a

carattere tardivo nei soggetti esposti ad alcuni particolari organofosforici, da degenerazione assonale

simile a quella da esano, in genere dopo 1-2 settimane.

Entro 15 giorni, nel muscolo, può comparire anche una sindrome miastenica da lesioni muscolari

dovute agli spasmi della fase acuta o da danneggiamento della placca neuromotrice.

Diagnosi

Dato anamnestico dell’avvenuta esposizione è essenziale, comunque il quadro clinico è molto

indicativo.

Il dosaggio dell’ACH-Esterasi viene fatto sull’enzima eritrocitario di membrana, che ha una

concentrazione molto simile a quella sinaptica. Esiste anche una ACH-E detta “falsa” o aspecifica che è

un enzima presente nel plasma e in vari tessuti (miocardio, muscolo liscio, mucosa intestinale, cute).

L’entità dell’inibizione enzimatica non è sempre ben correlabile con la gravità del quadro clinico.

CENNI SUGLI ALTRI FITOFARMACI

Carbammati

Meno tossici rispetto agli acidi fosforici. Danno una intossicazione acuta meno grave, con segni di

cefalea, miosi, vomito e nausea, sudorazione. Agiscono come inibitori della ACH-E, ma meno potenti e

senza effetti di tipo nicotinico o centrale, dato che il legame con l’enzima è meno stabile. Il

trattamento con ossime è controindicato visto che le ossime si sostituiscono all’inibitore sulla ACH-E,

ma in questo caso l’inibitore tossico ha una cinetica di legame più rapida ancora di quella delle

ossime.

Organoclorati (DDT)

Molto utilizzati anche se in diminuzione. Hanno l’ottima capacità di essere attivi contro insetti

portatori di gravi malattie, ma purtroppo sono incredibilmente stabili e si accumulano nell’ambiente

per decenni. Si accumulano nel tessuto adiposo, con emivita lunghissima (3,7 anni per il DDT). Si trova

ad esempio nel latte delle mucche che pascolano in terreni trattati da decenni.

L’intossicazione acuta, rara e spesso suicida, interessa il SNC con inibizione dei meccanismi di

recupero del calcio e potassio intracellulare, che provoca depolarizzazione cellulare nei neuroni

motori e convulsioni, irritabilità, contrazioni tonico-cloniche e parestesie.

Peggiore è l’effetto cronico che si esplica essenzialmente come un cancerogeno certo. Vengono usati

per la mancanza di alternative.

Fenosiacetici

Erbicidi. I due più usati sono il 2,4 diclorofenossiacetato (24D) e il 2,4,5 Triclofenossiacetato (245T).

I pochi casi descritti da intossicazione riguardano il 24D e indicano una potenziale tossicità per il SN

centrale e periferico con ipotonia muscolare, atassia, compromissione del sensorio, neuropatie

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periferiche. Durante la produzione si può formare diossina (vedi dopo). Probabilmente è un

cancerogeno (linfomi non Hodkgin).

Diossina

Pesticida erbicida di tipo fenossicarbossilico, la diossina veniva molto usata come defogliante dagli

americani in Vietnam. Si può liberare anche da incendi urbani, dalla combustione delle plastiche e da

diverse industrie.

E’ la sostanza più tossica conosciuta: DL50 2 ug/kg per Os. Ache se ci sono differenze fra le specie

animali e alcuni ratti hanno una DL 50 di 3 mg/Kg.

Gli effetti acuti non sono ben noti perché mancano le osservazioni, si forma una irritazione cutanea

detta cloracne in cui la cute subisce ulcerazioni da effetto locale (ma anche sistemico) della tossina.

Nell’animale da esperimento provoca una sindrome cachettica con morte in 7 giorni per inibizione

della gluconeogenesi.

Come effetto cronico è nota l’aumentata incidenza di linfomi e sarcomi misurata nelle popolazioni del

Vietnam.

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ARGOMENTO 19 INTOSSICAZIONE DA MONOSSIDO DI CARBONIO

Il monossido di carbonio è un gas prodotto dalla combustione incompleta (perché prodottasi in

ambienti scarsamente ossigenati) di materiali organici: si produce allora CO e non CO2 a causa della

bassa concentrazione di ossigeno.

Il gas, potente veleno dell’emoglobina, è incolore, inodore, ed essendo più leggero dell’aria si

accumula negli ambienti alti (soppalchi, mansarde eccetera). Non da alcuna azione irritante ma è

infiammabile e diviene esplosivo se miscelato all’aria in adeguate proporzioni.

La sua produzione spontanea è estremamente facile e quindi si verifica sia l’intossicazione

professionale che extraprofessionale.

Attività lavorative e condizioni a rischio

• Incendi

• Forni e fusione di metalli

• Altiforni per ceramiche e laterizi

• Garage e officine meccaniche

• Magazzini con mezzi a motore

• Attività lavorative su strade ad alto traffico

Fonti non occupazionali

• Gas di scarico di autoveicoli (benzina con piombo maggiormente di diesel e benzina verde)

• Vicinanza di impianti industriali

• Incendi

• Fumo di sigaretta

• Stufe a metano (deriva dalla combustione), a legna, a kerosene, che bruciano in ambienti chiusi

consumando ossigeno e producendo alla fine CO. Avviene spesso in case in condizioni scadenti

(studenti, extracomunitari).

• Bracieri, caldaie, camini, specie in case abitate stagionalmente (o seconde case di persone

benestanti

che non vengono adeguatamente controllate), ambienti sigillati, case mobili

• Autoveicoli (a scopo suicida)

Tossicocinetica

Via inalatoria (l’assorbimento del CO a piccole dosi viene anche usato per valutare la diffusione

alveolo capillare nelle pneumopatie interstiziali). Subito e con estrema facilità si lega all’Hb, dove

forma carbossiemoglobina con una affinità 240 volte maggiore di quella per l’ossiemoglobina.

La carbossiemoglobina non è in grado di legare l’ossigeno, e non può distaccarsi spontaneamente dal

CO. La quantità di carbossiemoglobina prodotta dipende dalla concentrazione di CO, dalla

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ventilazione polmonare e dal tempo di esposizione. Il 10% si lega alle proteine e agli enzimi tissutali,

l’1% all’ossigeno formando CO2, l’1% resta in soluzione nel plasma.

Il legame fra CO e Hb si scinde lentamente (t/2 4 ore) alla cessazione dell’esposizione (in aria

ambiente), e il tossico viene eliminato puro nell’aria espirata.

In un soggetto a riposo il t/2 è 320 minuti, con inalazione di ossigeno puro a 1 atm scende a 80’, con

ossigeno puro a 23 atm scende a 23’. La somministrazione di O2 in camera iperbarica resta quindi il

miglior trattamento dell’intossicazione da CO.

Patogenesi

La cessazione della funzione dell’Hb provoca una ipossia tissutale e cerebrale. I meccanismi di questo

danno sono:

• Legame del CO all’Hb, che compete con l’ossigeno e diminuisce l’ossigenazione tissutale

• Effetto Haldane (spostamento a sinistra della curva di dissociazione dell’Hb) per il legame del CO

• Legame del CO a citocromo ossidasi della catena respiratoria e altri enzimi, compresa la mioglobina

(non è stato chiarito se questo meccanismo ha una importanza nella patogenesi dell’intossicazione

umana)

Clinica

Intossicazione acuta

Dovuta alla sofferenza ipossica dei vari organi, proporzionale alla concentrazione di carbossi-Hb e

quindi alla concentrazione di CO nell’aria, al tempo di esposizione, all’età e alle condizioni del

soggetto.

I sintomi principali sono a carico del SNC, e c’è una corrispondenza abbastanza netta (anche se non

sempre) fra la % COHb e la sintomatologia.

Ci sono però anche altri sintomi a carico di organi e apparati, sebbene siano le condizioni cerebrali a

provocare l’exitus: ma se il paziente sopravvive ci sono complicanze neurologiche tardive, a distanza

di diverse settimane:

• Stato vegetativo

• Acinesia

• Mutismo, agnosia

• Parkinsonismo

• Deficit visivo

• Alterazioni dell’umore, della personalità e della memoria

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Talora sono presenti segni di lesione renale, e di sofferenza epatica. La paralisi respiratoria da

compromissione del bulbo cerebrale è la causa più frequente di morte, ma possono anche esserci

numerose altre complicanze.

Sono maggiormente a rischio:

• Feti (intossicazione materna)

• Anziani

• Bambini

• Pazienti con BPCO, cardiopatie, anemia.

L’intossicazione acutissima è una sindrome che porta in brevissimo tempo alla paralisi respiratoria,

coma e morte, per concentrazione di CO nell’aria molto elevata.

Il pericolo dell’intossicazione da CO è però la sua lentezza e i sintomi subdoli che spesso pongono

problemi di diagnosi differenziale con patologie semplici e di scarsa pericolosità. Il paziente dopo aver

sperimentato i segni di malessere generale, nausea e cefale in genere tende al sopore e si

addormenta, specie se da solo, convinto di avere una forma influenzale o una lieve indisposizione, per

non risvegliarsi mai più.

La diagnosi differenziale viene fatta:

• Cefalea vasomotoria

• Intossicazione alimentare

• Cardiopatia ischemica

• Vasculopatia cerebrale

• Ipoglicemia

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• Disordini psichiatrici

Ancora più importante è la diagnosi differenziale con la sindrome influenzale. Rispetto a questa,

l’intossicazione da CO:

• E’ comune in inverno

• E’ comune nelle cattive condizioni meteriologiche anche perché in alcune canne fumarie che escono

sul lato della casa se c’è vento i fumi ritornano nell’ambiente

• Frequenti episodi ricorrenti nella stessa abitazione

• Colpite più persone e animali contemporaneamente

• Miglioramento spontaneo se il soggetto esce all’aperto.

Intossicazione cronica

L’esistenza di una possibile intossicazione cronica è controversa: forse esistono, in lavoratori esposti

frequentemente, delle manifestazioni nervose e cardiache correlate. Fra di esse ci sono astenia,

cefalea e vertigini, e anche cardiopalmo, turbe del ritmo, crisi anginose. Incostanti e modesti i segni

epatici e renali.

Diagnosi

Anamnesi e sospetto o documentazione dell’esposizione. Si procede in due modi: da un lato si

ricercano le fonti di CO2 nell’ambiente, dall’altro si eseguono i dosaggi organici di:

• CoHb nel sangue (gold standard ma complesso e costoso)

• CO nell’aria alveolare (- costoso e più veloce)

Altre indagini utili:

• Emogasanalisi anrteriosa: PO2 normale, PCO2 No↓, acidosi metabolica, ↓SatHb (gli ossimetri però

non distinguono fra COHb e O2Hb)

• ECG

• EEG

• TC, RMN cerebrale (lesioni ipossiche precoci)

• ↑CPK, LDH, mioglobina (alterazioni renali precoci)

• Test psicometrici

Prevenzione

Mezzi protettivi individuali dove e quando necessario

Prevenzione generale delle attività lavorative (isolamento, controllo a distanza, ventilazione,

aspiratori)

VLP: 55 mg/m3 (50 ppm)

Sorveglianza sanitaria degli esposti

Test di dose: dosaggio della COHb nel sangue arterioso (meno usato il CO nell’aria espirata, ma più

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semplice).

Al valore limite può corrispondere una % di COHb di 7,5%. Lavoratori che fumano e che sono esposti a

concentrazione tollerabile di CO possono avere una percentuale di 10-12%. In questi soggetti è

necessario non fumare per almeno 15-20 ore prima del test.

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INTRODUZIONE ALLE BRONCOPNEUMOPATIE PROFESSIONALI

Le broncopneumopatie professionali sono uno dei cavalli di battaglia della medicina del lavoro.

Esse rappresentano un argomento di medicina del lavoro che riguarda la patologia professionale.

Queste patologie sono tutte a carico dell’apparato respiratorio o del sistema bronco-polmonare e

comprendono diverse entità. Questo è l’inquadramento generale delle broncopneumopatie

professionali:

• Da agenti irritanti (polveri, fumi, gas) acute vie aeree, parenchima polmonare

croniche NH3, SO2, NOx, Alogeni, H2S, fumi

saldatura, aromatici, formalina, polveri

minerali, vegetali

• Allergie respiratorie acute asma bronchiale, alveoliti allergiche

Croniche

• Pneumoconiosi sclerogene silicosi, asbestosi, da calcare, silicati,

non sclerogene altri minerali

• Altre pneumopatie cadmio, cobalto, berillio, PVC, cotone

• Neoplasie broncogene, parenchimali, pleuriche asbesto, IPA, Silice cristallina, Nichel,

Arsenico, Radon.

La patogenesi di queste malattie è identica a quella delle malattie extra-professionali, è l’etiologia che

cambia. L’etiologia nelle broncopneumopatie professionali è per causa prevalente da lavoro, ovvero

nel caso della neoplasia polmonare la causa prevalente dovrà essere l’esposizione ad uno degli agenti

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sopra menzionati. Non vi è mai la certezza assoluta ma vi può essere un’elevata probabilità di sviluppo

del tumore.

Patologie da agenti irritanti

Gli agenti irritanti possono essere polveri, fumi e gas. Dal punto di vista clinico abbiamo delle forme

acute o croniche con interessamento delle vie aeree e del parenchima polmonare.

Dove agiscono i gas irritanti nelle intossicazioni adulte? Vengono interessate principalmente le prime

vie aeree (bronchi). L’azione irritante è a carico di sostanze come le aldeidi (formaldeide, acetaldeide,

acroleina, etc.), le sostanze acide o alcaline (H2S, HCl, HF, SO2, H2SO4). L’azione sulle vie aeree è data

da sostanze ad elevata solubilità (ad esempio aldeide, sostanze acide e alcaline), l’azione sugli alveoli

da sostanze a solubilità intermedia (alogeni o composti del fosforo) mentre l’azione sul parenchima

polmonare è data da sostanze a bassa solubilità (gli ossidi di azoto che sono delle sostanze

particolarmente tossiche che possono determinare delle gravi intossicazioni fino alla morte).

Sindromi acute da bronco-irritanti

Abbiamo delle sindromi acute di tipo ritardato oppure delle sindromi acute di tipo misto. Si

manifestano dal punto di vista clinico con un’insorgenza rapida: tosse accessionale con laringospasmo

e senso di soffocamento. Se ritardate, insorgeranno con un tempo di latenza compreso tra 4 e 16 ore.

Nel tipo misto potremmo avere un’iniziale irritazione seguita dalla sindrome ritardata. Quali sono le

sostanze irritative che nei cicli lavorativi possono determinare queste patologie? Abbiamo lana, seta,

cellulosa, sostanze dell’industria della carta, dell’industria dei tessuti, dell’industria delle buste di

plastica o addirittura dell’industria del gasolio quindi idrocarburi.

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ARGOMENTO 20

PNEUMOCONIOSI

Da pneumo-2+greco kónis, polvere+-osi, le pneumoconiosi sono un gruppo di malattie polmonari

determinate dall'inalazione di polveri inorganiche, il più importante tra le cosiddette malattie

professionali per la frequenza e la gravità di alcune di esse.

Nell’esposizione lavorativa possiamo incontrare polveri (particelle sospese in una matrice gassosa che

è l’aria) e vapori (particelle liquide che si liberano nell’aria quando la temperatura di quel mezzo è

inferiore a quella ambientale).

Possiamo classificare le polveri secondo la natura chimica in:

- organiche: animali e vegetali, non attive dal punto di vista chimico-patogenetico;

- inorganiche: biossido di Silicio (SiO2) e altri componenti minerali, chimicamente attive.

Per quel che concerne il comportamento riconosciamo polveri:

- inerti: le polveri di Stagno o Ferro sono introdotte nell’apparato respiratorio, non agiscono in

maniera attiva ma danno solo una patologia da accumulo;

- nocive o attive: il SiO2 provoca un tipo di risposta che si avvicina a quella immunitaria, dando

una patologia fibrotica.

Per quanto riguarda la derivazione delle polveri le distinguiamo in:

- vegetali;

- animali;

- minerali.

Le polveri, dopo esser state inalate, si depositano nell’albero tracheo-bronchiale che proteggerà il

nostro organismo tramite la depurazione o traslocazione delle polveri stesse.

Ovviamente ogni polvere innesca un diverso meccanismo di reazione a seconda delle caratteristiche

intrinseche dell’aerosol che noi respiriamo ma anche delle condizioni dell’apparato respiratorio: se ad

es. l’albero bronchiale presenta stenosi, funzionalmente avremo un fastidio, ma esso si presenterà

meno disponibile all’accettazione delle polveri stesse. Inoltre, poiché anatomicamente il bronco dx ha

un andamento più verticale rispetto al sx, in alcune patologie la polvere, soprattutto da pomice, causa

manifestazioni cliniche più imponenti dal lato dx. A seconda poi che un soggetto respiri col naso o con

la bocca, la depurazione di queste polveri sarà maggiore o minore rispettivamente (le ciglia della

mucosa nasale effettuano già una clearance, mentre chi respira con la bocca immette il contenuto

aereo direttamente in laringe).

L’inalabilità delle polveri dipende da vari fattori:

- dimensione delle particelle: le polveri sono costituite da un aerosol che varia di pochi micron:

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o le polveri comprese tra 0,2 e 5 micron sono maggiormente nocive;

o le polveri < 0,2 micron restano sospese nell’aria che respiriamo (entrano ed escono

con gli atti respiratori senza mai depositarsi);

o le polveri > 5 micron si depositano immediatamente per effetto della gravità (hanno

maggiore possibilità di essere espulse rispetto alle altre che si addentrano negli

alveoli).

La fase di deposizione può essere totale ma anche regionale, nel senso che le polveri si possono

anche fermare nelle vie aeree superiori e a seconda della sede di deposizione esprimono il loro

effetto biologico. I meccanismi di difesa sono dati da:

- effetto gravitazionale: comporta la deposizione delle polveri che non raggiungono la parte

terminale del nostro albero respiratorio;

- effetto di intercettazione da parte delle polveri: dipende dal diametro delle polveri stesse e dal

flusso respiratorio;

- diffusione Browniana delle polveri: una volta immesse nell’albero bronchiale possono così

spostarsi perché immerse in un sol, in un liquido di superficie;

- attrazione elettrostatica: dipende dal diametro e dalla carica superficiale.

o Se le particelle sono > 5 micron vengono fermate dal naso e dall’orofaringe;

o se comprese tra 2,5 e 5 micron arrivano all’albero tracheo-bronchiale;

o se < 0,5 interessano tutto il tratto respiratorio.

Altri meccanismi che possono intervenire nell' invasione da parte di questo mezzo esterno del nostro

albero respiratorio sono:

- Varianti fisiologiche:

o la frequenza respiratoria: più è elevata (es. nei soggetti che lavorano nelle cave,

miniere, che compiono uno sforzo fisico) e maggiore sarà l’intercettazione delle

polveri; una bassa frequenza ( per chi conduce un lavoro sedentario) favorisce invece la

loro sedimentazione e quindi l’espulsione.

- Varianti patologiche:

o abuso di fumo di sigaretta;

o azione tossica delle polveri stesse;

o patologie broncopolmonari, es. nelle sindromi asmatiche la broncocostrizione,

invalidante dal punto di vista respiratorio, impedisce però il passaggio delle polveri.

La depurazione è dovuta alla clearance muco-ciliare nel primo tratto respiratorio, nella trachea e nei

bronchi e alla clearance macrofagica a livello alveolare. Il gel e il sol costituiscono il muco prodotto

dalle cellule globose e mucipare che facilita l’espulsione verso l’esterno delle polveri. Bisogna tener

presente che le ciglia sono impedite da fattori patologici quali:

- fumo (quando infatti si smette di fumare aumenta lo stimolo alla tosse, proprio perché le ciglia

si rimettono in moto);

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- acido solforico;

- ozono;

- formaldeide;

- anidride solforosa.

Per quel che concerne la clearance alveolare riconosciamo tra i fattori attenuanti:

- diametro delle fibre che non possono raggiungere la parte profonda del polmone;

- solubilità nel gel o nel sol dell’albero bronchiale;

- esposizione a tossici quali acido solforico, gas nitrosi e silice.

Riassumendo la patogenicità è legata a:

- dimensioni delle particelle;

- proprietà fisico-chimiche per cui possono essere attive o non attive;

- concentrazione;

- efficacia dei meccanismi di depurazione.

L’ILO (International Labor Office) che ha sede a Ginevra ha classificato le pneumoconiosi dal punto di

vista radiologico. Secondo l’ ILO le pneumoconiosi consistono in un accumulo di polveri minerali nei

polmoni e in tutto quello che ne consegue dalla reazione dei tessuti alla loro presenza. Per quanto

riguarda le pneumoconiosi sclerogene la loro espressione patogenetica porta ad alterazione

irreversibile della struttura alveolare che comporta un processo di fibrosi polmonare; se anche queste

fibre vengono allontanate la patologia, nella migliore delle ipotesi, resta allo stadio in cui è stata

accertata, ma può evolvere in conseguenza di una risposta come quella immuno-allergica che si

autoalimenta. Le non sclerogene sono invece patologie da accumulo che comportano reazioni

tessutali reversibili una volta allontanato l’oggetto patologico, perché la riparazione non è di tipo

fibrogeno ma di tipo stromale.

Le pneumoconiosi sono classificate anche secondo un criterio eziologico:

• pneumoconiosi da polveri sclerogene, delle quali le più importanti sono la silicosi, l'asbestosi,

la berilliosi;

• pneumoconiosi da polveri miste quali la silico-antracosi (da polvere di carbone con un tasso di

silice libera inferiore al 2%), la silicosi dei ceramisti (da polvere di caolino con piccola

percentuale di silice), la silicatosi da smalti (da polvere di silicati o borati con piccola

percentuale di silice);

• pneumoconiosi da polveri inerti quali la siderosi (da polvere di ferro o di ossidi di ferro) e

l'alluminosi (da polvere di alluminio).

• Pneumoconiosi senza accumulo: es. berilliosi.

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Clinicamente tutte le pneumoconiosi comportano una ridotta funzionalità respiratoria e sono gravate

da una serie di complicanze, dalla bronchite cronica all'insufficienza cardiaca alla possibile insorgenza

di neoplasie pleuriche e bronchiali (asbestosi). Per la diagnosi è dirimente l'esame radiologico ma si

rendono indispensabili, anche ai fini medico-legali, le prove di funzionalità respiratoria che sono le più

indicative per una precisa valutazione dell'entità del danno respiratorio. La terapia delle

pneumoconiosi è mirata fondamentalmente alla cura delle complicanze.

SILICOSI

La silicosi è una pneumoconiosi evolutiva sclerogena (irreversibile), causata dall’esposizione a polveri

di Silicio (SiO2) allo stato cristallino come quarzo, tridmite, cristobalite e forme rare; allo stato amorfo

si avvicina molto di più alle polveri inerti, un es. è la polvere di pietra pomice, il cui contenuto di SiO2

è uguale a quello della crosta terrestre.

La forma cristallina è presente solo nel 2-3% quindi agisce nell’espressione della patologia come una

forma da accumulo soltanto e non fibrotica irreversibile; da ciò deduciamo che la patogenicità è

legata non solo alle caratteristiche chimiche ma anche cristallografiche.

L’esposizione al rischio pneumoconiotico avviene:

- nell’industria siderurgica: il Ferro viene fuso negli alti forni formati e riformati ogni volta con

materiale refrattario a seconda della tipologia del prodotto che bisogna fare, se si deve fare un

lingotto o un altro manufatto vengono costruiti e ricostruiti ma la demolizione del manufatto

di quarzo ci espone al rischio. Un’altra esposizione nell’industria siderurgica è la sabbiatura, un

procedimento che consente con un getto di sabbia ad alta pressione ad es. di eliminare la

ruggine dalle navi. Immaginate che la sabbiatura sia fatta da microsfere di metallo: queste, se

inalate, darebbero una forma di accumulo che può regredire.

- nell’industria ceramica: il prodotto in ceramica è fatto con l’argilla, cotta e spazzolata;

- nell’industria del vetro e cristallo, fatti fondendo la silice.

A parità di esposizione, la pericolosità è maggiore in miniera perché l’ambiente è confinato al

sotterraneo rispetto alla cava dove il lavoro viene svolto all’aperto.

A Lipari c’erano delle cave da cui veniva estratta la pomice, poi si essiccava al sole il pezzame su delle

piastre roventi di forni alimentati con del fuoco sottostante. Gli addetti a questa mansione morivano

nel giro di 2 anni per una patologia da accumulo rapidamente evolutiva, ma i lavoratori venivano

pagati il triplo, si trattava di una forma di suicidio premeditato del capofamiglia, sacrificato per la

famiglia. La pomice veniva aspirata attraverso dei filtri all’interno dello stabilimento. Ora dalle nostre

parti le cave di pomice non ci sono più perché le Eolie sono patrimonio dell’UNESCO.

Patogenesi

Per quanto riguarda la patogenesi diciamo che la silice che arriva al nostro albero respiratorio è attiva

metabolicamente per cui innesca un meccanismo di attivazione del complemento che recluta i

macrofagi; questi ultimi non sempre però riescono ad eliminarla così muoiono, provocando il richiamo

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di altri macrofagi e neutrofili, con un meccanismo di automantenimento che, nella migliore delle

ipotesi, si blocca allo stadio di attivazione, ma non ci sarà mai il recupero.

Anatomia patologica

L’elemento anatomo-patologico è dato dal nodulo silicotico fatto da una sostanza ialina a lamelle

concentriche; per essere visibile microscopicamente, grazie alla radiologia, deve esserci una certa

quantità di questi noduli, poiché il limite di discriminazione sulla pellicola radiologica si aggira intorno

a 1mm.

Forme cliniche di silicosi:

- silicosi nodulare pura:

o a decorso cronico (15-20 anni) semplice;

o a decorso cronico complicato;

o acuta (accelerata, 2-3 anni), quando la quantità di quarzo è elevata, es. quella presente

nelle miniere e nelle cave delle Dolomiti.

- pneumoconiosi da polveri miste, ad es. in miniere di carbone: esiste una forma pura,

l’antracosi, da esposizione al carbone, che non è una forma fibrotica, mentre le forme miste

sono quelle in cui è presente la silice e altri materiali inerti.

Dal punto di vista della diffusione può essere diffusa e poi esistono sindromi silicotiche frutto di una

silicosi e la tubercolosi che daranno silico-tubercolosi, la sindrome di Caplan quando abbiamo

l’associazione tra silicosi e artrite reumatoide, la sindrome di Erasmus data da silicosi e sclerodermia

sistemica.

La silicosi nodulare pura a decorso semplice ha una latenza molto lunga, è secondaria ad

un’esposizione moderata, l’insorgenza è di tipo subdolo ed ha un’evoluzione che segue l’andamento

del quadro radiologico, nel senso che all’inizio non avremo radiologicamnente una nodularità visibile

per cui il paziente presenterà dei sintomi comuni alle broncopneumopatie quali tosse, dispnea,

astenia, nulla di specifico.

Dal punto di vista radiologico i noduli sono diffusi a localizzazione prevalentemente medio-apicale

bilateralmente (nell’asbestosi invece è in genere medio basale). Frequenti sono le complicanze,

soprattutto di tipo infiammatorio, bronchitico, la prognosi è più o meno favorevole.

Diagnosi:

- Anamnesi lavorativa:

o tipo e durata dell’attività lavorativa che dimostri una congruità di rischio

(dimostrazione dell’esposizione a un rischio effettivo);

o caratteristiche dell’esposizione;

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o caratteristiche dell’ambiente di lavoro: chiuso, all’aperto, con aspiratori, con sistemi di

abbattimento delle polveri (si dispone un aerosol di acqua le cui goccioline legano le

polveri che sedimentano per gravità).

- Semeiotica medica:

o bronchitica con ronchi, sibili;

o ipomobilità delle basi e timpanismo per enfisema;

o murmure vescicolare in genere non alterato, in alcuni casi accompagnato da rumori

secchi, quasi mai umidi.

- Semeiotica strumentale:

o quadro di tipo restrittivo, nella maggior parte dei casi;

o quadro di tipo ostruttivo, se la patologia si complica con manifestazioni bronchitiche;

o misto: ostruttivo e restrittivo.

- Strumenti diagnostici:

o RX torace, strumento principe

o TC

o Scintigrafia polmonare

o BAL

o Biopsia polmonare, fatta solo in casi di sospetta patologia neoplastica

o PFR funzionalità respiratoria polmonare

Man mano che avanza il processo di fibrosi la compliance del polmone si riduce per cui avremo una

sofferenza secondaria dovuta al mancato ritorno elastico del polmone. Tramite l’Rx identifichiamo

una forma cronica semplice, le cui nodulazioni sono in genere di tipo tondeggiante, cioè a contorni

regolari (nell’asbestosi queste opacità hanno un contorno irregolare, di forma più o meno allungata).

Sempre tramite l’RX possiamo apprezzare la profusione, ovvero la numerosità dei noduli.

Le opacità le distinguiamo in:

- piccole, con diametro fino a 1 cm:

o a contorni regolari:

� fino a 1,5 mm (p)

� da 1,5 a 3 mm (q)

� da 3 a 10 mm (r)

o a contorni irregolari:

� fino a 1,5 mm (s)

� da 1,5 a 3 mm (t)

� da 3 a 10 mm (u)

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- grandi, con diametro superiore 1,5 cm:

o A, per una o più opacità la cui somma non superi 5 cm di superficie

o B, quando la somma supera i 5 cm ma non l’equivalente in superficie del terzo

superiore del polmone dx (come termine di paragone viene presa la superficie del terzo

superiore del polmone dx perché libera da sovrapposizione di vasi);

o C, superiore alla precedente estensione.

Questa classificazione è stata fatta perché, essendoci un risvolto assicurativo nell’ambito delle

pneumoconiosi, la valutazione non può essere di tipo qualitativo (una volta si parlava di noduli della

grandezza di un cecio, di una lenticchia, ma poiché queste variazioni cerealicole hanno dimensioni

non quantificabili è stato necessario dare una codifica alle nodulazioni).

L’ILO nel 1980 tramite l’Rx ha provveduto ad una classificazione della profusione, ovvero della

numerosità delle nodularità:

- col segno (-) si indica l’assoluta assenza di nodularità;

- categoria 0, indica la presenza di così pochi noduli da non essere accettati come possibili

conseguenze di pneumoconiosi, quindi comincia solo il livello di attenzione nei confronti della

patologia;

- categoria 1, 2, 3 (non si arriva a 5, 6, 7), indica aumento delle nodularità ;

- col segno (+) si indica la profusione massima, oltre la quale vedremmo un campo bianco.

Altri segni aggiuntivi sono gli ispessimenti pleurici, le calcificazioni pleuriche e tanti altri segni

codificati come l’enfisema, ecc. che se non ricordate non importa.

Un elemento caratteristico delle silicosi sono poi le linfoghiandole “a guscio d’uovo” che però sono

rare da osservare.

L’RX convenzionale risulta molto utile, la TC ci dà altri elementi aggiuntivi ma assume strati radiologici

più o meno sottili di tutto il polmone: ogni taglio TC raggiunge un numero di noduli inferiore rispetto a

quello che si ha dalla sovrapposizione di tutto il campo nodulare, così come viene mostrato dalla RX

che dà la proiezione di tutti gli strati su un’unica pellicola. Per quanto riguarda l’enfisema, dal punto di

vista radiologico, molti utilizzano la descrizione qualitativa di questa malattia ovverosia l’annerimento

del radiogramma dovuto alla presenza dell’aria. Si riteneva che maggiore fosse l’annerimento

maggiore fosse la gravità dell’enfisema ma non è del tutto vero perché se la radiografia è sviluppata in

modo improprio, cioè se è sovraesposta, avremo l’annerimento perché è bruciata la struttura che

andiamo a radiografare. La presenza di enfisema si valuta visualizzando l’albero vascolare (che

rappresenta il 90% del polmone): ciò significa che la distribuzione in misura congrua dei vasi che ci dà

l’immagine radiografica rappresenta un circolo polmonare integro, per cui non c’è enfisema; se invece

questo elemento viene a mancare la pellicola si annerisce ancora di più, quindi c’è enfisema.

Ultimamente la silice è stata imputata essere un elemento cancerogeno, ancora però ci sono tesi pro

e contro. Nella IARC è stata classificata nel gruppo 1, cioè come cancerogeno certo per l’uomo. In

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genere la progressione della patologia, salvo complicazioni, è molto lenta ma è complicata nelle forme

acute e in quelle a decorso complicato. Allontanare il soggetto dall’esposizione non facilita la

restituito ad integrum, sebbene possa evitare l’avanzamento. L’evoluzione ultima è legata alle

infezioni respiratorie e l’exitus può avvenire in seguito a complicanze da cuore polmonare.

Prevenzione:

- polverosità < 0,05 mg/m3

- sorveglianza sanitaria:

o visita medica;

o Rx torace;

o PFR.

Il decreto 303 del 1956 prevedeva la periodicità delle visite con una sorveglianza radiologica ogni 6

mesi ma, poiché si tratta di una patologia molto lenta, non si potevano osservare cambiamenti. La

legge non è stata mai modificata ma indirettamente sconfessata quando è subentrato il decreto sulla

protezione dalle radiazioni ionizzanti secondo il quale se c’è una metodica alternativa non si può

utilizzare la radiografia, nè si può sottoporre il paziente a radiazione se non c’è un principio di

giustificazione.

Normativa:

- legge 12/04/1943, introduce la tutela per la silicosi;

- testo unico (T.U.) 1124/65 teneva conto di:

o morte;

o inabilità permanente parziale ( >10%);

o assegno giornaliero per inabilità temporanea assoluta;

o rendita di passaggio, ovvero erogazione in capitale di due annualità di rendita per dare

modo al soggetto di cambiare attività lavorativa.

ASBESTO

Le patologie correlate all'asbesto di dividono in:

• non neoplastiche: che a loro volta si dividono polmonari e pleuriche, e

• neoplastiche.

Quella polmonare è l'asbestosi.

Questo termine (asbestosi) va utilizzato solo per la patologia che colpisce il polmone, non la pleura.

Sentirete qualche volta la dizione di “asbestosi pleurica” che è scorretta. Il comparto pleurico viene

colpito con manifestazioni di ispessimento, calcificazioni, però in questo caso si parla di “lesioni (ad

esempio) calcifiche correlate o secondarie a” ma non di asbestosi pleurica perché è improprio.

Asbestosi è un termine che va riservato soltanto alla patologia fibrotica polmonare.

Invece le manifestazioni neoplastiche sono il carcinoma broncogeno, il mesotelioma che può essere

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pleurico o peritoneale e i tumori che ci sono in altre sede (tratto gastro-enterico, laringe, ecc).

Qualche volta vi troverete, per motivi professionali, a fare delle perizie medico-legali e vi dovrete

esprimere sul nesso di causalità di una patologia. Ricordatevi sempre che è importante ricostruire

l'anamnesi lavorativa, ormai è scontato, ma nell'anamnesi lavorativa voi dovete rivedere l'entità di

esposizione al rischio per poter stabilire che, effettivamente, quel soggetto è stato esposto ad una

quantità che possa far propendere per una correlazione tra la dose assorbita e la patologia che si

manifesta.

Ovviamente se c'è un soggetto che ha un carcinoma broncogeno che ha lavorato nell'industria

dell'asbesto ma ha lavorato sei mesi e poi non ha lavorato più o ha fatto il ferroviere, sicuramente non

è consigliabile orientarsi in questi termini perché, siccome tutte queste patologie sono dose-

dipendente (tranne il mesotelioma), ovviamente non c'è un'esposizione congrua.

PATOLOGIE NON NEOPLASTICHE POLMONARI (ASBESTOSI)

L'asbestosi è la pneumoconiosi da inalazione di asbesto o amianto, termine con cui si intendono

cristalli di silice che formano fibre che possono assumere diversa forma geometrica: serpentino e

anfibolo.

Questa pneumoconiosi, pur essendo assai meno diffusa della silicosi, acquista una enorme

importanza, non solo per la gravità del quadro polmonare, ma anche per la elevata frequenza della

complicazione con forme neoplastiche, che peraltro possono comparire anche in seguito a basse

esposizioni non sufficienti a provocare la instaurazione della pneumoconiosi.

Schematicamente possiamo dire che l’asbestosi è una patologia:

- prodotta dall'inalazione di fibre

- caratterizzata dalla fibrosi

- irreversibile.

- direttamente proporzionale all'entità dell'esposizione cumulativa, quindi bisogna considerare la

sommazione.

La sua diagnosi non è semplice, presenta infatti segni aspecifici, quelli la tosse, la dispnea, dolori

toracici e negli stadi più avanzati, quando compare lo scompenso respiratorio, può comparire anche la

cianosi. Inoltre è una patologia che ha una latenza medio-alta, 10-15 anni.

Patogenesi

C'è un danno meccanico diretto, poi c'è l'azione citotossica che viene esercitata dalle fibre e poi a

questa può seguire una reazione di tipo infiammatorio con alveolite essudativa oppure la fibrosi. Uno

degli elementi diagnostici, per vedere se la patologia è attiva, è quello di misurare il livello della

citologia del BAL per vedere se la presenza dei PMN è più o meno elevata e questo ci dà l'indicazione

dell'effetto infiammatorio da parte delle fibre.

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Struttura delle fibre

L’amianto è costituito da Silicati di Mg e di Fe a struttura fibrosa. In natura ne esistono due gruppi

principali:

- CRISOTILO o serpentino o asbesto bianco costituito da fibre relativamente corte e ricurve, pertanto

dotate di scarsa penetrabilità nel parenchima polmonare

- ANFIBOLICO costituito, nelle sue cinque varietà (crocidolite (la più patogena), Amosite, Tremolite,

Antofillite, Actinolite) da fibre relativamente lunghe e rettilinee, pertanto dotate di alta penetrabilità

nel parenchima polmonare.

Le fibre con diametro superiore ai 3 micron non risulterebbero patogene in quanto non possono

raggiungere il polmone distale. Le fibre di lunghezza superiore ai 5 micron fino a 50 micron ed oltre,

disponendosi nel bronco in direzione parallela alla corrente aerea raggiungono facilmente l’alveolo

ove le più lunghe possono rimanere in questa sede per lunghi periodi, provocando una alveolite,

mentre le meno lunghe passano nell’interstizio, spostandosi lungo le vie linfatiche. L’anfibolico,

essendo di struttura aghiforme, si sposta agevolmente fino a raggiungere la pleura, contrariamente a

quanto avviene nei confronti del serpentino. La azione patogena delle fibre di asbesto essenzialmente

è attribuibile alla azione traumatizzante da ”corpo estraneo” e a quella, in comune con la silice

cristallina, attivante i macrofagi. Le fibre di lunghezza inferiore ai 5 micron si comportano come tutte

le particelle e passano nell’interstizio o libere o fagocitate dai macrofagi.

L’uso dell’asbesto è stato estremamente diffuso fino a pochi anni fa da quando sono state emanate

leggi che ne hanno limitato o ne proibiscono l’impiego a causa del suo potere oncogeno (con la legge

27 marzo 1992, viene definitivamente proibito l’uso di amianto nel nostro paese). I campi di impiego

dell’amianto sono assai numerosi per cui molto elevato è il numero di soggetti comunque esposti,

cioè considerando anche quelli esposti a bassi livelli.

La vastità e molteplicità del suo impiego è dovuta alle caratteristiche fisiche del composto che, per il

suo elevato potere COIBENTE, viene largamente utilizzato per l’isolamento termico, quello acustico,

come materiale antincendio, come materiale antivibrazione e antifrizione, come manufatti in

cemento/amianto (eternit) ecc.

Il settore produttivo in cui l’amianto è stato prevalentemente impiegato è quello dell’edilizia.

Esiste infine il problema ambientale da Amianto che costituisce un rischio oncogeno per la

popolazione generale in rapporto alle fibre aerodisperse provenienti dall’elevato traffico

autoveicolare (ferro di dei freni) o dall' amianto liberato dalle strutture edilizie.

Sicuramente, se facciamo la ricerca nel nostro BAL dei corpuscoli dell'asbesto che sono degli indicatori

di esposizione, noi tutti avremo la presenza di qualche corpuscolo, il che non significa che, essendo

stati esposti involontariamente anche ad una sola fibra, tutti contraggano il mesotelioma. Quindi una

precauzione a cui invito i maschi.. ma pure le donne per fortuna adesso fanno il bricolage.. quando

avete queste occasioni non vi preoccupate ma proteggetevi perché non si sa mai. Siccome non esiste il

rischio zero.. come nelle radiazioni ionizzanti non c'è un limite al di sotto del quale ognuno si può

sentire garantito da qualunque manifestazione indesiderata, allo stesso modo qua, siccome basta una

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sola fibra, è bene sempre proteggersi.

In alcuni siti c'è la preoccupazione, giustamente, che siccome è un cancerogeno deve essere eliminato.

Si, va eliminato, però la maggiore attenzione deve essere riservata quando il materiale comincia ad

essere usurato. Vedete qua c'è questo sfilacciamento, in questo momento diventa pericoloso perché

disperde fibre nell'ambiente e queste sono suscettibili di essere respirate ma fintanto che è ben

conservato non ci sono problemi.

Sebbene l’amianto sia fuori legge, ciò non significa che non ci siano più lavoratori esposti: la legge

prevede infatti anche che ci sia lo smaltimento di questo prodotto. Avete sentito quando lo toglievano

dalle carrozze ferroviarie o i tetti in eternit e così via. Quindi ancora ci sono lavoratori che entrano

direttamente in contatto con questo materiale, con le fibre, però sono lavoratori che sono specializzati

in questo e che non lavorano più come i lavoratori di prima addetti a questa tipologia, cioè senza

particolari conoscenze. Adesso, conoscendo la tipologia del rischio e sapendo che si va incontro anche

alla probabilità di avere manifestazioni cancerose, ovviamente lavorano in modo adeguato.

Inoltre, considerando che questa è una patologia che ha un periodo di latenza (sopratutto per la parte

cancerogena) anche di venti anni e più, abbiamo praticamente oggi gli attesi di questa patologia

perché c'è una previsione di chi ha finito di lavorare nel '92, consideriamo venti anni.. siamo nel 2012..

quindi già comincerebbero a manifestarsi quelle patologie che magari non si sono espresse in questi

anni di esposizione diretta, quindi è prevedibile che ci siano gli attesi.

Anatomia patologica

La pneumoconiosi da asbesto è una fibrosi polmonare diffusa di tipo interstiziale, cui si associano

alterazioni enfisematose diffuse. A differenza con la silicosi è che l’asbestosi comincia dalle basi del

polmone e non dagli apici, nell’asbestosi l’enfisema vicariante è all’apice, nella silicosi alla base.

Al microscopio un reperto caratteristico è dato dai corpuscoli di asbesto a sede interstiziale e

endoalveolare, colore marrone dorato, costituiti da fibre di asbesto avvolte da un mantello proteico

contenente ferro. Tali corpuscoli possono essere osservati anche nell’escreato e nel BAL infatti una

metodica diagnostica di notevole importanza nelle interstiziopatie (soprattutto nel’asbestosi) è il BAL.

La radiologia convenzionale prevede 4 stadi: dalla fine reticolazione alla fibrosi diffusa. Nella fase

iniziale è apprezzabile esclusivamente un aspetto a vetro smerigliato nei campi polmonari inferiori

espressivo di un ispessimento del piccolo interstizio. Nella fase conclamata compare una reticolazione

più marcata che tende a sfumare i margini cardiaci e contemporaneamente ispessimenti pleurici a

placche lineari diaframmatiche e margino costali. Nelle fasi avanzatela reticolazione si estende a tutto

il polmone, gli ispessimenti pleurici calcificano, e sono disposti lungo il margine diaframmatico e

mediastinico. È inoltre frequente il riscontro di formazioni nodulari periferiche sotto gli ispessimenti

pleurici formate da parenchima atelettasico (ATELETTASIA ROTONDA).

Radiologia

La tipologia di noduli che osserviamo sono a contorni irregolari che vengono classificati, a livello

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radiologico, come STU (ricordate che nella silicosi sono PQR). Se ricordate invece nella silicosi invece

sono prevalenti le lesioni a margini regolari, rotondeggianti.

Percorso diagnostico

Nella diagnosi dell'asbestosi l'anamnesi lavorativa è la parte principale.

Poi c'è la semeiotica medica che può darci qualche segno aspecifico, come abbiamo detto prima e ci

sono possibilità auscultatorie di ronchi e sibili, qualche rumore umido è apprezzabile alle basi rantoli

crepitanti alla base che non si modificano con i colpi di tosse. I rantoli dovuti a muco dopo un colpo di

tosse la parete alveolare si libera e il rantolo non lo ascoltate più, in questo caso, invece, il fenomeno

infiammatorio è persistente, il muco è abbastanza consistente e il rantolo è sempre crepitante.

Poi un modesto timpanismo quando comincia l'enfisema che aumenta a mano a mano che aumenta

l'enfisema quindi, conseguentemente, ipomobilità delle basi.

Dal punto di vista strumentale utilizziamo le prove di funzionalità respiratoria che ci danno un reperto

di insufficienza vantilatoria di tipo restrittivo, non abbiamo un quadro ostruttivo a meno che non ci sia

una complicanza bronchitica. C'è un ritardo nella diffusione del CO nelle prove di funzionalità perché

la parete degli alveoli si ispessisce, è soggetta a questo fenomeno alveolitico, quindi infiammatorio,

che impedisce il normale scambio gassoso.

Dal punto di vista radiologico alla radiografia convenzionale avremo l'osservazione di questo aspetto

non tanto nodulare ma come delle lesioni lineari, tante lesioni a contorno irregolare danno

un'immagine più o meno di tipo lineare piuttosto che nodulare e la localizzazione, come vi dicevo,

medio-basale.

Altre informazioni le acquisiamo con la metodica TC ad alta risoluzione (HRTC).

Un altro elemento di diagnosi è l'esame del BAL del quale ci serviamo per vedere se coesiste il

fenomeno alveolitico andando a contare la nuclearità nel liquido del BAL, più PMN ci sono maggiore è

l'infiammazione concomitante.

La scintigrafia che è un esame più collegato alla ricerca che alla fase di accertamento medico-legale.

Per quanto riguarda il protocollo diagnostico dobbiamo proseguire nell'accertamento di una patologia

in presenza di una positività dell'anamnesi lavorativa. Questa positività vuol dire che deve esserci

l'esposizione e poi che questa deve essere congrua, cioè ci deve essere un adeguato periodo

lavorativo perché se, ad esempio, il contatto è stato di sei mesi non lo tenete in considerazione se non

per una lesione temibile quale può essere il mesotelioma.

PATOLOGIE NON NEOPLASTICHE PLEURICHE DA ASBESTO

Le lesioni pleuriche sono degli indicatori di esposizione a questo materiale. Non danno una

sintomatologia, non contribuiscono a creare sintomi di scompenso cardio-respiratorio. Alcune volte

sono eclatanti, si vedono delle calcificazioni che coprono tutta la parete di entrambi i lati. È importante

che consideriate un eventuale nesso causale con l'esposizione all'amianto quando sono bilaterali.

Generalmente quando sono monolaterali dovete pensare più ad una patologia di tipo infiammatorio

diverso, come una tubercolosi o un esito di un processo pleuritico, invece quelli legati all'esposizione

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all'amianto sono bilaterali.

Anatomia patologica

Ci sono lesioni rilevate, di consistenza dura, bilaterali, non frequenti negli apici e nei seni costo-frenici

ma, se ci sono, non bisogna escluderlo ma nel 90% dei casi è così. Alcune volte queste placche si

presentano come semplici ispessimenti della pleura sia parietale che viscerale, alcune volte poi negli

anni si calcificano.

Queste lesioni non vengono riconosciute come malattia professionale, come l'asbestosi, ma vengono

indennizzate dall'INAIL come danno biologico, viene configurata mediamente un'invalidità, un danno

biologico pari al 5-6% a seconda dell'estensione e questo viene liquidato con un capitale.

Radiologia

Questo è un taglio TC dove si può osservare l'ispessimento, il particolare ingrandito ci da la possibilità

di osservare queste lesioni.

Un fattore importante è il versamento pleurico. In genere il seno costo-frenico ha un andamento

acuto.

Tenete presente che nell'esposizione all'amianto un soggetto che ha una manifestazione pleurica nel

senso di un ispessimento o un versamento pleurico va indagato adeguatamente perché ci potrebbero

essere sotto delle altre cause.

Il protocollo diagnostico va calibrato in base alla tipologia di esposizione che il soggetto ha manifestato

alla vostra attenzione.

PNEUMOCONIOSI DA POLVERI MISTE A BASSO CONTENUTO DI SILICE:

• silico-antracosi: colpisce i minatori di carbone. La lesione fondamentale è rappresentata dai

cosiddetti “coaltdust macula” cioè “nodulo coniotico carbonioso”, che è ben diverso dal

nodulo silicotico. Questo è un ammasso di particelle di polvere di carbone, in parte

extracellulari e in parte inglobate nei macrofagi che assumono forma stellata, situate intorno a

un bronchiolo respiratorio o in alveolo. Questi noduli si associano sempre a lesioni

enfisematose. In un certo numero di casi si ha la comparsa di masse fibrotiche. Una particolare

forma evolutiva è rappresentata dalla sindrome di Caplan nella quale un quadro di fibrosi

polmonare a grossi nodi periferici di materiale necrobiotico è associato alla presenza di fattore

reumatoide nel sangue: in precisione sti noduli si formano in occasione di un attacco acuto di

artrite reumatoide.

• Sidero-silicosi: le lesioni sono simili a quelle della silico-antracosi. Solo che qui il pigmento

inglobato dai macrofagi è ferruginoso. Inoltre altra differenza è che le polveri di ferro sono

radioopache. In condizioni in cui le polveri contengono antrace silicio e ferro si può instaurare

un quadro noto come polmone da fonderia.

• Liparosi: colpisce i lavoratori della pomice di lipari e si deve considerare una silicosi vera che

però differisce dalla silicosi pura per diversi elementi. Sotto il profilo anatomopatologico

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manca il nodulo silicatico tipico, non c’è grossa predisposizione alla tubercolosi e le lesioni

sono più diffuse a tutto il parenchima più che localizzate all’apice.

PNEUMOCONIOSI DA POLVERI INERTI: sono dovute a polveri che non presentano silice e non

comportano potenzialità sclerogena:

• Antracosi

• Siderosi: è frequente nei lavoratori che usano saldatori ad arco voltaico. Clinicamente il tizio è

normale. La spirometria è pure normale. Il quadro radiologico invece presenta opacità micro

nodulari diffuse generate dalla radiopacità del ferro.

PNEUMOCONIOSI DA POLVERI MINERALI SENZA ACCUMULO NEI POLMONI:

Berilliosi: classicamente un’elevata esposizione ai fumi di berillio può provocare una polmonite

chimica, tuttavia le manifestazioni patologiche più importanti sono quelle dovute alle esposizioni

croniche che determinano lesioni a livello dell’interstizio alveolare e dell’avventizia vascolare

bronchiale con formazione di granulomi. Questi inoltre possono essere presenti anche a livello di altri

organi come fegato, milza, rene, pelle e evolvono in fibrosi. Questa patologia può simulare dal punto

di vista clinico e istologico e radiologico la sarcoidosi. Nel BAL si osserva unafranca linfocitosi con

aumento del rapporto CD4/CD8. Un esame altamente sensibile e specifico che permette di

differenziare la berilliosi dalla sarcoidosi è il test di trasformazione linfocitaria in coltura con Sali di

berillio. Il trattamento e la prognosi è comparabile a quello della sarcoidosi polmonare: è necessario

un trattamento steroideo di fondo anche se la progressione verso la fibrosi è spesso inevitabile.

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ARGOMENTO 21

ASMA BRONCHIALE ED ALVEOLITI ALLERGICHE

Allergie respiratorie

Le più importanti sono l’asma bronchiale e le alveoliti allergiche.

L’asma bronchiale lavorativo e quello extra-lavorativo sono del tutto identici dal punto di vista clinico.

L’asma bronchiale, in medicina del lavoro, si può riscontrare nei falegnami e negli addetti

all’agricoltura. Ci sono, infatti, degli allergeni che sono frequentemente presenti nelle patologie

asmatiche da lavoro.

Il settore tessile, il settore della falegnameria o il settore agricolo sono in cima nella casistica per

quanto riguarda l’indennizzo dell’INAIL per asma bronchiale lavoro-correlato o professionale.

Le alveoliti allergiche estrinseche sono patologie rappresentate da un’infiammazione a carico degli

alveoli, dovuta all’ipersensibilità ritardata per contatto con antigeni presenti nell’ambito lavorativo.

L’infiammazione può essere acuta, subacuta o cronica. Nella forma acuta si hanno, clinicamente, dei

sintomi immediati come affanno, dispnea, febbre e tosse ingravescente. Le forme croniche sono

caratterizzate dalla comparsa di fibrosi polmonari, attraverso un meccanismo immunologico

scatenato dall’inalazione di funghi, fumi, batteri o di sostanze vegetali verso i quali il lavoratore è

sensibilizzato. Le alveoliti possono avere anche un esordio subdolo e progressivamente ingravescente.

Il deficit della funzionalità respiratoria è in genere di tipo restrittivo.

Dal punto di vista anatomo-patologico le alveoliti allergiche estrinseche si presentano, nelle forme

acute, con edema interstizio-alveolare e con un alveolite desquamativa ricca di PMN e di linfociti.

Nelle forme croniche abbiamo un’infiltrazione di plasmacellule e la presenza di macrofagi e di linfociti.

I granulomi formatisi in regione peribronchiale, non sono caseificanti e non sono ben organizzati. Essi

sono in genere isolati perché si verifica un’infiltrazione collagena. Le alveoliti allergiche estrinseche o

polmoniti da ipersensibilità possono essere contratte dai lavoratori presenti nei silos, dai falegnami e

dagli agricoltori, dove sono causate dall’inalazione di polveri di grano e di cereali.

L’INAIL riconosce le alveoliti contratte in questi due ultimi settori come delle malattie professionali.

Una forma tipica di alveolite allergica estrinseca è il polmone dell’agricoltore, “farmer’s lung”.

L’esposizione alle polveri di fieno può determinare inizialmente la sensibilizzazione e dopo l’alveolite.

La presenza di un farmer’s lung è dimostrata dalla presenza di immunoglobuline sieriche, dette

precipitine.

Altre polmoniti da ipersensibilità affliggono il polmone del coltivatore di funghi, il polmone del

lavoratore del formaggio, il polmone del lavoratore della canna di zucchero ed i soggetti che lavorano

il sughero. L’agricoltore sarà esposto ad actinomiceti altamente allergizzanti, il lavoratore del

formaggio sarà esposto al Penicillium casei mentre il lavoratore della canna da zucchero ad altri

actinomiceti. Altri funghi allergizzanti sono quelli appartenenti alla famiglia degli Aspergillus.

Alcune sostanze chimiche presenti nell’industria della saldatura, quali isocianati, o in macchine di

utensili, come gli oli idratanti contaminati, possono creare delle manifestazioni da alveoliti per

contatto. Un’altra zona di contagio è rappresentata dall’esposizione ai condizionatori presenti negli

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uffici, in quanto i filtri dei condizionatori costituiscono l’habitat ideale per la crescita dei funghi. E’ per

questo motivo che essi dovrebbero essere cambiati annualmente!

Il primo passo fondamentale per la diagnosi di queste malattie è l’anamnesi lavorativa, seguita dal

sospetto diagnostico e dalla diagnosi differenziale. Solo dopo il sospetto si possono fare delle richieste

di accertamento.

Asma da irritanti

L‘asma è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree nella quale molte cellule ed elementi

cellulari svolgono un ruolo determinante. L‘infiammazione cronica è associata ad un aumento della

reattività bronchiale che porta a ricorrenti episodi di respiro sibilante, dispnea, costrizione toracica e

tosse, specialmente notturna o mattutina. Questi episodi sono associati di solito a diffusa, ma

variabile, ostruzione del flusso aereo, spesso reversibile spontaneamente o dopo trattamento.

L‘asma professionale interessa ovviamente soprattutto gli adulti e gli agenti asmogeni professionali

sono responsabili di asma in 1 caso su 10 soggetti in età lavorativa. L‘asma è la malattia professionale

respiratoria più comune nei paesi industrializzati.

Attualmente l‘asma correlato al lavoro (work-related asma) viene classificato secondo lo schema

seguente:

• asma occupazionale causato dal lavoro

� da agenti sensibilizzanti

� da agenti irritanti (inclusa RADS)

• asma preesistente aggravato dal lavoro

Con il termine di asma professionale (occupational asthma) deve essere perciò identificato solo il

primo tipo di asma, nel quale l‘esposizione a specifici agenti presenti nell‘ambiente di lavoro riveste

un ruolo causale e scatenante nella genesi della flogosi cronica e quindi dell‘ostruzione e

dell‘iperreattività bronchiale.

L'asma da irritanti è stato classificato da più autori come una particolare forma di asma professionale

che può derivare da una singola esposizione ad alti livelli di irritanti o da esposizioni multiple a livelli

medio-alti. La sindrome simile all‘asma indotta da una singola esposizione ad irritanti era stata

definita da autori americani come Sindrome da disfunzione reattiva delle vie aeree ("Reactive Airway

Dysfunction Syndrome" - RADS), ma attualmente c‘è consenso per includere la RADS nell‘asma da

irritanti.

L‘asma da irritanti è caratterizzato dall'assenza del periodo di latenza o da una breve latenza tra

l'esposizione e l'insorgenza dei sintomi; le manifestazioni cliniche sono assimilabili ma non

sovrapponibili a quelle dell'asma professionale da sensibilizzazione e possono comparire a distanza di

poche ore, dopo una singola esposizione elevata, o a distanza di pochi giorni, dopo ripetute

esposizioni medio-elevate ("asma indotto da irritanti ad inizio non improvviso").

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A differenza dei casi di asma professionale dovuto ad un processo di sensibilizzazione infatti,

l'allontanamento dal luogo di lavoro può non portare ad un miglioramento significativo nei sintomi.

La diagnosi di "asma indotto da irritanti" si basa principalmente sulla dimostrazione dell'esistenza di

una relazione tra un'esposizione acuta ad alte concentrazioni di una sostanza irritante e l'insorgenza

di una sintomatologia simil-asmatica associata ad iperresponsività delle vie aeree, con o senza

ostruzione delle vie respiratorie. È quindi fondamentale documentare sia le caratteristiche del

paziente (come la storia precedente di asma o atopia, l‘abitudine al fumo, l‘uso di farmaci, ecc.), sia le

circostanze dell'esposizione (come la durata ed i fattori ambientali), sia la natura dei prodotti

utilizzati. Devono essere eseguiti la spirometria con misura del flusso espiratorio ed il test di

provocazione con metacolina.

La radiografia del torace ha un ruolo limitato nella diagnosi di asma.

Le principali indicazioni per l‘esecuzione di una radiografia del torace in un paziente asmatico sono

quelle di escludere altre patologie che causano sibili diffusi (es. enfisema, scompenso cardiaco

congestizio, ostruzioni della trachea e bronchi principali), identificare complicanze(pneumotorace) o

escludere patologie concomitanti polmonari che possono contribuire al quadro clinico-funzionale

osservato.

Addetti alle pulizie (Cleaners)

Gli addetti alle pulizie rappresentano una consistente percentuale della popolazione lavoratrice

totale: ci calcola che siano il 3% in USA, il 4% in Finlandia e il 10% delle lavoratrici in Spagna. Essi

utilizzano un‘ampia varietà di agenti chimici che possono causare irritazione di occhi, cute e

membrane mucose delle vie aeree superiori e inferiori; alcuni componenti hanno proprietà

sensibilizzanti. Studi epidemiologici hanno dimostrato che gli addetti alle pulizie presentano un

elevato rischio di asma, bronchite cronica e altri sintomi respiratori (96-98). L‘atopia non sembra

avere un ruolo importante in queste associazioni.

La principale funzione dei prodotti di pulizia è facilitare la rimozione di sostanze contaminanti le

superfici. Questo avviene mediante processi chimici e fisici, che includono la dissoluzione di depositi

di minerali, grassi e sali inorganici con reazioni acido-base o tramite la formazione di complessi

(micelle). Certi prodotti , inoltre, disinfettano le superfici e altri possono essere usati per immettere

odori gradevoli o mascherare odori sgradevoli. L‘esposizione respiratoria può avvenire per

evaporazione di componenti volatili che possono aumentare quando applicati su grandi superfici,

come i pavimenti. Molti agenti sono corrosivi ad alte concentrazioni e irritanti a basse concentrazioni.

L‘uso di prodotti in spray (compresi i nebulizzatori) facilita l‘inalazione di aerosol contenenti agenti

volatili e non volatili.

Il rischio è prevalentemente correlato con le pulizie domestiche, in particolare con l‘uso frequente di

candeggina e altri agenti irritanti. Miscele di candeggina con ammoniaca liberano cloramine.

L‘inalazione di grandi quantità di cloro o cloramine può condurre a severi effetti respiratori quali

l‘edema polmonare acuto, la Sindrome da disfunzione reattiva delle vie aeree (RADS) o polmoniti

tossiche/chimiche. Inoltre, alcune sostanze chimiche tra le quali il cloro possono indurre asma da

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irritanti. I prodotti di pulizia rappresentano, secondo uno studio recente, la più frequente esposizione

correlata ad asma tra i lavoratori della sanità. La gluteraldeide, usata per la disinfezione di endoscopi,

apparecchi per la dialisi e strumenti chirurgici, in radiologia per lo sviluppo di radiografie e in

anatomia patologica come fissativo dei tessuti, è stata correlata ad asma occupazionale in molti studi.

Alveoliti allergiche estrinseche (o polmoniti da ipersensibilità):

sono delle infiammazioni del parenchima polmonare, immunologicamente indotte dall’inalazione

generalmente reiterata di polvere organiche o altri antigeni in soggetti predisposti. Ne iniziò a parlare

Bernardino Ramazzini da Capri nel 1700 in un suo trattato, poi l’inglese Campbell parlò per la prima

volta del “farmer’s lung disease” cioè del polmone da contadino che risulta ancora la forma più nota

delle polmoniti da ipersensibilità.

EPIDEMIOLOGIA: è diversa a seconda del quadro nosologico preso in considerazione:

• 8-30% degli allevatori di uccelli

• 0,5-5% dei contadini

Non sono state documentate differenze nella prevalenza dell’atopia o di fenotipi HLA. Si è visto che

chi fuma è difficile che se la becchi perché il fumo deprime le risposte immunologiche.

EZIOLOGIA: qualsiasi polvere organica di diametro sufficientemente piccolo (sotto i 5micrometri) da

consentire la penetrazione sin nelle cavità alveolari è potenzialmente in grado di determinare un’HP.

• il fattore sensibilizzante del polmone da contadino è il Mycropolispora Faeni e meno

frequentemente altri actinomiceti, presentanti gli antigeni che Pepys denominò FLH, che nelle

regioni del nord durante l’inverno o la primavera soprattutto se la raccolta è preceduta da

abbondanti precipitazioni, proliferano nei cereali immagazzinati in magazzini umidi.

• Nella malattie degli allevatori di uccelli gli antigeni sono proteine aviarie presenti negli

escrementi di piccioni, pappagalli, tortore nelle aree urbane, mentre galline e anatre in

campagna.

• Nella malattia dei lavoratori del formaggio descritta da Molina nel ‘69 l’antigene è il

pennicillium o acari vari.

• Japanese summer House: l’antigene è Tricosporon cutaneo che si trova nelle polveri

domestiche soprattutto durante l’estate.

• Nella malattia dei coltivatori di funghi l’antigene è fornito da actinomiceti termofili.

• Nel polmone della Nuova Guinea l’antigene è presente nella polvere della paglia usata per fare

il tetto delle capanne.

• Nella sequoiosi l’antigene è la pullularia presente nelle polveri di legno rosso

• Nella sugherosi è il criptostromacorticale che cresce nel sughero

• Nella bagassosi sono actinomiceti che crescono nelle canne da zucchero

• Nella bissinosi descritta da Jaksonkay nel lancashire l’antigene è la polvere di cotone o di

canapa.

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• Nella malattia degli umidificatori gli antigeni sono funghi che si sviluppano nei filtri.

• Annusatori di polveri di post-ipofisi.

• Il contadino notò la cacca degli uccelli sulla macchina. Al contadino non far sapere quanto è

buono il formaggio con i funghi che cercò nella capanna ma non ne erano rimasti e allora lì

andò a raccogliere nel bosco. A un certo punto vide una sequoia e si riposò ai suoi piedi

sorseggiando il vino che si era portato ma prima togliendo il tapo di sughero. Passo di li una

bagascia e lui le disse che la bissava se non gliela dava e lei per tutta risposta gliela fece solo

annusare.

PATOGENESI: In soggetti predisposti l’incontro con l’antigene stimola diversi aspetti della risposta

immunitaria:

• Produzione di anticorpi specifici di classe IgA e IgG definiti precipitine che

1. formando immunocomplessi con gli antigeni attivano il complemento. Il complemento può essere

attivato anche direttamente dall’antigene

2. fanno de granulare basofili e mastociti i quali otre a istamina e robe varie liberano anche il PAF

che richiama le piastrine

• l’immunità cellulo-mediata mantiene e amplifica l’infiammazione soprattutto nelle forme ad

andamento cronico: si può avere un’alveolite linfocitaria. Le cellule possono formare

granulomi adiacenti ai bronchioli e spesso isolati a differenza di quanto avviene nella

sarcoidosi. A poco a poco si può arrivare a una fibrosi diffusa.

MANIFESTAZIONI CLINICHE:

è possibile evidenziare tre forme di esordio:

• acuta: a distanza di 2-9 ore dall’esposizione compaiono dispnea, tosse secca, febbre,

artromialgia, cefalea e sensazione di malessere generalizzato. Il tutto si incrementa nelle 24

ore successive per poi ridursi fino a normalizzarsi entro circa 3 giorni. Faccio l’esame obiettivo

al tizio e noto che ha dei rantoli crepitanti nelle regioni basali.

Radiologicamente: opacità multiple alveolari a margini sfumati, prevalentemente basali e sub-

pleuriche con tendenza alla confluenza, in assenza di linfadenopatia ilare. La TC ad alta

risoluzione evidenzia opacità diffuse a vetro smerigliato associate a intrappolamento d’aria

nelle scansioni in espirazione. Esami di laboratorio: VES alta, PCR alta, neutrofilia, aumento

delle Ig sieriche. BAL: alveolite linfocitaria con linfociti sopra il 70%, di cui molti sono i CD8 in

netta contrapposizione con sarcoidosi e altre interstiziopatie in cui gli helper sono aumentati.

Nel sovranatante si rilevano alti livelli di anticorpi. Bisogna fare diagnosi differenziale anche

con sindrome tossica da inalazione di polveri organiche (DOTS) che presenta un BAL simile ma

il quadro radiologico è normale. In rari casi il quadro clinico può essere molto più grave con

insufficienza respiratoria acuta grave a seguito di edema polmonare importante. In questo

caso urge l’immediato trattamento in terapia intensiva.

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• sub-acuta: l’esordio è insidioso con dispnea progressiva, tosse secca e perdita graduale di

peso corporeo. Il paziente va dal medico solo quando la sintomatologia lo obbliga a

sospendere le normali mansioni quotidiane. Radiologicamente abbiamo un quadro

interstiziale reticolo-micronodulare. È il quadro clinico più frequente dell’HP

• cronica: si va verso la fibrosi diffusa polmonare con tutto ciò che ne consegue.

Radiologicamente si vede il polmone a favo d’api.

PROGNOSI E TERAPIA: il trattamento è condizionato alla sospensione del contatto con l’antigene.

Quando la completa rimozione dell’esposizione non è possibile, l’uso di sistemi filtranti o di maschere

può prevenire ulteriori episodi di polmonite. La terapia si impernia soprattutto sull’uso di

corticosteroidi.

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ARGOMENTO 22

BRONCOPNEUMOPATIE CRONICHE

Bronchite cronica

La bronchite cronica è definita dalla presenza di tosse produttiva quasi quotidiana per almeno tre

mesi l‘anno per due anni consecutivi, con quadro funzionale respiratorio nella norma, quando

altre cause di tosse produttiva sono state escluse. La diagnosi si basa sulla ricerca attiva dei

sintomi nel corso dell‘indagine anamnestica; se essa non è accurata, questi pazienti non vengono

identificati.

Esposizioni professionali implicate nello sviluppo di bronchite cronica sono quelle a polveri

minerali (carbone, ferro, cemento) e vegetali (lino, cotone, cereali), a gas e prodotti chimici (vapori

metallici, prodotti della combustione dei materiali plastici, ecc.).

Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO).

La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una malattia respiratoria cronica prevenibile e

trattabile associata a significativi effetti e comorbiditàextrapolmonari che possono contribuire alla

sua gravità. Le alterazioni broncopolmonari sono costituite da una ostruzione al flusso persistente

ed evolutiva, legata a rimodellamento delle vie aeree periferiche ed enfisema dovuti ad una

abnorme risposta infiammatoria delle vie aeree, del parenchima polmonare e sistemica

all'inalazione di fumo di sigaretta o di altri inquinanti.

Il problema della BPCO è che è difficile dimostrare che sia dovuta a cause lavorative e non al fumo

di sigaretta, o altri inquinanti ambientali!

Lavoratori particolarmente esposti a tale rischio appartengono, tradizionalmente, ai settori

metallurgico e minerario (assai importante è l‘esposizione ad inquinanti quali cadmio, silice,

carbone e berillio), edile, agricolo (esposizione a polvere di granaglie), tessile e chimico

(esposizione a solventi organici come formaldeide o stirene) oltre a quello delle cartiere. Anche tra

i dipendenti delle industrie alimentari, gli addetti al trasporto di merci ed il personale militare

sembra dimostrato un aumentato rischio di sviluppare patologie respiratorie ostruttive.

I settori lavorativi a rischio per la BPCO sono: l’industria estrattiva, metallurgica, l’industria della

plastica, produzione di sostanze isolanti e vernici (isocianati). Gli isocianati sono sostanze utilizzate

nell’industria della plastica e delle vernici e sono i principali responsabili dell’asma allergico per

quanto riguarda le malattie professionali. Nel settore tessile la polvere di cotone costituisce un

importante fattore predisponente alla BPCO.

Bronchiolite obliterante (BO); Polmonite organizzativa (Organizing Pneumonia - OP);

Bronchiolite obliterante con polmonite organizzativa (BronchiolitisObliteransOrganizing

Pneumonia - BOOP); Polmonite criptogenetica organizzativa (CryptogeneticOrganizing

Pneumonia - COP)

Si tratta di un insieme di patologie fortunatamente non frequenti anche in ambito non

professionale e segnalate, in ambito professionale, come conseguenza di esposizioni acute e/o

subacute a vari tossici. Il danno, in relazione alle caratteristiche dell‘esposizione e del tossico, può

riguardare i bronchioli, con flogosi e/o ostruzione, oppure gli alveoli.

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L‘eziopatogenesi della forma idiopatica è sconosciuta; si ipotizza che possa essere secondaria ad

un danno dell‘epitelio alveolo-bronchiale da causa non nota in grado di scatenare una risposta

riparativa abnorme.

Nelle forme secondarie si osserva un identico pattern istologico e radiologico (BOOP reaction

pattern) indipendentemente dal tipo di noxa in questione, compresi i tossici respiratori; sarebbe

quindi espressione di una modalità di risposta aspecifica del polmone conseguente a stimoli

differenti.

Esiste un gran numero di sostanze inorganiche ed organiche capaci di provocare un danno

polmonare acuto da inalazione caratterizzato da un quadro di edema polmonare acuto.

E‘ un evento professionale raramente riportato con l‘eccezione delle esperienze, degli ultimi

decenni, dei casi di Ardystildisease, popcorn workers‘lung, e flockdisease (produzione di fibre

sintetiche).

Nel primo caso si tratta di esposizione ad acramina occorsa durante operazioni di stampa e

colorazione di tessuti, infatti dal 1992 l’acramina dovrebbe essere usata in forma solida e non

liquida.

Il secondo caso riguarda lavoratori dell‘industria alimentare addetti alla produzione del popcorn

esposti a vapori di aromi a base di grassi artificiali. La sostanza identificata come tossico

respiratorio è il diacetile.

Nel terzo caso si tratta di esposizione a fibre sintetiche. Con il termine flock si indicano fibre

piccole e corte (0,2-5 mm) utilizzate in vari ambiti lavorativi (es. industria tessile, automobilistica,

dei giocattoli di peluche).

6. SORVEGLIANZA SANITARIA

La sorveglianza sanitaria consiste nel controllo medico sistematico dello stato di salute

dell’apparato respiratorio specificamente esposto agli agenti irritanti o tossici per l’apparato

respiratorio.

Il D. Lgs 81/08, così come modificato dal D. Lgs 106/09, prevede i seguenti accertamenti per i

lavoratori esposti: preventivi prima o dopo l’assunzione, periodici, a richiesta del lavoratore, per

cambio di mansione, a fine rapporto di lavoro, precedenti la ripresa del lavoro dopo prolungata

assenza. Di ciascun tipo di accertamento ne viene illustrato il significato.

Tutti i tipi di accertamenti sanitari, escluso quelli da eseguire a fine rapporto di lavoro, si

concludono con l’emissione del giudizio di idoneità alla mansione specifica.

Gli accertamenti sanitari consistono in visita medica ed esami strumentali, fondamentalmente gli

esami di funzionalità respiratoria. Durante la visita medica il medico del lavoro competente può

avvalersi di idonei questionari e scale di valutazione per meglio identificare i sintomi caratteristici

della rinite, dell’asma e della bronchite cronica e per classificare il grado di dispnea, la gravità della

rinite e della rinosinusite e il carico di lavoro percepito.

L’efficacia degli esami di funzionalità respiratoria nella sorveglianza sanitaria dipende dalla qualità

delle misure e dalla corretta interpretazione dei risultati. Vengono pertanto recepite le indicazioni

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di organismi internazionali sulla necessità di: strumentazione ottimale, controllo dei fattori di

variabilità, standardizzazione delle procedure e di adeguati valori di riferimento.

Vengono illustrati in dettaglio l’indicazione, le modalità di esecuzione e l’interpretazione dei

seguenti esami di funzionalità respiratoria:

o Spirometria

o Test di reversibilità della broncoostruzione

o Volumi polmonari statici

o Transfer polmonare del monossido di carbonio

o Variazioni della funzione polmonare nel tempo

o Studio della responsività bronchiale

7. PROTOCOLLI DI SORVEGLIANZA SANITARIA

Il monitoraggio clinico dei lavoratori esposti ad agenti irritanti e tossici per l’apparato respiratorio

è mirato al rilevamento delle alterazioni fisiopatologiche e alla diagnosi precoce delle patologie

respiratorie croniche.

Il protocollo suggerito prevede accertamenti indispensabili da effettuare sui lavoratori esposti in

occasione della visita sia preventiva che periodica, ed accertamenti integrativi per la diagnosi di

patologie sospettate in corso degli accertamenti precedenti o per una migliore caratterizzazione di

malattie già diagnosticate.

Accertamenti indispensabili: sono rappresentati dalla visita medica e da accertamenti strumentali

da eseguire durante la visita preventiva e, successivamente, viene raccomandata una periodicità

annuale:

o Visita medica: anamnesi, eventuale uso di questionari standardizzati, esame obiettivo.

o Spirometria (CV, VEMS, curva flusso/volume)

o In funzione dell’anamnesi, dell’esame obiettivo e dei risultati dell’esame spirometrico

possono essere indicati uno o più dei seguenti accertamenti:

- Test di reversibilità della broncoostruzione

- Misura dei volumi polmonari statici (VR, CPT)

- Misura del Transfer del CO (TLCO)

- Studio dell’iperresponsività bronchiale.

- Radiografia del torace

o Accertamenti integrativi: dipendono dalla patologia che si intende diagnosticare.

8. GIUDIZIO DI IDONEITA’

La formulazione del giudizio di idoneità ad una specifica mansione si articola attraverso varie fasi:

1) valutazione dell’ambiente di lavoro e dell’esposizione a rischi specifici, 2) valutazione del

lavoratore, 3) interazione fra i due termini del binomio, 4) formulazione del giudizio, 5) eventuale

indicazione di provvedimenti.

La valutazione dell’ambiente lavorativo e dell’esposizione a rischi specifici comprende:

o il potenziale nocivo di agenti irritanti o tossici per le vie aeree e i livelli espositivi

o il carico di lavoro (inteso come gravosità) e le condizioni microclimatiche

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La valutazione del lavoratore prevede di individuare:

o eventuali fattori individuali di rischio congeniti o acquisiti,

o eventuali patologie respiratorie a carico:

- delle vie aeree extra-toraciche: rinite, sinusite, laringite e Vocal Cors Dysfunction (VCD)

- delle vie intratoraciche e parenchima polmonare: asma, BPCO, interstiziopatie o altre cause

di compromissione funzionale respiratoria

o quantificazione della gravità della patologia

o presenza di comorbidità

Gli elementi che il Medico Competente deve considerate per formulare il giudizio di idoneità alla

mansione specifica di un lavoratore esposto ad irritanti e tossici per l’apparato respiratorio, affetto

o meno da malattia respiratoria, sono l’esposizione professionale, il carico di lavoro, il tipo di

malattia e il grado di compromissione funzionale respiratoria, più le eventuali comorbidità

9. ASPETTI MEDICO-LEGALI

La diagnosi di malattia professionale o lavoro-correlata da broncoirritanti o da agenti tossici per

l’apparato respiratorio richiede al medico del lavoro competente lo svolgimento di tre

adempimenti medico-legali obbligatori.

Il primo consiste nella redazione del primo certificato della malattia da lavoro accertata, da

trasmettere all’INAIL, cui unicamente spetta il riconoscimento dell’origine occupazionale della

patologia. Esso va emesso quando la diagnosi di malattia riscontrata sia di certezza. Per le malattie

tabellate, per le quali vige la tutela privilegiata, l’ultimo aggiornamento delle tabelle è avvenuto

con il DM 9 aprile 2008. Da queste sono state estrapolate e sistemate in tabelle, allegate al

capitolo, le malattie da broncoirritanti o da agenti tossici con le modalità di valutazione del danno

funzionale ventilatorio per i diversi tipi di deficit. Per le malattie non tabellate è richiamata la

circostanza che l’onere della prova dell’esposizione a broncoirritanti o agenti tossici per l’apparato

respiratorio spetta al lavoratore.

Il secondo adempimento riguarda la denuncia della malattia professionale che il medico deve

inoltrare allo SPESAL dell’ASL, per avviare un controllo delle condizioni di lavoro e dell’applicazione

della normativa di prevenzione e sicurezza specifica, e per conoscenza anche all’INAIL. L’ultimo

aggiornamento dell’elenco delle malattie per le quali il medico deve compilare la denuncia è

riportato nel DM 14 gennaio 2008. In questo DM sono previste tre liste in cui l’origine lavorativa

della malattia riscontrata è rispettivamente di elevata probabilità, limitata probabilità, possibile. Le

malattie da agenti broncoirritanti o da agenti tossici per l’apparato respiratorio sono tutte

contenute nella lista I di elevata probabilità e nel capitolo queste sono riportate in una tabella

annessa.

Il terzo adempimento è il referto all’Autorità Giudiziaria. Esso va compilato in presenza di certezza

del rapporto di causalità tra esposizione ad agenti broncoirritanti o tossici per l’apparato

respiratorio e malattia riscontrata. Per le malattie da lavoro l’obbligo del referto scaturisce dal

presupposto che la malattia da lavoro comporti una alterazione anotomo-fisiologica rilevabile e

quindi un danno biologico quantificabile da inosservanza delle misure preventive previste nella

normativa specifica.

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10. MISURE DI PROTEZIONE INDIVIDUALE

L’argomento dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) è inserito al Titolo III del D.Lgs. 81/08

modificato, al Capo II. All’articolo 75 (“’Obbligo di uso”) è specificato che “I DPI devono essere

impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche

di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di

riorganizzazione del lavoro”.

L’uso dei DPI atti a proteggere il lavoratore da irritanti e tossici per l’apparato respiratorio, deve

essere previsto e consigliato per tutte quelle attività che espongono (o possono esporre)

l’operatore a polveri, vapori o gas per tempi limitati, nel corso di operazioni saltuarie in cui è

previsto un intervento manutentivo ordinario o straordinario, nello sversamento, scarico, travaso,

etc. di preparati o sostanze ovvero nell’affrontare situazioni particolari in cui è norma

indispensabile la cautela e la messa in atto dei possibili strumenti della prevenzione.

Selezione dei Dispositivi di Protezione Individuale delle vie respiratorie

La norma europea UNI EN 133 suddivide i respiratori in due classi:

o respiratori a filtro: dipendenti dall’atmosfera ambiente

o respiratori isolanti: indipendenti dall’atmosfera ambiente

Filtri antipolvere

o facciali filtranti antipolvere

o maschere (semimaschera o pieno facciale) con filtri idonei per la protezione da:

- polveri e fibre: particelle solide generate da frantumazione di materiali solidi

- fumi: particelle molto fini che si formano quando si fonde o vaporizza un metallo

che poi si raffredda velocemente

- nebbie: minuscole goccioline liquide, a base acquosa o base organica.

Filtri antigas

Sono idonei per la protezione da:

o gas: sostanze in fase gassosa a pressione e temperatura ambiente. Possono essere inodori

ed incolori e diffondersi molto velocemente anche a grande distanza

o vapori: sono la forma gassosa di sostanze che si trovano allo stato liquido a temperatura

ambiente.

L’uso di respiratori isolanti è opportuno nei seguenti casi:

o percentuale di ossigeno nell’aria è inferiore al 18%

o concentrazione del contaminante nell’aria che supera i limiti di esposizione consentiti dai

respiratori a filtro

o gas o vapori da cui si vuol proteggere con soglia olfattiva superiore al TLV.

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ARGOMENTO 23

TUMORI DA CAUSE OCCUPAZIONALI

Agente cancerogeno: qualunque agente, di natura chimica, fisica o biologica capace di indurre,

direttamente o previa trasformazione, un incremento statisticamente significativo di una data

neoplasia rispetto alla popolazione di controllo.

Agente mutageno: qualunque sostanza che, per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo,

possono produrre difetti genetici ereditari o aumentarne la frequenza.

Tumori da cause occupazionali: neoplasia che possa avere come causa esclusiva o fattore

concausale un fattore di rischio presente nell’ambiente di lavoro. Si tratta di fattori di rischio

• Chimici

• Fisici

• Biologici

I tumori sono la seconda causa di morte nei paesi industrializzati. Quelli professionali, sicuramente

legati al lavoro, sono il 2% nella donna e il 6% nell’uomo. In alcune industrie e lavorazioni questo è

molto peggio (alcuni cancerogeni come la 2-naftilamina fanno ammalare di cancro il 50-100% degli

esposti).

Molti lavoratori non sono consapevoli di essere esposti al cancerogeno o non ci sono le possibilità

concrete di evitare il rischio. Alcuni possono essere eliminati, altri non sono conosciuti.

Fattori di rischio:

• Congeniti

• Genetici

• Ambientali (dieta, stile di vita, fumo, alcool, radiazioni, esposizione al sole)

• Occupazionali (nicchia piccola della malattia neoplastica, ma importante perché in teoria tutti i

tumori professionali sono eliminabili con la prevenzione)

• Sconosciuti

Epidemiologia

In Italia si stimano circa 80.000 neoplasie all’anno, di cui il 2-8% sono professionali, e procurano

1.600- 6.400 morti l’anno. Le denunce all’INAIL per neoplasia professionale sono soltanto 300-500

all’anno, di cui solo 100-150 vengono definite positivamente dall’INAIL.

Questo perché la diagnosi di neoplasia professionale è difficile:

• L’anamnesi lavorativa dettagliata è difficile da trovare

• La neoplasia professionale non presenta particolari caratteristiche che permettono di

distinguerla da altre

• Esiste un prolungato lasso di tempo (decenni) fra l’esposizione e la comparsa della malattia

(il paziente non ricorda a cosa è stato esposto e l’industria dove ha lavorato può non

esserci più)

• Solo alcune centinaia di sostanze sono conosciute nella loro cancerogenicità

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• Limitate conoscenze sugli effetti cancerogeni delle esposizioni multiple

• Difficile stimare l’effetto fra esposizione professionale e non professionale

Patogenesi della cancerogenesi chimica

Alcuni cancerogeni agiscono come genotossici. Questi alterano direttamente o indirettamente il

DNA (direttamente è meno frequente, in genere c’è una attivazione metabolica del tossico che

diventa quindi cancerogeno). Il danno al DNA provoca mutazioni e aberrazioni di solito non

importanti, ma provoca anche alterazione dei meccanismi di riparazione del DNA, e quindi

avremo l’attivazione successiva di oncogeni e la inattivazione di oncosoppressori. A questo punto

la cellula è immortalizzata, perde la regolazione, si sdifferenzia e modifica le sue proprietà di

membrana, diventando una cellula neoplastica.

I cancerogeni epigenetici invece agiscono con fenomeni immunologici, pseudoumorali che

provocano la stimolazione cronica della cellula fino a portarla alla neoplasia.

Cancerogeni

Asbesto

• Ca del polmone: stesse caratteristiche degli altri tumori del polmone, frequente in pazienti che

hanno già asbestosi. Moltiplicato il rischio nei fumatori

• Mesotelioma pleurico: connesso fino al 76% con l’asbesto, specie anfibole. Può insorgere anche

per bassi livelli di esposizione diversamente da altri cancerogeni, tanto che anche le mogli di

lavoratori esposti si ammalano per le fibre riportate a casa con i vestiti. Compare dopo 35-40 anni

dall’esposizione (incidenza in aumento), e bassissima è la sopravvivenza.

• Tumore del laringe

Altri cancerogeni polmonari

• Silice: in genere in paziente già silicotico

• Berillio

• Cadmio

• Nichel: carcinoma nasale, aumento incidenza in senso moltiplicativo con il fumo

• Cromo esavalente

• Arsenico: esposizione a insetticidi con arsenico, fusione del rame

• Idrocarburi policiclici aromatici: produzione del Coke e del gas di carbone, catrame e pece,

alluminio, elettrodi carbonioso, uso di catrame e pece

• Radon

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• Acidi forti inorganici: decappaggio di metalli

• Fumo passivo

Seni paranasali e cavità nasali

Rari in soggetti non esposti professionalmente

• Sali di cromo

• Nichel

• Polvere di legno

• Produzione di alcool isopropilico

• Industria calzaturiera e pelletteria

Carcinomi cutanei

• Idrocarburi policiclici aromatici

• Oli minerali

• Arsenico

• Radiazioni ionizzanti

• Raggi UV

Carcinomi vescicali

• Amine aromatiche (4 aminodifenile, 2 naftilamina, benzidina, 4 clorotoluina). Produziione della

gomma, pneumatici, cavi, pigmenti, coloranti azoici e reagenti chimici

Con l’esposizione a queste sostanze si abbassa l’età di incidenza.

Carcinoma del sistema emopoietico

• Benzene

• Radiazioni ionizzanti

• Ossido e etilene

Carcinomi gastroenterici

• Cloruro di vinile monomero → angiosarcoma epatico

• Asbesto → mesotelioma peritoneale

• Arsenico → angiosarcoma epatico

• Virus epatite B e C → carcinoma epatocellulare

Diagnosi di carcinoma professionale

1. Dettagliata anamnesi lavorativa

2. Stimare, se possibile, l’entità della pregressa esposizione professionale: documenti per la

valutazione dei rischi, registro degli esposti ad agenti cancerogeni, dati del monitoraggio

ambientale e biologico.

Esistono due classificazioni per la definizione dei cancerogeni:

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Classificazione UE

• Categoria 1: sostanze note per gli effetti cancerogeni sull’uomo, e per le quali esistono

sufficienti informazioni per stabilire un nesso causale tra l’esposizione umana ad una

sostanza e lo sviluppo del cancro. Esse sono catalogate con la sigla del livello di rischio e i

codici idonei a identificare individualmente ogni sostanza ed agente carcinogeno. La

categoria comprende le sostanze etichettate con il livello di rischio R45 “possono causare il

cancro” ed R49 “possono causare il cancro per inalazione”. Sono caratterizzate dal simbolo

T

• Categoria 2: sostanze che possono considerarsi cancerogene per l’uomo, e per le quali

esistono sufficienti informazioni che dimostrano come l’esposizione dell’uomo a certe

sostanze possa causare lo sviluppo di cancro in generale, come evidenziato da adeguati

studi a lungo termine su animali o altre specifiche informazioni.Esse sono etichettate con i

livelli di rischio R45 e R49 e caratterizzate dal simbolo T

• Categoria 3: sostanze per le quali le informazioni disponibili non sono sufficienti per una

valutazione soddisfacente. Alcune evidenze sono state ottenute in animali da esperimento,

ma non sono state sufficienti per classificare la sostanza nella categoria 2. Esse sono

etichettate con il livello R40 “possibilità di effetti irreversibili” e portano il simbolo Xn.

La classificazione IARC riguarda solo 870 sostanze. La classificazione UE Però considera sospetti

cancerogeni agenti ritenuti non classificabili dalla IARC.

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3. Verificare se la neoplasia:

• E’ comparsa in età sovrapponibile a quella di comparsa nella popolazione non esposta o in

età minore (esempio neoplasie vescicali)

• Ha delle caratteristiche istologiche inusuali (angiosarcoma epatico da metastasi pleuriche

inusuali)

• E’ insorta anche in altri lavoratori dello stesso gruppo omogeneo

• E’ insorta dopo un periodo di latenza adeguato

• Può essere in rapporto ad altri fattori di rischio

4. Indicatori di dose interna di alcuni cancerogeni

• Arsenico → aresenico U

• Berillio → Berillio U

• Cadmio → Cadmio U

• Cromo e nichel → nessuno

• Benzene → acido transtrasmuconico U, Benzene U e S

• Ciclofosfamide: composto U

Prevenzione

• Identificazione degli agenti Cr e monitoraggio ambientale e biologico

• Prevenzione primaria: sostituzione dei composti cancerogeni, lavorazioni a ciclo chiuso,

riduzione delle esposizioni

• Prevenzione secondaria: dispositivi di protezione individuale

• Sorveglianza sanitaria: visite preventive periodice, registro degli esposti, segnalazione di

tumori professionali

• Informazione e formazione

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ARGOMENTO 24

LE DERMATOSI PROFESSIONALI

Comprendono tutte quelle condizioni morbose, la cui eziologia può essere in tutto o in parte

imputata ad eventi connessi con l’attività lavorativa, che siano prevedibili (quindi non fortuiti) e

non concentrati nel tempo.

È importante conoscerle per il medico perché sono molto frequenti e per alcune c’è l’obbligo di

notifica. Inoltre danno diritto alla “tutela privilegiata” comprendete l’inabilità temporanea

assoluta nei confronti del lavoro specifico. Alcune danno diritto a un indennizzo e rappresentano

più del 60% delle tecnopatie indennizzate dall’INAIL.

In sede medico legale è importantissimo distinguere le dermatopatie professionali dall’infortunio

perché, a differenza di quest’ultimo, per avere l’accesso alle misure compensative previste bisogna

prima dimostrare il nesso di causalità.

Nell’ambito delle dermatosi professionali si annoverano affezioni a diversa patogenesi tra cui le

dermatiti da contatto, sia allergiche che irritative che rappresentano ben il 70-95% di tutte le

dermatosi occupazionali.

Una dermatite da contatto per poter essere definita professionale deve soddisfare alcuni criteri

fondamentali e in particolar modo il criterio clinico di ARRESTO-RIPRESA cioè le lesioni acute

guariscono con l’allontanamento dall’ambiente di lavoro nell’arco di pochi giorni e recidivano

esclusivamente in concomitanza della ripresa delle proprie mansioni.

Sono più colpite le donne, probabilmente perché si dedicano maggiormente ad alcune attività

lavorative a rischio (parrucchiere, casalinghe). Oltre che dal tipo di professione l’insorgenza

dipende anche dal grado di esposizione.

Le mani sono le sedi più colpite, e l’interessamento esclusivo o prevalente delle prime tre dita

della mano dominante è suggestivo di una causa professionale.

È frequente anche il coinvolgimento degli avambracci soprattutto in presenza di lavori in ambienti

umidi.

Il viso è colpito invece in caso di irritanti o allergeni aerotrasmessi.

La dermatite irritativa da contatto è dovuta all’azione di agenti irritanti che hanno potere

alcalinizzante e/o sgrassante, cui bisogna spesso associare una concausa meccanica (frizione,

pressione). Interessa tutti i soggetti che si trovano in identiche condizioni di esposizione < contatto

con la stessa noxa. Le lesioni sono localizzate esclusivamente nelle sedi cutanee di contatto con

l’agente irritante. L’intensità delle manifestazioni cliniche è direttamente proporzionale alla

natura, alla concentrazione e alla durata di esposizione (risposta dose dipendente). I pach test

sono negativi, o evidenziano al massimo una reazione cutanea di tipo irritativo eritematosa.

La DAC invece riconosce come meccanismo patogenetico non l’azione irritante del composto ma

l’ipersensibilità ritardata (tipoIV) che l’organismo sviluppa contro di esso, e necessita quindi di una

sensibilizzazione che può richiedere anni di tempo o un minimo di 5 giorni, e di un secondo

contatto in cui si presentano le manifestazioni cliniche nell’arco di 24-48 ore. Inoltre a differenza

della DIC, soltanto una minoranza dei soggetti esposti (a parità di condizioni) andrà incontro alla

sensibilizzazione e quindi alle manifestazioni cliniche.

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È importante distinguere la DIC dalla DAC, anche se purtroppo a volte risulta clinicamente difficile,

perché ci sono differenze sul piano medico legale e di medicina del lavoro.

Clinicamente in teoria le differenze con la DIC sono:

• Le lesioni non interessano solo la sede di esposizione ma si estendono anche alle zone

limitrofe.

• Frequenti sono anche le lesioni a distanza, generalmente disposte in maniera simmetrica

• Il paziente riferisce un intenso prurito

• I pach test evidenziano una risposta isomorfa ritardata.

Numerose sono le sostanze che possono svolgere il ruolo di allergeni in campo professionale. Tra

questi vanno annoverati:

• Cromo: la categoria dei lavoratori maggiormente colpita è quella dei muratori, perché nel

cemento ci sono quantità variabili di bicromato di potassio. Altre professioni esposte al

cromo sono: acconciatori di cuoio, chi croma gli oggetti metallici, chi lavora con il legno

perché il cromo si trova anche nei prodotto preservanti del legno, nelle vernici antiruggini e

negli oli lubrificanti. I Sali di cromo si trovano anche negli inchiostri per la stampa, nella

gomma, nei colori per la ceramica, nei nastri magnetici e in alcune resine acriliche.

• Nichel: è il maggiore responsabile di DAC, ma in ambito extraprofessionale!!

• Parafenilendiamina: è impiegata come antiossidante e colorante nella gomma e quindi

rompe i coglioni a chi lavora con la gomma: lavoratori della gomma, chi utilizza guanti e

maschere di gomma, addetti allo sviluppo di pellicole fotografiche e parrucchieri. E

naturalmente anche le pornostar che usano i cazzi di gomma e sviluppano la FAC (fichite

allergica da contatto).

• In campo medico noi del campo dobbiamo fare attenzione a penicilline, cefalosporine e

aminoglicosidi, ma anche gli anestetici e alcuni anti-infiammatori.

• Formaldeide: è presente sia in campo medico per sterilizzare cateteri e strumenti vari

(rappresenta la causa più frequente di DAC in campo medico), che in altri campi come

parrucchieri perché è presente negli schampi e nelle lozioni per permanenti.

La diagnosi di dermatite da contatto professionale si fonda su vari elementi:

1. Anamnesi e indagine sul posto di lavoro. Devo vedere se altri operai sono colpiti, perché se

il numero di persone colpite è alto è più probabile che si tratta di una DIC.

2. Esame obiettivo

3. Test epicutanei:

• Pach test: l’esame testante prevede l’impiego di un supporto (pach) su cui viene

apposto l’aptene e il tutto è fissato con un cerotto ipoallergico. L’apparato testante va

preferibilmente posizionato sulla parte superiore del dorso evitando la zona del

rachide, dopo eventuale rasatura per conferire maggiore aderenza e sgrassando la cute

con etanolo. Di norma per il test viene usata una serie preordinata di allergeni.

L’attuale serie standard consta di 25 allergeni ed è stata consigliata dalla SIDAPA società

italiana dermatologica allergologica professionale ambientale. In aggiunta si possono

testare altre serie standard come la serie per parrucchieri, per panettieri , pasticceri,

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dentisti e così via. In commercio ci sono anche i true test o rapid test i cui vantaggi sono

rappresentati dalla rapidità di esecuzione dalla minor necessità di personale qualificato,

gli svantaggi sono soprattutto relativi ai costi che sono elevati. Abitualmente il tempo di

esposizione è di circa 48 ore trascorse le quali si effettua la rimozione del pach. La

lettura invece si fa dopo 72 ore.

• Open test: si usa per composti d’uso lavorativo

• Test d’uso

• Photopach test

Altre forme di dermatosi da contatto sono:

• Orticaria da contatto: Patogenticamenteo parlando si distingue: l’orticaria non allergica

(causata da sostanze che inducono, senza precedente sensibilizzazione, direttamente la

liberazione di sostanze istamino-simili) e l’orticaria allergica, che riconosce un meccanismo

patogenetico immunologico di tipo reaginico. Esistono infine forme di orticaria

professionale (orticaria combinata con un eczema allergico, orticaria da agenti fisici quali il

freddo, calore, pressione, vibrazioni, orticaria da sforzo o colinergica).

• Tumori cutanei professionali

• Radiodermiti

• Follicoliti e Acne: sono per lo più provocate dal contatto con gli idrocarburi (oli da taglio,

nafta, petrolio e gas) come osservabile nei metalmeccanici o più raramente con alogeni

clorurati (cloracne o ancne cloridrica)

• GRANULOMI da CORPI ESTRANEI: Granulomi da aghi di asbesto e Granulomi cutanei a

patogenesi immunologica (berillio, zirconio).

• Dermatosi infettive e parassitarie.

• Altre.

Vanno citate alcune dermatosi specifiche di alcune attività lavorative che prendono il nome di

“stigmate professionali”:

• Distrofia ungueale del terzo dito della mano degli imbianchini

• Fenomeno di Raynaud dei dattilografi, pianisti e di coloro che usano strumenti vibratili

• Acne meccanica dei violinisti (chiazza lichenificata ricoperta di lesioni follicolari dovuta

all’attrito tra il violino e la cute del collo in corrispondenza dell’angolo mandibolare.

PREVENZIONE

a) Misure generali:

- sostituzione delle sostanze irritanti e/o allergizzanti

- adozione di tecnologie a ciclo chiuso

- impianti di aspirazione localizzata

b) Misure igieniche e di protezione individuale

- igiene personale(abiti, idonei detersivi ecc.)

- adeguato uso di guanti

- uso di creme barriera

- valutazione della esistenza dei requisiti di idoneità sia alla visita di assunzione che

in quelle periodiche.

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ARGOMENTO 25

DISADATTAMENTO LAVORATIVO

Questo è un argomento molto delicato. Devo fare una piccola premessa: negli ultimi anni si è data

molta attenzione alla parola “stress”, ma negli ultimi 20 anni i medici del lavoro, gli psicologi,

hanno lottato per inserire una valutazione del rischio. Per legge è obbligatorio che il datore di

lavoro faccia una valutazione dei rischi che sono principalmente fisici, chimici e biologici. Esistono

dei lavori che sono massacranti quindi si verifica una situazione di grave stress per il lavoratore,

oppure situazione di soprusi che vengono fatti dal datore di lavoro che in termini giornalistici viene

chiamato “mobbing”, oppure il “burn out” degli infermieri, quindi c’è l’obbligo di valutare questo

gruppo dei rischi (stress, burn out, mobbing) da parte del datore di lavoro. Siccome la legge non lo

prevede ci sono dei rischi che esistono o sono dei “rischi fantasma”. Mettere per legge che

bisognava valutare questi rischi sapete benissimo che non conveniva ai datori di lavoro, alle

organizzazioni datoriali, a Confindustria per intenderci.

Valutazione del rischio da stress.

Da 20 anni cerchiamo di inserire per legge la valutazione dei rischi che definiamo psicosociali,

finalmente con il D. Lgl 81/08 si è sfondata una porta, per cui oggi è obbligatoria una valutazione,

ma soltanto per quanto riguarda la parola “stress”.

Quello che mi interessa che voi sappiate sono le DEFINIZIONI di STRESS, BURN OUT e MOBBING e

SOGGETTI COLPITI, se voi avete chiare queste cose eviterete di fare confusione.

I RISCHI CLASSICI E CANONICI IN MEDICINA DEL LAVORO sono:

• Rischio fisico

• Rischio chimico

• Rischio biologico

Cosa sono i rischi psicosociali? Cosa si intende per rischio psicosociale?

Questa definizione risale già al 1995, due autori anglosassoni, Cox e Griffiths individuarono come

degli aspetti progettuali dell’organizzazione del lavoro potevano creare dei danni alla salute.

Richiamo l’attenzione su 2 dati:

Gli autori sono anglosassoni, questo è un trend che si ripercuote tutt’ora, la maggiore sensibilità è

nei paesi del nord Europa, anche le scuole hanno una sensibilità che è più avanti di 20-30 anni

rispetto a noi. Tutto quello che riguarda l’avanzamento dello studio sulla psicologia del lavoro non

è certo italiana, quindi già negli anni ’80 si parlava di stress nel lavoro. Questi autori per la prima

volta hanno detto che esistono dei fattori che in ambito lavorativo possono potenzialmente

provocare un danno di natura fisica o psicologica nei lavoratori.

Da un punto di vista epidemiologico quali sono le patologie più frequenti in ambiente lavorativo?

Mentre un tempo si parlava di silicosi e rumore che sono in netto ribasso, perché la prevenzione

ha determinato una riduzione di queste patologie, oggi le patologie al primo posto, per tutte le

tipologie di lavoratore sono disturbi muscolo-scheletrici (mal di schiena, per intenderci, che hanno

tutti i lavoratori). Il secondo disturbo lamentato da tutti i lavoratori è lo stress.

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Purtroppo il termine di stress è oggi inflazionato perché è utilizzato anche in maniera inadeguata.

Il termine stress ha un significato ben preciso, di per sé infatti non è un termine negativo però c’è

l’abuso nel termine e nel significato, perché il termine “stress” sarebbe “eustress”, quindi è un

termine positivo, quando un soggetto rileva difficoltà, affaticamento il termine corretto è

“distress”, quindi il termine negativo dello stress si chiama distress, comunemente il termine

stress lo utilizziamo con una accezione negativa.

Esempio di stress: uno studente che deve fare l’esame, ha una sollecitazione esterna e mette in

circolo catecolammine quindi adrenalina che ti fa ricordare, se hai studiato, tutto quello che

pensavi non saresti riuscito a ricordare. In tal caso l’esame configura la situazione di stress, ma si

tratta di uno stress positivo perché ti aiuta ad affrontare l’esame.

L’atleta che deve fare una gara ha quella tensione che lo aiuta a dare il meglio, anche questa è una

condizione di stress.

DEFINIZIONE DI STRESS: Per stress si intende la risposta non specifica dell’organismo davanti

qualsiasi sollecitazione si presenti e che innesta una normale reazione di adattamento. Quindi lo

stress è una reazione adattiva dell’organismo ad una particolare situazione esterna. Se non si è

capaci di adattarsi e superare quell’evento significa che c’è qualche problema, infatti può anche

diventare una situazione patologica.

Il coping è la capacità dell’organismo di fronteggiare situazioni stressanti (un esame, una

gara,ecc..). Il coping è la strategia che il soggetto mette in atto attraverso il proprio bagaglio di

educazione, di personalità, non è una situazione che si crea immediatamente quindi è una

strategia di processi cognitivi, di conoscenza e di crescita che l’individuo mette in atto nel

momento del bisogno.

Lo stress può essere anche correlato a situazioni non necessariamente lavorative, ma anche extra-

lavorative come condizioni ambientali, oppure lo stile di vita, il matrimonio, la gravidanza, le

vacanze, ecc.. tra tutti questi fattori di situazioni individuali, di malattie organiche e di fattori

mentali, un fattore di stress è dato anche dalla costrittività organizzativa.

Costrittività organizzativa: elementi di stress nell’ambiente lavorativo.

Per es nel caso di un lavoratore la cui mansione è quella di immettere dati, oppure non gli viene

assegnato alcuno svolgimento di compiti e quindi rimane inattivo in maniera forzata, non gli danno

un computer o qualsiasi strumento lavorativo, oppure ancora lo trasferiscono in maniera

ingiustificata da una sede all’altra, gli danno dei compiti dequalificanti o dei compiti eccessivi, o gli

vengono negate le informazioni sui corsi di aggiornamento o vi viene escluso, o viene controllato

costantemente dal datore di lavoro e dai colleghi per sapere quante pratiche evade quindi c’è un

controllo esasperato su cui ci sono denunce; ci sono delle situazioni che effettivamente sono

molto frequenti nei luoghi di lavoro.

A medicina del lavoro abbiamo l’ambulatorio per i disturbi dell’adattamento lavorativo quindi

significa che tutta questa situazione di stress crea dei disturbi di adattamento lavorativo.

BURN OUT E MOBBING: “burn out” significa cortocircuito, è una risposta a fattori stressanti

cronici e può avere un effetto deleterio sulle relazioni interpersonali e familiari. Questo tipo di

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sindrome si verifica nelle helping professions cioè nelle professioni d’aiuto nel caso di medici,

infermieri, insegnanti, vigili del fuoco, sacerdoti, ecc.. In ambiente ospedaliero i reparti che sono

maggiormente a rischio di burn out sono i reparti in cui il lavoratore ha una sensazione di

fallimento del suo operato, dove c’è un’alta mortalità. Quali sono i reparti dove l’operatore, quindi

il medico o l’infermiere, pur prodigandosi e mettendo in atto i presidi terapeutici ha un senso di

fallimento? Rianimazione, oncologia, oncologia pediatrica, reparti i cui la responsabilità

dell’operatore, il carico di lavoro e lo stress determinano un elevato coinvolgimento lavorativo.

DEFINIZIONE DI BURN OUT: è una situazione di progressivo distacco emozionale dal vissuto

lavorativo (significa che il soggetto comincia a disinteressarsi a quel tipo di lavoro), legato alla

profonda insoddisfazione per i compiti svolti ed i risultati ottenuti che condiziona una situazione di

insofferenza e fastidio nei confronti dell’ “utenza”.

Si utilizza in genere un questionario MBI dal nome della donna, Cristina Maslach, che per prima ha

individuato questo problema. L’MBI è l’unico questionario che ci permette di indagare la presenza

di burn out. È un questionario standardizzato cioè sono state fatte delle prove convalidate da

migliaia di soggetti quindi c’è una validità e viene utilizzato in tutto il mondo. Il questionario MBI è

stato utilizzato per uno studio in medicina del lavoro su due gruppi, oncologia e malattie infettive,

ed effettivamente è risultato che gli infermieri (solo su di essi perché i medici non sono stati

disponibili a partecipare allo studio), nell’oncologia hanno un indice di burn out più alto rispetto a

quelli delle malattie infettive; il questionario è strutturato in modo tale da andare ad indagare

sulle situazioni individuali e sull’organizzazione del lavoro che poi si sommano. Si è visto che

l’attendibilità di questo burn out è da ricondurre all’organizzazione del lavoro. In quel caso c’è una

carenza di infermieri che vengono aboliti i tempi di recupero, quindi c’erano pochi lavoratori che

dovevano sobbarcarsi il carico di tanti; pertanto erano delle persone il cui equilibrio emotivo era

precario ma che alla fine veniva messo a dura prova da ritmi massacranti. Dal burn out si creano

delle situazioni in cui il lavoratore non va più a lavorare, diventa un assenteista e il gradino finale

da un punto di vista patologico è identico per tutti, cioè il disturbo psichiatrico è uguale sia nello

stress, sia nel burn out, sia nel mobbing, le cause che le hanno provocate sono diverse, in quanto

la causa può essere lavorativa così come extra-lavorativa.

Se si è vittima di mobbing da parte del datore di lavoro o dei colleghi si presenterà una

depressione, quindi il disturbo psichiatrico finale non cambia connotazione. Se un lavoratore viene

licenziato e in seguito presenta depressione è chiaro che la causa è il lavoro. Il risultato è lo stesso,

le cause sono diverse.

Il questionario della MASLACH indaga su tre aree: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e

la ridotta realizzazione nel lavoro. Le aree che vengono individuate sono quelle dell’emotività

(viene chiesto se viene da piangere, la difficoltà a dormire, della relazione con i colleghi, del ruolo

a livello lavorativo, della realizzazione personale se si è un leader nel lavoro, se si è soddisfatti del

lavoro che gli viene assegnato, se riesce a tornare a casa senza il fardello dei compiti in ambiente

ospedaliero…) tutta una serie di domande che portano ad una valutazione in termini di numero,

non vi dà un profilo della persona perché questi questionari sono a punti che riferiscono se c’è o

meno presenza di burn out. In ogni caso il medico del lavoro, che è a contatto con soggetti a

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rischio come infermieri o medici soprattutto nei reparti di oncologia o di rianimazione, ha l’obbligo

di pensare che esista anche questo tipo di rischio (burn out).

Quando si parla di valutazione del rischio poiché oggi si parla di rischio dello stress, il medico del

lavoro, se è all’interno dell’ospedale ha l’obbligo di valutare se ci sono o meno situazioni a rischio.

La letteratura dice che ci sono dei reparti a rischio e non si possono disconoscere queste cose.

Le manifestazioni cliniche sono quelle che vi ho anticipato cioè assenteismo, concetto di

fallimento, indifferenza fino ad arrivare a dei disturbi veri e propri.

La prevenzione da sindrome da burn out è sul piano personale ed organizzativo, perché riguarda

l’emotività e la realizzazione nel lavoro. L’organizzazione è mirata alla realizzazione nel lavoro

oppure il soggetto deve essere spostato. Per esempio se un soggetto attraverso la compilazione

del questionario ha un elevato indice di burn out e so che il soggetto ha un’organizzazione

perfetta, ma ha avuto un lutto in famiglia in quel momento ha un grave problema e quindi la sua

emotività non è confacente all’attività che svolge, bisogna agire in prevenzione spostandolo

temporaneamente; il suo datore di lavoro ha bisogno di quelle braccia e non gli importa dei

problemi del lavoratore perché lui (DT) ha bisogno di un’unità che non gli venga rimpiazzata dalla

direzione del personale. E’ compito del medico a quel punto, che deve ritenere quel soggetto

temporaneamente non idoneo a lavorare in certe situazioni. Si tratta di persone che vogliono

lavorare ma che hanno avuto delle esperienze spiacevoli che si ripercuotono sul piano personale e

quindi hanno difficoltà a lavorare e allora momentaneamente vengono spostate. Ricordate che è il

medico competente che deve avvertire lo psicologo, questi sono lavori che vengono effettuati da

un’equipe, le competenze vanno diversificate.

DEFINIZIONE DI MOBBING: termine anglosassone che deriva dal verbo TO MOB cioè evitare,

allontanare. Questo temine fu utilizzato per la prima volta da Konrad Lorenz uno studioso di

etologia animale, cioè del comportamento degli animali.

A me piace fare riferimento agli scimpanzé perché essi, sulla scala evoluzionistica, sono quelli più

vicini all’uomo, ma gradirei tanto che evitiate di dirmi questo esempio all’esame perché non mi

interessa, vi sto facendo capire il problema con un es.

K. Lorenz trascriveva i comportamenti di scimpanzé di sesso maschile e femminile chiusi in una

gabbia. A questo punto K. Lorenz inserì nella gabbia uno scimpanzé maschio e di bell’aspetto (se si

può parlare di bell’aspetto nello scimpanzé!) a ciò seguì la reazione delle femmine di scimpanzé

che lo accerchiarono ed ignorarono i vecchi scimpanzé; gli etologi si aspettavano che per la logica

del gruppo, i vecchi scimpanzé aggredissero il “nuovo” ed invece non è successo nulla di tutto

questo. Dopo un paio di giorni gli scimpanzé che erano stati messi da parte accerchiarono le

femmine e fecero scudo animale contro il nuovo scimpanzé, senza aggredirlo, lo allontanarono e

lo evitarono creando una situazione di mobbing con un allontanamento che non è fisico poiché

non lo aggrediscono; è un’aggressione psicologica, quindi gli impediscono di avvicinarsi, di

socializzare, di mangiare insieme a loro pertanto lo scimpanzé comincia ad avere una reazione di

isolamento, a non alimentarsi più e ciò ha una ripercussione sul proprio comportamento. La cosa

interessante è che la situazione di un comportamento psicologico, può creare un’aggressione

psicologica.

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DEFINIZIONE DI MOBBING che la prof.ssa vuole agli esami: il mobbing è una molestia psicologica

esercitata con intenzionalità lesiva (cioè con la volontà di fare del male), ripetuta in modo iterativo

con la finalità di estromettere il soggetto dal suo posto di lavoro.

Questa condotta dolosa del datore di lavoro o dei colleghi, deve essere perpetuata per almeno 6

mesi, perché esso è un criterio cronologico utilizzato in linea generale in medicina per indicare la

cronicizzazione di una sintomatologia.

Esiste un “mobbing strategico” che è quello del datore di lavoro che vuole licenziare il lavoratore

per un problema di riorganizzazione aziendale. Ciò avviene soprattutto laddove il licenziamento è

possibile solo per giusta causa (art.18 dello Statuto dei Lavoratori).

Altre volte il datore di lavoro, che possiamo definire anche “mobber ”, è un soggetto che ha dei

problemi e che deve affermare la propria debolezza inveendo sugli altri.

Nell’organizzazione di lavoro ci deve essere una figura che tuteli il lavoratore.

Il datore di lavoro è chiaro che ha interesse ad avere sempre di più a minor prezzo, esistono delle

organizzazioni sindacali nelle grosse aziende e deve essere tutelata l’organizzazione del lavoro;

nelle grosse aziende esiste anche il medico perché tutto questo può verificarsi anche in assenza

del medico, questo per dirvi che adesso non perché c’è la legge, c’è la tutela.

Se la violenza del più forte sul più debole è sempre esistita e può verificarsi dall’alto verso il basso

o anche dai colleghi qual è la novità? Perché parliamo oggi di mobbing se è una condizione sempre

esistita?

Esistono 2 condizioni del perché noi oggi parliamo di mobbing: perché si ha una riorganizzazione a

livello delle aziende, cioè le grosse holding si stanno riorganizzando, sono situazioni lecite perché

la legge le prevede, ma non prevede che il Banco di Sicilia, che l’Unicredit ed il Banco di Roma si

uniscano e poiché ci sono dipendenti essi vengano licenziati. Questo la legge lo vieta. Allora si è

trovato un mobbing strategico: le banche si uniscono, creano un grosso capitale, riducono i costi

attraverso un’incentivazione nella pensione, a questo punto il lavoratore non se ne vuole andare

perché ha bisogno del suo stipendio e allora si creano delle strategie di violenza psicologica e il

datore di lavoro dà lo stipendio ma fa svolgere dei compiti umilianti al lavoratore. A questo segue

la depressione, i pianti, l’insonnia, i litigi in famiglia, avviene l’estromissione, l’allontanamento

della persona.

Può succedere in ambiente ospedaliero nel caso in cui il primario non faccia entrare il chirurgo

nella sala operatoria.

La domanda d’esame è: definizione di mobbing (e l’abbiamo vista).

Si distingue, nella prassi, fra mobbing gerarchico o verticale e mobbing ambientale o orizzontale;

nel primo caso gli abusi sono commessi da superiori gerarchici della vittima, nel secondo caso sono

i colleghi della vittima ad isolarla, a privarla apertamente della ordinaria collaborazione, dell'usuale

dialogo e del rispetto.

Si parla di mobbing dall'alto, o quando l'attività è condotta da un superiore al fine di costringere

alle dimissioni un dipendente in particolare, ad es. perché antipatico, poco competente o poco

produttivo; in questo caso, le attività di mobbing possono estendersi anche ai colleghi (i side

mobber), che preferiscono assecondare il superiore, o quantomeno non prendere le difese della

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vittima, per non inimicarsi il capo, nella speranza di fare carriera, o semplicemente per "quieto

vivere". Si definisce invece mobbing tra pari quello praticato da parte dei colleghi verso un

lavoratore non integrato nell'organizzazione lavorativa per motivi d'incompatibilità ambientale o

caratteriale, ad es. per i diversi interessi sportivi, per motivi etnici o religiosi oppure perché

diversamente abile, oppure il mobbing dal basso; generalmente la causa scatenante del mobbing

orizzontale non sono tanto le incompatibilità all'interno dell'ambiente di lavoro quanto una

reazione da parte di una maggioranza del gruppo allo stress dell'ambiente e delle attività

lavorative: la vittima viene dunque utilizzata come "capro espiatorio" su cui far ricadere la colpa

della disorganizzazione, delle inefficienze e dei fallimenti. A me è capitato un’unica volta che un

dirigente scolastico è stato mobbizzato dal corpo insegnanti

Il Bossing è un termine che indica azioni compiute dalla direzione o dall'amministrazione del

personale e che assume i contorni di una vera e propria strategia aziendale, volta alla riduzione,

ringiovanimento o razionalizzazione del personale, oppure alla semplice eliminazione di una

persona indesiderata. Viene attuato con il preciso scopo di indurre il dipendente alle dimissioni.

Può attuarsi in modalità differenti ma con lo scopo comune di creare un clima di tensione

intollerabile.

È importante che voi capiate che la parola “mobbing” è un termine giornalistico, non esiste una

patologia mobbing, possono esserci dei disturbi mobbing correlati ma il mobbing è un

comportamento non una malattia. Il mobbing non è una patologia. Questo termine non esiste né

in giurisprudenza, né in medicina. Ciò che deriva da questi comportamenti mobbizzanti è una

violazione, il comportamento è mobbizzante nel senso che limito la capacità, dal punto di vista del

Codice Civile sono perseguibile, tutto il mobbing è riconducibile a delle lesioni personali.

Per potersi parlare di mobbing, l'attività persecutoria deve essere funzionale alla espulsione del

lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche

malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad

andamento cronico. Va peraltro sottolineato che l'attività mobbizzante può anche non essere di

per sé illecita o illegittima o immediatamente lesiva, dovendosi invece considerare la sommatoria

dei singoli episodi che nel loro insieme tendono a produrre il danno nel tempo.

Sul piano diagnostico andiamo a vedere i quadri clinici che si vengono a creare nel mobbing.

CONSEGUENZE SULLA SALUTE PER IL COMPORTAMENTO MOBBIZZANTE

� variazioni dell’equilibrio socio-emotivo

� variazioni dell’equilibrio psico-fisico

� variazioni del comportamento manifesto

Le modificazioni a seguito di queste condotte può portare ad un’alterazione dell’umore, in cui si

verifica un’alternanza della depressione a rabbia, ansia e pianto.

Per quanto riguarda il quadro clinico il disturbo dell’adattamento si verifica con ansia reattiva e

depressione, quindi è una conseguenza, il danno sulla salute è provocato da condotte mobbizzanti.

RIPETO: la condotta del mobbing del datore di lavoro o dei colleghi può portare un disturbo

dell’adattamento con ansia, depressione, ecc..questo è un quadro che io ho visto solo una volta in

tanti anni per intenderci il disturbo post-traumatico da stress è quello che hanno avuto i soggetti

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colpiti dal terremoto de L’Aquila, chi è vittima di un incidente ferroviario, chi è vittima di una

rapina a mano armata, ci sono delle gravi patologie psichiatriche dalle quali ci si riprende

difficilmente, sono situazioni molto gravi.

Come può una condotta vessatoria di un datore di lavoro creare un disturbo sul piano della salute

che è simile a quello di una rapina a mano armata? Può verificarsi ma in misura minore rispetto al

primo che è più leggero, quindi disturbo dell’adattamento che sono ansia e depressione è più lieve

ed è quello più frequente. Mentre il disturbo post-traumatico da stress è più raro. In Italia sono

pochi i casi di morte (suicidio).

La diagnosi di questo disturbo di adattamento si fa in genere assieme allo psichiatra. Quando in

medicina del lavoro arrivano vittime di mobbing facciamo prima dei questionari ed una

valutazione psicodiagnostica con lo psichiatra, e dopo che ho una diagnosi per vedere che non ci

siano disturbi della personalità e poi arrivano dal medico perché devo fare una valutazione della

situazione lavorativa tramite questionari e vedere se tra psichiatra e medicina del lavoro c’è o

meno un nesso. Il medico del lavoro può fare diagnosi ma quando arriva una denuncia dal giudice,

con risarcimento del danno lui deve dimostrare che quella condotta è reale. Quindi quando si

arriva dal giudice è il lavoratore che deve dimostrare che ad es il datore di lavoro ha fatto ordine di

servizio, che gli dà un sovraccarico di lavoro o non gli dà lavoro, che non lo fa partecipare ai corsi di

aggiornamento, quindi il lavoratore ha bisogno di una documentazione cartacea. Quindi l’onere

della prova è a carico del lavoratore, se vuole fare una denuncia di mobbing lui lo deve dimostrare

altrimenti è perso in partenza.

La giurisprudenza dispone più frequentemente e facilmente il risarcimento del danno biologico,

ma non del danno morale; il mobbing deve aver procurato uno delle malattie documentate in

letteratura medica per avere diritto a un'indennità dall'azienda.

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ARGOMENTO 26

IGIENE INDUSTRIALE

Igiene del lavoro = scienza che studia le condizioni di salute dei lavoratori sul posto di lavoro.

Scopi = individuare e rimuovere i fattori di nocività.

Compiti dell’igiene del lavoro:

1. promuovere e mantenere nella maniera più efficiente possibile lo stato di salute fisico;

2. mantenere le condizioni ambientali ad alto livello di salubrità fisiologica;

3. prevenire l’insorgenza di malattie professionali;

4. adattare l’ambiente di lavoro all’uomo.

Ambiente di lavoro:

- industria;

- agricoltura;

- commercio;

- artigianato;

- ufficio;

- sanità.

Fattori di rischio: agenti chimici, fisici, biologici.

Il D.Lgs. 626/94 (oggi sostituito dalla legge 81/08) ha introdotto le quattro figure fondamentali per

la realizzazione della valutazione dei fattori di rischio:

1) datore di lavoro (il primario come datore di lavoro sarà responsabile di tutto quello che

succede, con sanzioni penali o amministrative);

2) R.S.P.P., responsabile del servizio di protezione e prevenzione (a Messina il corso di laurea in

R.S.P.P. consta di tre anni);

3) medico competente;

4) R.L.S., rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (questa figura durante le riunioni deve

ascoltare, può fare delle proposte ma in realtà non ha nessun peso. Hanno invece una certa

importanza l’ R.S.P.P. e il medico competente).

L’igienista del lavoro: esterno (libero professionista) o interno (dipendente) rappresenta l’anello

principale di questa catena per fornire gli elementi utili al documento di valutazione del rischio che

il datore di lavoro con le altre tre figure devono contribuire a stilare.

Metodi di intervento:

a) individuazione del processo lavorativo nelle varie fasi;

b) individuazione dei fattori di rischio(in sala gessi ad es. il rischio è dato dal rumore delle seghe

che tagliano il gesso; in sala analisi il è rischio biologico; in radioterapia il rischio è dato dalle

radiazioni);

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c) definizione dei provvedimenti migliorativi anche in relazione ai tempi di esposizione dei

lavoratori (quando voi avrete dei dipendenti sarà importante valutare il tempo in cui essi sono

sottoposti al rischio);

d) realizzazione dei provvedimenti migliorativi.

Valutazione dei rischi.

Il D.Lgs. 81/08 (come già previsto dal D.Lgs. 626/94) indica il percorso da compiere per innalzare il

livello di sicurezza e qualità dell’azienda, individuare e stimare i rischi di esposizione dei lavoratori

a pericoli per la sicurezza e la salute. (Gli articoli nessuno ve li chiede agli esami)

Per fattore di rischio professionale s'intende un qualsiasi agente fisico, chimico, biologico presente

nell'ambiente di lavoro in grado di causare un danno al lavoratore. Il rischio viene di norma

espresso con la seguente formula:

R = P x D

R = rischio

P = probabilità di accadimento dell’evento

D = magnitudo (gravità del danno)

Bisogna dunque:

- individuare dei fattori di rischio (per esempio in sala operatoria il rischio potrebbero essere dato

dai gas anestetici);

- individuare dei lavoratori esposti ai fattori di rischio;

- stima quali-quantitativa dei rischi;

- redigere il documento di valutazione dei rischi (aziende con oltre 10 addetti) (se uno di voi ha

uno studio privato ed ha meno di 10 dipendenti fino al 2012 non è obbligato a fare la valutazione

dei rischi. Io per es. all’ASL gliel’ ho fatta ma potevo anche non dargliela. Dal 2012 è obbligatoria.

Tipi di rischio:

1 aree di transito

2 spazi di lavoro

3 scale fisse

4 macchine

5 attrezzi manuali

6 manipolazione movimentazione manuale di oggetti (in medicina è importante perché occorre

sollevare i malati, per cui se abbiamo un reparto in cui gli infermieri possono sollevare 100-120kg

abbiamo il rischio di lesione della colonna vertebrale. Si fanno dei corsi di formazione in cui si

prendono 2 o 3 portantini che lo sollevano oppure si utilizzano delle apparecchiature elettriche

per sollevare il paziente)

7 immagazzinamento di oggetti

8 impianti elettrici

9 apparecchi a pressione

10 reti e apparecchi distribuzione gas

11 apparecchi di sollevamento

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12 mezzi di trasporto

13 rischi di incendio ed esplosione

14 rischi per la presenza di esplosivi (non ce ne sono tanti in ospedale)

15 esposizione ad agenti chimici (usando gli antiblastici per curare il tumore possono anche

provocare il tumore)

17 esposizione ad agenti cancerogeni

18 esposizione ad agenti biologici

19 ventilazione industriale

20 climatizzazione locali di lavoro

21 esposizione a rumore

22 esposizione a vibrazioni (es. l’ortopedico)

23 microclima termico

24 esposizione a radiazioni ionizzanti

25 esposizione a radiazioni non ionizzanti

26 illuminazione

27 carico di lavoro fisico

28 carico di lavoro mentale

29 stress da lavoro correlato

30 differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri paesi

31 lavoro ai videoterminali

Tipi di rischio organizzativi e gestionali:

32 organizzazione del lavoro

33 compiti funzioni e responsabilità

34 analisi pianificazione e controllo

35 formazione

36 informazione( i primari devono fare informazione e formazione ai dipendenti altrimenti ci sono

delle grosse sanzioni)

37 partecipazione

38 norme e procedimenti di lavoro

39 manutenzione e collaudi

40 dispositivi di protezione individuale

41 gestione emergenza e pronto soccorso (incendio, esplosione, infortunio)

42 sorveglianza sanitaria

Il D.Lgs. 81/08 ha introdotto inoltre la valutazione di ulteriori rischi:

- collegati allo stress lavoro-correlato;

- riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza (se c’è una donna al terzo mese di gravidanza che

lavora in un reparto di microbiologia, il primario la deve mandare via perché c’è il rischio

biologico. Una donna in gravidanza non può lavorare in forestale perché, oltre al tetano e alla

malattia di Lyme a cui può andare incontro, c’è il rischio per il bambino perché il lavoro è troppo

pesante);

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- connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri paesi.

Chi effettua la valutazione dei rischi?

- medico competente;

- responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale R.S.P.P.

- rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (guardano quello che si fa, non fanno nient’altro);

- il datore di lavoro (il primario o il direttore generale devono fare la valutazione dei rischi).

Gerarchia delle azioni da compiere in azienda per la prevenzione:

1) adeguamento alla normativa in materia igiene e sicurezza del lavoro, preesistente rispetto

al D.Lgs. 81/08;

2) individuazione e valutazione dei rischi residui, ovvero dei rischi per la salute dei lavoratori

che permangono anche dopo l’attuazione delle normative precedenti al D.Lgs. 81/08;

3) eliminazione o riduzione dei rischi residui;

4) programmazione degli interventi per la riduzione dei rischi con scadenze ben identificate

(programmazione a breve medio e lungo termine in relazione alla gravità del rischio);

5) sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o che lo è meno;

6) rispetto dei principi ergonomici della concezione dei posti di lavoro nella scelta delle

attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro (quando si lavora bisogna stare attenti

che la sedia sia comoda, conviene spendere più soldi per una sedia comoda perché così i

vostri dipendenti si stancheranno di meno e renderanno di più);

7) priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale

(se abbiamo un gruppo elettrogeno che fa rumore, l’ideale sarebbe incapsulare questa

sorgente o dei schermi phon-assorbenti per il bene di tutti o della collettività; quando non

è possibile rimuovere la sorgente del rumore collettivo si ricorre al DIP;

8) limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al

rischio;

9) utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici (un contagio di epatite C o lo spruzzo di

sangue in sala operatoria può portare ad HIV, bisogna ricordarsi che tutti siamo

potenzialmente infetti);

10) controllo sanitario dei lavoratori in funzione dei rischi specifici (se io ho un lavoratore con

HIV non lo faccio lavorare in uno stabulario perché potrebbe contrarre un ornitosi o la

broncopolmonite. Io ho avuto un chirurgo che aveva l’epatite C e semplicemente usava i

doppi guanti);

11) allontanamento del lavoratore dall’esposizione a rischio per motivi sanitari inerenti la sua

persona;

12) misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, lotta antincendio, di

evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave ed immediato uso di segnali di

avvertimento e di sicurezza;

13) regolazione manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine ed impianti;

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14) informazione, formazione, addestramento, consultazione e partecipazione dei lavoratori e

dei loro rappresentanti (R.L.S.) sulle questioni riguardanti la sicurezza e a salute nei luoghi

di lavoro.

L’informazione può avvenire anche attraverso la proiezione di sussidi audiovisivi, con materiale

cartaceo o altro a condizione che sia corretta,

esaustiva ed efficace.

La formazione prevede la presenza attiva di un formatore e si può effettuare attraverso corsi,

colloqui, riunioni che dovranno essere ripetuti periodicamente.

L’addestramento prevede oltre alla formazione una fase di apprendimento pratico specifico.

Valutazione dei rischi deve:

- consentire l’individuazione degli interventi necessari ad eliminare o ridurre rischi individuati

- consentire di formulare un piano di attuazione degli interventi in base ad un preciso ordine di

priorità.

Fra gli interventi necessari ad eliminare o ridurre i rischi individuati con la valutazione dei rischi si

possono distinguere:

- misure di prevenzione: hanno l’obiettivo di ridurre la probabilità che si verifichino eventi dannosi

(che possono causare infortuni o malattie professionali);

- misure di protezione: sono in grado di evitarne od attenuarne le conseguenze dannose per i

lavoratori. Es. l’operaio che lavora in altitudine si mette l’imbracatura così se cade non succede

nulla oppure mette un tappo, una cuffia se lavora in ambiente rumoroso.

Misure di prevenzione:

- tecniche: modifiche di tecnologie, impianti, macchinari, attrezzature, ecc. (in una sala operatoria

oltre a un ricambio d’aria servirebbe un sistema di espulsione dei gas anestetici che però non ho

visto in nessun posto, solo sui libri);

- procedurali: modifiche di procedure di lavoro (ordine e sequenza delle operazioni, informazione

e formazione);

- organizzative: modifiche dell’organizzazione del lavoro (orari, tempi, reparti, responsabilità, ruoli,

gerarchie).

Protezione collettiva:

- dispositivi di protezione applicati agli organi di lavoro od ingranaggi pericolosi

delle macchine (griglie, schermi fissi o mobili);

- strutture di isolamento applicate alle macchine che producono radiazioni o rumori nocivi per gli

operatori (schermature, insonorizzazioni);

- gruppo elettrogeno schermi mobili insonorizzato;

- impianti di aspirazione di gas, fumi o vapori tossici, (saldatura, verniciatura, ecc.);

- impianto di aspirazione centralizzato o localizzato;

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- facciali filtranti (in medicina sono importanti nei reparti di malattie infettive. Ce ne sono vari tipi,

ff2 se c’è il rischio di morbillo o varicella, le ff3 ovvero le più potenti le usiamo quando si esegue

la broncoscopia perché c’è il rischio di contrarre la tubercolosi);

- protezione delle vie respiratorie contro aerosol, polveri, liquidi o gas irritanti pericolosi, tossici o

infettanti;

- semimaschere a filtro, maschere a filtro.

Protezione individuale:

- indumenti di protezione contro il rischio biologico, chimico e contro le radiazioni ionizzanti (es. i

camici piombati);

- guanti specifici per la manipolazione di sostanze chimiche (abbiamo guanti sterili, non sterili. Se

avete un dipendente allergico si usano quelli in neoprene che costano molto di più ma

funzionano lo stesso);

- guanti di lattice, sottoguanti in cotone;

- zoccoli (con suola antiscivolo in sala operatoria perché può capitare che ci sia saponata a terra),

stivali impermeabili con puntale antischiacciamento;

- schermi con copricapo, occhiali a tenuta (paraspruzzi in sala operatoria).

7passi per proteggere la salute dei lavoratori:

1) identificare il pericolo;

2) valutare il rischio;

3) provare ad eliminarlo;

4) sostituire ciò che è pericoloso con ciò che non lo è;

5) cercare di contenerlo con sistemi di protezione collettiva;

6) usare i dispositivi di protezione individuale se non si possono usare quelli di protezione

collettiva;

7) cambiare mestiere.

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ARGOMENTO 27

VIDEOTERMINALE

Le domande relative al videoterminale sono: definizione di videoterminale- chi è il video

terminalista- sorveglianza sanitaria per gli addetti al videoterminale- disturbi correlati all’uso del

videoterminale.

Qual è il titolo del D. Lgl 81/08 riguardante il VDT? Il titolo VII che parla di tutte le attività

lavorative in cui viene utilizzato il videoterminale.

DEFINIZIONE DI VIDEOTERMINALE: è uno schermo alfa-numerico a prescindere dal tipo di

procedimento di visualizzazione utilizzato. “Schermo alfa-numerico” significa che nel

videoterminale, che è fornito di un monitor, è previsto l’inserimento di lettere e numeri, cosa non

prevista in altri schermi come in quelli di una cassa di supermercato, di bar, ecc.. quindi la

differenza di un videoterminale con altri monitor è che il videoterminale ti permette il dialogo,

inteso in termini di computer, cioè possibilità di inserire dei dati e dei numeri e di elaborare anche

dei documenti, cosa che invece non è possibile nelle casse del supermercato o dei pedaggi

autostradali, tutto quello che è un telecontrollo nelle aree di sorveglianza. Ci sono soggetti che

sono addetti alla sorveglianza, stanno davanti ad un monitor ma non sono video terminalisti

perché non hanno la possibilità di inserire numeri e di dialogare con il computer. Questa è una

differenza strategica per i medici del lavoro perché solo il soggetto che lavora al videoterminale

(mansioni svolte dal VDT: word processing- computer aided design CAD- computer graphic-

desktop publishing..tutti questi soggetti sono videoterminalisti) è un soggetto a rischio e se c’è un

rischio per la salute è obbligatorio che il datore di lavoro lo faccia sottoporre a visita medica da

parte di un medico competente. Se il lavoratore è un addetto alla cassa del bar, non vi ho detto

supermercato e poi vi dirò perché, non c’è rischio e il datore di lavoro non ha l’obbligo di

sottoporre quel dipendente a visita medica.

Ricordate soltanto se c’è un rischio per la salute che deve essere inserito nel documento di

valutazione del rischio, il medico dovrà visitare il sogg, se non c’è un rischio previsto per legge ed il

medico stesso ritiene che non c’è un rischio, non ci saranno visite mediche da parte del medico

competente. Quindi il datore di lavoro in questo caso non ha un obbligo.

RIPETIAMO: riferimento legislativo, definizione di videoterminale, postazioni munite di

videoterminali in cui ci sono gli accessori opzionali (come il mouse), l’ambiente di lavoro fa parte

della postazione di lavoro, anche la sedia è importante, come postazione ergonomica della

collocazione del videoterminale.

I rischi per la salute per chi lavora al videoterminale non è soltanto lo schermo, ma è anche la

sedia (come il soggetto sta seduto), l’ambiente (presenza o meno di luce, se la climatizzazione è

adeguata o meno), quindi realmente tutto quello che è la situazione del benessere di chi lavora al

videoterminale è un rapporto uomo-macchina, che può essere un rapporto conflittuale, cioè

l’operatore può non essere messo nelle condizioni di poter lavorare e lì allora si viene a creare una

situazione di stress nell’utilizzo del videoterminale.

Si può avere l’ultimissima generazione di videoterminale, la postazione ergonomica migliore, la

luce adatta, la condizione climatica eccellente ma il soggetto non sa usare il videoterminale. Per

avere una valutazione buona e complessiva devono essere valutate tutte le situazioni.

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Esistono tanti fattori della persona (che è incapace di utilizzare il VDT), ma anche della macchina

che non è adeguata, la sedia inadeguata, esiste una postazione standardizzata per legge, c’è una

check-list, la postazione del videoterminale deve essere quella e non si può prescindere dalla

norma di legge.

DEFINIZIONE DI VIDEOTERMINALISTA: esistono varie definizioni di videoterminalista. Dovete

semplicemente ricordare che Il videoterminalista è colui che utilizza un’attrezzatura munita di

VDT in modo sistematico ed abituale, per almeno 20 ore settimanali dedotte le interruzioni di cui

all’art.175. Le pause per legge sono di 15 minuti ogni 2h di attività prolungata al videoterminale.

Tutti coloro che sono video-terminalisti sono sottoposti a sorveglianza sanitaria da parte di un

medico competente.

DISTURBI CORRELATI AL VDT

Sono raggruppati in 3 gruppi:

1. Disturbi per l’apparato oculo-visivo; c’è una differenza fra l’occhio e la funzione visiva, ciò

è fondamentale perché non tutti, pur essendo studenti di medicina, sanno fare questa

differenza.

2. Disturbi per l’apparato muscolo-scheletrico; perché incide sulla postura, lo stare seduti in

maniera prolungata può creare problematiche a livello del disco intervertebrale che è

quella struttura che funge da ammortizzatore tra una vertebra e l’altra che comunque non

avendo una vascolarizzazione autonoma, ha bisogno dei movimenti per poter creare dei

movimenti di osmosi, di nutrimento. Più si sta seduti più si verifica questa compressione

della colonna sul disco intervertebrale, automaticamente ne risente il disco intervertebrale

e si avranno dei problemi nel tempo. Quindi i 15 minuti di pausa obbligatori per legge

servono sì per un riposo a livello dell’apparato oculo-visivo, della vista principalmente, ma

anche per avere questi movimenti di stretching, quindi bisogna alzarsi.

Nei 15 minuti i medici competenti dicono all’operatore di non mettersi a giocare al computer

ma bisogna fare dei movimenti di stretching a livello della colonna, un altro distretto

interessato è il tratto mano-braccio per l’utilizzo del mouse che provoca problemi come

tendinite e sindrome del tunnel carpale.

Apriamo una parentesi: La sindrome del tunnel carpale è una patologia cha ha eziopatogenesi

multifattoriale, ci sono fattori endocrini, le donne in menopausa hanno una maggiore

predisposizione per questione sia di sesso che di ormoni a sviluppare il tunnel carpale, tante

sono le donne che sono state sottoposte ad intervento di tunnel carpale. Come faccio a

stabilire se la sindrome di tunnel carpale è dovuta alla professione svolta dal soggetto?

Se la cassiera del supermercato dimostra che la patologia é dovuta al lavoro io nel dubbio devo

andare a favore della pz, devo riconoscere una patologia lavoro- correlata pur sapendo che c’è

familiarità, però la pz lavora e a questo punto la colpa è del datore di lavoro che non l’ha tolta

da quel tipo di attività che era aggravante su una sua predisposizione. È una situazione molto

sottile ma le responsabilità vengono pagate. Il tutto è finalizzato ad una prevenzione.

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3. Stress il lavoratore può essere mortificato dall’utilizzo del computer, non perché non lo

sappia utilizzare ma perché può essere bravissimo al computer ed inserisce solo numeri, il

che è una cosa mortificante. Si può creare un conflitto uomo-macchina, perché l’operatore

sta facendo un lavoro al di sotto delle sue competenze.

Astenopia

L’Astenopia”o “disturbi astenopenici o astenopici” è un termine che indica una sindrome, cioè un

insieme di sintomi, che non è patologia.

Qual è la differenza tra sintomo e patologia? Il sintomo può regredire con l’interruzione

dell’esposizione lavorativa. Esempio: se si lavora al computer ci si può sentire affaticati e avvertire

un senso di bruciore agli occhi. Se si interrompe l’utilizzo del computer si ha la scomparsa dei

sintomi.

In letteratura non sono stati dimostrati delle patologie da lavoro al videoterminale ma solo

sindromi infatti si parla di “SINDROME ASTENOPENICA” che indica un insieme di sintomi a carico

dell’apparato oculo-visivo, oppure di stress che regredisce alla sospensione del lavoro.

In medicina del lavoro chiamiamo questa prova test di arresto-ripresa. Anche dal punto di vista

dermatologico se un pz è esposto a polveri, ha tosse, fastidio o prurito e mentre è a casa non c’è

questo sintomo il pz è positivo al test di arresto-ripresa, significa che quei sintomi sono collegati

all’esposizione lavorativa. Il test di arresto- ripresa può essere effettuato nei video-terminalisti che

hanno bruciore agli occhi, se stanno a casa durante il fine settimana o durante le ferie e non hanno

quella congiuntivite, evidentemente la congiuntivite è da mettere in relazione con l’ambiente

lavorativo che non è necessariamente la visione protratta al videoterminale, ma può essere che

l’ambiente sia troppo secco, che ci sia un’elevata umidità, una temperatura molto elevata che

determina fastidio agli occhi.

Il test arresto-ripresa è indicativo su alcune correlazioni con esposizione al lavoro.

Torniamo a parlare della sindrome astenopenica, cioè all’insieme di sintomi. Si è visto che uno dei

sintomi che regredisce con l’utilizzo del videoterminale è la miopizzazione tant’è che si parla di

miopizzazione transitoria, per es. se c’è un lavoratore, inizia il turno gli faccio leggere nella tavola

ottometrica le lettere e il pz legge perfettamente 10/10, a fine turno dopo le 8 h di lavoro le righe

che prima vedeva benissimo, da lontano non le vede più. L’indomani mattina il pz rileggerà la

tavola ottometrica in maniera perfetta quindi significa che quella miopizzazione rilevata a fine

turno è sparita, questa è la miopizzazione transitoria. Questo è un effetto dei disturbi che si

possono avere con l’utilizzo del VDT. Tutte quelle che sono patologie che si supponeva all’inizio

fossero cataratta, tumore e perdita della vista vengono escluse.

Le funzioni visive che sono coinvolte sono l’acuità, l’accomodazione e l’adattamento.

L’acuità è la capacità di discriminare da lontano due linee, in tal caso c’è riferimento alla

miopizzazione, perché si ha una stanchezza visiva.

L’accomodazione è un meccanismo compiuto dall’occhio per ottenere la visione nitida di oggetti

che sono posti a diversa distanza e questa capacità dell’accomodazione fa capo al cristallino e

quindi quando varia la curvatura del cristallino, negli ultracinquantenni in genere, si ha una

difficoltà maggiore a vedere le figure più nitide.

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Vi sto spiegando queste funzioni visive per farvi capire come arriviamo alla sorveglianza e come

spiegarla, pertanto la funzione visiva è regolata da acuità visiva (capacità di distinguere due punti),

l’accomodazione (vedere nitidi a diversa distanza, la distanza del VTD è di 60- 70 cm, nel foglio la

distanza è ravvicinata quindi chi deve copiare deve accomodare costantemente.

Un soggetto di 20 anni accomoda molto più facilmente, perché abbiamo detto che

fisiologicamente il cristallino modifica la propria curvatura e ha più difficoltà nella messa a fuoco

quindi il soggetto ultracinquantenne è più svantaggiato rispetto ad un giovane che fa meglio il

lavoro di accomodazione).

L’adattamento è la capacità di adattarsi alle variabili dell’illuminazione. L’occhio mette in atto dei

sistemi pupillari e retinici per adattarsi alle diverse illuminazioni. Queste sono delle funzioni

coinvolte nell’ utilizzo del VDT.

L’astenopia è l’insieme dei disturbi che si hanno nell’utilizzo del VDT e sono sintomi e segni

oculari, visivi ma anche generali.

Disturbi dell’astenopia. La distinzione che voglio che venga fatta è:

• Disturbi visivi → i disturbi visivi aeengono alla vista. Chi lavora al VDT presenta fotofobia,

visione sfuocata, sdoppiata, facile stancabilità alla lettura, effetto McCollough (visione

rosata) ovvero il paziente riferisce di vedere, dopo l'uso del terminale da più di un'ora, gli

oggetti in bianco e nero colorati con colori complementari a quelli dei caratteri in uso sul

videoterminale, ma questo fenomeno non è indice di danno oculare.

• Disturbi oculari → senso di secchezza, senso di sabbia negli occhi, bruciore quindi sono

sintomi a livello di vista e di occhi. Il corpo estraneo è un sintomo oculare, non visivo.

• Disturbi a livello dell’ apparato muscolo-scheletrico → irrigidimento, intorpidimento,

fastidio alla schiena, a livello degli arti superiori, nella zona cervicale avremo problemi per i

movimenti.

• Disturbi da stress → cefalea, insonnia, ecc..

Sistemi di rilassamento per la funzione visiva:

Palming:

davanti ad una scrivania, coprite gli occhi con le mani ed appoggiate tutto il peso del capo sui

palmi delle mani. Restate così per 2 - 3 minuti respirando tranquillamente. Notate come l’oscurità

davanti agli occhi diventa man mano più profonda. Si può terminare visualizzando paesaggi

naturali e tranquilli. Fatelo spesso per riposare gli occhi. Ogni volta che dovete aspettare il

caricamento di una pagina, invece i fissare ansiosamente lo schermo, fate palming. Quest’esercizio

sviluppa un senso di calore sull’organo della vista che ha un effetto benefico favorendo il

rilassamento della muscolatura intrinseca ed estrinseca dell’occhio.

Sunning:

senza occhiali e ad occhi chiusi guardate in direzione del sole per qualche istante. Respirando

immaginate davanti a voi una profondità infinita immaginando di assorbire il calore e distribuirlo

dentro gli occhi, dietro, e anche verso la nuca. 5 - 10 minuti. Fa molto bene alternarlo con il

Palming. Muovete poi gli occhi in grandi cerchi per permettere alla luce di toccare ogni parte della

retina.

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Blinking (battere le palpebre):

Fatelo il più spesso possibile; serve a dare movimento, relax, e per inumidire e pulire la cornea e

massaggio agli occhi . Il movimento deve essere leggero, come il battito d’ali di una farfalla. Ma

all’inizio può anche essere utile alternare un battito leggero ad un vero e proprio strizzare gli occhi.

Sorveglianza sanitaria

Il medico competente deve effettuare delle visite una volta l’anno salvo i casi previsti per legge. Gli

esposti al VDT sono uno di quei casi previsti per legge. Ciò significa che il medico competente è

quasi costretto ad avere una periodicità prevista per legge ovvero deve vedere i lavoratori per

visita pre-assuntiva, preventiva, periodica (queste sono le varie tipologie) quindi non confondetevi

se all’esame vi dico di parlarmi delle tipologie di visite per il videoterminalista perché sono quelle

che abbiamo fatto come aspetti generali.

Vi confondete perché non vi ho parlato di visite differenziate ma sono sempre le stesse:

preventiva, periodica, su richiesta del lavoratore, a cambio mansione, sono sempre le stesse.

Quindi la parola trabocchetto che vi aggiungo “per il videoterminalista” non deve farvi confondere.

Periodicità: la legge per il videoterminalista mi dà una cadenza biennale o quinquennale significa

che vedo il lavoratore in visita pre-assuntiva o preventiva, quindi vedo il pz la prima volta, in

seguito:

Vedrò ogni 2 anni il lavoratore al quale in prima visita ho espresso un giudizio di idoneità con

limitazioni, significa che anziché fargli fare 15 minuti di pausa ogni 2h io scrivo che il soggetto è

idoneo all’utilizzo del VDT ma dovrà fare 10 min di pausa ogni h. Questa è una limitazione.

La legge dice che a coloro i quali il medico del lavoro abbia fatto la limitazione di idoneità, li dovrà

rivedere ogni 2 anni, e questo è un primo gruppo.

A chi vedrò ogni 2anni ad una distanza ravvicinata? Ai soggetti ultracinquantenni per il problema

dell’accomodazione, in quanto si ha una situazione fisiologica di difficoltà nella messa a fuoco ed è

più facile che il soggetto abbia in breve tempo una perdita in termini di diottria, che abbia più

fastidi rispetto ad un soggetto giovane.

Vedrò ogni 5 anni tutti gli altri soggetti, che sono giovani e che non hanno disturbi.

RIPETIAMO: la sorveglianza sanitaria prevede una periodicità biennale e quinquennale.

Biennale per tutti i soggetti che in prima visita hanno avuto una limitazione nel giudizio di idoneità

ed anche negli ultracinquantenni;

Quinquennale invece per tutti gli altri.

Il lavoratore a cui il medico competente ha fatto una limitazione nell’utilizzo del VDT può fare

ricorso avverso al giudizio del medico competente entro un termine max di 30 giorni ed inoltrare il

ricorso all’ASL.

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ARGOMENTO 28

MOVIMENTI RIPETITIVI

Le domande relative a questo argomento sono: definizione di movimenti ripetitivi; attività

lavorative a rischio di movimenti ripetitivi; quali sono le patologie che conseguono ai movimenti

ripetitivi.

DEFINIZIONE DI MOVIMENTO RIPETITIVO: è un movimento identico o molto simile che viene

eseguito ad elevata frequenza, quindi vengono effettuate delle azioni in modo ciclico e per ciclico

intendiamo un’azione tecnica di breve durata, cioè di min o sec, quindi il ciclo è la sequenza di

azioni tecniche di breve durata in minuti o secondi che si ripete uguale a se stessa. L’azione tecnica

è l’insieme di movimenti di uno o più distretti corporei che consentono di compiere un’operazione

elementare.

Parlando di movimenti ripetitivi il distretto che viene interessato è l’arto superiore infatti essi sono

causa di patologie da sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore.

Queste patologie sono definite lavoro-correlate perché l’eziopatogenesi è multifattoriale. Quindi

anche le persone che non lavorano possono presentare queste patologie.

PARAMETRI CHE CARATTERIZZANO I MOVIMENTI RIPETITIVI:

• ripetitività

• frequenza

• forza

• postura

• pause (tempo di recupero)

Esempi di movimenti ripetitivi si riscontrano nelle aziende di imbottigliamento (movimento da

“Tempi moderni”) e nelle cassiere del supermercato. Importante è la pausa, intesa come tempo di

recupero.

L’acronimo che spesso potrete riscontrare è WMSD- Worker related muscular skeletal disease

patologie muscolo scheletriche dell’arto sup.

Siccome sono patologie a eziopatogenesi multifattoriale, significa che ci sono sia fattori lavorativi,

che individuali, che extralavorativi.

ATTIVITA’ LAVORATIVE A RISCHIO che richiedono i movimenti ripetitivi:

• Macellazione

• Confezionamento pacchi

• Inscatolamento

• Assemblaggio

• Cucitura a macchina

• Igienisti dentali

• Imbianchino

• Cassiere

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• Cuoco

• Addetto alle pulizie

• Carpentiere

• Falegname

• Musicista

• Barbiere

• Operaio della catena di montaggio

FATTORI DI RISCHIO OCCUPAZIONALE

• Movimenti con elevata ripetitività e alta frequenza

• utilizzo della forza

• postura scorretta

• movimenti articolari estremi

• pause brevissime o assenti

• turnazione

• vibrazioni

• esposizione al freddo

• compressioni strutture anatomiche

• strumenti di lavoro non ergonomici, uso di guanti non adeguati, uso di utensili per dare

colpi

• inesperienza lavorativa

Ricordate che vi ho detto a proposito del tunnel carpale? Sono patologie ad eziopatogenesi

multifattoriale tra cui il sesso, l’età, le caratteristiche antropometriche, lo stato ormonale,

pregresse fratture. Sono dei fattori predisponenti, sono patologie da sovraccarico

biomeccanico.

PATOLOGIE COINVOLTE NELLA SINDOME DEL SOVRACCARICO BIOMECCANICO

• Sindrome del tunnel carpale.

• Compressione del nervo mediano. La terapia è chirurgica.

• Il dito a scatto, patologia frequente anche nelle ferriste della sala operatoria, la

diagnosi si fa immediatamente perché fa il “clic” e quindi si capisce.

• Tendinite dei flessori delle dita della mano

• Epicondilite

• Tendinite della cuffia dei rotatori

COME VIENE EFFETTUATA LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO?

Esistono delle check-list per fare la valutazione del rischio e sono OSCA, OCRA o ACGH.

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ARGOMENTO 29

MOVIMENTAZIONE MANUALE DI CARICHI

Sono tutte quelle azioni che comportano le operazioni di sollevamento, abbassamento, spinta e

traino di “gravi” da parte dei lavoratori.

In Italia ci sono oltre 3 milioni di lavoratori esposti a rischio di movimentazione manuale dei carichi

(infermieri, portantini, archivisti, bibliotecari, ecc.)

La lombalgia rappresenta sicuramente il disturbo più frequente. Si presenta con senso di peso,

fastidio, intorpidimento, rigidità.

Alterazioni della statica:

- Scoliosi

- Schiena appiattita

- Ipercifosi

- Iperlordosi

I rischi di lesione dorso-lombare è correlato alle:

- Condizioni organizzative dell’attività (sforzi frequenti o prolungati, distanze eccessive, ecc)

- Caratteristiche del carico (peso, ingombro, temperatura, tipo di contenuto, ecc.)

- Ambiente di lavoro (spazio, pavimentazione, ingombro, stabilità degli appoggi, ...)

- Caratteristiche individuali

- Sforzo richiesto (spazio, pavimentazione, ingombro, instabilità degli appoggi, …)

- Uso di idonei DPI (sollevatore di carichi)

ORGANZZAZIONE DEL LAVORO

Evitare di concentrare in periodi brevi tutte le attività di movimentazione, diluendo i periodi di

lavoro con movimentazione manuale durante la giornata alternandoli con altri lavori leggeri.

Numeri dati dal prof a lezione

Valori di riferimento:

- Kg 30 per maschi adulti

- Kg20 per maschi adolescenti

- Kg 20 per femmine adulte

- Kg 15 per femmine adolescenti

Il termine di lombalgia o più semplicemente “mal di schiena” si definiscono una serie di disturbi

che colpiscono la porzione inferiore (lombare o lombo-sacrale) del rachide.

La lombalgia è un disturbo molto frequente nella popolazione, si stima che dal 60 al 90% delle

persone ne abbiano sofferto anche più volte nel corso della loro vita. Si stima che solo una quota

di casi di lombalgia sia imputabile all’attività lavorativa e di questi circa un terzo attribuibili ad

azioni di sollevamento e flessione del rachide. In Europa circa la metà delle malattie professionali

sono malattie muscolo-scheletriche, e traesse è compreso il “mal di schiena”. Il 60-70% degli

infortuni sul lavoro da sforzo provoca lombalgia acuta.

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La lombalgia riconosce una genesi multifattoriale in cui fattori di rischio sono l’età, il sovrappeso,

la presenza di alterazioni del rachide congenite o acquisite quali la scoliosi, l’artrosi, l’ernia discale,

la spondilolisi e la spondilolistesi, solo per fare alcuni esempi. L’età più colpita risulta essere quella

compresa tra i 35 e i 45 anni per gli uomini e tra i 45 e i54 anni per le donne: il rischio tende ad

aumentare con l’avanzare dell’età Per quanto riguarda l’ernia del disco essa è più frequente entro

la quinta decade di vita e colpisce il segmento del rachide lombosacrale più vulnerabile (L4-L5, L5

S1).

Altre attività lavorative a rischio sono: carpenteria, edilizia, guida di grossi automezzi (autobus,

autotreni, trattori, gru), agricoltura, facchinaggio, carico/scarico e stoccaggio merci,attività

minerarie. Le attività lavorative che comportano la movimentazione manuale di carichi

predispongono allo sviluppo di lombalgia; appare inoltre dimostrato il ruolo giocato dall’avere

svolto per lungo tempo una mansione che richiede il frequente sollevamento di carichi associato a

posture scorrette della colonna vertebrale come la flessione anteriore o la torsione. Altri fattori di

rischio occupazionali sono ad esempio il mantenimento di posture fisse (sedute o in piedi) per

periodi prolungati, il lavoro manuale ripetitivo, le vibrazioni trasmesse a tutto il corpo (come

accade durante la guida di mezzi pesanti).Il personale sanitario (infermieri, fisioterapisti, operatori

sanitari e tecnici dell’assistenza) è considerato tra le categorie più a rischio per lo sviluppo di mal di

schiena; la movimentazione manuale dei pazienti costituisce la principale fonte di rischio. I

pazienti infatti sono “carichi”in genere molto pesanti, non simmetrici, offrono difficile presa e

spesso non sono in grado di collaborare durante la movimentazione e possono anche opporre

resistenza (pensiamo ad esempio ad un paziente addolorato).

La condizione migliore per sollevare un carico risulta quella in cui l’individuo mantiene la schiena

diritta, flette le ginocchia e il carico viene sollevato afferrandolo con entrambe le braccia e il più

possibile vicino al corpo dell’operatore. Il sollevamento verrà così effettuato sfruttando la forza

esercitata dalla muscolatura degli arti inferiori.

Attività lavorative che comportano la movimentazione manuale di carichi, oltre a sollecitare le

strutture muscolo scheletriche del rachide e degli arti superiori, comportano modificazioni anche a

carico di altri organi e apparati: cuore e sistema circolatorio (aumento della frequenza e della

gittata cardiaca, aumento della pressione arteriosa), apparato respiratorio (aumento della

ventilazione), variazioni della pressione addominale. Il medico competente dovrà tenere conto di

tutti questi fattori nella valutazione dell’idoneità del lavoratore.

La valutazione del rischio biomeccanico nelle operazioni di movimentazione manuale di

Carichi: Studi psicofisici

“Quanto si può chiedere ad un lavoratore di sollevare, abbassare, spingere, tirare o trasportare?”

I risultati degli esperimenti hanno permesso la creazione di tabelle che contengono riferimenti per

valutare i limiti di accettabilità per valori di forza o di peso e di riferirli a diverse percentuali della

popolazione.

1. Massimo peso accettabile per il sollevamento

2. Massimo peso accettabile per azioni di abbassamento, spinta traino, trasporto

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L’equazione NIOSH per la valutazione di compiti di sollevamento

Nel 1981 l’Istituto nazionale statunitense per la sicurezza e la salute occupazionale (National

Institute for Occupational Safety and Health - NIOSH) ha sviluppato un metodo di valutazione delle

azioni di sollevamento mediante un’equazione in grado di individuare un limite di peso e

identificare compiti lavorativi a rischio per lo sviluppo di lombalgia. L’equazione è stata sottoposta

a revisione nel 1991 con lo scopo di ampliare il campo di applicazione a compiti più complessi. Essa

si applica a compiti di sollevamento intesi come azioni che comprendono: afferrare con entrambe

le mani un oggetto, di peso e forma definiti,e spostarlo in senso verticale senza assistenza da parte

di ausili meccanici.

L’equazione si basa sui seguenti presupposti:

1. Le azioni di sollevamento manuale aumentano il rischio di lombalgia

2. La lombalgia è più frequente se viene sollevato un peso maggiore di quello che corrisponde alla

capacità fisica del lavoratore

3. La capacità fisica di un lavoratore è un dato molto variabile.

Inoltre l’elaborazione del metodo è stata condotta sulla base di tre criteri fondamentali:

biomeccanico, fisiologico e psicofisico.

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ARGOMENTO 30 RISCHIO BIOLOGICO

Quando affrontiamo il tema del rischio biologico, dobbiamo parlare di:

a) Misure di contenimento degli agenti biologici b) Procedure e tecniche operative per il contenimento degli agenti biologici

c) Misure di contenimento degli agenti biologici a trasmissione parenterale

A) MISURE DI CONTENIMENTO DEGLI AGENTI BIOLOGICI L’obiettivo del contenimento è eliminare o ridurre l’esposizione ad agenti biologici o sostanze

pericolose per gli operatori della sanità, per le altre persone e per l’ambiente esterno.

Abbiamo due tipi di contenimento, primario e secondario.

Contenimento di tipo primario: ha la funzione di proteggere il lavoratore o il personale situato

nelle immediate vicinanze della fonte di esposizione (laboratori biologici, anatomia patologica,

microbiologia ecc..) e quindi rappresenta una prima difesa quando si lavora con gli agenti infettivi.

Il contenimento primario si ottiene con procedure tecniche ed operative,con le attrezzature,con i

dispositivi di protezione individuale (DPI) e con le vaccinazioni (in particolare per HBV). Il

contenimento primario ha dunque la funzione di barriera (rappresentata dalle cappe) tra l'agente

infettivo e l'ambiente circostante.

Importante è anche il flusso d'aria laminare che favorisce il blocco degli agenti patogeni al

passaggio dall'interno verso l'esterno della cappa. Altro sistema è quello delle provette,bisogna

stare attenti che le provette siano sempre chiuse, l'ideale sarebbe usare delle provette di plastica

che sono più resistenti rispetto a quelle di vetro. Quando l'utilità della barriera viene a mancare o

incorrono dei rischi,come ad esempio la rottura di una provetta, bisogna procedere con la pulizia

del bancone di lavoro per evitare la diffusione di droplets che potrebbero contaminare l'ambiente

circostante.

Contenimento di tipo secondario: ha la funzione di evitare l'esposizione dell'ambiente esterno, i

rischi sono rappresentati dall'aria che può uscire dal laboratorio e da come vengono trattati i rifiuti

liquidi e solidi. Il contenimento secondario si ottiene utilizzando idonee misure protettive (ad

esempio cabine con doppi vetri).

Qua ora vedete due porte. Generalmente questo dispositivo a 2 porte si comincia ad avere nel

rischio biologico di seconda classe; quindi per passare dall’ambiente esterno al laboratorio di

analisi bisogna passare attraverso 2 porte. Abbiamo il rischio per l’aria infetta che esce dal

laboratorio e per i rifiuti solidi e liquidi che si vengono a produrre all’interno del laboratorio;

questo contenimento può essere raggiunto con idonee misure costruttive o con idonee procedure

tecniche.

B) PROCEDURE E TECNICHE OPERATIVE PER IL CONTENIMENTO DEGLI AGENTI BIOLOGICI

Gli eventi fondamentali per il contenimento sono i vari procedimenti da effettuare, come il lavarsi

le mani tra un paziente e l'altro, l'utilizzo di corrette attrezzature (casco e guanti) ed il laboratorio

ovviamente dev'essere a norma. Le procedure devono essere seguite scrupolosamente e

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presuppongono una conoscenza dei rischi e la presenza (nel laboratorio o sala operatoria) di un

manuale che li identifichi e che eventualmente indichi le procedure da attuare per eliminarli o

ridurli al minimo. Per legge è necessario effettuare un corso di addestramento obbligatorio

(introdotto dal Decreto Legislativo 81-08), che è soggetto ad aggiornamenti nel corso degli anni,

per saper riconoscere ed affrontare i rischi nei quali si può incappare.

Procedure di buona prassi:

• Igiene personale (lavaggio delle mani)

• Pulizia dell'ambiente (mantenere le superfici di lavoro pulite per ridurre sia il rischio

biologico che chimico)

• Evitare di mangiare nel laboratorio

• Indossare il camice

• In laboratorio bisogna lavorare sempre in due

Le buone pratiche però non sempre sono sufficienti a gestire il rischio, per questo è necessario

avere anche le corrette attrezzature, rappresentate dalla cappa di sicurezza biologica dotate di

sistemi di ventilazione, dalle centrifughe con filtri (funzionanti e cambiati regolarmente), dalla

presenza di doppie porte o di porte ermetiche nei laboratori.

Le attrezzature ed i dispositivi sono rappresentati dalle CAPPE di bio-sicurezza, delle quali ne

esistono tre tipi, primo, secondo e terzo grado, e le CENTRIFUGHE che devono essere a chiusura

perché se non vengono chiuse possiamo correre il rischio di infezione. Chiaramente però il primo e

principale metodo per ridurre il rischio di aerosol e di materiale infetto è la cappa che non viene

utilizzata esclusivamente nei laboratori di analisi ma anche in anatomia patologica e durante la

preparazione dei farmaci antiblastici; un 10-15% di voi potrebbe entrare in contatto con questi

dispositivi. Oltre la cappa altri importanti dispositivi di protezione sono guanti, camice, occhiali e

calzari.

C) MISURE DI CONTENIMENTO DEGLI AGENTI BIOLOGICI A TRASMISSIONE PARENTERALE

Riguardano gli agenti patogeni che si trasmettono attraverso il sangue (frequentemente in seguito

a puntura con aghi infetti) in particolare HBV, HCV, e HIV ma anche altri come la TBC.

Deve essere tenuta in considerazione la maggior parte dei liquidi corporei: sperma, saliva, liquido

pleurico, sinoviale, pericardico, peritoneale, amniotico ed anche il cerume può essere fonte di

infezione.

In questo caso i soggetti interessati da un possibile contagio sono anche gli addetti al servizio di

pulizia (che possono pungersi con siringhe usate riposte in sacchetti fuori norma) e di lavanderia e

le forze dell'ordine. Il modo più semplice di trasmissione parenterale è la puntura con una siringa o

il taglio con un bisturi infetti, oppure il contatto con le mucose.

Il piano di sicurezza deve essere scritto ed accessibile al personale perché in caso di controllo

l’assenza di questi manuali può essere un problema. Nella valutazione dei rischi è importante

valutare quali siano quelle lavorazioni in cui è presente il rischio biologico e cosa bisogna fare in

casi di emergenza; per esempio se state lavorando e vi arriva qualcosa negli occhi dovete avere a

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portata di mano il dispositivo lava occhi; ogni laboratorio d’analisi deve avere il dispositivo lava-

occhi poiché è obbligatorio per legge. Nel piano di sicurezza dovete scrivere quali sono gli

accorgimenti tecnici, i dispositivi di protezione che si utilizzano, come mai usate, ad esempio, un

tipo di guanto invece che un altro e l’addestramento è obbligatorio. Poi chiaramente il medico

competente deve controllare ed assicurarsi che venga effettuata la vaccinazione per HBV che

spesso non viene effettuata.

Bisogna ricordarsi sempre che ogni paziente è potenzialmente infetto quindi importante è l’utilizzo

dei guanti durante la visita.

Ora vediamo le procedure operative e gli accorgimenti tecnici.

Il lavaggio delle mani deve essere effettuato frequentemente, bisogna prestare attenzione

nell’utilizzo di bisturi e taglienti in genere, non bisogna pipettare con la bocca e chiaramente

bisogna etichettare tutti i contenitori e le provette ed utilizzare sempre i guanti.

I guanti si possono contaminare durante il lavoro (utilizzo di cellulari, maniglie, vari pulsanti) e se

non vengono cambiati regolarmente si può avere la CONTAMINAZIONE CROCIATA cioè la

trasmissione dell’infezione ad altri individui; i guanti non devono essere usati al di fuori del

laboratorio, devono essere rimossi prima di uscire dal laboratorio e quindi non vanno mai

indossati nei corridoi, negli ascensori, in mensa, nelle aree di riposo o negli uffici.

Quando si portano le provette da un laboratorio all’altro non si devono usare i guanti, basta solo

che il porta-contenitori sia adeguatamente chiuso onde evitare la caduta di provette e l’eventuale

contaminazione. I contenitori devono essere sempre a disposizione e non devono essere riempiti

mai più dei 2/3.

Altrettanto importante controllare i flussi laminari quando si è in sala operatoria perché l’aria deve

passare dai posti meno rischiosi ai più rischiosi. Non incappucciare mai gli aghi ed utilizzare sempre

contenitori resistenti; mai utilizzare le mani per raccogliere provette rotte e poi ripeto utilizzare

sempre guanti, camici, sistemi di protezione del viso come le maschere per gli occhi, ovviamente

usciti dalle sale operatorie bisogna togliere la mascherina e tutto il resto.

Il laboratorio deve essere sempre mantenuto pulito quindi voi dovete controllare che gli infermieri

e gli addetti alle pulizie decontaminino l’ambiente. I rifiuti devono essere suddivisi in base alla

tipologia.

INFEZIONI VIRALI TRASMESSE PER VIA PARENTERALE

Popolazione generale popolaz.afferente a strutt.sanit. operatori sanitari

HCV 3-16% 4% 2%

HBV 1-2% 2% 2%

HIV 0,1% 1% <0,1%

Frequenze di punture accidentali o esposizione nei diversi settori operatori

Nell’area chirurgica la possibilità di esposizione è del 48%; nell’area medica del 37%, del 15% in

terapia intensiva e nei laboratori, del 12% per quanto riguarda l’esposizione di studenti ed

infermieri.

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Nella possibilità di esposizione al primo posto vengono gli infermieri con il 57%, poi i chirurghi

poco dopo, gli altri operatori ed infine i medici i quali corrono meno rischi tranne quando

effettuano qualche prelievo e generalmente non sono i medici ad effettuarli.

Efficacia di una trasmissione attraverso una puntura

Il 91% dei casi di infezione da HIV sono dovuti ad esposizione a sangue infetto: 90 casi sono dovuti

a puntura, 8 casi per esposizione cutanea o mucosa, 2% non si sa.

La trasmissione a seguito di singola esposizione:

• Dipende dalla quantità di sangue che viene preso

• Dalla profondità di penetrazione dell'ago o del bisturi

• Dalla concentrazione del virus e dal grado di infezione del paziente

• Dal nostro stato immunitario

RESISTENZA DEI VIRUS ALL’AMBIENTE

L’HBV rimane persistente per sette giorni a 25°C, vediamo l’HIV fortunatamente non resiste

all’ambiente e l’HCV è instabile.

La sieroconversione per l’HIV si ha nel 95% dei casi in 6 mesi.

Il tasso di trasmissione per via ematica nell’HBV è dal 6 al 30%, nell’HCV dal 2,7 al 6%, nell’HIV

0,3%. Quindi la possibilità che uno contragga l’HBV per puntura è del 30%, l’HCV si scende dal 3 al

5%, fortunatamente l’HIV solo 0,3%.

Importante anche l’esposizione: vediamo che per via percutanea è 0,3%, per via mucosa scende

allo 0,03%.

Per quanto riguarda la vaccinazione abbiamo purtroppo solo quella per l’HBV. Per l’HCV e l’HIV

non esiste vaccinazione ecco perché l’importanza di tutti i dispositivi di protezione, le misure

ambientali, le varie siringhe di sicurezza (l'ago si retrae oppure esce un contenitore di sicurezza per

evitare di pungersi) che ovviamente hanno costi superiori rispetto alle siringhe normali.

Dispositivi di protezione individuale:

I GUANTI. Per quanto tempo è possibile utilizzare lo stesso paio di guanti? dipende dal tipo di

guanti perché ci sono dei micropori e dopo mezz’ora o un ora è preferibile cambiarli; inoltre non

bisogna toccare i guanti all’esterno e ricordatevi “un paziente un paio di guanti, un paio di guanti

per ogni atto che si fa sul paziente”.

Chiaramente quando si praticano procedure di pulizia (contatto con liquidi biologici, sangue o

biancheria sporca) non è necessario usare guanti sterili poiché i costi sono superiori; i guanti si

contaminano durante il lavoro e si può correre il rischio di contaminazioni crociate, quindi bisogna

rimuoverli sempre all’uscita dalla sala operatoria o al termine di una qualsiasi attività; ricordare

sempre di lavare le mani prima di indossare i guanti e dopo averli tolti. Importante buttare i guanti

negli appositi contenitori e non lavarli per poi poterli riutilizzare perché ovviamente non sarebbero

più sterili.

MASCHERINA. Dobbiamo usarla soprattutto in caso di morbillo o varicella; ci sono mascherine ad

alta efficienza FFP2-FFP3 che devono essere utilizzate quando ci troviamo con un paziente affetto

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da tubercolosi o da SARS; più alto è il numero meno aria passa quindi non si possono usare troppo

a lungo queste mascherine. Prima di usarle bisogna provarle e vedere se funzionano, non basta

appoggiarle, devono essere a tenuta perché potrebbe entrare tutta l’aria e non solo quella filtrata.

OCCHIALI. Devono essere delle mascherine a tenuta o delle visiere; congiuntiva e mani sporche

rappresentano l’8% di rischio per l’HIV.

COPRICAMICE. Dobbiamo usarlo perché ci possiamo sporcare il camice che una volta usato deve

essere tolto e riavvolto su se stesso.

CAPPE DI SICUREZZA BIOLOGICA

La maggior parte delle attività di laboratorio, quali la miscelazione, la frantumazione, l’agitazione,

lo scuotimento di materiale infetto possono inavvertitamente generare aerosol pericolosi;

essendo gli aerosol importanti fonti di infezione, si deve cercare di ridurne la formazione e

dispersione al minimo. E’ buona norma eseguire queste operazioni in una cappa di sicurezza

biologica di tipo appropriato.

Le cappe agiscono come barriere per minimizzare il rischio di infezioni per via aerea impedendo la

fuoriuscita di questi aerosol nell’ambiente di laboratorio e la loro inalazione da parte dei

lavoratori.

Esistono tre tipi di cappe di sicurezza biologica: classe I, II, e III. La loro efficacia dipende dal flusso

dell’aria, dalla capacità di contenimento, dall’integrità dei filtri HEPA (high efficiency particulate

airfilter) e, nel caso delle cappe I e II, dalla loro posizione nella stanza in relazione alle correnti di

aria e ai movimenti del personale (vanno poste lontano dalle zone di passaggio e da correnti d’aria

provenienti da porte, finestre e dall’impianto di aerazione).

Cappa di sicurezza biologica di classe I

Una cappa di sicurezza biologica classe I è una cappa ventilata aperta frontalmente progettata per

la protezione dell’operatore tramite un flusso d’aria entrante che non viene rimandata in circolo.

E’ dotata di un filtro HEPA allo scarico per proteggere l’ambiente dalla fuoriuscita di

microorganismi (figura 1).

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Schema di cappa di sicurezza biologica classe I

Fig.1: (A) zona di preparazione facilmente decontaminabile con pannelli rimovibili; (B) filtro HEPA

di espulsione e di parziale riciclo; (C) filtro a carbone attivo in caso di riciclo nello stesso locale.

Le cappe classe I possono essere usate con agenti biologici che presentino un rischio basso o

moderato (gruppi di rischio 2 e 3); proteggono l’operatore da contaminanti presenti nella cappa,

ma non proteggono dalla contaminazione i materiali situati all’interno della cappa stessa (la

sterilità non è garantita!).

Cappa di sicurezza biologica di classe II a flusso laminare verticale

Una cappa di sicurezza biologica classe II è una cappa ventilata aperta frontalmente progettata per

la protezione dell’operatore, dei prodotti al suo interno e dell’ambiente circostante.

E’ caratterizzata da un flusso d’aria in ingresso e con filtrazione sia dell’aria aspirata sia di quella

espulsa: il flusso laminare, proveniente dal sovrastante filtro HEPA, scende perpendicolarmente al

piano di lavoro evitando di investire l’operatore, l’aria espulsa deve essere filtrata da un secondo

filtro HEPA e, se ricircolata nello stesso locale, da un filtro supplementare a carbone attivo posto a

valle del filtro HEPA, per trattenere eventuali frazioni gassose (figure 2a e 2b).

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Fig.2a: cappa a flusso laminare verticale di classe II, 1° che consente la rimozione del filtro HEPA

posto sotto il piano di lavoro.

(A) filtro HEPA di espulsione dell'aria; (B) filtro a carbone attivo posizionato sopra il filtro HEPA

(A) quando il riciclo dell'aria avviene nello stesso locale; (C) filtro HEPA dell'aria di ricircolo; (D)

zona a rischio facilmente raggiungibile per la decontaminazione; (E) filtro HEPA sostituibile in

bagout.

Fig.2b: cappa a flusso laminare verticale di classe II, 2°.

(A) filtro HEPA di espulsione dell'aria; (B) filtro a carbone attivo posizionato sopra il filtro HEPA

(A) quando il riciclo dell'aria avviene nello stesso locale, necessita della contemporanea

sostituzione dei filtri perchè contaminati; (C) filtro HEPA dell'aria di ricircolo; (D) zona contaminata,

incluso il ventilatore difficilmente raggiungibile per la decontaminazione: è problematico garantire

la sicurezza nella rimozione dei filtri.

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Ne esistono due principali varianti:

1. cappa di classe II tipo A con il 70% di ricircolo di aria all’interno della cabina e il 30% nel

locale;

2. cappa di classe II tipo B con il 30% di ricircolo di aria all’interno della cabina e il 70%

all’esterno del locale.

Le cappe classe IIA possono essere usate per agenti biologici che presentino un rischio basso o

moderato (gruppi di rischio 2 e 3), per piccole quantità di agenti chimici tossici e per radionuclidi in

tracce;

le cappe classe IIB sono adatte a maggiori quantità di sostanze tossiche, volatili o radioattive.

Occorre prestare attenzione nella scelta della cappa più adatta per questi scopi.

Le norme europee (BS, DIN, AFNOR) e l’OMS raccomandano l’utilizzo di cappe di classe II tipo A

trasformabili in B3, con il convogliamento del 30% dello scarico d’aria all’esterno del locale.

Negli USA sono previste le cappe del tipo B1 (30% di ricircolo di aria nella cabina e il 70% di aria

inviata all’esterno) e B2 (0% di ricircolo di aria nella cabina e il 100% di aria inviata all’esterno)

(vedi tabella 1).

Cappa di sicurezza biologica classe III

Una cappa di sicurezza biologica classe III è una cappa ventilata totalmente chiusa che è a tenuta

d’aria ed è mantenuta a pressione negativa. L’aria in ingresso passa per un filtro HEPA e quella in

uscita passa per due filtri HEPA posti in serie. Il lavoro viene svolto con guanti a manica in gomma

attaccati alla cappa (figura 3).

Fig. 3: diagramma schematico di una cappa di sicurezza biologica classe III.

Sono usate per lavorare con agenti biologici ad alto rischio (gruppo di rischio 4) e forniscono una

barriera totale tra l’operatore e il lavoro.

Nelle cappe classe III non vanno usati gas infiammabili.

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Cappa a flusso orizzontale

Una cappa a flusso orizzontale ("cappa sterile") non è una cappa di sicurezza biologica e non va

usata come tale, perchè pericolosa per l’operatore (che viene investito direttamente dall’aria

contaminata) e per l’ambiente (figura 4).

Fig.4: schema di cappa a flusso orizzontale. Assolutamente da evitare perchè l'operatore viene

investito direttamente dall'aria contaminata.

Tecniche per l’uso delle cappe di sicurezza biologica

1. L’uso e i limiti delle cappe di sicurezza biologica vanno spiegati a tutti i potenziali utenti. Il

personale deve avere a disposizione protocolli scritti; in particolare, deve essere chiaro che

la cappa non protegge le mani dell’operatore da grossi versamenti, rotture o cattiva

tecnica di lavoro.

2. La cappa non deve essere usata se non è perfettamente funzionante.

3. Quando la cappa è in uso, il pannello di chiusura in vetro non deve essere aperto.

4. Le attrezzature e i materiali nella cappa devono essere ridotti al minimo e posti in fondo

all’area di lavoro.

5. Nella cappa non si devono usare becchi Bunsen. Il caldo prodotto causa scompensi nel

flusso d’aria e può danneggiare i filtri. Si possono usare i microinceneritori, ma sono

preferibili le anse monouso.

6. Tutte le operazioni devono essere eseguite nel mezzo o in fondo alla superficie di lavoro ed

essere visibili dal pannello di vetro.

7. Il passaggio di cose e persone alle spalle dell’operatore deve essere ridotto al minimo.

8. L’operatore non deve disturbare il flusso d’aria introducendo e togliendo ripetutamente le

braccia.

9. La ventola della cappa va lasciata in moto per almeno 5 minuti dopo la fine del lavoro.

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Per quanto riguarda i laboratori di analisi abbiamo livelli di biosicurezza di 1°,2°,3°e 4° livello e c’è il

rischio di agenti infettivi di 1°,2°,3°,e 4° classe.

Abbiamo un laboratorio di 1°classe che è quello meno rischioso ed è facile da pulire e

decontaminare, bisogna ovviamente consentire l’accesso soltanto agli operatori.

Nei laboratori di 2°classe vengono usate le cappe biologiche di 2° classe.

Qual è la differenza tra le cappe di 1° e quelle di 2° classe? la cappa di seconda classe ha due filtri,

uno di entrata ed uno di uscita, quella di prima classe ha solo un filtro; per la seconda classe ci

vuole un ricambio d’aria forzato senza bisogno di ricircolo ed abbiamo una sola porta.

Nel terzo livello abbiamo per esempio la tubercolosi, HBV, HCV abbiamo due porte per entrare e

chiaramente abbiamo delle cappe migliori che sono cappe che possono avere due filtri in uscita ed

uno in entrata; in questi casi il lavoratore non entra in contatto con l'agente ed eventualmente usa

delle maschere.

Infine nel quarto livello abbiamo doppia porta d’entrata con interblocco cioè porta ermeticamente

chiusa che può essere aperta solo dall’interno; i liquidi che vengono eliminati devono essere

decontaminati, ci deve essere un sistema di comunicazione telefonica tra l’interno e l’esterno, un

respiratore di emergenza ed un gruppo elettronico che continui a funzionare in caso dovesse

mancare la luce, le cappe devono essere di 3° classe. Per cambiarsi si deve usare la stanza filtro.