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Indice L’incerto confine Prefazione di Fabrizio Fornari 11 Uno 21 Due 35 Tre 59 Quattro 69 Cinque 87 Sei 99 Sette 113 Otto 129 Nove 155 Dieci 185 Undici 195 Dodici 207 Tredici 229 Quattordici 251 Quindici 265 Sedici 273 Diciassette 283 Diciotto 295 Riferimenti bibliografici 307

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Indice

L’incerto confi nePrefazione di Fabrizio Fornari 11

Uno 21Due 35Tre 59Quattro 69Cinque 87Sei 99Sette 113Otto 129Nove 155Dieci 185Undici 195Dodici 207Tredici 229Quattordici 251Quindici 265Sedici 273Diciassette 283Diciotto 295

Riferimenti bibliografi ci 307

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Prefazione

L’incerto confi neIl sogno medievale tra Europa e Islam: alle origini di un malinteso

“Nessuno può scrivere un libro. Perché un libro esista veramente ci vogliono l’aurora e il tramonto, secoli, armi e il mare che unisce e separa. Così pensò Ariosto, che al piacere lento si diede di sognare di nuovo cose già sognate. L’aria della sua Italia era piena di sogni che, con forme della dura guerra che in duri secoli affaticò la terra, ordirono la memoria e l’oblio. Una legione che si perse nelle valli d’Aquitania cadde in un’imboscata; così nacque quel sogno di una spada e del corno che invoca a Roncisvalle… Ariosto vide i regni della terra solcata dalle feste della guerra e dal giovane amore avventuriero. Come attraverso una tenue nebbia d’oro vide nel mondo un giardino che i suoi confi ni estende in altri intimi giardini… L’Europa intera si perse, ma altri doni diede il vasto sogno alla famosa gente che abita i deserti dell’Oriente. Di un re che consegna, quando spunta il giorno, la sua regina di una notte all’implacabile scimitarra, ci racconta il libro che il tempo incanta, ancora.”

Jorge Louis Borges, Ariosto e gli arabi, 1960

Quando si parla di memoria e di racconti spesso si dimenticano due cose: che non c’è memoria senza

il richiamo ad una totalità del sentire e non c’è racconto senza tensione verso la verità, ossia verso la bellezza (se è vero che non c’è bellezza che sia priva di una sua propria verità).

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Ma quale verità celano la memoria e il racconto entro il quale essa vive? Non certo il richiamo al mero presente e all’orizzonte dei possibili che il presente stesso sembra rac-chiudere. E questo perché la trama che scandisce la realtà – attribuendo senso alla sfera del presente – è sempre co-stituita da un ordito che lega il possibile al tentativo infi ni-to di un suo oltrepassamento. “Nessuno provi a fermarlo / il non possibile / è qui, si sta donando”, aveva scritto Franca Grisoni in una sua recente raccolta di poesie1.

La memoria e il racconto, ossia la storia, ci parlano così dell’impossibile che si è fatto possibile, dell’inatteso e del non previsto che si fanno carne, sangue, singhiozzo e can-to. Che cosa è in fondo l’impossibile se non ciò che non siamo riusciti a prevedere, a immaginare?

Da questo punto di vista, la scrittura letteraria, la poe-sia, il viaggio senza certezze di un’immaginazione che si rifi uta di ridurre la realtà all’insieme matematico dei suoi dati, non sono più punti di fuga dalla dura e irremovibile dimensione della storia, con i suoi fatti e i suoi eventi. Se lo sguardo sull’impossibile, su quell’impossibile di cui è fatta la vita stessa, è ciò che muove l’impresa letteraria e se la storia è trasformazione continua dei confi ni di ciò che ogni epoca ritiene possibile, letteratura e storia devono di nuovo con-fondere le loro linee di demarcazione, devono ciò riscoprire le comuni radici dalle quali si diramano.

La vicenda qui narrata da Monica Serra è un emblema-tico esempio di come possano essere rivisitate e riattualiz-zate quelle radici. Una grande fi gura storica, Federico II, viene vista attraverso il caleidoscopio di una narrazione

1 Cfr. F. Grisoni, L’ala, Linoà Editore, Dogliani (Cn), 2005.

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L’INCERTO CONFINE 13

che è il mostrarsi di un universo nel quale l’integrazione non è solo un’utopica speranza.

Quando la Sicilia era un’isola ingombra, ma non op-pressa, di cultura araba, Federico dispiega la sua esistenza in un multiversum d’emozioni, profumi, colori, saperi e lotte. In una terra dai profi li duri come i massi ignei, vec-chi di migliaia d’anni, che la costituiscono, in una terra attraversata dalla linea del cuore di una civiltà mediter-ranea bisognosa di riscoprire il proprio valore, il giovane Federico, nell’incredibile fi oritura espressa dal XIII seco-lo, e nota come età dei Comuni, esprime una personalità del tutto moderna.

Già nel 1154, Palermo viene così descritta dal geografo della corte normanna: «Giace in riva al mare, nella parte occidentale dell’isola. La sua spiaggia è lieta, soleggiata e ridente. Palermo ha edifi ci di tanta bellezza che i viaggia-tori si mettono in cammino attirati dalla fama delle me-raviglie che qui offre l’architettura e l’arte squisita e rara degli ornamenti e le nuovissime specie di fi gure, dorature e colori. In ogni contrada ci sono torreggianti palazzi, mo-schee, fondachi, bagni in gran numero… ci sono anche molti giardini, bellissimi villini e canali d’acqua dolce e corrente condotta alla città dai monti che cingono la sua pianura… Palermo abbomda inoltre di frutteti. A dirla con una sola parola questa città fa girare il cervello a chi la guarda»2.

E, tuttavia, ciò che attrae come un vortice fi sso la scrit-tura di Monica Serra non è il mero contesto storico del re-

2 Per quanto concerne questi aspetti cfr. S. Ferrari (a cura di), L’Islam in Europa, il Mulino, Bologna 1996.

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gno di Sicilia, né gli aspetti noti, e pur presenti, della sua azione militare, culturale e giuridica di Federico (si pensi, ad esempio, alla Scuola poetica siciliana, che fu la prima scuola di letteratura italiana oppure alle Costituzioni di Melfi del 1231, che rappresentano un grandioso esempio di organizzazione dello Stato), bensì quel lato non evi-dente, oscuro, e perciò immaginato, di un’anima in cerca della sua realizzazione. Di un mondo immaginato che pur doveva coesistere accanto ai fatti conosciuti attraverso l’analisi fi lologica e documentale.

Sullo sfondo di tale cornice, insieme storica e letteraria, la narrazione della Serra si regge su strutture chiare e linea-ri, entro un incedere che avvolge il lettore e lo guida in un mondo di sogni e di forza, di calcoli e di sensualità. Nella sua prosa, s’intuiscono e s’intravedono i segni e la tensione della ricerca di un nuovo sguardo, di uno sguardo diverso, che sfi ori con sensibile vigore il passato, facendo riemer-gere dalla notte del già stato il sogno di una storia riletta senza pregiudizi, il sogno di modellare il percorso di una vita autenticamente vissuta, il sogno di realizzare, attraver-so una narrazione storica e letteraria, una vita migliore.

Proprio per questo, utilizzando gli strumenti e le di-mensioni del fantastico e dell’immaginario, le pagine del-la Serra ci introducono in modo originale alla scoperta di inusuali contatti tra l’Europa e l’Islam, in aperto contrasto con l’idea dominante del senso comune, secondo la quale tra europei e musulmani si darebbe solo un continuo e interminabile scontro. La verità, come ha notato Franco Cardini, è che, malgrado crociate e guerriglie, scorrerie di pirati, saccheggi e tratta di schiavi, malgrado Lepanto e

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L’INCERTO CONFINE 15

l’assedio di Vienna, con l’Islam, l’Europa ha sempre so-stanzialmente intrattenuto buoni rapporti3. Non tutti però sono stati disposti a cogliere il senso di reciproco scambio contenuto in questi rapporti. Altri, infatti, hanno preferi-to cavalcare l’idea di un insopprimibile scontro di civiltà, creando spaventosi malintesi e diffondendo inutili pregiu-diziali in ordine a futuri ed eterni confl itti tra Europa e Islam.

Ci sono vittorie, nel corso della storia, che un rapido giro di ruota tramuta in sconfi tte; ci sono sconfi tte, invece, che una sorta di giustizia divina restituisce alla loro imma-gine di vittorie. Gerusalemme, città dove si è sofferto e si è sofferto soprattutto per la sua mancata defi nitiva con-quista, può oggi diventare simbolo di un dialogo sempre aperto tra culture e religioni. Una Gerusalemme resa del tutto “europea” non avrebbe potuto che ricoprire il ruolo di città celeste, in quanto tale sottratta ad ogni confronto storico e culturale.

Del resto, indipendentemente da ogni dato storico po-sitivo, la lezione di Federico II di Svevia, di cui la Serra dà ampio conto, è tutta da vedersi nella decisione di pre-ferire l’asservimento della condizione umana alle pretese taumaturgiche e metafi siche del suo status d’imperatore. Tant’è che sue potrebbero essere le parole che Margherite Yourcenar fa pronunciare ad un altro grande imperato-re, Adriano. “Trahit sua quemque voluptas: A ciascuno il

3 Cfr. F. Cardini, L’Euoropa e l’Islam, Laterza, Roma-Bari 1999; nonché Id., Noi e l’Islam, Laterza, Roma-Bari 1994; P. Brown, La formazione dell’Europa cristiana, Laterza, Roma-Bari 1995; M. Mollat du Jourdin, L’Euoropa e il mare, Laterza, Roma-Bari 1993.

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suo fi ne, la sua ambizione se si vuole, il gusto più segreto, l’ideale più aperto – afferma Adriano. Il mio era racchiuso in questa parola: il bello, di così ardua defi nizione a onta di tutte le evidenze dei sensi e della vista. Mi sentivo re-sponsabile della bellezza del mondo. Volevo che le città fossero splendide, piene di luce, irrigate d’acque limpide, popolate da essere umani il cui corpo non fosse deturpato né dal marchio della miseria o della schiavitù, né dal tur-gore di una ricchezza volgare; che gli alunni recitassero con voce ben intonata lezioni non fatue; che le donne al focolare avessero nei loro gesti una sorta di dignità ma-terna, una calma possente; …volevo che l’immensa mae-stà della pace si estendesse a tutti, insensibile e presen-te come la musica del fi rmamento nel suo moto; che il viaggiatore più umile potesse errare da un paese all’altro senza pericoli, sicuro di trovare ovunque un minimo di legalità e cultura; che il mare fosse solcato da belle navi e che i fi losofi avessero il loro posto. A questo ideale, in fi n dei conti modesto, ci si avvicinerebbe abbastanza spesso se gli uomini vi applicassero una parte di quell’energia che vanno dissipando in opere stupide e feroci”4.

Questo il sogno della classicità. Questo il sogno medie-vale di Federico, avvertito nel soffi o di un’epoca, nel soffi o di un vento in grado di disvelare il mondo di cristallo e di fi amma delle costellazioni che circondano l’umano, unico vero confi ne tra l’uomo e il proprio altro.

Fabrizio Fornari

4 M. Yourcenar, Memorie di Adriano, Einaudi, Torino 1963, pp. 127-28.

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IL SOFFIO DEL VENTO

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Nell’anno Mille dell’era cristiana un nuovo popolo, ve-nuto dalle terre di Danimarca e Scandinavia, discen-

dente di quei Vichinghi che fecero tremare il mondo, si in-sediò e conquistò il nord e il sud dell’Europa, spingendosi fi no al mare della Sicilia.

Strappò l’isola agli Arabi, che con un potente califfato dominavano questa terra fi n dai tempi antichi.

Fu così che l’Italia vide sorgere l’era della dinastia nor-manna…

Sotto il normanno Ruggero II, la Sicilia divenne terra di frontiera tra il mondo cristiano d’Occidente e quello islamico d’Oriente.

Essa fu la perla del Mediterraneo per bellezza e pro-sperità, e divenne culla di tutte le culture, dimora di tutti i popoli…

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A.D. 1281 – Abbazia Cistercense

Incastonata tra un alto monte e una verdeggiante vallata, presso un fi ume che scorre lento, l’abbazia è un gioiello

d’architettura, inondato dal sole del mattino. All’interno c’è un gran fermento per la ricostruzione di

un’ala dell’edifi cio. Nel mezzo della confusione, tra car-pentieri, fabbri, decoratori e religiosi che corrono tra lo scriptorium e la cappella, trasportando rotoli di pergame-na e arredi sacri, un monaco cerca di farsi largo tra la gen-te. Guida un gruppo di adolescenti vestiti di una tonaca di colore chiaro, quella dei novizi, che lo seguono diligente-mente in fi la indiana, distratti e incuriositi dal trambusto intorno a loro. Il monaco accompagna i ragazzi lungo il chiostro: un quadrato circondato da archi in perfetto stile gotico, poggianti su pilastri dalla forma ottagonale e sor-montati da capitelli di pietra scolpita con inquietanti volti umani e simboli vegetali; il sottile gioco di luci e ombre tra il porticato e il centro del chiostro, dove si trova un pozzo in pietra dalla base anch’essa ottagonale, regala un’atmo-sfera magica.

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Mantenendo un passo sostenuto, il gruppo si incammi-na verso un intricato percorso di giardini: veri paradisi ter-restri delimitati dalle siepi di Buxus sempervirens, dove si trovano ben dodici varietà di piante di rosmarino: alcune sono delle vere sculture naturali con i rami lunghi e diritti, altre si ramifi cano estendendosi in larghezza lungo tutto il perimetro, creando forme complicate. Le numerose co-rolle fi orite tingono i giardini di delicati colori: dai blu più intensi all’azzurro pallido, al violaceo, ai bianchi rosmari-nus albus, mentre le fragranze si mescolano, donando in un’esplosione di colori e profumi.

Le note mistiche dei canti gregoriani accompagnano i movimenti cadenzati e precisi dei monaci, intenti ai lavori negli orti: due di questi sono ben visibili dalle alte fi nestre ad arco a ogiva del refettorio, che i novizi attraversano per raggiungere l’altro lato dell’abbazia.

Il primo è dedicato alle piante alimentari, dove vi sono bellissimi alberi da frutto e sette grandi aiuole, ognuna con fi ori di colore differente, che simboleggiano i setti pianeti: Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno.

Il secondo, delimitato dalle mura dell’abbazia che di-vidono il mondo esterno dal luogo sacro, è l’Hortus sani-tatis, dove le specie di piante medicinali sono collocate in aiuole rettangolari circoscritte da grandi alberi di mele.

Attraversato il refettorio, il gruppo raggiunge fi nalmen-te il luogo di destinazione: la biblioteca dell’abbazia.

Prima di fare il suo ingresso attraverso una porta di le-gno coronata da una cornice in pietra lavorata, il monaco detta le ultime raccomandazioni.

«L’abate è un uomo anziano. Siate diligenti… soprat-tutto tu, Enrico!»

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IL SOFFIO DEL VENTO 23

I novizi rivolgono occhiatacce e sguardi ironici ad uno di loro: un adolescente alto dal fi sico asciutto con i capelli del colore del miele e gli occhi di un verde smeraldo, che ha tutta l’aria di essere il più indisciplinato.

Il monaco apre a fatica i battenti della pesante porta che cigola vistosamente, poi fa cenno al piccolo corteo di entrare. Con il dito indice sulla bocca serrata, padre Ber-nardo invita i novizi a restare in silenzio.

Questi entrano lentamente, pieni di aspettative sul luo-go fi no a quel momento a loro sconosciuto…

Come per incanto i rumori svaniscono, il silenzio inon-da la sala e tutto cambia. L’immensa biblioteca appare ai dodici ragazzi come un luogo magico. Centinaia, migliaia di antichi codici e pergamene giacciono in enormi scaffali di legno che coprono quasi interamente il perimetro della sala rettangolare. Macchie informi di colore, che vanno dal bianco al bruno, al rosso delle lacche consumate dal tem-po e che pendono dai rotoli messi alla rinfusa, appaiono come colori su una tavolozza tra i manoscritti e le capse.

Il fumo acre delle candele sale verso l’alto e si annida tra le volte in pietra che poggiano su massicce colonne dal-la forma ottagonale, fondendosi con l’odore intenso del cuoio e la luce soffusa, che immerge l’ambiente in un cal-do color ambra.

Ombre tremolanti si proiettano sulle pareti e sul soffi t-to creando sagome gigantesche che appaiono come neri draghi venuti dal racconto di un cantastorie. Un piccolo crocifi sso di legno d’ulivo si scorge sulla parete di fondo accanto ad una bifora dalle colonnine tortili che dà sul giardino circostante, mentre al centro della sala troneggia un leggio di legno magistralmente intarsiato con immagini

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di città e icone sacre. Il rumore di una penna che scorre su di un foglio di pergamena, interrompe quel silenzio in-naturale: avvolto nella penombra, c’è un vecchio, piccolo, raccolto nel suo saio e curvo su un leggio.

«I novizi, padre.» Lo informa Bernardo.L’uomo lentamente alza lo sguardo. Il suo volto è vi-

sibilmente segnato dal trascorrere del tempo: profonde rughe si intersecano fra loro come rami di una fi tta bosca-glia, solcando le guance e la fronte. I suoi occhi neri, anche se velati dalla vecchiaia, hanno ancora una luce intensa.

Con un gesto deciso l’abate chiude il manoscritto, co-prendo con esso alcuni fogli di pergamena.

«Grazie, Bernardo.» L’uomo si avvicina ai ragazzi e fa cenno loro di sedersi

su due fi le di panche contrapposte. Questi obbediscono e continuando a guardarsi intorno, si dispongono in manie-ra da formare due gruppi di sei persone: il loro calpestio e il brusio delle voci, spezza il silenzio spirituale della bi-blioteca.

«Bene» Dice l’abate, interrompendo il rumorio. «Oggi inizieremo la nostra lezione.» La sua voce è profonda e pacata e il suono è rassicurante. «Ormai avete l’età per ac-cedere agli scritti custoditi in questo luogo…» Il vecchio indica una serie di grossi volumi posti in alto sul fondo della stanza.

«Ecco, cominceremo da qui.»A fatica sale i gradini di una scala di legno, che scric-

chiola in modo sinistro ad ogni passo. Il rumore è fl emmatico e la salita è interminabile; più

l’abate va avanti più lo scricchiolio aumenta, facendo te-mere il peggio ai novizi che attendono il rumore sordo di un tonfo da un momento all’altro.

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I gradini conducono ad uno scaffale che custodisce centinaia di manoscritti di diversa grandezza. L’abate ini-zia a cercare: guizza gli occhi a destra e a sinistra, poi fa lo stesso in su e in giù...

«Ah, eccolo!»L’uomo afferra un libro di grandi dimensioni e lenta-

mente torna indietro, ma durante la discesa si ferma d’im-provviso. Visibilmente affaticato si appoggia al corrimano, tra gli sguardi increduli dei novizi. Ansimante e con voce fl ebile, si rivolge ad uno di loro.

«Figliolo? Saresti così gentile da salire fi n quassù ad aiutarmi?»

«Subito, Padre.»Un novizio dal fi sico robusto con piccoli occhi stretti

e neri e un viso paffuto dal colorito roseo, sale i gradini velocemente, per il timore che l’intera scala sprofondi sot-to di lui, e lo scricchiolio del legno assume un ritmo più spedito. Prende in consegna il manoscritto, e alla stessa velocità di com’era salito si precipita in basso. L’abate lo segue lentamente e con passo incerto.

«Ah! Sono troppo vecchio per queste scale! Tu sei…?» Chiede al novizio, che ha ormai raggiunto la sala sotto-stante.

«Paolo, padre.» Risponde il ragazzo, guardando l’abate con aria stralunata. Il monaco è così vecchio, ormai, da non ricordare neanche i nomi dei suoi novizi; pensa tra sé e sé.

«Ah già, Paolo. Poggia il libro su quel leggio.» Paolo fa ciò che gli è stato ordinato, adagia il codice sul

leggio al centro della sala e torna a sedere.

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Dopo aver raggiunto il gruppetto di novizi, il monaco inizia la sua lezione…

Il tempo scorre lento nella biblioteca e uno dei ragazzi, annoiato dalla lunga lezione, si avvicina, curioso, al codice che l’abate ha chiuso al loro arrivo…

Il foglio scivola lentamente, stretto tra l’indice e il pol-lice della mano destra di Enrico, che getta sguardi obli-qui, prima ai compagni e poi al monaco, mentre sfi la la pergamena da sotto il Manoscritto. Cercando di passare inosservato, da un’occhiata fugace al contenuto: i suoi oc-chi verdi si muovono velocemente da una parte all’altra, sgomenti…

«Enrico!»I ragazzi si voltano verso il novizio che, preso in casta-

gna, guarda il monaco con aria colpevole, mentre cerca di nascondere la pergamena dietro la schiena.

«Cosa stai facendo?»«Nulla, padre!»L’abate si avvicina a lui a grandi passi e con lo sguardo

contrariato, gli afferra il foglio dalle mani e frettolosamen-te lo ripone all’interno del codice.

«Non c’è nulla qui che possa soddisfare la tua curiosi-tà!»

Poi l’uomo torna indietro, e riprende la lezione, tra i risolini beffardi degli altri novizi.

È notte fonda. Nell’abbazia regna un gran silenzio. En-rico è disteso nel suo letto all’interno del dormitorio. Il buio invade l’ambiente e i suoi compagni sono già da un pezzo fra le braccia di Morfeo. Con gli occhi che fi ssano il soffi tto, il ragazzo cerca disperatamente di prendere son-

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no, ma i pensieri che affollano la sua mente sono tanti; uno in particolare preme più degli altri: la biblioteca, quei fo-gli: ciò che ha visto durante la lezione su quella pergamena lo ha davvero turbato.

Spinto da un’irrefrenabile curiosità, silenziosamente e a piedi nudi, Enrico corre attraverso il chiostro; raggiunge il refettorio e in un batter d’occhio è davanti alla bibliote-ca. Spinge la porta di legno e questa si apre...

Il ragazzo apre il battente solo per un breve tratto cer-cando di attutire il cigolio, e con la schiena poggiata alla cornice in pietra si pone tra il muro e la porta, scivolando all’interno. Una volta nella sala, accende una candela e si guarda intorno illuminando gli scaffali. Le ombre proiet-tate sembrano mostri fantastici, il silenzio è inquietante e la paura si fa sentire, ma la curiosità è più forte. In tutta fretta, raggiunge il manoscritto che quella mattina ha de-stato in lui tanta curiosità. Trepidante dal timore di esse-re scoperto, lo apre frettolosamente all’ultima pagina ed estrae i fogli di pergamena…

Tanta è la meraviglia, quando scopre che questi sono scritti in modo incomprensibile.

I caratteri in nero e minio non sono quelli latini che ha precocemente imparato. I fogli sono pieni di disegni geo-metrici, e lui non ha mai visto nulla di simile!

Enrico continua a sfogliare e la sua eccitazione aumenta ad ogni pagina, quando, fi nalmente, trova la pergamena che aveva sbirciato durante la lezione: un uomo dai chiari tratti nordici abbigliato in maniera regale è circondato da un nugolo di soldati, che al posto di vessilli con stemmi reali e papali hanno archi e spade saracene… Ma certo! Quei caratteri sono in lingua araba!

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La scoperta lo lascia sbigottito: cosa ci facevano nel-l’abbazia dei documenti scritti nella lingua degli infedeli? Il silenzio mistico della biblioteca è spezzato dal rumore dei fogli che Enrico esamina, avido…

«Mi chiedevo quanto avresti resistito alla tentazione di tornare qui.»

Al suono di quella voce, il ragazzo ha un sussulto. Per qualche istante rimane immobile come paralizzato, poi lentamente si gira, alza lo sguardo e vede l’abate avvici-narsi.

«Mi dispiace, padre. Io non volevo…» Dice, balbet-tando.

L’abate ostenta una calma di certo inaspettata e un leg-gero sorriso appare sul suo volto; lo strano atteggiamento lascia sconcertato Enrico, che si aspettava un rimprovero con i fi occhi!

L’abate fa cenno al novizio di sedersi, poi scuote lenta-mente il capo e fa un lungo sospiro.

«Ah, Enrico… Sei sempre stato così, fi n da piccolo! Io ti osservo… e osservo i tuoi compagni…»

Enrico fa affi damento a tutto il suo coraggio e lo inter-rompe.

«Io non sono come loro!»«Che vuoi dire?» Chiede il monaco, insospettito.Prima di rispondere Enrico cerca di trovare dentro di

sé la forza di esprimere ciò che da qualche tempo lo tor-menta profondamente.

«Padre, io non sento la vocazione come molti dei miei compagni, io…»

«Oh, questo lo so, ragazzo!»Enrico fi ssa il monaco, sconcertato.

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«Non guardarmi come se avessi visto un fantasma! Credo che Dio abbia in serbo ben altro per te, fi gliolo. Ho sempre saputo che eri diverso… precoce in tutto!»

Il monaco continua a sorridere, mentre Enrico è sem-pre più turbato.

«La tua curiosità nello scoprire mi gratifi ca, Enrico, e allo stesso modo mi preoccupa. Sei giovane e vuoi che tut-to vada in fretta, ma ascolta un vecchio: agisci con saggez-za…» Poi si volta verso il leggio. «Hai trovato quei fogli interessanti?»

«Sì… cioè, no…! Insomma, non ho idea di cosa ci sia su quelle pergamene, è complicato!» Risponde Enrico, imbarazzato.

«Certo che lo è!» Replica il monaco come se Enrico avesse rivelato la cosa più ovvia del mondo. «Prima di po-ter comprendere il loro contenuto dovrai seguire molte delle mie lezioni! Ogni cosa a suo tempo…»

Il ragazzo si alza di scatto. «Cosa c’è di sbagliato in me, Padre?»

L’abate lo scruta, i suoi occhi osservano quelli verdi di Enrico e una strana ansia lo pervade.

«Non c’è nulla di sbagliato in te. Perché dici que-sto?»

«Perché io sento un fuoco dentro che brucia e mi lace-ra, a volte è così forte fi no a soffocarmi!»

«Calmati fi gliolo!» «Io non voglio calmarmi!» Urla Enrico, collerico. «Vo-

glio capire! Ho bisogno di sapere! Queste mura, che ho sempre considerato la mia casa, sono diventate la mia pri-gione… Io voglio vedere il mondo!»

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Alle parole del novizio, il monaco alza il mento di scat-to e la sua espressione si fa seria. Le mani si stringono in un pugno e sul suo volto si legge, chiara, la preoccupa-zione. «Non sono queste mura a costruire la tua prigione, Enrico. Un uomo può essere del tutto libero solo quando capirà che la vera libertà è dentro di sé, non ha importanza il luogo. Puoi scalare le montagne più alte o navigare il più grande dei mari e sentirti ugualmente prigioniero…» Poi fa un sospiro e guarda il novizio con un’espressione malinconica. «…Ma so che questo non può consolarti… Conosco l’ardore che vive nei tuoi occhi…»

L’abate si dirige verso il leggio e afferra la pergamena con la miniatura raffi gurante l’uomo. «È questo che guar-davi con tanto interesse?»

Federico annuisce e curioso domanda: «L’uomo è un Re?»

«Sì, ragazzo, è un Re.»«Era loro prigioniero? È successo durante una crocia-

ta?»Il monaco sorride, mentre continua a osservare la mi-

niatura con l’aria di chi ha davanti un libro dei ricordi. «Prigioniero? Oh, no! Era il loro Sultano!» Enrico lo fi ssa, confuso: forse l’abate non è poi più così

lucido! Di certo si sbaglia, non può essere che così. «Ma padre, quest’uomo è un cristiano! Non può essere

un Sultano!» Il monaco si avvicina a lui, gli poggia la mano tremolan-

te sulla spalla e lo guarda intensamente, mentre scandisce le parole.

«Non giudicare mai le cose dal loro aspetto, ragazzo. Quest’uomo è molto di più… è un Imperatore… Federico

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lo Svevo!» Poi l’abate da un’ultima occhiata alla pergame-na, lentamente scuote il capo e si volta verso il crocifi sso. «Ah, Signore… credo che tu voglia terminare il tuo dise-gno!»

Enrico lo guarda esterrefatto; per lui quelle parole sem-brano non avere alcun senso. L’abate si volta lentamente.

«Ormai sono vecchio… e non ho molti anni da vivere dinnanzi a me. Sapevo che prima o poi avrei dovuto libe-rarmi di questo fardello che mi porto dietro da così tanto tempo… ma non potevo immaginare che saresti stato cosi precoce!»

Enrico è interdetto e continua a non capire. Vuole in-tervenire, ma poi si ferma e decide di continuare ad ascol-tare, mentre l’abate si avvicina a lui, sorridendo.

«Credi davvero che sia stato un caso che la biblioteca fosse aperta?» Dice, con uno strano ghigno sul volto. En-rico spalanca la bocca per lo stupore.

«Ah! Enrico, Enrico…! La tua inguaribile curiosità non si ferma davanti a nulla. Ero certo che avresti tentato di scoprire il signifi cato di ciò che hai visto… e che ti ha molto turbato. Così ho pensato di agevolarti il compito!»

Enrico è sbalordito da quella rivelazione; la profonda conoscenza che il monaco ha di lui è quasi inquietante! L’abate si fa serio e mentre rivolge di nuovo lo sguardo al crocifi sso, parla con voce pacata.

«Io ti racconterò di quest’uomo… Se vuoi conoscere il mondo, devi prima conoscere chi cercò di cambiarlo per sempre!»

Il ragazzo avverte una strana inquietudine nel vecchio monaco e si domanda perché ha scelto lui per liberarsi dei

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suoi ricordi. Ma non vuole spiegazioni ora: conoscere la verità su quella scelta lo spaventa.

L’abate è voltato di spalle verso la fi nestra. Con lo sguar-do perso all’orizzonte, comincia a raccontare…

«Sono passati ormai molti anni da quel giorno… Tutto ebbe inizio quando le due più grandi dinastie europee sancirono un’alleanza con un matrimonio. A sopportare il fardello di questo accordo fu Costanza d’Altavilla, fi -glia del re normanno di Sicilia, Ruggero II.

Costanza fu costretta a sposare un uomo spietato e cru-dele: il suo nome era Enrico, fi glio del grande Barbarossa, ed erede al trono di Germania…

Il nord e il sud dell’Europa si unirono!Svevi e Normanni erano destinati a diventare sudditi di

una sola corona, posta sulla testa dell’unico fi glio di Enri-co e Costanza: Federico!

Molti imperatori regnarono prima di lui; alcuni nac-quero per conquistare, altri per uccidere, ma nessuno fu come Federico: egli nacque per stupire il mondo…!»

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