Celano, Positivismo giuridico e neocostituzionalismo II Positivismo giuridico e... · 1...

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1 [LEDI\POGINECO\DISP NSE 2006 – 2007 SECONDA PARTE] [novembre 2006] Bruno Celano Positivismo giuridico e neocostituzionalismo Dispense del corso di Filosofia del diritto (a.a. 2006-2007) Seconda parte Indice Parte II Costituzionalismo, stato di diritto, codificazione 4. Costituzionalismo 4.1 Nomos basileus 4.2 L’idea dei diritti fondamentali 4.3 Il costituzionalismo moderno 5. Lo stato di diritto ottocentesco 5.1 Introduzione 5.2 Lo stato di diritto come stato legislativo 5.3 Legge e diritti nello stato liberale di diritto 6. La codificazione. Il concetto moderno di ordinamento giuridico 6.1 Ideologie della codificazione 6.2 Il diritto come ordinamento 6.2.1 La nozione di sistema 6.2.2 Coerenza 6.2.3 Excursus: modalità deontiche 6.2.4 Completezza 6.2.5 Unità Riferimenti bibliografici Avvertenza. Le presenti dispense sono fornite gratuitamente agli studenti del corso di Filosofia del diritto. Il loro uso ai fini della preparazione all'esame non sostituisce lo studio degli altri testi adottati.

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[LEDI\POGINECO\DISP�NSE 2006 – 2007 SECONDA PARTE] [novembre 2006]

Bruno Celano Positivismo giuridico e neocostituzionalismo

Dispense del corso di Filosofia del diritto (a.a. 2006-2007) Seconda parte

Indice

Parte II Costituzionalismo, stato di diritto, codificazione 4. Costituzionalismo 4.1 Nomos basileus 4.2 L’idea dei diritti fondamentali 4.3 Il costituzionalismo moderno 5. Lo stato di diritto ottocentesco 5.1 Introduzione 5.2 Lo stato di diritto come stato legislativo 5.3 Legge e diritti nello stato liberale di diritto 6. La codificazione. Il concetto moderno di ordinamento giuridico 6.1 Ideologie della codificazione 6.2 Il diritto come ordinamento 6.2.1 La nozione di sistema 6.2.2 Coerenza 6.2.3 Excursus: modalità deontiche 6.2.4 Completezza 6.2.5 Unità Riferimenti bibliografici

Avvertenza. Le presenti dispense sono fornite gratuitamente agli studenti del corso di Filosofia del diritto. Il loro uso ai fini della preparazione all'esame non sostituisce lo studio degli altri testi adottati.

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[LEDI\POGINECO\DISPENSE 2006 – 2007 SECONDA PARTE] [novembre 2006] Bruno Celano Positivismo giuridico e neocostituzionalismo Dispense del corso di Filosofia del diritto (a.a. 2006-2007)

Parte II Costituzionalismo, stato di diritto, codificazione

4. Costituzionalismo

4.1 Nomos basileus Con il termine 'costituzionalismo' si fa abitualmente riferimento a un filone della cultura

giuridico-politica antica, medievale e moderna, caratterizzato dall'esigenza che il potere politico (il potere dei governanti, dei capi della comunità politica) non sia acquisito ed esercitato arbitrariamente, ma sia, al contrario, assoggettato a regole, a vincoli giuridici (sia, cioè, giuridicamente regolato, disciplinato, limitato e controllato); o, comunque, che esso si esplichi,

operi, mediante regole, norme1.

L'idea germinale del costituzionalismo è espressa dall'assunto che il governo migliore sia, non il

'governo degli uomini', ma il 'governo delle leggi' (nomos basileus)2. Dall'esigenza, cioè, che il

potere politico (il potere di prendere decisioni vincolanti per la collettività) sia, in ultima istanza, potere – non di esseri umani, ma – di leggi (di norme): che il rapporto di soggezione politica consista nell'essere soggetti, non alla volontà (arbitraria, mutevole, capricciosa, e soprattutto auto-interessata) di esseri umani, ma a norme. L'ideale del costituzionalismo è, dunque, una comunità politica entro la quale gli uomini prestano obbedienza non a uomini, ma a regole, o norme: l'ideale, per l'appunto, del governo delle leggi (del diritto), in contrapposizione al governo degli uomini (governo tendenzialmente arbitrario, dispotico, tirannico); ovvero, della limitazione del potere pubblico (dell'autorità politica) ad opera del diritto (governo limitato). In uno stato siffatto, ciascuno

dei consociati si trova 'non sub homine, sed sub lege': soggetto, non a uomini, ma a regole3.

Il principio fondamentale del costituzionalismo, il principio del governo delle leggi, trova realizzazioni, concretizzazioni, specificazioni diverse in epoche diverse (vi sono sia un

costituzionalismo antico, sia un costituzionalismo medievale)4. In età medievale, l'ideale

costituzionalistico si sostanzia nel modello del governo misto, o bilanciato (e, perciò, moderato, limitato): l'esigenza che al governo partecipino, sia pure con peso diverso, tutte le componenti della

1 Cfr. in generale McIlwain 1940; Matteucci 1976.

2 Sulla contrapposizione 'governo degli uomini' vs. 'governo delle leggi', che costituisce un autentico topos del pensiero

politico antico, medievale e moderno, cfr. Bobbio 1983. 3 Il detto 'non sub homine, sed sub lege' è, afferma N. Bobbio (1982, p. 149), "il testo canonico" nel quale è enunciato il

principio fondamentale della "dottrina dello stato di diritto", intesa, in senso ampio, come la dottrina "della superiorità del governo delle leggi sul governo degli uomini". (Sulle vicissitudini, e il senso originario, di questo detto cfr. McIlwain 1940, trad. it. p. 94; Matteucci 1988, p. 62; e, per una sintesi, Celano 1999, pp. 270-1.) Il detto esprime, scrive H. Kelsen (1945, p. 36. trad. it. p. 36), l'idea della "autorità del diritto": l'idea che "la forza vincolante promani, non da un essere umano che comanda, ma dal 'comando’ impersonale e anonimo, in quanto tale". 4 La controversia fra fautori della superiorità del governo degli uomini e fautori della superiorità del governo delle leggi

affonda le sue radici nell'antichità classica. Così, ad es., Platone (Politico, 294a-b) assimila la legge a un uomo prepotente e ottuso, che ripete sempre la stessa cosa senza tenere conto del carattere peculiare delle diverse situazioni e del mutare delle circostanze. Aristotele, di contro, argomenta (Politica, 1286a) che, mentre l'anima umana è soggetta a passioni (e, in particolare, il potere la corrompe pressoché inevitabilmente), la regola è, invece, ragione senza passioni. (Cfr. in proposito Passerin d'Entrèves 1962, pp. 106-8; Bobbio 1983, pp. 170-5.)

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comunità (regia, aristocratica, ecclesiastica, comune), in maniera tale che nessuna di esse possa prevaricare le altre.

In età moderna, l'ideale del governo delle leggi (e, in particolare, il principio del governo limitato) si salda con un’ulteriore idea, che ha svolto un ruolo centrale nello sviluppo della cultura giuridico-politica moderna e contemporanea: l’idea dei diritti fondamentali.

4.2 L’idea dei diritti fondamentali In Europa (e successivamente in America) nasce e si diffonde, fra Sei e Settecento, un'idea che

svolgerà, a partire dalle rivoluzioni della fine del Settecento (rivoluzione americana e rivoluzione francese), un ruolo di importanza cruciale nella formazione, e nella strutturazione, degli ordinamenti giuridici moderni e contemporanei: l'idea che gli esseri umani, come tali (in quanto, cioè, esseri umani), siano dotati di alcuni diritti ‘fondamentali’. La nascita e la progressiva affermazione di questa idea costituisce un’autentica svolta nella cultura giuridico-politica occidentale.

I diritti in questione sono concepiti e qualificati come 'fondamentali', anzitutto, in ragione della loro importanza: dell'importanza che viene loro riconosciuta o attribuita (dell’importanza, cioè, delle attività, delle scelte, degli interessi, dei beni, o delle sfere di vita, che ne costituiscono l’oggetto, o il contenuto). E proprio in ragione della loro importanza, i diritti in questione sono ulteriormente concepiti e rappresentati come ‘fondamentali’ perché e in quanto:

(1) inviolabili: diritti la cui violazione non è mai, in alcun modo giustificata, sotto nessuna condizione (diritti che non possono legittimamente essere violati da parte dei poteri pubblici, o di terzi; ovvero, diritti il cui rispetto, e la cui garanzia, è condizione necessaria di legittimità dell'autorità politica).

(2) Inalienabili: diritti non suscettibili di essere validamente trasferiti ad altri; in particolare, diritti dei quali gli esseri umani non possono validamente spogliarsi, neppure volendolo, neppure con il proprio consenso (diritti che appartengono a ciascuno in virtù di un legame così stretto da non

poter essere rescisso neppure dalla volontà di colui al quale appartengono)5.

(3) Imprescrittibili: non soggetti a prescrizione (diritti che non cessano di esistere, non vengono meno, anche se non si è affatto consapevoli di averli, né in ragione del loro mancato esercizio, della

loro mancata rivendicazione, e meno che mai del loro mancato riconoscimento)6.

Diritti ‘fondamentali’, dunque, perché importanti (perché sono di estrema importanza, si ritiene, le attività, le scelte, gli interessi, i beni che essi tutelano, o proteggono), e, perché importanti, inviolabili, inalienabili, imprescrittibili.

Un aspetto dell'idea dei diritti fondamentali deve essere sottolineato con la massima enfasi. I diritti in questione sono concepiti come diritti che appartengono a ciascun essere umano in quanto tale, semplicemente perché e in quanto essere umano. Non, dunque, in ragione della sua particolare

5 Tre esempi: (1) se si assume che la libertà (non asservimento) sia, in questo senso, un diritto umano inalienabile, si

dovrà concludere l’inammissibilità, non soltanto della schiavitù in genere, ma anche della schiavitù volontaria: mi è preclusa la possibilità di dare validamente me stesso come schiavo - in cambio, ad es., dei mezzi di sostentamento per me e la mia famiglia. (2) Nell’ipotesi che i diritti di partecipazione politica, e in particolare il diritto di voto, siano diritti fondamentali, è esclusa la legittimità della cessione del proprio voto a terzi (non è ammessa la vendita del voto). (3) Se l’integrità fisica è un diritto fondamentale, sarà in linea di principio esclusa la vendita di, o in generale la cessione di diritti su, parti del proprio corpo (organi). In generale, concepire un diritto come inalienabile vuol dire concepirlo come non disponibile da parte di chi ne è titolare (come un diritto del quale il titolare non può validamente disporre, secondo la propria volontà). 6 Lo schiavo ha comunque i diritti reputati diritti fondamentali, anche se è soddisfatto di essere uno schiavo, anche se è

contento della propria condizione, di schiavo, anche se gode dei favori del padrone e ha un suo spazio di attività entro il quale può muoversi con relativa libertà, sebbene resti esposto alla possibilità che il padrone gli ordini di comportarsi diversamente. Lo schiavo soddisfatto, sebbene i suoi diritti non siano né esercitati né rivendicati - sebbene egli non ne sia neppure consapevole - avrà comunque i diritti che si assumono essere fondamentali.

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condizione sociale o politica (non, ad es., in quanto membro dell'aristocrazia o del clero, o in generale in quanto appartenente a un particolare ceto o corporazione o ordine, o in quanto soggetto a un certo signore o re, o in quanto residente in un particolare territorio, abitante di una particolare città, membro di una particolare comunità o chiesa), o di particolari caratteristiche, doti, o talenti naturali (ad es., un'intelligenza superiore alla media, particolare forza fisica, bellezza o bruttezza, e così via), bensì in virtù del suo essere, per l'appunto, un essere umano, in virtù della sua semplice, sola, nuda natura di essere umano. Si tratta, in questo senso, di diritti ‘naturali’: diritti che ciascun

essere umano ha in ragione della sua natura di essere umano7. E, dunque, di diritti che tutti gli esseri

umani hanno allo stesso modo, e in eguale misura (diritti nei quali gli esseri umani sono eguali), indipendentemente da accidenti o particolarità storiche (politiche, sociali) o naturali. Rispetto ai diritti (ai diritti fondamentali, beninteso) le differenze fra gli esseri umani, siano esse di carattere sociale o naturale (anzitutto, le differenze di nascita: diseguaglianze di doti naturali, diseguaglianze nella posizione che alla nascita ci si trova a occupare), sono - concepite come - elementi accidentali, casuali, e dunque arbitrari, e irrilevanti (irrilevanti, precisamente perché casuali, accidentali). Quanto ai diritti (ai diritti fondamentali), gli esseri umani sono eguali.

Nell'idea dei diritti fondamentali è insita, dunque, una forte componente egualitaria (l’idea dei diritti fondamentali esprime una forma di egualitarismo). L'idea di un'eguaglianza fra tutti gli esseri

umani è qui intesa, però, specificamente, come eguaglianza nei diritti8. L'assunto che gli esseri

umani, come tali, siano eguali nei diritti (fondamentali) è l'altra faccia dell'assunto che, ai fini del possesso, del riconoscimento, o dell'attribuzione dei diritti in questione particolari circostanze o condizioni sociali o naturali (anzitutto, diseguaglianze di nascita) siano da ritenere accidentali,

arbitrarie, e dunque irrilevanti9. Il carattere naturale - nel senso appena precisato: arbitrarietà, e

dunque irrilevanza, di differenze e particolarità sociali o naturali - di tali diritti è, precisamente, ciò che rende ragione, in ultima istanza, della loro qualificazione come 'fondamentali', e sta alla base delle ulteriori caratteristiche (inviolabilità, inalienabilità, imprescrittibilità) loro attribuite.

L'idea dei diritti fondamentali, così intesa, è illustrata da alcuni importanti testi normativi.

(1) Dichiarazione d'indipendenza americana (4 luglio 1776): "Noi teniamo per certo che queste verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono creati eguali, che essi

7 Di contro, "nel mondo medievale le prerogative e gli oneri dei soggetti non sono separabili dalle appartenenze e dalle

gerarchie: è l'ordinamento, il gruppo, il 'corpo' sociale cui l'individuo appartiene, che attribuisce privilegi e doveri; è la gerarchia politica e sociale che pone ciascun individuo al 'suo' posto, in una fitta rete di supremazie e soggezioni” (Costa 2002a, p. 40). 8 Ciò che l’idea dei diritti fondamentali implica, dunque, non è la tesi che gli esseri umani siano tutti uguali: che non ci

siano differenze fra gli esseri umani. Questo è chiaramente falso. Ci sono differenze di ogni genere - di doti naturali, di condizioni sociali - fra gli esseri umani. L’eguaglianza specificamente implicata nell’idea dei diritti fondamentali è l’eguaglianza nei diritti. 9 Questa idea è a sua volta strettamente connessa a una linea di argomentazione che ha ricevuto particolare impulso in

tempi recenti, ad opera, soprattutto, di Rawls 1971; cfr. in proposito Celano 2000, 2004, 2005. Le diseguaglianze naturali (anzitutto, le diseguaglianze di nascita, siano esse sociali o naturali in senso stretto), argomenta Rawls, sono accidentali, casuali: possono essere rappresentate come il risultato di una lotteria, la “lotteria naturale” (la lotteria nella quale sono in palio i 'posti' - l'insieme di condizioni sociali e naturali - nei quali ciascuno si trova a nascere). (Quali caratteristiche naturali ciascuno abbia, quale posizione sociale egli si trovi a occupare alla nascita, è soltanto un caso.) Proprio perché casuali, le diseguaglianze di nascita sono, dal punto di vista morale (in particolare, dal punto di vista etico-politico), arbitrarie, e perciò irrilevanti. ‘Irrilevanti’, in che senso? Semplice: non è giusto che la distribuzione di benefici e oneri della cooperazione sociale (reddito, ricchezza, potere, responsabilità, libertà) rifletta, ricalchi, le diseguaglianze di nascita: non è giusto che chi ha ottenuto di più dalla lotteria naturale stia, per ciò soltanto, meglio degli altri, e chi ha ottenuto di meno stia peggio. O, in altri termini, le diseguaglianze di nascita non sono meritate (nessuno di noi, ad es., ha meritato di nascere in una famiglia facoltosa, o indigente) - non possiamo in alcun modo esserne ritenuti responsabili. Dunque, conclude Rawls, è ingiusto che, nella distribuzione dei benefici e degli oneri della vita associata, le istituzioni sociali e politiche ricompensino coloro che sono stati favoriti dalla lotteria naturale, e penalizzino gli sfortunati. Una società giusta sarà, piuttosto, una società che in qualche modo, in qualche misura, riequilibra, compensa, rettifica, raddrizza, i risultati della lotteria naturale.

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sono dotati dal loro Creatore di certi Diritti inalienabili, che tra questi vi siano la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità. Che per assicurare questi diritti sono istituiti tra gli uomini i Governi, che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati. Che quando una qualsiasi Forma di Governo diventa distruttiva di questi fini, è Diritto del popolo di alterarla o di abolirla, e di istituire un nuovo Governo, ponendo il suo fondamento su questi principi e organizzando i suoi poteri in una forma tale che sembri ad esso la più adeguata per garantire la sua sicurezza e la sua felicità".

(2) Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (Assemblea Nazionale Costituente, 26 agosto 1789): “Art. 1 Gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti. (...) Art. 2 Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell'uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione. (…) Art. 16 Ogni società, nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione”. (3) Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (24 giugno 1793): “Art. 1 (...) Il Governo è istituito per garantire all'uomo il godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili. Art. 2 Questi diritti sono l'eguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà”. (4) Costituzione della Repubblica Italiana (1948): “Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo (...)”. (5) Dichiarazione universale dei diritti umani (New York, 10 dicembre 1948): “Art. 1 Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. (...) Art. 2 Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”.

E' essenziale, qui, una precisazione. L'idea dei diritti fondamentali, nei termini in cui è stata

appena introdotta e caratterizzata, è il frutto di una drastica semplificazione: si tratta di un modello astratto, una rappresentazione idealizzata. La storia delle idee, e in particolare della cultura e delle istituzioni giuridico-politiche, segue percorsi ben più complessi, variegati, e assai meno lineari o coerenti di quanto queste semplificazioni non lascino intendere. I diritti sono concepiti e fondati, in età moderna e contemporanea, in modi assai diversi, e sarebbe un errore ritenere che autori diversi, concezioni diverse, o culture diverse, condividano necessariamente tutte le idee che, stando alla nostra caratterizzazione, sono parte integrante dell'idea dei diritti fondamentali (importanza, carattere naturale dei diritti, eguaglianza nei diritti di tutti gli esseri umani, inviolabilità,

inalienabilità, imprescrittibilità), o le intendano allo stesso modo10

. Si tratta, però, di una semplificazione che serve a dare l'idea di un radicale mutamento di prospettiva effettivamente

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Così, ad es., stando a una concezione storicistica, alla stregua della quale i diritti sono radicati nei processi storici, e hanno in essi il proprio fondamento, i diritti, verosimilmente, non potranno considerarsi imprescrittibili. O, per fare un altro esempio, una concezione statualistica dei diritti vincola in linea di principio il possesso di questi ultimi all'appartenenza a una particolare comunità statale (non si potrà dunque affermare che i diritti fondamentali siano diritti che gli esseri umani hanno in virtù della loro semplice natura di esseri umani, diritti naturali). O, ancora, il tratto dell'inalienabilità non è affatto condiviso da gran parte delle prime teorie dei diritti naturali. Anche l’affermazione secondo cui l’idea dei diritti fondamentali ‘nasce e si diffonde’ fra Sei e Settecento è, naturalmente, una semplificazione. L’idea dei diritti naturali affonda le proprie radici in un passato ben più lontano (cfr. Villey 1975, Tuck 1979, e soprattutto Tierney 1997).

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prodottosi, fra Sei e Settecento, nella cultura giuridica e politica europea - un mutamento rivoluzionario, che ha segnato in profondità il nostro universo giuridico e politico.

4.3 Il costituzionalismo moderno In età moderna, dunque, l'ideale del governo delle leggi (e, in particolare, il principio del governo

limitato) si salda con l’idea dei diritti fondamentali (l'idea che gli esseri umani, come tali, abbiano diritti inviolabili, inalienabili, imprescrittibili), generando così una particolare versione del modello costituzionalistico, imperniata sulla rivendicazione dei diritti degli individui - diritti, per l'appunto, fondamentali - nei confronti dei, e contro i, poteri pubblici. L'ideale del governo del diritto (governo limitato, non arbitrario, ecc.) diviene cioè l'ideale del governo che trova nel rispetto dei diritti fondamentali un limite invalicabile (un governo che non interferisce con i diritti degli individui), e nella protezione (garanzia, tutela) di tali diritti la propria ragion d'essere, il proprio fine, il proprio scopo istitutivo. Nasce, così, un 'costituzionalismo dei diritti', che si riassume nella duplice tesi secondo cui (1) il rispetto dei diritti fondamentali è condizione necessaria di legittimità del potere pubblico, statale, e (2) il fine dell'associazione politica è la conservazione e la protezione dei diritti fondamentali dei consociati. Quando il governo non rispetta i diritti, o non li assicura, il popolo ha il diritto di resistere; se del caso, di abbatterlo, e di costituire, al suo posto, un governo disegnato in

maniera tale da rispettare, e garantire, i diritti11

. Il costituzionalismo moderno, dunque, si caratterizza per il riconoscimento e l'esigenza di tutela

dei diritti. Questa esigenza acquista effettualità storica, diviene uno degli elementi portanti della realtà giuridico-politica, con le due rivoluzioni della fine del Settecento (Rivoluzione americana, Rivoluzione francese), e la cultura loro propria. V'è, però, un ulteriore elemento che concorre a determinare la configurazione che il costituzionalismo assume in età moderna: un nuovo concetto di costituzione, e con esso la tesi del primato della costituzione, così intesa, sui poteri pubblici.

La versione moderna del costituzionalismo è cioè caratterizzata dall'adozione (o meglio, dall'invenzione) di una particolare idea di costituzione, l'idea tipicamente moderna e

contemporanea12

. Tradizionalmente, si intendeva per 'costituzione' (in contesti giuridici o politici) un atto normativo adottato dall'autorità politica (ad es., nel diritto romano di età imperiale, le 'costituzioni' imperiali); o, in generale, il modo in cui lo stato, la comunità politica, è per l'appunto costituito: il modo in cui esso è fatto, e funziona. La costituzione (in questa seconda accezione) della comunità politica è cioè concepita come un dato, possibile oggetto di descrizione, allo stesso modo in cui può essere oggetto di descrizione, ad es., la costituzione di (ossia, il modo in cui è

costituito) un organismo vivente, o una galassia13

. A partire dalle due rivoluzioni settecentesche, di

contro, il termine 'costituzione' acquisisce un nuovo significato14

. Esso designa, ora, un documento (un testo scritto), concepito come (1) espressione di un insieme di regole, o norme, che è esso stesso la costituzione dello stato: l'atto normativo che costituisce, istituisce, la struttura fondamentale dello

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Il principio della separazione, o divisione, dei poteri (soprattutto, nella forma dei checks and balances: le pouvoir arrête le pouvoir), è il primo degli strumenti che la cultura giuridico-politica moderna escogita, ai fini dell’assicurazione dei diritti contro i poteri pubblici. 12

Tralascio qui la tradizione costituzionalistica britannica, che - pur costituendo, per gran parte della cultura giuridico-politica europeo-continentale moderna, e per quella nordamericana, un vero e proprio modello da imitare - presenta caratteristiche affatto peculiari. 13

Questa nozione di costituzione è, dunque, una nozione descrittiva: la 'costituzione' di una comunità politica è il modo in cui essa è fatta, la sua natura, suscettibile di essere osservata e descritta, allo stesso modo e nello stesso senso in cui, ad es., la natura di un organismo vivente è un dato preesistente all'osservazione scientifica, ed è suscettibile di essere, per l'appunto, osservata e descritta. (Quanto leggiamo in un trattato di zoologia a proposito della costituzione dello scoiattolo non è la costituzione dello scoiattolo, ma, per l'appunto, una descrizione di quest'ultima: sulle pagine del trattato non troviamo il DNA dello scoiattolo, ma una sua rappresentazione.) 14

Floridia 1991, pp. 22-3; cfr. anche ivi, pp. 65-8; Comanducci 1990, pp. 176-7, 183, 194-5.

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stato, la produce, la pone in esistenza (non, dunque, un testo che descriva il modo in cui, indipendentemente da tale testo medesimo e da ciò che in esso si esprime, qualcosa, di per sé, è

fatto, e funziona)15

; e come (2) il risultato di un'attività consapevole e deliberata, volontaria, da parte dei consociati, intesa per l'appunto a creare ex novo, porre in esistenza, un certo tipo di organizzazione sociale e politica, atta a soddisfare le esigenze dei consociati - anzitutto, il rispetto e la tutela dei diritti. La costituzione è, così intesa, il frutto di un atto costituente: un atto volontario che pone, produce, le regole che costituiscono, ex novo, la struttura fondamentale dello stato. L'idea soggiacente a questa nuova nozione di costituzione, e alla sua affermazione storica, è semplice, ma, per l'appunto, rivoluzionaria: l'organizzazione politica, e dunque il potere politico, non sono un che di naturale, dato, che i consociati siano tenuti ad accettare così com'è, rassegnandovisi (quasi si trattasse di un aspetto inalterabile dell'ordine naturale delle cose, giustificato dal solo fatto della sua esistenza: una necessità, il destino, o un aspetto dell'ordine provvidenziale voluto da Dio per gli uomini), e al quale essi debbano, comunque, prestare obbedienza; sono (o comunque possono diventare), piuttosto, un che di artificiale, costruito (un che di convenzionale): il frutto dell'attività consapevole e deliberata degli esseri umani, tendente al soddisfacimento di certi bisogni o interessi, al perseguimento di certi scopi, e alla realizzazione di certi valori - anzitutto, la sicurezza e la tutela dei diritti.

E' caratteristica del costituzionalismo settecentesco (e, come vedremo, contemporaneo), dunque, l'adozione di questa nozione di costituzione, e, con essa, la rivendicazione del primato della costituzione, così intesa, rispetto a ogni altra norma, atto, decisione da parte dei poteri pubblici. Questa idea assume, nella cultura delle due rivoluzioni settecentesche, forma diversa. Nella cultura rivoluzionaria americana, la rivendicazione del primato della costituzione genera l'idea di una costituzione come 'legge suprema’, gerarchicamente superiore rispetto a ogni altra norma o atto dei poteri pubblici - ivi inclusi il legislativo e il vertice dell’esecutivo (costituzione rigida e garantita mediante controllo giurisdizionale di legittimità costituzionale) - finalizzata alla garanzia dei diritti

degli individui (anzitutto, la sicurezza, per ciascuno, della propria persona e dei propri beni)16

. Nella cultura rivoluzionaria francese, di contro, l'idea del primato della costituzione si traduce nell'idea della costituzione come indirizzo (indirizzo fondamentale dell'azione dei poteri pubblici, in vista della realizzazione di una società giusta, non più caratterizzata da diseguaglianze di nascita,

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Questa nozione di costituzione non è, dunque, una nozione descrittiva. A differenza da quanto accade quando apprendiamo, da un trattato di zoologia, quale sia la costituzione dello scoiattolo, quando prendiamo in mano il documento 'Costituzione della Repubblica Italiana' ciò che abbiamo in mano è, per l'appunto, la costituzione della Repubblica italiana, non una sua descrizione (abbiamo sotto gli occhi il DNA, non una sua rappresentazione). 16

Altro è la mera enunciazione, o dichiarazione, per quanto decisa e solenne, di un diritto, altro è un diritto effettivamente riconosciuto e garantito dall'ordinamento giuridico, o dal diritto positivo (per dirla con J. Bentham, la fame non è pane): altro, cioè, che alla violazione del diritto (solennemente asserito) siano ricollegate, da norme giuridiche positive, conseguenze predeterminate (ad esempio, sanzioni punitive nei confronti di chi ha violato il diritto medesimo, o l’invalidazione della norma o atto che autorizza la violazione). Non basta, in altri termini, dichiarare che un certo diritto è 'naturale e imprescrittibile', limitarsi ad asserire che certi diritti sono 'inviolabili'. Una semplice asserzione resta, di fronte a una violazione, impotente. (Tutto ciò che possiamo concludere, quando X viola il diritto la cui inviolabilità è stata solennemente asserita, è che X è brutto e cattivo.) Sono necessari, piuttosto, espedienti tecnico-giuridici, congegni o meccanismi istituzionali di garanzia, che vadano al di là della mera enunciazione di prescrizioni (obblighi o divieti), o di diritti. Occorre, in altri termini, che qualcuno sia competente a decidere (secondo una procedura predeterminata), in via autoritativa e, in ultima istanza, definitiva, se vi sia stata o no violazione di un diritto, e, in caso di risposta affermativa, a disporre l'esecuzione di una sanzione punitiva nei confronti del violatore (o di misure di altro genere, come ad es. l'invalidità di un atto ritenuto lesivo di un diritto). Il congegno istituzionale costituito dalla rigidità della costituzione (nella quale sono, in ipotesi, sanciti i diritti fondamentali), a sua volta garantita dal sindacato giurisdizionale di legittimità costituzionale è un congegno di questo tipo, volto a riconnettere una particolare conseguenza giuridica (non una sanzione punitiva, ma la disapplicazione o invalidazione della legge o altro atto lesivo di diritti fondamentali) alla violazione dei diritti da parte del legislatore, o del governo. Ciò garantisce, o mira a garantire, l’effettiva superiorità gerarchica della costituzione (dunque, dei diritti) rispetto a ogni altra norma o atto giuridico (non basta dire che la costituzione è la ‘legge suprema’, occorre un congegno istituzionale che ne renda effettiva l’asserita supremazia.

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privilegi e rapporti di dipendenza personale); e poggia sull'assunto dell’assoluta supremazia del potere costituente rispetto a ogni potere costituito (potere originariamente appartenente al popolo, o

alla nazione, in quanto titolare della sovranità)17

. Il principio fondamentale del costituzionalismo è, si diceva, il principio del 'governo delle leggi'.

Un aspetto centrale di questa idea è, come pure si è detto, l'esigenza di una limitazione del potere ad opera del diritto: governo limitato, in opposizione al governo arbitrario (non soggetto a limiti o regole). Il costituzionalismo della fine del Settecento costituisce, come abbiamo appena visto, una particolare versione, una specificazione, di questo ideale: 'governo limitato dal diritto' nel senso di garanzia del rispetto dei diritti fondamentali degli individui, grazie a una costituzione, che istituisce, e al contempo limita, l'associazione politica, e il governo. Governo 'limitato', in questo senso, è cioè un potere che, soggetto a una costituzione (un insieme di regole che istituiscono i poteri pubblici, e, istituendoli, ne fissano previamente gli ambiti e le modalità di esercizio), rispetta i diritti fondamentali, e ne assicura il godimento da parte dei consociati. In questa versione del principio costituzionalistico è insita, come si è visto, l'idea della superiorità gerarchica della costituzione, in quanto legge suprema, rispetto a ogni altra legge o provvedimento dell'autorità politica, e in

generale dei poteri pubblici (la variante americana)18

. A ben vedere, però, nell'idea di fondo del costituzionalismo è possibile distinguere due

componenti (due dimensioni), non irrelate ma, per l'appunto, distinte. In primo luogo, l'ideale di un governo sub lege (l'esigenza, cioè, che i poteri pubblici - anche, e soprattutto, i poteri pubblici supremi: il legislativo, e i vertici dell’esecutivo - siano assoggettati a, disciplinati da, regole). In secondo luogo, l'idea di un governo mediante leggi: governo, potere, che si esplica mediante leggi,

che opera mediante regole19

. Orbene: la cultura giuridico-politica europeo-continentale ottocentesca rifiuta la tesi (come

abbiamo visto, caratteristica del costituzionalismo rivoluzionario settecentesco) del primato della costituzione, e l'idea stessa di costituzione (nel senso specificamente moderno, introdotto sopra). Ma non per questo rescinde ogni legame con la tradizione del costituzionalismo. Piuttosto, rivendica nel modo più deciso la seconda componente del principio costituzionalistico: l'esigenza del governo mediante leggi - il principio, cioè, che i poteri pubblici si esplichino ed esercitino le proprie funzioni mediante la creazione e l'applicazione di regole. E' questa, come adesso vedremo, la versione dell'ideale costituzionalistico specificamente propria dello stato di diritto europeo-continentale dell'Ottocento.

5. Lo stato di diritto ottocentesco

5.1 Introduzione La forma di organizzazione giuridico-politica che, sul continente europeo, si afferma

successivamente al periodo rivoluzionario, e alla caduta dell'impero napoleonico, è il cosiddetto 'stato di diritto'. Di che si tratta?

Cominciamo con una precisazione terminologica. L'espressione 'stato di diritto' ha, grosso modo, due accezioni, che è bene tenere distinte. In una prima accezione, generica, 'stato di diritto'

17

Traggo la distinzione fra questi due modelli di costituzione (‘costituzione-garanzia’ e ‘costituzione-indirizzo’) da Fioravanti1995. 18

O, nella variante francese, l'idea dell’assoluta supremazia del potere costituente, appartenente al popolo, rispetto ai poteri costituiti, e dell’indirizzo, da parte della costituzione, dell’attività dei pubblici poteri. Si noti: l'ideale costituzionalistico trova la sua più puntuale realizzazione nel modello della costituzione-garanzia (legge suprema, rigida e garantita), piuttosto che in quello della costituzione-indirizzo. 19

Bobbio 1983, pp. 175-9.

9

significa, semplicemente, stato retto, governato, dal diritto (governo del diritto: nomos basileus). La locuzione fa cioè riferimento, banalmente, al principio-guida del costituzionalismo: l'ideale del governo delle leggi anziché degli uomini, l'esigenza che il potere politico sia disciplinato da regole,

norme giuridiche (sopra, 4.1, in part., n. 3)20

. In una seconda accezione, riferita agli stati dell'Europa continentale nel corso dell'Ottocento, l'espressione 'stato di diritto' (Rechtsstaat, État de droit) assume invece un significato specifico, determinato, e designa un tipo particolare di

organizzazione giuridico-politica. E' di questa che adesso ci occuperemo21

. L'ideologia che sta alla base dello stato di diritto europeo-continentale dell'Ottocento (o 'stato

liberale di diritto'22

) presenta due aspetti fondamentali. (1) Il rifiuto della tesi del primato della costituzione, caratteristica, come abbiamo visto (sopra,

4.3), del costituzionalismo rivoluzionario settecentesco. (In particolare, la cultura giuridico-politica dello stato di diritto rifiuta entrambe le concezioni della costituzione emerse dalle rivoluzioni

settecentesche: costituzione-indirizzo e costituzione-garanzia23

.) (2) L'adesione al principio-guida del costituzionalismo (il 'governo delle leggi'), nella seconda

delle sue due dimensioni costitutive (sopra, 4.3): governo per leges, mediante regole. Iniziamo dal

primo di questi due tratti24

.

5.2 Lo stato di diritto come stato legislativo Il costituzionalismo rivoluzionario della fine del Settecento (soprattutto, nella versione

americana, espressa dal modello della costituzione-garanzia) pone un’alternativa: primato della costituzione o sovranità dello stato (e primato del diritto da esso prodotto)? Lo stato di diritto ottocentesco opta decisamente per questo secondo corno del dilemma.

Lo stato è concepito, in età liberale, come una persona, un'entità dotata di una propria personalità (soggettività), una propria individualità, di fini e una volontà suoi propri. Un macro-soggetto che, a differenza dagli esseri umani individuali, è dotato di un particolare potere, affatto peculiare, unico: potere supremo, al di sopra del quale non si trova alcun altro potere, o che non riconosce alcun potere al di sopra di sé (il potere di decidere in ultima istanza, potere di decisione ultima): potere sovrano, o sovranità. Lo stato liberale è (concepito come) persona statale; ed è, in quanto persona statale, stato sovrano.

Ma perché mai stato 'di diritto'? Nella prospettiva del liberalismo ottocentesco, lo stato, in quanto titolare del potere sovrano, trova nel diritto la sua specifica modalità di espressione (il proprio linguaggio) e di organizzazione, e lo specifico strumento mediante il quale perseguire i fini ad esso propri.

20

Su questa prima accezione, generica, della locuzione 'stato di diritto' (l'"orizzonte di senso", risalente all'antichità, della nozione di stato di diritto) cfr. Costa 2002b, pp. 90-2. 21

Le considerazioni che seguono riguardano esclusivamente la forma europeo-continentale, di matrice germanica, dello stato di diritto (Rechtsstaat, État de droit). Nella sua versione britannica (Rule of Law) l'idea dello stato di diritto presenta caratteristiche diverse. 22

L'aggettivo 'liberale' ha assunto, nel lessico giuridico-politico, i significati più diversi, designando, in tempi e luoghi diversi, una gamma vastissima, ed eterogenea, di ideologie. Non ci soffermeremo qui su questa varietà di significati. Ma è necessario avvertire che la qualificazione dello stato di diritto europeo-continentale ottocentesco (e dell'ideologia che lo sorregge) come 'liberale' esprime anch'essa una specifica accezione del termine, accezione che può avere ben poco a che vedere con alcuni dei suoi usi contemporanei. 23

Fioravanti 1995, p. 99. 24

Seguo anche qui, per l’impostazione generale della trattazione, Fioravanti 1995, cap. III. E’ necessaria una precisazione: nei paragrafi che seguono ci occuperemo prevalentemente dell’ideologia dello stato di diritto liberale; resta aperta, ovviamente, la possibilità che la sua effettualità storica si discosti, sotto diversi aspetti, dall’ideologia, o addirittura la contraddica,

10

Il diritto è cioè concepito come espressione della volontà dello stato, della persona statale, in quanto titolare della sovranità: diritto posto, prodotto, dallo stato; diritto 'dello stato', o diritto

'positivo'25

. Ed è, al contempo, il modo in cui lo stato si organizza, si articola, si determina al proprio interno (differenziandosi, come si suol dire, in organi: stato come apparato, pubblica amministrazione), e il mezzo mediante il quale esso persegue i propri fini. La produzione del diritto, la sua posizione, è, in primo luogo, la forma di espressione (la lingua, per così dire) propria della persona statale (è mediante il diritto che lo stato fa sentire la propria voce, esprime la propria volontà). E, in secondo luogo, le regole giuridiche, la cui fonte è il potere sovrano, sono le regole di organizzazione e di funzionamento dell'apparato statale nel suo complesso (pubblica amministrazione).

Il diritto positivo dello stato, prodotto della volontà sovrana della persona statale, acquisisce, dunque, una posizione di incontrastata centralità. Ma di che genere di 'diritto' si tratta?

Il diritto in senso eminente, espressione prima della volontà sovrana dello stato, e perciò atto ad adempiere la triplice funzione di modalità di espressione, di organizzazione e di funzionamento della persona statale, è la legge (tipicamente, il prodotto di assemblee rappresentative, nelle quali si esplica la sovranità). La legge, in questa specifica accezione, è la fonte suprema nell'ambito dell'ordinamento giuridico: le norme di legge occupano una posizione gerarchicamente superiore rispetto a ogni altra norma giuridica, a ogni altro provvedimento o decisione da parte di organi dello

stato (organi della pubblica amministrazione, organi giurisdizionali)26

. Questi ultimi, nella loro azione, devono sempre e comunque conformarsi alla legge (soggezione del giudice alla legge;

principio di legalità)27

.

25

Questa è, si noti, un'accezione particolare - restrittiva - della locuzione 'diritto positivo'. In un'accezione più ampia (sopra, 3.2), si dice 'diritto positivo', in generale, il diritto che costituisce il prodotto di atti o comportamenti umani, sia esso imputabile allo stato o no. La concezione del diritto propria dell'ideologia dello stato di diritto ottocentesco è strettamente solidale con una particolare tesi teorica, che (come si è visto; sopra, 3.2) costituisce il nucleo del positivismo giuridico: la tesi secondo la quale non esiste altro diritto se non il diritto positivo. Il positivismo giuridico è la corrente teorico-giuridica che si lega nel modo più naturale con l'ideologia dello stato di diritto liberale. In particolare, è tipica della cultura dello stato di diritto ottocentesco la tesi secondo cui non v’è altro diritto se non il diritto posto, prodotto dallo stato (è questa la tesi chiave del positivismo giuridico ottocentesco). 26

Ovvero, la legge può essere abrogata solo da (ad essa può derogare solo) un’altra legge successiva (gerarchia normativa) In particolare, non può essere abrogata dalla - ad essa non può derogare la - consuetudine. 27

Il principio di legalità sancisce, in generale, la "sottoposizione dell’amministrazione alla legge" (seguo qui Zagrebelsky 1992, pp. 24-32, da cui sono desunte le citazioni che seguono). Si presenta in due varianti: (1) predeterminazione dell’amministrazione da parte della legge (in assenza di leggi attributive di poteri all’amministrazione, impossibilità, per quest’ultima, di operare); (2) limitazione dell’amministrazione da parte della legge (in assenza di leggi delimitative dei poteri dell’amministrazione, libertà, per quest’ultima, di operare per i fini propri). Elemento comune alle due varianti: "per quanto si ammettesse l’esistenza presso l’esecutivo di poteri autonomi per la cura degli interessi unitari dello stato, ciò poteva valere solo fin dove non si determinassero contrasti con le esigenze di protezione dei diritti dei privati, la libertà e la proprietà": le determinazioni relative a questo punto "erano oggetto di una 'riserva di legge', che escludeva l’autonomia dell’amministrazione". Dunque, compito tipico della legge è "la disciplina dei punti di collisione fra interessi pubblici e interessi privati attraverso la misura rispettiva del potere pubblico e dei diritti privati, dell’autorità e della libertà". Da ciò, una diversa posizione, nei confronti della legge, rispettivamente dell’amministrazione e dei privati: "i poteri dell’amministrazione, in caso di collisione con i diritti dei privati" sono – non espressione di autonomia, ma – "esecuzione di autorizzazione legislativa"; per i privati, di contro, vale il principio di autonomia, sino a quando non si incontri il limite della legge (la legge come "una norma non da eseguire, ma semplicemente da rispettare come limite 'esterno' della 'autonomia negoziale'"). Insomma: "per gli organi dello stato, cui non era riconosciuta alcuna originaria autonomia, tutto ciò che non era ammesso, era vietato; per i privati, la cui autonomia viceversa era presupposta come regola, tutto ciò che non era vietato era permesso": "libertà del singolo in linea di principio, potere dello stato limitato in linea di principio". Il principio di legalità, prosegue Zagrebelsky, traduce in termini costituzionali "l’egemonia della borghesia che si esprimeva nella Camera rappresentativa e il regresso dell’esecutivo e dei giudici, da poteri autonomi ad apparati subordinati alla legge". In particolare: (1) giurisdizione: sanzione dell'"avvenuto declassamento dei corpi giudiziari ad apparati di mera applicazione di un diritto da loro stessi non elaborato [ed] eliminazione di qualunque loro funzione di contrappeso attivo"; (2) esecutivo: subordinazione dell’amministrazione alla legge; resta però viva l’esigenza di conservare il

11

Insomma: lo stato liberale, in quanto persona sovrana, si struttura, manifesta la propria volontà, e persegue i propri fini mediante la legge: è ‘stato legislativo’.

Tre aspetti particolari di questo modello di organizzazione giuridico-politica meritano di essere sottolineati. (1) E' la legge, non la costituzione, ad avere il carattere di fonte suprema: il vertice dell'ordinamento giuridico è occupato dalle norme legislative. La legge è espressione della volontà dello stato, e lo stato ha l'attributo della sovranità. Dunque, il potere statale non può in alcun modo essere limitato dalla legge; né ha senso l'ipotesi di una legge superiore - la costituzione - cui anche il sovrano, il legislatore, sia soggetto. Non che in età liberale non vi siano costituzioni (gli stati di diritto europeo-continentali ottocenteschi sono, tipicamente, monarchie costituzionali). Ma le

costituzioni liberali sono costituzioni - non rigide, ma - flessibili28

. (2) I diritti degli individui non costituiscono un che di indipendente (né, tanto meno, prioritario)

rispetto alla legge, ossia: rispetto alla volontà sovrana dello stato. Coloro che sono soggetti all'ordinamento giuridico hanno diritti, se e nella misura in cui è la legge a conferire loro tali diritti; se essi abbiano diritti, e quali diritti abbiano, è cosa che dipende dalla volontà del legislatore. I diritti degli individui sono, insomma, il riflesso del diritto statale: il frutto di una autolimitazione, nella forma di legge, della volontà dello stato. In questo senso, nello stato di diritto liberale i diritti

sono - non 'nella costituzione' (costituzione come atto normativo), ma - 'nello stato'29

. (3) Fonte suprema del diritto è la legge, la legge statale. Ma la legge assume ora una particolare

configurazione. A cavallo fra Sette e Ottocento, si assiste al prodursi di un fenomeno di eccezionale importanza: la codificazione del diritto (infra, 6.).

5.3 Legge e diritti nello stato liberale di diritto Qual è, dunque, il posto di diritti e libertà nella cultura giuridico-politica dello stato di diritto

ottocentesco30

? Abbiamo già visto quale sia, in generale, la risposta a questo interrogativo. I diritti degli

individui non costituiscono un che di indipendente rispetto alla legge. Sono, piuttosto,, il frutto di una autolimitazione, mediante la legge, della volontà statale. Dunque,

"in ultima istanza (...) non si possono ora più avere libertà fondamentali, nel senso che non può più esistere un contenuto necessario delle libertà fissato nella costituzione - nelle Dichiarazioni dei diritti, come al tempo della rivoluzione -, e fondato su dati elementari che precedono lo stato, in modo tale da imporsi ad esso": "se tutte le libertà si fondano solo ed esclusivamente sulle norme dello stato, si deve per forza ammettere che esiste ora un solo

diritto fondamentale, quello di essere trattati conformemente alla legge dello stato"31

. Tutta la problematica delle libertà "si riduce alla problematica dell'actio, dei rimedi

giurisdizionali" in caso di lesione di un diritto individuale basato sulla legge. Se i diritti hanno il loro fondamento nella legge, espressione della volontà sovrana e fonte suprema di diritto, e se gli

cosiddetto 'privilegio dell’amministrazione', "conforme alla sua natura di attività autoritativa per la cura di interessi pubblici" (resta dunque difficile pensare "che essa, come regola, scendesse su un piano di parità con altri soggetti non pubblici, e con questi si legasse in veri e propri rapporti giuridici"). Da qui i problemi e le difficoltà attinenti alla determinazione di controlli efficaci del rispetto del principio di legalità da parte dell’amministrazione (il caso della giustizia amministrativa; ivi, pp. 34, 54). 28

La costituzione-documento è declassata a costituzione octroyée: graziosa concessione da parte del monarca, sempre, in linea di principio, revocabile. (In diretta antitesi con l’ideale del costituzionalismo rivoluzionario.) 29

Fioravanti 1995, p. 111. 30

Cfr. per quanto segue Fioravanti 1995, pp. 123 sgg. 31

Ivi, p. 125.

12

organi della pubblica amministrazione, nel loro operato, sono soggetti alla legge (principio di legalità), diviene in linea di principio possibile la tutela dei diritti dei consociati nei confronti di atti o decisioni imputabili a organi della pubblica amministrazione. Nello stato liberale di diritto, i diritti dei consociati sono in linea di principio opponibili, possono essere fatti valere, nei confronti degli organi della pubblica amministrazione (in particolare, mediante il ricorso alla giustizia amministrativa). Ma non ha senso, in questo contesto, l'ipotesi che essi possano essere fatti valere nei confronti del legislatore medesimo.

Lo stato di diritto, insomma, si presenta come "un meccanismo di pronta e sicura, e uniforme,

applicazione della legge da parte dei giudici"32

. Ma resta "sempre e comunque aperta la domanda": "chi impedisce allo stato sovrano di ritirare oggi ciò che aveva concesso ieri, nel momento in cui

aveva fondato con la sua norma i diritti degli individui?"33

. Ossia, "come impedire che il legislatore, con un proprio atto sovrano, violi i diritti individuali, magari quei medesimi diritti che esso stesso

aveva precedentemente costituito?"34

. Una risposta a queste domande consiste nel ricorso a una costituzione rigida, e garantita,

operante come parametro di legittimità delle norme di fonte statale (in particolare, la legge). Ma, come sappiamo, questa risposta è rifiutata dalla cultura dello stato liberale di diritto. In che modo, dunque, i giuristi dell'età liberale rispondono alle domande appena formulate?

In verità, conclude Fioravanti, "rimanendo all'interno di una logica rigorosamente ed esclusivamente statualistica, si tratta di domande che non possono avere risposta"; "una volta imboccata la via della sovranità dello stato (…), risulta assolutamente impossibile individuare un punto di riferimento esterno - in ipotesi, la costituzione - sul quale si possa fondare un giudizio di

legittimità del diritto statale"35

. Cerchiamo, ora, di tirare le somme. In una prima accezione, del tutto generica, la locuzione 'stato

di diritto' fa riferimento, semplicemente, al principio-guida del costituzionalismo: governo delle leggi, anziché degli uomini (l'esigenza che i consociati stiano non sub homine, sed sub lege). Lo stato di diritto ottocentesco costituisce una particolare realizzazione storico-istituzionale di questo ideale. In esso, come abbiamo visto, assume rilievo centrale uno dei due aspetti costitutivi dell'ideale costituzionalistico: la dimensione del governo mediante leggi, ovvero l'esigenza che i poteri pubblici esplichino la propria attività mediante la produzione e l'applicazione di regole, norme (supremazia della legge; principio di legalità). Ebbene: si può affermare che nello stato di diritto ogni potere umano – il governo, in ogni suo aspetto – sia assoggettato a regole (che, cioè, il nomos sia compiutamente basileus)? In altri termini: c'è, nello stato di diritto, un potere non soggetto a vincoli giuridici, giuridicamente illimitato, sovrano? La risposta è, come abbiamo visto, affermativa: il potere legislativo.

In particolare, si può affermare, nel quadro dello stato di diritto, che coloro che sono soggetti all'ordinamento giuridico abbiano dei diritti – diritti fondamentali (inalienabili, inviolabili, imprescrittibili) – indipendenti dall'autorità statale, che essi possono, se del caso, opporre come

32

Ivi, p. 125. Quanto tale tutela giurisdizionale sia "davvero efficace" è altra questione. (Fioravanti si sofferma qui sul caso, "emblematico", della giustizia amministrativa; ivi, pp. 125-6.) In generale, "in un sistema politico fondato su principi di carattere statualistico è difficile che il giudice - non importa se ordinario o amministrativo - sia completamente libero nella tutela dei diritti individuali nel momento in cui questi si trovano ad urtare con le ragioni dell'autorità; il giudice (...), infatti, non è portatore di una logica garantistica autonomamente fondata nella costituzione (...), ma è egli medesimo espressione della sovranità dello stato, in modo tale da non poter essere pienamente e sicuramente terzo tra le ragioni individuali dei privati e le ragioni dell'autorità pubblica e dello stato-apparato" (ivi, p. 126). 33

Ivi, pp. 126-7. 34

Ivi, p. 128. Dove sta, insomma, "la garanzia prima contro una possibile trasformazione dello stato liberale in stato dispotico" (ibidem)? 35

Ivi, p. 128.

13

barriere – barriere giuridiche insormontabili – nei confronti di tale autorità? No. I soggetti dell'ordinamento giuridico non hanno altri diritti se non quelli conferiti loro dalla legge. Tali diritti sono sì opponibili, in linea di principio, nei confronti della pubblica amministrazione (principio di legalità, giustizia amministrativa). Ma non lo sono nei confronti del legislatore, precisamente perché costituiti, posti in essere, dalla legge stessa.

Nello stato di diritto europeo-continentale dell'Ottocento, dunque, il 'governo delle leggi' non è compiutamente realizzato (il nomos, per così dire, non è compiutamente basileus). Un passo ulteriore sulla via della sua realizzazione si compirà con la transizione dallo stato di diritto

ottocentesco allo stato costituzionale di diritto della seconda metà del Novecento (infra, £)36

.

6. La codificazione. Il concetto moderno di ordinamento giuridico

6.1 Ideologie della codificazione Lo stato di diritto è, come abbiamo visto, stato legislativo (sopra, 5.2). La legge assume però,

nello stato di diritto, una particolare configurazione: il diritto legislativo per eccellenza è, a partire dagli inizi dell'Ottocento, diritto codificato.

Oggi siamo abituati a pensare che il si presenti, anzitutto, nella forma di un codice (civile,

penale, ecc.). Ma questo è un banale errore di prospettiva37

. I codici (nell'accezione qui rilevante del termine 'codice', sulla quale ci soffermeremo fra breve) costituiscono, nella storia della cultura giuridica, un prodotto relativamente recente: una novità. I primi progetti di codificazione datano dalla seconda metà del Settecento; la prima grande codificazione, che ha dato l'impronta alle

codificazioni successive38

, è il codice civile francese (Codice Napoleone), entrato in vigore nel 1804 (la codificazione, si badi bene, ha interessato solo l'Europa continentale, e i paesi - soprattutto in America latina - vicini alla tradizione giuridica europeo-continentale; non i sistemi di common law). Insomma, la codificazione "rappresenta in realtà un'esperienza giuridica degli ultimi due

secoli tipica dell'Europa continentale"39

. Anteriormente alle codificazioni, il diritto si presentava - come vedremo fra breve - come un insieme di norme eterogenee di diversa fonte e provenienza, valide solo relativamente ad ambiti territoriali o personali limitati e spesso sovrapponentisi, applicate da giurisdizioni diverse, con diversa legittimazione, e spesso concorrenti.

La codificazione è resa possibile da un presupposto di ordine storico-politico. Sullo sfondo della codificazione si trova la nascita e il consolidamento dello stato moderno (caratterizzato, in linea di principio, dalla monopolizzazione della produzione giuridica: in antitesi al pluralismo della società medievale, tutto il diritto - o, almeno, il diritto che non sia diritto naturale - è di fonte statale), e la conseguente nascita di una nuova nozione di diritto positivo (diritto positivo è solo il diritto posto -

36

Ma, ci si può ragionevolmente chiedere, è (concettualmente, logicamente) possibile che il nomos sia compiutamente, incondizionatamente, basileus? Che, cioè, tutti i poteri pubblici siano, in ultima istanza, soggetti alla legge (che ogni potere di esseri umani sia assoggettato, vincolato, limitato da regole)? In termini astratti, la risposta a questa domanda non può che essere negativa: data una regola, è necessario un potere che la faccia valere; dunque, non ogni potere potrà essere assoggettato a regole, pena un regresso all'infinito. (La difficoltà è ben espressa, sulla scia di Kant - il "legno storto dell'Umanità" - in Costa 2002b, pp. 103, 104, 106-7, 112, 113.) In breve: quis custodiet custodes? Ma ciò non toglie che sia possibile differire, dilazionare, il momento dell'esercizio della decisione d'ultima istanza, sovrana. L'apparato ideologico e istituzionale dello stato costituzionale di diritto, come vedremo (infra, £), comprende un insieme di tecniche volte a questo scopo. 37

Bobbio 1961, pp. 55-6. 38

Bisognerebbe però distinguere più modelli di codice (cfr. Cappellini 2002, pp. 122-3). 39

Bobbio 1961, p. 56.

14

direttamente prodotto, o comunque riconosciuto - dagli organi dello stato)40

. Lo stato di diritto ottocentesco, come abbiamo visto (sopra, 5.2), porta a compimento questo sviluppo. Ma che cosa deve intendersi, precisamente, con l'espressione 'diritto codificato'? In particolare: quali sono le matrici culturali e ideologiche, i desiderata, le esigenze, gli ideali, etici, politici, istituzionali e tecnico-giuridici che animano il processo di codificazione del diritto?

Il vocabolo 'codice' ha, in contesti giuridici, usi diversi, alcuni dei quali risalenti. Ciò che qui ci interessa, però, è la nozione tecnico-giuridica, specificamente moderna, di codice. Per introdurre questa nozione, assumiamo come punto di partenza la definizione fornitane da G. Tarello:

"un libro di regole giuridiche organizzate secondo un sistema (un ordine) e caratterizzate dall'unità di materia, vigente per tutta l'estensione geografica dell'area di unità politica (per tutto lo stato), rivolto a tutti i sudditi o soggetti all'autorità politica statale, da questa autorità voluto e pubblicato, abrogante tutto il diritto precedente sulla materia da esso disciplinata e

perciò non integrabile con materiali giuridici previgenti, e destinato a durare a lungo"41

. Vediamo ora quali sono i diversi aspetti del progetto ideologico-politico che anima il processo di

codificazione. Nel farlo, si soffermeremo sui diversi elementi contenuti in questa definizione42

.

40

Bobbio 1961, pp. 15-8, 21, 28-9. L'origine del positivismo giuridico (ossia, la tesi che non vi sia altro diritto che il diritto positivo) - scrive Bobbio - "è legata alla formazione dello stato moderno, che sorge sulla dissoluzione della società medievale" (ivi, p. 15). La società medievale "era una società pluralistica", "in quanto era costituita da una pluralità di raggruppamenti sociali ciascuno dei quali aveva un proprio ordinamento giuridico: il diritto vi si presentava come un fenomeno sociale, come prodotto non dallo stato ma dalla società civile". Con la formazione dello stato moderno si assiste a un "processo di monopolizzazione della produzione giuridica da parte dello stato" (ibidem). La transizione viene illustrata da Bobbio esaminando il mutamento del ruolo e della funzione del giudice (ivi, pp. 16-7). "Con la formazione dello stato moderno il giudice da libero organo della società diventa un organo dello stato (...). Questo fatto trasforma il giudice nel titolare di uno dei poteri statali, quello giudiziario, subordinato a quello legislativo, e impone al giudice stesso di risolvere le controversie soltanto in base alle regole emanate dall'organo legislativo o che comunque (trattandosi di norme consuetudinarie o di diritto naturale) possono essere ricondotte a un riconoscimento da parte dello stato. (...) Ecco perché, con la formazione dello stato moderno, (...) soltanto il diritto positivo (il diritto posto e approvato dallo stato) è considerato il vero diritto: esso è l'unico che trova ormai applicazione nei tribunali" (ivi, p. 17). In tal modo, lo stato diventa "l'unico creatore del diritto" (ivi, p. 18). 41

Tarello 1978, p. 41. Cfr. anche Tarello 1976, pp. 20-1, in part., p. 20: “documenti quali: a) contengono serie di norme, e null’altro che serie di norme; b) vengono considerati, da chi li produce, e da chi li adopera, come documenti unitari, talché le norme in essi contenute sono a loro volta considerate come in qualche senso coerenti e sistematizzate; c) vengono ritenuti, da chi li produce e da chi li usa, realizzare una disciplina giuridica esauriente (salve deroghe viste appunto come eccezionali) di tutti i rapporti appartenenti a un genere individuato dall’unità di materia”. (Tarello costruisce qui una nozione ampia di codificazione - e di codice - comprensiva della "costituzionalizzazione", o "codificazione costituzionale"; la produzione, cioè, di costituzioni documento, nell’accezione specificamente moderna introdotta sopra, 4.3. Ma la definizione vale anche, ovviamente, relativamente alla codificazione nel senso restrittivo cui è dedicato questo paragrafo, riferita alla materia civile, penale, processuale, ecc.) 42

Sono qui necessarie due precisazioni. (1) In questo paragrafo vengono tracciate le linee essenziali del progetto ideologico-politico che sta alla radice della codificazione. Si tratta, però, ancora una volta, di una rappresentazione molto semplificata, idealizzata. In particolare, le vicende che, in Francia, hanno condotto alla codificazione hanno visto una progressiva transizione da un'originaria ispirazione genuinamente illuministica (giusnaturalista, razionalista) a un'ispirazione più moderata, se non conservatrice. (Cfr. in proposito Bobbio 1961, parr. 18-20.) (2) Altro sono le aspirazioni, gli ideali, altro la realtà dei fatti. Il progetto illuminista di codificazione comprende un insieme di esigenze, di desiderata, e porta con sé una certa rappresentazione del diritto codificato. Nel presente paragrafo, vengono delineate, in modo sommario, queste esigenze, e le linee essenziali della rappresentazione del diritto codificato che ne scaturisce. Altra questione è, però, quanto i fatti si siano conformati alle esigenze e agli ideali; quali siano state le origini, i moventi, effettivi, di tali esigenze; e, infine, se, e in quale misura, la rappresentazione del diritto codificato che ne scaturisce abbia carattere ideologico (sia, cioè, falsa, mistificatoria, e viziata, consapevolmente o meno, da assunti e moventi etico-politici, o da interessi materiali non dichiarati). Questo problema non verrà qui affrontato; ma occorre tenere ben presente che abbiamo a che fare, qui, con una rappresentazione idealizzata, forse mistificatoria, o ideologicamente viziata, della realtà del diritto codificato, Identica precisazione vale, a maggior ragione, relativamente a quanto si dirà nel paragrafo successivo.

15

(1) Riformismo, razionalizzazione. L'intento che anima i fautori della codificazione è un intento

riformistico. Il progetto di codificazione è un progetto di riforma, radicale, del diritto. Si tratta di un intento, e un progetto, la cui matrice è, genericamente, illuministica. (La codificazione è uno dei prodotti più significativi dell'Illuminismo giuridico.) Obiettivo dei fautori della codificazione è la razionalizzazione della totalità del diritto (relativamente a una certa materia, o sfera di materie; a un certo tipo, o ambito, di rapporti sociali).

Quali siano i tratti di questo progetto di riforma lo si comprende, in negativo, se si guarda - se si guarda con occhi di illuminista - all’assetto giuridico dei paesi dell’Europa continentale

anteriormente alla codificazione, abitualmente denominato ‘particolarismo giuridico’43

. Ciò che caratterizza il particolarismo giuridico è la pluralità dei regimi giuridici insistenti su un

unico territorio, o su un territorio che - per una qualche ragione - si assume debba essere soggetto a un unico regime giuridico, la pluralità delle fonti di legittimazione e dei modi di sviluppo di tali regimi, e la mancanza di unitarietà e coerenza dei rapporti giuridici che ne consegue. Più specificamente, i caratteri salienti sono (a) la pluralità degli ordinamenti giuridici vigenti su un unico territorio, in ragione di (b) legittimazioni diverse, e (c) una molteplicità di status o condizioni soggettive, che possono sovrapporsi (soggetto di diritto non è l’uomo, come tale, ma l’aristocratico, il chierico, il mercante, il cattolico, l’ebreo, l’abitante della città x o il suddito del signore y, ecc.; ciascuno di questi tipi di individuo è soggetto a un regime giuridico particolare), di modo che un certo tipo di atto ha conseguenze giuridiche diverse a seconda di dove sia compiuto, della qualità di chi lo ha compiuto, ecc. Ciò riguarda sia la commissione di crimini, sia il diritto civile; in particolare, sono estremamente numerose e variegate le figure di diritti di godimento e di disposizione di beni, differenziate a seconda della natura di questi ultimi, dello status dei loro titolari, ecc. Questi diversi ordinamenti sono applicati e sviluppati da giurisdizioni diverse, spesso in competizione o conflitto fra loro. Perciò, il diritto, come si è detto, si presenta come un insieme di norme eterogenee di diversa fonte e provenienza (per lo più norme di carattere consuetudinario, o di elaborazione giurisprudenziale o dottrinale), valide solo relativamente ad ambiti territoriali o personali limitati e spesso sovrapponentisi, applicate da giurisdizioni diverse, con diversa legittimazione, e spesso concorrenti.

Agli occhi di un razionalista settecentesco, un regime di questo tipo appare caotico, determinato in modo casuale e arbitrario dall’accumularsi di accidenti storici, e manifesta i tratti della più intollerabile irrazionalità. Da qui l’intento riformista, e le linee essenziali del progetto di codificazione, nella sua matrice illuministica.

(a) Riformismo (più o meno marcato, radicale, iconoclasta). Sotto questo aspetto, il progetto di codificazione è caratterizzato da una netta opposizione nei confronti della tradizione, in duplice senso: rifiuto (i) del diritto previgente, giudicato irrazionale (tanto nella forma quanto nel contenuto); (ii) della tradizione, come modo di formazione del diritto (legislazione vs. consuetudine;

v. infra)44

. (b) Razionalizzazione. L'opera di razionalizzazione presenta due aspetti, non irrelati ma distinti:

(i) formale (razionalizzazione del diritto, quanto alla sua forma: riformulazione, semplificazione, sistematizzazione); (ii) sostanziale, o materiale (razionalizzazione del diritto quanto al suo contenuto).

Questi diversi aspetti si chiariranno man mano che procediamo. Iniziamo dall’ultimo, l'esigenza di una razionalizzazione materiale del diritto. Questa esigenza poggia sull'assunto (tipico del giusnaturalismo moderno) che il diritto consti di (rifletta, esprima), o che esso debba constare di

43

Seguo qui Tarello 1976, pp. 29-33. 44

Uno degli obiettivi polemici dei fautori della codificazione è "l'opinione secondo cui il diritto è tanto più nobile e alto quanto più è vecchio e antico" (Tarello 1978, p. 44). Questo aspetto del progetto di codificazione si lega strettamente alla prima delle due matrici ideologiche indicate sotto (l'idea che sia possibile fare diritto - creare diritto nuovo; e che il diritto nuovo abroghi il diritto presistente).

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(riflettere, esprimere), regole e principi razionali di condotta: regole e principi universalmente e oggettivamente validi, la cui validità è dimostrabile sulla base della sola ('pura') ragione umana (sulla base, cioè, di sole considerazioni razionali); o, comunque, regole e principi individuati sulla base di uno scrutinio attento e sistematico, da parte della ragione, dei dati forniti dall’esperienza (la ragione coadiuvata dall’esperienza). L'esigenza, dunque, che le leggi, il diritto, siano, quanto al loro

contenuto, difendibili di fronte al tribunale della ragione45

.

(2) Matrici ideologiche46

. Il diritto codificato presenta, nell’immagine che di esso coltivano i fautori della codificazione due aspetti (non facilmente armonizzabili, anzi, tendenzialmente incompatibili).

(a) Arbitrarietà: il codice è un libro di leggi fatto da qualcuno (diritto come prodotto: risultato di attività consapevole e deliberata di produzione giuridica).

Sotto questo aspetto, il progetto di codificazione del diritto è caratterizzato da una recisa opposizione nei confronti dell’immagine del diritto tipica della cultura medievale, secondo la quale il diritto c'è già, è già determinato (o come parte dell'ordine naturale, o divino, delle cose, o come risultato di processi spontanei, inintenzionali: consuetudine); si tratta di scoprirlo, e dichiararlo (il re è giudice: iurisdictio). Nell’ideale del diritto codificato è implicito, di contro, l’assunto che sia

possibile fare diritto, creare diritto nuovo; il diritto nuovo abroga il diritto preesistente47

. (Per una mentalità ‘primitiva’, o per la mentalità premoderna, l’idea che sia possibile fare nuovo diritto è grottesca, se non blasfema.)

(b) Naturalità: il codice è, in ipotesi, un libro di leggi sistematico. Il diritto è sistema, si ritiene, perché insieme di regole e principi razionali di condotta. Sotto questo aspetto, il diritto è concepito come un dato: diritto razionale, universalmente e oggettivamente valido, da scoprire, conoscere (e

non, piuttosto, fare)48

. A ciascuno di questi tratti corrisponde una famiglia di ideologie. (a) Il diritto come prodotto: (i) volontarismo ("il diritto è 'volontà', volontà dell'autorità

suprema"); (ii) imperativismo (diritto è la volontà di uno o più esseri umani; la sua espressione, o

forma, è il comando, l'imperativo: "il diritto non consta di asserzioni, ma di comandi")49

; (iii) psicologismo (comprendere il diritto, cogliere che cosa sia diritto, non è altro che individuare un

insieme di dati psicologici, o di contenuti mentali: la volontà di uno o più esseri umani)50

.

45

Sotto questo aspetto, i fautori della codificazione hanno come obiettivo polemico l'idea del sapere giuridico come sapere esoterico, patrimonio di pochi iniziati. A questa idea essi oppongono l’ideale di un diritto accessibile a tutti, perché ricavabile dalla (o comunque difendibile di fronte alla) comune ragione umana (tornerò fra breve su questo punto). 46

Seguo qui Tarello 1978, pp. 42-7, da cui sono desunte, ove non altrimenti indicato, le citazioni. 47

Il progetto di codificazione ha un’impronta schiettamente costruttivistica: "il dare la prevalenza alla legge come fonte del diritto nasce dal proposito dell'uomo di modificare la società. Come l'uomo può controllare la natura attraverso la conoscenza delle sue leggi, così egli può trasformare la società attraverso il rinnovamento delle leggi che la reggono; ma perché ciò sia possibile, perché il diritto possa modificare le strutture sociali, è necessario che esso sia posto coscientemente secondo una finalità razionale, è necessario quindi che sia posto attraverso la legge. Il diritto consuetudinario non può infatti servire a questo scopo perché è incosciente, irriflesso, è un diritto che esprime e rappresenta la struttura attuale della società, e quindi non può incidere su di essa per modificarla; la legge invece crea un diritto che esprime la struttura che si vuole fare assumere alla società: la consuetudine è una fonte passiva, la legge è una fonte attiva di diritto" (Bobbio 1961, p. 118). 48

E’ questo l’aspetto dell’ideologia della codificazione che sorregge l’intento di una razionalizzazione in senso materiale, menzionato poco sopra. 49

Da ciò segue che il diritto non sia suscettibile di verità o falsità (un comando non è né vero né falso). 50

La volontà che, come dato psicologico, si esprime nel comando.

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(b) Il diritto come dato: (i) descrittivismo (vs. imperativismo: il diritto consta di asserzioni, è

"l'insieme delle proposizioni giuridiche vere")51

; (ii) sistematicismo ("l'insieme delle proposizioni giuridiche è un sistema"; ci soffermeremo fra breve - infra, 6.2 - sulla nozione di sistema giuridico, e le sue implicazioni); (iii) concettualismo (l'inclinazione a "espandere" la conoscenza del diritto, e a "risolvere i dubbi", mediante un'analisi dei concetti che figurano nelle proposizioni giuridiche).

La codificazione si presenta dunque, paradossalmente, come una sorta di "positivizzazione del

diritto naturale"52

. Per i suoi fautori, "il diritto è espressione al tempo stesso dell'autorità e della ragione: è espressione dell'autorità in quanto esso non è efficace, non vale, se non è posto e fatto valere dallo stato (...); ma il diritto posto dallo stato non è frutto di mero arbitrio, al contrario è

l'espressione della ragione stessa (...)"53

. Si tratta, per così dire, di un percorso ‘a imbuto’ (una volta passati dall’altra parte, non è più possibile tornare indietro): grazie alla codificazione, il diritto naturale diviene positivo; una volta operata questa metamorfosi, o transustanziazione, è precluso ogni appello al diritto naturale contro o oltre (integrazione) il diritto positivo medesimo.

Da questo carattere bifronte del diritto codificato discendono due ‘dogmi’ (due assunti indiscussi) che caratterizzano l’ideologia della codificazione: il dogma della razionalità e quello della onnipotenza (giuridica) del legislatore.

(a) Razionalità. Il legislatore è, in ipotesi, razionale: il diritto da lui prodotto, in quanto espressione della sua volontà e riflesso dell’ordine oggettivo della ragione, esibirà tutte le virtù di un discorso razionale (prima fra tutte, la coerenza; infra, 6.2.2).

(b) Onnipotenza. Il legislatore può, giuridicamente, ogni cosa; non v’è alcun dato, o alcun ambito, nell’universo giuridico, che resista alla sua capacità di statuizione. La sua volontà - il prodotto della sua volontà, il codice - esaurisce, in linea di principio, lo spazio della disciplina giuridica possibile di una data materia: nulla di presistente permane, né restano, in ipotesi, vuoti o lacune (infra, 6.2.4).

(3) Semplificazione. Soffermiamoci ora sull'esigenza di razionalizzazione in senso formale. Un primo aspetto di questa esigenza è elementare, ma nient’affatto banale: razionalizzazione

come - riformulazione e - semplificazione: le leggi, auspicano i fautori della codificazione, devono

essere "semplici, chiare, e poche brevi succinte"54

. In ciò sono implicite tre ulteriori idee: l’idea dell’accessibilità, della pubblicità, e il valore della certezza del diritto.

(a) Accessibilità. L’ideale della codificazione si oppone recisamente all’immagine della giurisprudenza come sapienza per iniziati (un sapere esoterico, patrimonio di pochi), e della professione giuridica come sacerdozio.

Il sapere giuridico si presenta, tradizionalmente, come un sapere riservato a una casta di iniziati, inaccessibile ai più (sacerdotium juris: l'idea di una funzione sacerdotale del giurista); quasi che il diritto stesso fosse qualcosa di sacro, qualcosa di non-naturale, non meramente umano, e perciò

irriducibile a un complesso di fatti e atti umani (e i loro prodotti)55

. Ma, sostengono i fautori della

51

Stando a questo modo di vedere, il diritto somiglia più al teorema di Pitagora, che a un comando: si tratta di capire che cosa sia diritto, sulla base di considerazioni razionali (una dimostrazione), così come accade nel caso della comprensione di un teorema. (Non, dunque, dell'individuazione di dati psicologici.) 52

Bobbio 1961, p. £. 53

Bobbio 1961, p. 45. Cfr. anche ivi, p. 46: "il movimento per la codificazione rappresenta così lo sviluppo estremo del razionalismo che stava alla base del pensiero giusnaturalistico, giacché all'idea di un sistema di norme scoperte dalla ragione esso unisce l'esigenza di consacrare tale sistema in un codice posto dallo stato". 54

Tarello 1978, p. 51. Cfr. anche Bobbio 1961, pp. 58-9. 55

Ci siamo imbattuti sopra, 2.5 (Di che cosa parliamo, quando parliamo il linguaggio del diritto?) nell’ipotesi che i fatti giuridici siano fatti di tipo peculiare, non naturale, ultra- o sovra-naturale. Questa ipotesi - così ci è parso - getta una luce sinistra, un generale sospetto di insensatezza, sul discorso giuridico. I fautori della codificazione mirano a riscattare il discorso giuridico da questo sospetto, riconoscendo al contempo che esso è, relativamente al diritto tradizionale (al diritto non ancora codificato), largamente giustificato.

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codificazione, il diritto può - e deve - essere (reso) accessibile a tutti, comprensibile sulla base della

comune ragione umana, universalmente condivisa56

. Solo a questa condizione potrà effettivamente guidare il comportamento dei consociati, e promuovere la certezza dei rapporti sociali (regolarità, prevedibilità, e, dunque, affidabilità dei rapporti sociali e, specificamente, delle conseguenze delle proprie azioni).

(b) Pubblicità. (i) Pubblicazione: condizione necessaria affinché il diritto sia accessibile a tutti è che le norme giuridiche, i comandi espressione della volontà legislativa, siano resi pubblici, mediante la stampa o mezzo affine. L’obiettivo di guidare, mediante regole, il comportamento dei

consociati esige che queste regole siano rese note ai loro destinatari57

. (ii) Conoscenza comune. Affinché una regola sia identificata come una regola pubblica, una

regola del gruppo sociale, non è sufficiente che essa sia resa nota a ciascuno dei membri del gruppo. Occorre altresì che sia noto a ciascuno dei membri del gruppo che è noto a ciascuno dei membri del gruppo… (e così via) che quella è la regola cui attenersi, in modo che ciascuno si aspetti che

ciascuno si aspetti… (e così via) che ciascuno terrà conto di quella regola58

. La pubblicazione adempie anche questa funzione - far si che l’esistenza della regola divenga conoscenza comune presso il gruppo - anch’essa necessaria affinché il diritto promuova la certezza dei rapporti sociali.

(c) Certezza. Semplificazione, accessibilità, pubblicità sono funzionali al perseguimento di un valore, la certezza del diritto. S’intende per ‘certezza’ del diritto la regolarità, e dunque la prevedibilità e affidabilità, delle conseguenze giuridiche delle proprie azioni e decisioni. In breve, che ciascuno dei consociati possa sapere in anticipo quali conseguenze giuridiche avranno le sue azioni, in modo da poter decidere con cognizione di causa come agire. E’ caratteristica dell’Illuminismo giuridico la credenza (forse utopistica, o illusoria) che la certezza del diritto garantisca la certezza dei rapporti sociali: che, quando i consociati saranno nelle condizioni di conoscere anticipatamente, e dunque deliberare razionalmente in merito alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni, i rapporti sociali - economici, politici, ecc. - diverranno anch’essi regolari,

prevedibili e affidabili59

. (4) Nodi politici (aspetti ulteriori, di carattere non meramente tecnico-giuridico, della

semplificazione)60

. (a) Unificazione del soggetto di diritto: riduzione o eliminazione della pluralità di status

soggettivi, o di appartenenze cetuali (differenze "a causa del ceto, del mestiere, della religione, della

56

Non v'è nulla, nel diritto, che la comune intelligenza umana non possa comprendere - il resto non è che mistificazione, ideologia (sia essa consapevole, e interessata, o inconsapevole: una forma di autoinganno). La realtà che si nasconde sotto i simboli, i riti, la pompa, il gergo (una sorta di linguaggio esoterico, per iniziati), del diritto è semplice, e pienamente accessibile alla ragione umana (vedremo fra breve quale possa essere, in questa prospettiva, la natura dei fatti giuridici; infra, £). Sotto questo aspetto, l’Illuminismo giuridico mira a lacerare il velo di mistero dal quale il diritto, tradizionalmente, è avvolto. E, in tal modo, intende svolgere una funzione terapeutica: intende liberare, purificare, le menti umane da un complesso di credenze false, illusorie, e mistificatorie: da un insieme di perniciose superstizioni. 57

Fuller 1964, cap, II; Si veda, per l’immagine in negativo, l’apologo di F. Kafka, La supplica respinta. 58

Il fatto che p (ad es., il fatto che R sia una regola da seguire) è ‘conoscenza comune’ fra i membri di un gruppo G se e solo se ciascuno dei membri di G: (1) sa che p; (2) sa che ciascuno dei membri di G sa che p; (3) sa che ciascuno dei membri di G sa che ciascuno dei membri di G sa che p, e così via all'infinito. 59

Questa idea poggia sull’assunto che i consociati siano capaci di, e disposti a, compiere scelte razionali: che essi siano in grado di calcolare le conseguenze possibili delle proprie azioni, di ordinare l’insieme di queste conseguenze possibili secondo relazioni di preferenza, e optare per la linea di condotta idonea a soddisfare nella maggior misura possibile le proprie preferenze. Questo assunto - ottimistico, probabilmente irrealistico - è caratteristico della mentalità illuminista. 60

Seguo qui Tarello 1978, pp. 52-8, da cui sono desunte le citazioni. Cfr. anche Tarello 1976, pp. 37-9.

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cittadinanza, della razza, del sesso, dello stato familiare, e così via")61

. Un portato, questo,

dell'egalitarismo rivoluzionario francese: 'eguaglianza di fronte alla legge'62

. (b) Riduzione del "numero delle figure di diritto soggettivo con riguardo ai diritti di godimento e

di disposizione dei beni" ('diritti reali'); ad esse si sostituisce "diritto assoluto di un soggetto su un bene". Si assiste alla creazione della "figura centrale di una proprietà astratta” (astratta dall'oggetto").

(c) Riduzione della varietà dei beni perseguiti dalla repressione coercitiva63

, e dei tipi di pena

previsti64

. Ideologia proporzionalistica, e umanitaria.

6.2 Il diritto come ordinamento

6.2.1 La nozione di sistema Il progetto della codificazione è, non solo un progetto di semplificazione, ma anche e soprattutto

un progetto di sistematizzazione del diritto (è questo come si è detto, l’ultimo dei tre aspetti dell'intento di razionalizzazione, in senso formale, del diritto - strettamente connesso, del resto, all'aspetto sostanziale: il materiale giuridico può e deve essere sistematizzato, ridotto a sistema, poiché ciò di cui esso è, o deve essere, espressione è, in ipotesi, un sistema di norme razionali,

oggettivamente e universalmente valide). Il diritto codificato ha - o pretende di avere65

- carattere sistematico.

Questa pretesa è profondamente radicata nel senso comune, e nel discorso corrente, degli operatori giuridici. Si assume abitualmente che il diritto sia ‘ordinamento’, o ‘sistema’ (i due termini possono essere trattati, qui, come sinonimi), o che esso possa - e debba - essere rappresentato, ricostruito, nella forma di un sistema. Si fa spesso appello alle esigenze, o le implicazioni, del ‘sistema’ quando si tratta di proporre soluzioni a questioni giuridiche controverse. Ma qual è il senso di questi assunti?

Iniziamo dalla nozione di sistema. Il termine ‘sistema’ esprime l’idea di un insieme di elementi

che stanno in relazioni determinate gli uni con gli altri, così da costituire, in virtù di un principio unificatore, una totalità ordinata (un intero). Ovvero, un insieme di elementi reciprocamente connessi, dotato di un certo tipo di unità (in un qualche senso, e in una qualche misura, unitario: un tutto, un intero, o una totalità), che sia - in qualche senso e in qualche misura - coerente e completo.

Questi due requisiti, coerenza e completezza, seguono, in modo affatto naturale, dalla caratterizzazione di un sistema come un insieme unitario di elementi - un tutto, un intero. A questa idea, infatti, si associano due idee ulteriori: (1) l’idea che, affinché si dia un sistema, è necessario che vi sia, per così dire, una forma di ‘armonia’ (reciproca compatibilità, o accordo) fra i suoi elementi costitutivi (che, cioè, tali elementi, in qualche senso e in qualche misura, ‘si adattino’ gli uni agli altri); (2) l’idea che, affinché si dia un sistema, è necessario che nel complesso dei suoi elementi costitutivi, e delle relazioni che intercorrono fra di essi, non vi siano, per così dire, ‘buchi’,

61

"Oggettivismo giuridico": "il diritto disciplina non l'uomo, ma le sue attività". Non rileva, a fini giuridici, chi ciascuno sia, ma che cosa egli faccia: la volontà e il comportamento (non la condizione personale: status, religione, razza, ecc.). 62

Si noti, però: molte delle differenze indicate sono solo trasposte dal soggetto ai predicati delle proposizioni giuridiche (ivi, pp. 53-5). 63

I beni penalmente tutelati divengono due: (1) stato (organizzazione e ordine pubblico): (2) privato (vita, salute e proprietà). 64

Riduzione della qualità delle pene a tre: vita, detenzione, pene pecuniarie. 65

Si ricordi la precisazione sopra, n. 42.

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vuoti, spazi non riempiti (che, cioè, possa dirsi dotato di carattere sistematico soltanto un insieme che non presenta deficienze, lacune; che, dunque, non risulti indefinito, indeterminato, in nessuno

dei suoi settori)66

. Un sistema è, in breve, un insieme di elementi dotato dei caratteri dell’unità, della coerenza e della completezza. La trattazione del diritto come sistema normativo pone, dunque, tre

problemi principali67

: (1) il problema dell’unità (o dell'identità) di un ordinamento giuridico (lo esamineremo fra breve; infra, 6.2.5); (2) il problema della coerenza; (3) il problema della completezza.

6.2.2 Coerenza I termini ‘coerenza’ e ‘coerente’ sono usati, in contesti diversi, in una molteplicità di accezioni.

La nozione basilare ai nostri fini è quella, minimale, di coerenza logica. In logica, un insieme di enunciati si dice coerente (o ‘logicamente consistente’) se e solo se non contiene contraddizioni. Una contraddizione è la congiunzione di una proposizione e della sua negazione (‘Piove e non piove’). Dunque, un insieme di enunciati è logicamente inconsistente (incoerente, nell’accezione in esame) se e solo se ad esso appartengono sia una certa proposizione sia la sua negazione; come si suole dire, non c’è alcun mondo possibile nel quale entrambe le proposizioni siano vere (l’insieme non è la descrizione di un mondo possibile).

Questa nozione può essere applicata anche a insiemi di norme - ed è questa la nozione basilare,

minimale (anche se non l’unica) di coerenza riferita a sistemi normativi68

. In questa accezione, un sistema normativo si dice coerente se e solo se non contiene ‘antinomie’ - se e solo se, cioè, ad esso non appartengono norme logicamente incompatibili (si dice ‘antinomia’ la congiunzione di una

norma e della sua negazione: due norme logicamente incompatibili)69

. Ebbene: gli ordinamenti giuridici sono, o possono essere, coerenti? Oggi, si ritiene comunemente

- e a ragione - che non necessariamente lo siano, e che di fatto, normalmente, non lo siano. Che, insomma, gli ordinamenti giuridici effettivamente esistenti siano infestati, in misura maggiore o minore, da antinomie. La cultura della codificazione è però caratterizzata dall'assunto opposto: dall'assunto, cioè, che il diritto codificato - la legge, in forma di codice - sia di fatto, e necessariamente, coerente. Questo assunto discende dall'assunto di razionalità del legislatore, che, come abbiamo visto (sopra, 6.1), costituisce uno degli assi portanti - u ‘dogma’ - dell’ideologia della codificazione: il legislatore, se razionale, non può contraddirsi. In forza di questo assunto, la coerenza del diritto - del codice - si configura essa stessa come un ‘dogma’: è in partenza escluso che il diritto (codificato) presenti antinomie; quando sembra che ve ne siano, questa non potrà che essere, per l’appunto, solo un’apparenza (e l’interprete, o applicatore, della legge sarà, in ipotesi, nella condizione di poter mostrare che, nonostante l’apparenza, il diritto parla con una voce sola).

Ammesso che i sistemi giuridici presentino, effettivamente, antinomie, è possibile, e se sì in che modo, risolverle? La dottrina tradizionale ha elaborato tre criteri di risoluzione delle antinomie: lex

posterior, lex superior, lex specialis70

. Nell’uso corrente che ne fanno gli operatori giuridici, questi

66

Un intero è qualcosa che non manca di nulla (nulla di ciò che, secondo il suo concetto, ci si aspetta esso possieda). 67

Bobbio 1960, pp. 22-4. 68

Stiamo qui assumendo che un ordinamento normativo sia un insieme di norme, e che il diritto sia un ordinamento normativo. Questo assunto sarà oggetto di indagine infra, £. 69

Questa è soltanto una caratterizzazione sommaria. Per una caratterizzazione più precisa si veda l’Excursus nel paragrafo seguente, 70

Per una trattazione più ampia cfr. Bobbio 1960 [Parte seconda dell’ed. 1993], cap. III; Guastini 1998, cap. XIII, e 2004, cap. XIII. Il criterio lex posterior è, come si è visto (sopra, 5.2) uno degli assunti che definiscono la possibilità stessa di un'attività legislativa - un'attività deliberatamente intesa alla creazione di nuovo diritto. Se non fosse possibile abrogare intenzionalmente il diritto preesistente, il concetto medesimo di legislazione non troverebbe applicazione, o

21

tre criteri presentano una certa ambiguità: si tratta di metodi per la risoluzione di antinomie (che, dunque, si assumono esistenti), o di strategie che consentirebbero di mostrare che le antinomie sono, in effetti, solo apparenti? In questa seconde costruzione trova, ancora una volta, espressione il

dogma della coerenza dell’ordinamento71

.

6.2.3 Excursus: modalità deontiche Per definire con maggiore precisione la nozione di antinomia, e individuare tipi diversi di

antinomia, occorre farsi un’idea delle proprietà formali, strutturali, delle norme. Qual è, dunque, la struttura di una norma? Prima di esaminare una qualsiasi ipotesi di risposta a

questa domanda, è importante rendersi conto di che tipo di domanda essa sia. Una norma - assumiamo qui - è qualcosa che può essere formulato, o espresso: un quid suscettibile di essere reso, presentato, riportato, riferito, forse anche prodotto, o posto in essere, mediante un discorso. E', cioè, un contenuto di senso, il contenuto di significato di un discorso possibile (qualcosa che può essere detto, espresso: un 'dicibile'). Quando ci chiediamo quale sia la struttura di una norma, assumendo che una norma sia un contenuto di senso, ci stiamo interrogando sui caratteri strutturali, i tratti formali, che identificano un certo tipo di contenuto di senso, distinguendolo da altri tipi di contenuto di senso. Una domanda di questo genere verte, cioè, sulla struttura, la forma, del contenuto di senso di un discorso possibile (qualcosa che può essere detto, un 'dicibile'); o, come abitualmente si dice, sulla 'forma logica' di un certo tipo di discorso possibile (il termine logos, dal quale deriva l'aggettivo 'logico', significa, in greco antico, 'discorso').

Un'indagine sulla struttura delle norme sarà dunque, anzitutto, un'indagine su un certo tipo, o una certa sfera, di discorso, e sulle sue proprietà strutturali, o formali: la sua 'logica'. La spia del fatto che un discorso sia espressivo di norme è costituita dalla circostanza che in esso ricorrano termini ed espressioni appartenenti alla famiglia dei termini - o concetti - normativi ('si deve', 'non avrebbe dovuto', 'è sbagliato', 'è corretto', ecc.: il ‘vocabolario normativo’; ricade in questa famiglia, ovviamente, anche il modo imperativo). Il discorso caratterizzato dall'uso di termini, o concetti, normativi può essere denominato 'discorso normativo'; gli enunciati nei quali figurano termini normativi (ad es., 'Vietato fumare', 'Tutti hanno l'obbligo di pagare le tasse', 'Non uccidere!', 'Si

devono mantenere le promesse') possono essere denominati 'enunciati normativi'72

. Il vocabolario normativo può essere denominato, con un'espressione derivata dal greco antico to deon, 'ciò che si deve', 'vocabolario deontico' (il termine 'deontico', nell'accezione più ampia, è sinonimo del termine 'normativo'). L'indagine sulla struttura delle norme sarà, in breve, analisi dei concetti normativi, e analisi della forma logica degli enunciati deontici.

L'analisi dei concetti normativi, e l'indagine sulla forma logica degli enunciati normativi, sono state per lungo tempo, con qualche rara eccezione, patrimonio dei giuristi. A partire dagli anni '50

comunque la sua portata ne risulterebbe drasticamente ridotta: la legislazione non potrebbe più essere contrapposta alla consuetudine, come metodo alternativo, e preferibile, di produzione del diritto. 71

Vi sono altresì nozioni più ricche di coerenza, sulle quali ci soffermeremo più avanti (infra, £). 72

I tipi di enunciato che in contesti particolari possono valere come formulazione linguistica di una regola, o norma, sono molteplici: enunciati di modo indicativo al tempo presente o futuro ('Un padre non si comporta così'; 'Non cenerete prima di aver finito di fare i compiti'), clausole dichiarative (that-clauses) precedute dall'espressione 'La regola', o espressioni affini ('La regola che...'), forme verbali all'infinito ('Procedere lentamente'), enunciati contenenti espressioni laudative o spregiative ('appropriato', 'confacente', 'buono', 'cattivo', e così via). La formulazione linguistica di una norma è però tipicamente un enunciato contenente uno o più termini caratteristici, termini appartenenti alla famiglia dei concetti normativi. Affinché un enunciato sia espressione di una norma non è condizione necessaria che esso soddisfi questa condizione; tuttavia, gli enunciati che la soddisfano sono il caso paradigmatico di formulazione linguistica di una norma. (Sulla varietà delle possibili formulazioni linguistiche di norme, o regole, cfr. Tarello 1974, pp. 159-62; Guastini 1978, pp. 21-2.)

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del Novecento, grazie a un importante articolo di un filosofo finlandese, G. H. von Wright73

, è nata e si è rapidamente sviluppata una branca della logica contemporanea, abitualmente denominata 'logica deontica', il cui oggetto è precisamente la logica del discorso normativo: l'analisi dei concetti normativi, degli enunciati deontici, e delle forme di ragionamento normativo (delle relazioni logiche, cioè, che intercorrono fra enunciati deontici). Nell'ambito della logica deontica contemporanea sono stati elaborati più modelli di analisi dei concetti normativi fondamentali, e della forma logica degli enunciati deontici. Ai nostri fini, basterà qualche cenno su quello che si potrebbe denominare l'approccio 'standard' all'analisi degli enunciati deontici.

L'approccio standard si fonda su un'idea piuttosto semplice: l'idea che sussista un'analogia strutturale fra le modalità 'necessario', 'possibile' e 'impossibile' (comunemente denominate 'modalità aletiche', ossia: modalità del discorso vero o falso; il termine aletheia significa, in greco antico, 'verità') da un lato, e i concetti normativi fondamentali, d'altro lato. Mi spiego.

Enunciati della forma 'è necessario che p', 'è possibile che p', 'è impossibile che p' (e i loro composti) possono essere rappresentati come il risultato di una modalizzazione di comuni enunciati dichiarativi (ad es., l'enunciato 'è necessario che gli uomini muoiano' è il risultato della modalizzazione dell'enunciato 'Gli uomini muoiono', e così via; con l'espressione 'enunciato dichiarativo' si intende comunemente un enunciato suscettibile di essere vero o falso); per questa ragione, enunciati della forma specificata sono abitualmente denominati enunciati 'modali'. La modalizzazione di un enunciato dichiarativo dato è, per così dire, un'operazione compiuta sull'enunciato in questione; tale operazione può essere rappresentata anteponendo all'enunciato un simbolo che rappresenta l'operatore modale prescelto (il simbolo 'N' indica l'operatore 'necessario che', il simbolo 'M' l'operatore 'possibile che', il simbolo 'I ' l'operatore 'impossibile che'). In breve, dato un qualsiasi enunciato dichiarativo p, sarà possibile operare su di esso una modalizzazione, ottenendo così enunciati della forma: Np, Mp, Ip.

Fra gli enunciati modali (aletici) sussistono particolari relazioni logiche, oggetto di indagine da parte della cosiddetta logica modale (aletica). Secondo un modo di vedere ampiamente diffuso due assunti fondamentali consentono di determinare queste relazioni.

(1) Un enunciato modale è suscettibile di una doppia negazione, a seconda che si neghi: (a) l'operatore modale; (b) l'enunciato modalizzato; v'è, inoltre, una terza possibilità, la possibilità che si neghino al tempo stesso entrambi gli elementi. Se utilizziamo il simbolo '∼' per designare la negazione, da un enunciato modale affermativo, ad esempio un enunciato della forma Np, potremo ottenere, mediante la negazione, tre diversi enunciati, anch'essi modali, aventi rispettivamente la forma: (a) ∼Np; (b) N∼p; (c) ∼N∼p.

(2) Gli operatori modali sono interdefinibili: è possibile, partendo da uno qualsiasi di essi, definire gli altri due, con l'aiuto della negazione. Si può cioè, assumendo come nozione primitiva una qualsiasi delle modalità 'necessario', 'possibile', 'impossibile', definire (o generare) le altre due nei termini di tale modalità e la negazione. Ecco le principali relazioni di interdefinibilità fra le modalità aletiche.

(a) In termini di necessità: 'Ip' = df. 'N∼p' 'Mp' = df. '∼N∼p'

(b) In termini di possibilità: 'Np' = df. '∼M∼p' 'Ip' = df. '∼Mp'

73

Von Wright 1951.

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La stessa operazione potrebbe compiersi, ovviamente, assumendo come primitiva la modalità 'impossibile'. Si può infine introdurre, accanto alle tre modalità fondamentali, la modalità 'contingente', definita nel modo seguente: 'Cp' = df. 'Mp & M∼p'.

Sulla base dei due assunti appena indicati, le relazioni logiche fondamentali che intercorrono fra gli enunciati modali possano essere rappresentate nella forma di un quadrato, abitualmente denominato 'quadrato di opposizione'. Si consideri, ad es., un enunciato della forma Np; questo enunciato, e le sue tre possibili negazioni, si dispongono secondo lo schema:

(1) Np (2) N∼p (3) ∼N∼p (4) ∼Np

Le relazioni intercorrenti fra i quattro schemi di enunciato che fanno parte di questo quadrato

sono le seguenti. (1) Due enunciati che abbiano rispettivamente la forma (1) e (2) (enunciati ottenuti mediante la

sostituzione della variabile 'p' con il medesimo enunciato dichiarativo non modale; d'ora in avanti, questa precisazione resterà sottintesa) non possono essere entrambi veri, ma possono essere entrambi falsi: non è logicamente possibile che sia necessario che p e, al tempo stesso, necessario che ∼p; ma è logicamente possibile che non sia né necessario che p, né necessario che ∼p (enunciati fra i quali sussiste questa relazione sono abitualmente denominati 'contrari').

(2) Due enunciati che abbiano rispettivamente la forma (1) e (4) non possono essere né entrambi veri, né entrambi falsi: o è vero l'uno, oppure è vero l'altro: non è logicamente possibile che sia necessario che p e, al tempo stesso, non necessario che p, né è logicamente possibile che non sia né necessario che p, né non necessario che p (enunciati fra i quali sussiste questa relazione sono abitualmente denominati 'contraddittori'). Lo stesso vale relativamente a coppie di enunciati che abbiano rispettivamente la forma (2) e (3).

(3) Due enunciati che abbiano, rispettivamente, la forma (3) e (4) possono essere entrambi veri, ma non possono essere entrambi falsi (enunciati fra i quali sussiste questa relazione sono abitualmente denominati 'subcontrari').

(4) Un enunciato che abbia la forma (1) implica logicamente un enunciato della forma (3) (ma non vale il contrario): se è necessario che p, allora non è necessario che ∼p. Lo stesso dicasi di enunciati che abbiano, rispettivamente, la forma (2) e (4).

Questo insieme di relazioni può risultare più facilmente intelligibile se, utilizzando le relazioni di interdefinibilità precedentemente indicate, sostituiamo agli schemi (2), (3) e (4) le forme equivalenti in termini, rispettivamente, di 'impossibile' e 'possibile'. Otterremo così una nuova formulazione delle stesse relazioni logiche:

(1) Np (2) Ip (3) Mp (4) M∼p

Le relazioni già messe in luce possono ora essere riformulate nei termini seguenti (ma si tratta, si

badi bene, delle stesse relazioni): (1) Due enunciati che abbiano rispettivamente la forma (1) e (2) sono contrari: non è logicamente

possibile che sia necessario che p e, al tempo stesso, impossibile che p; ma è logicamente possibile che non sia né necessario che p, né impossibile che p.

(2) Due enunciati che abbiano rispettivamente la forma (1) e (4) sono contraddittori: non è logicamente possibile che sia necessario che p e, al tempo stesso, possibile che ∼p; né è logicamente

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possibile che non sia né necessario che p, né possibile che ∼p. Lo stesso vale relativamente a coppie di enunciati che abbiano rispettivamente la forma (2) e (3).

(3) Due enunciati che abbiano, rispettivamente, la forma (3) e (4) possono essere entrambi veri, ma non possono essere entrambi falsi: è logicamente possibile che sia possibile che p e, allo stesso tempo, sia possibile che ∼p (è questo, precisamente, il caso in cui è contingente che p); ma non è logicamente possibile che non sia né possibile che p, né possibile che ∼p.

(4) Un enunciato che abbia la forma (1) implica logicamente un enunciato della forma (3) (ma non vale l'inverso): se è necessario che p, allora è possibile che p. Lo stesso dicasi di enunciati che abbiano, rispettivamente, la forma (2) e (4).

Data l'interdefinibilità degli operatori modali aletici, infine, le stesse relazioni potrebbero essere compiutamente espresse in termini di possibilità, o di impossibilità.

Muovendo da questi assunti di fondo (e, talvolta, mettendoli in questione) i logici contemporanei hanno indagato le relazioni logiche che intercorrono fra enunciati modali complessi, costruendo calcoli formali estremamente sofisticati. Ebbene: la logica deontica contemporanea nasce dall'ipotesi (presente, peraltro, anche in alcuni autori del passato) che il discorso normativo abbia una struttura analoga a quella del discorso modale aletico. Che, cioè, la forma logica degli enunciati normativi sia analoga a quella degli enunciati modali aletici; che, in particolare, sia possibile isolare operatori deontici (modalità deontiche) le cui relazioni reciproche sono analoghe a quelle che intercorrono fra gli operatori modali aletici; e che, infine, fra gli enunciati deontici intercorrano relazioni logiche analoghe, o almeno parzialmente analoghe, a quelle che intercorrono fra gli enunciati modali aletici. Gli ovvi candidati al ruolo di modalità deontiche (operatori deontici) fondamentali, analoghe alle modalità aletiche 'necessario', 'impossibile', 'possibile', sono le nozioni 'obbligatorio', 'vietato' (o 'proibito'), e permesso' (abitualmente designate mediante i simboli 'O', 'V', e 'P'). Dato un enunciato p è possibile ottenere, per modalizzazione deontica, enunciati aventi la forma Op, Vp, Pp; l'approccio standard all'analisi degli enunciati normativi muove dai due assunti seguenti, paralleli ai due assunti sopra indicati.

(1) Un enunciato deontico è suscettibile di una doppia negazione, a seconda che si neghi: (a) l'operatore deontico; (b) l'enunciato modalizzato; v'è, inoltre, una terza possibilità, la possibilità che si neghino al tempo stesso entrambi gli elementi. Così, da un enunciato deontico affermativo, ad esempio un enunciato della forma Op, potremo ottenere, mediante la negazione, tre diversi enunciati, anch'essi deontici, aventi rispettivamente la forma: (a) ∼Op; (b) O∼p; (c) ∼O∼p.

(2) Gli operatori deontici sono interdefinibili; è possibile, partendo da uno qualsiasi di essi, definire gli altri due, con l'aiuto della negazione. Si può cioè, assumendo come nozione primitiva una qualsiasi delle modalità 'obbligatorio', 'vietato', 'permesso', definire (o generare) le altre due nei termini di tale modalità e la negazione. Ecco le principali relazioni di interdefinibilità fra le modalità deontiche.

(a) In termini di obbligo: 'Vp' = df. 'O∼p' 'Pp' = df. '∼O∼p' (b) In termini di permesso: 'Op' = df. '∼P∼p' 'Vp' = df. '∼Pp'

La stessa operazione potrebbe compiersi, ovviamente, assumendo come primitiva la modalità 'vietato'. E' possibile, infine, introdurre, accanto alle tre modalità deontiche fondamentali, la modalità 'facoltativo' (o 'indifferente'), definita nel modo seguente: 'Fp' = df. 'Pp & P∼p'.

Sulla base dei due assunti appena indicati, le relazioni logiche fondamentali sussistenti fra gli enunciati deontici possono essere rappresentate nella forma del quadrato di opposizione. Si

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consideri, ad es., un enunciato della forma Op; questo enunciato, e le sue tre possibili negazioni, si dispongono secondo lo schema:

(1) Op (2) O∼p (3) ∼O∼p (4) ∼Op

Le relazioni intercorrenti fra i quattro schemi di enunciato che fanno parte di questo quadrato

sono le seguenti. (1) Due enunciati che abbiano rispettivamente la forma (1) e (2) (enunciati ottenuti mediante la

sostituzione della variabile 'p' con il medesimo enunciato non deontico; d'ora in avanti, questa precisazione resterà sottintesa) sono contrari: non è logicamente possibile che sia obbligatorio che p e, al tempo stesso, obbligatorio che ∼p; ma è logicamente possibile che non sia né obbligatorio che p, né obbligatorio che ∼p.

(2) Due enunciati che abbiano rispettivamente la forma (1) e (4) sono contraddittori: non è logicamente possibile che sia obbligatorio che p e, al tempo stesso, non obbligatorio che p, né è logicamente possibile che non sia né obbligatorio che p, né non obbligatorio che p. Lo stesso vale relativamente a coppie di enunciati che abbiano rispettivamente la forma (2) e (3).

(3) Due enunciati che abbiano, rispettivamente, la forma (3) e (4) sono subcontrari: è logicamente possibile che non sia obbligatorio che ∼p e, allo stesso tempo, non sia obbligatorio che p; ma non è logicamente possibile che non sia né non obbligatorio che ∼p, né non obbligatorio che p.

(4) Un enunciato che abbia la forma (1) implica logicamente un enunciato della forma (3) (ma non vale l'inverso): se è obbligatorio che p, allora non è obbligatorio che ∼p. Lo stesso dicasi di enunciati che abbiano, rispettivamente, la forma (2) e (4).

Questo insieme di relazioni può risultare più facilmente intelligibile se, utilizzando le relazioni di interdefinibilità precedentemente indicate, sostituiamo agli schemi (2), (3) e (4) le forme equivalenti in termini, rispettivamente, di 'vietato' e 'permesso'. Otterremo così una nuova formulazione delle stesse relazioni logiche:

(1) Op (2) Vp (3) Pp (4) P∼p

Le relazioni già messe in luce possono essere ora riformulate nei termini seguenti (ma si tratta, si

badi bene, delle stesse relazioni). (1) Due enunciati che abbiano rispettivamente la forma (1) e (2) sono contrari: non è logicamente

possibile che sia obbligatorio che p e, al tempo stesso, vietato che p; ma è logicamente possibile che non sia né obbligatorio che p, né vietato che p.

(2) Due enunciati che abbiano rispettivamente la forma (1) e (4) sono contraddittori: non è logicamente possibile che sia obbligatorio che p e, al tempo stesso, permesso che ∼p, né è logicamente possibile che non sia né obbligatorio che p, né permesso che ∼p. Lo stesso vale relativamente a coppie di enunciati che abbiano rispettivamente la forma (2) e (3).

(3) Due enunciati che abbiano, rispettivamente, la forma (3) e (4) sono subcontrari: è logicamente possibile che sia permesso che p e, allo stesso tempo, sia permesso che ∼p (è questa, precisamente, l'ipotesi in cui è facoltativo che p); ma non è logicamente possibile che non sia né permesso che p, né permesso che ∼p.

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(4) Un enunciato che abbia la forma (1) implica logicamente un enunciato della forma (3) (ma non vale l'inverso): se è obbligatorio che p, allora è permesso che p. Lo stesso dicasi di enunciati che abbiano, rispettivamente, la forma (2) e (4).

Data l'interdefinibilità degli operatori deontici, infine, le stesse relazioni potrebbero essere compiutamente espresse in termini di permesso, o di divieto.

Riassumendo: un enunciato deontico è un enunciato modale, caratterizzato dalla presenza di un

operatore deontico; le modalità deontiche fondamentali sono tre: obbligatorio, vietato, permesso; le tre modalità deontiche fondamentali sono interdefinibili (con l'ausilio della negazione); fra gli enunciati deontici intercorrono relazioni logiche suscettibili di essere rappresentate nella forma del quadrato di opposizione. La costruzione del quadrato di opposizione deontico consente di portare alla luce, e definire con precisione, due tipi di antinomia (incompatibilità logica fra norme):

antinomie per contrarietà e antinomie per contraddittorietà74

.

6.2.4 Completezza

Ci atterremo qui a una caratterizzazione intuitiva della nozione di completezza75

. Un sistema normativo si dice completo se e solo se non presenta lacune: se e solo se, cioè, dato un qualsiasi caso possibile, appartiene al sistema una norma idonea a risolvere quel caso (il sistema attribuisce, a quel caso, una soluzione normativa). Quando un sistema giuridico è completo, insomma, non v’è alcun caso che non sia giuridicamente regolato: dato un problema giuridico, il sistema non risulta mai indeterminato, fornisce sempre una risposta.

Ebbene: gli ordinamenti giuridici sono, o possono essere, completi? Oggi, si ritiene comunemente - e a ragione - che possano non esserlo, e che di fatto, abitualmente, non lo siano. Che, cioè, gli ordinamenti giuridici effettivamente esistenti siano, in misura maggiore o minore, infestati da lacune. La cultura giuridica dell’età della codificazione è, però, caratterizzata dall'assunto opposto: che il diritto (codificato) sia, di necessità, completo. Questo assunto discende dal ‘dogma’ dell’onnipotenza del legislatore (non v'è altro diritto se non il diritto posto dal legislatore, diritto che, in ipotesi, soppianta integralmente il diritto previgente, e ‘riempie’,

esaurisce, lo spazio della disciplina giuridica possibile di una data sfera di rapporti umani)76

. Nella cultura giuridica dell’età della codificazione, la completezza dell’ordinamento giuridico (codificato) diviene essa stessa un ‘dogma’: è in partenza escluso che il diritto (codificato) presenti lacune; quando sembra che ve ne siano, questa non potrà che essere, per l’appunto, solo un’apparenza (e l’interprete, o applicatore, della legge sarà, in ipotesi, nella condizione di poter mostrare che, nonostante l’apparenza, il diritto non è, in relazione al caso oggetto di considerazione, indeterminato, fornisce una risposta).

Il problema della completezza acquista un particolare rilievo in connessione con una certa concezione dell’attività giurisdizionale, caratteristica degli ordinamenti di diritto codificato, e della cultura della codificazione. Questa concezione è identificata da due assunti: (1) il giudice è tenuto

74

Rilevante anche la nozione di paranomia (antinomia fra norme condizionali: supponiamo che valgano 'Se p, allora OA' e 'Se q, allora O∼A' (‘A’ sta qui per un certo tipo di azione; si tratta di una formulazione alternativa rispetto a quella, che già conosciamo, in termini di modalizzazione di un enunciati dichiarativo: ‘Op’, ecc.); che fare nell'ipotesi che si dia il caso che 'p&q'? Ad es., 'Se piove, si deve aprire l'ombrello', 'Se tira vento, non si deve aprire l'ombrello'; che fare nell'ipotesi che piova e tiri vento?). 75

Per una definizione, e una trattazione, rigorosa della completezza degli ordinamenti giuridici, cfr. Alchourrón, Bulygin 1971; Guastini 1998, cap. XIV, e 2004, cap. XII. 76

Si ricordi la definizione della nozione di codice fornita da G. Tarello (sopra, 6.1): un insieme di regole giuridiche "abrogante tutto il diritto precedente sulla materia da esso disciplinata e perciò non integrabile con materiali giuridici previgenti".

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ad applicare la legge, e solo la legge (principio di soggezione del giudice alla legge; sopra, 5.2); (2) il giudice non può rifiutarsi di decidere un caso che gli sia sottoposto (inammissibilità di un giudizio di non liquet). Da questi due assunti segue che il diritto, se la giurisdizione deve essere in generale possibile, debba essere completo. In altri termini, che il diritto legislativo (il codice) abbia il carattere della completezza è - dati quei due assunti - condizione di possibilità dell’attività

giurisdizionale77

. Ammesso che i sistemi giuridici presentino, effettivamente, lacune, è possibile, e se sì in che

modo, colmarle? Come risolvere i casi per i quali il sistema, in ipotesi, non prevede alcuna soluzione?

‘Colmare’ una lacuna richiede, banalmente, che il sistema giuridico sia integrato. La dottrina

tradizionale ha elaborato due metodi di integrazione del diritto78

: (1) l’analogia (c.d. analogia

legis)79

; (2) il ricorso ai principi generali del diritto (c.d. analogia juris)80

. Anche questi metodi presentano una certa ambiguità: si tratta di metodi per l’integrazione del

diritto (il che, evidentemente, presuppone che lacune vi siano), o di strategie che consentirebbero di mostrare che le lacune sono, in effetti, solo apparenti? In questa seconda costruzione trova, ancora

una volta, espressione il dogma della completezza dell’ordinamento81

.

77

Cfr. Bobbio 1961, par. 20, e pp. 80-1. 78

Si veda ad es. l’art. 12 disp. prel. al Codice civile. 79

Qual è la struttura del ragionamento per analogia? Cominciamo con un esempio: ‘La palla è rotonda; se la pungo con uno spillo, si sgonfia; anche la Luna è rotonda; dunque, se la pungo con uno spillo si sgonfia’. Differenza fra un argomento deduttivamente valido (se le premesse sono vere la conclusione, sarà, necessariamente, anch’essa vera) e un argomento analogico: un argomento analogico è più o meno forte, più o meno azzeccato, a seconda che la somiglianza individuata fra i due casi (nell’esempio, l’essere rotondo, che accomuna la palla e la Luna) sia o no rilevante: a seconda, cioè, che la proprietà comune ai due casi, sulla quale si fonda l’analogia, sia o no la causa della proprietà attribuita a entrambi - sia o no ciò che spiega il fatto che il primo termine dell’analogia (nell’esempio, la palla) abbia quella proprietà (possa sgonfiarsi). Così, ad es., il ragionamento riportato sopra non è azzeccato, perché il tratto di somiglianza fra la palla e la Luna sul quale il ragionamento si fonda non è rilevante: che la palla sia rotonda non è la causa del suo sgonfiarsi se punta con uno spillo (il fatto che la palla, se punta con uno spillo, si sgonfi non è spiegato dal fatto che essa sia rotonda). Di contro, l’argomento ‘Questo bidone contiene benzina, e può esplodere; anche questo accendino contiene benzina; dunque, anche questo accendino può esplodere’ è (banale, ma) azzeccato, perché ciò che spiega il fatto che questo bidone possa esplodere è, precisamente, il fatto che esso contenga benzina. Lo stesso vale, mutatis mutandis, nel caso di norme, e della disciplina, mediante analogia, di un caso non regolato (‘Vietato l’ingresso ai cani’. Che fare se alla porta c’è un orso? E che fare se alla porta si presenta un cliente con una valigia, ermeticamente chiusa, dentro la quale c’è un topolino? Tutto dipende da quale sia la ragione che si assume giustifichi il divieto di ingresso per i cani - ciò che si chiama, abitualmente, la ratio della norma. Se si assume che la ragione sia il fatto che, con ogni probabilità, i cani possano infastidire alcuni clienti, l’estensione analogica del divieto al caso - non regolato - in cui alla porta si presenta un orso sarà giustificata, la sua estensione al caso del topolino nella valigia no.) Occorre, beninteso, essere consapevoli del fatto che, se una somiglianza sia o no rilevante, è cosa controvertibile: le norme giuridiche non recano scritte sulla propria fronte la loro ratio. (Un esempio: si consideri la norma - immaginaria - secondo cui l’abbandono del marito da parte della moglie preclude, a quest’ultima, la custodia dei figli. Che fare nell’ipotesi che sia il marito ad abbandonare la moglie? Se si ritiene che l’essere coniuge sia un tratto di somiglianza rilevante, si potrà considerare giustificata l’estensione analogica della disciplina dettata dalla norma a questo nuovo caso. Ma se invece si ritiene - immaginiamo di trovarci in una società sessista - che la ratio della norma sia di scoraggiare le donne dall’abbandonare il coniuge, e si vuole invece riservare ai mariti il potere di sbarazzarsi delle proprie mogli quando lo desiderano, l’applicazione analogica della norma dovrà considerarsi ingiustificata. In questa ipotesi, l’essere coniuge non è, come tale, ciò che spiega il trattamento che la norma prevede per le donne.) 80

Ciò presuppone che il diritto consti anche di ‘principi’. Su questo assunto, e le modalità di ricorso ai principi, ci soffermeremo più avanti (infra, £). 81

Si distingue, inoltre, fra autointegrazione e eterointegrazione. Entrambe presuppongono che il sistema non sia completo; la prima, però. implica che esso sia completabile mediante risorse, materiali, appartenenti al sistema medesimo. Il che, ancora una volta, è in linea con la concezione del diritto propria dell’età della codificazione. L’idea di eterointegrazione, di contro, implica che, per colmare la lacuna, sia necessario ricorrere a materiali esterni all’ordinamento (o alla legge) - ad es.,il diritto naturale. Cfr. in proposito Bobbio 1960 [Parte seconda della ried. 1993], par. 28.

28

Sono, dunque, caratteristici della cultura della codificazione (e della rappresentazione che quest'ultima fornisce del diritto codificato) il dogma della coerenza e quello della completezza - dogmi correlativi, rispettivamente, all'assunto di razionalità e di onnipotenza del legislatore (assunti, questi, che a loro volta, come si è visto sopra, 6.1, scaturiscono dalle due matrici ideologiche del progetto di codificazione: giusnaturalismo razionalista e volontarismo imperativistico).

6.2.5 Unità Torniamo ora al primo problema, l’unità dell’ordinamento giuridico. In che modo - in virtù di

che cosa - le norme appartenenti a un sistema giuridico costituiscono una totalità, un che di unitario? Qual è, cioè, il principio unificatore - il principio di individuazione - di un ordinamento giuridico? O, in altri termini ancora, da che cosa dipende l’identità di un ordinamento giuridico (in virtù di che cosa è possibile stabilire se due elementi - ad es., due norme - appartengono, o non appartengono, a un unico e medesimo sistema giuridico)? Insomma: da che cosa deriva il (preteso)

carattere unitario del diritto82

? La risposta che a questo interrogativo dà la cultura giuridica degli ordinamenti di diritto

codificato (e, come vedremo fra breve, il positivismo giuridico) è semplice: ciò che costituisce l’unità di un ordinamento giuridico è la comune provenienza (l’origine comune) dei suoi elementi costitutivi - la loro comune riconducibilità a certe fonti formali di produzione giuridica. Mi spiego.

(1) Iniziamo dal concetto di fonte. Quella di una ‘fonte’ da cui scaturisce il diritto è, naturalmente, solo una metafora, che può assumere i significati più svariati. Ai nostri fini, la nozione rilevante è la seguente. Dicesi ‘fonte’ - precisamente: ‘fonte (formale) di produzione giuridica’ - ogni tipo di atto (consapevolmente e deliberatamente inteso alla produzione di diritto), o di fatto, al cui prodursi l'ordinamento giuridico riconnette un particolare tipo di conseguenza: il

venire ad esistenza (la nascita) di una - nuova - norma giuridica83

. OG ----- -------------------------------------- | p >>> NG | (fonte) (norma) (condizione) (conseguenza) Il fatto che p costituisce, in OG (un certo ordinamento giuridico), la fonte al cui prodursi viene

ad esistenza una norma (ad es., la norma giuridica NG): al prodursi di p, viene ad esistenza, in OG, NG.

(2) Che genere di fatto può essere il fatto che p? (Ossia, che tipo di fatti possono costituire, in un

ordinamento giuridico, fonti di produzione84

?) Una prima ipotesi, come si è detto, è che si tratti di

82

Due ipotesi: (1) dalla materia; (2) dalla funzione. Entrambe le ipotesi sono rigettate dalla cultura della codificazione, e dalla cultura giuspositivista in genere. (1) La materia. Questa non sembra essere una risposta plausibile: il diritto, sembra si possa affermare, può disciplinare qualsiasi materia. (Il diritto può disciplinare ogni e qualsivoglia forma di comportamento, o di interazione sociale.) (2) La funzione. Ogni tentativo di specificare in modo non banale (ad es., ‘La regolamentazione dei rapporti sociali’) quale sia la funzione del diritto fallisce. Al diritto possono essere attribuite una pluralità di funzioni, più o meno ovvie. Ma ciò non costituisce una risposta al problema dell'unità dell'ordinamento giuridico (che cosa renda unitario ciascun ordinamento giuridico). 83

Bobbio 1961, p. 163: "quegli atti o quei fatti a cui un determinato ordinamento giuridico attribuisce l'idoneità o la capacità di produrre norme giuridiche". Si badi bene: questa è solo una fra le diverse nozioni di fonte del diritto. Ve ne sono altre. 84

Alcuni ovvi candidati: Tizio comanda che OA, o gli X dicono che OA (in generale, il fatto che un certo individuo, o gruppo di individui, emetta un certo comando, o prescriva un certo comportamento); gli X fanno regolarmente A, con la convinzione di dover fare A (consuetudine: usus e opinio). Altri candidati, meno ovvi: il fegato di questo maiale è così e

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atti deliberatamente intesi alla produzione di nuovo diritto (c.d. ‘fonti-atto’); e, in particolare, di atti un aspetto dei quali è la dichiarazione esplicita di questo intento, o comunque la sua espressione (tipicamente, comandi, prescrizioni, statuizioni). Ma può trattarsi anche di comportamenti, o fatti, di altro tipo: comportamenti umani non deliberatamente intesi alla produzione giuridica, aventi come loro effetto inintenzionale il venire ad esistenza di una norma giuridica (c.d. ‘fonti-fatto’; caso paradigmatico, la consuetudine).

(3) Perché mai parlare, in questi casi, di fonti ‘formali’ di produzione giuridica? Una fonte, nell’accezione specificata, indica ciò da cui una norma proviene - la sua origine, il modo in cui essa è venuta ad esistenza - facendo astrazione dal suo contenuto (ciò che la norma prescrive, permette, o in generale statuisce): quale che sia il suo contenuto, la norma, se ha avuto quella determinata origine (se è venuta ad esistenza in quel modo), appartiene al sistema giuridico. In questo senso, la provenienza di una certa norma da una certa fonte è un tratto formale della norma stessa: un tratto indipendente dal suo contenuto. Per rispondere alla domanda se N (un candidato) sia o no una norma giuridica, una norma appartenente a OG, è sufficiente guardare al modo in cui essa è venuta ad esistenza (la sua origine, il processo della sua formazione), prescindendo dal suo contenuto - e,

dunque, da considerazioni relative alla sua bontà, giustizia, merito morale o etico-politico85

. La riconducibilità o meno di una norma a una certa fonte (in questa accezione) è, si suole dire, un test di pedigree (discendenza, filiazione).

(4) Ebbene: la cultura giuridica dell’età della codificazione è caratterizzata dalla tesi secondo cui ciò che costituisce l’unità di un ordinamento giuridico (e, dunque, la sua identità) è la comune provenienza di tutti i suoi elementi costitutivi - in ipotesi, norme - da un insieme previamente delimitato di fonti formali, gerarchicamente ordinate. Ovvero, appartengono a un unico e medesimo sistema giuridico tutte e solo quelle norme che sono riconducili a certe fonti predeterminate,

disposte secondo un ordine gerarchico anch’esso predeterminato86

. E' questa, come adesso vedremo, la risposta adottata dal positivismo giuridico, ed elaborata in

termini teorici rigorosi da H. Kelsen ("nomodinamica"). Riassumendo. I codici si presentano come un insieme sistematico di norme giuridiche, disposte

secondo un ordine preciso, ripartite per materie, e reciprocamente connesse in modo da costituire un tutto unitario, coerente, e completo, atto a disciplinare in modo (formalmente e materialmente) razionale, ex novo, un determinato ambito dei rapporti sociali. Garantiscono (o intendono garantire), dunque, la certezza dei rapporti giuridici: la loro stabilità, e la prevedibilità delle conseguenze giuridiche delle proprie azioni. Sono (concepiti come) il frutto - l'espressione, in forma di comando - della volontà di un'autorità politica suprema, in ipotesi razionale e (giuridicamente) onnipotente: il legislatore.

Riferimenti bibliografici Alchourrón, C. E., Bulygin, E. 1971 Normative Systems, Springer, New York - Wien. Trad. it.

Sistemi normativi. Introduzione alla metodologia della scienza giuridica, Giappichelli, Torino 2005.

così, o questo uccello si è diretto verso destra/sinistra (fonti di produzione in un sistema di diritto divinatorio); la moneta, lanciata in aria, è caduta sul recto (o sul verso) (o un qualsiasi congegno che dia risposte casuali: diritto casuale). 85

In ciò trova realizzazione - secondo la cultura giuridica dell’età della codificazione - l'idea del carattere pubblico del diritto (cfr. sopra, 6.1) e, con essa, quella della certezza del diritto stesso (e, mediante quest’ultima, dei rapporti sociali). 86

Come abbiamo visto (sopra, 5.2) questa concezione dell’unità dell’ordinamento giuridico è tipica dello stato di diritto europeo-continentale ottocentesco (stato legislativo, governato dal principio di legalità).

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