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113 1. INTRODUZIONE AL CONTESTO STORICO- TERRITORIALE DELLA RICERCA La diocesi di Massa/Populonia, ampio territorio an- ticamente sottoposto alla giurisdizione ecclesiastica della città di Populonia e poi, con l’XI secolo, di Massa Marittima, dove la sede episcopale fu defini- tivamente spostata ed è nota a partire dal 1062 1 , si estendeva dal litorale tirrenico alla parte più meri- dionale delle Colline Metallifere, comprendendo l’Isola d’Elba e, secondo le località indicate dalle De- cime del 1298, le isole minori dell’arcipelago tosca- no, ad eccezione del Giglio e di Giannutri 2 . Entro i limiti amministrativi della diocesi si sono succeduti nel tempo numerosi progetti di archeo- logia del paesaggio; sono state indagate vaste por- zioni dei territori comunali di Campiglia Maritti- ma, Suvereto, Follonica, Scarlino, Massa Maritti- ma, Monterotondo Marittimo, Piombino, Gavor- rano 3 . Il presente contributo vuole offrire una pri- ma sintesi di parte dei dati archeologici raccolti al termine della topografia condotta nei mesi di set- tembre ed ottobre 2000 sul promontorio di Popu- lonia e nel territorio di Piombino, per iniziativa dell’insegnamento di Archeologia Medievale del- l’Università di Siena 4 . L’indagine territoriale segna il punto di arrivo di un biennio di attività semina- riali promosse dall’Insegnamento, volte a raccoglie- re indicazioni bibliografiche edite e ad avviare un progetto complessivo di acquisizione di nuove in- formazioni mediante controlli sul terreno ed anali- si di foto aeree ed immagini da satellite 5 . Per ricostruire alcune delle tappe attraverso le quali si giunse al passaggio di funzioni aggregative ed economiche dalla civitas antica, che le fonti atte- stano in piena crisi fin dal I secolo d.C. 6 , ai più tardi centri monastici e castrensi sorti sul promon- torio o nelle sue immediate vicinanze, si è utiliz- zato un approccio territoriale selettivo. L’area in esame, come noto, è stata enormemente condi- zionata da intense attività di scavo, asportazione e successivo accumulo, connesse al riutilizzo delle scorie ferrose, attività che si sono concentrate nella rada di Baratti ma hanno interessato anche le pri- me alture in direzione della Casaccia. La copertu- ra boschiva limita inoltre enormemente la visibi- lità in ampie zone del promontorio, che diventa- no persino inaccessibili a pochi metri dai sentieri tracciati nel sottobosco. Di contro l’area pianeggiante in direzione di Piom- bino presenta seri problemi di leggibilità archeolo- gica derivanti dal prepotente sviluppo industriale che ha interessato la zona detta del Porto Vecchio e par- te dell’area litoranea in direzione di Torre del Sale. La strategia di intervento ha previsto la selezione mirata di una serie di campioni territoriali; essi interessano in particolare le sommità dei rilievi che si affacciano sulla pianura piombinese, fra i quali è compreso anche il Poggio del Telegrafo, laddove sorse l’acropoli populoniese 7 (Fig. 1). Le scelte sono state motivate da fattori di caratte- INDAGINI ARCHEOLOGICHE SUL TERRITORIO DELL’ANTICA DIOCESI DI MASSA E POPULONIA INSEDIAMENTO MONASTICO E PRODUZIONE DEL METALLO FRA XI E XIII SECOLO 1. Una sintesi degli aspetti istituzionali della diocesi rica- vabili dalla lettura della documentazione in GARZELLA 1996, pp. 6-9. 2. Sui limiti continentali ed insulari e l’estensione del con- trollo dall’Isola d’Elba alle isole minori di Montecristo, Capraia ed, in epoca moderna, Pianosa, si veda GARZELLA 2001, p. 310, nota 54. 3. Le indagini territoriali inedite sono state coordinate nel corso degli anni dall’Insegnamento di Archeologia Medie- vale dell’Università di Siena. I dati sono frutto del lavoro dei seguenti autori: A. CASINI, Ricerche di archeologia mi- neraria e archeometallurgia nel territorio populoniese: i monti del Campigliese, (Tesi di laurea inedita, Università di Siena, A.A. 1991-92); L. DALLAI, Popolamento e risorse nel territorio di Massa Marittima. Tecnologie estrattive e metallurgiche, (Tesi di laurea inedita, Università di Siena, A.A. 1992-93); G. PESTELLI, Ricerche archeologiche nell’area mineraria di Poggio Trifonti, comuni di Massa Marittima e Monterotondo Marittimo-Prov. di Grosseto, (Tesi di laurea inedita, Università di Siena, A.A. 1992-93). 4. Il progetto di studio complessivo sul territorio di Popu- lonia e sulla città, avviato nel 1998 ha previsto, oltre alle indagini sul promontorio, una indagine topografica con- dotta sull’area dell’acropoli e curata da M. Aprosio, cam- pagne di scavo condotte dalla Soprintendenza Archeologi- ca della Toscana (Dott.ssa A. Romualdi, Dott.ssa A. Pate- ra), e dalle Università di Siena, Pisa e l’Aquila. 5. Sulle finalità e gli strumenti del progetto di archiviazio- ne si veda DALLAI, BARDI 2002, pp. 28-30. 6. Strabone, Geografia, V,2,6. La città è descritta come un piccolo centro abbandonato, in cui sopravvivono i templi e qualche costruzione. 7. Questo campione in particolare è stato oggetto di inda- gine congiunta da parte della scrivente e della dottoressa M. Aprosio.

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1. INTRODUZIONE AL CONTESTO STORICO-TERRITORIALE DELLA RICERCA

La diocesi di Massa/Populonia, ampio territorio an-ticamente sottoposto alla giurisdizione ecclesiasticadella città di Populonia e poi, con l’XI secolo, diMassa Marittima, dove la sede episcopale fu defini-tivamente spostata ed è nota a partire dal 1062 1, siestendeva dal litorale tirrenico alla parte più meri-dionale delle Colline Metallifere, comprendendol’Isola d’Elba e, secondo le località indicate dalle De-cime del 1298, le isole minori dell’arcipelago tosca-no, ad eccezione del Giglio e di Giannutri 2.Entro i limiti amministrativi della diocesi si sonosucceduti nel tempo numerosi progetti di archeo-logia del paesaggio; sono state indagate vaste por-zioni dei territori comunali di Campiglia Maritti-ma, Suvereto, Follonica, Scarlino, Massa Maritti-ma, Monterotondo Marittimo, Piombino, Gavor-rano 3. Il presente contributo vuole offrire una pri-ma sintesi di parte dei dati archeologici raccolti altermine della topografia condotta nei mesi di set-tembre ed ottobre 2000 sul promontorio di Popu-lonia e nel territorio di Piombino, per iniziativadell’insegnamento di Archeologia Medievale del-l’Università di Siena 4. L’indagine territoriale segna

il punto di arrivo di un biennio di attività semina-riali promosse dall’Insegnamento, volte a raccoglie-re indicazioni bibliografiche edite e ad avviare unprogetto complessivo di acquisizione di nuove in-formazioni mediante controlli sul terreno ed anali-si di foto aeree ed immagini da satellite 5.Per ricostruire alcune delle tappe attraverso le qualisi giunse al passaggio di funzioni aggregative edeconomiche dalla civitas antica, che le fonti atte-stano in piena crisi fin dal I secolo d.C. 6, ai piùtardi centri monastici e castrensi sorti sul promon-torio o nelle sue immediate vicinanze, si è utiliz-zato un approccio territoriale selettivo. L’area inesame, come noto, è stata enormemente condi-zionata da intense attività di scavo, asportazionee successivo accumulo, connesse al riutilizzo dellescorie ferrose, attività che si sono concentrate nellarada di Baratti ma hanno interessato anche le pri-me alture in direzione della Casaccia. La copertu-ra boschiva limita inoltre enormemente la visibi-lità in ampie zone del promontorio, che diventa-no persino inaccessibili a pochi metri dai sentieritracciati nel sottobosco.Di contro l’area pianeggiante in direzione di Piom-bino presenta seri problemi di leggibilità archeolo-gica derivanti dal prepotente sviluppo industriale cheha interessato la zona detta del Porto Vecchio e par-te dell’area litoranea in direzione di Torre del Sale.La strategia di intervento ha previsto la selezionemirata di una serie di campioni territoriali; essiinteressano in particolare le sommità dei rilieviche si affacciano sulla pianura piombinese, fra iquali è compreso anche il Poggio del Telegrafo,laddove sorse l’acropoli populoniese 7 (Fig. 1).Le scelte sono state motivate da fattori di caratte-

INDAGINI ARCHEOLOGICHE SUL TERRITORIODELL’ANTICA DIOCESI DI MASSA E POPULONIA

INSEDIAMENTO MONASTICO E PRODUZIONE DEL METALLO FRA XI E XIII SECOLO

1. Una sintesi degli aspetti istituzionali della diocesi rica-vabili dalla lettura della documentazione in GARZELLA 1996,pp. 6-9.2. Sui limiti continentali ed insulari e l’estensione del con-trollo dall’Isola d’Elba alle isole minori di Montecristo,Capraia ed, in epoca moderna, Pianosa, si veda GARZELLA2001, p. 310, nota 54.3. Le indagini territoriali inedite sono state coordinate nelcorso degli anni dall’Insegnamento di Archeologia Medie-vale dell’Università di Siena. I dati sono frutto del lavorodei seguenti autori: A. CASINI, Ricerche di archeologia mi-neraria e archeometallurgia nel territorio populoniese: imonti del Campigliese, (Tesi di laurea inedita, Universitàdi Siena, A.A. 1991-92); L. DALLAI, Popolamento e risorsenel territorio di Massa Marittima. Tecnologie estrattive emetallurgiche, (Tesi di laurea inedita, Università di Siena,A.A. 1992-93); G. PESTELLI, Ricerche archeologiche nell’areamineraria di Poggio Trifonti, comuni di Massa Marittima eMonterotondo Marittimo-Prov. di Grosseto, (Tesi di laureainedita, Università di Siena, A.A. 1992-93).4. Il progetto di studio complessivo sul territorio di Popu-lonia e sulla città, avviato nel 1998 ha previsto, oltre alleindagini sul promontorio, una indagine topografica con-

dotta sull’area dell’acropoli e curata da M. Aprosio, cam-pagne di scavo condotte dalla Soprintendenza Archeologi-ca della Toscana (Dott.ssa A. Romualdi, Dott.ssa A. Pate-ra), e dalle Università di Siena, Pisa e l’Aquila.5. Sulle finalità e gli strumenti del progetto di archiviazio-ne si veda DALLAI, BARDI 2002, pp. 28-30.6. Strabone, Geografia, V,2,6. La città è descritta come unpiccolo centro abbandonato, in cui sopravvivono i templie qualche costruzione.7. Questo campione in particolare è stato oggetto di inda-gine congiunta da parte della scrivente e della dottoressaM. Aprosio.

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re ambientale non meno che da considerazionilegate al tipo di paesaggio storico che ha caratte-rizzato questi luoghi. Il territorio della diocesi in-cludeva infatti, oltre alle isole, alle aree costiere,ai rilievi collinari dell’interno, anche vaste areelacustri e paludose a ridosso della linea di costa; epaludoso anche se non malsano, meglio un lagosalmastro, era lo spazio attualmente occupato dallapianura alle spalle di Piombino, in direzione diFollonica e fino all’altezza di Torre del Sale 8. Perquesta ragione la scelta dei campioni ha inclusofra le variabili anche quella della quota; si è cosìtentato di definire quali delle aree di pianura fos-sero o meno interessate dal mutare dei livelli del-le acque del lago interno in epoche diverse.Al termine di questa prima stagione di indagine sonostate battute le aree sommitali dei rilievi che com-pongono il promontorio, le fasce di bosco poste lun-go il corso dei fossi sul lato occidentale dello sparti-acque, oltre a parte di quelle sul lato orientale ed alversante compreso fra la Casaccia e Punta Tonnarelle,area di grande interesse perché potenzialmente le-gata al controllo dell’insenatura del golfo di Baratti.Ulteriori campioni territoriali hanno interessato

le sommità delle alture prospicienti la città diPiombino; complessivamente si sono coperti inbattitura intensiva circa 7 kmq, ai quali vannoaggiunte le ricognizioni estensive sul promonto-rio, il controllo mirato conseguente alla segnala-zione di anomalie da foto aeree e l’indagine con-dotta sul Poggio del Telegrafo, per un totale di 5kmq circa.All’interno della campionatura l’acropoli dell’an-tica città di Populonia riveste naturalmente uninteresse del tutto particolare e ha richiesto un’in-dagine maggiormente accurata, resa in verità moltocomplessa dalla scarsissima visibilità presente sul-l’intero pianoro sommitale ed anche sulle pendicidell’altura. L’analisi dei dati riguardanti l’acropo-li non è oggetto di approfondimento del presentecontributo: tuttavia ciò che appare ragionevolmen-te certo ad oggi è il ruolo marginale svolto dall’al-tura nelle dinamiche insediative del promontorio apartire dalla tarda antichità, marginalità che pos-siamo inferire dalla mancanza di indicatori archeo-logici che consentano di datarne l’utilizzo ad unperiodo successivo alla prima età imperiale 9.Maggiore interesse rivestono al contrario le pen-dici nord occidentali del Poggio della Guardiola el’area compresa fra Buca delle Fate e Poggio Ton-

8. Si veda su questo BEVILACQUA, ROSSI DORIA 1984, pp. 97-131; BARSANTI, ROMBAI 1986, pp. 33-153. Sulla geomorfo-logia della pianura a sud-est di Piombino si veda MAZZANTI1996, pp. 128-135.

Fig. 1 – Il territorio in esame e la campionatura selezionata nella stagione 2000; sommità, aree periurbane, fossi.

9. Per una sintesi puntuale dei dati relativi all’acropoli diPopulonia si veda APROSIO 2002, pp. 43-51.

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do, zona dalla quale provengono le uniche indi-cazioni significative che ne attestano una frequen-tazione riferibile al IV-V secolo d.C.

2. IL PAESAGGIO ANTICO

Le ipotesi insediative sul promontorio di Populo-nia non possono prescindere dalla messa a fuocodel tipo di paesaggio in cui il promontorio stesso siinserisce. Le quote dei rilievi che lo compongonosono tali da essere sempre state al riparo da feno-meni di impaludamento e di instabilità idrogeolo-gica (il rilievo più alto, Monte Massoncello, misu-ra 286 m s.l.m.). Differente, come precedentemen-te accennato, è invece la storia delle aree di pianu-ra che si stendono a nord-est e sud-est, terre a lun-go interessate dalla presenza di due laghi costieri.Nella pianura di sud-est, dove l’alveo del fiume Cor-nia, così come appare ai nostri giorni, è il risultatodi una serie di lavori di bonifica e rettifica avviatinella prima metà del XIX secolo 10, la cartografiaantica indica l’esistenza di un grande lago salma-stro, una palude collegata al mare attraverso lo sboc-co del fiume Cornia stesso e da esso separata da uncordone litoraneo già formato nell’VIII secoloa.C. 11.Le fonti letterarie forniscono indicazioni che ten-dono a descrivere una realtà ambientale in cui l’ac-qua diviene risorsa preziosa per differenti aspettieconomici e commerciali: non una palude malsanadunque, ma uno stagno salubre, dalle molteplicifunzioni.Strabone, nella sua Geografia, racconta di come lacittà di Populonia, benché in forte crisi, possedesseun’area portuale stabilmente abitata, fornita di unapiccola rada e di due bacini interni, il cui uso puòvedersi connesso anche al ricovero di navi 12. Del-l’importanza di Populonia sia come punto di sostasulle rotte della navigazione di piccolo cabotaggiosia come tappa della viabilità terrestre fanno testi-monianza le ripetute menzioni della località suiportolani e sugli itinerari di età imperiale: Itinera-rium Antonini (Populonium XII), Itinerarium

Maritimum (Populonium), Guidonis Geographica(Populonia), la Cosmografia dell’Anonimo Raven-nate (Populion) 13. La reiterata menzione dei topo-nimi di Baratti e Falesia sulle carte con segnalazio-ne di approdi, in uso fino al periodo medievale,aiuta a comprendere come il ruolo commerciale ericettivo dei due porti continuasse ad esistere assaipiù a lungo di quanto è dato ipotizzare per i duecentri, il portus citato da Rutilio Namaziano a suddel promontorio, e la città antica di Populonia al-l’estremità nord dello stesso.

I due laghi costieri ebbero un ruolo di grandissimorilievo nel determinare la fortuna dell’area in que-stione da un punto di vista commerciale, militare edi ricettività navale. Essi ebbero tuttavia un granderilievo anche per altri aspetti dell’economia locale;un ruolo certamente importante ebbe ad esempiol’itticoltura. L’allevamento del pesce, già descrittodal passo poetico di Rutilio Namaziano come unadelle iniziative economiche più significative notatedal poeta all’atto del suo sbarco nel porto di Fale-sia, costituirà una risorsa importante anche moltisecoli più tardi; a questo proposito alcuni docu-menti della metà del ’500 descrivono i lavori at-tuati nell’area della palude di Rimigliano per farviuna grande peschiera 14, mentre un altro impiantosarà localizzato presso lo sbocco a mare del lago,in località Capezzuolo.Alle fonti di reddito descritte in precedenza va ag-giunta una ulteriore importante risorsa, cioè la pro-duzione del sale; essa fu realizzata in strutture chel’archeologia e le fonti documentarie collocano indiversi punti del lago meridionale. Alcuni impiantierano visibili in prossimità di Torre del Sale, primadella costruzione della centrale ENEL 15; altre strut-ture erano ubicate presso Montegemoli 16, altre an-cora in località Franciana (luogo da identificare conl’attuale Casa Franciana, posta a quota 6 m s.l.m.) 17.

10. Per una sintesi degli interventi e riferimenti a biblio-grafia si veda GHELARDONI 1977, pp. 10-13.11. Sui possibili sbocchi a mare del lago di Piombino i con-tributi tendono ad identificarne uno in prossimità delCapezzuolo, cioè alla foce della Cornia, mentre un secon-do varco, più consistente e duraturo, è posto a metà stradafra Capezzuolo e Follonica, in località San Martino. Que-sto accesso nel XV secolo consentiva l’entrata di navi dimedia portata. Bibliografia fornita in MAZZANTI 1996, p.129, nota 8. Si veda anche CARDARELLI 1963, pp. 212-213.12. Fonte citata in GHELARDONI 1977, pp. 7-8. Che la ricezio-ne portuale fosse affidata non solo e non tanto alla larga in-senatura di Baratti, ma assai più all’esistenza dei due baciniinterni, è ipotesi formulata in CARDARELLI 1963, pp. 208-211.

13. Tabelle comparative ed interpretazioni toponimiche inCAMBI 2002, pp. 9-29.14. Documenti relativi ad acquisti di materiali ed aggior-namenti sul procedere dei lavori raccolti ed editi in CARDA-RELLI 1963, pp. 218-219. Sull’esistenza della seconda pe-schiera: IDEM, p. 215.15. Le evidenze delle strutture presso Torre del Sale sonostate messe in luce attraverso il trattamento di foto areeeseguito da M. Cosci.16. Archivio di Stato di Pisa, Consilium Senatus, A 197, c.165 v., Ordinamenta salinarum de Plumbino, 28 maggio1371: «Sal. Fiat. In locis consuetis, salvo et excepto in locodicto Montis Genneri». Documento citato in CARDARELLI1963, p. 215, nota 18.17. Carta del 26 Agosto 1094; il conte Ranieri investe il mo-nastero di S. Quirico della metà della sua corte di Franciano«…ad ecclesia et monasterio Dei et S. Quirici de locoPopulonio, idest medietatem de curte Franciani et de omnibusad supradictam curtem pertinentibus, vel que ei pertinerevidetur, idest nominative salinis, pascuis, pratis, saltibus cultiset incultis, laboratoriis vel non laboratoriis, cum aquis,aquarumque decursibus…» GIORGETTI 1873, carta n° 27.

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Sia nella tarda antichità che nel Medioevo le fontistoriche ed i documenti descrivono un paesaggiolagunare dal quale si traggono profitti e per il qualesi opera costantemente per il mantenimento di buo-ne condizioni idrauliche; per godere i benefici deri-vanti dalle saline e dalle altre pertinenze donate almonastero di S. Quirico dal conte Ranieri nel 1094nella Corte di Franciano ad esempio è espressamen-te richiesto il buon mantenimento dei fossi 18.Naturalmente i limiti esatti degli stagni sono diffi-cilmente individuabili, anche congetturando sullequote attuali del paesaggio; va aggiunto inoltre chevi sono aree che, indipendentemente dalla quotaaltimetrica ricavabile ad oggi, per le caratteristichegeomorfologiche che presentano sono state soggettepiù a lungo di altre ad ospitare invasi acquiferi. Segli ingegneri che intrapresero i lavori di bonificasotto Pietro Leopoldo calcolarono ottimisticamen-te un’estensione delle acque di circa 10 kmq 19, e sela cartografia mostra nei secoli e con differenti gradidi approssimazione l’intera area sommersa fino allepropaggini di Montegemoli, con le isole emergentidello stesso Montegemoli e di Istia Grande e IstiaCrociano, la superficie allagata non dovrà esserestata troppo modesta 20. Per enfatizzare al massimoil concetto di stagno e di penisola, marcando net-

tamente al contempo quali delle aree furono sem-pre e comunque terre emerse e quali furono alter-nativamente terre emerse e terre umide, si è ipotiz-zata una copertura acquifera impostata alla quotaattuale di 4 m s.l.m. (Fig. 2). La quota, in veritàpiuttosto alta, evidenzia, come detto, le aree al si-curo dalle oscillazioni batimetriche degli invasi, epropone al contempo una visione che enfatizza ilruolo strategico assunto dalle sommità del promon-torio, laddove si sviluppò l’insediamento di perio-do medievale.Su questo paesaggio si sono collocati gli insedia-menti noti attraverso indicazioni documentarie fraXI e XII secolo, proponendone in taluni casi unaubicazione ipotetica, basata su elementi indiziari:il monastero benedettino di S. Quirico, di cui re-stano tracce consistenti sulle pendici occidentalidi Poggio Tondo 21; quello di S. Giustiniano diFalesia, fondazione gherardesca del 1022, la cuiubicazione è incerta 22; il castello di Piombino, giàfortificato nel 1135 23; il castello di Porto Baratti,che i documenti attestano a partire dal 1117 24.Mentre la topografia attualmente in corso sta ap-profondendo il tema insediativo postclassico re-lativamente al Poggio del Castello, investigando-ne sia le pendici che la sommità, le indagini fin

18. Una sintesi delle colture e delle caratteristiche del pae-saggio in TOGNARINI, BUCCI 1978, pp. 49-57.19. CARDARELLI 1963, p. 214.20. La ricca cartografia storica che tratteggia i limiti dellostagno di Piombino è stata analizzata e comparata da più au-tori. Cito qui: FEDELI 1984, pp. 53-58, che produce tavolecomparative dei vari prodotti cartografici considerati; MAZ-ZANTI 1996, pp. 132-145; GHELARDONI 1977, pp. 8-12.

21. GELICHI 1994b, pp. 346-349.22. La documentazione relativa al monastero è stata og-getto di uno studio approfondito ad opera di M.L. Cecca-relli Lemut. L’Autrice ne propone anche la possibile ubica-zione in località Cotone, nell’immediato entroterra di Por-to Vecchio; CECCARELLI 1972.23. CECCARELLI LEMUT 1996, pp. 33-3624. REDI 1996, pp. 60-65

Fig. 2 – Limiti della laguna antica calcolati sulla base degli attuali 4 m s.l.m.. Base cartografica : DTM ai 100 m.

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qui condotte evidenziano già alcuni aspetti relati-vi all’insediamento di cui proponiamo una primapreliminare lettura.

3. I RINVENIMENTI SUL POGGIO DI MONTEGEMOLI

L’altura di Montegemoli, come ricordato in pre-cedenza, è una delle aree a diretto contatto con leacque della laguna salmastra; la sua quota (45 min sommità) l’ha resa terra emersa pur essendoposizionata proprio laddove più a lungo si sonomantenute caratteristiche ambientali palustri.Che Montegemoli fosse una vera e propria isolaall’interno della laguna, o che somigliasse piutto-sto ad una lunga penisola protesa sul lago, dovet-te dipendere naturalmente dalle oscillazioni dellivello delle acque nel corso dei secoli. Il passag-gio di quota della copertura acquifera da 4 a 5metri ne modifica profondamente l’aspetto, tra-mutandola da penisola collegata ai rilievi dei Pog-gi Aquila ed Aquilino, in vera e propria isola; inquesto secondo aspetto fu schematicamente ripro-dotta nelle cartografie del litorale piombinese delXVI secolo, e poi di nuovo in prodotti cartografi-ci del XIX secolo 25. Ciò può forse corrisponderea due fasi di particolare espansione della acque, edunque a due momenti storici durante i quali ilpoggio fu interamente circondato dal lago.L’area immediatamente a nord di Montegemolirisulta peraltro particolarmente consona alla for-mazione di ristagni di acque. Questo dato, messoin luce da recenti indagini condotte su immaginisatellitari 26, è confermato dalla persistenza di uncosiddetto “Padule di Montegemoli” cartografa-to nei documenti prebonifica del XIX secolo 27. Ilpoggio si localizza inoltre lungo il paleoalveo delfiume Cornia, cioè presso la naturale via di comu-nicazione che metteva in contatto il padule sudcon l’altra area umida che si estendeva a nord,cioè il lago di Rimigliano.Il modesto rilievo, oggi prossimo alla zona di espan-sione artigianale di Piombino, è stato inserito al-l’interno della campionatura proprio in ragione diqueste sue specifiche caratteristiche geomorfologi-che; l’analisi delle foto aeree ha inoltre evidenziatola presenza di una chiara anomalia di forma ton-deggiante che interessa l’intero perimetro del pog-

gio. Alle quote più basse, cioè in prossimità delPodere Montegemoli, alcuni anni addietro era sta-ta rinvenuta una certa quantità di manufatti attri-buiti al Paleolitico Medio e Superiore 28.L’indagine ha interessato sia i versanti che la sommi-tà del poggio, dalla quale provengono elementi dinotevole interesse, ancorché di problematica inter-pretazione. Dalla vegetazione assai fitta emergono atratti le tracce di strutture murarie sepolte; di questestrutture, spesse più di 60 cm, sono individuabili gliorientamenti che definiscono più ambienti di formarettangolare. In un caso la struttura presenta chiara-mente una forma arcuata che descrive un ampio se-micerchio; proprio a ridosso di tale anomalia si con-centrano numerosissime pietre, frutto evidente di uncrollo. Le murature non si conservano in elevato; ilmateriale di cui esse sono composte è costituito dapezzami irregolari di macigno. Sia le strutture sepol-te che i crolli di pietrame sono a loro volta inseritiall’interno di un probabile sistema difensivo che cir-conda l’intera sommità. L’unico punto in cui le con-dizioni di visibilità consentono un maggiore gradodi approfondimento di indagine, cioè il versante disud-est, rivela la presenza di una poderosa muratu-ra, in questo caso realizzata con pietre non sbozzatedi maggiori dimensioni legate con terra, della qualeè visibile parte del sacco ed una piccola porzione diapparecchiatura. La visibilità pessima su tutta l’altu-ra ha reso ad oggi assai problematica l’interpreta-zione dei dati raccolti; va aggiunto inoltre che nonvi sono elementi ceramici utili ad una più precisadefinizione cronologica del complesso. Le interpre-tazioni sono pertanto ipotesi di lavoro, utili ad orien-tare la prosecuzione dell’indagine in corso.Le anomalie registrate in sommità, unite alle ca-ratteristiche dei materiali usati per la costruzionee ben visibili nelle aree di crollo, non suggerisco-no paralleli con strutture di epoca classica; al con-trario, il troncone di muratura rinvenuto lungo ilversante sud-est suggerisce paralleli con le mura-ture di epoca arcaica rintracciabili su Poggio dellaGuardiola e su Poggio del Telegrafo.L’impressione generale che si ricava dalla prospezio-ne eseguita sul Montegemoli è che vi si susseguanopiù fasi di uso. Se esiste una probabile fortificazionedell’altura di epoca arcaica, esiste altresì un uso del-la sommità che, per le caratteristiche che presenta,mal si inquadra nel medesimo orizzonte temporale,né suggerisce paralleli con altre tipologie di uso som-mitale riscontrabili nelle vicinanze. È ipotizzabile chele tracce di uso rilevate possano pertanto appartene-re anche ad un orizzonte temporale assi più tardo, eciò in considerazione del fatto che l’altura, come giàricordato, fu sempre al sicuro dalle oscillazioni del

25. Una sequenza schematica della cartografia sul litoralein FEDELI 1983, pp. 57-58.26. Elaborazioni di immagini satellitari edita in ALESSAN-DRO, PRANZINI 1986, pp. 319-331.27. La cartografia è riprodotta in MAZZANTI 1996, fig. 3, ederivata dalla Carta del Granducato di Toscana di Giovan-ni Inghirami, 1830. 28. FEDELI 1983, p. 201, scheda n° 32.

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livello del lago. La suggestione del luogo, inserito inun contesto ambientale assai particolare, il suo esse-re al riparo dalle acque ma direttamente ad esse col-legato, la sua ubicazione prossima all’area del portoVecchio di Piombino, laddove si ritiene che dovesseessere ubicato il portus Falesie, aprono il ventagliodelle possibili interpretazioni fino ad includere l’ipo-tesi che questo luogo abbia potuto ospitare una ti-pologia insediativa che, per sua natura, interessa con-testi ambientali palustri e lagunari, cioè l’insediamen-to monastico.Come noto il monastero benedettino di S. Giusti-niano di Falesia sorse nella prima metà dell’XIsecolo in un luogo prossimo all’antico centro por-tuale, del quale però non si conosce l’esatta ubi-cazione; la vicinanza alle acque è una nota costantenella vita e nelle descrizioni che ce ne sono rima-ste fin dall’atto di fondazione, che lo colloca «infracomitatum et territorio Populoniense ubi diciturFaliesia quod est iuxta mare».Sulla base di una attenta lettura dei documenti, divalutazioni geomorfologiche e di anomalie indivi-duabili su foto aeree, gli studiosi ne hanno propo-sta la ubicazione alternativamente in località Coto-ne, cioè a ridosso dell’area oggi interessata dallapresenza delle acciaierie di Piombino, ed in locali-tà Conventaccio, cioè alle pendici delle colline del-l’interno, in una zona che si giudicherebbe più pro-tetta rispetto alla prima, e tuttavia immediatamen-te a ridosso del mare. Nel primo caso l’indaginetopografica non può essere di alcun supporto, trat-tandosi di un’area totalmente sconvolta dallo svi-luppo industriale della città; nel secondo caso i so-pralluoghi condotti hanno dato esito negativo.

Il monastero fu istituito nell’anno 1022 per vo-lontà di sei fratelli della famiglia dei Gherarde-schi, come segno di potere, di prestigio e contem-poraneamente atto di espiazione 29. Come noto, ilsuo archivio è andato disperso e le notizie che loriguardano sono state conservate negli archivi dialtri enti ed istituzioni che ne hanno parzialmentepreservato memoria.La fondazione del monastero avvenne in un luo-go ove già esisteva una chiesa, anch’essa dedicataa S. Giustiniano; da un documento datato 1135 erelativo alla permuta di beni fra il monastero el’opera di S. Maria in Pisa ricaviamo alcuni ele-menti descrittivi che indicano la presenza di unchiostro ed un cimitero 30.All’epoca dell’atto di permuta il poggio di

Montegemoli era una penisola o forse un’isola al-l’interno del lago, posta in vicinanza del promon-torio, collegata al vasto invaso a nord dal tracciatodella Cornia, distante appena 2 km dal mare e dal-lo sbocco a mare del lago, quest’ultimo ubicatopresso la foce della Cornia stessa. Si trattava dun-que di un punto strategicamente rilevante nel pae-saggio lagunare, contemporaneamente protettodalle acque ma in collegamento, tramite queste, siacon la costa che con l’interno. L’importanza delfattore difensivo garantito da un arretramento ri-spetto al posizionamento costiero è evidente se ri-ferita ai frequenti atti di guerra o rapina che inte-ressarono in quegli anni la costa piombinese, e deiquali sono esemplificativi i due assalti navali com-piuti dai Genovesi ai danni dei Pisani nel 1124 enel 1125, che si conclusero proprio a Piombino,dove il borgo ed il castello furono presi ed incen-diati, e parte dei Piombinesi deportati a Genova 31.Il legame fra il monastero ed il lago salmastro fuuna costante della sua stessa esistenza; quando, nel1256, esso passò dai Benedettini alle Clarisse diMassa Marittima, queste ultime ereditarono i di-ritti sui proventi derivanti dalla foce di Piombino,dove si trovava un traghetto 32, ed anche nel suc-cessivo documento del 1258 di conferma dei privi-legi e dei possessi, il papa Alessandro IV ribadiscela «…decimas frumenti et vini, stagnum, salinasFoce…» 33.Le caratteristiche ambientali che abbiamo fin quidescritte rimandano in ultimo ad un parallelo geo-graficamente vicino, cioè la fondazione benedetti-na di XI secolo di S. Pancrazio al Fango, ubicataal centro del Lago Prile. Su di un modesto rilievo,già sede di insediamento in epoca classica, sorseun monastero ed in seguito un abitato sottoposto,come già il monastero di S. Giustiniano di Fale-sia, al controllo pisano 34; fu proprio l’abate di S.Pancrazio al Fango che, su richiesta di papa Inno-cenzo IV, convalidò l’elezione dell’abate del mo-nastero di S. Giustiniano nell’anno 1254 35.

4. IL MONASTERO DI SAN QUIRICO

Diversamente dal sopra citato monastero di S. Giu-stiniano di Falesia, le rovine del monastero benedet-tino di S. Quirico sono facilmente individuabili sul-le pendici di Poggio Tondo, a breve distanza dal-l’area ove sorse la città antica di Populonia. Da que-

31. GHELARDONI 1977, p. 20.32. CECCARELLI 1972, p. 58.33. EADEM, p. 5934. GELICHI 1977, pp. 306-31335. CECCARELLI 1972, p. 56; cfr. anche nota 40.

29. Sul monastero di S. Giustiniano di Falesia, la documen-tazione storica ed i suoi legami con Piombino si veda CEC-CARELLI 1972.30. Carta del 22 Gennaio 1135. Documento trascritto inCECCARELLI 1972, p. 19, nota 15.

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sta posizione il monastero poteva dominare il trattocostiero del promontorio nei pressi dell’omonimaCala San Quirico, e contemporaneamente veniva acollocarsi lungo l’itinerario terrestre che, correndofra quota 180 e quota 250 m s.l.m., congiunge an-cora oggi Populonia a Piombino.La storia del monastero è in parte nota attra-verso una serie di documenti datati fra il 1029ed il 1131 36, che testimoniano in una prima fasesolo dell’esistenza di una chiesa. Dal 1048, oltrealla chiesa, alcuni atti di donazione menzionanoun monastero: «offero tibi deo et ecclesia et mo-nasteri S. Marie et S. Quirici sito Populonio» 37. Nuo-vamente, nel 1054, destinatario dell’atto di dona-zione di Domenico, figlio di Albizia, che offre duepezzi di terra posti in luogo detto S. Frediano, è ilmonasterio et romitorio, questa volta con titolazio-ne «Domini et Sancti Quirici» 38, dei cui presbiteri,diaconi e chierici si ha notizia dal 1074 39.A partire dagli ultimi anni dell’XI secolo, fra idonatori di terre e diritti si distinguono membridella famiglia comitale degli Aldobrandeschi; nel1094 Ranieri donò metà della corte di Francianacon le sue pertinenze, in particolare salinis, pascuis,pratis, saltibus cultis et incultis, laboratoriis velnon laboratoriis cum aquis, aquarumquedecursibus… 40, donazione confermata dopo dueanni da Adalasia, e di nuovo dai figli nel 1121 41.E se nel 1126 il visconte Ruggero refutava a S.Quirico la terra «que est iuxta Castellare, in locoCornino», nel 1189 Ugo donava al monasteroquattro pezzi di terra posti lungo la Cornia 42.La fase di sviluppo ed accrescimento patrimonialedi S. Quirico fu tuttavia piuttosto breve; già allametà del XIII secolo il monastero, seguendo la sor-te comune a molti altri cenobi benedettini, caddein uno stato di profondo depauperamento. Il con-temporaneo vigore acquisito dagli ordini eremiticiinterpreti della nuova religiosità del XIII secolo,culminato nella “grande unione” del 1256 e nellacreazione dell’Ordine degli Eremiti di S. Agostino,determinò la concessione a questi ultimi di nume-rosi monasteri benedettini della Maremma, ormaipreda di una profonda crisi economica e vocazio-nale; tale sorte interessò ad esempio il monasterodi S. Bartolomeo di Sestinga, affidato nel 1258 agliAgostiniani, quello di S. Pancrazio al Fango affida-

to negli stessi anni ai Guglielmiti, il monastero diS. Maria Alborense, affidato nei primi anni del XIVsecolo e dopo un lungo periodo di decadenza aicavalieri Gerosolimitani di Pisa 43, e lo stesso S. Giu-stiniano di Falesia, ceduto alle Clarisse Massetanenel 1256 44.Per contrastarne il degrado nel 1243 papa Inno-cenzo IV affidò il monastero di S. Quirico di Po-pulonia agli agostiniani di Rupecava presso Ri-pafratta 45, ma nel 1259, non avendo forse fattoriscontro alla deliberazione alcuna iniziativa con-creta, il vescovo di Massa Ruggero lo passò final-mente agli eremiti Guglielmiti di Malavalle; que-sti ultimi si trasferirono effettivamente a S. Quiri-co e lì rimasero fino alla fine del Trecento.Con i Guglielmiti la storia del monastero si pro-lungò di almeno centocinquanta anni. Le fortunedell’ente tuttavia, a giudicare dagli elenchi delledecime che lo annoverano fra gli esenti negli anni1274-1280 e 1302-1303, non furono particolar-mente floride. Dal primo elenco esso risulta infat-ti tassato per 4 lire, mentre nel secondo elenco latassa scende a due lire ed 8 soldi; in entrambi icasi le cifre risultano nettamente inferiori a quellepagate dagli altri enti monastici della diocesi, esono indicative del profilo dimesso assunto dalmonastero conseguentemente all’abbandono deiBenedettini 46. Nel Cinquecento la situazione ri-sulta tuttavia del tutto compromessa; un documen-to del 1577 conservato nell’Archivio Storico diPiombino descrive la chiesa ed il convento ormairidotti a «stalla per li animali bruti» 47. Fu così chesullo scorcio del secolo il titolo di abate di S. Qui-rico, assieme a tutti i diritti e le rendite livellariedei beni appartenenti all’abbazia, passarono allachiesa pievana di Piombino 48.Il sito è stato oggetto di una prima campagna discavo condotta dalle Università di Siena e Venezianei mesi di settembre ed ottobre 2002, sotto ladirezione scientifica di Riccardo Francovich e Sau-ro Gelichi. Prima della campagna di scavo la mag-gior parte delle strutture del complesso monasti-co era nascosta all’interno di un bosco molto fit-to; già da un primo sopralluogo risultavano tutta-via evidenti alcune porzioni di murature conser-vate in elevato, relative al chiostro, ad ambienti

36. Sintesi dei documenti editi in CECCARELLI LEMUT 1996,pp. 17-21; GELICHI 1984b, pp. 346-349.37. GIORGETTI 1873, pp. 213-214; atto del 1048, 3 Gennaio.38. Ibidem, p. 220-221; atto del 1054, 26 Agosto.39. Ibidem, pp. 355-361.40. GIORGETTI 1874, p. 10.41. Sintesi documentaria in COLLAVINI 1998, p. 114.42. Per un approfondimento sul rapporto fra gli Aldobrande-schi ed il monastero si veda COLLAVINI, 1998, pp. 114-118.

43. Schede sintetiche sui due cenobi di S. Maria Alborense eS. Pancrazio al Fango in MARRUCCHI 1998, pp. 77-86; per S.Bartolomeo di Sestinga si veda alle pp. 97-100. Alle pp. ci-tate è fornita anche una corposa bibliografia di riferimento.44. CECCARELLI 197245. Documenti citati in CECCARELLI 1996, pp. 20-21, nota 15.46. GUIDI 1932-1942, p. 147; GIUSTI, GUIDI 1942, p. 194.47. FANI 1930, p. 11; Archivio Storico del Comune di Piom-bino, Libro dei Consigli della Comunità, 6 maggio 1577;citato in GELICHI 1984, pp. 346-349.48. FANI 1930, p. 64.

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Fig. 3 – Monastero di S. Quirico. Particolari delle absidi, delle semicolonne e del paramento murario della torre.Dettaglio di una decorazione marmorea rinvenuta nell’area.

ad esso collegati, ad una possibile delimitazionemuraria dell’intero complesso monumentale. Dellachiesa era ben riconoscibile, perché oggetto di scavinon autorizzati, parte del transetto e delle absidi.A breve distanza dalla chiesa, in direzione sud-est, era inoltre visibile una imponente strutturaquadrangolare, forse una torre, costruita conun’apparecchiatura regolare realizzata in grossebozze di macigno ed alberese ben squadrate, dellaquale si conserva parte dell’alzato (Fig. 3).La campagna di scavo 2002 è stata finalizzata inprimo luogo alla messa a fuoco della topografiadel sito, ed ha concentrato l’indagine sulla chiesa(Area 1), sull’area occidentale a ridosso della stes-sa (Area 1000), e su due ambienti di servizio (Area2000, amb. I, II) (Fig. 4).La pianta del complesso è risultata sin dai primirilievi effettuati particolarmente ricca di spunti diriflessione; il primo e più evidente motivo è costi-tuito dall’orientamento che il complesso dellestrutture murarie rispetta fra sé e nei confrontidella chiesa. Si rileva infatti con chiarezza comemolti dei muri individuati presentino assi diver-genti rispetto all’impianto delle tre absidi, orien-tate nord-ovest/sud-est. Queste divergenze risul-tano marcate anche fra il chiostro e l’asse dellachiesa, e possono costituire la spia archeologica

dell’ampliamento del complesso che traspare dal-l’analisi della documentazione storica, dalla pri-mitiva chiesa al più tardo monastero 49.L’indagine condotta all’interno della chiesa (Area1) ha consentito di definire la planimetria dell’edi-ficio relativamente all’ultima fase di vita dello stes-so. La chiesa, lunga m 13,60, presenta pianta cru-ciforme con presbiterio triabsidato aggettante, edè canonicamente orientata con l’abside a nord-est.Due delle tre absidi (centrale e destra) erano giàvisibili all’avvio del cantiere; la terza abside, nonvisibile, è probabilmente conservata per una buonaporzione al di sotto del piano di campagna.L’organizzazione dello spazio del transetto è scan-dita da quattro semicolonne realizzate in panchi-na, su cui si impostava la crociera.Anche la planimetria interna della chiesa evidenzia

49. Un disassamento significativo emerge anche dall’anali-si della pianta del monastero benedettino di S. Michele allaVerruca. Anche in quel caso la chiesa orientata E-W risultatangente rispetto alla struttura del chiostro. L’originaria esi-stenza di una cappella dedicata a S. Michele, nota fin dallaprima metà del X secolo e l’appartenenza del complessodelle strutture claustrali alla prima metà del XII secolo ri-propongono una possibile analoga evoluzione progressivadel complesso che, tuttavia, non è stata ancora evidenziatadall’indagine archeologica. Si veda in merito GELICHI et alii2000, pp. 336-341.

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un chiaro disassamento fra le due coppie di semi-colonne e quindi fra il transetto e l’aula; questodato, che le prossime indagini permetteranno diprecisare meglio, è la prova di una complessa se-quenza edilizia che ha interessato l’edificio fino al-l’ultima fase di vita del monastero, quando la chie-sa era costituita dal triconco absidale, dal transettoe da una semplice aula. Sia lungo le pareti dell’aulache nell’area delle absidi si conservano piccole por-zioni della originaria decorazione ottenuta con in-tonaco di colore bianco sul quale erano state trac-ciate probabili campiture in rosso, ormai evanidi.Dai crolli localizzati lungo il fianco occidentale dellachiesa, all’interno dell’aula e nell’area antistante l’in-gresso sono stati recuperati numerosi elementi de-corativi realizzati in marmo; fra gli altri: cornicimodanate, pulvini, colonnine, elementi architetto-nici, epigrafi a carattere funerario.Una parte dei pezzi, di sicuro reimpiego, è crono-logicamente ascrivibile alla tarda antichità (si trat-ta di alcune iscrizioni a carattere funerario); un buonnumero di elementi è invece inquadrabile in un oriz-zonte cronologico di X-XII secolo. Per alcuni pezzituttavia i motivi decorativi utilizzati (in particolarela treccia annodata ed una serie di nastri a quattrocapi continui introflessi e raccolti al centro da uncollarino, motivo assai meno comune per il qualenon sono stati fino ad oggi individuati confrontistringenti) possono rimandare anche ad un conte-

sto cronologico precedente al X secolo; il motivodecorativo della treccia è infatti attestato per l’areacostiera maremmana, pur con varianti, fin dall’VIII-IX secolo.Fra gli elementi di sicuro reimpiego va segnalato,oltre alle epigrafi funerarie, il riuso di un cippo deltipo “a clava”, databile ad epoca ellenistica, che fuposizionato sul lato destro dell’ingresso della chie-sa. Il cippo fu infisso rovesciato (l’estremità con ildiametro inferiore era stata inserita per circa 50cm all’interno di un apposito alloggiamento con-solidato con malta tenace), e non è da escludereche esso potesse assolvere non solo ad una funzio-ne decorativa, ma che fosse anche una base di ap-poggio.La qualità e la quantità dei reperti rinvenuti al ter-mine della prima campagna d’indagine testimonial’eccezionale rilevanza del sito di S. Quirico all’in-terno del panorama insediativo medievale in que-st’area costiera. Tale importanza, in parte testimo-niata anche dai legami patrimoniali intercorrentifra l’ente e la famiglia degli Aldobrandeschi, fu fon-data su un posizionamento strategico, localizzatolungo la viabilità che attraversava il promontorio,in un luogo adatto al controllo costiero e tuttaviameglio difendibile da aggressioni rispetto a Poggiodel Castello ed allo stesso castello di Piombino.Almeno nella fase nota attraverso il Cartulario, l’eco-nomia di S. Quirico fu legata a numerosi possessi

Fig. 4 – Monastero di S. Quirico, planimetria generale. Rilievo a cura di F. Salzotti.

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Fig. 5 – Promontorio di Piombino. Localizzazione degli impianti metallurgici e del monastero di S. Quirico.

50. Sulla base dei toponimi citati nella bolla di Celestino IIdel 1143 si propone una localizzazione parziale delle proprietàdel monastero di S. Quirico. In particolare le località citatecome: «…Falconaia, …Franciano, …la Casella, …Fabricianum,…terra a cala s. Ambrosii usque ad montem Scultatoris, …montisvidelicet civitatem destructe que antiquitus Populonia vocataest…», possono essere identificate come segue:Falconaia = Punta Falcone; Franciano = Casa Franciana; LaCasella = Poggio Caselle; Fabricianum = Case Fabriciane; ilmontis videlicet civitatem destructe que antiquitus Populoniavocata est è da identificarsi in Poggio del Telegrafo. Se voglia-mo attribuire al toponimo montem Scultatoris una etimolo-gia che equivalga a: luogo da cui si osserva, con derivazioneda auscultatio, è forse possibile che esso possa essere identifi-cato nella Punta delle Tonnarelle, cioè nell’area in cui moltiindizi concorrono a localizzare l’antico tonnoscopio descrit-to da Strabone. Su questo in particolare si veda SHEPHERD,DALLAI, c.s. Sulle proprietà del monastero elencate dalla bolladi Celestino II si veda CECCARELLI 1996, p. 20.

fondiari, in buona misura concentrati nella val diCornia e sul promontorio di Piombino 50; non menoimportante dovette essere inoltre la valenza econo-mica rivestita dalle attività metallurgiche impernia-te sul centro monastico. Di questo aspetto non vi èmenzione nei documenti, ed è grazie alla ricognizio-ne effettuata lungo i fossi del promontorio che se nesono delineate in buona misura caratteristiche tec-nologiche ed organizzazione della produzione.

5. L’ECONOMIA DEL METALLO

Nei numerosi siti produttivi ritenuti nel corso del-l’indagine (cfr. Fig. 5) veniva importata e lavoratal’ematite elbana, secondo un tipo di organizzazio-

ne del lavoro che vedeva nell’abbondanza di acquacorrente, assicurata dai fossi, nel legname disponi-bile, nella facilità di approvvigionamento della ma-teria prima, i requisiti essenziali che consentivanodi tessere una fitta rete di punti di trasformazione.L’ipotesi che vi sia un chiaro legame fra l’esisten-za del monastero e quella degli impianti produtti-vi trova nella loro ubicazione un elemento a so-stegno; il Rio Fanale, cioè il punto di confine fral’area di influenza del monastero di S. Quirico equella sottoposta al monastero di S. Giustinianoed alla corte di Piombino 51, è esattamente il limi-te oltre il quale cessa la presenza degli impianti dilavorazione metallurgica, pur a fronte di condi-zioni ambientali favorevoli ad un loro sviluppoanche a sud del torrente.Le caratteristiche di questi impianti, in un’areastoricamente dedita alla lavorazione dell’ematite,rimandano ad un ambito cronologico pienamentemedievale per le stringenti similitudini con i sitiproduttivi rinvenuti lungo i fossi del Pian d’Almae dell’Elba, nonché per il rinvenimento di pochema significative ceramiche ad essi connesse 52.La presenza degli impianti produttivi apre una ri-flessione sulla durata storica delle lavorazioni side-

51. Sui confini della corte di Piombino elencati in due do-cumenti del 1115 con i quali l’abate di S. Giustiniano per-mutò beni fra il monastero e l’Opera della Cattedrale di S.Maria in Pisa, cfr. CECCARELLI 1972, pp. 14-16.52. Sulla descrizione particolareggiata degli impianti si vedaDALLAI 2000. Una prima localizzazione dell’impianto diFosso alle Canne in GELICHI 1984a, pp. 37-45.

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quella di S. Quirico, più marcatamente centratasulla produzione del metallo. Per il secondo deidue monasteri il progetto di indagine archeologi-ca avviato nell’anno 2002 consentirà di meglio pre-cisare le fasi evolutive del complesso e le eventua-li preesistenze sul luogo che, attualmente, megliodi ogni altro, può concorrere a chiarire l’evolu-zione insediativa sul promontorio in epoca me-dievale.

LUISA DALLAI

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