incontro DIcembre 2010

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Per una Chiesa Viva www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VI - N. 11 – Dicembre 2010 Con l’inizio dell’Anno Liturgico è arriva- to di nuovo l'Avvento, il tempo dell'atte- sa e dello sguardo proiettato verso il fu- turo. "L'uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza". Lo ha detto il Papa all'Angelus di domenica 28 no- vembre, in piazza San Pietro. Per vivere intensamente la prima stagio- ne dell’Anno Liturgico che, con le quat- tro settimane di Avvento ci prepara alla celebrazione del Natale,in questo mese di dicembre mi sembra doveroso ed utile rileggere e meditare le lumi- nose parole pronunciate recente- mente dal Santo Padre Benedetto XVI sul valore e l’autentico signifi- cato dell’Attesa del Signore. La sera del 27 novembre, presie- dendo nella basilica Vaticana una veglia di preghiera per la vita na- scente, in occasione dei primi vespri della prima domenica di Avvento, il Papa aveva già detto: “con questa celebrazione vespertina, il Signore ci dona la grazia e la gioia di aprire il nuovo Anno Liturgico iniziando dalla sua prima tap- pa: l'Avvento, il periodo che fa memoria della venuta di Dio fra noi. Ogni inizio porta con sé una grazia particolare, perché benedetto dal Signo- re. In questo Avvento ci sarà dato, ancora una volta, di fare esperienza della vici- nanza di Colui che ha creato il mondo, che orienta la storia e che si è preso cura di noi giungendo fino al culmine della sua condiscendenza con il farsi uomo. Pro- prio il mistero grande e affascinante del Dio con noi, anzi del Dio che si fa uno di noi, è quanto celebreremo nelle prossime settimane camminando verso il santo Natale. Durante il tempo di Avvento sentiremo la Chiesa che ci prende per mano e, ad immagine di Maria Santissi- ma, esprime la sua maternità facendoci sperimentare l'attesa gioiosa della venuta del Signore, che tutti ci abbraccia nel suo amore che salva e consola. Mentre i nostri cuori si protendono verso la celebrazione annuale della nascita di Cristo, la liturgia della Chiesa orienta il nostro sguardo alla meta definitiva: l'in- contro con il Signore che verrà nello splendore della gloria. Per questo noi che, in ogni Eucaristia, "annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurre- zione nell'attesa della sua venuta", vigilia- mo in preghiera. La liturgia non si stanca di incoraggiarci e di sostenerci, ponendo sulle nostre labbra, nei giorni di Avven- to, il grido con il quale si chiude l'intera Sacra Scrittura, nell'ultima pagina dell'A- pocalisse di san Giovanni: "Vieni, Signo- re Gesù!" (22, 20)”. Inoltre a mezzogiorno di Domenica 28 Novembre,prima della recita dell’Angelus, il Papa così si espresse: “Oggi, prima domenica di Avvento, la Chiesa inizia un nuovo Anno liturgico, un nuovo cammino di fede che, da una par- te, fa memoria dell'evento di Gesù Cristo e, dall'altra, si apre al suo compimento finale. E proprio di questa duplice pro- spettiva vive il Tempo di Avvento, guar- dando sia alla prima venuta del Figlio di Dio, quando nacque dalla Vergine Maria, sia al suo ritorno glorioso, quando verrà "a giudicare i vivi e i morti", come dicia- mo nel Credo. Su questo suggestivo tema dell'"attesa" vorrei ora brevemen- te soffermarmi, perché si tratta di un aspetto profondamente umano, in cui la fede diventa, per così dire, un tutt'uno con la nostra carne e il nostro cuore. L'attesa, l'attendere è una dimen- sione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L'attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. Pensiamo, tra queste, all'attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giova- ne, all'attesa dell'esito di un esame decisi- vo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all'attesa dell'incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell'accoglimento di un perdono. Si potrebbe dire che l'uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l'uomo si riconosce: la nostra "statura" morale e spirituale si può misurare da ciò che at- tendiamo, da ciò in cui speriamo. Continua a pagina 2 L'uomo che attende P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Periodico Incontro Dicembre 2010

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Per una Chiesa Viva

www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VI - N. 11 – Dicembre 2010

Con l’inizio dell’Anno Liturgico è arriva-to di nuovo l'Avvento, il tempo dell'atte-sa e dello sguardo proiettato verso il fu-turo. "L'uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza". Lo ha detto il Papa all'Angelus di domenica 28 no-vembre, in piazza San Pietro. Per vivere intensamente la prima stagio-ne dell’Anno Liturgico che, con le quat-tro settimane di Avvento ci prepara alla celebrazione del Natale,in questo mese di dicembre mi sembra doveroso ed utile rileggere e meditare le lumi-nose parole pronunciate recente-mente dal Santo Padre Benedetto XVI sul valore e l’autentico signifi-cato dell’Attesa del Signore. La sera del 27 novembre, presie-dendo nella basilica Vaticana una veglia di preghiera per la vita na-scente, in occasione dei primi vespri della prima domenica di Avvento, il Papa aveva già detto: “con questa celebrazione vespertina, il Signore ci dona la grazia e la gioia di aprire il nuovo Anno Liturgico iniziando dalla sua prima tap-pa: l'Avvento, il periodo che fa memoria della venuta di Dio fra noi. Ogni inizio porta con sé una grazia particolare, perché benedetto dal Signo-re. In questo Avvento ci sarà dato, ancora una volta, di fare esperienza della vici-nanza di Colui che ha creato il mondo, che orienta la storia e che si è preso cura di noi giungendo fino al culmine della sua condiscendenza con il farsi uomo. Pro-prio il mistero grande e affascinante del Dio con noi, anzi del Dio che si fa uno di noi, è quanto celebreremo nelle prossime settimane camminando verso il santo Natale. Durante il tempo di Avvento

sentiremo la Chiesa che ci prende per mano e, ad immagine di Maria Santissi-ma, esprime la sua maternità facendoci sperimentare l'attesa gioiosa della venuta del Signore, che tutti ci abbraccia nel suo amore che salva e consola. Mentre i nostri cuori si protendono verso la celebrazione annuale della nascita di Cristo, la liturgia della Chiesa orienta il nostro sguardo alla meta definitiva: l'in-contro con il Signore che verrà nello splendore della gloria. Per questo noi

che, in ogni Eucaristia, "annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurre-zione nell'attesa della sua venuta", vigilia-mo in preghiera. La liturgia non si stanca di incoraggiarci e di sostenerci, ponendo sulle nostre labbra, nei giorni di Avven-to, il grido con il quale si chiude l'intera Sacra Scrittura, nell'ultima pagina dell'A-pocalisse di san Giovanni: "Vieni, Signo-re Gesù!" (22, 20)”. Inoltre a mezzogiorno di Domenica 28 Novembre,prima della recita dell’Angelus, il Papa così si espresse:

“Oggi, prima domenica di Avvento, la Chiesa inizia un nuovo Anno liturgico, un nuovo cammino di fede che, da una par-te, fa memoria dell'evento di Gesù Cristo e, dall'altra, si apre al suo compimento finale. E proprio di questa duplice pro-spettiva vive il Tempo di Avvento, guar-dando sia alla prima venuta del Figlio di Dio, quando nacque dalla Vergine Maria, sia al suo ritorno glorioso, quando verrà "a giudicare i vivi e i morti", come dicia-mo nel Credo. Su questo suggestivo tema

dell'"attesa" vorrei ora brevemen-te soffermarmi, perché si tratta di un aspetto profondamente umano, in cui la fede diventa, per così dire, un tutt'uno con la nostra carne e il nostro cuore. L'attesa, l'attendere è una dimen-sione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L'attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. Pensiamo, tra queste, all'attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giova-

ne, all'attesa dell'esito di un esame decisi-vo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all'attesa dell'incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell'accoglimento di un perdono. Si potrebbe dire che l'uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l'uomo si riconosce: la nostra "statura" morale e spirituale si può misurare da ciò che at-tendiamo, da ciò in cui speriamo. Continua a pagina 2

L'uomo che attende

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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PAGINA 2 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Ognuno di noi, dunque, specialmente in questo Tempo che ci prepara al Nata-le, può domandarsi: io, che cosa atten-do? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore? E questa stessa domanda si può porre a livello di famiglia, di comunità, di na-zione. Che cosa attendiamo, insieme? Che cosa unisce le nostre aspirazioni, che cosa le accomuna? Nel tempo precedente la nascita di Gesù, era fortissima in Israele l'attesa del Messia, cioè di un Consacra-to, discendente del re Davide, che a-vrebbe finalmente liberato il popolo da ogni schiavitù morale e politica e instau-rato il Regno di Dio. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che il Messia potesse nascere da un'umi-le ragazza quale era Maria, promessa sposa del giusto Giuseppe. Neppure lei lo avrebbe mai pensato, eppure nel suo cuore l'attesa del Salva-tore era così grande, la sua fede e la sua speranza erano così ardenti, che Egli poté trovare in lei una madre degna. Del resto, Dio stesso l'aveva preparata, prima dei secoli. C'è una misteriosa corrispondenza tra l'attesa di Dio e quella di Maria, la crea-tura "piena di grazia", totalmente tra-sparente al disegno d'amore dell'Altissi-mo. Impariamo da Lei, Donna dell'Av-vento, a vivere i gesti quotidiani con uno spirito nuovo, con il sentimento di un'attesa profonda, che solo la venuta di Dio può colmare”.

Don Giuseppe Imperato

Nel tempo in cui incomincia a determi-narsi l'esigenza di un periodo di prepara-zione alle feste della manifestazione del Signore, la Chiesa aveva già fissato le modalità di preparazione alle feste pa-squali. Nel IV secolo il tempo pasquale e quaresimale avevano già assunto una con-figurazione vicinissima a quella attuale. L'origine del tempo di Avvento è più tardiva, infatti viene individuata tra il IV e il VI secolo. La prima celebrazione del Natale a Roma è del 336, ed è proprio verso la fine del IV secolo che si riscontra in Gallia e in Spagna un periodo di prepa-razione alla festa del Natale. Per quanto la prima festa di Natale sia stata celebrata a Roma, qui si verifica un tempo di preparazione solo a partire dal VI secolo. Senz'altro non desta meraviglia il fatto che l'Avvento nasca con una configura-zione simile alla quaresima, infatti la ce-lebrazione del Natale fin dalle origini venne concepita come la celebrazione della risurrezione di Cristo nel giorno in cui si fa memoria della sua nascita. Nel 380 il concilio di Saragozza impose la partecipazione continua dei fedeli agli incontri comunitari compresi tra il 17 dicembre e il 6 gennaio. In seguito verranno dedicate sei settima-ne di preparazione alle celebrazioni nata-lizie. In questo periodo, come in quaresi-ma, alcuni giorni vengono caratterizzati dal digiuno. Tale arco di tempo fu chiamato "quaresima di s. Martino", poiché il di-giuno iniziava l'11 novembre. Di ciò è testimone s. Gregorio di Tours, intorno al VI secolo.

IL SIGNIFICATO TEOLOGICO La teologia dell'Avvento ruota attorno a due prospettive principali. Da una parte con il termine "adventus" (= venuta, arrivo) si è inteso indicare l'anniversario della prima venuta del Signore; d'altra parte designa la seconda venuta alla fine dei tempi.Il Tempo di Avvento ha quindi una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporanea-mente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa

della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.

L'ATTUALE CELEBRAZIONE Il Tempo di Avvento comincia dai primi Vespri della domenica che capita il 30 novembre o è la più vicina a questa data, e termina prima dei primi Vespri di Na-tale. E' caratterizzato da un duplice itine-rario - domenicale e feriale - scandito dalla proclamazione della parola di Dio. 1. Le domeniche Le letture del Vangelo hanno nelle singo-le domeniche una loro caratteristica pro-pria: si riferiscono alla venuta del Signore alla fine dei tempi (I domenica), a Gio-vanni Battista (Il e III domenica); agli antefatti immediati della nascita del Si-gnore (IV domenica). Le letture dell'An-tico Testamento sono profezie sul Messia e sul tempo messianico, tratte soprattut-to dal libro di Isaia. Le letture dell'Apo-stolo contengono esortazioni e annunzi, in armonia con le caratteristiche di que-sto tempo. 2. Le ferie Si ha una duplice serie di letture: una dall'inizio dell'Avvento fino al 16 dicem-bre, l'altra dal 17 al 24. Nella prima par-te dell'Avvento si legge il libro di Isaia, secondo l'ordine del libro stesso, non esclusi i testi di maggior rilievo, che ri-corrono anche in domenica. La scelta dei Vangeli di questi giorni è stata fatta in riferimento alla prima lettu-ra. Dal giovedì della seconda settimana co-minciano le letture del Vangelo su Gio-vanni Battista; la prima lettura è invece o continuazione del libro di Isaia, o un altro testo, scelto in riferimento al Van-gelo. Nell'ultima settimana prima del Natale, si leggono brani del Vangelo di Matteo (cap. 1) e di Luca (cap. 1) che propongo-no il racconto degli eventi che precedet-tero immediatamente la nascita del Si-gnore. Per la prima lettura sono stati scelti, in riferimento al Vangelo, testi vari dell'An-tico Testamento, tra cui alcune profezie messianiche di notevole importanza.

Tratto da www.lachiesa.it

SEGUE DALLA PRIMA Briciole di Storia dell’Avvento

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PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Ci siamo: le vetrine addobbate di rosso e le tante, troppe luminarie nelle strade del centro ci avvertono che la minaccia del Natale ci sta per piombare addosso. Preoccupazioni legittime su come rispar-miare qualche euro nel rito del regalo inutile e schiere di babbi natale assiepati dietro gli angoli bui pronti a sbranarci…Ma davvero ci piace questo tipo di Nata-le? Tutto questo forzato buonismo, que-sta collettiva manifestazione a scadenza? Dagli schermi ci arrivano immagini di famigliole serene che addentano panetto-ni intorno ad un gigantesco abete addob-bato. E chi è solo? Chi ha vissuto un falli-mento matrimoniale?I tanti che non sono contenti di loro stessi, chi è in carcere, come pensiamo che vivano questa melas-sa incombente? Con dolore, appunto. Quest’anno facciamo polemica? No, solo riflettiamo. Sano realismo e voglia di ridefinire l'avvento, di capire queste quattro preziose settimane, antidoto all'altro natale, occasione per guardare dentro. Perché, come nella parabola di Luca, dobbiamo aggrapparci al piolo della Pa-rola di Dio per non essere spazzati via dall'alluvione del consumismo in piena, perché abbiamo bisogno di sentire Gere-mia (il pessimista e lamentoso!) che pro-mette la realizzazione del bene che Dio vuole ad Israele; perché ci urge l'ammo-nimento di Paolo a crescere nell'amore aspettando la venuta di Gesù. Mai una festa di compleanno è stata così rovinata, mai così stravolta. Natale che doveva significare silenzio e stupore davanti al mistero di un Dio che si compromette, è diventato la fiera degli improbabili buoni sentimenti che non scalzano, non convertono ma, anzi, anestetizzano, tranquillizzano. Così che la concertante presenza di Dio diventa sussulto emotivo davanti ad un neonato carino e indifeso. Ah, che mistero il cuore dell'uomo, che abisso il suo pensiero che non sa vedere, non sa leggere, non sa capire! Disastro, tragedia, ansia e angoscia se non siamo capaci di levare il capo, come dice Gesù, levare il capo e alzarci in piedi perché la liberazione è vicina. Vegliamo e preghiamo, fermiamoci ogni

giorno per non essere spazzati via dalla quotidianità, dal dolore, dall'attesa inuti-le di ciò che non può salvare, perché possiamo sfuggire a tutto ciò che deve accadere e comparire davanti al Figlio dell'uomo. Certo Gesù è già nato, e tornerà nella gloria, ma ora deve nascere in noi, in me, in te, perché la vita è questa ricerca, la vita è questo incontro sereno e miste-rioso. Sì, l'avvento serve a prepararci ad un appuntamento unico, comparire davanti al Signore, perché lui ci sarà, stiamone certi, ma noi potremmo non esserci, soffocati dall'ansia natalizia, spazzati via dal delirio quotidiano, sconfitti e rasse-gnati! Prepariamoci ad esserci, quel gior-no, alla sua venuta. Perché fuggire da-vanti ad un Dio consegnatosi a noi per amore? Quest’anno, a Natale, non presentiamoci con tutti i nostri doni fatti o ricevuti, carichi di oro, vestiti elegantemente, con la casa piena di ogni ben di Dio quasi tutto superfluo, con le tasche piene di cianfrusaglie, con lo sguardo perso, ob-bligati a festeggiare qualcuno che per noi non rappresenta nulla, con le mani piene di tutto e di più…quest’anno doniamo ai poveri, ospitiamo le persone sole, visitia-mo gli infermi, preoccupiamoci di chi soffre vicino a noi, siamo generosi con chi non ha nulla… Così ci presenteremo a Gesù con le mani vuote, avendo donato tutto, e solo così potremo concedere a Lui di riempircele dei suoi doni.

Paolo Curtaz

Natale è il grande giorno di Betlemme. Lo è tanto che viene celebrato addirittu-ra a tre riprese. Iniziano, nella notte del 24-25 dicembre, le Chiese cattoliche dei diversi riti, insieme con le altre Chiese occidentali; nella basilica della Natività presiede il patriarca latino accompagnato dai frati francescani, giacché a loro ap-partiene, insieme agli ortodossi greci e agli armeni ortodossi, la proprietà di questo luogo santo. Tredici giorni dopo, conformemente al calendario giuliano, è il Natale delle diverse Chiese ortodosse (salvo gli armeni); in basilica celebrano in contemporanea gli ortodossi greci, i copti ortodossi e i siro-ortodossi (questi ultimi due sugli altari prestati loro dagli armeni ortodossi). Infine, nella notte del 28-29 gennaio (che corrisponde nel ca-lendario giuliano a quella del 5-6 genna-io, festa del battesimo di Cristo), è il Natale della Chiesa armena ortodossa che non conosce la ce lebrazione del 25 dicem-bre, ma associa nascita e batte-simo di Gesù in una sola memoria; essi celebrano quindi da soli nella basilica. Certo, celebrare il Natale tutti insieme potrebbe essere un segno di unità fra i cristiani. Tuttavia, se si elevano voci per chiedere una celebrazione comune della Pasqua, di Natale solitamente non si par-la, e non è certamente Betlemme che si farà promotrice di una tale richiesta, perché, con questa diversità di calendari, è un mese intero dell’anno che è «abitato» dalla gioia di Natale, per la più grande soddisfazione dei suoi commer-cianti.Aldilà della data della nascita di Gesù - che nessuno conosce realmente perché il 25 dicembre come il 6 gennaio sono cristianizzazioni di antiche feste pagane, romana l’una, egiziana l’altra -, ciò che conta è l’evento celebrato: un tremendo paradosso. Pensate! Il Signore dell’universo, l’Onnipotente e il Creato-re di tutto ciò che esiste, si riduce fino ad apparire in un neonato.

Continua a pagina 4

Avvento Natale tenerezza di Dio

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PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

È così scandaloso che molti cristiani non vollero crederci e dissero che Gesù era, ad un certo momento, diventato Dio… E noi, non releghiamo tante volte il Na-tale ad una festa giusto buona per i bam-bini? Dio, fragile bambino, coricato in una mangiatoia, come fieno, pronto ad essere divorato dagli esseri umani. Ed è proprio ciò che avverrà. Trent’anni dopo, Gesù verrà messo a morte, croci-fisso come un malfattore sul Golgota, dopo essersi dichiarato «pane vivente» che dobbiamo mangiare per aver parte alla risurrezione e alla vita eterna (cfr Gv 6).Di questo mistero di Dio fattosi piccolo d’uomo, Betlemme ci ricorda le conseguenze. L’antica città di Davide appartiene oggi all’Autorità Palestinese, ciò che le vale di essere tagliata da Geru-salemme - che pure si trova alle sue porte - da un muro di otto o nove metri di al-tezza che si attraversa solo se muniti di permessi speciali e non senza severi con-trolli militari, a meno di essere turisti stranieri, e ancora… Città in cui, nono-stante la sua apparenza sorridente, regna-no disoccupazione, povertà e mendicità, città che vive soprattutto degli aiuti che arrivano dall’estero. Veramente, vi si fa l’esperienza della «impotenza» di Dio, la quale però non è altro che la «potenza» del suo amore per noi. Può forse l’amore imporsi con la forza delle armi? Nel bimbo di Natale, Dio condivide le nostre prove e le nostre disperazioni e le illumina con la sua tenerezza. Questo mistero paradossale non vale forse che lo si celebri tre volte? Almeno finché non si sia avverata la parola procla-mata dagli angeli: «Pace in terra agli uo-mini che Dio ama».

Daniel Attinger

Da bambini, il Natale sa di buono. Sa di calore e di colori, di cioccolata calda e di dolci sorprese. Sa di casa e di famiglia. Da grandi, un po’ perché si cresce, un po’ perché si cambia, il Natale perde quel suo fascino magico e scintillante, e a volte complice una vita e una storia non troppo “perfetta”, diventa nostalgico, triste, rispetto al suo passato ricco di luce. E’ rivolto proprio alle persone che nel Na-tale non riescono più a trovare un “senso” un “perché”, che vada di là dalla festa e della corsa ai regali, talvolta trop-po stucchevole e falsa come la neve finta di alcuni presepi, questo grido a cogliere del Natale la vera essenza, la verità più profonda. Di là dall’albero addobbato, degli ab-bracci più o meno sinceri, dei regali ricevuti o da donare, il Natale è la festa che celebra prima di tutto il Cristo, che nato il 25 Dicembre, al freddo e al gelo di una mangiatoia, è venuto a salvarci. Come la stella cometa, che guida il cam-mino dei Magi, il nostro piccolo inter-vento vuole scortarvi verso il Natale, quello sincero, che festeggia la venuta della “Luce del Mondo”. Luce che da lassù ancora oggi veglia su di noi e ci protegge. Ecco perché non si è mai soli a Natale. Non importa quanti regali si scartino, a quante feste si parteci. Il “Verbo che si è fatto uomo ed è venuto in mezzo a noi”, è sempre presente. E’ lì a riempirci il cuore di gioia, come fu fatto con i Magi tanti anni fa. E lì a inse-gnarci il cammino della fede e della spe-ranza, della comunione e del sacrificio. Se in questi periodi di faville e lustrini, dunque, vi sentirete un po’ soli, non lasciate che la tristezza prenda il soprav-vento. Sentitevi parte della comunità cristiana e insieme a lei cercate di trova-re, nel Dio che si rivela ed entra nel mondo, la forza per affrontare al pieno le difficoltà, gli scoramenti e il nuovo anno, che poco dopo aprirà le sue porte, con tante nuove sorprese. A voi amici, sono rivolti i nostri auguri più sinceri. Ad maiora.

Iolanda Mansi

Il 23 novembre è stato presentato presso la Sala Stampa della San-ta Sede il libro "Luce del Mondo. Il Papa, la Chiesa, i segni dei tempi. Una conversa-zione del Santo Padre Benedetto XVI con Peter Seewald". Il volume, a cura della Libreria Editrice Vaticana, Frutto di una settimana di conversazioni tra il Papa e il giornalista tedesco, l'estate scorsa a Ca-stel Gandolfo, il libro conta circa 280 pagine: oltre 90 le domande a cui rispon-de il Pontefice. Un libro-intervista semplice e profondo sul Papa, sulla Chiesa e sul mondo, che si legge d’un fiato. Benedetto XVI parla della sua vita quotidiana – gli manca di non poter fare una gita o una semplice passeggiata in città – e dei grandi temi dell’attualità. Oggi – dice – occorre rian-nunciare con “parole nuove” che “Dio è amore” a un’umanità che non comprende più che “il Sangue di Cristo sulla Croce è stato versato in espiazione dei nostri pec-cati” per la salvezza di tutti. “Sono for-mule grandi e vere” ma che sono ormai lontane dal nostro ragionare, sempre più intriso di “ateismo pratico”, incapace di alzare lo sguardo verso nuovi orizzonti. La Chiesa esiste per annunciare questa verità nonostante gli scandali che la feri-scono e tuttavia ci dimostrano che è pro-prio Gesù ad averla fondata: “Se dipen-desse dagli uomini – nota il Papa – la Chiesa sarebbe già affondata da un pez-zo”. Ma ci sono tanti segni di speranza, “un fiorire di nuove iniziative” nella Chiesa che non nascono da strutture o burocra-zie. “La burocrazia – afferma con forza – è consumata e stanca. Sono iniziative che nascono dal di dentro, dalla gioia dei giovani. Il Cristianesimo forse assumerà un volto nuovo, forse anche un aspetto culturale diverso” perché si trova di fron-te ad “una nuova dinamica” ed ha una “forza vitale” che cambia il mondo. E’ una forza piccola perché anche se i cattolici sono un miliardo e 200 milioni – spiega con sant’Agostino – “molti che

SEGUE DA PAGINA 3 Pensando al Natale… PRESENTATO IL NUOVO

LIBRO DEL PAPA: LUCE DEL MONDO

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sembrano stare dentro, sono fuori” in una “sorta di schizofrenia” tra voler ap-partenere alla comunità ecclesiale ed essere permeati da una mentalità secola-rizzata. Anche se è vero pure il contra-rio: “molti che sembrano stare fuori, stanno dentro”. E in questo contesto guarda “con tristezza” a quei giornalisti cattolici che nei media ecclesiali fanno propri gli slogan della solita critica alla Chiesa. Il Papa, da parte sua, “non ha il potere di imporre nulla”: è solo un uomo che deve “rendere testimonianza a Colui che è stato crocifisso”. E di fronte alle critiche e agli attacchi Benedetto XVI afferma: “Se avessi continuato a ricevere soltanto consensi, avrei dovuto chieder-mi se stessi veramente annunciando il Vangelo”. Oggi – sottolinea – “la vera minaccia … è che la tolleranza venga abolita in nome della tolleranza stessa”. Si sta affermando una “nuova religione”, quella della “cosiddetta ragione occidentale” che pre-tende di essere “l’unica e vera” religione “vincolante per tutta l’umanità”. Una nuova fede, astratta e tiranni-ca, che ha una fame di felicità che non riesce mai a saziare e “vuole godere oltre ogni limite” creando menzogna e distruzione e in nome del progresso minaccia l’esistenza stessa dell’umanità. “Il progresso – spiega il Papa – ha aumentato le nostre capacità, ma non la nostra grandezza e potenza morale e uma-na” e può essere distruttivo met-tendo in pericolo il mondo stesso come “oggi è confermato anche da dati scientifici”. La Chiesa – rileva il Papa – esiste perché “la questione di Dio torni ad essere centrale”. Bisogna”rimettere Dio al primo posto, allora tutto cambie-rà”. Tante le tematiche affrontate nell’intervista. La vicenda degli abusi sessuali – afferma - è stata “sconvolgente”. Tra le varie analisi, ri-corda il fatto che “a partire dagli anni Sessanta … dominava la convinzione che la Chiesa non dovesse essere una Chiesa di diritto, ma una Chiesa dell’amore; che non dovesse punire. Si spense in tal mo-do la consapevolezza che la punizione può essere un atto d’amore”. Ora è il tempo della purificazione. Sulla piaga dell’Aids Benedetto XVI afferma con

forza che “la Chiesa fa più di tutti gli altri … è l’unica istituzione veramente vicina alle persone, molto concretamente … come nessun altro si cura di tanti malati di Aids”. Ribadisce che “non si può risol-vere il problema con la distribuzione di profilattici. Bisogna fare molto di più … Vi possono essere singoli casi giustificati” motivati dall’intenzione di “diminuire il pericolo di contagio”. Ma “la Chiesa non considera i profilattici come la soluzione autentica e morale”. Nel campo della morale sessuale sottoli-nea che la Chiesa deve esprimere “in modo nuovo” la positività del corpo e della sessualità, doni di Dio che vanno vissuti nella responsabilità e nella consa-pevolezza che “i sondaggi … non rappre-sentano … il criterio del vero e del giu-sto”. Riguardo all’aborto rileva che “la società deruba se stessa delle sue grandi speranze” togliendo la vita ai bambini, che sono “persone umane”. Quanti bam-bini non nati, inoltre, “sarebbero potuti diventare geni, che avrebbero potuto

donare al mondo cose nuove?”. Ribadisce quindi la posizione della Chiesa sul celi-bato (“Lo scandalo che suscita, sta anche nel fatto che mostra questo: che vi sono persone che vi credono”), sul sacerdozio delle donne (“c’è … una volontà del Signore per noi, alla quale ci atteniamo, anche se questo è faticoso e difficile nella cultura … di oggi”) e sull’omosessualità (“Il rispetto per la persona è assoluta-mente fondamentale e decisivo” ma non per questo “l’omosessualità diviene mo-ralmente giusta”; inoltre “non è concilia-bile con il ministero sacerdotale”). Sui cattolici divorziati-risposati il Papa osser-va che è un “problema molto difficile” che “deve essere ancora approfondito”. Si ribadisce che “il matrimonio contratto

nella fede è indissolubile”; nello stesso tempo occorre “analizzare più a fondo la questione della validità dei matrimoni”, essere vicini a queste persone e invitarle a restare nella Chiesa anche in una situa-zione irregolare. Dialogo con l’Islam. Il discorso di Rati-sbona il 12 settembre 2005 – rileva - voleva essere “una lezione strettamente accademica, senza rendermi conto che il discorso di un Papa non viene considera-to dal punto di vista accademico, ma da quello politico”. Fu “estrapolato un passo e dato ad esso un significato politico, che in realtà non aveva”. “E tuttavia quell’episodio … ha sortito effetti positi-vi …da quella controversia è scaturito un dialogo veramente molto intenso”. L’Islam – prosegue il Papa - deve chiari-re due questioni: quelle del suo rapporto con la violenza e con la ragione. E poi la questione del diritto di cambiare la reli-gione. “Questo è un aspetto che gli inter-locutori islamici riconoscono con diffi-coltà. Chi è giunto alla verità, si dice,

non può più tornare indietro”. “E’ im-portante restare in contatto intenso con tutte le forze dell’Islam che voglio-no e possono dialogare”. Per quanto riguarda Pio XII e la decisione di rico-noscerne le virtù eroiche il Papa affer-ma che “è stato uno dei grandi giusti e che, come nessun altro, ha salvato tanti e tanti ebrei”. Non fece “una protesta pubblica” – e ne soffrì molto - perché sapeva “quali sarebbero state le conse-guenze”. “Si trattava … di migliaia di vite umane che solo in quel modo po-

terono essere salvate”. Caso Williamson. Non avrebbe revocato la scomunica se avesse saputo che negava l’esistenza delle camere a gas. “Da parte nostra – ha am-messo - è stato un errore non studiare e non esaminare a sufficienza la questione”. “E’ stato un momento critico” che ha mostrato come faccia parte del “Cattolicesimo del nostro tempo che nella Germania cattolica esista un nume-ro considerevole di persone che, per così dire, aspetta solo di poter colpire il Pa-pa”. Ecumenismo. Ha ribadito l’urgenza dell’impegno per l’unità dei cristiani, sottolineando il dialogo con gli ortodossi con cui i cattolici hanno più speranza di incontrarsi.

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Sulla Messa tridentina ha detto di aver voluto “rendere più facilmente accessibi-le la forma antica” per preservare l’ininterrotto legame che sussiste nella storia della Chiesa. “Non possiamo dire: prima tutto era sbagliato, ora invece tut-to è giusto”. La modifica alla preghiera del Venerdì Santo è stata fatta perché la vecchia formula “era tale da ferire vera-mente gli ebrei”. L’ha modificata in mo-do che non si pregasse direttamente per la conversione degli ebrei ma per ribadi-re che “Cristo è anche il Salvatore degli ebrei e non solo dei pagani”. Ricorda poi la dottrina cattolica sull’infallibilità del Papa (“solo in determinate circostanze e in determinate condizioni” e il Pontefice “ovviamente … può avere opinioni per-sonali sbagliate”) e sulle dimissioni: un Papa “ha il diritto e …anche il dovere di dimettersi” quando “giunge alla consape-volezza di non essere più in grado fisica-mente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli”. Il Papa affronta anche temi leggeri: gli piacciono film come Don Camillo e Peppone o come la fiction su santa Giuseppina Ba-khita. Ricorda le critiche ricevute per aver indossato il camauro, antico copri-capo pontificio messo l’ultima volta da Giovanni XXIII. Uno spunto per accusar-lo di voler tornare al passato: “Avevo semplicemente freddo ha spiegato - e la testa per me è un punto sensibile”. Rileva di non vivere isolato “in un mondo artifi-ciale circondato da cortigiani”: “credo che pochi al mondo incontrino tante per-sone quanto me”: vescovi e religiosi di tutto il mondo, ma anche persone sem-plici, madri di famiglia, amici. Tante le lettere che riceve da semplici fedeli che lo incoraggiano: “Noi preghiamo per te, non avere paura, ti vogliamo be-ne”.Benedetto XVI ricorda, infine, che l’Eucaristia. “è l’avvenimento centrale … della storia del mondo … forza deci-siva dalla quale sola possono scaturire dei cambiamenti”. Per questo i Santi, “toccati da Cristo”, sono i veri rivoluzio-nari, i fautori di “vere rivoluzioni di be-ne”. E interrogato sulla fine dei tempi invita ad alzare lo sguardo verso le realtà eterne e verso il giudizio finale, quando il male sarà definitivamente sconfitto. Dio “ci prende sul serio”, afferma il Papa –

prendiamolo sul serio anche noi. “Non possiamo stabilire quando il mondo fini-rà” ma Gesù “con invincibile certezza ci ha detto: io tornerò”. Maria ci indica l’essenziale che spesso non riusciamo più a vedere: “fede, speranza, amore, peni-tenza”. Nell’attesa della vittoria del bene – afferma il Papa – occorre ricordare che “i trionfi di Dio, i trionfi di Maria sono silenziosi e tuttavia reali”.

Sergio Centofanti Radio Vaticana

Coincidenze Qualche sera fa, chattando su facebook, il diffuso e simpatico social network tan-to amato dai giova-ni, ho dialogato con una ravellese ,mia amica e coetane-a,che mi comunica-va di aver ultimato la lettura del ro-manzo “L’avventura di un povero cristia-no”di Ignazio Silo-ne.Ovviamente alla comunicazione faceva seguito un com-mento nel quale la mia amica esprimeva un giudizio molto positivo sul testo di Silone e aggiungeva che la vicenda di papa Celestino V,protagonista del ro-manzo,aveva rafforzato in lei l’immagine della Chiesa corrotta e sempre meno fedele agli insegnamenti evangelici.” Il romanzo,insomma”,chiosava la lettrice”, mi ha convinta ancora di più della scelta che ho fatto di uscire dalla Chiesa”. Nelle parole della lettrice ravellese vi era il giudizio fermo,comune a tanti al-tri,soprattutto giovani,che vedono nella Chiesa solo la potente istituzione umana, responsabile di tanti crimini,intrighi e complotti dalla quale occorre stare lonta-ni,altrimenti si finisce per diventare co-me papi,vescovi,preti etc. che nulla han-no a che fare con Gesù Cristo,la fede etc. Insomma anche la lettura di un romanzo ha riproposto il concetto”Cristo sì,Chiesa no”. La questione non è di poco conto e sep-pur in brevi battute ho tentato di spiega-re alla mia amica le ragioni che mi indu-cono ad avere della Chiesa una concezio-ne diversa dalla sua e di conseguenza a non assumere posizioni drastiche che tanti,nauseati dai comportamenti di mol-

ti uomini di Chiesa,hanno invece deciso di prendere. Qualche giorno do-po,mercoledì 24 novembre,il Pa-pa,Benedetto XVI,nel corso dell’udienza settimanale,ha tenuto la catechesi su San-ta Caterina da Siena,una santa che ha avuto un ruolo eminente nella storia del-la Chiesa,capace di scuotere “le menti e i cuori, provocando conversione e rinno-vamento”.Leggo il testo del Pontefice e nelle parole di Benedetto XVI trovo la conferma a quelle scelte che io, e grazie a Dio tanti altri,abbiamo fatto,scegliendo di rimanere nella Chiesa,malgrado i mol-teplici esempi non proprio luminosi che la storia della Chiesa offre. Che coinci-denza!Nella catechesi del Papa ho trovato quelle risposte che la lettura di un ro-manzo,bello,aveva invece occultato. Anzi,”L’avventura di un povero cristia-no”aveva suscitato risposte contrarie a giudizio di ciò che la mia amica aveva detto. Senza tenere conto del fatto che nel corso del Giubileo del 2000,la Chiesa ha chiesto pubblicamente perdono per le colpe commesse nel corso della sua storia bimillenaria, attraverso la catechesi di Benedetto XVI vorrei tentare di spiegare perché la scelta della mia amica e di tanti miei coetanei e non solo,pur meritevole di rispetto,non può essere condivisibile. Il periodo storico in cui vive e opera Caterina da Siena non era diverso dal tempo in cui aveva vissuto papa Celesti-no V e neppure da tanti altri periodi tur-bolenti da cui è costellata la storia della Chiesa. Ebbene, come dice il Papa”anche nei momenti di maggiore difficoltà,il Signore non cessa di benedire il suo Po-polo suscitando Santi e Sante che scuota-no le menti e i cuori provocando conver-sione e rinnovamento”. Purtroppo,noi,abituati a considerare sempre il male che è molto più appari-scente del bene,e cedendo talvolta alle mode anticlericali o laiciste,pur essendo battezzati, dimentichiamo chi per noi credenti è il “Signore del tempo e della storia”,che invece opera sempre e, come ho ricordato in un’altra occasio-ne,costruisce il trono della sua misericor-dia sopra i nostri peccati. Prima di lasciare la Chiesa, schifati da tutto ciò che di negativo in essa c’è o si verifica,dovremmo con umiltà ripercor-rere le tappe della storia per comprende-re quanto dice il Papa che,parlando delle

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ultime ore terrene della Santa sene-se,ricorda che “da santa Caterina dunque noi apprendiamo la scienza più subli-me:conoscere e amare Gesù Cristo e la sua Chiesa”.Rimanere nella Chiesa non significa giustificare le mancanze dei suoi uomini,ma contribuire alla luce della Parola e dell’Eucaristia a dare testimo-nianza,per essere “in modo sempre più pieno discepoli del Signore”.Anche la vicenda terrena di papa Celestino V,verso il quale la mia amica ha convo-gliato le sue simpatie,come a suo tempo fece Ignazio Silone,dimostra che non bisogna fuggire dalla Chiesa, ma restare in Essa e continuare a dare testimonian-za. Celestino V tornato ad essere Pietro da Morrone continuò a fare l’eremita e a vivere nella Chiesa gli ideali di vita evan-gelica. Avrebbe potuto,con ragioni da vendere,scatenare una rivolta contro la Chiesa,contro quella Curia intrigante e corrotta nella quale operava perfetta-mente a suo agio Benedetto Caetani,il futuro Bonifacio VIII,ma non lo fece. Continuò a servire la Chiesa anche senza le insegne papali ed è diventato Santo. E a distanza di tanti secoli,la sua figu-ra,anche se in versione romanzata, colpi-sce e affascina come ha confermato la mia amica lettrice. E la storia della Chie-sa,ieri come oggi,pullula di figure gran-diose che la continuano a rendere “Sponsa Christi”nonostante tante infedel-tà. Santi che, come ricorda Benedetto XVI a proposito di santa Caterina, hanno avuto il dono delle lacrime che,secondo la santa domenicana,si mescolano al San-gue di Cristo. Certo!Chi ama piange e piange per amore. Piangiamo pure per le colpe della Chiesa,ma lasciamo trasparire dal nostro volto la gioia di chi è consape-vole di trovare in Dio la misericordia infinita. E soprattutto restiamo nella Chiesa per incontrare Cristo che santa Caterina descrive come un ponte tra il cielo e la terra,formato da tre scalo-ni,costituiti dai piedi,dal costato e dalla bocca del Crocifisso. Elevandosi attra-verso questi scaloni,ricorda il Pa-pa,l’anima passa attraverso le tre tappe di ogni via di santificazione:il distacco dal peccato,la pratica della virtù e dell’amore,l’unione dolce e affettuosa con Dio. Sbattere la porta e andare vi-a,mia cara amica,puntando il dito contro gli altri, diventa purtroppo,troppo spes-

so,non una fuga dalla Chiesa ma una cor-sa verso il mondo e le sue attrattive che ci invita non a percorrere ma a rompere questo ponte. E le conseguenze sono evidenti!

Roberto Palumbo

EDUCARE in un MONDO CHE CAMBIA G l i O r i e n t a m e n t i p a s t o r a l i dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, “ Educare alla Vita Buona del Vangelo”, già da me illustrati in un pre-cedente articolo, propongono molti spunti di riflessione utili, in questo mo-mento in cui l’emergenza educativa è diventata “una sfida”. E’importante allo-ra , ritornarci sopra, riflettere su ogni singolo capitolo, per realizzare“ un’approfondita verifica” della nostra azione educativa.

E’ necessario ripartire da un’educazione che aiuti a penetrare il senso della realtà , valorizzando tutte le dimensioni, immet-tendo germi di risurrezione “capaci di rendere buona la vita,di superare il ripie-gamento su di sé, la frammentazione ed il vuoto di senso che affliggono la nostra società”. Umilmente, ogni singola Co-munità Cristiana, si dovrà interrogare sul proprio “agire” in quanto Chiesa che edu-ca, confidando “nel tesoro che il Signore ha messo nelle nostre mani”. Il primo capitolo degli Orientamenti ci invita al discernimento per essere in grado di “Educare in un mondo che cambia”. Per la Chiesa in particolare, “l’opera educativa è strettamente legata al mo-mento ed al contesto in cui essa si trova a vivere, alle dinamiche culturali di cui è parte e che vuole contribuire ad orienta-re”. E’ lo stesso Gesù che ci chiede di “

valutare il tempo”, di interpretare ciò che avviene in profondità nel mondo di oggi, di cogliere le domande e i desideri dell’uomo (Lc,12,54-57). Il Concilio Vaticano II, altresì ci ha ricor-dato : “Bisogna, infatti, conoscere e com-prendere il mondo in cui viviamo , le sue attese, le sue aspirazioni ed il suo caratte-re spesso drammatico, ed è compito e dovere permanente della Chiesa di scru-tare i segni dei tempi ,di interpretarli alla luce del Vangelo, così che possa rispon-dere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Compiendo tale discernimento, la Chiesa si pone accanto ad ogni uomo, condivi-dendone gioie e speranze, tristezze ed angosce e diventando così solidale con la storia del genere umano”. Gli aspetti problematici del nostro tem-po sono tanti, a partire dalla cultura con-temporanea che ha la tendenza “a ridur-re il bene all’utile, la verità a razionalità empirica, la bellezza a godimento effime-ro”. Inoltre, un segno dei tempi è senza dubbio l’accresciuta sensibilità per la “libertà” in tutti gli ambiti dell’esistenza. La Buona Notizia del Vangelo, può tra-sformare il cuore dell’uomo, restituen-dogli ragioni di vita e speranza, poiché il messaggio cristiano pone proprio l’accento sulla forza e sulla pienezza di gioia donate dalla fede ,che sono infinita-mente più grandi di ogni desiderio dell’uomo. Il vero educatore sarà in gra-do di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone! E’ necessario com-prendere ed affrontare senza paura, al-cuni “nodi critici”, scaturiti dalle trasfor-mazioni avvenute nella nostra società: “l’eclissi del senso di Dio e l’offuscarsi della dimensione dell’interiorità, l’incerta formazione dell’identità perso-nale in un contesto plurale e frammenta-to, la difficoltà di dialogo tra le generazioni…”, cercando di trasfor-marli in opportunità educative. Forse una delle radici dell’emergenza educativa è la “falsa idea di autonomia” ormai radi-cata nell’uomo di oggi, ed il Santo Padre, più volte, nelle sue catechesi, ha messo in evidenza che: “ Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia” .

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E’ solo intessendo relazioni che l’uomo realizza sé stesso. Negli ultimi paragrafi del primo capitolo, infine, vengono con efficacia messi in evidenza le difficoltà del percorso formativo, a causa della sovrabbondanza dei messaggi culturali, religiosi e sociali, ed il compito più ur-gente diventa “educare a compiere scelte libere e responsabili.” Ancora una volta la famiglia è chiamata in causa, essendo il primo luogo dell’educazione, la comuni-tà in cui si colloca la radice più intima e più potente della generazione alla vita, alla fede, all’amore, ed è proprio nella famiglia che i giovani si trovano spesso a confronto con “figure adulte demotivate, poco autorevoli, incapaci di testimoniare ragioni di vita che suscitano amore e dedizione.” Altra difficoltà è la separazio-ne tra le dimensioni costitutive della persona in special modo la razionalità e l’affettività, la corporeità e la spiritualità. La mentalità odierna tende a dissociare il mondo della conoscenza dal mondo delle emozioni e a relegare gli affetti e le rela-zioni in un orizzonte privo di riferimenti significativi. Una vera relazione educati-va viceversa, richiede l’armonia tra la sfera razionale ed il mondo affettivo, tra intelligenza e sensibilità, tra cuore, spiri-to e mente , per realizzare il senso globa-le della persona che è adesione al bene e contemplazione della bellezza. Alla luce del quadro tracciato, si percepisce l’importanza della proposta educativa della comunità cristiana, il cui obiettivo fondamentale è promuovere lo sviluppo della persona nella sua totalità, così come si legge nella Gaudium et Spes, n°3 ed in Caritas in veritate, n°11: “ La vera forma-zione consiste nello sviluppo armonioso di tutte le capacità dell’uomo e della sua vocazione personale , in accordo ai prin-cipi del Vangelo e in considerazione del suo fine ultimo, nonché del bene della collettività umana di cui l’uomo è mem-bro e nella quale è chiamato a dare il suo apporto con cristiana responsabilità”. Le virtù umane e quelle cristiane, fanno parte dello stesso ambito, gli atteggia-menti virtuosi della vita vanno in con-temporanea, contribuiscono a far matu-rare la persona, a svilupparne la libertà , determinando la sua capacità di abitare la terra, di lavorare, gioire ed amare, asse-

condando l’anelito a raggiungere la so-miglianza con il “Sommo Bene che è Dio Amore”.

Giulia Schiavo

Per educare serve coraggio

«Per educare oggi serve coraggio», e si può farlo «accostando libertà e proposta, parola e testimonianza, insegnamento e vita». Questa l’esortazione e le «piste di rifles-sioni» offerte da mons. Mariano Crocia-ta, segretario generale della Cei, parlan-do questa mattina agli assistenti delle associazioni e movimenti giovanili riuniti oggi a Roma per la Giornata di studio sugli Orientamenti pastorali 2010-2020 «Educare alla vita buona del Vangelo». Il compito educativo - ha detto mons.

Crociata - vede accostare «libertà e pro-posta» ed esige nell’educatore la capacità «di sopportare il peso della libertà dell’educando ma senza rinunciare a of-frire una visione della vita, a suscitare una decisione, ad attestare un senso dello stare al mondo». «La libertà - ha poi ag-giunto il segretario della Cei - non si attiva in un vuoto apparentemente infini-to di possibilità illimitate di percorsi, scelte e opportunità ma all’interno di una proposta già collaudata e percorsa dall’educatore e offerta in modo motiva-ta e convincente». La proposta di un progetto di vita ispirata al Vangelo inol-tre «non può che essere compiuta me-diante la comunicazione di una parola e l’offerta di una testimonianza» perchè - ha spiegato mons. Crociata - «nel compi-to educativo l’efficacia della parola deve passare al vaglio del gesto che la invera e

le conferisce l’eloquenza dei fatti, l’unica a risultare veramente intelligibile e cre-dibile». Di qui l’ultimo «binomio», quel-lo «tra insegnamento e disciplina» «contro ogni possibile deriva intellettua-listica». «I ragazzi - ha detto mons. Crociata - crescono prima che ascoltando parole e concetti, facendo, vivendo, praticando perchè l’educazione si compie quando diventa cammino di cui il giovane è sog-getto. Ma perchè questo avvenga è ne-cessario che le scelte, le convinzioni, i valori, le virtù diventino carne e sangue nella prassi ordinaria del giovane». Non si tratta quindi di una «educazione ridotta a mera verbosità. Sarebbe una educazione incompiuta, un’educazione mancata. Nella nostra pastorale giovani-le, finchè riduciamo tutto a predica (nel senso ovviamente più dispregiativo del termine e non come annuncio della Pa-rola), finchè riduciamo tutto a parola a cui non corrisponde una prassi, la nostra pastorale non produrrà alcun risultato se non un simpatico stare insieme, una buo-na compagnia, una qualche attività bene-fica».

Giacomo Galeazzi

IL CORAGGIO DELL’IMPEGNO TOTALE PER IL REGNO DI DIO

“E’ apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri monda-ni”. Con l’esortazione di San Paolo intendo dare significato alla mia scelta vocaziona-le e voglio darvi un breve ritratto di me. Nell’anno a lui dedicato, il 2007 , ho percepito la chiamata del Signore verso una vita di amore a Dio e al prossi-mo, nel servizio da svolgere nella chiesa. Nella preghiera e nella contemplazione delle bellezze del creato che il Signore ha donato alla nostra amata Ravello, una delle gemme più belle della Costa d’Amalfi, ho ascoltato la sua voce. Cresciuto in una famiglia ferventemente cattolica, ho respirato fin da piccolo l'a-more e la protezione del Signore che mi ha accompagnato fino al momento della "chiamata".Grande è la stata la gioia nell’

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ascoltare la sua voce che ha gene-rato in me un forte senso di responsabilità sul mio orientamen-to. Incoraggiato dalla presenza materna di Maria e di San Pantaleo-ne nostro patro-no, ho pregato Dio affinchè mi donasse la forza per compiere quel passo impegnativo e difficile e la gra-zia della perseve-ranza della scelta. Il 04 ottobre 2009, giorno dedicato alla festività di San Fran-cesco D’Assisi, ho varcato la soglia del seminario metropolitano “Giovanni Pao-lo II” di Salerno, per trascorrervi un anno dedicato al discernimento della scelta presa. Sentivo e sento le preghiere che voi fedeli ravellesi, incessantemente rivolgete al Signore per me. La vostra preghiera mi sostiene nel mio cammino e nella crescita dell’amore di Dio e a Cristo pastore supremo delle nostre ani-me. Vi scrivo queste parole per sintoniz-zare il mio cuore al vostro e crescere insieme nell’amore che è fondamento della vita . In ciò mi guida il pensiero di San Tommaso che nella Somma Teologica e nelle altre sue opere maggiori pone l’amore a fondamento della vita morale. È l’amore che decide ultimamente della qualità delle azioni e della persona stessa che le compie. L’amore del bene autenti-co, che si identifica in pratica con Dio, unico supremo bene, rende l’uomo buo-no e, gradualmente, lo conduce alla per-fezione facendogli vivere la stessa vita divina: "Amor divinus facit hominem, secun-durn quod possibile est, non sua vita sed Dei vivere". Dopo un anno di discernimento e di valutazione, in questo periodo inizio gli studi filosofici. Mi affido ora alle vo-stre preghiere e alla protezione del no-stro patrono San Pantaleone, della com-patrona Santa Barbara, del Beato Bona-ventura da Potenza, di Santa Chiara e di tutti quei santi che hanno visitato e dato la loro testimonianza di Cristo alla nostra città. Vi abbraccio con un gesto di fratel-lanza e di amore.

Santa Maria, Madre di Dio, tu hai donato al mondo la vera luce, Gesù, tuo Figlio – Figlio di Dio. Ti sei consegnata completamente alla chiamata di Dio e sei così diventata sorgente della bontà che sgorga da Lui. Mostraci Gesù. Guidaci a Lui. Insegnaci a conoscerlo e ad amarlo, perché possiamo anche noi diventare capaci di vero amore ed essere sorgenti di acqua viva in mezzo a un mondo assetato.

Christian Ruocco

L’INCONTRO NAZIONALE DELL’AZIONE CATTOLICA

CON IL SANTO PADRE

Lo scorso 30 ottobre a Roma circa 100.000 giovanissimi, giovani ed educa-tori dell’Azione Cattolica hanno fatto visita al Santo Padre, momen-to importante nel percorso della vita di tutta l’Azione Cattolica e ponte e passag-gio verso il nuovo anno associativo 2010/2011, ultimo di un triennio carat-terizzato dall’attenzione verso la santità, dalla’ impegno per la cura educativa e dalla passione per il bene comune. E’ stata una giornata che i presenti difficil-mente scorderanno. Un mare di persone ha letteralmente invaso Piazza S. Pietro e gran parte di Via della Conciliazione. Tra questi erano presenti circa 150 persone tra ragazzi e giovanissimi della nostra diocesi, accom-pagnati dai loro educatori, dai genitori e da alcuni sacerdoti. Da Ravello oltre a noi educatori Manuelita, Raffaele e il seminarista Christian, hanno partecipato alla grande festa anche Arianna, Alessan-dra, Eleonora, Gemma, Sabrina, Vivia-na, Annalisa, Andreina, Benedetta, Da-

niela, Giulia, Maddalena, Martina, Raffa-ella e Velia. Sicuramente un’ottima ri-sposta delle nostre giovanissime all’invito lanciato dall’AC nazionale. Lo slogan della giornata è stato: “C’è di +! Diventiamo grandi insieme”. I giovani nel ritrovarsi insieme si fanno compagni di strada, attenti all’invito di Gesù a esse-re “sale della terra e luce del mondo”, per condividere e realizzare insieme un progetto per il quale hanno da dire e da dare. L’incontro è iniziato al mattino con un momento di animazione e di preghiera, poi ci sono stati gli interventi del Prof. Franco Miano, Presidente nazionale di AC e di mons. Domenico Sigalini, vesco-vo di Palestrina e Assistente ecclesiastico generale. Entrambi hanno evidenziato che è essenziale per i ragazzi e i giovanis-simi trovare la consapevolezza che tra le mille cose che affollano la loro vita c’è qualcosa di più, già scritto nel loro cuo-re, che deriva dalla scintilla di Dio che li ha creati a sua immagine e abita in ciascu-no di loro. Qualcosa che conduce all’incontro personale con Cristo. Un incontro che non può lasciare indifferenti ma che cambia radicalmente la prospetti-va con cui si guardano le persone ed il mondo, alla luce del Dio-Amore. Presente anche il Card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e pre-sidente della CEI che, rivolgendosi agli adulti e agli educatori, li ha esortati ad essere «Credibili ed efficaci». Sul sagrato di piazza S. Pietro erano presenti nume-rosi vescovi, a testimonianza della vici-nanza e dell’affetto di tutta la Chiesa ita-liana nei confronti della nostra associa-zione. Finalmente, poi, dopo una lunga attesa è arrivato il Santo Padre. Il Papa rispondendo alle domande di un acierri-no, di un giovanissimo e di un educatore, ha ricordato la sua infanzia e la sua adole-scenza ed ha esortato i presenti a non accontentarsi dell’”amore” proposto dalla società e dai mass-media, ma cercare la «forza insopprimibile che è l’amore che trova in Gesù la sua massima espressio-ne». Agli educatori il Santo Padre ha rivolto l’invito ad approfondire la cono-scenza personale di Gesù e a mantenere con Lui il contatto personale quotidiano, attraverso la preghiera e i sacramenti.

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La festa è poi continuata nel pomeriggio in Piazza di Siena per l’ACR e in Piazza del Popolo per i Giovanissimi, tra musi-ca, divertimento e tante testimonianze tra cui quella dell’allenatore della Nazio-nale di calcio Cesare Prandelli, del can-tautore Roberto Vecchioni, della pittrice e ballerina Simona Atzori, del cantante dei PQuadro Pietro Napolano e di don Luigi Ciotti. Al termine della giornata i ragazzi hanno accusato un po’ la fatica, ma sicuramente porteranno sempre nel cuore questa giornata perché nelle gioie come nelle fatiche è possibile e bello scorgere la presenza di Gesù.

Raffaele Amato

«Imparare l'arte del vero amore»

Dialogo del Papa con i ragazzi

Domanda del ragazzo di ACR Santità, cosa significa diventare grandi? Cosa devo fare per crescere seguendo Gesù? Chi mi può aiutare? Santo Padre Cari amici dell’Azione Cattolica Italiana! Sono semplicemente felice di incontrar-vi, così numerosi, su questa bella piazza e vi ringrazio di cuore per il vostro affetto! A tutti voi rivolgo il mio benvenuto. In particolare, saluto il Presidente, Prof. Franco Miano, e l’Assistente Generale, Mons. Domenico Sigalini. Saluto il Car-dinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, gli altri Vescovi, i sacerdoti, gli educatori e i genitori che hanno voluto accompagnar-vi.Allora, ho ascoltato la domanda del ragazzo dell’ACR. La risposta più bella su che cosa significa diventare grandi la portate scritta voi tutti sulle vostre ma-gliette, sui cappellini, sui cartelloni: "C’è di più". Questo vostro motto, che non conoscevo, mi fa riflettere. Che cosa fa un bambino per vedere se diventa gran-de? Confronta la sua altezza con quella dei compagni; e immagina di diventare più alto, per sentirsi più grande. Io, quando sono stato ragazzo, alla vostra età, nella mia classe ero uno dei più pic-coli, e tanto più ho avuto il desiderio di essere un giorno molto grande; e non solo grande di misura, ma volevo fare

qualcosa di grande, di più nella mia vita, anche se non conoscevo questa parola "c’è di più". Crescere in altezza implica questo "c’è di più". Ve lo dice il vostro cuore, che desidera avere tanti amici, che è contento quando si comporta bene, quando sa dare gioia al papà e alla mam-ma, ma soprattutto quando incontra un amico insuperabile, buonissimo e unico che è Gesù. Voi sapete quanto Gesù vo-leva bene ai bambini e ai ragazzi! Un giorno tanti bambini come voi si avvici-narono a Gesù, perché si era stabilita una bella intesa, e nel suo sguardo coglievano il riflesso dell’amore di Dio; ma c’erano anche degli adulti che invece si sentivano disturbati da quei bambini. Capita anche a voi che qualche volta, mentre giocate, vi divertite con gli amici, i grandi vi dico-no di non disturbare… Ebbene, Gesù rimprovera proprio quegli adulti e dice loro: Lasciate qui tutti questi ragazzi, perché hanno nel cuore il segreto del Regno di Dio. Così Gesù ha insegnato agli adulti che anche voi siete "grandi" e che gli adulti devono custodire questa

grandezza, che è quella di avere un cuore che vuole bene a Gesù. Cari bambini, cari ragazzi: essere "grandi" vuol dire amare tanto Gesù,

ascoltarlo e parlare con Lui nella pre-ghiera, incontrarlo nei Sacramenti, nella Santa Messa, nella Confessione; vuole dire conoscerlo sempre di più e anche farlo conoscere agli altri, vuol dire stare con gli amici, anche i più poveri, gli am-malati, per crescere insieme. E l’ACR è proprio parte di quel "di più", perché non siete soli a voler bene a Gesù - siete in tanti, lo vediamo anche questa matti-na! -, ma vi aiutate gli uni gli altri; per-ché non volete lasciare che nessun amico sia solo, ma a tutti volete dire forte che è bello avere Gesù come amico ed è bello essere amici di Gesù; ed è bello esserlo insieme, aiutati dai vostri genitori, sacer-doti, animatori! Così diventate grandi davvero, non solo perché la vostra altez-za aumenta, ma perché il vostro cuore si apre alla gioia e all’amore che Gesù vi dona. E così si apre alla vera grandezza,

stare nel grande amore di Dio, che è anche sempre amore degli amici. Speria-mo e preghiamo di crescere in questo senso, di trovare il "di più" e di essere veramente persone con un cuore grande, con un Amico grande che dà la sua gran-dezza anche a noi. Grazie. Domanda della giovanissima Santità, i nostri educatori dell’Azione Catto-lica ci dicono che per diventare grandi occorre imparare ad amare, ma spesso noi ci perdiamo e soffriamo nelle nostre relazioni, nelle nostre amicizie, nei nostri primi amori. Ma cosa significa amare fino in fondo? Come possiamo imparare ad amare davvero? Santo Padre Una grande questione. E’ molto impor-tante, direi fondamentale imparare ad amare, amare veramente, imparare l’arte del vero amore! Nell’adolescenza ci si ferma davanti allo specchio e ci si accor-ge che si sta cambiando. Ma fino a quan-do si continua a guardare se stessi, non si diventa mai grandi! Diventate grandi quando non permettete più allo specchio di essere l’unica verità di voi stessi, ma quando la lasciate dire a quelli che vi sono amici. Diventate grandi se siete capaci di fare della vostra vita un dono agli altri, non di cercare se stessi, ma di dare se stessi agli altri: questa è la scuola dell’amore. Questo amore, però, deve portarsi dentro quel "di più" che oggi gridate a tutti. "C’è di più"! Come vi ho già detto, anch’io nella mia giovinezza volevo qualcosa di più di quello che mi presentava la società e la mentalità del tempo. Volevo respirare aria pura, so-prattutto desideravo un mondo bello e buono, come lo aveva voluto per tutti il nostro Dio, il Padre di Gesù. E ho capito sempre di più che il mondo diventa bello e diventa buono se si conosce questa vo-lontà di Dio e se il mondo è in corrispon-denza con questa volontà di Dio, che è la vera luce, la bellezza, l’amore che dà senso al mondo.E’ proprio vero: voi non potete e non dovete adattarvi ad un amo-re ridotto a merce di scambio, da consumare senza rispetto per sé e per gli altri, incapace di castità e di purezza. Questa non è libertà. Molto "amore" proposto daimedia, in internet, non è a-more, ma è egoismo, chiusura, vi dà l’illusione di un momento, ma non vi rende felici, non vi fa grandi, vi lega co-me una catena che soffoca i pensieri e

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i sentimenti più belli, gli slanci veri del cuore, quella forza insopprimibile che è l’amore e che trova in Gesù la sua massi-ma espressione e nello Spirito Santo la forza e il fuoco che incendia le vostre vite, i vostri pensieri, i vostri affetti. Certo costa anche sacrificio vivere in modo vero l’amore - senza rinunce non si arriva a questa strada - ma sono sicuro che voi non avete paura della fatica di un amore impegnativo e autentico, E’ l’unico che, in fin dei conti, dà la vera gioia! C’è una prova che vi dice se il vo-stro amore sta crescendo bene: se non escludete dalla vostra vita gli altri, so-prattutto i vostri amici che soffrono e sono soli, le persone in difficoltà, e se aprite il vostro cuore al grande Amico che è Gesù. Anche l’Azione Cattolica vi insegna le strade per imparare l’amore autentico: la partecipazione alla vita della Chiesa, del-la vostra comunità cristiana, il voler bene ai vostri amici del gruppo di ACR, di AC, la disponibilità verso i coetanei che incontrate a scuola, in parrocchia o in altri ambienti, la compagnia della Madre di Gesù, Maria, che sa custodire il vostro cuore e guidarvi nella via del bene. Del resto, nell’Azione Cattolica, avete tanti esempi di amore genuino, bello, vero: il beato Pier Giorgio Frassati, il beato Alberto Marvelli; amore che arriva anche al sacrificio della vita, come la beata Pierina Morosini e la beata Antonia Mesina.Giovanissimi di Azione Cattolica, aspirate a mete grandi, perché Dio ve ne dà la forza. Il "di più" è essere ragazzi e giovanissimi che decidono di amare come Gesù, di essere protagonisti della propria vita, protagonisti nella Chiesa, testimoni della fede tra i vostri coetanei. Il "di più" è la formazione umana e cri-stiana che sperimentate in AC, che uni-sce la vita spirituale, la fraternità, la te-stimonianza pubblica della fede, la comu-nione ecclesiale, l’amore per la Chiesa, la collaborazione con i Vescovi e i sacer-doti, l’amicizia spirituale. "Diventare grandi insieme" dice l’importanza di far parte di un gruppo e di una comunità che vi aiutano a crescere, a scoprire la vostra vocazione e a imparare il vero amore. Grazie.

Benedetto XVI

La comunità ecclesiale di Ravello si ap-presta a celebrare la memoria liturgica di Santa Barbara da Nicomedia, Vergine e Martire, compatrona della città. Una figura venerata per antica tradizione po-polare e sempre presente nella storia religiosa di Ravello, come attestano le numerose testimonianze documentarie e artistiche. La presenza del culto di Santa Barbara a Ravello risale, infatti, almeno all’epoca del vescovo Costantino Rogadeo (1094 - 1150), quando una reliquia della marti-re, recante il sigillo del presule, veniva riposta, insieme a quelle di altri santi, nell’altare maggiore della chiesa parroc-chiale di San Pantaleone, nella Piazza di Sant’Adiutore, l’odierna Piazza Fontana. Sulla base del consolidato legame devo-zionale, nel passato, è stata anche suppo-sta l’esistenza di un antico patronato della santa sulla città, precedente quello di San Pantaleone. Una tesi che, però, non trova alcun riscontro nelle fonti ar-chivistiche e storiografiche, come già nel 1887 evidenziava Luigi Mansi, canonico della Cattedrale e profondo conoscitore di storia patria, in quanto “in tutte le carte e i documenti del nostro archivio nulla se ne dice”. Sullo sperone occidentale della città, in una cavità rocciosa situata nella zona sottostante il Monastero delle Clarisse, sede di un interessante insediamento rupestre, sorse la chiesa di Santa Barbara alle Grotte, un’aula a tre altari e tre absi-di in cui era conservata la reliquia del capo della vergine martire di Bitinia,

custodita in una testa d’argento. Il sacro edificio, nei pressi del quale era presente anche una grande cava di marmo “colorito”, dovette essere abbandonato nel corso del sec. XIV e fu pertanto annesso dapprima al Monastero della Trinità e poi alla chiesa Cattedrale che oggi custo-disce le reliquie e le testimonianze figu-rative più interessanti della santa orienta-le, effigiata con i tradizionali elementi iconografici: la palma e la torre. In tempo di Avvento, periodo di attesa e di speranza ma anche di ascolto e di ri-flessione sul regno di giustizia e di pace inaugurato dal Messia e sull’identità divi-no-umana della persona di Cristo, la festa di Santa Barbara immerge la “Città della Musica” nell’atmosfera prenatalizia: i dolci motivi pastorali degli zampognari riecheggiano antiche melodie che riman-dano alle “novene” dell’Immacolata e del Natale, a figure da presepe che, con il suono di zampogne e ciaramelle, infon-dono pace e serenità. Un’oasi della me-moria in cui la tradizionale fiaccolata di bengala, con le cascate e i bagliori artifi-ciali, è ancora capace di affascinare l’uomo, di interpretarne, grazie al com-plesso simbolismo del fuoco, sentimenti di purificazione e di rigenerazione. Quel fuoco che avrebbe accompagnato gli uo-mini non solo negli eventi più tumultuosi ma anche nei momenti di maggiore cora-lità e di tensione celebrativa proprio sot-to lo sguardo benevolo della splendida Barbara. Alla luce di queste poche righe appare evidente come la festa di Santa Barbara costituisca per la nostra città un impor-tante momento di fede e di tradizione, un’ occasione per guardarsi indietro e riscoprirsi figli di una terra dalle radici sante. Un invito rivolto soprattutto alle giovani generazioni poiché, come ha sottolineato Giuseppe Palumbo nel corso del Convegno su Santa Barbara alle Grot-te del 2006, “questa è la nostra storia, que-ste sono le nostre radici. Un albero che non ha radici inevitabilmente secca, un popolo che le ignora, le trascura, le annulla sull’altare delle convenienze egoistiche è destinato fatal-mente a morire”.

Luigi Buonocore

Ravello fa memoria della Compatrona Santa Barbara da Nicomedia

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CELEBRAZIONI DEL MESE DI DICEMBRE GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa

2 - 9 - 16 -23 -30 DICEMBRE

Dopo la Messa feriale Adorazione Eucaristica 4 DICEMBRE MEMORIA LITURGICA DI S. BARBARA - Compatrona di Ravello Ore 15.30: Raduno in Piazza Duomo e Pellegrinaggio a Santa Barbara alle Grotte. Ore 18.00:Santa Messa ed Esposizione della statua della Santa Compatrona. 5 DICEMBRE II DOMENICA DI AVVENTO Ore 8.00 - 10.30: Santa Messa Comunitaria. Ore 16.30: Gli zampognari del gruppo “Symphonia” di Minori allieteran-no le vie del centro con le dolci melodie pastorali tipiche della tradizione natalizia. Ore 18.00: Solenne Celebrazione Eucaristica cui seguirà la processione lungo Via della Marra 7 DICEMBRE Ore 18.00:Messa Prefestiva dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria MARTEDI’ 8 DICEMBRE Solennità dell’Immacolata Concezione della B.V.Maria Ore 8.00 - 10.30 - 18.00: Sante Messe 12 DICEMBRE - III DOMENICA DI AVVENTO (Domenica Gaudete) Ore 8.00 - 10.30 - 18.00: Sante Messe 13 DICEMBRE - MEMORIA LITURGICA DI S. LUCIA 15 DICEMBRE Inizio della Novena di Natale Ore 17.00: Santo Rosario, Coroncina, litanie Ore 17.30: Santa Messa 19 DICEMBRE - IV DOMENICA DI AVVENTO Ore 08.00-10.30-18.00: SanteMesse 24 DICEMBRE—VIGILIA DI NATALE Ore 23.45 Processione con la statua di Gesù Bambino Ore 24.00:Messa Solenne della Notte 25 DICEMBRE SOLENNITA’ DEL NATALE DEL SIGNORE Ore 8.00 - 10.30 -18.00: Sante Messe 26 DICEMBRE - DOMENICA FRA L’OTTAVA DI NATALE Santa Famiglia di Gesù,Maria e Giuseppe - Giornata della Famiglia Ore 8.00 - 10.30 -18.00: Sante Messe 27 DICEMBRE - FESTA DI S. GIOVANNI APOSTOLO ED EVANGELISTA 28 DICEMBRE - FESTA DEI SS. INNOCENTI MARTIRI 30 DICEMBRE Ore 18.00: ADORAZIONE EUCARISTICA PROLUNGATA SINO ALLE ORE 8.00 DEL 31 DICEMBRE 31 DICEMBRE Ore 18.00: Messa di Ringraziamento di fine anno e canto del “Te Deum”