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Cavour Commemorazione solenne del centocinquantesimo anniversario della morte a 150 anni dall’Unità d’Italia Incontri in Senato

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CavourCommemorazione solenne del centocinquantesimo

anniversario della morte

Gli ultimi della stessa collana

n. 8 Senati d’EuropaXII Riunione

n. 9 L’Europa in movimentoda migranti a cittadini europei

n. 1040° anniversario Italia-Cina La normalizzazione delle relazioni diplomatiche

n. 11 POLITICA E ISTITUZIONI ATTRAVERSO 150 ANNI DI STORIA D'ITALIA Le élites del Parlamento subalpino

Incontri in Senato

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a 150 anni dall’Unità d’Italia

Incontri in Senato

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Senato della Repubblica

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Senato della Repubblica

CavourCommemorazione solenne delcentocinquantesimo anniversario

della morte, a 150 annidall’Unità d’Italia

7 GIUGNO 2011AULA

PALAZZO MADAMA

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Il presente volume raccoglie gli atti della commemorazionesolenne del centocinquantesimo anniversario della morte

di Camillo Benso, conte di Cavour,svoltasi nell'Aula di Palazzo Madama

il 7 giugno 2011

© 2011 Senato della Repubblica

La pubblicazione è stata curata dall'Ufficio comunicazioneistituzionale e dall'Ufficio delle informazioni parlamentari,

dell'archivio e delle pubblicazioni del Senato

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Indice

RENATO SCHIFANIPresidente del Senato della Repubblica

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GIUSEPPE MENARDISenatore, Gruppo CN-Io Sud

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GIANPIERO DE TONISenatore, Gruppo IdV

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GIANPIERO D’ALIASenatore, Gruppo UDC-SVP-AUT:

UV-MAIE-VN-MRE-PLI41

MARIA IDA GERMONTANISenatrice, Gruppo Misto-FLI

49

ENRICO MONTANISenatore, Gruppo LNP

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LUIGI ZANDASenatore, Gruppo PD

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GAETANO QUAGLIARIELLOSenatore, Gruppo PdL

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RENATO SCHIFANIPRESIDENTE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Onorevoli colleghi, la ricorrenza della morte di Camillo

Benso, conte di Cavour, proprio nel cuoredelle celebrazioni per il 150° anniversariodell’unificazione politica italiana, è unagrande occasione non solo per ricordare lostatista che, con il suo impegno e con le sueintuizioni, è stato uno degli artefici del-l’Unità, ma anche per un’ulteriore riflessio-ne sugli eventi fondativi dello Stato nazio-nale.

Pur «lontano dalla tradizione cultura-le italiana», secondo la definizione di Fede-rico Chabod, e più attento alle grandi tra-sformazioni che investivano l’Europa occi-

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dentale, nel corso degli anni Cavour maturòuna grande attenzione nei confronti dellaPenisola, i cui destini vedeva legati a quellicontinentali. E il piemontese che si sentivaeuropeo grazie alla formazione cosmopolitadivenne presto italiano, come ha ricordatoRosario Romeo.

Mosso da una fede quasi religiosa nelprogresso dell’umanità, riteneva che la li-bertà politica e quella economica, intima-mente legate ai suoi occhi, dovessero essereil motore dell’opera di “incivilimento” dellesocietà. La libertà di commercio e lo svilup-po delle banche e delle ferrovie, a suo avvi-so, avrebbero generato una prosperità dif-fusa e aperto all’Italia le porte del mondomoderno, ponendo fine all’inquietudine chetormentava il Paese. L’unificazione econo-mica e il tramonto dell’egemonia asburgicaerano quindi indispensabili alla formazione

COMMEMORAZIONE SOLENNE DI CAVOUR

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di uno Stato nazionale, a sua volta premes-sa necessaria al consolidamento di una so-cietà liberale.

Lasciando agli storici il compito diindividuare l’ampiezza del disegno politicooriginario di Cavour - se, cioè, avesse inmente fin dai primi atti di governo una verae propria “idea italiana” e dunque un pro-getto politico esteso all’intera Penisola - ècerto comunque che egli, pur ritenendo «es-sere la storia una grande improvvisatrice»,come affermò in un discorso parlamentaredel 1857, non si fece sorprendere dagli av-venimenti.

Convinto della necessità di attuareprofonde riforme per evitare dannose rivo-luzioni, avviò nel Regno di Sardegna unrinnovamento dei gangli vitali dello Stato,anche mediante un massiccio avvicenda-mento del personale, soprattutto di vertice.

RENATO SCHIFANI

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In questo modo favorì la creazione dei qua-dri politici e amministrativi della nuova Ita-lia, pur ancora di là da venire, mentre le in-novazioni economiche e finanziarie, nondisgiunte da un utilizzo ardito del debitopubblico, aprirono la strada alla formazionedi un ceto dirigente e di una realtà impren-ditoriale che assicurarono il consenso so-ciale all’accordo politico del «connubio», dalui considerato il più bell’atto della sua vitapolitica.

Nell’operazione di rimodellamentodello Stato e di ricerca del consenso sociale,fu attento a ricercare e ottenere l’appoggiodella nuova realtà dell’opinione pubblica,alla quale spesso si richiamava, come a«una specie di fumo» che «tosto o tardi tra-sformandosi in vapore solleva i maggioriostacoli e vince le maggiori difficoltà».

Consensi minori raccolse invece pres-

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so la popolazione la sua politica in materiaecclesiastica e soprattutto la soppressionedegli ordini contemplativi e mendicanti el’incameramento dei loro beni, giustificati -nel discorso parlamentare del 17 febbraio1855 - sia da considerazioni di natura fi-nanziaria sia dalla convinzione di saper di-scernere quali fossero gli ordini religiosiancora «utili» alla Chiesa e alla società.

I grandi mutamenti sullo scenario in-ternazionale gli consentirono di usciredall’impasse della politica interna, nellacorretta convinzione di poter ottenere risul-tati concreti solo agendo sul piano europeo,dove stava mutando il rapporto di forze frarivoluzione e conservazione.

Abile nel giocare su più tavoli neimomenti decisivi - il Congresso di Parigi,l’armistizio di Villafranca, la spedizione deiMille e l’occupazione delle Marche e del-

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l’Umbria pontificie - ebbe la felice intuizio-ne di perseguire una «rivoluzione italianacon un Re» - tanto temuta invece dal re-pubblicano Giuseppe Mazzini - per supera-re gli assetti territoriali fissati al Congressodi Vienna ed evitare al contempo il rischiodi una deriva sovversiva. In questo modoriuscì a “costituzionalizzare” la rivoluzione,anche assumendo rischi che non escludeva-no l’azzardo di fronte a fattori non previsti,ma avendo sempre come stella polare ilParlamento.

«Io credo che con il Parlamento sipossano fare molte cose che sarebbero im-possibili per un potere assoluto», scrissenell’ottobre del 1860; un’affermazione chetuttavia non escludeva comportamenti piùaudaci, come in occasione degli accordi diPlombières, quando confidò al fidato colla-boratore Costantino Nigra: «Controfirman-

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do un trattato segreto che comporta la ces-sione di due province, io commetto un attoaltamente incostituzionale», aggiungendotuttavia: «Credo di poter garantire moral-mente l’adesione del Parlamento. Il Re e ionon ne dubitiamo».

La politica sul Mezzogiorno fu poi ilsuo capolavoro politico. Nel discorso parla-mentare del 2 ottobre 1860, Cavour usa duevolte l’espressione «annessione dell’Italiameridionale». Ed in effetti l’articolo unicodella legge 3 dicembre 1860, n. 4497, reci-ta: «Il Governo del Re è autorizzato ad ac-cettare e stabilire per Reali Decreti l’annes-sione allo Stato di quelle province dell’Italiacentrale e meridionale nelle quali si mani-festi liberamente, per suffragio universalediretto, la volontà delle popolazioni di farparte integrante della nostra Monarchia co-stituzionale».

RENATO SCHIFANI

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Duttile e pragmatico, di fronte a vi-cende il cui esito non era affatto scontato,riuscì - al di là delle stesse parole usate inParlamento - a tenere sotto controllo tuttele forze in campo, eterogenee e fra loro di-vergenti, e ad indirizzare gli avvenimentiverso la conclusione unitaria, così imprevi-sta da fargli dichiarare, nel dicembre 1860:«Ora che la fusione delle varie parti dellaPenisola è compiuta, mi lascerei ammazzaredieci volte prima di consentire a che si scio-gliesse».

Si accinse quindi ad affrontare legrandi questioni sorte con l’unificazione, dicui vedeva la complessità: «Il mio compito»- ebbe a scrivere nel febbraio 1861 - «è piùlaborioso e penoso ora che per il passato.Costituire l’Italia, fondere insieme gli ele-menti diversi di cui si compone, mettere inarmonia il Nord e il Mezzogiorno presenta

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tante difficoltà quanto una guerra control’Austria o la lotta per Roma».

Più che di fare gli italiani, che esiste-vano da secoli come Nazione, si trattava difare l’Italia, cioè di costruire lo Stato unita-rio nelle sue articolazioni.

Potenzialmente favorevole a forme diautogoverno delle autonomie locali, nonintendeva mettere a repentaglio l’Unità fa-ticosamente conseguita e, a scanso di equi-voci, dichiarò in Parlamento: «Dopo tuttoquello che d’impensato e d’insperato av-venne nella Penisola, ognuno indovina chenoi non siamo federalisti». Si arenò dunquel’idea di una «scentralizzazione» e il model-lo dello Stato burocratico e centralizzatoreprevalse per ragioni politiche, legate so-prattutto ad alcune resistenze in atto nel-l’ex Regno delle Due Sicilie.

Cavour, infatti, era molto scettico

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sull’opportunità di salvaguardare l’autono-mia dell’antico Regno, come si espresse inuna lettera scritta al fedele collaboratoreCostantino Nigra due settimane prima dellaproclamazione del Regno d’Italia, dove giu-dicava necessaria «la distruzione di quellafatale autonomia» del Mezzogiorno «che ro-vinerà l’Italia se non ci rimediamo».

Convinto, come tanti, della ricchezzanaturale delle Regioni meridionali, a suogiudizio abbrutite da secoli di malgoverno,confidava negli effetti positivi che sarebbe-ro derivati dall’unificazione del mercatonazionale, ma non poté assistere alla disil-lusione degli anni postunitari e alla nascitadella questione meridionale.

Quanto alla questione romana, capi-tolo della più ampia questione cattolica, neidiscorsi parlamentari del marzo 1861, dopoaver sostenuto che solo Roma - dove però

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non volle mai recarsi - poteva essere la Ca-pitale del nuovo Stato unitario, perché eral’unica città che non avesse memorie solomunicipali, proclamò la formula «liberaChiesa in libero Stato», cui era sottesa lascelta della separazione. Questa imposta-zione, com’è noto, è stata superata nel tem-po da una politica di conciliazione che haprodotto fra le due istituzioni rapporti equi-librati e fondati sulla collaborazione e sulrispetto.

Cavour scomparve il 6 giugno 1861,all’età di cinquant’anni, senza poter contri-buire allo sviluppo e al consolidamento diquella costruzione politica, non esente dacrepe ma tuttora salda, che in modo deter-minante ha contribuito ad erigere.

Alla sua memoria l’Aula del Senatorende oggi omaggio, per la testimonianzadi un uomo delle Istituzioni, di autentico e

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coraggioso servitore dello Stato, che ha ac-cettato di lavorare per l’Italia, sapendo chealtri avrebbero raccolto i frutti della sua in-stancabile e prestigiosa opera.

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GIUSEPPE MENARDISENATORE, GRUPPO CN-IO SUD

Signor Presidente, onorevoli colleghi,oggi ricordiamo il conte di Cavour a 150anni dalla morte, il 17 marzo scorso abbia-mo celebrato i 150 anni dell’Unità d’Italia:due date sulle quali è scolpita la nostra sto-ria nazionale, massimamente tributaria aquesto colosso della politica di cui - mi siconceda il passaggio - come parlamentarepiemontese posso dirmi particolarmentefiero.

Cavour, tuttavia, non è solo un mo-numento dei piemontesi: è stato il vero ar-tefice della Nazione e non è un caso che adaverne scritto una fondamentale biografiasia stato l’avellinese Italo De Feo. E le cele-

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brazioni dei 150 anni dell’Unità ci hannofatto un ulteriore regalo: la ristampa diquesta preziosa biografia, recentementepresentata a Palazzo Giustiniani, presentela figlia, senatrice Diana De Feo, e gli illu-stri colleghi Gaetano Quagliariello e LuigiCompagna.

Non potendo, per più di un motivo,ripercorrere qui la vicenda storica e politicadel conte Cavour, mi limiterò a disegnare itratti essenziali che definiscono, un secolo emezzo dopo la sua scomparsa, le qualitàdello statista. Un uomo profondamente mo-derno, che piacerebbe a tutti coloro che og-gi e negli anni passati hanno propugnato lapolitica del fare.

Come uomo di governo, interpretò almeglio questo concetto del fare soprattuttocon i grandi investimenti industriali e in-frastrutturali, dalle ferrovie alle grandi vie

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di comunicazione, comprese quelle con iPaesi transalpini. In particolare, mi piacequi ricordare, per ovvie ragioni di attualità,la realizzazione del traforo ferroviario delFrejus e del Colle di Tenda.

Uomo straordinariamente moderno,quindi, introdusse la forma del partenariatopubblico e privato per la realizzazione delleinfrastrutture, in particolare le opere ferro-viarie.

Uomo pragmatico, riuscì a conciliaree ad interpretare al meglio quello che oggitutti vorrebbero che si realizzasse: innova-zione e ricerca. Ed egli lo fece attraverso leiniziative concrete di industrializzazionedel nostro sistema economico, ma anchenel modo rivoluzionario e produttivo di af-frontare i temi dell’agricoltura introducen-do nuove coltivazioni, facendo opere di bo-nifica e costruzioni di canali di irrigazione.

GIUSEPPE MENARDI

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Per Cavour un’agricoltura ricca e mo-derna era alla base dello sviluppo dell’indu-stria. Favorì la creazione di un’industria si-derurgica e il potenziamento di quella tessi-le, impiantò in pratica dal nulla la rete tele-grafica. Principalmente Cavour esaltava gliinvestimenti infrastrutturali come strumen-to di progresso civile al quale, piuttosto chealle sommosse, era affidata la causa nazio-nale. A tale proposito egli mise in rilievol’importanza che avrebbero avuto due lineeferroviarie: la Torino-Venezia e la Torino-Ancona. Il commercio venne favorito inogni modo e la realizzazione di una veramarina mercantile fece rifiorire il porto diGenova.

Camillo Benso aveva fede infatti nelprogresso, che era soprattutto intellettuale emorale, poiché risorsa della dignità e dellacapacità creativa dell’uomo. A tale convin-

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Page 24: Incontri Incontri in Senato in Senato · dell’unificazione politica italiana, ... L’unificazione econo- ... la spedizione dei Mille e l’occupazione delle Marche e del-

zione si accompagnava l’altra che la libertàeconomica è causa di interesse generale,destinata a favore tutte le classi sociali. Ilvero progresso di una Nazione non è da ri-cercarsi nel welfare, ossia nello Stato socia-le, bensì nel dare lavoro e quindi dignità al-le persone.

Nel maggio del 1832, a ventidue an-ni, divenne sindaco di Grinzane, carica chemantenne per 16 anni, fino al febbraio del1849.

Camillo Benso conte di Cavour è sta-to in grado di cogliere con incredibile tem-pestività tutte le occasioni offerte dalle vi-cende internazionali ad una potenza di se-condo ordine come il Regno di Sardegna;ha avuto l’abilità di tenere a bada un sovra-no che, pur avendo confermato e difeso loStatuto, aveva la tendenza istintiva a nonlimitarsi a regnare, ma a cercare con ogni

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mezzo di condizionare l’attività di governo;è stato in grado di cavalcare ed al tempostesso incanalare nell’alveo delle regole delsistema costituzionale (allora niente affattoconsuete) una forza della natura comequella rappresentata da Giuseppe Garibaldi;ha marginalizzato le forze antisistema, rap-presentate da un lato dal mondo clericale ereazionario, dall’altro dalla sinistra mazzi-niana e repubblicana, usando con sagaciasolo le armi della politica e non quelle, piùfacili per l’epoca, di un autoritarismo distampo illiberale.

Cavour era un uomo che sapeva, piùe meglio di tanti altri, come la politica fosseun’arte da realizzare con un pragmatismo eun realismo non condizionati da scrupoli disorta, ma sempre ancorata a grandi princi-pi. Per Camillo il principale di questi princi-pi era quello della libertà, che era l’unica

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istanza di innovazione e di progresso dopol’era dell’assolutismo restaurata ed impostaall’Europa e all’Italia con il Congresso diVienna. Ma per non essere astratto, sche-matico e pretesto di illiberalità, come primal’esperienza del biennio del Terrore dellaRivoluzione francese e poi il dispotismo na-poleonico avevano insegnato, il principiodi libertà doveva essere attentamente pre-servato da qualsiasi degenerazione.

Per Cavour, dunque, questo principiodi libertà andava applicato ovunque: nel-l’economia, dove la battaglia liberale si do-veva manifestare con una legislazione tesaa favorire il libero commercio eliminandodazi, norme protezioniste e qualunque osta-colo alla circolazione delle merci e delleidee, secondo gli insegnamenti del più clas-sico liberismo di scuola anglosassone. Neirapporti internazionali, in cui proprio in

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nome di uno spirito di libertà che non do-veva essere solo degli individui ma anchedegli Stati, il suo sforzo principale fu di ri-baltare la tradizionale subordinazione degliStati italiani, in particolare del Regno diSardegna, alle grandi potenze europee e direndere prima il Piemonte e successivamen-te lo Stato unitario in grado di conservareuna libertà di movimento sul piano internoed internazionale, tale da renderli capaci disfruttare al meglio le incertezze e le debo-lezze degli Stati europei dominanti. Anchese nel marzo del 1860 - in realtà il Trattatofu postdatato giacché la firma avvenne nelgennaio 1859 - con il Trattato di Torinosancì l’annessione della Contea di Nizza edella Savoia alla Francia. E questo per uncuneese in particolare è stato un contributolacerante, pur nobilitato dal suggello del-l’Unità nazionale.

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Il conte di Cavour aveva la sua fermavolontà di considerarsi, anche con il Re,non un suddito ma un cittadino, consape-vole dei diritti e della dignità conseguiticon il passaggio dallo Stato assoluto alloStato costituzionale.

Nei rapporti con la Santa Sede, se-condo Cavour sono necessari realismo,pragmatismo e capacità di mediazione. Maserve soprattutto assoluta fedeltà ai valoridi libertà. Quei valori che, oggi come allora,dovrebbero rappresentare la sola ed unicastella polare della politica nazionale.

Si racconta che le ultime parole pro-nunciate da Cavour siano state: «L’Italia èfatta, è salva!». E sulla base di queste ulti-me battute si sostiene che la vera ereditàlasciata agli italiani dal conte sia stato ilsuo contributo determinante alla formazio-ne dello Stato unitario. La considerazione è

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corretta; ma il capolavoro politico di Ca-vour, quello che dovrebbe ispirare i diri-genti politici di oggi e che invece vienecontestato e considerato come la matrice diquel trasformismo ritenuto vizio congenitoe mortale delle classi politiche italiane, è ilfamoso «connubio» parlamentare tra i libe-rali moderati vicini al conte ed i liberaliprogressisti di Rattazzi, cioè la formazionedi una maggioranza ampia di moderati didiversa gradazione in grado di dare stabili-tà ad un governo difendendolo dagli attac-chi delle forze antisistema. Grazie a quel-l’invenzione cavouriana, la destra storica e,successivamente, il centrosinistra riusciro-no in un capolavoro politico: riuscirono astemperare progressivamente la questioneromana ponendo fine all’autoemarginazio-ne dei cattolici dalla vita pubblica del Pae-se; a disinnescare il potenziale esplosivo

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dei mazziniani e dei garibaldini, trasfor-mandoli nella stragrande maggioranza instrenui difensori dello Stato di diritto; ascongiurare il pericolo che l’Unità si com-pisse all’insegna della democrazia autorita-ria. La domanda, a questo punto, è la se-guente: che cosa avrebbe potuto fare ilconte di Cavour per l’Italia se nei suoi con-fronti la vita fosse stata meno avara di an-ni?

Ci restano i suoi insegnamenti, unalezione che dobbiamo tenere viva nell’inte-ro Parlamento. Cavour è stato definito «dit-tatore parlamentare»: c’è del vero in questaaffermazione, ma noi dobbiamo trarne il si-gnificato più alto. Lo statista era un uomodel fare, ma anche un uomo del dialogo eun maestro nel difficile esercizio della di-plomazia e delle relazioni tra i gruppi checompongono un’assemblea elettiva. Discu-

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teva, trattava, mediava e raggiungeva il ri-sultato. Per lui, soprattutto, contava l’inte-resse nazionale e per questo sarà ricordato.

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GIANPIERO DE TONISENATORE, GRUPPO IDV

Signor Presidente, onorevoli colleghi,rappresentanti del Governo, avere la prete-sa di esaurire nel tempo di dieci minuti lacomplessa e articolata personalità di Ca-vour è un po’ come immaginare l’alba diuna giornata senza poter raccontare appie-no quali e quanti eventi l’hanno potutariempire. Eppure mi piace condividere qui,in quest’Aula, in quest’anno carico di signi-ficati storici, una riflessione ad alta voce at-torno a ciò che è stato, cosa ha rappresen-tato e quale messaggio ci trasmette oggil’uomo, il politico, lo statista Cavour.

Cavour nasce il 10 agosto 1810 a To-rino, secondogenito del marchese Michele e

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della ginevrina calvinista Adele da Sellon,da cui eredita valori come l’etica del lavoroe la libertà di coscienza. È giovane ufficialedell’esercito ma nel 1831, sospettato di ec-cessive simpatie per la “Monarchia di lu-glio”, lascia la vita militare e si dedica allacausa del progresso europeo. Così, grazieall’educazione familiare, spinto dal profon-do e crescente convincimento sulla strettacorrelazione tra progressi economici e poli-tica, decide di viaggiare nei Paesi europeiper studiare da vicino gli effetti della rivo-luzione industriale in Gran Bretagna, Fran-cia e Svizzera. A Parigi ha modo di fre-quentare - e non sarà inutile - le principaliistituzioni pubbliche e i più importanti in-tellettuali dell’epoca. A Londra si interessanon solo alla vita politica e culturale, maanche alle profonde innovazioni tecniche;si occupa principalmente di questioni so-

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ciali e sviluppa il sempre più crescente inte-resse per il libero scambio.

Cavour ritiene che il valore della na-zionalità risieda nel connubio tra libertàeconomica - causa di interesse generale,destinata a favorire tutte le classi sociali - eil progresso intellettuale e morale, fruttodella dignità e capacità creativa dell’uomo.Questa grande ammirazione per le societàinglese e francese lo porta a studiare in mo-do approfondito Smith, Malthus, Guizot eTocqueville, di cui poi applicherà i precettiin Italia, trasformando il Piemonte in quelloStato moderno che solo tramite il respiroeuropeo da lui fornitogli si potrà presentarecome centro di aggregazione delle futureistanze nazionali italiane.

Secondo lo statista, lo sviluppo deilumi e il progresso civile, senza alcun biso-gno di sommosse popolari, avrebbero crea-

GIANPIERO DE TONI

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to una crisi politica di cui l’Italia dovrà ap-profittare.

Rientrato in Piemonte nel 1835, si in-teressa di economia e applica sul territoriole esperienze acquisite nei viaggi all’estero.La fondazione, nel dicembre 1847, della te-stata liberale e moderata «Il Risorgimento»segna l’avvio del suo impegno politico. Quisi prende carico di attuare una profonda ri-strutturazione delle istituzioni piemontesi edi realizzare nuove riforme liberali, cheavrebbero permesso al Regno sabaudo diuscire dall’arretratezza economica e di in-traprendere quella via di industrializzazio-ne che i grandi d’Europa stavano già per-correndo da più di mezzo secolo.

Nello stesso anno viene eletto depu-tato, entra nel Governo D’Azeglio come Mi-nistro dell’agricoltura prima e delle finanzepoi. Cavour provvede a rinnovare il sistema

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fiscale, a potenziare il sistema bancario ecollabora all’istituzione di una banca na-zionale. Il grande merito dello statista ita-liano fu, credo, quello di saper proporre unapolitica di riforme che contava sull’appog-gio della classe dirigente piemontese: laborghesia. Privo, infatti, di fiducia nell’ari-stocrazia, nella quale pure trovava le sueorigini, vedeva nella classe sociale capitali-stica lo stesso universo aperto «che solleva ipoveri ed abbassa i ricchi», percepito ancheda Guizot, ma che doveva farsi carico degliinteressi della comunità ponendosi comemediatrice sociale.

Non bisogna però confondere il rico-noscimento della necessità di cambiamento,di cui l’Italia aveva assoluto bisogno, conl’adesione alle idee rivoluzionarie di Gari-baldi né a quelle repubblicane di Mazzini,che non coincidevano in nulla con l’iniziale

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ideologia cavouriana. Infatti, il Primo mini-stro sabaudo si decise solamente durante laSeconda guerra d’indipendenza ad accetta-re quell’Unità d’Italia tanto agognata daMazzini.

Cavour, piemontese anzitutto, miròad ingrandire il Piemonte per le vie traccia-te dall’esperienza del 1848, assecondandol’ambizione di Carlo Alberto. Ma quando siaccorse che si doveva e si poteva otteneredi più, non esitò a farsi italiano e a mettersirisolutamente alla testa del movimento uni-tario. Mi interessa sottolineare questi dati:ingrandire il Piemonte (tesi di Cavour), farel’Italia (ideale di Mazzini).

Fu sempre grazie alla grande capacitàdi rielaborazione degli estremi che fu nomi-nato nel 1852 Capo del Governo, in seguitoa quella manovra politica, ironicamente de-finita dai suoi avversari «connubio», che

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aveva visto la sigla di un accordo con Rat-tazzi con lo scopo di formare un nuovo Go-verno capace di mirare alla realizzazione diriforme che escludessero le ali estreme delParlamento. Nacque così il centrismo, cheha fatto del centro quel luogo politico che,spostandosi un po’ a destra o un po’ a sini-stra, in base alle esigenze, governerà il Pie-monte e poi dal 1861 fino all’ultimo decen-nio del XX secolo il neocostituito Regno diItalia.

Cavour, dopo aver rafforzato su tuttala linea il Regno sabaudo, si dedicò adun’audace, spregiudicata politica estera cheaveva come obiettivo quello di far uscire ilPiemonte dall’isolamento in cui versava,esprimendo finalmente i suoi ambiziosiprogetti. Il primo passo da fare era quello diimporre il problema italiano all’attenzioneeuropea e a ciò Cavour mirò con tutto il suo

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ingegno. Fu per questi motivi che fece par-tecipare il Piemonte alla guerra di Crimea eche nel 1858 cercò l’alleanza con la Franciadi Napoleone III, che si impegnò a sosteneremilitarmente il Piemonte qualora fosse at-taccato da potenze straniere.

Poco dopo, nel 1859, a causa di reite-rate provocazioni piemontesi ai confini conla Lombardia austriaca, l’Austria dichiaròguerra all’Italia. Scoppiò così la Secondaguerra di indipendenza, che annesse al Pie-monte non solo la Lombardia ma anchel’Emilia e la Toscana, le quali nel frattemposi erano ribellate ai loro governi e avevanovotato l’annessione allo Stato sabaudo.

In questo periodo Cavour aprì le trat-tative con Garibaldi che era stato, insieme aMazzini, uno dei protagonisti della Repub-blica romana del 1849 e che, nonostantefosse di fede repubblicana, accettò di colla-

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borare con Cavour pur di raggiungerel’obiettivo dell’unificazione d’Italia. Giunsecosì il tempo della spedizione dei Mille. Ga-ribaldi in pochi mesi arrivò dalla Sicilia aNapoli e tentò di proseguire verso Roma,ma Napoleone III fece sapere che se si toc-cava Roma lui avrebbe dichiarato guerra aiSavoia. Vittorio Emanuele quindi, su indi-cazioni di Cavour, scese col suo esercitoverso Sud per fermare Garibaldi. Non passòdal Lazio ma dall’Abruzzo e dalle Marcheche, insieme all’Umbria, chiesero subitol’annessione.

Siamo al 1861, siamo all’Unità d’Ita-lia, si realizza il sogno risorgimentale!L’apoteosi dell’abilità diplomatica di Ca-vour si fonde con l’eroismo dei Mille, delleCinque giornate di Milano, delle Dieci gior-nate di Brescia. Termina la lunga giornatadi Cavour, vissuta intensamente, dall’alba

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al tramonto, senza tregua, senza soste, sem-pre sulle barricate delle cose difficili: giustoil tempo per cogliere il frutto di una fatica ela storia lo porta con sé. Quanti interrogati-vi, quante riflessioni, quanti messaggi...

Lascio all’Aula e a chi ascolta un trat-to del suo agire, un impegno mantenuto,quasi un monito, citando le sue stesse paro-le: «Dovessi rinunziare a tutti i miei amicidi infanzia, dovessi vedere i miei conoscen-ti più intimi trasformarsi in nemici accaniti,non fallirei al dover mio, non abbandonereimai i principi di libertà ai quali ho votatome medesimo, del cui sviluppo ho fatto ilmio compito, ed a cui per tutta la mia vitasono stato fedele». E vi pare poco?

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GIANPIERO D’ALIASENATORE, GRUPPO UDC-SVP-AUT:

UV-MAIE-VN-MRE-PLI

Signor Presidente, onorevoli senatori,commemorare la figura di Cavour inun’epoca come la nostra, ancora troppo se-gnata dalle ideologie e da tensioni quoti-diane tra i poli, è come respirare aria pura apieni polmoni. Perché nella sua storia,umana e istituzionale, si misura la politicacome strategia di lungo periodo, l’intesa de-clinata come fine ultimo e non come purotatticismo, la pratica parlamentare comereale agire al servizio della nuova Italia,l’importanza per la classe dirigente di avereuno scopo da perseguire.

Rievocare il primo Presidente del

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Consiglio italiano porta a misurarsi con ilcarattere e l’azione di un conservatore -perché indubbiamente tale fu - dotato alcontempo di un’autentica apertura mentale,frutto delle numerose esperienze vissute ne-gli Stati esteri, e di una spiccata curiositàper i progressi economici, produttivi e so-ciali. Un conservatore sì, ma non un reazio-nario. Di più, un riformista, che sapevatemperare con coraggio e passione i rischiderivanti dall’utopia e che invece cercò diprevenire le fisiologiche storture di un pro-cesso unitario come quello che riguardòl’Italia.

Andando a sfogliare con la memoria idiscorsi per Roma Capitale, pubblicati unanno fa e impreziositi dall’introduzione delcompianto professor Scoppola, si resta col-piti dalla forza dei convincimenti di Ca-vour, dal suo profondo senso dello Stato,

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dalla qualità del suo agire pragmatico. «Leriforme compiute a tempo, invece di inde-bolire l’autorità la rafforzano, invece di cre-scere la forza dello spirito rivoluzionario lariducono all’impotenza». Ecco l’essenza delpensiero di Cavour in una delle sue frasi piùcelebri; ecco la sintesi che lascia esterrefattiper la sua straordinaria attualità. Con que-ste parole Cavour esalta quel “giusto mez-zo”, vera stella polare della sua politica, deldisegno strategico di un uomo, di uno stati-sta che non diventò mai ostaggio di tribunio massimalisti della prima e anche della se-conda ora, né complice o utile idiota di undisegno reazionario tout court, portatore insé di risvolti oscurantisti.

Impossibile, sia da un punto di vistastoriografico che politico, non menzionare igravissimi attriti che Cavour ebbe con laChiesa cattolica. Ma in questa sede prefe-

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riamo, e lo dico da cattolico, puntare la no-stra attenzione sulla lungimiranza dimo-strata al culmine della “crisi Calabiana” osulla formula «libera Chiesa, in libero Stato»che racchiude una realistica visione del go-verno di una Nazione.

Signor Presidente, onorevoli colleghi,l’Italia nacque come Stato unitario di im-pronta liberale, grazie soprattutto alla gui-da di Cavour, una figura di politico e stati-sta incentrata sulla realizzazione del pro-getto fin dai primi anni della sua brillantecarriere politica. Sindaco ad appena 22 an-ni del Comune di Grinzane, carica che rico-prirà per quasi 16 anni, Cavour fece delprocesso unitario il suo fine ultimo. Abiletessitore di alleanze, venne più di una voltaadditato dai suoi critici come una figura dirara spregiudicatezza politica. Conscio dellaposta in gioco, Cavour rispondeva così ai

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suoi detrattori: «Non tengo, voi lo sapete, alpotere per il potere. Tengo ad esso per fareil bene del mio Paese». Parole, c’è da am-metterlo, che nell’Italia di oggi non vengo-no pronunciate con la stessa frequenza.

In Cavour era forte la convinzione,alimentata giorno dopo giorno, che le buo-ne leggi migliorano il livello morale di unPaese; che lo sviluppo e la crescita politicadi un intero sistema non possono essere di-sgiunti dai progressi economici e che perfare ciò bisogna inseguire necessariamenteun progetto, avere un’ambizione superiore.Lo dimostrano i tre discorsi pronunciati da-vanti al Parlamento italiano a pochi giornidalla sua costituzione, nella primavera del1861. In discussione era la questione di Ro-ma e dello Stato Pontificio. Cavour si trova-va di fronte a un’alternativa apparentemen-te di impossibile soluzione: o attaccare il

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Papa, distruggendo l’alleanza con Napoleo-ne III e probabilmente provocando unaguerra con la Francia, o rinunciare a RomaCapitale. Cavour uscì dall’impasse alzandoil livello del dibattito, ossia trasformandoloin una questione di superiore ordine civile emorale. Che Roma diventasse la Capitaled’Italia era necessario non per motivi na-zionalistici, ma perché era l’unico luogosimbolico che potesse accomunare e nondividere il Paese, un luogo di conciliazione.

Ciò che noi quindi oggi celebriamonel 150° della morte di Cavour è la sua fi-gura di conciliazione, l’artefice della nostraUnità, lo statista che seppe valorizzare ilruolo dello Statuto albertino ancorandovi ilconcetto di patriottismo, il valore della li-bertà con quello dell’indipendenza, la rifor-ma politica con il benessere economico.

«Era un genio, statista di carattere eu-

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ropeo ammirato persino da Bismarck, maanche un uomo coltissimo che non ha maismesso di studiare». Così uno storico, qual-che anno fa, definì Cavour. Si tratta di unafigura irripetibile, da sempre in fuga dal po-tere centrale, che già 150 anni fa avevatracciato la strada che l’Italia dovrebbe se-guire ancor di più in queste ore: «La grandepolitica - disse - è quella delle risoluzioniaudaci». E la nostra Italia, lasciatemelo dire,oggi ne avrebbe un gran bisogno.

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MARIA IDA GERMONTANISENATRICE, GRUPPO MISTO-FLI

Signor Presidente, credo che per ca-pire Camillo Benso conte di Cavour sianofondamentali alcuni dati biografici, così co-me hanno ricordato i colleghi che mi hannopreceduta. Nasce in una famiglia patriziatorinese ma non è il primogenito e, comecadetto, è costretto a inventarsi un’attività.Inizia allora la carriera militare come uffi-ciale del Genio, ma in gioventù, pur essen-do stato allevato in un ambiente fortementeconservatore, entra in contatto con i libera-li di Ginevra, città natale della madre. Èproprio in quegli anni, con i primi soggior-ni all’estero, che Cavour comprende l’abis-sale disparità politico-culturale esistente tra

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un Piemonte allora provinciale e sonnolen-to e le più progredite Nazioni europee.

In breve tempo diventa un ferventeammiratore dell’Inghilterra. Pur essendonobile di nascita, assorbe la mentalità ope-rosa della nascente borghesia capitalistica ein economia diventa un convinto liberista.Intraprende una propria attività indipen-dente come imprenditore agricolo, cosa chegli consente poi di diventare Ministro del-l’agricoltura e Ministro delle finanze nelGoverno di Massimo D’Azeglio.

Esaurita in tutta Europa la spinta ri-voluzionaria del 1848, anziché indulgerenella pura e semplice difesa dell’ordine co-stituito e della struttura amministrativa eautoritaria di tante monarchie del vecchiocontinente, Cavour si trasforma in un entu-siasta sostenitore del modello inglese, lamonarchia costituzionale. Non era più il

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tempo di aggrapparsi al vecchio ordine,all’Ancien régime. Come liberale, ma anchecome nobile che comprende il valore pro-gressista della borghesia, Cavour sarà de-terminante nell’influenzare la stessa evolu-zione politica della monarchia sabauda.Vittorio Emanuele II, a differenza dei Bor-bone e dei Lorena e superando un’educa-zione reazionaria tipica della corte sabauda,si trasformò proprio grazie a Cavour in “Regalantuomo”, assumendo con coraggio ilruolo di sovrano costituzionale e patriotti-co. E in questa evoluzione politica e cultu-rale di Vittorio Emanuele c’è tutta la gran-dezza di Cavour.

Quando, poi, con le leggi Siccardi del1850, come in altre monarchie costituzio-nali, si rese inevitabile lo scontro tra Stato eChiesa, si determinò la prima vera occasio-ne per l’esordio di Cavour in politica. È be-

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ne ricordare che le leggi Siccardi abolivanoprivilegi secolari del clero e venivano colpi-ti anche i patrimoni delle congregazioni ec-clesiastiche. Le proteste e le manifestazionidi piazza dei vescovi erano state repressecon fermezza, al punto da arrestare l’arci-vescovo Franzoni di Torino. Cavour, alloraquarantenne, si era già fatto conoscere perle sue idee liberali e liberiste grazie ad alcu-ni articoli sul giornale “Il Rinnovamento”.Entrato da poco alla Camera, si fece poi no-tare per la sua difesa delle leggi Siccardi,affermando contemporaneamente una du-plice vocazione politica a tutela dell’ordinepubblico e a tutela della libertà e, quel chepiù conta, schierandosi nettamente a favoredella laicità dello Stato. Fu facile in quel-l’occasione - era il novembre del 1852 -realizzare quel «connubio», cioè l’accordoorganico e funzionale tra destra, liberale e

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borghese, e sinistra, moderata e progressi-sta.

Oggi Cavour va ricordato per tantimotivi, per aver dedicato la sua vita a rea-lizzare l’Unità d’Italia ma, ritengo, anche esoprattutto per il «connubio». Date le inevi-tabili analogie tra presente e passato, ogginon può essere sottaciuta la genialità el’avvedutezza politica di un’intesa, di unaccordo, ovvero di un connubio tra opposi-tori, che si realizza superando diffidenze,perplessità e scetticismi e che, però, appro-da alla finalità suprema del bene comune.Cavour ha governato il Piemonte per setteanni, durante i quali riuscì a trasformare loStato sabaudo in un Paese moderno, capacedi sostenere il confronto con i Paesi piùprogrediti d’Europa e capace anche di rap-presentare un polo di riferimento sicuro pertutti i patrioti italiani che si battevano per

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l’unità della Nazione. Liberale e liberista ineconomia, stipulò trattati con l’Inghilterra,la Francia e con il Belgio, sviluppò la primarete ferroviaria attraverso gli Appennini,creò una base militare nel porto di La Spe-zia.

La sua vocazione cosmopolita si di-spiegò in termini culturali verso due dire-zioni principali: quella filo-britannica, rico-noscendo i meriti della monarchia costitu-zionale, e quella filo-francese collegando ilPiemonte e la Savoia alla Francia. Quando,nel dicembre del 1852, Luigi Napoleone conun plebiscito risuscita l’Impero e assume ilnome di Napoleone III, è Cavour a intuire ea prefigurare gli spazi diplomatici e le ma-novre politiche che lo porteranno successi-vamente alle due fondamentali tappe dellasua politica estera: la guerra di Crimea che,con il successivo Congresso di Parigi del

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1856, consentì al minuscolo Piemonte il di-ritto di sedere al tavolo delle trattative conle più grandi potenze europee e, poi, gli ac-cordi di Plombières che precedettero la IIGuerra d’indipendenza italiana.

La strada per l’Unità d’Italia fu spia-nata, dopo le più cruente battaglie del Ri-sorgimento italiano, a San Martino dellaBattaglia, nel comune di Desenzano delGarda, e a Solferino, il 24 giugno 1859; masi doveva attendere ancora un paio d’anniprima della proclamazione dell’Unità na-zionale, che stiamo celebrando nel 150° an-niversario. Napoleone III lasciò Villafrancasottoscrivendo una resa che poteva esserespiegata, da un lato, con la volontà del mo-narca francese di consentire un’espansionelimitata del Piemonte e, dall’altro, con lanecessità di fronteggiare la reazione deicattolici francesi preoccupati per la caduta

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del dominio papale. Cavour non si arrese,perché nel frattempo a Londra erano tornatial potere i liberali di Palmerston e JohnRussell. Si spiega così la successione degliavvenimenti quali la spedizione dei Mille ela conclusiva proclamazione del Regnod’Italia.

Dal 17 marzo 1861 al successivo 6giugno si svolse la residua parte della vitadi Camillo Benso, conte di Cavour. Comeevitare il rimpianto di una perdita cosìgrande proprio quando l’Italia era appenanata? Qual è l’ammonimento che a 150 an-ni possiamo ricordare? Credo che il Gover-natore della Banca d’Italia, Mario Draghi, loabbia detto molto bene pochi giorni fa,chiedendosi e chiedendo come mai la poli-tica, che sola ha il potere di tradurre le ana-lisi in legge, non faccia propria quanto di-chiarato da Cavour, secondo cui le riforme

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compiute a tempo invece di indebolire l’au-torità la rafforzano. E ancora, sempre il go-vernatore Draghi ha ricordato Cavourquando ha detto che la crescita di un’eco-nomia non scaturisce solo da fattori econo-mici, ma dalle istituzioni, dalla fiducia deicittadini verso di esse, dalla condivisione divalori e speranze. Gli stessi fattori determi-nano il progresso di un Paese.

Signor Presidente, lei stesso ha ricor-dato il connubio tra risorgimento economi-co e risorgimento politico. Al riguardo,scriveva ancora Cavour: «Il risorgimentopolitico di una Nazione non va mai di-sgiunto dal suo risorgimento economico. Levirtù cittadine, le provvide leggi che tutela-no del pari ogni diritto, i buoni ordinamentipolitici, indispensabili al miglioramentodelle condizioni morali di una Nazione, so-no pure le cause precipue dei suoi progressi

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economici». Occorre sconfiggere, quindi, gliintrecci di interessi corporativi che in piùmodi opprimono il Paese.

È questa, in conclusione, una condi-zione essenziale per unire solidarietà e me-rito, equità e concorrenza, per assicurareuna prospettiva di crescita al nostro Paese.

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ENRICO MONTANISENATORE, GRUPPO LNP

Signor Presidente, onorevoli colleghi,anche noi oggi vogliamo intervenire percommemorare il primo Presidente del Con-siglio del Regno d’Italia Camillo Benso,conte di Cavour, di cui ieri è ricorso il cen-tocinquantesimo della morte. Il capo dellaDestra moderata fu un grande riformistanell’amministrazione dello Stato italianoche andava a formarsi, fu promotore di ideeliberali che si tradussero in progresso civileed economico con l’introduzione del liberoscambio e il sostegno alla crescita della reteferroviaria. Cavour fu un grande protagoni-sta del Risorgimento italiano, un innovato-re culturale, un forte credente nel progresso

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soprattutto intellettuale e morale alla basedella dignità dell’uomo.

Il politico piemontese fu Ministro delRegno di Sardegna dal 1850 al 1852, Capodel governo dal 1852 al 1859 e dal 1860 al1861. E’ stato solo grazie al genio politicodi Cavour, alla sua capacità di intessere al-leanze antiaustriache, prima con la Franciapoi con la Prussia, che dai rovesci militari siè arrivati alla riunificazione della Penisola.Ma lo statista sabaudo ha avuto un unicodifetto: morire troppo giovane, perché que-sta non era l’Italia che immaginava e so-gnava; il suo progetto era quello di creareun modello di Stato capace di unire e nonsemplicemente di unificare popolazioni di-vise da realtà storiche, politiche, culturali,produttive.

Come ha più volte affermato il Mini-stro delle riforme per il federalismo, onore-

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vole Umberto Bossi: «Cavour era federali-sta, la promessa e l’impronta federalista so-no state fondamentali nel percorso dì unifi-cazione del Paese. Senza questa premessa esenza questa impronta, i Lombardi non cisarebbero mai stati a finire sotto il Piemon-te». Come hanno sostenuto altri studiosi:«Cavour era l’unico uomo politico dotatodel carisma e dell’autorevolezza necessariper portare a termine la grande riforma fe-deralista. Morto lui, la burocrazia e tuttol’apparato di potere del vecchio Regno sa-baudo ebbero buon gioco nell’affossarlo».

Secondo Cavour, il decentramentopoteva unire meglio una Penisola multiet-nica, come sostenne anche un altro padredel federalismo, Carlo Cattaneo. Così, il Pri-mo ministro del Piemonte spinse il Ministrodegli interni, Carlo Farini, ad elaborare undisegno di decentramento. Il 24 giugno

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1860 Farini istituì una speciale commissio-ne in cui, per la prima volta, si parlò di Re-gioni e di governatori. Scrisse Farini: «Sta-biliti i limiti delle Regioni, dovranno esseredeterminate le attribuzioni. Ogni Regione èsede di un governatore che rappresenta ilpotere esecutivo con le attribuzioni. Fannocapo a esso politicamente gli intendentidelle Province».

A Farini successe poi Marco Min-ghetti, come nuovo Ministro degli interni,che proseguì i lavori della commissione.Nella seduta del 28 novembre 1860, Min-ghetti inoltre sostenne che si potevano de-centrare almeno quattro Ministeri: interni,istruzione, lavori pubblici e agricoltura. IlPrimo ministro Cavour, alla vigilia dellaproclamazione del Regno d’Italia del 17marzo 1861, conferì mandato al ministrodegli interni Marco Minghetti di elaborare

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un progetto di riordino amministrativoispirato ad un ampio decentramento. Suquesta linea Minghetti elaborò un’articolataproposta, tendente a conciliare le esigenzedel nuovo Stato con le esperienze e le tradi-zioni dei governi locali.

Il Ministro ipotizzava sei grandi unitàterritoriali, le vere e proprie “macro-Regio-ni”. Queste aggregazioni avrebbero riunito,sulla base di un consorzio di carattere vo-lontario e permanente, le Province affiniper vicinanza territoriale, per storia, per in-teressi, modelli culturali e tradizioni. Graziealla dislocazione amministrativa, le Regioniavrebbero introdotto con gradualità e senzaforzature gli ordinamenti dello Stato unita-rio, con l’obiettivo di armonizzarli con leantiche prerogative dei territori e delle co-munità. Minghetti proponeva dunque undisegno realmente innovativo, del tutto

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inedito nel contesto europeo, per contrasta-re quella che Cavour aveva definito la «ti-rannia centralizzatrice».

Il progetto Minghetti, presentato il 13marzo del 1861, si scontrò però con l’oppo-sizione frontale di una classe politica inca-pace di prendere in seria considerazionequesta soluzione. Dopo un acceso dibattitoparlamentare, l’esame del disegno di leggevenne rinviato ad una commissione dove,contro di esso, si formò un largo schiera-mento di opposizione composto dagli espo-nenti della vecchia burocrazia piemontese,ma anche della sinistra fuoriuscita dai ran-ghi della fazione mazziniana, che ne decre-tò la bocciatura in ragione di una malintesadifesa del carattere unitario del nuovo Re-gno.

Oggi il percorso federalista è ben av-viato. Con 150 anni di ritardo pian piano la

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promessa e l’impronta federalista di Cavoursi stanno realizzando. Come ha detto il no-stro segretario federale, Umberto Bossi:«Oggi è arrivato il momento di riprenderequella promessa e mantenerla, compiendodavvero la storia». Come disse lo stesso Ca-vour: «Per traversare una montagna che cisepara da una fertile pianura, bisogna farelunghi giri per evitare i precipizi di cui ilpiù sovente è seminato il cammino».

La classe politica di oggi e di domaniè a uomini e a politici come Cavour che sideve rifare, che ha saputo guardare al futu-ro con uno sguardo sognatore ma concreto.A uomini così, alla sua stessa forza di vo-lontà politica, ma soprattutto alla stessaforza morale, che l’attuale classe politicadeve ispirare le proprie azioni.

ENRICO MONTANI

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LUIGI ZANDASENATORE, GRUPPO PD

Signor Presidente, signori senatori,voglio iniziare questa commemorazione ri-cordando che senza l’opera e la personalitàdel piemontese Camillo Benso, conte di Ca-vour, forse l’Italia unita non ci sarebbe statae per tutti noi sarebbe molto più difficiledirci italiani. Dobbiamo al genio politico diCavour la straordinaria regia di quel com-plesso processo storico che nel 1861 portò acompimento l’unificazione della Nazioneitaliana.

Nel poco tempo a disposizione nonpotrò fare né una completa biografia, néuna agiografia di Cavour, né potrò egua-gliare la mirabile commemorazione del pro-

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fessor Piero Craveri, ieri, alla Camera deideputati.

Per la biografia sarebbe difficile faremeglio di Italo De Feo e di Rosario Romeo,che di Cavour si sono tanto e così eccellen-temente occupati: in particolare RosarioRomeo, siciliano, a riprova dell’artificiositàdi quanti oggi, per interesse politico, si osti-nano a contrapporre gli italiani del Nord aquelli del Sud, non riuscendo a vedere quelche Cavour, piemontese, aveva ben com-preso 150 anni fa, e cioè che a noi non ser-vono due, tre o quattro Italie, a noi serveun’Italia sola!

Oggi il Senato è chiamato a ricordaree rendere onore a Cavour con parole nonretoriche. Dobbiamo riflettere su cosa possasignificare per noi la sua lezione politica ecercare di ricostruire un filo conduttore delsuo pensiero, che ci consenta di approfitta-

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re delle celebrazioni del 150° anniversariodell’Unità d’Italia e dell’anniversario dellascomparsa di Cavour per valorizzare quan-to di positivo c’è nell’Italia di oggi e correg-gere i nostri limiti. Insomma, l’anniversariodi Cavour dovrebbe spingerci ad occuparcidell’Italia di oggi e di domani, delle sue di-visioni, dei suoi giovani senza lavoro, delsuo mancato sviluppo, della disuguaglianzaprofonda tra i ricchi sempre più ricchi e ipoveri sempre più poveri. Se riusciamo acollegare Cavour al nostro presente e a trar-ne una lezione per il nostro futuro, questoanniversario sarà stato utile all’Italia.

Cavour comprese e governò la spintaall’unificazione, cominciata molto primadel 1861 e del Risorgimento, dando un na-turale sbocco ad un lunghissimo processoculturale e sociale che doveva portare allaformazione della nostra identità nazionale.

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La Nazione italiana - non lo Stato, ma laNazione - intesa come comunità di personeunite dalla lingua, dalla cultura, dal sensodi una medesima appartenenza, seppurenella pluralità di Stati nei quali la Penisolaera andata via via variamente articolando-si, comincia a formarsi nell’età medievale.

Si è chiusa da poco a Roma una pic-cola ma straordinaria mostra, allestita alPalazzo del Quirinale, che di questo lungoprocesso ha dato un’impressionante testi-monianza. Una mostra di manoscritti deipiù grandi autori della letteratura italiana:da Dante Alighieri a Machiavelli, da Petrar-ca a Galileo Galilei, da Goldoni a Ugo Fo-scolo, da Alessandro Manzoni a GiacomoLeopardi. Al di là dell’emozione di vedere lascrittura di Manzoni sui «Promessi sposi» odi Leopardi su «L’infinito», la considerazio-ne più importante che quella mostra ha su-

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scitato nei visitatori è che quelle opere te-stimoniano che almeno dal 1200, da DanteAlighieri in poi, l’Italia era già unita nellalingua e nella letteratura.

Dovremmo riflettere sul fatto che unodei più consistenti ostacoli all’unificazionereale dell’Europa è tuttora la mancanza diuna lingua comune. Ma, nonostante l’unitàlinguistica, fare l’Unità d’Italia fu per Ca-vour un’opera ciclopica: sette eserciti di-vennero un esercito solo; furono tracciatele prime linee della rete ferroviaria nazio-nale; furono organizzate le Poste nazionali;fu creato un sistema severissimo di imposteper sostenere spese pubbliche crescenti eper pagare l’interesse del debito; furonomodificati in profondità, com’è stato accen-nato da quasi tutti i colleghi senatori chemi hanno preceduto, i rapporti tra lo Statoe la Chiesa.

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Come fu possibile per Cavour portarea compimento in pochi anni quest’operacolossale? In primo luogo con la politica, ecioè con la suprema sapienza della sua gui-da politica, che rese possibile la convergen-za verso un unico, concreto e decisivo tra-guardo di componenti politiche, sociali edeconomiche molto diverse.

Cavour comprese le necessità e leaspirazioni dei diversi Stati della Penisola,vide in seno a quelle società e nelle cittàitaliane l’emergere di ricche e imprevedibiliriserve, che seppero farsi eroismo nelloslancio dei volontari. Erano sensibilità fattedi ideali, di cultura e di politica, risorse sen-za le quali nessuna grande impresa può es-sere possibile.

Infine, Cavour comprese che c’eranella Penisola una classe dirigente di ecce-zionale levatura su cui poter contare per

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dare sostanza alla spinta unitaria; una for-midabile serie di personalità insieme forti esensibili: da Garibaldi a Mazzini, a Catta-neo.

Politica seria, società in molte sueparti matura, classe dirigente all’altezzadella sfida: proprio quel che oggi mancaall’Italia! Ma il capolavoro di Cavour fu lasua comprensione del quadro internaziona-le e la sua capacità di approfittarne. Il pro-cesso unitario era “credibile” in Europa per-ché in Piemonte c’era Cavour, lo dimostra-no i risultati e i riconoscimenti che in que-gli anni gli vennero dalla politica e dallacultura europee; riconoscimenti del signifi-cato positivo che aveva per l’Europa la na-scita di un’Italia unita e i riflessi che essaavrebbe avuto sulla storia di altri Paesi eu-ropei negli ultimi decenni dell’Ottocento.L’orizzonte europeo era al centro della vi-

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sione e dell’azione politica di Cavour.Riflettiamo, signori senatori, su

quanto grande e concreta possa essere perle nazioni l’importanza del prestigio inter-nazionale dei leader politici e su quanto pe-si la coesione tra gli Stati. E pensiamo al-l’Italia d’oggi, così in difficoltà nel creditointernazionale!

Un’altra mostra di straordinario inte-resse è tuttora in corso a Roma (molti di voil’avranno visitata e a chi non l’ha fattoconsiglio di andarvi) e può far ben capirequanto poderosa fu l’intuizione unitaria diCavour. È una mostra curata dalla Bancad’Italia che ha come oggetto «La monetadell’Italia unita». Per quale motivo questamostra ci deve interessare a proposito del-l’opera unitaria di Cavour? Perché segna,anche quantitativamente oltre che qualita-tivamente, lo sforzo immenso di colui che

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Page 76: Incontri Incontri in Senato in Senato · dell’unificazione politica italiana, ... L’unificazione econo- ... la spedizione dei Mille e l’occupazione delle Marche e del-

ha costruito l’Italia unita. Nel 1861 le mo-nete circolanti nei territori italiani unificatierano ben 236, alcune con corso legale, al-tre no; si arriva a 282 se si considerano an-che le province venete e romane, che si uni-rono successivamente - come voi sapete -al nuovo Stato. Questa molteplicità di mo-nete risentiva di fortissime stratificazionistoriche. Il processo di unificazione dellamoneta si concluse nel Centro-Nord nel1865 e nel Mezzogiorno trent’anni dopo,per completarsi solo nel 1893-1894. Questoperché al Sud molte monete erano in argen-to e, poiché il prezzo dell’argento saliva,molti risparmiatori preferirono conservarele monete d’argento e cambiarle con la lirasolo quando il prezzo cominciò a scendere.

La riflessione sulle difficoltà incon-trate nella nascita della lira deve far riflet-tere il Senato della Repubblica su come 150

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anni fa l’Italia prima compì il processo diunificazione politica e solo dopo unificò lamoneta. In Europa abbiamo fatto e stiamofacendo esattamente il contrario: abbiamol’euro ma non abbiamo l’unità politica!Forse non era possibile fare diversamente;ma possiamo accontentarci di avere unamoneta unica europea senza avere quel-l’unità politica che ne dovrebbe costituire lapremessa?

Concludendo, voglio sottolineare co-me il ciclo governativo di Cavour abbia se-gnato l’inizio di un nuovo modo di gover-nare, nel quale non c’era più posto per l’im-provvisazione e l’inefficienza. Il valore diCavour è stato riconosciuto anche dai suoiavversari politici più risoluti, e ne avevatanti, a destra e a sinistra. Cavour è stato ri-conosciuto come un grande uomo di Stato,che in tutta la sua vita e in tutta la sua

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azione politica ebbe un unico obiettivo:quello di fare grande il suo Paese. Una con-cezione della Nazione non “popolo”, comedirebbe il senatore Quagliariello, ma forseneanche una concezione di Nazione come“persona”. Io penso che in Cavour esistesseuna concezione di Nazione-Stato.

Oggi, nel ricordare Camillo Bensoconte di Cavour, dovremmo prendere l’im-pegno solenne di far sì che l’interesse poli-tico di parte di ciascuno di noi non prendamai il sopravvento sugli interessi della Na-zione.

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GAETANO QUAGLIARIELLOSENATORE, GRUPPO PDL

Signor Presidente, la ringrazio e rin-grazio anche per questa seduta, perché pen-so che la commemorazione del conte di Ca-vour sia il giusto complemento alle celebra-zioni per il 150º anniversario dell’Unitàd’Italia; non solo perché Cavour è stato digran lunga il maggior artefice dell’Unità enemmeno solo perché il conte aveva unprofilo biografico di interesse tale che hanegli anni suscitato l’attenzione degli stori-ci stranieri ancor più che degli storici italia-ni.

A questo proposito, vorrei leggere so-lamente poche parole dell’incipit di unadelle più belle biografie, scritta da Italo De

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Feo, il padre della nostra collega Diana, chein realtà, ancor più che una biografia, è unvero e proprio romanzo, soprattutto sullaformazione del conte. Vi si legge: «Ebbemolte esperienze: fu beniamino di graziosefanciulle e donne, affarista e giocatored’azzardo, gentiluomo di campagna e mae-stro di agricoltura, esperto di economia e fi-nanza, studioso di storia e di problemi so-ciali. Amò la tavola e la musica, si distinsenelle discipline matematiche, fu buon ora-tore e infine giornalista e scrittore efficace».Sono poche frasi, che magari oggi suscite-rebbero l’attenzione perversa di qualcheprocuratore, ma che invece racchiudono ilprofilo di un uomo eccezionale sotto tuttigli aspetti.

Credo però che la vicenda di Cavour,al di là della sua biografia, abbia un nessoprofondo con questi 150 anni della nostra

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storia, perché si interseca con la difficoltàdel fare l’Italia e del fare gli italiani. Vedete,signor Presidente e colleghi senatori, in re-altà noi celebriamo oggi una storia che èstata una storia difficile e molto spesso an-che una storia drammatica. L’Unità italianapuò considerarsi a tutti gli effetti un mira-colo della politica e ci fa comprendere comela politica, oltre che una brutta cosa, comeoggi viene spesso - troppo spesso - rappre-sentata, può essere una risorsa che trasfor-ma il possibile in reale. Non c’erano infattile condizioni, 150 anni fa, perché l’Italianascesse.

C’erano difficoltà internazionali che,al di là del genio del conte in questo ambi-to, non possono essere rappresentate comela storiografia spesso ha colpevolmente fat-to. Non c’era nemmeno l’accordo dellaFrancia, che pensava piuttosto ad un’unità

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che riguardasse solamente il Nord, con alcentro uno Stato centrato sulla Toscana eun regno del Mezzogiorno sul modello diquello che fu di Murat e, dunque, sotto lastretta influenza francese.

Esistevano difficoltà note nel frontedegli unitari, perché l’idea unitaria, mode-rata, liberale e con forte decentramento diCavour non era l’idea democratica, repub-blicana e centralista di Mazzini. Esisteva,inoltre, una questione istituzionale irrisolta,difficoltà all’interno dello stesso côté libera-le: le ha ricordate il senatore Menardi,quando ha fatto presente che l’opzione diCavour per una monarchia parlamentareera ben diversa dall’ortodossia di una mo-narchia costituzionale, che era stata did’Azeglio, di Balbo e che certamente erapropria dei monarchi di Casa Savoia, se-condo la quale non era mai prevista una

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comunicazione tra Parlamento ed Esecuti-vo. Dunque, ribadisco, vi era da gestire unoscontro interno alla stessa parte monarchi-ca, liberale e moderata.

Esistevano inoltre le difficoltà geo-grafiche di unire un territorio profonda-mente differenziato nei suoi ordinamenti,nonché nelle sue realtà economiche. Sottoquesto aspetto va ricordato che la Destrastorica e coloro i quali lavoravano con Ca-vour partivano quasi tutti da posizioni in-fluenzate dalla cultura anglosassone e perquesto propensi al decentramento: diventa-rono unitari per necessità e non per ideolo-gia.

Infine, ricordo la difficoltà maggiore,quella per la quale l’Italia è stato l’unicogrande Stato moderno che si è costituitocontro la Chiesa, contro la Chiesa di Pio IX,la cui apertura riformista era stata ripagata

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con l’assassinio del suo Primo ministro,Pellegrino Rossi, e che vide Cavour, nono-stante la chiusura papalina, non ritrovarsisu posizioni di difesa della laicità francese:la laicità imposta per legge. Cavour erapiuttosto per uno Stato che potesse com-prendere credenti e non credenti e se pro-prio è necessario dare una definizione delsuo atteggiamento - che in realtà non èpossibile dare in quanto fortemente in-fluenzato dalla politica e quindi incompiutoa causa della sua morte repentina - era cer-tamente più propenso alla lezione di Toc-queville, che aveva letto negli anni giova-nili, piuttosto che a quella degli illuministifrancesi.

Ebbene, queste sono state le difficol-tà che Cavour è riuscito a gestire politica-mente per arrivare al risultato dell’Unità,partendo da un’idea di Nazione, signor

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Presidente, che non è stata l’unica idea diNazione ad aver albergato alle origini delnostro percorso unitario. L’idea di Nazionedi Cavour si fondava sulla centralità dellapersona e aveva poco a che fare - lo dicocon rispetto - con un’altra idea che invecesi fondava sul binomio “Nazione-popolo”:quella mazziniana. Non era un’idea ideali-sta ma piuttosto un’idea empirico-costitu-zionale; non era un’idea intrisa di demo-crazia, ma piuttosto di libertà. E soprattut-to, proprio perché aveva conosciuto le dif-ficoltà della politica estera, l’idea diNazione di Cavour considerava l’Unità co-me un punto d’arrivo da consolidare e raf-forzare, spendendo il massimo delle ener-gie nella politica interna, piuttosto che unpunto di partenza per tornare alle gloriedel passato di cui le italiche genti eranostate protagoniste.

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Ora, nelle temperie difficili di un’Ita-lia in cammino verso l’obiettivo di fare gliitaliani, l’idea di Nazione di Cavour è stataspesso sconfitta e soccombente. Lo è statacertamente degli anni di fine secolo quan-do, di fronte al nazionalismo imperante alivello europeo, alla crisi del modello ingle-se in campo politico-istituzionale e, invece,all’esplodere del cosiddetto modello tedescoche si era affermato sulla punta delle baio-nette dopo Sedan, la competizione internavide contrapposti, da una parte, i sostenito-ri di una Nazione estrema che si faceva na-zionalismo e, dall’altra, una forza nuovache aveva il suo principio di fondo nontanto nella Nazione quanto nella classe; miriferisco al nascente movimento socialista.All’interno di questa divaricazione e diquesta radicalizzazione del conflitto, certa-mente a soccombere fu l’idea nazionale di

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cui Cavour, con il suo liberalismo, si erafatto portatore.

Certamente l’idea di Cavour è stataancora soccombente al momento dell’av-ventura in Libia e poi della partecipazionealla Prima guerra mondiale (almeno a Ca-poretto). E soccombette anche nel momentoin cui lo Stato liberale crollò a favore delfascismo. Perché vede, signor Presidente,dubito che il fascismo possa considerarsi unanti-Risorgimento, così come Salvatorelliha pure autorevolmente sostenuto. Nel fa-scismo è stata presente l’idea di Nazione ri-sorgimentale, ma non certamente nella ver-sione cavouriana.

Analogamente, quando il fascismocadde e si tornò alla democrazia, noi riac-quistammo quella libertà che è componenteessenziale dell’idea di Nazione, da cui Ca-vour era partito, ma non riacquistammo

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l’idea di Patria, a causa dell’8 settembre,poiché la libertà ci provenne soprattuttodagli alleati, e infine a causa del fatto che ipartiti prevalenti non avevano più le lororadici e il loro DNA nella stagione risorgi-mentale.

Da qui, signor Presidente, i limiti chea lungo ha dovuto subire l’idea di Nazione,al punto tale che fu un siciliano il maggiorebiografo di Cavour. Mi riferisco a RosarioRomeo il quale, parlando del senso comuneoltre che della storiografia corrente, parlòappunto della storiografia risorgimentalecome della storiografia della disfatta, per-ché per molti l’origine di tutti i guai del-l’Italia sarebbe stata in quell’inizio così po-co produttivo e così infausto.

Oggi abbiamo rivisto molte cose, siaa livello di storiografia sia a livello di sensocomune; non vorrei che cadessimo nell’er-

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rore contrario: pensare che l’Unità d’Italiasia stata una passeggiata senza comprende-re il dramma, la fatica, la sofferenza che c’èstata dietro l’azione dei nostri Padri fonda-tori e innanzi tutto di Cavour e di coloro iquali lo affiancarono, quella Destra storicagrazie alla quale l’Italia si mise in camminoper una storia difficile ma che è ancora lanostra storia oggi.

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Della stessa collana

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n. 240° Anniversario Regioni Sistema delle autonomie e riforma del Parlamento aquarant’anni dalla prima elezione dei Consigli delle Regioni

n. 380° Anniversario del Concordato Chiesa e Stato in Italia Dalla Grande Guerra al nuovo Concordato (1914-1984)

n. 4Percorsi di opportunitàDentro le Istituzioni parlamentari, le Istituzioni europee ed internazionali, le Istituzioni amministrative e le realtàeconomiche

n. 5Francesco CossigaCommemorazione solenne alla presenza del Presidentedella Repubblica

n. 6San Francesco, Patrono d’Italiaa 150 anni dall’Unità nazionale

n. 7La Memoria e l’Immagineottobre 1943 - ottobre 2010

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n. 8Senati d’EuropaXII Riunione

n. 9L’Europa in movimentoda migranti a cittadini europei

n. 1040° anniversario Italia-Cina La normalizzazione delle relazioni diplomatiche

n. 11 POLITICA E ISTITUZIONI ATTRAVERSO 150 ANNIDI STORIA D'ITALIALe élites del Parlamento subalpino

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Le foto su bandella sulla sovracoperta di Incontri in Senato n. 12provengono dall’archivio fotografico del Senato

Finito di stampare presso la tipografia Print Companynel mese di luglio 2011

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CavourCommemorazione solenne del centocinquantesimo

anniversario della morte

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Incontri in Senato

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