In Arte marzo 2012

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Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CNS PZ idee arte eventi Periodico a diffusione nazionale - anno VIII - num. 02 - marzo 2012 € 1,50 Associazione di Ricerca Culturale e Artistica

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Periodico a diffusione nazionale - anno VIII - num. 02

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Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CNS PZ

idee arte eventiPeriodico a diffusione nazionale - anno VIII - num. 02 - marzo 2012€ 1,50

Associazione di Ricerca Culturale

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EditorialeDove va la Cultura?di Giuseppe Nolé ......................................................... pag. 4

Redazione SommarioAssociazione di Ricerca Culturale e ArtisticaC.da Montocchino 10/b85100 - PotenzaTel e Fax 0971 [email protected]

RedazioneLargo Pisacane, 1585100 - PotenzaMobile 330 798058 - 392 4263201 - 389 1729735web site: www.in-arte.orge-mail: [email protected]

Direttore editorialeAngelo [email protected]

Direttore responsabileMario Latronico

CaporedattoreGiuseppe Nolé

ImpaginazioneBasileus soc. coop. – www.basileus.it

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Iscrizione al ROCn. 19683 del 13/5/2010

Autorizzazione Tribunale di PotenzaN° 337 del 5 ottobre 2005

Chiuso per la stampa: 15 marzo 2012

In copertina:Alberto Burri, Grande cretto nero, 1977, acrovinilico su cellotex, particolare, cm 149,5x249,5, Parigi.

La redazione non è responsabile delle opinioni liberamen-te espresse dagli autori, né di quanto riportato negli inserti pubblicitari.

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PersistenzeArcheologia medioevale a Forenzadi Francesco Mastrorizzi............................................... pag. 5

EventiArt Explosion. L'arte si racconta nei Campi Flegreidi Fiorella Fiore ............................................................. pag. 18Forma e Materiadi Maria Pia Masella ..................................................... pag. 20Un pittore lucano nell'Italia unitadi Giovanna Russillo ..................................................... pag. 23IncontrArte: una rassegna che unisce l'Italia di oggidi Angela Delle Donne .................................................. pag. 26

AgendArta cura di Sonia Gammone ............................................ pag. 30

CromieLa ricerca della realtà simbolica di Valeriano Trubbianidi Andrea Carnevali ...................................................... pag. 10

TrameLa poesia indomitadi Fabrizio Corselli ....................................................... pag. 15

RiCalchi...e antichi Deifoto Gerardo Caputi ..................................................... pag. 16

MeteL'Archeoparco a Baragiano ..................................................................................... pag. 8

ArchitettureUn iceberg di vetro emerge dalle acquedi Mario Restaino.......................................................... pag. 12

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Dove va la Cultura?

di Giuseppe Nolé

Cari lettori,è ancora l'eco della notizia di nuovi distacchi d'intonaco a Pompei: a subire l'inclemenza del maltempo una delle pareti della casa detta della Venere in conchiglia; mentre è ancora tutta aperta la querelle per finanzia-re i lavori di restauro del Colosseo. Che dire poi delle numerose iniziative di protesta dal mondo dell'archeologia, delle biblioteche e degli archivi, mentre molti istituti culturali italiani, soprattutto di promozione del-la contemporaneità, vivono momenti di grave difficoltà: crisi di pubblico, di risultati, di identità, ma soprattut-to politica.Il settore dell'arte e dei beni cultu-rali in Italia, un po' a causa della crisi, un po' per ragioni culturali, sembra navigare in cattivissime acque. E il futuro non sembra molto roseo: da un lato la scarsa fondatezza strutturale delle ini-ziative, dall’altra l'arretratezza delle istituzioni e dei molteplici attori che operano nel settore dei beni culturali. È necessario allora uno sforzo comune da parte di tutti coloro che, con diverse competenze e professionalità si occupano di cul-tura e operano in questo settore: sono necessarie, mai come adesso, ponderazione, competenza e lealtà in-tellettuale, per imporre principi di azione che devono essere riconosciuti dal mondo politico e manageriale come imprescindibili.

Buona lettura.

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Persistenze

A ovest del colle che ospita Forenza, nell’alta val-le del lucano fiume Bradano, sorgono i ruderi della piccola chiesa dedicata a Santa Maria degli Armeni, alle falde del monte che porta il suo stesso nome. Non si sa esattamente quando l’edificio sia stato fon-dato; probabilmente le sue origini risalgono all’XI se-colo. Secondo alcuni sarebbe la testimonianza della presenza nella zona di monaci armeni, fuggiti dalla loro terra in seguito alle lotte iconoclastiche. Secon-do altri la sua dedicazione sarebbe da collegare al culto di un’effige della Madonna, giunta dall’Oriente bizantino al termine di una crociata.Le prime notizie sulla chiesa sono contenute in un documento conservato nell’archivio dell’abbazia di Montevergine, che attesta una compravendita tra privati, avvenuta nel 1196, di una vigna nelle sue vi-cinanze. Un successivo riferimento lo troviamo in un

atto di permuta del 1202, in cui si cita il giudice De-metrio come patrono e governatore di Santa Maria degli Armeni, che quindi risulta essere una chiesa privata. Altro dato certo è che nel 1219, alla mor-te del conte Giacomo di Tricarico, della famiglia dei Sanseverino, Santa Maria venne donata ai monaci di Montevergine, assumendo così la funzione di gran-cia (comunità agraria dell’abbazia), oltre a garantire, per la sua collocazione in una zona rurale, assisten-za spirituale a quanti lavoravano nel contado.Sul finire del XIII secolo, grazie alle ingenti donazio-ni che ne incrementarono il patrimonio fondiario, la grancia fu trasformata in priorato, con la conseguen-te costruzione di un monastero per ospitare i monaci inviati da Montevergine allo scopo di amministrarne i possedimenti. Le fortune di Santa Maria degli Arme-ni continuarono fino alla prima metà del ‘500 e le sue

Archeologia medioevalea Forenza

di Francesco Mastrorizzi

Forenza, la chiesa armena. rovine del.

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Persistenze

anche altre differenze strutturali, che fanno pensare a due momenti diversi nella costruzione della chie-sa. Il piano di calpestio è infatti più alto di circa 20 cm rispetto al resto dell’edificio, ma appaiono diver-se anche le aperture sulle pareti laterali (nell’abside sono a croce greca) ed esternamente le soluzioni tipologiche adottate nella costruzione dei cornicio-ni. In diversi punti le mura presentano frammenti di pitture parietali, che probabilmente decoravano tutto l'interno della chiesa.Alla chiesa era affiancato un campanile, tuttora iden-tificabile, al quale si accedeva da un’apertura subito a destra dell’entrata principale.Recenti lavori di scavo sul fronte est dell’edificio hanno portato alla luce, sotto l’ingresso, una antece-dente struttura presbiterale, permettendo di identifi-care l’impianto originario della chiesa, con ingresso sul lato ovest e orientamento opposto a quello dell’e-dificio oggi visibile.

proprietà divennero sempre più consistenti. Succes-sivamente, però, iniziarono a riscontrarsi difficoltà economiche, tanto che nel 1567 Papa Pio V inserì il piccolo monastero di Forenza fra gli edifici destinati alla soppressione (i monasteri verginiani secondo le sue direttive passarono da 50 a 18). L’esecuzione avvenne nel 1596, con il nuovo declassamento a grancia, alle dipendenze prima di Montevergine e poi del convento di Sant’Agata di Puglia, fino all’an-no 1807.Attualmente del monastero, realizzato interamente in pietra, non rimangono che le mura portanti della chiesa e piccoli resti di fabbriche annesse, risalenti probabilmente all’ampliamento del XIII secolo. La chiesa è costituita da un’unica navata con un solo altare e due ingressi, uno in asse e l’altro laterale. Due arcate dividono la navata in tre campate, del-le quali le prime due avevano una copertura a ca-panna, la terza a crociera. Nell’abside sono presenti

Sopra: Forenza, la chiesa armena. Abside. A lato, ingresso laterale sulla navata.

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L'Archeoparco a Baragiano

L’area compresa tra i bacini fluviali del Marmo-Plata-no e del Melandro sta riscoprendo negli ultimi anni il suo passato millenario grazie ad una intensa ricerca archeologica, cha ha riportato alla luce i segni tan-gibili di un passato che tuttavia necessita ancora di un’attenta e consapevole valorizzazione. All’interno di questa area si trova il Comune di Bara-giano, collocato su un promontorio dominante un’a-rea di confluenza fluviale. La sua posizione strategi-ca lo ha reso un nodo cruciale per il controllo degli itinerari fluviali che collegavano il Vallo di Diano, la Piana del Sele, la Valle dell’Ofanto e la Valle del Ba-sento. Alla fine del 1800 si svolgono le prime indagini archeologiche con l’individuazione di un tratto della

cinta fortificata. A partire dal 1980 si sono intraprese serie campagne di scavo che hanno ridato il quadro di un insediamento di epoca arcaica organizzato per gruppi sparsi di capanne accompagnati dalle relative aree di sepoltura. In particolare in località SS. Con-cezione si sono avuti i ritrovamenti più pregevoli, tra cui la tomba di un guerriero, datata VI sec. a. C., in cui è stata rinvenuta una panoplia composta da un elmo corinzio bronzeo, uno scudo in bronzo decora-to, uno schiniere e una spada in ferro, senza dimen-ticare l’ampio corredo ceramico.Nella stessa area nel 1995 fu ritrovata la cosiddetta tomba del Basileus, un individuo di lignaggio princi-pesco, morto prematuramente, caratterizzata da una

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Persistenze

ricchezza eccezionale, seppure scavata solo par-zialmente: un elmo corinzio ed uno scudo circolare, un fascio di spiedi, due bacili di bronzo, i finimenti e le bardature bronzee di 2 cavalli, un lebete bronzeo con tripode, un elaborato servizio da banchetto com-posto da numerosi pezzi a figure nere, di raffinata produzione attica, tra cui spicca la lekane con scene del mito di Eracle.Le sepolture di Baragiano costituiscono una partico-larità rispetto a quelle rinvenute nei centri limitrofi. Pur essendo riconducibili al IV sec. a. C, sono parti-colari i materiali dei corredi e il rituale di sepoltura del defunto in posizione rannicchiata, segni della persi-stenza in questi luoghi di consuetudini delle popola-zioni che qui abitavano in età arcaica.Dall’affascinante storia dei popoli che hanno vissuto nella Basilicata antica lasciando sul territorio testi-monianze straordinarie nasce l’Archeoparco del Ba-sileus, porta di ingresso per un viaggio nella storia e nel mito attraverso l’archeologia lucana, grazie a po-stazioni scenografiche che presentano vari elementi

della ricerca archeologica (gioielli, vasi, armi,ecc). L’Archeoparco è un giardino archeologico che per-mette un viaggio di iniziazione all’archeologia in Ba-silicata, raccontato e animato attraverso ricostruzio-ni storiche ad alto valore artistico e scenografico e percorsi ludico-pedagogici, che si snodano tra storia e archeologia, mito e memoria, tradizione e identità, guidando così il visitatore alla scoperta di miti, eroi e simboli che fanno parte del patrimonio dell’uomo occidentale. Dal 2010 si è aggiunto Archeolab, Centro di interpre-tazione archeologica della Basilicata nord-occiden-tale, naturale completamento tra l’Archeoparco e i beni storici e archeologici di Baragiano. Attraverso allestimenti, filmati, installazioni multimediali, labo-ratori e giochi, Archeolab vuole “mettere in scena” il patrimonio storico-culturale di Baragiano, raccon-tando, animando e rappresentando con elementi spettacolari la componente “mitica” e storica propria dell’archeologia, perché come diceva Tucidide: “La storia è possesso per sempre”.

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Cromie

del Padiglione Italia – Marche alla Mole di Ancona dove sono state esposte le sue opere appare molto intensa la relazione tra anarchia e pratica costrutti-va). Nelle sue sculture sono rappresentati animali incatenati: i gabbiani sul letto operatorio come im-bullonati, trapiantati con le ali sezionate; oppure rac-cocchi stretti da cinghie di cuoio ecc.. La mano di Trubbiani – come ha detto Mario De Micheli negli anni ’70 – è un’implacabile logica negativa e uno strumento di morte. La sua produzione è un cam-po di attività molteplice che mira alla progettazione scultorea ed alla libera esplorazione d’immagini vi-sionarie con una disinvoltura ed alla cristallizzazio-ne della realtà sotto forma di simbolo. Gli animali di Trubbiani abitano simbolicamente nelle Arti Visive e sono una parte importante dei prototipi dell’artista fin dal 1966. Oltre a ciò, si può ricordare il disegno che è una parte importante del suo lavoro, sia sotto il profilo qualitativo che sotto l’aspetto quantitativo. Più che non lo sia l’attività incisoria e grafica che pure è ampia né meno originale rispetto alla scultura. Sono i suoi disegni che mettono a fuoco i sentimenti, so-prattutto negli anni Cinquanta e Sessanta; ma sono anche i disegni che svelano le trasformazioni che sono avvenute nella tecnica espressiva tra il cine-ma e la scultura. Del resto la rappresentazione del-la scultura Mater Amabilis che ricorda il rinoceronte del film La nave va, racconta il periodo trascorso ad Ancona di Fellini durante le riprese nel Porto di Ancona, accompagnato dallo sculture. Tra Fellini, Trubbiani e lo sceneggiatore Dante Ferretti nascono le idee giuste per la realizzazione del film. I disegni preparatori sono ritracciabili probabilmente nei ma-teriali di Cineccittà. La contaminazione espressiva è molto forte anche nei disegni degli anni Novanta in cui Valerio avanza ulteriormente la riscoperta di questa sua nuova dimensione cromatica e descrit-tiva del senso onirico e del tempo misterioso e ma-gico, intensamente biografico e direttamente tratto dal vissuto. Per questo i disegni ritraggono scene notturne: Cyriaco d’Anchona Anchona salutant ed i brillanti Paesaggio illuminato e Faro adriatico con volpe triste che hanno toni cromatici molto eloquen-ti. I fogli di Trubbiani ne escono restituiti ad una at-tualità di comunicazione che li qualifica proprio nella loro capacità di costruzione icastica. Che è l’effettiva qualità della loro forza di presenza; e rispetto alla fe-nomenologia specifica del disegno contemporaneo, vale a dire di un ambito di ricerca figurale, negli ultimi anni l’attenzione critica si è fatta sentire, in Italia in modo molto forte.

Tutt’altro che antitecnologica è la scelta di Valeriano Trubbiani negli anni ’60 di utilizzare frammenti, pezzi di ferro, parti di macchine agricole per creare le sue sculture. La scelta dei metalli e delle parti meccani-che, che suscitavano in lui effetti di grande intensità emotiva, provocava nella sua fantasia una catena inesauribile di nuove invenzioni. La natura tranquil-la dei mezzi agricoli era traslata in metafora sculto-rea della realtà: guerra e distruzione che in sostan-za riproducevano l’interiorità dell’uomo scossa da un’assurda macchina da guerra. L’interpretazione della modernità e la distruzione della società, che lo circondava, ed il “nonsenso” delle cose come ap-parivano ai suoi occhi, venivano ricostruiti all’interno di una parabola meccanica che dava forma alla sua scultura. L’itinerario artistico di Valeriano prendeva avvio da questa prima scoperta tecnico-fantastica tra il ferro e il fuoco che scatenava una fantasia quasi incontrollabile tanto da portarlo a trasforma-re la realtà in immaginaria e simbolica. L’indagine dell’artista sulla contemporanea, condotta con assil-lo ininterrotto e sintesi rigorosa, conservava il suo carattere critico. La libertà espressiva era utilizzata per creare un contrasto forte tra immaginazione e perfezione tec-nologica; un modo di lavorare che non ha mai ab-bandonato (per esempio nella 54^ ed. Biennale

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La ricerca della realtà simbolica di Valeriano Trubbianidi Andrea Carnevali

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Architetture

e un ristorante. L’appalto per la fornitura dei circa 3000 metri quadrati di pannelli di quercia bianca per il rivestimento dell’alta parete ondulata che separa il foyer dagli auditorium è andato allo studio di pro-gettazione di interni norvegese Bosvik AS. La quer-cia bianca americana è divenuta, negli ultimi anni, la scelta privilegiata di architetti e designer di tutto il mondo, per progetti sia pubblici che privati, per via della sua flessibilità, stabilità e bellissima fibra dritta, che la rendono adatta a numerose applicazioni.Peculiarità del progetto è una enorme rampa “tap-

La nuova Opera House di Oslo è una costruzione di notevole interesse per la singolarità dell’obiettivo che si pone, cioè quello di cercare un punto d’in-terconnessione tra l’identità formale del progetto e quella del paesaggio, della natura e del luogo.L’edificio, sede del Norwegian National Opera and Ballet e del National Opera Theatre, dal 1957 la principale istituzione norvegese per le arti musicali e teatrali, fa parte del progetto la “città del fiordo” che prevede la realizzazione di un quartiere residenziale-commerciale sull’area ex portuale di Bjørvika, posta sull’estremità del fiordo di Oslo, in cui sarà eliminata la presenza disturbante del traffico veicolare, attra-verso la realizzazione di un tunnel che passerà sotto il fiordo, e la creazione intorno al Teatro dell’Opera di un’ampia zona a verde a protezione dello stesso dalle vicine costruzioni. Il grande teatro nazionale, inaugurato il 12 aprile 2008 dal re Harald V con una grande serata di gala alla presenza dei rappresentanti della casa reale norvegese, è il più grande edificio culturale realizza-to in Norvegia dal 1300, anno di apertura della catte-drale Nidaros di Trondheim.Nel 1998 il Ministry of Church and Cultural Affairs bandisce un concorso internazionale di progetta-zione il cui vincitore, scelto tra 240 partecipanti, è lo studio norvegese Snøhetta, che può vantare tra i suoi progetti quello della prestigiosa Biblioteca di Alessandria d’Egitto ed altri realizzati o in via di ese-cuzione a Londra (Turner Contemporary Museum), a Berlino (Ambasciata di Norvegia) e New York (Na-tional September 11th Memorial Museum Pavilion/cultural Complex at World Trade Center).Nel 2003 le imprese appaltatrici AF Scandinavia, Norma e Norsk Epoxy AS iniziano la costruzione dell’edificio concludendo i lavori cinque anni dopo.L’Opera House, che si estende su una superficie lor-da di 38.500 metri quadrati, è costata 4 miliardi di corone; all’interno vi sono 1100 stanze e sono impie-gate 600 persone, divise in 50 professioni.La “Front of House”, ovvero l’area destinata al pub-blico, cui si accede dalla vicina stazione ferroviaria, si trova nell’ala occidentale del teatro e comprende il foyer, un grande auditorium da 1400 posti con il palcoscenico a 16 metri sotto il livello del mare e un piccolo auditorium da 440 posti entrambi dall’acusti-ca perfetta. Il foyer, un’enorme sala aperta con vari tipi di illuminazione e da cui si gode una splendida vista sul fiordo, raccoglie al suo interno anche aree di attesa, un guardaroba, una caffetteria, alcuni bar

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ArchitettureUn iceberg di vetro emergedalle acquedi Mario Restaino

peto” che percorre l’edificio dalla base, sulle rive del fiordo, fino a trasformarsi nella sua copertura, la cui superficie orizzontale e leggermente inclinata, si re-laziona armonicamente al paesaggio circostante.Al visitatore il teatro si presenta completamente ri-vestito in marmo bianco proveniente dalle cave Apuane, ad eccezione della fascia posta alla base, parzialmente immersa nell’acqua salata ed esposta al gelo invernale e perciò realizzata con il duro e re-sistente granito locale.L’architettura risulta monolitica come una scogliera

ghiacciata, strutturata in una serie di piani inclinati e in una grande parete vetrata che si protendono ver-so la baia e ne movimentano le linee. La posizione dell’Opera House a diretto contatto con l’acqua e l’aspirazione a diventare il landmark della capitale norvegese l’avvicina alla Sydney Opera House di Jorn Utzon, anch’essa provvista di un ampio spazio con funzione di piazza articola-to su più livelli e spettacolarmente rivolto verso la baia.L’11 maggio dello scorso anno, nel tratto di mare

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sul quale affaccia l’Opera House, la Regina Sonja di Norvegia ha inaugurato la scultura She lies di Mo-nica Bonvicini.Per l’opera l’artista si è ispirata al pittore romantico Caspard David Friedrich ed al suo famoso quadro Das Eismeer. La scultura rappresenta infatti la forza della natura e la speranza dell’uomo nella propria capacità di controllare gli elementi naturali.La scultura/installazione ha vinto il concorso “pro-getto acquatico” bandito nel 2007, che doveva com-pletare il programma di opere d’arte che decorano l’Opera House.

La struttura poggia su una base di calcestruzzo ed ha una superficie di 17x16 mt ed un altezza di 12 mt per un peso complessivo di 335 tonnellate; è realiz-zata con un intelaiatura aperta in acciaio inossidabi-le, ricoperta in parte da lastre di vetro semitrasparen-te che si rispecchiano tra loro. Dalla riva lo spettatore può ammirare l’installazione da una prospettiva sem-pre diversa, perché essa è in continuo movimento e ruota intorno al suo asse a seconda del vento e della spinta delle onde. Per ottenere lo stesso effetto di mutevolezza, di notte l’opera è illuminata dalla luce proveniente da fari sistemati sulla terraferma.

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Trame

drone. Esso è fuggevole e impenna dritto, nella sua piena fierezza, innalzandosi al di sopra dell’umano

terreno per ghermire ogni profano che tenti di ca-valcarlo. Cavalcare la Poesia è un atto ben più arduo di quello che si possa pensare, dispensato troppo spesso dai profani con gran faciloneria senza le dovute precau-zioni e specifiche competenze.Pertanto si comincia dalle basi, sul come sedere in sella (fermezza e rigore), sul come tenere le bri-glie e su come impartire i dovuti comandi ai quali la stessa poesia fa ricorso (il linguaggio laconico, il discorso essenziale ha le sue radici nel linguaggio militare degli spartani); soprattutto su come tenere l’andatura, poiché la tenuta del ritmo, della caden-za in rapporto alla versificazione è di fondamentale importanza, o il proprio destriero si ribellerà a ogni vostro indugio, emettendo guaiti e lamentosi stridii (cacofonia), seguiti da un’inesorabile caduta scom-posta (disconnessione euritmica, con la conseguen-te perdita dell’armonia).La Poesia nella rilevazione del suo senso globale, del suo più intimo segreto, e delle due nature che essa tiene unite in virtù d’una briglia linguistica sen-za pari, infonde in chi l’osserva lo “stupore” (l’effetto straniante) ma parimenti il timore panico nel disat-tendere di un tale automa il proprio istinto, la propria essenza.Non la morte il suo più alto prezzo, ma una silenzio-sa condanna all’oblio.

Nell’antichità i grammatici greci avevano già le idee ben chiare su alcuni aspetti del linguaggio, in parti-

colar modo su quello retorico. Soprattutto, essi con-sideravano gli elementi del discorso al pari d’un car-ro che viene aggiogato ai cavalli (in riferimento alla figura dello zêugma «aggiogamento» da zéugnymi «metto al giogo»). Non a caso, ho più volte usato nei confronti della poesia il termine “indomito”, fissando una relazione con l’arte equestre.La poesia va domata al pari di uno stallone, con con-sapevolezza e conoscenza delle arti addestratorie o il rischio è quello di essere disarcionati: il rischio dell’indugio, della caduta.Il verso è irrequieto, in virtù della sua tensione dialet-tica, di legame fra gli elementi che lo costituiscono, e come tale va sì imbrigliato ma senza l’ausilio del morso, col delicato e sapiente tocco del poeta.Il verso scalpita, sbuffa e altresì esala il proprio re-spiro poetico durante l’enfasi profusa nella fase compositiva; ma parimenti ha necessità di riposo (pausa), di essere confinato entro il proprio recinto (forma) poiché il proprio forte carattere venga con-tenuto, o l’eccesso (il superfluo) immancabilmente travalicherà gli argini di quella struttura che denomi-niamo “parola”.Il verso schiamazza, elevando il proprio “nitrito” verso le più alte vette liriche, divenendo monito per coloro che vi si accostano senza l’accortezza di un domatore (compreso il lettore), conscio che la sua creatura prima o poi si possa ribellare al proprio pa-

La poesia indomita

di Fabrizio Corselli

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fotoCromie

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...e antichi Deifoto di Gerardo Caputi

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Eventi

La manifestazione, nata dalla partnership tra Cifit (Consorzio città flegrea imprese turistiche) e i comu-ni di Monte di Procida, Bacoli e Pozzuoli, in forma

associata, ha dato luogo ad una formula innovativa di cultura, che ha permesso di far interagire il ric-chissimo patrimonio archeologico della zona con le affascinanti elucubrazioni dell'arte contemporanea, grazie ad un intelligente utilizzo dei fondi POR FESR Campania 2007-2013. I protagonisti della manifesta-zione hanno dato vita ad un susseguirsi di perfor-mances, mostre, installazioni che hanno spaziato da forme diverse di cultura a quelli propri dell'arte. Da Magma, mostra di Street Art curata da Alessandro Mantovani, che ha interagito con il territorio attra-verso performances e concorsi destinati agli artisti dell'area, a Diva,mostra omaggio a Sophia Loren,

Quando pubblico e privato collaborano insieme in nome della cultura, i risultati, sia in termini di quali-tà, che di recupero economico, arrivano sempre. Di sicuro l'intento è riuscito per Art Explosion. L'arte si racconta nei campi flegrei, evento ad altissimo pro-

filo realizzato nel meraviglioso territorio dei Campi Flegrei, tra ottobre e dicembre 2011 e prossimo, nell'imminente primavera, a nuove sperimentazioni.

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Art Explosion.L'arte si racconta nei Campi Flegreidi Fiorella Fiore

ambientata a Pozzuoli, a La Danza del Tempo, con le creazioni di Marco Nereo Rotelli,nella meraviglio-sa cornice del Museo Archeologico del Castello di Baia. L'artista, nome tra più i più importanti del pa-norama artistico internazionale, è stato poi protago-nista della performance di chiusura, avvenuta pro-

prio nel Castello di Baia, dove ha dato vita, e luce, ai versi del poeta arabo Adonis, accompagnato dalle musiche di Francesco D'Errico, in un crescendo che lo stesso poeta ha definito un “magico intarsio” di saperi capaci di donare spazio e tempo alle cose. Il risultato è stato quello di ri-creare in un luogo di

assoluta bellezza, crogiolo di culture, di incontri, un'atmosfera di pura mediterraneità, che unisce la Campania, Istanbul, Beirut, in un omaggio all'arte, alla poesia, alla bellezza.Cosa ha portato tutto questo anche in termini eco-nomici? In primo luogo, un rinnovato interesse su un territorio, che, pur ricchissimo di arte, viene dimenti-cato dai circuiti turistici soliti e che ha visto, durante tutto il periodo della manifestazione, un incremento di presenze turistiche; in secondo luogo, l'impiego lavorativo e di idee, dei giovani sul territorio, impe-gnati nel progetto; infine, aspetto più importante, il tentativo riuscito di dare vita ad una filiera che, pur esistente, non è ancora coesa in un unico progetto di riqualificazione dell'intera area.Ed è questo aspetto ad interessare anche noi lucani. I Piot, in cui tanto si è investito, dovevano essere finalizzati proprio alla cooperazione di diverse realtà territoriali pronte ad uscire fuori dai propri confini ge-ografici per valorizzare delle aree che, di fatto, sono rimaste isolate a se stesse.Eventi come questi dimostrano, ancora una volta, che la cultura funziona solo quando è in rete, quan-do, cioè, sono messi in relazione i siti, e le diverse realtà, pubbliche e private, che ruotano intorno ad essi. È solo questo tipo di approccio che permette che ogni occasione di sviluppo di non essere un'ul-teriore occasione mancata.

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Eventi

Desiderio di sostanza appunto che si abbina a quel-lo d’investigazione della forma. Sostanza e forma come due direzioni di un pendolo che oscilla verso l’una e l’altra senza perdere di vista il centro, ovvero l’oscillazione stessa. Perché se è vero che Burri ab-bandona subito la figurazione, è altrettanto vero che non abbandona mai la tela vista come zona in cui investigare e sperimentare. Già con Sacchi e Rosso del 1954 l’artista rivela il suo atteggiamento verso un concetto di tela che di-

venta corpo fisico su cui agire incollando, coprendo, scoprendo, cucendo e gettando colore. Da qui alla fase in cui la tela improvvisamente sembra si ani-mi di vita propria, il passaggio è breve. In Ferro del 1960 pur essendoci e mantenendo la forma tradizio-nale di dimensioni rettangolari e armoniose, la tela scompare fisicamente sotto lastre di ferro inchiodate l’una sull’altra che non si sa se stiano lì per proteg-gerla o ferirla col peso e i veleni della loro natura di oggetti di scarto piegati e scoloriti dal tempo. Forma e materia quindi, sperimentazione e rappre-sentazione di tele che sono entrambe... Ma se chie-

Form & Matter è il titolo della retrospettiva su Alber-to Burri (1915-1995) alla Estorick Collection di Lon-dra fino all'otto aprile. Curata da Massimo Duranti, la mostra rivela subito il carattere divulgativo nella scelta del percorso cronologico dei circa quaranta lavori esposti. Scelta condizionata dalla necessità di dover introdurre Burri a un paese che, pur conoscen-do i movimenti e le espressioni artistiche italiane del dopoguerra, ha perso i nomi (l’ultima monografica sull’artista umbro risale al 1960) e non favorita dallo

spazio espositivo che per il carattere di casa, fatta di piani, porte e divisioni brusche si presterebbe di più a una separazione netta tra temi. E invece è proprio nella tensione tra il desiderio di colmare un vuoto e quello di mettere in luce la particolarità dell’ artista di Città di Castello che la rassegna rivela spunti inter-pretativi. Passando da una stanza all’altra emergono due costanti dell’artista: il precoce abbandono alla figurazione (solo tre tele figurative, datate dal ‘46 al ‘48) e diametralmente opposta, la fedeltà al deside-rio di sperimentare usando materiali come sabbia, ferro, pietra pomice, catrame, segatura, colla.

Forma e Materia

di Maria Pia Masella

Alberto Burri, White cretto. Pagina a lato: Alberto Burri, Sacchi e Rosso, 1954, Acrilico e collage di iuta su tela, 86.4 X 100.3, Tate, London.

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dessimo a Burri cosa ne pensa risponderebbe: «Le parole non mi sono d'aiuto quando provo a parlare

Alberto Burri, Ferro, 1960, Ferro su telaio di legno, 36 x 38 cm, Collezione privata.

dei miei dipinti", (…) parlano intorno al quadro. Quel-lo che ho da esprimere appare nell'immagine»

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Eventi

Un evento straordinario che rende omaggio ad un raffinato artista lucano troppo a lungo ignorato. La mostra Michele Tedesco. Un pittore lucano nell'Italia Unita (1834/1917), fino al 15 aprile presso la Pinacoteca Provinciale di Potenza, presenta per la prima volta l’opera di uno dei principali protagonisti del panorama artistico tra la seconda metà dell’800 e il primo ‘900.Nato a Moliterno nel 1834, Michele Tedesco viene educato dallo zio materno, l’Abate Racioppi, con il cugino Giacomo.La sua formazione culturale, maturata tra idee liberali negli anni che precedono l’Unità d’Italia, si completa a Napoli dove condivide l’esperienza artistica e l’impegno politico dei pittori del Vicolo San Mattia come Cefaly, Palizzi e Morelli.Partecipa attivamente ai moti rivoluzionari del ’48 e si arruola nella Guardia Nazionale nel ‘60. Giunto a Firenze, entra in contatto con gli artisti riuniti intorno al Caffè Michelangelo che influenzano profondamente la sua produzione in questa fase di chiara impronta macchiaiola.Nel 1873 sposa la pittrice tedesca Julia Hoffmann con cui fa ritorno in Campania, pur non rinunciando a spostarsi per esporre in diverse città europee.La sua produzione, varia nelle tematiche e negli stili pittorici, risente degli influssi palizziani e macchiaioli e dei contatti con i circoli artistici tedeschi e londinesi. Muore a Napoli nel 1917. Dopo il grande successo della mostra dedicata a Giacomo Di Chirico nel 2008, il Centro Annali per una Storia Sociale della Basilicata “Nino Calice”, avvalendosi di preziose collaborazioni di studiosi e ricercatori, promuove tenacemente un nuovo progetto che mira a far luce sul grande contributo degli artisti meridionali all’Unità d’Italia. Per questa ragione il percorso espositivo, che presenta numerosi dipinti inediti provenienti da collezioni pubbliche e private italiane ed europee, propone anche una sezione dedicata ad opere su tematiche risorgimentali.In mostra tele di Cefaly, Capocci, Migliaccio, Lenzi, Martelli, De Nigris, che come Tedesco presero parte alle lotte per l'Unità.Ripercorrono il percorso biografico dell’artista anche due dipinti della Hoffman (Autoritratto e La bettola) e numerose testimonianze letterarie ed artistiche autografe. Di particolare interesse sono i taccuini, ricchi di appunti e schizzi, utili a ricostruire la sua vita sempre in viaggio tra l’Italia e l’Europa.

Un pittore lucanonell'Italia Unita

di Giovanna Russillo

Curatrice della mostra è la professoressa Isabella Valente, docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II.Il progetto, che ha meritato l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è di ampio respiro e prevede anche un fitto calendario di appuntamenti, convegni, seminari e attività didattiche, nei luoghi più significativi del percorso umano ed artistico di Tedesco: Moliterno, Spinoso, Napoli, Firenze e Monaco di Baviera.

Michele Tedesco.

Michele Tedesco, Una ricreazione alle Cascine di Firenze,1863, olio su tela, cm 62,5x146, Bologna, Pinacoteca Nazionale.

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EventiPer ulteriori dettagli in merito è possibile consultare il sito ufficiale della mostra, www.tedescoinmostra.it, che propone tra l’altro un affascinante itinerario

in Basilicata tra storia e arte sulle tracce dell’autore, con dettagliate informazioni sui principali luoghi di interesse storico e culturale.

Michele Tedesco, A Volterra, 1861 ca, olio su cartone, cm 41x27, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, legato Martelli.Pagina a lato, Michele Tedesco, La tempesta, 1888 ca, olio su tela, cm 105x57, Napoli, Amministrazione Provinciale.

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Eventi

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Eventi

Carlo Battista, Il senso della bellezza, 2010, tecnica mista, cm 80x80.

Pasquale Ciao, L'urlo del Sud, 2009, tecni-ca mista, cm 83x40x28.

Enzo Magazzini, Geometria eidetica, 2011, tecnica mista su tela, cm 100x100.

rappresentato dalla dimensione uma-na, anche quando non è visibilmen-te tracciata. Irene Albano espone

un opera intrisa di materia, dai colori intensi e mordaci.Loredana Salzano gioca con la

dualità del vulcano che può esse-re capovolto eppure esplode sem-

pre. Enzo Magazzini, attraverso forme astratte e perse sulla tela, riscopre la

geometria intrisa nell’essere.Carlo Battista, sceglie supporti materici per ricondurre lo spettatore alla centra-lità della bellezza. Continuando scopria-mo opere cariche di delicatezza pittorica

che si veste di colori festosi. Stella D’Ami-co, attraverso sfumature violacee e rosate riproduce una paesaggio che in lontananza

accoglie la presenza antropica. Cesare Cassone con leggerezza riporta all’at-

tenzione un tema drammatico – la mattanza – mescolando colori e for-

me. Antonio Caramia scivola nel fantastico regalando paesaggi irreali sospesi tra la fiaba e l’im-mobilità.Antonella Malvasi dipinge pos-senti figure di cavalli fatte di pennellate nette. Non manca la

IncontrArte è stato il primo concorso orga-nizzato dalla rivista attraverso il progetto in Arte Exhibit.La collettiva, inaugurata il 28 dicembre 2011 presso la sede di Potenza, si è con-clusa alla fine di gennaio 2012. Ancora una volta l’intento della redazione è stato quello di favorire l’incontro tra gli ar-tisti, il pubblico e la rivista: la rasse-gna rappresenta una continuità con le mostre personali finora svolte e, l’apertura ai concorsi artistici, ha dato inizio ad un nuovo progetto espositivo-editoriale che caratte-rizzerà il 2012.Le adesioni pervenute sono state molte e sono giunte da tutta l’Ita-lia. Alla chiusura del bando la giu-ria ha selezionato quindici artisti le cui opere fossero rappresentative di un'ampia varietà di stili e tecniche. Le opere esposte, infatti, spaziano dall’informale al pittorico, dal ma-terico al figurativo.La collettiva, in quanto forma di espressione d’insieme dell’arte, ha catturato l’attenzione dello spet-tatore per versatilità ed armonia; il nodo da sciogliere sembra essere

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rappresentazione della quotidianità umana, delle sue passioni, del suo essere. Erica Dardano ripren-de un ben noto tema: l’uomo, la moto, ma pone una profonda spaziatura tra i due protagonisti. Jessica Dardano, in un trittico, riscopre l’umano attraverso l’ascolto, il vedere ed il parlare.Sante Muro porta in campo la più ancestrale condi-zione umana: l’essere nati e protetti da braccia forti e calde. Fausto Naser svela nella pioggia un’ordina-

IncontrArte:una rassegna che unisce l'Italia di oggi

di Angela Delle Donne

Antonella Malvasi, Unioni, 2009, olio su tela, cm 95x105. Fausto Nazer, Pausa pranzo, 2011, olio su tela, cm 40x50.

Antonio Caramia, La guerra dei mondi, 2011, olio su tela, cm 100x150.

ria scena di vita lavorativa, travolta dall’anonimato e dalla fretta. Pierpaolo Telesca fa risaltare la figura femminile attraverso la stratificazione del supporto materico.Francesca Asquino lascia alla regalità del nero e del bianco la definizione di femminile. Unica scultu-ra presente è stata l’opera di Pasquale Ciao, legno intriso di irruenza artistica, istallazione nata per riflet-tere i colori esaltati dalle luci esterne.

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Stella D'Amico, Bagliori, 2011, tecnica mista, cm 60x70.

Francesca Asquino, Eleganza, 2008, tecnica, cm 70x50.

Erika Dardano, La sfida, 2008, olio su tela, cm 50x70.Cesare Cassone, La mattanza, 2011, acrilico su tela, cm 100x80.

Jessica Dardano, Componimento dell'essere, 2011, Tecnica mista, cm 31x120.

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Architetture

Pierpaolo Telesca, Donna giapponese con tatuaggio, 2010, aerografia e pinstriping, cm 60x40.

Loredana Salzano, Vulcano sott'encoppa, 2011, tecnica mista su tela, cm 60x60.

Irene Albano, Combustioni, 2011, tecnica mista su tavola, cm 60x40.

Sante Muro, Do not disturb!, 2009, olio su tela, cm 60x60.

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ARTagenda cura di Sonia Gammone

MilanoTiziano e la nascitadel paesaggio moderno

Fino al 20 maggio 2012Milano, Palazzo RealeInfo: www.mostratiziano.it/

Fino al prossimo 20 maggio 2012 sarà possibile ammirare nella splendida sede espositiva milanese di Palazzo Reale, la mostra Tiziano e la nascita del paesaggio moderno. Sono in mostra 50 opere attraverso le quali si snoda un percorso alla scoperta del paesaggio moderno nella pittura del Cinquecento. Nelle sale di Palazzo Reale la mostra, curata da Mario Lucco, da un progetto ideato da Tekne International, raccoglie opere di inestimabile valore. Si parte con la Crocifissione nel paesaggio di Giovanni Bellini e La prova del fuoco di Giorgione che accompagnano La sacra conversazione di Tiziano fino a seguire il modificarsi della funzione del paesaggio in cui le opere sono accostate ad altri di-pinti di Tiziano come L’Orfeo e Euridice, La nascita di Adone, Tobiolo e l’angelo. A partire dalla lezione di Bellini e Giorgione, Tiziano ha avuto il merito di elaborare una nuova idea dell’ambiente naturale che, evolvendosi attraverso varie fasi e signifi-cati, lo portò a definire nella lingua italiana il termine stesso di “paesaggio” nella sua accezione moderna.

RomaCarlo Mattioli al Museo Morandi

Fino al 06 maggio 2012 Bologna, Museo MorandiInfo: www.mambo-bologna.org/museomo-randi

La figura di Carlo Mattioli (1911-1994), au-tore di una delle più originali esperienze nella storia della pittura italiana del Nove-cento, è tornata in primo piano grazie ad una serie di eventi espositivi a lui dedicati per il centenario della nascita. Fu un artista visionario e sfuggente ad ogni tentativo di inquadramento in una precisa avanguardia del suo tempo.Fino al prossimo 6 maggio 2012 il Museo Morandi gli dedica la mostra Carlo Mattioli al museo Morandi, realizzata in collabo-razione con l’Archivio Carlo Mattioli per la curatela di Simona Tosini Pizzetti.Il Museo Morandi prosegue ad ospitare mostre che accostino l’attività di Giorgio Morandi all’opera di altri grandi artisti del ‘900 e in questo senso il percorso esposi-tivo della mostra rappresenta una nuova occasione per riflettere sul modo di fare pittura di due maestri dello scorso secolo nel confronto sul tema della natura mor-ta che entrambi elessero come terreno di interrogazione della realtà, con approdi espressivi talora fortemente differenti e perfino antitetici.

RovigoIl Divisionismo.La luce del moderno

Fino al 23 giugno 2012Rovigo, Palazzo RoverellaInfo: www.mostradivisionismo.it/

Tra i più importanti eventi espositivi di quest’anno, il Palazzo Roverella di Ro-vigo ospiterà fino al prossimo 23 giugno 2012 la mostra Il Divisionismo. La luce del moderno promossa dal Comune di Rovi-go, dall'Accademia dei Concordi e dalla Fondazione Cassa di risparmio di Rovigo.Oggetto dell’esposizione sono le opere create negli anni tra il 1890 e l’indomani della Grande Guerra, quando in Italia di-versi artisti si confrontano con l’uso diviso dei colori e lo fanno con grande origina-lità.Nel Divisionismo italiano la tecnica con i suoi puntini e le sue barrette aiuta ad esprimere l’intimità, l’allegria, lo spirituali-smo, il simbolismo, l’ideologia anche po-litica. Pittura di luce, colore ma anche e soprattutto pittura di emozioni.Francesco Cagianelli e Dario Matteoni propongono la rilettura di questo momen-to magico dell’arte italiana, valorizzando artisti come Vittore Grubicy de Dragon e Plinio Novellini, e poi i grandissimi Pre-viati, Segantini, Morbelli, Pellizza da Vol-pedo, fino ad arrivare a Balla, Boccioni, Severini, Carrà.

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idee arte eventi

Associazione di Ricerca Culturale

e Artistica

La rivista “In Arte Multiversi” indice un concorso per opere d’arte a sog-getto sacro. Possono partecipare artisti che operano nei campi della pittu-ra, dell’illustrazione, del disegno. Il concorso prevede una mostra della dura-ta di un mese di tutte le opere partecipanti presso il Convento del SS. Croci-fisso, a Forenza. L’inaugurazione avverrà in occasione della Settimana Santa.

EXhIBIT

INFOrmazIONI sul regOlameNtO: [email protected] 347 1241178 330 798058 0971 25683

sacre visioniConCorso d’Arte sACrA

SCADENZA ISCRIZIONI: 30 MARZO 2012