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In allegato il DVD con l’intervento di Don Arturo Paoli in occasione della pre-sentazione della prima edizione del volume.

© Copyright: 2012 maria pacini fazzi editorewww.pacinifazzi.it

ISBN 978-88-6550-121-4

Si ringrazia la Fondazione Banca del Monte di Lucca

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maria pacini fazzi editore

ARTURO PAOLI

La Rinascita dell’ItaliaMessaggio ai giovani

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Ho seguito Arturo Paoli nella genesi e nella scrit-tura di questo libro, il cui pregio e privilegio è

quello di esprimere il pensiero, la scrittura, l’elaborazione di un uomo quasi centenario che per tutta la vita ha affida-to alla penna e alla carta la trasmissione del messaggio di amore di cui si è sentito incaricato dalla voce di colui che da sempre chiama Amico.La “rinascita dell’Italia” è un messaggio urgente, che Paoli ha lanciato di getto, raccogliendo l’opportunità offertagli dal Presidente della Fondazione Banca del Monte di Lucca nell’ambito di un dialogo informale, amichevole, durante il quale l’avvocato Del Carlo gli propose di inaugurare il Fondo Documentazione Arturo Paoli con un evento cit-tadino. Evento che si svolse all’auditorium San Romano di Lucca il 3 dicembre scorso, cui presenziarono circa mil-le persone. La prima edizione di questo libro, stampato in mille copie dalla MariaPaciniFazzi, è stato distribuito a quanti accorsero ad ascoltare Paoli quel giorno e andò subito esaurito.Il libro, che prese forma nel giro di poche settimane, in re-altà stava maturando da tempo nella riflessione di Paoli, e cercava l’occasione per prendere sostanza: il volume Senza tradirsi senza tradire dello storico piemontese Sergio Soa-ve (ampiamente citato in questo testo di Paoli), ricevuto in dono da un piccolo gruppo di amici, aveva acceso in Arturo Paoli la memoria degli ideali che avevano animato

Introduzione alla seconda edizione

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la sua giovinezza in Italia, tra gli anni Trenta e i primi anni Cinquanta. Il messaggio cristiano, nella convinzione di Paoli come dei due protagonisti del libro di Soave, Ignazio Silone e Angelo Tasca, può trovare la migliore possibilità di diventare efficace se si incontra con l’ideale socialista, liberando entrambi dagli opposti rischi di spiritualismo e totalitarismo. Socialismo più cristianesimo esprime la sin-tesi di quell’ideale. Quella speranza di futuro, socialismo più cristianesimo, aveva vissuto una vicenda drammatica negli anni Sessanta e Settanta in Argentina, dove fratello Arturo Paoli si era trasferito a vivere dopo il suo allontanamento dai vertici della Gioventù di Azione Cattolica e il suo ingresso tra i piccoli fratelli di Charles de Foucauld. In Argentina accad-de che gruppi di giovani vicini ad Arturo Paoli e ad altri leaders religiosi e politici credettero alla prossimità tra gli ideali socialisti e quelli cristiani. Molti religiosi e sacerdoti cercarono di mettere in pratica il messaggio di liberazione del vangelo. I poveri, i contadini, i boscaioli, gli operai tro-varono voce attraverso quei giovani e quei religiosi. Tutto questo non piacque ai politici, ai militari, a una parte della Chiesa che temeva il “pericolo comunista” e che formu-lava contro di loro un capo d’accusa carico di ideologia e di paure: ‘Voi dite ai poveri che siamo tutti uguali. Que-sto è comunismo’; la risposta non cedeva a provocazioni: ‘Questo lo dice Gesù, si trova nel vangelo’. La conflittualità crebbe fino a generare una violenta repressione da parte dei militari argentini nei confronti di sacerdoti, religiosi, giovani, provocò l’enorme piaga di 30mila désaparecidos e stremò quella speranza.In quegli stessi anni, in molti paesi dell’America Latina nac-quero ulteriori germogli di cristianesimo più socialismo con la spiritualità-teologia della liberazione e le comunità di base, a seguito del concilio Vaticano II e delle confe-

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renze episcopali latinoamericane (Medellin 1968, Puebla 1979). Arturo Paoli li ha vissuti e alimentati direttamente, portandovi il proprio contributo di pensiero filosofico e di ricerca spirituale, ispirandosi sempre alle pagine del van-gelo, come testimoniano i numerosissimi libri e articoli da lui scritti in quegli anni. Rientrato in Italia in questo inizio di nuovo millennio, all’epilogo della propria esistenza, Arturo Paoli ha ritro-vato ancora una volta questo filo rosso che congiunge il messaggio cristiano alla politica, messaggio che porta la religione fuori dal tempio e colloca il cristiano nel mondo con l’impegno di ‘amorizzare il mondo’ attraverso l’azione politica. Il filo rosso è riemerso attraverso il libro di Soave, come risposta urgente alla crisi morale e civile che l’Italia sta attraversando, le cui gravi conseguenze pesano soprat-tutto sulle spalle dei giovani e delle generazioni future. Così nascono queste pagine.Il ‘messaggio ai giovani’ che Arturo Paoli ha scritto quasi di getto non si presenta in modo organico e sistematico come un saggio, i capitoli che lo compongono hanno ciascuno una struttura propria, sono accenni di dialogo il cui tenore muta mentre scorre, proprio come accade quando si con-versa liberamente con un amico e la conversazione scivola da un argomento all’altro senza mantenere uno stesso re-gistro. Chi ha occasione di incontrare e parlare con Paoli sa che questo libero parlare deriva da una trasparenza e da una leggerezza di vita che è maturato nel tempo, resa più tenera e più accentuata dall’età secolare che sta per raggiungere. La stessa libera leggerezza è presente nei suoi scritti, che restano il suo luogo privilegiato di dialogo. Chi lo conosce sa senza dubbio che l’identità profonda di Arturo Paoli è quella di piccolo fratello, impegnato a ‘grida-re il vangelo con la vita’ sulle orme di Charles de Foucauld, seguace del Modello Unico Gesù di Nazareth. Ugualmente

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non c’è dubbio che il mestiere di Paoli sia quello di scritto-re, un mestiere che non abbandonerà mai, mantenendolo sempre al servizio dell’Amico. Queste pagine ne sono testi-monianza ed espressione.

Silvia Pettiti

Fondo Documentazione Arturo Paoli

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PREMESSA

All’epilogo della mia vita vorrei affidare a que-sto piccolo libro i miei dolori, le mie speranze,

i miei desideri nella maniera più semplice e più effi-cace. Non sono mai stato un uomo casalingo, come se l’avvenimento di piazza San Michele la sera di dicembre del 1920 (avevo otto anni di età: il fatto è confermato da fonti storiche) mi avesse gettato sulla piazza e non fossi più tornato indietro. Accenno bre-vemente a questo per giustificare queste pagine. Fu quello di piazza San Michele uno scontro fra fascisti e socialisti che lasciò un saldo di due morti e molti feriti. Quel momento che vissi in mezzo alla folla, come raccontato molte volte, marcò l’indirizzo della mia esistenza. Mi fece da uomo normale che pensa a costruirsi una famiglia, a uomo pubblico. Ho sul mio tavolo l’opera più importante della mia vita, Dialogo della liberazione, edito dalla Morcelliana di Brescia, prima edizione novembre 1969 seguita da cinque edizioni fino a novembre 1972. Un libro che vorrei correggere nella sua forma ma non nella sua sostanza. Fu scritto frettolosamente, appassio-natamente, perché portava nel cuore la rivoluzione giovanile del Sessantotto. Oggi non avrei la forza di scrivere 367 pagine, ma il mio cuore continua

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a battere come in quel tempo. Gustavo Gutierrez, considerato il teologo della teologia della liberazio-ne, cita in nota la prima edizione di questo libro che lascio al Fondo Documentazione.

Ho accettato per anni il principio della Chiesa cat-tolica che non possiamo pensare Gesù senza la sua Chiesa. Anch’io mi sono messo al seguito di Gesù at-traverso la preparazione che ho fatto nella Chiesa. Ora che sto per parlare di due personaggi, Ignazio Silone e Angelo Tasca, che scoprono l’importanza di Gesù nella storia del nostro tempo non accettando la pratica religiosa, penso che da lì possa arrivare un contributo essenziale al nostro tempo.

Statisticamente il Gesù della Chiesa annovera un buon numero di credenti, che essa alimenta con la dottrina e il culto; gran parte di questi credenti però accettano un tipo di società che è in assoluta contrad-dizione con gli insegnamenti del Maestro. Per questo penso che ritrovarlo separato dalla Chiesa oggi sia strettamente necessario. Questo non vuol dire lascia-re la Chiesa perché è stata ed è custode fedele della Sua vita e delle Sue opere.

Mi viene in mente l’episodio del cieco di nascita rac-contato da Giovanni (Gv 9): la guarigione genera una discussione violenta tra i sacerdoti del tempio e il gio-vane che ha cominciato a vedere. Verso sera il giovane e Gesù si incontrano fuori del tempio: Gesù sentì che l’avevano cacciato fuori e, trovatolo, gli disse: “Credi tu nel figlio dell’Uomo?”. Rispose: “Ma chi è Signore perché io creda in lui?”. Forse nella disperazione di sentire così svuotata di senso la società politica, viene fatto di pensare a questo Gesù anche lui cacciato dal tempio perché non capito del tutto, e ritrovarlo perso-nificato nel suo progetto di amorizzare il mondo.

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La Chiesa, fedele al Risuscitato, non lo è stata sempre al Gesù che ha promesso di restare con noi fino alla fine del mondo e di manifestarsi nella storia del tempo. Ho pensato spesso che al mio bisogno di difendere questa presenza di Gesù nel tempo, mi ven-ga incontro la luce. E in questo momento avviene at-traverso un libro che misteriosamente è giunto al mio tavolo (Sergio Soave, Senza tradirsi, senza tradire, Nino Aragno editore). Gesù è veramente fedele alla sua promessa starò con voi fino alla fine del mondo.

A.P.

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1Il momento storico che attraversiamo mi appa-

re il più triste tra quelli vissuti nella mia ormai secolare esistenza. Zygmnut Bauman, l’acutissimo studioso della società, descrive la società attuale ri-correndo all’immagine di un aereo che ha perduto la sua rotta e continua a volare fino all’esaurimento del combustibile. Penso alla mia fede astraendola dalla pratica religiosa, da tante teologie che vogliono chia-rire il mistero della generazione di Gesù dal Padre. Credo che questa impostazione abbia generato una religione di esseri umani che credono all’immortalità dell’anima, che si devono difendere da tante insidie per non rovinare la promessa di una eternità felice. Era proprio questo che pensava e voleva Gesù?

La mia storia piccola piccola è stata sempre ac-compagnata da un interesse politico. La liturgia e i culti solenni, quasi saggi della gloria del Paradiso, hanno oscurato il Gesù storico, Colui che regalmen-te si siede su un’altura e pronunzia il discorso della montagna.

Penso Gesù come un personaggio unico, il vero e solo Maestro degli uomini che insegna loro come vi-vere. E a chi gli domanda come, risponde: cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia. I due capitoli

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del vangelo di Matteo che seguono le beatitudini ci danno tutti i dettagli della giustizia che dobbiamo realizzare qui sulla terra, fra noi, andando incontro a rischi e difficoltà senza indietreggiare. Nella cultura dell’essere questo programma è come svanito tra elu-cubrazioni teologiche sul mistero della sua esistenza, della sua vita e della sua morte. I più audaci capitali-sti, quelli che sbilanciano gli equilibri economici che amplificano l’area della fame nel mondo, sono con-vinti di avere già assicurato la salvezza dell’anima, e in generale sono amici dei sacerdoti.

Il messaggio di Gesù, il suo vissuto non è mai en-trato nella strategia politica. Lo abbiamo sempre identificato come il Dio misericordioso che ha pietà delle nostre sofferenze, che ci dà buoni consigli affin-ché facciamo delle scelte coerenti. E così la società è entrata senza scosse nell’idolatria del mercato e della tecnica che ammette di vivere secondo la legge del “fai da te” e quindi produce come logica conseguenza la “morte del prossimo”.

Nel libro che mi orienta nello studio della socie-tà attuale trovo delle indicazioni importanti: la di-namica dei bisogni che introducono il programma inarrestabile della tecnica e del contesto naturale e sociale, non dice nulla sulla realtà invisibile dell’uo-mo e sul suo vero destino. (…) Solo introducendo un limite che abbia a che fare con l’affermazione dei va-lori umani, si può ingaggiare la vera battaglia contro il mondo borghese sfigurato dal capitalismo. E nel messaggio cristiano c’è la più straordinaria combi-nazione selezionata nel corso della storia del concet-to del limite con quello di pienezza umana: cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia. Gesù affida

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all’uomo la responsabilità politica cominciando con la povertà volontaria. Avvisa i suoi seguaci: attenti a non scambiare il mezzo per il fine che è la pienezza umana. Gesù non trova un nome più significativo: non vi chiamo più servi ma amici (Gv 15,13 segg.). Ci rassicura del suo amore, non intralcia la nostra originalità. Chi non conta sulla sua amicizia resta al livello della obbedienza-disobbedienza. Chi raggiun-ge il livello dell’amicizia si rende conto che è il solo livello della libertà.

Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, viaggiò in Russia in un tempo nel quale per il Vaticano era incompatibile cercare buoni rapporti ufficiali, ma l’amicizia suggerisce a La Pira di agire in modo suo, originale, sicuro che quella sia la voce dello Spirito. La distensione avvenuta dopo Gorbaciov non risale anche a questa iniziale e inattesa apertura?

Oggi i partiti politici che un tempo offrivano al popolo la possibilità di partecipare alle decisioni utili alla convivenza sociale, sono una “ruina mesta”. Il Partito della Libertà ha nascosto sotto questo nobile titolo le innumerevoli iniziative del Cavaliere finaliz-zate sempre ad evitare il confronto con i giudici. I parlamentari eletti con elezioni politiche che dovreb-bero impegnarli a servire il popolo, di fatto hanno servito gli interessi personali del Primo ministro Sil-vio Berlusconi. L’Italia è stata per molti anni pratica-mente senza governo, perché coloro che sono rivestiti di autorità hanno completamente sviato il senso dei loro incarichi.

Completamente diversa è la storia dei “due tra-ditori”, Silone e Tasca, che sono i soggetti dell’opera che nuovamente mi coinvolge in questa tematica che

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mi pareva di avere un po’ trascurato. Ora che mi tro-vo davanti a questo foglio posso chiarire, non solle-citato da nessuno, che il vero tradito è Gesù. Perché il vero e solo tradimento si compie quando neghiamo praticamente la nostra verità esistenziale che è quella di scoprire che siamo completamente “alterità”. Io sono la vera vite e voi siete i tralci, finché il tralcio è unito alla vite produrrà frutti sani e deliziosi ma staccato diventa stecco da essere bruciato sul fuoco. I due soggetti cui ho accennato arrivano a questa certezza, non vogliono affermare una adesione alla Chiesa di Cristo nella quale si sentono completamen-te estranei. Ma non vogliono negare alla società alla quale si sono dedicati in tutte le dimensioni, il Cri-sto come centro della convivenza umana. Entrambi affermano che quanto viene deciso e pensato contro di Lui o senza di Lui è vano, è contro la realtà, è contro la vita. Nei documenti di Angelo Tasca, serio e profondo pensatore, troviamo questi appunti: la li-bertà e l’uguaglianza senza la fraternità sono prive di senso e anzi potenzialmente nocive. Senza que-sto essenziale legame sono come un battello privo di àncora lasciato alla deriva. Ricostruire l’Europa e il mondo significa allora affermare fortemente la liber-tà e l’uguaglianza in funzione della fraternità. Sen-za questa si cade nell’arbitrio dell’anarchia o nella dittatura. La logica del dovere prevale sulla logica del diritto in virtù del ribaltamento della concezione dell’uomo. È questo un punto di partenza naturale, è come un diritto, un obiettivo da raggiungere tra gli infiniti condizionamenti della storia (pag. 630). Sono sempre più convinto che se consideriamo Gesù solo nel contesto religioso, limitiamo necessariamen-te la sua importanza, non arriviamo assolutamente

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a pensarlo come universale. È vero che la Chiesa si è sempre sentita in missione. Gli apostoli sono sta-ti i primi missionari trasferendo il Cristo nel mondo pagano, ma nel corso dei secoli, diffondendo la fede come redenzione dal peccato, facendo del messaggio di Cristo una religione, è stato mortificato il suo va-lore universale.

Nella storia travagliata di queste due persone, Si-lone e Tasca, come nella testimonianza di Gandhi e altri, Gesù trascende i limiti della religione per diven-tare il centro di un progetto politico. Quando penso alla preghiera: io sono la vite, voi i tralci sento un fremito dentro di me e sento che la religione ha trop-pa fretta nel rassicurarci, perché solamente i marti-ri possono esalare tranquillamente l’ultimo respiro. Soltanto i martiri possono affidare all’aria non una parola di autosufficienza ma quella stessa che si spe-gne sulle labbra di Gesù: consummatum est. Non po-tevo dare di più: ho dato tutto. Gesù non è universale perché romano ma perché ha toccato l’estremo limite dell’umano, è come se la vite avesse trasmesso ai tral-ci l’ultima goccia di vita.

Credo sia venuto il momento di parlare a voi giova-ni direttamente spiegando perché mi sono interessato a questo libro che difficilmente leggeranno persone in pensione e tanto meno voi che avete modo di occupare il tempo. Un libro di mole difficilmente abbordabile per me è stato affascinante. Prima di tutto è stato come uno squillo di allarme che lo Spirito mi ha fatto giun-gere per riprendere un tema che mi è caro fin dall’ado-lescenza: l’ordinamento politico del piccolo e grande mondo in cui sono stato chiamato a vivere. E allora ripercorriamone insieme alcune tappe essenziali.

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Ignazio Silone nasce nel 1900 in un luogo dell’Abruzzo che si chiama Pescina, è interessato alla politica fin da bambino, vive vicino a un feudo del Principe Torlonia che ha sotto di sé 14.000 contadi-ni. Nel 1907 il Principe è candidato alle elezioni e il bambino Ignazio è già in grado di capire il gesto del padre che non si sottomette come altri a votare a fa-vore del Principe e manifesta le idee di chi ha scelto la parte dei poveri. A quei tempi l’Italia era in parte un Paese feudale, cominciavano a nascere i partiti politici che difendevano i diritti dei lavoratori.

Chi vi scrive, cari giovani, è nato dodici anni dopo Ignazio Silone, che sono tanti. Appartengo a una fa-miglia di commercianti che lavoravano in proprio in una piccola fabbrica di articoli da viaggio, che ve-nivano comprati essenzialmente da contadini delle campagne lucchesi che partivano per le Americhe o altri luoghi: il prezzo era accessibile alle loro tasche. Mio nonno e i miei genitori gestivano anche due ne-gozi di articoli di abbigliamento e di ornamento della casa. Non si occupavano direttamente di politica ma mio padre aveva un amico fraterno, un amico im-bianchino che si piccava di pittore. Era un socialista convinto e spesso veniva picchiato con i manganelli dei primi fascisti e allora si ritirava nella mia casa grondante sangue. Quando avevo sette anni di età co-minciavano i primi moti fascisti e da allora nacquero in me ideali che sarebbero cresciuti nel tempo.

Mia madre è stata la mia prima educatrice, come spesso avviene, e non era una santa come spesso si legge nei racconti religiosi; era una mamma altruista, nata mantovana, mi parlava del suo nonno materno che fu sorpreso dalla guardia austriaca in un gruppo considerato di cospiratori per l’indipendenza. Alcuni

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soldati austriaci piombarono in parrocchia, impicca-rono il parroco e portarono in prigione i giovani che stavano lì in quel momento, uno dei quali era il mio nonno, che visse qualche anno di carcere duro e da buon cattolico attribuì a Gesù l’attesa liberazione.

Il nostro Ignazio Silone a otto anni viene richiesto da una mamma analfabeta per scrivere al figlio con-dannato al carcere a vita e fra le lettere una chiede-va la revisione del processo perché questo figlio non aveva commesso reati, ma solo partecipato a riunioni che prendevano le difese dei poveri e delle vittime dell’ingiustizia, e spesso finivano con una sassaiola. A undici anni il ragazzo Silone perde il padre e a quin-dici è travolto da un terremoto che lo rende orfano di madre, e dei sette fratelli sopravvivono solo lui e il più piccolo, Romolo, che assai più tardi morirà in carcere come sovversivo. Così più tardi lo scrittore ci descrive il terremoto: si è fatto d’improvviso come una fitta nebbia… in mezzo alla nebbia si vedevano ragazzi che senza dire una parola si dirigevano verso la finestra. Tutto questo è durato venti secondi, tren-ta al massimo. Quando la nebbia di gesso si è dissi-pata, c’era davanti a me un mondo nuovo. Dal terre-moto sono sopravvissuti i tratti della prima identità di Silone e del suo carattere, con quella compresenza di elementi che è il frutto di sollecitazioni educati-ve diverse. E sono questi sedimenti che lo inducono nell’adolescenza a cercare don Orione, il primo sa-cerdote giunto come salvatore dei sopravvissuti dopo il terremoto, e a frequentare la Lega dei contadini, una comunità di prepotente moralità cristiana da un lato, e di ostinata rivendicazione di un minimo di giustizia dall’altro. Nell’incontro con il santo che lo

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ascolta tutta la notte durante il viaggio tra Roma e Sanremo, avviene l’improvvisa e provocatoria intru-sione del socialismo. Dopo un po’ il prete mi chiese se desiderassi un giornale e quale: “l’Avanti!” gli risposi in tono secco e palesemente provocatorio. Allora co-noscevo questo giornale solo di fama, come un foglio nemico della Chiesa, della tradizione e dell’ordine. Senza scomporsi il prete scese dal treno e poco dopo riapparve e mi porse il giornale. Da allora il santo Orione cominciò a raccontarmi della dura prova che anche per lui era stata un’origine misera e stentata. Sentivo un piacere infinito a udirlo parlare in quel modo, provavo una pace e una serenità nuove.

L’adolescente prese a frequentare la Lega dei con-tadini, e nel paese subito nacque la fama che fosse un “rosso”. In quanto a colore (il capolega socialista) Lazzaro mi rispose: a noi pare che l’uomo sia come l’acqua, se prendi un bicchiere d’acqua, vedi subito che non ha colore, ma una grande quantità d’acqua, un grande fiume, un lago, un mare acquista finalmen-te una colorazione. A causa del cielo, mi permisi di interloquire. A causa del cielo, egli confermò. Ognuno di noi da solo è come un bicchiere d’acqua. Da che ci può venire un colore? Dalla massa? io domandai. Non dalla massa, egli mi spiegò. Una massa di pecore re-sta una massa di pecore e noi qui siamo appena tre o quattro. Da che cosa dunque? Io insistevo. Ognuno di noi ci riuniamo, Egli ha promesso di stare con noi, mi spiegò Lazzaro indicando nella parete della baracca il Cristo con il camice rosso.

A differenza di Silone, i miei primi anni di vita fu-rono molto buoni: in casa non abbondavano ricchez-ze ma una frugale sufficienza, né da desiderare di più

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né di meno. Gli studi bene, frequentavo Lettere e fi-losofia, amici buoni e grande armonia. Ho raccontato spesso dei nostri interessi politici che rendevano viva-ci i nostri incontri fra coetanei che studiavano oppure che già lavoravano per le loro strette condizioni eco-nomiche, e aiutavano a rendere interessante la nostra amicizia. La tendenza generale era l’antifascismo. Io cominciavo ad appassionarmi al personalismo fran-cese, a Mounier e altri; queste nostre riunioni erano spesso miste tra ragazzi e ragazze. Ci incontravamo anche in sedute musicali, specialmente le domeniche, e i preferiti erano Beethoven e Mozart.

La tempesta venne quando toccavo i 22 anni, ini-ziò con la morte di mia madre per un fatto setticemi-co improvviso e violento (non si conoscevano gli an-tibiotici). Mio padre, primogenito di cinque figli, mi raccontava spesso la morte di sua madre quando lui aveva undici anni e la descriveva sempre con queste parole incomprensibili per me: sarebbe stato meglio che fosse caduta su noi la casa e tutti fossimo morti con lei. Mi pareva un’esagerazione! Ma poco dopo ci fu il crollo dell’impresa paterna che fu un evento abbastanza generalizzato per l’avvento della grande industria nel nord Italia. La Lucca artigianale rimase travolta. Poi la morte colpì un fratello minore di mio padre, proprietario di uno dei più frequentati risto-ranti della città. Mio padre entrò in depressione (oggi questo stato ha preso un nome e una cura) e io diven-ni il padre di mio padre perché l’unico fratello mag-giore era sotto le armi. Mi aiutarono molto gli amici ma maturarono anche le mie qualità e soprattutto la mia fedeltà ad atti religiosi a cui anteriormente non avevo pensato. Tanti sogni caddero in quei cinque o sei anni di vita in cui mi sentii coinvolto in gravi pro-

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blemi economici che affrontai dando lezioni private ai ragazzi rimandati alle sessioni autunnali degli esa-mi e mi persuasi della mia chiara vocazione ad essere educatore. Dopo pochi anni divenni sacerdote.

Fui ordinato prete nel giugno del 1940: la notte precedente la cerimonia di ordinazione suonò l’al-larme e chi si destò come me scese nel sotterraneo che gli venne indicato per salvarsi dalle bombe. Fu semplicemente un allarme per collaudare il funziona-mento dei luoghi dove fuggire per salvarsi dalla mor-te. Iniziava la guerra. E questo avvenimento suggerì all’Arcivescovo Torrini di aprire le porte del vecchio seminario, restato vuoto per diversi anni, e destinarvi tre nuovi preti. Per raccogliere chi? Vedremo. Ma ora torniamo a Ignazio Silone.

Finiti gli studi è normale pensare a una famiglia. Aveva ottenuto l’aumento della pensione (per le per-dite del terremoto) con qualche sotterfugio e scrive: per cui ho pensato così da qualche giorno come sono solito, di prendere moglie, si intende non civilmente e tanto meno religiosamente. Civilmente forse, se il matrimonio privato avrà le sue conseguenze.

Arturo ha voglia di dire a Silone: caro amico, ti capisco profondamente, queste parole potrei averle scritte io, ma quando sei stato preso da Qualcuno che ti apre per un progetto universale non ti appartieni più.

Il tuo biografo scrive dopo queste tue righe: non ci sarà conversione di Silone a un mediocre edonismo, a un superficiale cinismo, i dubbi esistenziali torna-no a tormentarlo come egli scrive quattro mesi dopo. Chiede perdono e aiuto nello stesso giorno a don Ferretti e a don Orione. Nelle lettere al primo pre-

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vale una confusa disperazione, “anima non l’ho più avuta, non credo più cosa può esserci per l’anima”. Allude alla scelta fra cristianesimo e socialismo. Silo-ne è sotto processo per aver partecipato a Pescina a una sassaiola contro una baracca di carabinieri dove erano rinchiusi soldati renitenti alla leva. Finalmen-te decide per il socialismo che gli permette di agire nella società. Avrà dei successi importanti ma non tarderanno le delusioni: Poiché oggi siete solidali con ciò che avviene in Russia… poiché ammettete che gli oppositori vengano deportati con un semplice prov-vedimento amministrativo, che ad essi venga fatto il processo senza che vengano posti in condizione di di-mostrare la loro innocenza con testimoni e con l’aiu-to di avvocati veramente indipendenti… che valore hanno allora tutte le vostre proteste contro la polizia fascista e i tribunali fascisti? Che sincerità hanno i vostri sfoghi verbali sui diritti elementari dell’uomo, sulla difesa della civiltà? Che valore ha il cosiddetto umanesimo che voi professate?. (…) Sono realmente convinto che non abbiamo tanto bisogno, o per lo meno non principalmente, di mezzi materiali né di armi o di vasti apparati burocratici per resistere al fascismo. Ciò di cui necessitiamo soprattutto è una diversa maniera di vedere la vita e gli uomini. Senza questa maniera diversa di vedere la vita e gli uomini diventeremo noi stessi fascisti, cari amici, cioè fascisti rossi. Ora ciò che dovevo dichiarare espressamente è che mi rifiuto di diventare un fascista e anche un fascista rosso” (pagg. 360-361).

Riassumendo l’esperienza politica vissuta da Si-lone si potrebbe formulare questo assioma: finché l’ideologia è ispirata all’altruismo, alla liberazione di

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gruppi umani che vivono al di sotto della soglia nor-male, se ne vedono facilmente gli effetti benefici. Ma ben presto le ideologie si trasformano in strumenti di potere e allora nascono contrasti e conflitti fra i gruppi umani. E infatti la guerra non tardò a venire, con tutte le sue conseguenze drammatiche. Che cosa la scatena? Hitler si sente intralciato nel suo progetto politico dagli appartenenti a una religione diversa da quella nazionale, gli ebrei, e in una progressione per-secutoria arriva alla decisione di sterminarli. Musso-lini pensa che sia giunta l’occasione di resuscitare il passato glorioso di Roma e si allea al dittatore tede-sco. Nel 1940 scoppia la seconda guerra mondiale.

Per me e tre compagni questa terribile guerra fu occasione di mettere in pratica la legge generale di ogni esistenza, contribuire ad amorizzare il mondo. Ci furono assegnati come abitazione i due grandi edi-fici del vecchio seminario, sostituito dal nuovo sulle colline. Un’ala fu messa a disposizione dei giovani studenti delle campagne che trovavano lì il luogo per studiare, consumare i pasti, passare la notte e questo era come una copertura dell’utilizzo che facevamo delle altre aree del seminario, che accoglievano tutti i designati a sparire dal mondo perché costituivano un impedimento ai progetti ambiziosi dei due ditta-tori. Il servizio che prestavamo era piuttosto di acco-glienza immediata perché vi erano diversi altri luoghi dove potevano poi essere smistati. Da noi arrivavano soprattutto ebrei e antifascisti riconosciuti tali, che fino allo scoppio della guerra vivevano come cittadini comuni la loro esistenza.

L’episodio più importante di quel lungo periodo trascorso fra atti di coraggio e paure improvvise, av-venne il giorno in cui giunse una giovane coppia di

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nazionalità tedesca. La donna era gravida e nell’im-minenza di mettere al mondo un essere umano. Poco dopo il suo arrivo la condussi ad una clinica di suo-re che facevano parte del nostro gruppo con l’ordine di non rivelare l’identità della persona ricoverata. Il giovane sposo era restato nella casa in attesa del mio ritorno e della scelta del luogo di rifugio per lui. Men-tre parlavamo, vidi entrare dal portone di ingresso del grande cortile una pattuglia di soldati tedeschi accompagnati da fascisti. Era giunta l’ora fatale: non potevamo fuggire e l’ebreo sarebbe stato certamente la prova della nostra attività proibita. Questi soldati tedeschi non appartenevano all’armata regolare ma a quelli definiti dalle lettere SS, che avevano l’ordine di procedere immediatamente a distruggere, incendia-re, uccidere come capitò poco dopo ai nostri fratelli certosini, che furono tutti impiccati. Il giovane sven-ne tra le mie braccia, mi raccontò poi che prima che perdesse la conoscenza, io gli avrei suggerito all’orec-chio queste parole: non avere paura, ti salverò col mio sangue. Non ho mai ricordato che queste parole siano uscite dalla mia bocca.

La stanza dove ci trovavamo aveva una porta a muro, invisibile a prima vista, che si apriva su una specie di sottoscala nel quale gettavamo i giornali letti e la stampa diventata inservibile e dove nascosi il giovane ebreo. Il drappello, dopo aver passato in rassegna le stanze inferiori, giunse nella stanza, non so come conservai un’apparente indifferenza. Appe-na entrati, i militari furono chiamati fuori come se fosse stato trovato qualcosa che indicasse la nostra colpevolezza. Ma così si allontanarono dalla porta a muro. Sono sicuro che la salvezza di quest’uomo fu un vero miracolo.

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L’edificio nel quale vivemmo uno dei periodi più dolorosi e insieme luminosi della nostra esistenza porta oggi una lapide che celebra questa accoglien-za. All’epilogo della guerra sentii con i miei colleghi un’immensa gratitudine verso la Mano invisibile che ci permise di percorrere l’unico sentiero dell’amore altruista.

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22Il fascino della rivoluzione sovietica contagia tut-

ti coloro che vogliono cambiamenti profondi nel senso della giustizia, riscatto da antiche catene, e arriva a contagiare anche Silone che si trova in un lontano istituto ecclesiastico della Calabria. Certo scoprire l’arretratezza di alcune regioni italiane per un toscano è sempre una sorpresa. È in questo conte-sto che matura per lui la scelta di volgersi al mondo socialista e poi di aderire al partito. Lo spinge innan-zitutto l’anelito alla giustizia, maturato nella prima esperienza delle disuguaglianze e dei soprusi vissuti nel piccolo villaggio. Lo spinge anche la constatata compromissione della Chiesa con il mondo dei poten-ti, l’esempio di deboli figure del mondo ecclesiastico, non compensato totalmente dalla grandezza della figura di don Orione, che costituirà un punto di ri-ferimento fondamentale della sua esistenza. Di fron-te alla tragedia familiare, alle rovine del terremoto e della guerra, all’ingiustizia sociale, prevale nel giova-ne il senso di ribellione, la sensazione di poter trovare fuori del contesto in cui è vissuto il filo di una nuova speranza. Lo affascina il messaggio di liberazione dei poveri, che viene dal partito socialista, il mito di una società di uguali e di fratelli, il pacifismo coerente del

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partito socialista. Pensando a sé, al suo passato reli-gioso, si sente in crisi ma per il momento non si sente un materialista conseguente, ma un incoerente.

Quando ripassa con la mente i capisaldi del mar-xismo e si trattiene sui fini ultimi dell’uomo e della società, sente tanto gelo, tanta desolazione e si accor-ge che questa nuova fede di coloro che si aspettano un mondo diverso non è del tutto la sua. Don Orione gli scrive: Tu hai davanti a te un gran bivio, un tremendo bivio, comunichi molto con tutti i rischi che ti presenta la vita. Dopo un’esperienza a Mosca si scopre un gio-vane dentro un’avventura di fede politica trascinante; ma non sembra perdere completamente la sua straor-dinaria capacità di comprendere i caratteri personali. Un discernimento che prova davanti alla conoscenza diretta di uomini considerati grandi come Lenin. Co-mincia a dubitare di loro, trova spesso il calcolo, la strategia, non quell’amore viscerale suscitato dai po-veri contadini di Pescina che sono all’origine della sua decisione di prendere la loro parte per tutta la vita. Sì, vi sono certezze irriducibili, queste certezze sono nel-la mia coscienza, certezze cristiane. Esse mi appaiono talmente murate nella realtà umana da identificarmi con esse. Negarle significa disintegrare l’uomo.

Sento venuto il momento di fermarmi perché mol-ti interrogativi si affollano dentro la mia coscienza. Gesù resterà sempre l’Essere presente, il pensiero costante di tutta l’esistenza di Silone: Colui che lo porterà, dopo il cosiddetto tradimento, a scoprire la formula che lo guiderà nella vita: socialismo più cri-stianesimo.

Su questa sintesi che non è molto chiara, perché non si può paragonare la fede a un partito politico,

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penso intrattenermi con voi, ragazzi, sempre presenti in questo dialogo. Cominciamo dalla prima doman-da: chi è questo Cristo da cui viene il sostantivo cri-stianesimo che Ignazio dichiara parte integrale della sua persona? Arriva a dire che senza di Lui l’uomo si disintegra, cioè l’uomo non è più uomo. È vero? Pazienza, giovani. Voi conoscerete, non so se molto numerosi, degli uomini che amano i più deboli e i più bisognosi, e fanno pensare a una parabola del vange-lo. Un padrone manda nel campo due figli a lavorare, il primo si nega, poi ripensandoci su va al lavoro; il secondo dichiara di obbedire ma poi va per i fatti suoi. Questo ci fa pensare che ci sono dei cristiani veri anonimi e molti cristiani espliciti che non pensano assolutamente al compito essenziale del Cristo che è quello di amorizzare il mondo.

La chiesa cattolica per rispondere ad attacchi ere-tici ha marcato molto: fuori di me, senza di me non troverete Gesù. Ma confesso di ringraziarLo ogni mattina per avermi fatto incontrare il Gesù che supe-ra ogni limite, quello scoperto dal gesuita Teilhard de Chardin che ci ha dato la famosa formula: amorizer le monde.

Penso che Dio Padre abbia creato il mondo guida-to dall’amore. Il figlio si è incaricato di mantenerlo nell’amore, di rimetterlo nell’amore quando e dove ne sia uscito (questo penso sia il senso vero della passione e morte obbrobriosa dell’uomo Gesù). Una stilla sui sanguinis salvum facere potest totum mun-dum quid ab omni scelere (una sola goccia del suo sangue può fare salvo il mondo da ogni peccato – in-giustizia). E questa lotta fra il potere di far trionfare l’amore contro il potere del male è certamente vit-toriosa, consummatum est. L’energia che Cristo ha

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infuso nel tempo agirà positivamente ed è questa che amorizza il mondo, quindi la Chiesa cattolica non possiede l’assoluto e il totale privilegio della morte di Cristo. La produzione di questa energia è riservata alla simbologia eucaristica? Non credo; però celebro con questa intenzione e mi sento obbligato a spiegare che tutti dobbiamo permettere a questa energia di agire in noi e di diffondersi: l’uomo non è uomo inte-ro finché non scopre questo amore.

Il socialismo da critica spietata delle ideologie, scrive il nostro uomo Silone, è diventato la più dog-matica delle ideologie; da rivendicazione delle prio-rità dell’uomo sulle cose si è mutato in fredda tecno-crazia; da movimento di liberazione politica in siste-ma di schiavitù.

In un momento in cui i nostri politici affascina-ti dal denaro comprano tutto, perfino la Chiesa, quest’uomo mi appare come un modello da seguire. Non esito un solo momento nel definire questi ulti-mi decenni vissuti i più torbidi, i meno cristiani. A cosa vale che il santo Padre rivaluti i lebfevriani, forse per propagandare una religiosità più rigorosa, quando palesemente la Chiesa è ricorsa al corruttore senza scrupoli per ottenere privilegi finanziari, ta-cendo sui suoi turpiloqui da taverna, la sua comicità sotto cui si nasconde una totale indifferenza verso la Nazione che gli ha dato i natali? E quando dico Nazione alludo alla famiglia italiana. Costui è un egoista cinico e molto povero di umanità, una grave responsabilità cade sugli Italiani che gli hanno dato il voto e la Chiesa cattolica non deve nascondersi davanti alla sua corresponsabilità. Ho rifiutato fe-ste per il mio centenario perché penso il mio pae-

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se in lutto. Quando la politica perde la sua vitalità costruttiva che consiste nel promuovere la crescita, quando è costretta a far quadrare i conti economici da un organo sovranazionale, considero che il Pa-ese sia sotto una coltre di morte. Questo non deve scoraggiare voi giovani che necessariamente siete i protagonisti del domani. Vorrei che contaste di più sulle persone e su tutti i motivi per incontrarvi rin-novando la storia. Una circostanza recente è stata la marcia Perugia-Assisi. Voi dovete cominciare con l’assumere la coscienza di sentirvi responsabili del vostro popolo. Vi propongo un esame: perché Ber-lusconi ha avuto tanti voti quanti nessun premier precedente? Forse perché ha presentato dei progetti positivi per il popolo italiano? Perché ama il suo popolo? Riflettete un solo momento e rispondete. Pensate che un Paese che si dice cristiano e che ha sempre onorato, magnificato, esaltato la famiglia e la coppia, ha avuto un premier che si presenta come proprietario di un harem e usa quei termini che in ogni epoca i giovani usano per parlare dell’inizia-zione alla vita sessuale. Quindi si presenta agli elet-tori come un campione di oscenità. Sono queste le sue qualità e le sue promesse con cui ottiene voti da noi Italiani. Giovani, prego Dio che nasca in voi il disinganno che è la sola azione possibile in questo momento: bisogna cominciare di lì perché rinasca l’amore alla Patria.

Dal momento che ho sfiorato il tema della coppia, voglio affrontarlo. L’interesse in me è molto vivo so-prattutto per l’interesse verso i giovani che crescono nel modello della discordia. Sinceramente non difen-do il matrimonio in Chiesa che qualche volta si ridu-

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ce a un balletto con figure. Ma la coppia è la decisione ultima di vivere insieme un progetto di vita, collau-dato nel tempo e dal tempo; la decisione di vivere in-sieme approda misteriosamente all’esperienza di una vera amicizia in cui è maturata la consapevolezza di condividere sogni e ideali, bisogni e aspirazioni.

Penso che una delle cause della decadenza pre-sente dipenda dal fatto che coloro che nascono nel nostro tempo non sono assolutamente motivati alla responsabilità verso la famiglia umana in mezzo alla quale vivono. Berlusconi è stato il segno più convincente che il popolo italiano si è allontanato dall’ideale di mantenere al mondo la stima di un po-polo serio, lavoratore, capace di solidarietà, soprat-tutto di popolo maturo. Che questo vuoto sia stato colmato da un uomo che ha il merito di comprare belle ragazze per il consumo, ci dovrebbe umiliare profondamente come Italiani. Neppure la Chiesa ha pensato a voi giovani, e oggi ci troviamo a vivere uno dei momenti più negativi della nostra storia. Vi invito in questo momento a pensare al futuro del nostro popolo, la nostra Patria ha conosciuto molte tappe nei secoli passati denominate con titoli allusivi alla “rinascita” e questo ci fa sperare. Lo scuro Me-dioevo a stento ha digerito la calata dei barbari, ma dalla sua oscurità è nato il Rinascimento, forse una delle epoche più ricche di figure geniali, di artisti, di pensatori che abbia avuto l’Italia. Alla schiavitù austriaca è seguito il Risorgimento, pieno di persone che sono andate incontro all’ultimo sacrificio per di-fendere l’idea di patria e di libertà. Ottimisticamen-te penso che alle morti periodiche debba succedere una resurrezione, e allora ripensiamo con serietà a quella che ci propongono Silone e Tasca: socialismo

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più cristianesimo. Non c’è oggi un socialismo costi-tuito e può darsi che voi giovani lo pensiate sotto un diverso nome; ma vi inviterei a meditare profon-damente sui fallimenti perché questi ci aiutano a scoprire la verità finale.

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3Silone vede il socialismo come un inveramento

del cristianesimo. Nella natura del ragazzo c’è qualcosa che lo spinge oltre i confini dell’educazione ricevuta e lo rende irrequieto. Già nel 1911 in un sonetto che manda a un giovane cattolico campeg-gia la figura di Cristo: È un Cristo rifulgente eppure tradito da facili sapienti che coprono di orpelli il suo messaggio per renderlo più accetto tra la gente. La sua parola d’amor è invece acqua sorgiva da cogliere al fonte la cui malìa non potrà essere ve-lata da mente interessata e truffaldina. Allo stesso tempo Tasca dal canto suo scrive: non c’è principio rivoluzionario che tenga se per raggiungerlo viene meno la lealtà reciproca, il senso di fraternità che deriva dalla condivisione di una causa, il rispetto per l’altro, la piena comprensione della sua perso-nalità, la possibilità della correzione fraterna come si presenterà l’occasione.

L’attitudine dialogante di Tasca con il mondo cristiano non è determinata da un bisogno psicolo-gico esistenziale, dall’insinuarsi in lui di un dubbio sull’essenziale valore del marxismo, ma dal tentativo di portare alla luce quel tratto dell’umanesimo socia-lista oscurato dalla pratica politica.

D’altro lato il cristianesimo, nella versione che il pensiero cattolico francese ha fissato nel personali-

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smo, costituisce un perfezionamento delle idee socia-liste di società perché porta alla coincidenza dell’es-senza della persona con i concetti di classe e umanità. E dunque, come Tasca ha annotato già da tempo nei suoi quaderni, la riflessione sul personalismo porta a un necessario completamento del messaggio. La propaganda socialista deve dirigersi non tanto a tutti gli uomini ma a tutto l’uomo. E anche per ciò che concerne il più fondamentale dei principi socialisti, quello della giustizia, l’innesto nel cristianesimo è es-senziale. Come sostiene Tasca, senza un disegno ra-zionale e ordinatore la carica individuale, la spinta morale che porta a combattere per l’ingiustizia può andare perduta.

Queste parole sono importanti e vanno riprese in questo momento in cui la nostra politica, cari giova-ni, presenta un momento drammatico di involuzione. Ho un ricordo di questo personalismo francese molto vivo ed entusiasmante. Negli anni Ottanta, quando a un sacerdote amico che si occupa di storia è sta-to permesso di accedere agli Archivi Vaticani, vi ha trovato a mio carico l’accusa di francesismo. Oggi ne sono orgoglioso perché penso che l’importanza della persona umana sia andata perduta con l’avvento del capitalismo, con il trionfo delle finanze, con l’inarre-stabile progresso della tecnica. Nel cristianesimo la persona umana ha un’importanza centrale, non come numero ma come protagonista della storia. Se in que-sti anni ultimi la politica ha degenerato tanto, è per il fatto che si è spenta la responsabilità sociale di essere costruttori di civiltà oltre che di benessere. Ciò che mi comunicò entusiasmo nei tempi in cui sentivo la re-sponsabilità di essere formatore di giovani, è proprio questa dimensione umana che è presente nel Modello Unico, il Signore Gesù.

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Cari giovani della mia terra lucchese e di ogni parte dove arriveranno queste parole, vi parlo

nel bel mese di ottobre, il mese della svinatura. Ieri sera mi sono imbattuto in un contadino reduce dalla cantina dove si produce il nostro buon vino e l’amico manifestava la gioia di dirmi che quest’anno il nostro vino sarà in quantità minore ma di qualità migliore.

L’incontro con questo contadino pieno di gioia mi ha trasmesso ottimismo e speranza perché quest’anno c’è del buon vino che io forse non berrò, ma in questo momento accresce il mio entusiasmo di proseguire questo dialogo con voi giovani. Mi offre un aiuto un collega seppure di altra generazione, Armando Mat-teo, un collega asimmetrico perché ha ricoperto l’in-carico di assistente nazionale dei giovani universitari, simile a quello che io ho ricoperto in anni lontani. Le parole che trovo in un suo libro (Armando Matteo, La prima generazione incredula, Rubbettino editore) che è arrivato a me nel tempo giusto mi permettono di riprendere il filo della mia riflessione sull’amore profetico che può salvare la gioventù, questa gene-razione definita come la prima “incredula”. Mi sono sentito balzare il cuore perché passando attraverso varie vicende, mi sono riconosciuto – così spero – nel

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testimone di una vita difficile ma bella, faticosa ma ricca di opportunità, fragile ma segnata da un bri-vido di eternità. Nessuno è in grado di costruire la propria vita come vorrebbe ed è bene che non ci sia concesso di fare un progetto preventivo, sbaglierem-mo tutto. Avevo solo chiaro l’ideale di amare i giova-ni soddisfacendo le loro attese. Cercavo di capire con loro che cosa ci richiedevano gli eventi.

La grande guerra era terminata lasciando in me il ricordo della grande occasione di avere vissuto quell’amore per gli altri spesso declamato ma che sarebbe restato teorico senza l’evento infausto della guerra. Dopo alcuni anni mi sarei ritrovato coinvolto in fatti molto più tristi e complicati scatenati dai mi-litari argentini contro la cosiddetta sovversione poli-tica. Mi sono trovato ad essere uno dei perseguitati. Non mi sento un eroe perché non sono andato volon-tariamente incontro a rischi e pericoli, ma la scelta dei giovani mi ha offerto l’occasione di pensare la mia vita in funzione di donarla per loro.

Mi servo delle parole del mio collega per chiarire meglio il percorso che ho inteso seguire nella mia vita: La felice prassi dei corsi di introduzione alla Sacra Scrittura non è sufficiente e spesso produce una ete-rogenesi dei fini; può correre il rischio di allontanare più che avvicinare alla Scrittura, in quanto l’eccessi-va istituzionalizzazione di questi corsi affidati a ma-estri dell’esegesi e la struttura rigida del loro svolgi-mento avallano l’idea che senza l’aiuto di un esperto la Bibbia non possa parlare al cuore di tutti. Si deve invece proporla ai giovani come elemento qualifican-te della vita cristiana: bisogna leggerla e rileggerla, per permettere a essa infine di leggere la nostra vita e di riconsegnarcela con una nuova consapevolezza.

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Riscoprire allora con loro e per loro la qualità al-tamente umana e umanizzante della novità cristia-na, attestata e rilanciata dalla Scrittura, è compito impreteribile della Chiesa. È questo il pane che può soddisfare la fame e la ricerca di senso dei giovani, al contrario di quelle briciole spirituali che un cer-to risveglio del religioso continua a spargere per far fronte allo stress della vita moderna.

Gli adulti di oggi danno un esempio negativo ai giovani, cominciando dal vertice dei responsabili politici. Per amore di potere o di pecunia, si sono tutti piegati a sostenere come Presidente un ricco in-competente di politica, egocentrico, superficiale, che è riuscito a captare la simpatia con le sue oscenità che oscurano il bel Paese che fu già la patria degli Spiriti Magni e mostrano che il potere può domina-re la giustizia facendola apparire una complicazione inutile, un freno alla libertà di gestire la vita come vogliamo.

Quanto vorrei dare il piccolo resto della mia vita per far capire che la fede in Dio non è qualcosa di statico, non è un ostacolo alla vostra indipendenza! Vorrei aprire il mio cuore per persuadervi ad apri-re il vostro alla Fonte dell’amore e della vita. Vi ho parlato della gioia trasmessami da un contadino che mi comunicava che quest’anno il vino sarà generoso. Questo ha messo nel mio cuore una speranza. Sta na-scendo intorno a me una comunità di giovani creden-ti e voglio che siano loro a trovare le forme nuove di vivere la fede. Spontaneamente hanno cominciato dal vangelo. Sono sulla buona strada, leggere il vangelo è mettersi in comunicazione con Gesù che è la parola. Forse perseverando in questa lettura troveranno la risposta alle due domande di Armando Matteo che

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faccio mie: potrebbe la profezia trasmettere alla gio-ventù il coraggio di opporsi a questo mondo adul-to gravemente ammalato di protagonismo? Saranno capaci i giovani di impostare una vita diversa guida-ta da una forza di amore che infonda il coraggio di denunziare il mondo adulto che ha perduto ogni au-torità? L’Italia è stata oltraggiata, ferita da una classe politica e molti adulti hanno pensato solo a godere la vita. Vorrei che la gioventù si sentisse amata per-ché solo così potrebbe trovare il coraggio di imporsi al mondo adulto, incapace di un avvenire positivo per la nostra Patria.

Il beato Carlo de Foucauld, mio maestro, dopo ave-re scoperto il vuoto di tanti amori che falsamente di-mostravano felicità ma non contenevano che tristezza e vuoto, accolse questo Amore vero che discende da Dio e andò a viverlo fra i non cristiani, guidato dall’in-tuizione che solo questo amore è capace di unire le famiglie umane in una grande famiglia e scelse di esse-re chiamato fratello universale. Durante una carestia durissima si sentì avvolto da una tenerezza indicibile perché la comunità araba condivideva con lui quel mi-nimo che aveva per sopravvivere. Il solitario che vive-va in una cella lontana non fu mai dimenticato e la sua scelta portò frutti abbondanti.

Gli adulti genitori di questa prima generazione in-credula non hanno pensato ai figli; ma i risultati del loro governo dimostrano ampiamente che tutto ciò che esce da noi, guidati dall’energia fabbricata da un io solitario e egoista, porta a risultati negativi. L’Euro-pa con la sua serie di conflitti armati è un modello dell’egoismo della legge di questi adulti al potere. Non voglio essere la vostra guida, i giovani che sono in-torno a me voglio che capiscano solo che Dio confida

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in loro. Quando cominciai il mio servizio sacerdotale, non volevo essere un prete della tradizione e mi venne incontro il decimo capitolo del vangelo di Luca che parla di Gesù che manda i 72 discepoli. Li intrattiene su temi che si potrebbero giudicare secondari, di det-taglio: come si devono vestire e calzare, essere educati quando entrano in una casa e cose del genere. Una cosa pareva veramente essenziale, che cosa diranno ar-rivando inattesi e senza risorse materiali? Non portano doni per ottenere che le porte si aprano ad accoglierli e finalmente Gesù dà loro l’incarico in una sola parola: Pace. Oggi non saprei come cominciare per ritrovare un nuovo rapporto dei giovani con la fede. Lo desidero ardentemente perché la fede è stata motivo di grande sofferenza ma una sofferenza pregnante di gioia e di pace. Attendo la morte con una certa impazienza pen-sando forse ingenuamente di avere potere di aiutarvi più efficacemente. Questo solo pensiero è quello che contiene il desiderio di chiudere la mia esistenza. Ma è anche bello esistere quando troviamo dei giovani tor-mentati dall’amore del nostro Fratello Universale.

Ho ferma fiducia che il piccolo gruppo cresca nella fede e nella consapevolezza di aiutare l’Italia a risorge-re occupando il posto che spetta loro nel momento sto-rico attuale come fu per noi il momento drammatico al terminar della guerra. Io vi accompagno con tutta la fiducia che ogni mattina si rinnova nell’incontro con lo Spirito finché nasca il nuovo giorno. Coraggio gio-vani, il prossimo futuro si offrirà a voi, solo a voi. La generazione adulta scomparirà presto perché il futuro è solamente di chi crede e spera fortemente nella vita che rinasce nel tempo.

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POSTFAZIONE

Questo libro è la raccolta delle testimonianze del-la sua vita. Non trovo miglior modo per contri-

buire che aggiungere anche la mia testimonianza a tante altre ben più importanti.

Non ebbi la fortuna di incontrarlo di persona prima che ‘se ne andasse’ da Lucca e dall’Italia – ero troppo gio-vane e ancora confinato nel mio ambiente adolescenzia-le, paesano – ma ne conobbi ben presto lo spirito, che fin da subito mi parve di fuoco, appena mi girai a guardarmi d’intorno: egli era presente in tutti i momenti in cui ci si confrontava per approfondire il messagio cristiano o per commisurare a questo il nostro giudizio sul mondo e la nostra azione nel mondo. Aveva infatti lasciato tracce evidenti del suo passaggio in molti, soprattutto in quelli che io ritenevo i migliori maestri, e, anche se da buoni lucchesi essi non avevano avuto il coraggio di seguirlo fino in fondo e neppure di aiutarlo o difenderlo più di tanto, ne portavano i segni, affascinanti germogli di rin-novamento e di speranza.

L’ho poi incontrato in uno dei suoi passaggi da Lucca, in un tempo assai lontano, ma che ricordo in modo vivissi-mo: con parche parole compose un dissidio tra anime che si volevano bene, ma che non avevano ancora capito che l’amore è coinvolgente, non è mai solo un fatto privato.

Negli anni successivi, a sua insaputa, ho seguito – spes-

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so distrattamente, talora anche con attenzione ed anzi tre-pidazione – il suo peregrinare dentro di sé e per i paesi del-la terra, nel suo rapporto con l’Amico e con gli Amici; l’ho fatto attraverso le notizie di stampa, i colloqui con persone che lo conoscevano ben meglio di me e soprattutto alcune delle sue opere.

Mi è stato esempio di perseveranza, di coerenza, di ri-gorosità ed al contempo di leggerezza, della leggerezza del santo.

La provvidenza ha voluto che ci reincontrassimo ca-nuti, che egli tornasse a Lucca proprio quando a me era stata data la opportunità di guidare la Fondazione BML e che avessimo splendidi amici comuni, Luciano Fava e Piergiorgio Camaiani, grazie anche ai quali ha preso cor-po l’idea del Fondo – poi realizzato con la collaborazio-ne ed il merito di tanti altri – come modo eccellente per conservare Paoli tra noi e continuare a diffondere il suo messaggio, non solo tra noi lucchesi, ma anche tra tutte le persone che lo hanno conosciuto e tra tutte quelle che, sentendo parlare di lui, attratti dalle sue tracce, vorranno conoscerlo meglio.

Paoli è uno di quei lucchesi, che si sono portati nel cuo-re la loro città a spasso per il mondo e poi, tornati, hanno portato l’esperienza del mondo a Lucca: anch’egli ha por-tato straordinaria ricchezza e continua a portarla e Lucca chiama i cittadini del mondo, perché vengano a goderne.

Si tratta di una ricchezza spirituale, non sottoposta all’usura del tempo, fatta di verbo e di carne, di parole e di condotte coerenti, di condotta e di messaggio conseguen-te; questo libro ne è parte ed espressione, grazie ad un lin-guaggio che rende la buona novella attualizzata in modo diretto, trasparente, privo di ipocrisia, di infingimenti, di intermediari culturali, di rispetto umano; è il messaggio

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di un cristiano indignato, che, pur assai avanzato in età, è capace di interpretare il tempo e quindi, giovane qual è, si rivolge ai giovani come lui e – spera – più di lui, perché partecipino della sua indignazione e… agiscano.

Avv. Alberto Del CarloPresidente Fondazione

Banca del Monte di Lucca

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ARTURO PAOLI Nota biografica

Arturo Paoli nasce a Lucca il 30 novembre 1912 da Maddalena Previdi, mantovana, e Angelo Paoli,

lucchese, secondo di tre figli: Tommaso, Arturo e Anna Maria. La famiglia Paoli vive nel centro storico della città, in via Santa Lucia, che sbocca in quella piazza San Miche-le che fu teatro, il 14 dicembre 1920, dello scontro a fuo-co tra fascisti e socialisti cui il bambino Arturo si trovò ad assistere, rimanendone segnato e condizionato nelle scelte di vita successive. L’ambiente familiare in cui cre-scono i figli Paoli è sereno, economicamente buono, non direttamente impegnato nell’attività politica ma aperto a relazioni di amicizia e di mutua solidarietà. La madre frequenta la parrocchia e svolge volontariato presso una casa per anziani, dove accompagnerà il figlio Arturo il pomeriggio della sua prima Comunione, “per restituire la visita a Gesù”.

Arturo Paoli è dotato negli studi, viene iscritto al li-ceo classico Machiavelli dove conosce il primo gruppo di amici con cui condivide interessi, ideali, progetti, anima-to tra gli altri da Carlino Del Bianco, che morirà durante la Resistenza per sfuggire ai tedeschi. Insieme fondano una conferenza della Società di San Vincenzo, con cui organizzano attività di aiuto per i bisognosi e incontri per i giovani. Nel 1931 si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa, dove si laurea nel 1936 discuten-do una tesi su Giosuè Carducci. In questo periodo la sua

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formazione umana, oltre che culturale, si arricchisce gra-zie al confronto con professori anche non credenti che lo stimolano alla lettura di autori francesi, quali Emmanuel Mounier e Jacques Maritain, a quell’epoca non tradotti in italiano perché censurati dalle autorità vaticane. È di questi anni l’incontro, che si trasformerà in amicizia, con Giorgio La Pira, che introdurrà Paoli “a una visione mi-stica della religione”.

Nel 1933 e ‘34 avvengono due fatti privati che segnano il giovane Paoli: muore improvvisamente una sua com-pagna di studi, con cui Arturo sentiva una intesa partico-lare, e pochi mesi dopo sua madre, modificando a fondo il clima della famiglia Paoli. Matura in questo periodo la scelta di vita che Paoli manterrà per il resto dell’esi-stenza: il sacerdozio. “Non sono mai stato parroco e non ho mai inteso la mia scelta in funzione dell’istituzione, ma come servizio spirituale alla comunità e specialmente come occasione per essere formatore di giovani” dice Pa-oli. Dopo tre anni di seminario, viene ordinato sacerdote il 24 giugno 1940; quella notte a Lucca suonano le sirene di allarme e Paoli la trascorre in un rifugio sotterraneo.

La guerra segnerà i primi anni di vita sacerdotale di Arturo Paoli, che viene incaricato dall’arcivescovo mons. Antonio Torrini, insieme ad altri tre giovani preti (don Sirio Niccolai, don Renzo Tambellini e don Guido Sta-derini), di gestire l’ex seminario, adibito a collegio per gli studenti delle campagne e a rifugio per i perseguitati dai fascisti e dai nazisti. “Furono i tre anni più splendi-di e più tremendi della mia vita” ricorda Paoli; durante questo periodo, attraverso la rete di protezione Delasem coordinata da Giorgio Nissim, si impegna per salvare nu-merosi ebrei, opera che gli procurerà nel 1999 il ricono-scimento di Giusto tra le Nazioni, da parte dello Stato di Israele, e nel 2006 il conferimento della medaglia d’oro

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al valore civile da parte del Presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi (insieme ai tre sacerdoti ri-cordati sopra). Pochi giorni prima della fine del conflitto mondiale, Arturo Paoli viene arrestato dai tedeschi e la sua fine pare certa. “Un soldato tedesco, forse un sacer-dote, fattasi notte, aprì la cella, mi avvicinò una bicicletta e mi disse di andare. Era il 6 agosto – ogni anno com-memoro la mia liberazione con una messa che dedico a questo anonimo tedesco che mi salvò la vita”.

Al termine della guerra, Arturo Paoli può dedicarsi a tempo pieno ai giovani, diventa assistente della Gioventù di Azione Cattolica (GiAC) nella diocesi, celebra la mes-sa nella chiesa di San Michele che ogni domenica si fa gremita di fedeli per ascoltare questo giovane prete già brillante oratore, efficace nel suo riferirsi in primo luogo al vangelo. Nel 1949 il sostituto della Segreteria di Stato Vaticana mons. Giovan Battista Montini chiede all’arci-vescovo mons. Torrini che don Arturo Paoli si trasferisca a Roma per assumere l’incarico di viceassistente nazio-nale della GiAC. Presidente della GiAC è Carlo Carretto, l’AC adulti è presieduta da Luigi Gedda, che poco dopo diventa presidente dell’Azione cattolica. I quattro anni che Paoli trascorre a Roma sono caratterizzati da un in-faticabile impegno nella formazione di una nuova classe dirigente cattolica; tra i giovani che aderiscono al gruppo vi sono Umberto Eco, Pietro Pfanner, Wladimiro Dori-go, Emmanuele Milano e tanti altri che avranno carriere professionali di grande merito e prestigio. Paoli scrive su varie riviste della GiAC, prima fra tutte Gioventù, dove emerge la sua visione dell’impegno cattolico in politica e la preminenza della preparazione spirituale rispetto alla lotta politica contro il “pericolo comunista”, che Gedda aveva assunto come missione prioritaria della Azione cattolica attraverso i “Comitati civici”. Le divergenze di

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metodo e di opinioni si fanno più acute quando il Vati-cano sceglie di sostenere l’“Operazione Sturzo”, ovvero l’alleanza della Democrazia Cristiana con i monarchici e i fascisti per scongiurare la vittoria dei comunisti alle elezioni amministrative di Roma del 1952. Poco tempo dopo Carlo Carretto si deve dimettere dalla Presidenza della GiAC. Gli subentra Mario Rossi, il cui nome è sug-gerito da Arturo Paoli che con lui condivide un anno di impegno ancora molto intenso e promettente. Alla fine del 1953, a seguito di un articolo pubblicato sul settima-nale l’Europeo, “Questi cattolici cercano nuovi cieli e nuove terre”, Arturo Paoli è costretto ad allontanarsi da Roma. Si assume la responsabilità delle parole scritte dal giornali-sta, anche per tutelare il presidente Rossi, pur ribadendo la sua assoluta fedeltà alla Chiesa e al Papa. Si rimette alla volontà dei suoi superiori e attende istruzioni sul proprio futuro, rifugiandosi presso l’amico don Sirio Politi, nella parrocchia di Bargecchia presso Viareggio.

Dopo una ventina di giorni viene convocato a Roma al Palazzo della Cancelleria dal cardinale Piazza, che comu-nica a don Arturo la sua futura destinazione: cappellano sulle navi degli emigranti italiani diretti verso l’Argentina, tratta Genova – Buenos Aires. Paoli accetta senza polemi-ca la decisione dei suoi superiori e nel mese di aprile del 1954 si imbarca sulla nave Corrientes per un viaggio che durerà una ventina di giorni attraverso l’oceano, fino alla capitale argentina, dove troverà ad attenderlo il segreta-rio del cardinale Copello, inviato da mons. Montini, che non ha dimenticato l’amico caduto in disgrazia presso i vertici vaticani. Per Paoli è un periodo di attesa e di ri-flessione, durante il quale rielabora la sua appartenenza alla Chiesa fino a scegliere “un’obbedienza adulta”, an-corata al Vangelo e alla predicazione del “Regno di Dio”. Durante il secondo viaggio di ritorno verso l’Italia, don

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Arturo incontra un religioso francese che vive in Perù appartenente ai Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld, l’eremita francese che morì solitario nel deserto di Alge-ria (1 dicembre 1916), a causa di un agguato maldestro ordito da banditi a cavallo, cui si consegnò senza opporre resistenza. Charles de Foucauld, che verrà beatificato il 16 novembre 2006, affascina Paoli, così come il racconto di vita essenziale e semplice del piccolo fratello Jean Sa-phores. Don Arturo chiede e ottiene dal priore generale della congregazione, Réné Voillaume, di fare il noviziato nella Fraternità, sebbene abbia superato i 40 anni di età e lo stile di vita dei Piccoli Fratelli poco si addica alle sue caratteristiche intellettuali. Alla fine del 1954 entra nel noviziato a El Abiodh in Algeria, maestro è frère Milad “uomo del sì – sì e del no – no” commenta Paoli, il cui compito è “spogliare il novizio degli inutili abiti che in-dossa, lasciandolo nudo, in attesa che sia lo Spirito a rive-stirlo di Cristo”. Sono 14 mesi che, in principio, sfiorano la disperazione e il vuoto totale, “mi sentivo relegato nel-lo stanzino degli oggetti inutili, destinato a rimanervi”, fino a sfociare in quella che Paoli definisce “rinascita”, la scoperta della fede “viva” che si sostituisce a quella “li-bresca”, l’apprendimento “dell’alfabeto dell’amore” che si sostituisce all’obbedienza.

Concluso il noviziato, fratello Arturo Paoli viene de-stinato alla Fraternità di Orano (1955), dove lavora come magazziniere al porto negli anni della guerra di indipen-denza dell’Algeria dalla Francia. La presenza di una Fra-ternità cattolica, per di più di origine francese, in questa città araba che sta lottando contro il colonialismo costi-tuisce un tentativo di dialogo che non sempre viene com-preso e accettato facilmente.

Nell’agosto 1957 Paoli ritorna in Italia, dove Réné Voillaume intende fondare la prima Fraternità italiana.

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Il luogo prescelto è la Sardegna, nel cuore dell’iglesiente, terra di miniere e minatori, in larga misura scristianizza-ta e caratterizzata da una vita molto dura. Fratello Artu-ro vi arriva insieme a Paul Cheval e Marcel Laffage, due piccoli fratelli francesi, in una notte di agosto; vengono accolti da una famiglia di un minuscolo borgo, Bindua. Qui si stabiliscono, Paoli lavorerà nella manutenzione delle strade, ma presto la voce del suo arrivo si diffonde e cominciano ad accorrere giovani dal capoluogo sardo per incontrarlo e per invitarlo a Cagliari e altrove a te-nere conferenze. Durante questo periodo ritorna anche in Lucchesia, invitato a Viareggio da alcune suore, ma la diocesi mantiene un atteggiamento di distacco nei suoi confronti. Il clima attorno ad Arturo Paoli è ancora dif-fidente, la sua presenza in Italia, seppure nell’isola, non è ben vista da Luigi Gedda e da alcune autorità vaticane e Réné Voillaume lo invita ad attraversare nuovamente l’oceano, per fondare una Fraternità in Argentina, in atte-sa di poter rientrare serenamente in patria.

Paoli accetta il consiglio e il 6 gennaio 1960 approda in Argentina, “per fermarmi qualche annetto”, che poi si sono rivelati essere 45. La prima Fraternità argentina viene fondata a Fortín Olmos, nello Stato di Santa Fé, diocesi di Reconquista, vescovo mons. Juan José Iriarte. A Fortín Olmos vivevano boscaioli impegnati nell’estra-zione del tannino da un prezioso albero, il quebracho, per conto di una impresa inglese, la Forestal. Arturo Pa-oli, Marcel Laffage e Etienne de Quirini si stabiliscono in mezzo a loro e iniziano la loro presenza di condivi-sione e umanizzazione. Sono gli anni della rivoluzione cubana, la Chiesa si prepara al grande evento del concilio ecumenico, l’America Latina è attraversata da un fremi-to di cambiamento che coinvolge soprattutto i giovani, una parte dei sacerdoti cattolici, i movimenti politici di

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ispirazione socialista e marxista. Il carisma di Paoli trova terreno fertile per emergere e aggregare giovani, donne, sacerdoti e anche qualche vescovo sensibile alla causa dei poveri. In questo clima di evoluzione politica e religiosa, le posizioni si differenziano e le differenze si acuiscono: da una parte i governi conservatori, sostenuti dai militari (che ripetutamente prendono il potere attraverso colpi di stato) e da quella parte della Chiesa che difende “la civil-tà occidentale cristiana” contro il pericolo eversivo mar-xista; dall’altra i movimenti socialisti, i poveri e gli operai senza diritti e senza voce, quella parte di Chiesa che si ispira ai principi evangelici della giustizia e della pace. Arturo Paoli e le Fraternità aderiscono a questa seconda area; risale a questi anni il libro che Paoli definisce “la mia opera più importante”, Dialogo della liberazione, che il teologo Gustavo Gutierrez cita come matrice di ispira-zione nella sua opera di fondazione della teologia della liberazione. Ben presto si manifesta il risvolto tragico di questa crescente contrapposizione: numerosi sacerdoti e vescovi pagheranno con la vita la loro scelta (cinque piccoli fratelli sono desaparecidos, don Carlos Mugica e mons. Enrique Angelelli, molto vicini a Paoli, vengono assassinati brutalmente dai militari). Anche Paoli è nel mirino, nel 1974 – quando vive nella diocesi di La Rioja, il cui vescovo è Angelelli, dove ha fondato un noviziato – il suo nome appare sui manifesti affissi ai muri di Bue-nos Aires, al secondo posto tra i condannati a morte. È accusato di un traffico di armi finalizzato a fomentare la guerriglia cilena. L’ufficio della donna che fa da segretaria a Paoli a Buenos Aires viene perquisito, rovistato, tutte le carte vengono requisite e restituite solo in minima par-te. Quando questo accade Paoli si trova in Venezuela, in missione per conto della Fraternità che lo ha incaricato di coordinare la Regione latinoamericana. Viene avvisato

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del pericolo e gli viene suggerito di non rientrare in Ar-gentina.

Nel 1974 si apre così, drammaticamente, dolorosa-mente, una nuova tappa della permanenza di Paoli in America Latina. Il Venezuela è uno degli stati più conser-vatori, in senso politico e anche religioso, del continen-te. Fratello Arturo si inserisce dapprima nella Fraternità di Bojò, nello Stato del Lara, dove i fratelli hanno dato vita a una cooperativa agricola insieme alla popolazione locale. Ben presto però avverte l’esigenza di un contesto diverso, dove muoversi più liberamente, senza interferire con le esigenze della vita comunitaria e senza rinunzia-re alle proprie intuizioni. Fonda una nuova Fraternità a Monte Carmelo, a 1.600 metri di altitudine, in un villag-gio abitato da contadini poveri e umili. I viaggi nel con-tinente latinoamericano, per conto della Fraternità e per rispondere ai numerosissimi inviti che riceve da parte di vescovi (Helder Camara, Pedro Casaldaliga, Paulo Evari-sto Arns tra i tanti), di sacerdoti, di laici, sono numerosi e frequenti. Tuttavia Monte Carmelo resta “la sua tenda” per una decina di anni, trattenuto da alcune relazioni molto significative, che diventano tappe fondanti del suo cammino umano e spirituale. Gaudy, una giovane donna senza marito, madre di due figli senza padre, diventa l’in-terlocutrice di Camminando s’apre cammino, la donna che permette a Paoli di comprendere “il peccato del maschio nei confronti della donna povera”, la persona che gli fa scoprire “l’alterità” come fondamento di ogni relazione veramente e pienamente umana. Pedro è un giovane che Paoli “adotta come figliolo”, di cui assume una paternità adottiva vedendo in lui la forma umana allo “stato grez-zo”, bisognosa di essere modellata e formata attraverso una relazione capace di unire amore e fermezza. Il presen-te non basta a nessuno raccoglie alcune conversazioni di

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Arturo Paoli con questo giovane venezuelano, che Paoli seguirà sempre con rispetto e fiducia.

Il Brasile è lo stato del continente latinoamericano nel quale la teologia della liberazione e l’esperienza pastora-le delle comunità di base, che ne sono frutto, crescono con maggiore vigore, anche grazie all’appoggio di nume-rosi vescovi e sacerdoti. Paoli ne è attratto, riconosce in quelle esperienze la realizzazione concreta degli ideali di giustizia e fraternità che ha sempre praticato, l’espressio-ne reale di quel progetto di “amorizzazione del mondo” (secondo la formula del teologo gesuita Teilhard de Char-din, che Paoli cita spesso ancora oggi) che è il centro della predicazione di Gesù e del “regno di Dio”. Un sacerdote italiano che risiede a São Leopoldo, nello Stato del Rio Grande do Sul, offre a Paoli la possibilità di trasferirsi in Brasile (1984) e lui, non prima di avere consultato la Fra-ternità centrale e la comunità di Monte Carmelo con cui vive, accetta con entusiasmo. I primi anni li trascorre in un continuo andirivieni attraversando il continente lati-noamericano in lungo e in largo, senza tralasciare nessun Stato, dalla Colombia al Messico, dalla Bolivia al Perù, al Nicaragua, all’Ecuador. Assume l’identità di “evangelizza-tore itinerante”, nomade dello Spirito impegnato a por-tare il messaggio del Vangelo ovunque sia chiamato. In questi anni il clima ecclesiale del continente comincia a cambiare, dalla Congregazione per la dottrina della fede (presieduta dal cardinale Ratzinger) vengono emanate le Istruzioni su alcuni aspetti della teologia della liberazione, che affermano la contiguità tra l’ideologia marxista e gli assunti di quella teologia e di fatto ne bloccano lo svi-luppo. Molti vescovi vengono sostituiti, al momento del pensionamento, da prelati di orientamento “romano”, le comunità ecclesiali di base perdono i riferimenti attorno cui aggregarsi, il continente latinoamericano viene inva-

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so dai movimenti carismatici e pentecostali che “spiritua-lizzano la religione”, abbandonando a loro stessi i poveri e il loro grido di giustizia.

Dopo alcuni anni vissuti a São Leopoldo, Arturo Paoli si trasferisce ancora una volta (a seguito della sostituzio-ne del vescovo di quella diocesi), rimanendo sempre in Brasile. La nuova meta è Foz do Iguaçu nello Stato del Pa-ranà, dove viene accolto da un vescovo che lo conosce e lo apprezza, mons. Olivio Fazza. Con Paoli si stabilisce una piccola comunità mista, di uomini e donne, laici e consa-crati, con cui sperimenta un modello di vita comunitaria priva di regole scritte, fondata sull’amicizia e la condivi-sione. A Foz do Iguaçu (la terra delle splendide cascate di Iguaçu, rese celebri dal film Mission, visitate ogni anno da milioni di turisti) Paoli vive fino al 2005, quando rientra definitivamente in Italia “per chiudere il cerchio”. A Foz dà vita a diversi progetti di promozione umana e sociale, ai quali collaborano vari gruppi e associazioni composti sia da Brasiliani che da Italiani: le case lar (Fondazione Nosso Lar) sono case famiglia per bambini provenien-ti da istituti, che offrono loro affetto, educazione, istru-zione in un ambiente familiare, attraverso una coppia di “genitori sociali” che li seguono fino alla maggiore età; l’associazione fraternità alleanza (A.F.A.) è un complesso di iniziative rivolte a bambini in età scolare e prescolare, a giovani, a donne e a madri cui vengono assicurati ser-vizi di prima e seconda necessità: la mensa, l’infermeria e l’ambulatorio medico, corsi di formazione scolastica e professionale, sostegno alla maternità; la cooperativa “Yanten” di Medianeira produce e commercializza erbe medicinali; Madre Terra (associazione Ore undici) è una azienda agricola che offre lavoro e formazione a giovani provenienti dalle favelas, a grave rischio di emarginazio-ne umana e sociale. Di queste opere Arturo Paoli è stato

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fondatore e ispiratore; oggi proseguono nelle mani di coloro che ne hanno accolto l’eredità con coraggio e de-dizione, cercando di mantenersi fedeli allo spirito da cui sono nate. La storia che le riguarda fa parte del presente, in Italia i gruppi che le sostengono, attraverso il volon-tariato e la contribuzione economica, sono numerosi e mantengono vivo quel rapporto di amicizia e solidarietà tra Italia e America Latina che Paoli ha cercato di tessere durante la sua lunga permanenza oltre oceano.

Dal novembre 2006 Arturo Paoli risiede nelle colli-ne lucchesi di San Martino in Vignale, nella “casa beato Charles de Foucauld”, che l’arcivescovo di Lucca mons. Italo Castellani ha fatto ristrutturare e affidato a Paoli. Ormai prossimo al secolo di vita, fratello Arturo continua a celebrare ogni domenica la messa in una chiesa sempre gremita di fedeli di ogni età, scrive mensilmente per le riviste Rocca e Ore undici, offre guida spirituale a tante persone che gli fanno visita da ogni parte d’Italia e anche oltre, anima incontri di giovani, di famiglie, di formatori, di cercatori di Dio di ogni credo, ceto, età. Non ricorda giorno in cui il sole si sia alzato prima di lui, estate o in-verno che fosse, per dedicare quella primizia di giornata all’appuntamento con il Volto.

Silvia Pettiti*

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ARTURO PAOLI bibliografia

Il comandamento nuovo nell’ora presente, A. Benedetti, Pe-scia 1945

In memoria di Carlo del Bianco, scuola tipografica Artigianelli, Lucca 1945

Il verbo incarnato, AVE, Roma 1950La divina chiamata : meditazioni, AVE, Roma 1950La Chiesa, AVE, Roma 1951La teologia del matrimoni, Giac, Roma 1952Dialoghi dello spirito, AVE, Roma 1953Gesù amore: meditazioni e colloqui, Borla, Torino 1960Incontri con il Vangelo. Tempo di Natale, Borla, Torino 1962Incontri con il Vangelo. Tempo di Pasqua, Borla, Torino 1963Incontri con il Vangelo. Tempo di Pentecoste, Borla, Torino 1963Un incontro difficile, P. Gribaudi, Torino 1966Il lavoro e la pace, P. Gribaudi, Torino 1968Dialogo della liberazione, Morcelliana, Brescia 1969Conversazioni a Fortìn Olmos, Morcelliana, Brescia 1970Conversione, Cittadella, Assisi 1970La costruzione del regno, Cittadella, Assisi 1970La radice dell’uomo: meditazioni sul Vangelo di Luca, Morcel-

liana, Brescia 1972I giorni della droga e del quebracho, Torino, Leumann, 1973Il presente non basta a nessuno, Cittadella, Assisi 1975Grideranno le pietre: essere cristiani in America Latina, Morcel-

liana, Brescia 1976Il grido della terra, Cittadella, Assisi 1976Camminando s’apre cammino, P. Gribaudi, Torino 1977

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Pane, vino, terra: eucarestia legge dell’uomo, P. Gribaudi, Tori-no 1979

Sulle ali dell’aquila: riflessioni sulla contemplazione, Morcellia-na, Brescia 1979

Cercando libertà, castità, obbedienza, Gribaudi, Torino 1981Tentando fraternità. Confronti - scontri con il Vangelo, Gribau-

di, Torino 1981Facendo verità, Gribaudi, Torino 1984Le palme cantano speranza: lettere dall’America Latina, Mor-

celliana, Brescia 1984Ricerca di una spiritualità per l’uomo d’oggi, Cittadella, Assisi

1984Progetto Gesù: una società fraterna, Cittadella, Assisi 1985Testimoni della speranza, Brescia, Morcelliana, 1989Il silenzio pienezza della parola, Cittadella, Assisi 1991Il sacerdote e la donna: l’esperienza della relazione con il femmi-

nile e la verità della Chiesa, Marsilio, Venezia 1996Quel che muore, quel che nasce, Sperling paperback, Milano 2001Della mistica discorde:l’impegno come contemplazione, La Meri-

diana, Bari 2002La gioia di essere liberi, Messaggero, Padova 2002Salutatemi Maria Rosa, M. Pacini Fazzi, Lucca 2003Prendete e mangiate (a cura di Silvia Pettiti), La Meridiana,

Bari 2005Qui la meta è partire (con Francesco Comina), La Meridiana,

Bari 2005Vivo sotto la tenda: lettere ad Adele Toscano (a cura di Pier

Giorgio Camaiani e Paola Paterni), San Paolo, Cinisello Balsamo 2006

Il dio denaro (con Gianluca de Gennaro), L’altrapagina, Città di Castello 2007

La forza della leggerezza (a cura di Massimo Orlandi), Rome-na, Pratovecchio (AR) 2007

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Le beatitudini: uno stile di vita, Cittadella, Assisi 2007Il difficile amore: un uomo scendeva …(a cura di Silvia Pettiti),

Cittadella, Assisi 2008Svegliate Dio! conversazioni in Sardegna (a cura di Dino Big-

gio), Cittadella, Assisi 2008Ancora, cercate ancora, Cittadella, Assisi 2009 Il cuore del regno, Dissensi, Torre del Greco (Na) 2009Dio nella trasparenza dei poveri (con Dino Biggio), La Colli-

na, Serdiana (Ca) 2011Mi formavi nel silenzio (con Dino Biggio), Paoline, Milano,

2012

Note: I seguenti libri sono in fase di acquisizione da parte del Fondo Documentazione Arturo Paoli:

La collera dei poveri 1. (con Paul Gauthier e Primo Mazzola-ri), Torino, Gribaudi, 1967I giorni della droga e del quebracho2. , Torino, Leumann, 1973El rostro de tu hermano3. , Bogotà (Colombia), Paulinas, 1976Testimoni della speranza4. , Brescia, Morcelliana, 1989La povertà5. (con R. Cacetti, B. Maggioni), Caritas ambro-siana 2001

Nelle tue mani; cammini di abbandono, Fraternità di Spello, 2010

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INDICE

iNtroduzioNe alla SecoNda edizioNe de “la riNaScita dell’italia” (Silvia Pettiti, Incaricata Fondo Documentazione Arturo Paoli)

LA RINASCITA DELL’ITALIA “ di Arturo Paoli

PoStfazioNe (avv. Alberto Del Carlo, Presidente Fondazione Banca del Monte di Lucca)

arturo Paoli. Nota biografica “ (Silvia Pettiti, Incaricata Fondo Documentazione Arturo Paoli)

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Finito di stampare nel mese di Aprile 2012per conto di maria PaciNi fazzi ediore