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avvicinarsi dell’ultimo anno del secolo e del millennio apre visioni apocalittiche circa il futuro del mondo. Se all’approssimarsi dell’Anno Mille il timore era la scomparsa dell’uma- nità a seguito del crollo della civiltà cristiana, oggi – più prosaicamente ma con lo stesso carico di paure – attendiamo la nuova apocalisse informatica causata dal millennium bug, il “baco” della data nei computer che rischia di catapultarci indietro di un secolo. In sintonia con il clima di un futuro negato ci interroghiamo su quali siano i “bachi urbanistici” del nuovo millennio che possono danneggiare la costruzione di uno sviluppo sostenibile, tentando di individuare gli impegni degli urbanisti e dei pianificatori per trovare soluzioni che evitino il ritorno indietro nel tempo della cultu- ra urbanistica. Individuare i bachi che attentano all’efficacia della pianificazione territoriale del XXI secolo è infatti un impegno a cui non ci possiamo sottrarre ed individuare il ruolo del planner prima di entrare nel XXI secolo è attività che appassiona molti, come testimoniano Keith Hayton dal Workshop dell’Aesop e la cronaca dell’attività del Dottorato scritta da Filippo Schilleci. Proviamo quindi a sti- lare una lista – per statuto sempre incompleta – dei bachi che si annidano nei “meccanismi perfetti” che i pianificatori tentano di predisporre per il governo del territorio e delle comunità, tentando nel contempo di individuare alcuni possibili “patch” in grado di debellare il baco (è assodato che si pro- cede spesso solo per rattoppi piuttosto che per soluzioni definitive). Il primo baco riguarda i pericoli di una rigida separazione della città per aree monofunzionali, la quale provoca quartieri residenziali dormitorio o aree commerciali e direzionali che diventano abbandonate nelle ore serali, costringe i cittadini a faticosi spostamenti da una parte all’altra della città per svolgere le diverse attività, innalza edifici e costruisce quartieri rigidi incapaci di adattarsi alle mutevoli esigenze economiche e sociali della vita urbana in evoluzione. La soluzione alla que- stione urbana, tema caldo dell’Unione Europea come ci riporta Ignazio Vinci, è la città multifunzio- nale e multipolare, capace di garantire maggiore varietà e vitalità all’interno del tessuto urbano: resi- denza, lavoro e tempo libero si intrecciano in una rete nel tempo e nello spazio per ridurre gli sposta- menti, per risparmiare energia, per ridurre l’inquinamento e per risparmiare tempo da dedicare alla socialità. La città multifunzionale è intrinsecamente una città policentrica, democratica, è una città a rete e quindi moltiplicatrice di opportunità. Un secondo baco riguarda la troppo frequente insostenibilità dei piani (economica, sociale ed ambientale, etc.), affrontata sia da Ferdinando Trapani che da Lorenzo Guarino, provocata dall’assenza di un adeguato processo valutativo. Le soluzioni avanzate propongono il piano come processo, come flusso continuo che, all’interno di un quadro di invarianti territoriali, sia sempre disponibile a verificare o modificare le decisioni, confrontandole con la loro congruenza alle situa- zioni sociali, economiche ed ambientali concrete. L’esame delle esigenze economiche, sociali ed ambientali della città e la valutazione della fattibilità economico-finanziaria delle scelte, degli indi- rizzi e dei progetti devono diventare parte integrante del processo di piano. Il terzo baco riguarda l’insostenibilità ecologica di uno sviluppo imposto dall’alto ed omologante, indifferente al contesto. Tra le soluzioni individuate, alcune sono accomunate dall’essere state pensa- te dalla “mente meridiana” di cui parla Luciano De Bonis, capace di riguardare i luoghi e di inter- rompere la corsa verso il basso del saccheggio globale. Sviluppo ed ambiente, trasformazione ed innovazione non devono essere pensati più come termini antitetici irriducibili, ma come conflitti da comporre attraverso la giustizia esercitata dal piano. Il quarto baco è annidato tra gli elementi di una domanda sociale troppo spesso inascoltata, da una domanda di conoscenza e partecipazione troppo spesso tradita. L’espressione dei diritti, dei bisogni e n. 7 marzo 1999 SOMMARIO Autore, Editoriale, pag. 1 ATTIVITÀ Calendario dei seminari, pag. 2 Filippo Schilleci, Percorsi trasversali in un processo di pianificazione, pag. 2 Ciudad y Ordenanza: Concepto e instrumento. Un intervento di Frank Marcano su Caracas, pag. 4 Luciano De Bonis, Le Scienze della città e del territo- rio. Percorsi meridiani, III giornata di studio, pag. 6 RICERCA Lorenzo Guarino, Gli strumenti finanziari e la com- ponente privata nella gestione delle politiche di piano, pag. 8 Fanny Migliore, Caracas: da colonia a metropoli, pag. 10 Olindo Terrana, Il patto territoriale e lo sviluppo delle risorse locali, pag. 12 Ferdinando Trapani, Bilancio di attuazione della l. r. n°15 del 1991 nella parte sud-orientale della Sicilia, pag. 15 TESI Angela Badami, Il passato disponibile. Percorsi di ricerca per una pianificazione del territorio archeo- logico, pag. 17 Giuseppe Abbate, Recupero dei centri storici e meto- dologie di intervento: il ruolo dell’analisi tipologica, pag. 24 DIBATTITO Lorenzo Guarino e Francesco Martinico, Uno stru- mentario per l’urbanistica del XXI secolo: L’Aesop Phd research workshop a Nijmegen. Cronaca di un’esperienza, pag. 32 Keith Hayton, Global Change Versus Local Integrity - The Planners Role In The Twenty First Century, pag. 34 RETI Ignazio Vinci, La questione urbana in Europa. Approcci e strategie tra ricerca e innovazione, pag. 36 ANTOLOGIA Paesaggi “meridiani”: l’Algeria di Albert Camus, pag. 38 L’ in RIVISTA DEL DOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE Università di Palermo, Catania e Reggio Calabria Folio Millennium Bugs

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  • avvicinarsi dell’ultimo anno del secolo e del millennio apre visioni apocalittiche circa ilfuturo del mondo. Se all’approssimarsi dell’Anno Mille il timore era la scomparsa dell’uma-nità a seguito del crollo della civiltà cristiana, oggi – più prosaicamente ma con lo stesso

    carico di paure – attendiamo la nuova apocalisse informatica causata dal millennium bug, il “baco”della data nei computer che rischia di catapultarci indietro di un secolo. In sintonia con il clima di unfuturo negato ci interroghiamo su quali siano i “bachi urbanistici” del nuovo millennio che possonodanneggiare la costruzione di uno sviluppo sostenibile, tentando di individuare gli impegni degliurbanisti e dei pianificatori per trovare soluzioni che evitino il ritorno indietro nel tempo della cultu-ra urbanistica.

    Individuare i bachi che attentano all’efficacia della pianificazione territoriale del XXI secolo èinfatti un impegno a cui non ci possiamo sottrarre ed individuare il ruolo del planner prima di entrarenel XXI secolo è attività che appassiona molti, come testimoniano Keith Hayton dal Workshopdell’Aesop e la cronaca dell’attività del Dottorato scritta da Filippo Schilleci. Proviamo quindi a sti-lare una lista – per statuto sempre incompleta – dei bachi che si annidano nei “meccanismi perfetti”che i pianificatori tentano di predisporre per il governo del territorio e delle comunità, tentando nelcontempo di individuare alcuni possibili “patch” in grado di debellare il baco (è assodato che si pro-cede spesso solo per rattoppi piuttosto che per soluzioni definitive).

    Il primo baco riguarda i pericoli di una rigida separazione della città per aree monofunzionali, laquale provoca quartieri residenziali dormitorio o aree commerciali e direzionali che diventanoabbandonate nelle ore serali, costringe i cittadini a faticosi spostamenti da una parte all’altra dellacittà per svolgere le diverse attività, innalza edifici e costruisce quartieri rigidi incapaci di adattarsialle mutevoli esigenze economiche e sociali della vita urbana in evoluzione. La soluzione alla que-stione urbana, tema caldo dell’Unione Europea come ci riporta Ignazio Vinci, è la città multifunzio-nale e multipolare, capace di garantire maggiore varietà e vitalità all’interno del tessuto urbano: resi-denza, lavoro e tempo libero si intrecciano in una rete nel tempo e nello spazio per ridurre gli sposta-menti, per risparmiare energia, per ridurre l’inquinamento e per risparmiare tempo da dedicare allasocialità. La città multifunzionale è intrinsecamente una città policentrica, democratica, è una città arete e quindi moltiplicatrice di opportunità.

    Un secondo baco riguarda la troppo frequente insostenibilità dei piani (economica, sociale edambientale, etc.), affrontata sia da Ferdinando Trapani che da Lorenzo Guarino, provocatadall’assenza di un adeguato processo valutativo. Le soluzioni avanzate propongono il piano comeprocesso, come flusso continuo che, all’interno di un quadro di invarianti territoriali, sia sempredisponibile a verificare o modificare le decisioni, confrontandole con la loro congruenza alle situa-zioni sociali, economiche ed ambientali concrete. L’esame delle esigenze economiche, sociali edambientali della città e la valutazione della fattibilità economico-finanziaria delle scelte, degli indi-rizzi e dei progetti devono diventare parte integrante del processo di piano.

    Il terzo baco riguarda l’insostenibilità ecologica di uno sviluppo imposto dall’alto ed omologante,indifferente al contesto. Tra le soluzioni individuate, alcune sono accomunate dall’essere state pensa-te dalla “mente meridiana” di cui parla Luciano De Bonis, capace di riguardare i luoghi e di inter-rompere la corsa verso il basso del saccheggio globale. Sviluppo ed ambiente, trasformazione edinnovazione non devono essere pensati più come termini antitetici irriducibili, ma come conflitti dacomporre attraverso la giustizia esercitata dal piano.

    Il quarto baco è annidato tra gli elementi di una domanda sociale troppo spesso inascoltata, da unadomanda di conoscenza e partecipazione troppo spesso tradita. L’espressione dei diritti, dei bisogni e

    n. 7marzo 1999

    SOMMARIO

    Autore, Editoriale, pag. 1

    ATTIVITÀCalendario dei seminari, pag. 2Filippo Schilleci, Percorsi trasversali in un processo

    di pianificazione, pag. 2Ciudad y Ordenanza: Concepto e instrumento. Un

    intervento di Frank Marcano su Caracas, pag. 4Luciano De Bonis, Le Scienze della città e del territo-

    rio. Percorsi meridiani, III giornata di studio, pag. 6

    RICERCALorenzo Guarino, Gli strumenti finanziari e la com-

    ponente privata nella gestione delle politiche dipiano, pag. 8

    Fanny Migliore, Caracas: da colonia a metropoli,pag. 10

    Olindo Terrana, Il patto territoriale e lo sviluppodelle risorse locali, pag. 12

    Ferdinando Trapani, Bilancio di attuazione della l. r.n°15 del 1991 nella parte sud-orientale dellaSicilia, pag. 15

    TESIAngela Badami, Il passato disponibile. Percorsi di

    ricerca per una pianificazione del territorio archeo-logico, pag. 17

    Giuseppe Abbate, Recupero dei centri storici e meto-dologie di intervento: il ruolo dell’analisi tipologica,pag. 24

    DIBATTITOLorenzo Guarino e Francesco Martinico, Uno stru-

    mentario per l’urbanistica del XXI secolo:L’Aesop Phd research workshop a Nijmegen.Cronaca di un’esperienza, pag. 32

    Keith Hayton, Global Change Versus Local Integrity- The Planners Role In The Twenty First Century,pag. 34

    RETIIgnazio Vinci, La questione urbana in Europa.

    Approcci e strategie tra ricerca e innovazione, pag. 36

    ANTOLOGIAPaesaggi “meridiani”: l’Algeria di Albert Camus, pag. 38

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    RIVISTA DEL DOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE Università di Palermo, Catania eReggio Calabria

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    Il presente contributo è il resoconto dei semi-nari che si sono svolti, all’interno delle attivitàdel dottorato di ricerca in Pianificazione urbanae territoriale, presso i Dipartimenti Città eTerritorio e Storia e Progetto nell’Architetturadell’Università degli Studi di Palermo, nel 1997.

    Le attività legate al percorso di studio propo-ste all’interno di un corso di dottorato di ricercapossono, o meglio devono, essere molto diversifi-cate. È infatti indispensabile che oltre la normaleattività di ricerca personale che il singolo dotto-rando porta avanti, vengano proposte alla comuneriflessione, attraverso l’attivazione di cicli diseminari, tematiche che presentino relazioni conil campo disciplinare cui il dottorato afferisce,oltre che con quelle su cui il dibattito scientifico,nazionale ed internazionale, oggi si confronta.

    La tendenza naturale, infatti, di chi si occupadi ricerca è quella di una sempre crescente specia-lizzazione, mettendo spesso da parte, o più preci-samente dandogli minore peso, tutti quei temi

    che, nel caso specifico del dottorato che chi scrivefrequenta, afferiscono all’area della pianificazionecon il rischio di perdere quel carattere multidisci-plinare che deve connotare, oggi sempre più,l’attività del pianificatore.

    È proprio per questa ragione che il dottoratodi ricerca in Pianificazione urbana e territorialedelle Università di Palermo, Catania e ReggioCalabria, all’interno della sua organizzazione hadato sempre una grande importanza alle attivitàseminariali, cercando di programmare, per ognianno accademico, un calendario ricco di interven-ti che costituiscano un apporto alle singole ricer-che, e che offrano, contemporaneamente, un qua-dro sempre aggiornato del dibattito disciplinarenazionale e, ove possibile, internazionale.

    La frequenza, quindi, di tali seminari, insiemeall’attività di ricerca ed alla partecipazione ai con-vegni, ai congressi, ad eventuali corsi, contribui-sce a dare una formazione articolata e completaadatta a chi ha indirizzato la propria attività pro-fessionale verso il campo della ricerca scientifica.

    Nello specifico, lo scorso anno accademicoquesto dottorato ha organizzato il suo ciclo diseminari invitando diversi relatori, quasi sempreesterni ai dipartimenti afferenti, che svolgono laloro attività professionale e di ricerca in ambitidisciplinari che, in qualche caso, a prima vistapotrebbero sembrare distanti dall’ambito dellapianificazione territoriale e urbana. In realtà lediverse definizioni di “pianificazione” che neglianni sono state codificate1, ci confermano chemolteplici possono essere i settori disciplinariimplicati quando si ha come oggetto di lavoro ilterritorio. Ecco allora la necessità di dovere tenerepresenti anche tutte le problematiche legateall’ambiente, all’economia, alla sociologia e allacomunicazione, ai trasporti, alla sostenibilità,oltre che ovviamente alla stessa architettura eurbanistica, non dimenticando il riferimento aduna dimensione dei problemi ormai divenuta

    molto importante e non più trascurabile: quellaeuropea.

    La seppur breve esposizione che segue vuoleavere lo scopo di tracciare in maniera trasversale,a posteriori e non cronologicamente, un unicopercorso che relazioni gli argomenti trattati neivari seminari2.

    Alcuni di questi hanno posto all’attenzione didocenti, dottori e dottorandi problematiche gene-rali; tale carattere ha avuto quello tenuto da L.Mazza3 che, legandosi alla ormai reale (anche sespesso solo sulla carta) dimensione europea, haposto alcuni interrogativi sul tema del “saperedella pianificazione”. Ha infatti presentato alcuneriflessioni domandandosi se, parlando di “Europaunica”, esiste la possibilità di avere anche unsapere unico della pianificazione. Secondo Mazzadue sono le tematiche importanti da mettere aconfronto per trovare una eventuale risposta: statosociale e cultura politica. E per supportare questaproposta ha introdotto altre considerazioni incen-trate sulla situazione italiana, sul suo “stile digovernare” e sulle sue “culture politiche” cheinfluenzano, in maniera troppo settoriale, il siste-ma istituzionale e quindi il governo del territorio.La “cultura europea” sa che “ragionare per com-petenze è vecchio” e che essendosi ormai per ilterritorio consolidata l’accezione di risorsa, idiversi saperi ad esso legati devono essere semprepiù correlati. Ecco allora che ritorna la suddettadimensione multidisciplinare; Mazza, infatti, nelsuo intervento ha più volte citato le scienzeambientali, politiche, economiche e sociali, leteorie della pianificazione e degli studi urbani eregionali, tutti ambiti legati alla terra, alla suaconservazione ed alla sua trasformazione.

    Strettamente legate ai temi emersi dalle rifles-sioni fatte con Mazza sono risultate le tematichetrattate da G. Querini4, che ha impostato il suointervento sulle diverse politiche ambientali chel’Unione Europea ha da qualche anno avviato.

    CalendarioSeminari del Dottorato svolti nell’anno accademico 1997-98

    16 Aprile 1998 La regione del fiume Bio-Bio (Cile)Seminario tenuto dai proff. Leonardo Urbani, Nicola Giuliano Leone e Carla Quartarone(DCT, Palermo)

    14 Maggio 1998 Napoli: cronache urbanistiche 1994-1997Seminario tenuto dagli archh. Vezio De Lucia e Roberto Giannì (Facoltà di Architettura di Palermo)

    28 Maggio 1998 La Valencia marittima del 2000Seminario tenuto dal prof. Juan Luis Piñon (DCT, Palermo)

    24, 25 Settembre 1998 Parigi: la metropoli e la societàSeminario tenuto dai proff. Jean Pier Frey e Henry Raymond (DSPA, Palermo)

    11 dicembre 1998 Evoluzione urbanistica recente del sistema metropolitano di BarcellonaSeminario tenuto dal prof. Juan A. Solans (DCT, Palermo)

    I dottori e i dottorandi hanno partecipato, con interventi e relazioni, ai seguenti seminari e convegni:

    II Biennale delle città e degli urbanisti d’Europa e I Rassegna di urbanistica europea, Roma (8-13 settembre 1997) • XVIII Conferenza italiana diScienze Regionali (Siracusa, 8-11 ottobre 1997) • Seminario di studio con i paesi del bacino del Mediterraneo, Il Cairo (7-22 novembre) • ConvegnoLe città: una risorsa per l’Europa, Torino (1 dicembre 1997) • Convegno internazionale di studi La costruzione del paesaggio siciliano. Geografi escrittori a confronto, Palermo (18-20 marzo 1998) • Convegno Trent’anni dopo... tornare a ragionare sugli standard, Roma (3 aprile 1998) •Convegno di presentazione del dossier La stagione urbanistica in Sicilia, Palermo (16 aprile 1998) • Convegno Risorse e strumenti per il recuperodei centri storici, Siracusa (29-30 aprile 1998) • III Convegno nazionale sui temi della ricerca di Dottorato in Pianificazione territoriale e urbanisti-ca, Palermo (3-4-5 giugno 1998) • Il governo del territorio nella riforma delle istituzioni, XXII Congresso dell’ Istituto Nazionale di Urbanistica,Perugia (18-20 giugno 1998) • Seminario internazionale di studi Valori e interpretazione del paesaggio, Maratea (18-21 settembre 1998) • XIXConferenza Italiana di Scienze Regionali, L’Aquila (7-9 ottobre 1998) • Seminario La ricerca urbana in Italia in una prospettiva europea: confrontiinterdisciplinari, Torino (9 ottobre 1998) • Convegno I futuri della città, Cortona (3-4-5 dicembre).

    PERCORSITRASVERSALI INUN PROCESSO DIPIANIFICAZIONE

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    Un rapido excursus sulla nascita dell’U.E. hapermesso di inquadrare tali politiche. Quandoquarant’anni fa nacque l’esigenza di realizzare“l’unificazione dell’Europa” (obiettivo probabil-mente legato all’inseguimento del modello degliStati Uniti), oltre a ragioni legate a nobili ideali,vi erano “ragioni strettamente economiche”, qualil’esigenza di creare un sistema di valori comuni,di accelerare la crescita del benessere materiale edi rafforzare la competitività internazionale delleimprese europee, attraverso la ricerca di una solu-zione ai sintomi di una crisi crescente. Tra questisintomi, oltre la disoccupazione, il ritardo tecno-logico, la polarizzazione regionale, vi era pure ildegrado ambientale.

    La seconda parte del seminario si è poi soffer-mata ad analizzare i principi e gli strumenti adot-tati dall’U.E. per dare una risposta soprattuttoall’ultimo dei sintomi di crisi suddetti, citandocronologicamente tra i principi, quello di unagestione attraverso standard e divieti seguito subi-to dopo dalla mitigazione rispetto agli effettinegativi, per arrivare al principio della trasversa-lità e a quello del P.P.P. (Polluter pay principle),“chi inquina paga”, sino a quello dell’accuratezzaecologica5. A proposito degli strumenti invecesono stati citati quello delle tasse ambientali,quello dei permessi ad inquinare, quello degliaccordi volontari e quello delle certificazioni(come la VIA, l’Eco-label o l’Eco-audit)6.

    Se Querini, con la sua relazione, ha invitato ariflettere sui temi dell’economia dell’ambiente,quindi su un campo disciplinare con forti rifluen-ze sull’organizzazione del territorio, P. DegliEspinosa, in maniera quasi correlata, ha propostoalcune riflessioni sul problema energetico e sullesue rifluenze nella pianificazione territoriale7.Interessanti spunti sono stati dati soprattutto nellaseconda parte dal seminario, quando è stato espo-sto un caso studio, quello di un termoutilizzatorerealizzato a Brescia, che ha permesso di avviareun dibattito sulla realizzazione di strutture legateal risparmio energetico in rapporto alle “trasfor-mazioni sostenibili del territorio”.

    Economia, ambiente e società, più volte citati,sono quindi alcuni degli ambiti in cui lavorare perassicurarci l’esistenza di una “città del futuro”. Esoprattutto bisogna lavorarci non pensando agliaspetti negativi legati al degrado, ma pensando aquelli positivi, che tendono a migliorare. Eccoquindi che, come hanno suggerito A. Dal Cin e J.De Mesones, durante il loro seminario8, «bisognasempre parlare di città del futuro (con accezionequindi positiva) e non di futuro della città (che hainvece un carattere più negativo)». “Positive”anche le strategie, le azioni e le politiche, cui idue relatori hanno dedicato la seconda parte delseminario che ha portato alla conclusione che la“città del futuro” non è una nuova città, ma è unacittà con strategie positive e con azioni e politicheconcrete verso la sostenibilità delle trasformazio-ni territoriali9.

    Se finora il “percorso trasversale” ha attraver-sato ambiti generali (o teorici), non bisognadimenticare che grande importanza riveste, nel

    campo della ricerca, lo studio applicativo delleteorie studiate. E, avendo come campo d’azione ilterritorio, uno degli strumenti che più ci permettedi confrontarci nel passaggio dalla teoria allarealtà è, ovviamente, quello del piano sia a grandeche a piccola scala.

    Su questo tema, e più precisamente su quellodel “progetto urbano”, si è soffermato H.Raymond che, insieme a L. Urbani, ha intessuto ildibattito scaturito durante il seminario da lui tenu-to10 sulle problematiche legate al fare piani oggi,momento in cui «necessita lavorare in condizioninuove, considerando che un piano non è eterno eche alla base, sin dall’inizio, dovrebbe esistere unmonitoraggio continuo e puntuale; dove stato difatto e stato di diritto siano sempre presenti edove esista una flessibilità iterativa, dove la pre-senza del cittadino prenda sempre più consisten-za. Il piano visto come azione politica, azioneeconomica ed azione culturale». Tale dibattito haavuto come caso di studio, da “utilizzare comeelemento di riferimento per la pianificazioneattuale in Sicilia”, quello della ricostruzione inVal di Noto, dove appunto il progetto urbano haavuto, ed ha tuttora, un ruolo importante.

    Degli elementi del progetto urbano, su cuiRaymond con la partecipazione di tutti i presentisi è a lungo soffermato, fa sicuramente partel’oggetto di un altro degli incontri in cui i relatori,B. Jaforte e F. Corriere, hanno esposto le lororiflessioni sul problema dei trasporti e della viabi-lità, problema che, come giustamente hanno sot-tolineato i due docenti, risulta «strettamente con-nesso con ogni intervento che impone scelte loca-lizzative sul territorio»11. Due i temi suggeriti:quello della “domanda e offerta di trasporto” equello della “progettazione dei trasporti” per laquale è stata richiamata l’importanza, nello studiodell’assetto futuro della città, “dei modelli, deglischemi e dei processi”.

    Un ultimo ma, oltre che attuale, importanteargomento, che è stato oggetto di comunicazionedurante il ciclo dei seminari, è stato quello dellapianificazione comunicativa proposto ai dottori edottorandi da D. Borri12, argomento che, per ilsuo differente approccio ai problemi, è rapporta-bile a tutti gli spunti suggeriti durante gli altriseminari.

    L’incontro, che si è svolto sotto forma dicomunicazione schematica quasi a volere daresolo degli input alla riflessione, è stato concepitoadottando un approccio “sociale - comunicativo”ed ha preso l’avvio citando E. Scandurra e la criti-ca della razionalità urbanistica per riflettere sucome l’oggetto del piano oggi sia diventato sem-pre meno la città «come concetto complesso chepuò essere interpretato, descritto e affrontato soloin chiave interdisciplinare. (...) La costruzionedella città chiama in causa molti saperi, molteesperienze e molte figure diffuse e disperse tra isuoi abitanti, frammentate nell’anonimato dellasocietà civile ma non per questo marginali o tantomeno residuali»13. “Sfida della complessità”,quindi, e “difficoltà della comunicazione”.Attraverso alcuni concetti sul problema dei rap-

    porti (a volte tesi e difficili) che oggi si instauranotra potere e comunità deboli e tra modernizzazio-ne globalizzante e comunità locali, Borri ha volu-to suggerire alcune “nuove definizioni” per la pia-nificazione (comunicativa), come ad esempio una“spinta alla sfida ambientale e allo sviluppo soste-nibile”, o come “conversazione riflessiva”14 sotto-lineando come in essa lo spazio sia oggi da inten-dere in maniera diversa rispetto alle correnti clas-siche di pianificazione.

    I numerosi spunti di riflessione propostidurante l’intero ciclo di seminari si sono rivelati,anche se si vogliono analizzare singolarmente, digrande interesse. Le opportunità di riflessionecrescono notevolmente se viene fatto lo sforzo distudiare e approfondire anche le relazioni chepossono esistere tra loro, un’operazione che evi-denzia il valore di una accezione pluridisciplinareda imprimere al campo della ricerca e della con-sequenziale attività professionale. Il convogliare,infatti, nozioni provenienti da ambiti differenti tradi loro, ma tra loro connessi, in un unico saperefarà sì che l’attività di chi pratica la pianificazionerisulti sempre più organica e completa, in modotale da imprimere al progetto sul territorio caratte-ri non settoriali ma, al contrario, generali e a piùlivelli. n

    Note

    1) Interessante a tal proposito risulta la raccolta di molte diqueste definizioni che Alexander fa nel suo libro“Approaches to planning”. Cfr. E. Alexander, Introduzionealla pianificazione, (trad. it. a cura di F.D. Moccia), Clean,Napoli 1997.2) Per completezza d’informazione, oltre ai seminari quinominati, durante l’anno accademico i componenti del colle-gio dei docenti, in occasione dei diversi incontri, hanno effet-tuato alcune comunicazioni su tematiche relative agli ambitidi ricerca delle tesi che in atto si stanno svolgendo all’internodel corso del dottorato.3) Il seminario tenuto dal prof. Luigi Mazza, docente pressoil Politecnico di Milano, dal titolo “Le tendenze della ricercaeuropea nella pianificazione territoriale” si è svolto presso ildipartimento Città e Territorio dell’Università degli Studi diPalermo il 20 giugno 1997.4) Giulio Querini è professore di Economia dell’ambiente edi Politica economica e sociale europea, nella scuola di spe-cializzazione in Comunità Europee, presso l’Università “LaSapienza” di Roma. Il seminario da lui tenuto, dal titolo “Lapolitica ambientale dell’Unione Europea”, si è svolto pressoil dipartimento Città e Territorio dell’Università degli Studidi Palermo il 12 marzo 1997.5) È giusto forse sottolineare che i temi trattati da Querinierano legati soprattutto al campo economico ed energeticodell’ambiente, rinviando altri aspetti, come quello della con-servazione della natura e delle politiche europee in tale dire-zione, ad altre occasioni di approfondimento.6) Per maggiori approfondimenti si rinvia a G. Querini, Lapolitica ambientale della Unione Europea, 1996.7) Il seminario tenuto da Paolo Degli Espinosa, ambientalistae fondatore di Lega Ambiente, dal titolo “La macchina urba-na: i problemi energetici” si è svolto presso il dipartimentoCittà e Territorio dell’Università degli Studi di Palermo il 16maggio 1997.8) Il seminario tenuto dal prof. Janvier De Mesones e dallaprof. Adriana Del Cin, architetti e urbanisti, docenti pressol’Università “Carlo III” di Madrid, dal titolo “La città delfuturo vs il futuro della città” si è svolto presso il dipartimen-to Città e Territorio dell’Università degli Studi di Palermo il19 marzo 1997.9) Lunga e complessa è stata la trattazione di questa secondaparte e quindi si rimanda ai materiali che i due docenti hannomesso a disposizione e che sono depositati presso la bibliote-ca del dipartimento Città e Territorio dell’Università diPalermo. 10) Il seminario tenuto dal prof. Henry Raymond, con il con-tributo del prof. Leonardo Urbani, dal titolo “La ricostruzio-ne in Val di Noto come elemento di riferimento per la piani-ficazione attuale in Sicilia” si è svolto presso il dipartimentodi Storia e Progetto nell’architettura dell’Università degliStudi di Palermo il 9 maggio 1997.11) Il seminario tenuto dai prof.ri Bruno Jaforte, coordinato-re del dottorato, e Ferdinando Corriere, docente pressol’Università degli Studi di Palermo, dal titolo “La macchinaurbana” si è svolto presso il dipartimento Città e Territoriodell’Università degli Studi di Palermo nel maggio 1997.12) Il seminario tenuto dal prof. Dino Borri, docente pressoil Politecnico di Bari, dal titolo “La dimensione etica e lapianificazione comunicativa” si è svolto presso il diparti-mento Città e Territorio dell’Università degli Studi diPalermo il 21 maggio 1997.13) Il riferimento è alle riflessioni che E. Scandurra fa nelsuo ultimo libro (Città del terzo millennio, ed. la meridiana,Bari 1997) a proposito del fare i piani e della costruzione dicittà oggi.14) La definizione è tratta da D.A. Schon, The ReflectivePractitioner. How Professionals Think in Action, BasicBooks, New York 1983, nella trad. it. di A. Barbanente (acura di), Il Professionista riflessivo. Per una nuovaEpistemologia della Pratica Professionale, Dedalo, Bari1993.

  • Frank Marcano Requena dirige l’Istituto diUrbanistica della Facoltà di Architettura dellaUniversidad Central de Venezuela, ed è datempo impegnato nella ricerca sui temi dellacittà latinoamericana e di Caracas in particola-re. L’incontro con il Prof. Marcano è avvenutoin occasione della mia permanenza a Caracasper lo svolgimento del lavoro di ricercanell’ambito del dottorato di PianificazioneUrbana e Territoriale.

    Questo articolo è uno degli interessanticontributi presentati in occasione del ciclo diconferenze “12 temi per ripensare la città” edin particolare fa parte della sessione“Legislazione Urbana o lo scrigno diPandora”, tenutisi a Caracas in luglio del1996.

    In questo intervento, l’autore raccoglie laprovocazione racchiusa nel nome stesso dellasessione a cui partecipa mettendo chiaramentein evidenza l’impellente necessità di rivedere lavecchia impostazione dell’urbanistica venezue-lana, basata sulle prescrizioni contenute nelleOrdenanzas, ovvero regolamenti, a cui attribui-sce la derivazione di «tutti i mali della città»,ma allo stesso tempo intravede la «speranza»nella concezione di una nuova legislazione equindi di regolamenti ispirati ad una più coe-rente idea di città. (Fanny Migliore)

    Al oir hablar de la Legislación que rige ycontrola el desarrollo urbano de nuestras ciuda-des se suscita inmediatamente una reacción derechazo y de falta de credibilidad, sentimientoque se expresa por una inconformidad frente aun instrumento que no está funcionando correc-tamente y cuyo producto no es satisfactorio.Existe la opinión generalizada sobre la necesi-dad de su sustitución, sin embargo, a cortoplazo no parece existir la posibilidad de unaevaluación que lo permita y las pocas iniciativaspara transformarlas son rápidamente dejadas delado.

    El titulo de este Foro nos parece muy ade-cuado ya que incluir la metáfora de la caja dePandora es pertinente. La ciudad actual venezo-lana parece el producto de la apertura de lavasija que contenía guardados dentro de ella losmales urbanos que escaparon sin control. Sinembargo, quisiera hacer mención al mito griego,que presenta la historia en la cual los diosesofrecen como regalo al hombre, una vasija quecontenía los males urbanos, pero también laesperanza. La versión más popular de este mitorelata que al abrir la vasija se escaparon todoslos males y sólo, en manos de los hombresquedó la esperanza en el fondo de la vasija. Larevisión de la Ordenanza es en estos momentosun imperativo y no sólo una esperanza de losque se dedican a soñar que esta ciudad - lavenezolana -, tiene posibilidades de cualificarse.

    Si observamos la evolución de lasOrdenanzas en Venezuela desde 1940 hastaahora, podemos darnos cuenta que en esteperíodo se abandona el patrón tradicional queorganizaba el crecimiento de nuestras ciudades

    desde la colonia y se sustituye por otro nuevomodelo, del cual las ordenanzas no son sino suinstrumento. Esa ordenanza es el instrumentoque aseguró la construcción de la ciudad moder-na desarrollada en Venezuela desde esa época.

    Para hablar sobre planificación urbana enVenezuela es necesario pasar revista a lo acon-tecido en los últimos cincuenta anos, ya que ellasólo existe a partir de la explosión urbana queen los años cuarenta se produjo en Venezuela.En efecto, en 1937 el Ministerio de ObrasPúblicas formula el primer Plan Urbano desar-rollado en Venezuela para la construcción deuna nueva ciudad: el Plan de Ciudad Ojeda enla costa oriental del Lago de Maracaibo,proyectada para reemplazar a Lagunillas, ciudadpetrolera destruida por un incendio. En 1936, sesolicita la asesoría de las Naciones Unidas parala realización del Plan Monumental de la ciu-dad de Caracas. Este plan, desarrollado por elurbanista francés Maurice Rotival, es finalizadoen 1939. Con ellos comienza la tradición de laplanificación en el país. En 1951 aparece la pri-mera Ordenanza de Caracas que presenta lascaracterísticas básicas que seguirán todas lasordenanzas del país hasta hoy.

    La aplicación de las ordenanzas se desarrol-la en un momento histórico signado en nuestromedio por el afianzamento de la Modernidad,movimento que se impuso en este siglo comouna forma de repensar el mundo en oposición atodo lo anterior. En la arquitectura y el urbani-smo, las ideas propulsadas por este movimientoentraron a nuestro país con gran fuerza y signa-ron todo el período que comienza en la décadade los cuarenta y el cual se encuentra aùn vigen-te, aunque ya con visibles trazos de agotamien-to. Indudablemente en Venezuela existe unaforma de pensar la ciudad de este siglo, que sebasa en los paradigmas Modernos: progresocomo base de crecimiento, rechazo del pasado,glorificación del futuro y mitificación de lonuevo.

    En lo urbano esto se tradujo en la importan-cia asignada al desarrollo de la vialidad, la sepa-ración del peatón y el vehiculo, la incorporaciónde los patrones anglosajones en la manera deestructurar la nueva ciudad, el concepto de uni-dades autosuficientes como elemento clave dela nueva estructura urbana y la separación ysegregación de funciones.

    En nuestro medio, esta nueva forma de pen-sar la ciudad produjo la sustitución del viejoesquema de la retícula por la ciudad modernistay explica el tipo de crecimiento urbano adopta-do en Venezuela en todas las ciudades en estesiglo. La Ordenanza que se organizó para ase-gurar el desarrollo de la ciudad venezolana delsiglo veite fué uno de los instrumentos para per-mitir su crecimiento, su perdurabilidad y ladifusión y vulgarización del ideario de laModernidad.

    En el período analizado, en Venezuela seproduce un acelerado crecimiento económico,alimentado por los ingresos petrolíferos. Suimportancia, desde el punto de vista urbano,radica en las enormes dimensiones que ese cre-cimiento urbano toma en relación con la lentaevolución de las ciudades venezolanas conoci-das hasta ese momento. Podemos afirmar queVenezuela es un país de ciudades modernas,donde los tejidos anteriores son de pequenasdimensiones y muy intervenidos con criteriosracionalistas.

    Los principales “temas modernos”, ideasque sintetizaban las propuestas teóricas delmodernismo, sirvieron para organizar la orde-nanza y estructurar toda su organización. En esesentido la Ordenanza fué un instrumento cohe-rente, bien realizado y correctamente orientadopor objetivos destinados a asegurar la construc-ción de la ciudad paradigmática de laModernidad. A continuación intentamos presen-tar brevemente algunos de los principales temaso conceptos urbanos que la sostienen:

    • el espacio público se presenta expandido y sinforma precisa, este se opone al antiguo espaciopúblico controlado y de morfología tradicional,se produce la hipertrofìa de los espacios abier-tos y aparece la falta de definición entre domi-nio público en sentido estricto y dominio priva-do o comunitario, estos límites tienden a desdi-bujarse surgiendo el espacio residual, sin pro-pietario definido que los guarde y mantenga. Secaracteríza este nuevo espacio público por elnotable predominio de los espacios abiertos conabundante vegetación, autónomos del tejidourbano; • el concepto de la macromanzana introduce uncambio de escala en los nuevos àmbitos urba-nos. Estas nuevas unidades configurarán áreascerradas y autocentradas con posibilidades pre-fijadas y limitadas de tamano y pocas posibili-dades de integración con otras unidades urba-nas. Su crecimiento se preve por la duplicaciónde dichas unidades, las cuales se diferenciannetamente del crecimiento por extensión deltejido tradicional;• en esta etapa aparece un nuevo elemento urba-no independiente de la trama: la vialidad, que sepresenta liberada de los estrictos esquemas dejerarquización con respecto a la trama que teníaen el antiguo tejido tradicional. Este nuevo ele-mento se hace acompanar por el criterio de ladiferenciación y separación del tráfico vehiculardel peatonal. En Venezuela este esquema sedeformó en este período, apareciendo la viali-dad vehicular como el elemento principal nosiendo acompanada por un desarrollo similar dela peatonal. Esta última en la mayoría de loscasos sencillamente fué olvidada o no tomadaen cuenta;• el eclipse del parcelario, como elementoestructurante y patrón de la forma urbana juntoa la manzana caracterízan este período, el cualse vió acompañado por la desvalorización de losbordes edificados y las edificaciones singulares;la separación entre alineaciones y lineas defachada hasta el punto de convertir en irrelevan-te el primero; el surgimiento triunfante de laedificación aislada en contraposición de la cer-rada y contínua y finalmente la aparición de losretiros laterales como uno de los elementosparadigmáticos de la nueva forma urbana;• la masiva utilización del bloque abierto encontraposición con el bloque que forma partedel muro urbano y el establecimiento de unatipología edificatoria basada en el bloque decrujía estrecha. La prioritaria atención a las con-dicionantes higiénicas como aireación, asolea-miento, etc., a la hora de establecer las compo-siciones volumétricas, produjo que se dejara delado las condicionantes derivadas de una formaurbana deseable;• la separación de usos por sectores articuladospor vialidades expresas, “aquí las residencias,allá los comercios, allá las industrias,...”. Estavieja máxima del modernismo marcó poderosa-mente nuestras nuevas ciudades en este siglo yse instauró en nuestra Ordenanza que organizó,regolamentó e instauró la separación de funcio-nes como uno de sus valore más importantes.

    Con estos temas se organiza la ciudadmoderna en Venezuela, es decir, se trata de con-struir “la ville radieuse” de Le Corbusier frentea la ciudad antigua, “el plan Voisin” frente altejido antiguo de París, la ciudad orgánica frentea la ciudad basada en la retícula, Brasilia yCiudad Guayana frente a la vieja ciudad.

    Si aceptamos que la modernidad se encuen-tra fuertemente cuestionada, que sus preceptosestán siendo revisados, corregidos, reinterpreta-dos e incluso rechazados y si es cierto lo queafirma Compagnon que “el ídolo de lo nuevoestá enfermo actualmente, y quizás muerto yque de la feria de las ilusiones que suscitó elmodernismo no queda más que desengaño ydesilución”, es necesario comenzar la revisióndetallada y preceisa de los paradigmas que hanservido en estos cuarenta años para ordenar

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    CIUDAD YORDENANZA:CONCEPTO EINSTRUMENTOUn intervento di FrankMarcano su Caracas

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    nuestras ciudades. La Ordenanza como uno delos instrumentos claves para asegurar la perdu-rabilidad de la ciudad moderna tiene que serevaluada y revisada con el objeto de poder deci-dir cuales serán sus nuevas características, cua-les serán los aspectos que debemos conservar,cuales eliminar y si tiene sentido su permanen-cia como un todo o debemos abrirle paso a otratipología de Ordenanza. De lo que se trata, es deponer de relieve que si de algo sirve encontrar-

    nos en medio de una época de cambio de para-digmas es el de saber que no existe la receta,que los dogmas tienen encerrados dentro deellos las leyes de su propia destrucción y que laconstrucción de una nueva verdad urbana basa-da en un modelo absoluto sólo será de nuevo unespejismo inalcanzable.

    En ese órden de ideas planteamos la necesi-dad de respondernos unas cuantas preguntassobre la visión de la ciudad que tenemos o quequeremos tener y sobre cual es el rol de laOrdenanza en la construcción de la ciudad delpróximo milenio. ¿Existe una repercusión deeste cambio de paradigmas en lo referente a lavisualización y forma de abordar la ciudad?. Siesto es verdad, es necesario repensar la formacomo debemos encarar nuestra acción sobre laciudad, no solo desde el punto de vista de laplanificación, que obliga a generalizarla o inte-grarla en un todo para poder comprenderla, sinointegrando la optica del Diseño Urbano, que lapiensa desde lo local, desde la particularidad desu forma, de las relaciones entre sus componen-tes formales y de las especificidades de sus

    espacios urbanos. En este contexto de nuevasdefiniciones de la ciudad que queremos, esimprescindible la revisión de los instrumentosque ordenan su desarrollo. La ordenanza comoinstrumento de regulación y control es impre-scindible y para poder direccionarla es necesa-rio establecer primero la imagen de ciudad quequeremos tener.

    Los principios que sirvieron de base a laidea de ciudad de la Modernidad se encuentran

    fuértemente cuestionados, ¿cuál serà la posiciònque debemos tomar frente a los instrumentos deregulación que construyeron nuestra ciudad?,¿podemos concluir entonces que el problema noes mejorar las ordenanzas existentes sino que loimportante es de definir una nueva visión deciudad y en base a ella reescribirlas?

    Esta tarea no es fácil y no aparecen todavíacon claridad los nuevos paradigmas de la ciudaddel próximo siglo que nos servirían de base paraacometer la tarea de reescribir el instrumentoregulador que la hará posible. En este ensayonos atrevemos a proponer dos aspectos que nosparecen de gran importancia y que quizáspodrían servir de referencia. Reconocer a la ciu-dad no como un hecho único sino múltiple yvariado, percibiendo esa variedad como uno desus principales atributos y el segundo se refiereal rescate de la forma urbana como otro de loselementos claves a retener. Está claro que esteenfoque preconiza un cambio radical conrespecto a la manera como percibía el moderni-smo la ciudad.

    La ciudad como realidad múltiple: la visua-

    lización de la realidad urbana como un hechounitario ha llevado a percibir la ciudad moder-nacomo totalidad indiferenciada, como unaestructura homogénea formada por partes perosiempre como una unidad. Esta propulsaba launiversalidad como uno de sus valores y sirvióde base para organizar algunos de los supuestosde la actual ordenanza.

    Frente a esta categorización, que se basa enla uniformidad, se hace necesario comenzar porpercibir la ciudad a partir de sus componentes yproducir una lectura que parta de los elementosque la constituyen y no de su totalidad. Lecturaque nos permita, partiendo de este enfoque,poner en relieve su riqueza y diversidad, princi-pal atributo de una estructura urbana. Por lotanto no puede haber un instrumento que sebase en una ordenanza única, no puede ser trata-do un tejido desarrollado en base a la cuadrículacomo uno desarrollado en base al esquema demanzanas abiertas, un sector creado dentro delos postulados del modernismo debe tener unaordenanza diferente a la de los tejidos produci-dos en las áreas no controladas o de estructurareticular. La diversidad de tipologías de tejidosurbanos obligará al desarrollo de diversos ydiferentes tipos de ordenanzas muy bien coordi-nados entre sí, como son las de los tejidos decascos tradicionales e históricos, las de laszonas de crecimiento espontáneo y no reguladoo las de las áreas de extensión de nuestras ciu-dades, bien sean las desarrolladas de acuerdo alos postulados modernos más clásicos, comoson los grandes conjuntos habitacionales con-struídos por el sector público en la mayoría denuestras ciudades o las que siguen la tipologíade las urbanizaciones con predominancia delbloque aislado.

    La forma de la ciudad: la forma urbana noha sido tomada en cuenta durante todo estesiglo, el modernismo con su desición explícitade supeditar la forma a la función dejó de ladoel interés que existía anteriormente por lamorfología de los espacios urbanos. El urbani-smo moderno, caracterizado por el racionalismode principios de siglo, dá primacía a las funcio-nes y se le acusa de haber roto con la vida de lasformas. Protegido por la máxima modernista“forms follow function”, el modernismo ignoróuna serie de resonantes fracasos de acuerdo a loque plantea Peter Blake (1974), en su libro“forms follows fiasco”, en el cual presenta coneste juego de palabras la idea de que el abando-no de la forma llevó al fracaso al modernismo yno le permitió darse cuenta de su error. En estosaños hemos presenciado la manera como el pro-ducto urbano ha perdido calidad, se ha converti-do en una agregación infinita de espaciosamorfos, cristalizados en la monotonía de lossuburbios que no se distinguen unos de otros.

    La ordenanza actual, en tanto que instru-mento de la corriente modernista, preconiza,organiza y ordena precisamente el abandono dela forma como un elemento importante de suconcepto de ciudad. De acuerdo con este segun-do aspecto se deberá partir de la forma urbanacomo elemento clave para estructurar la nuevaciudad. El reconocimiento del espacio públicocomo eje y centro de la cualificación urbanadeberá ser asumido como uno de los objetivosimportantes a ser instrumentado por la nuevaordenanza.

    Estos dos aspectos no pretenden convertirseen bases del nuevo modelo, sino que intentanaportar ideas que permitan la discusión de losparadigmas de la nueva ciudad, que como dije-ramos antes también encierran dentro de sí elgérmen de su destrucción. n

    Arquitecto Frank Marcano RequenaInstituto de Urbanismo de la Universidad

    Central de Venezuela

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    Si sono svolti a Palermo il 12 e 13 giugno1997, a cura del Dipartimento Città e Territorio,i lavori della III giornata di studio su “Le scien-ze della città e del territorio. PercorsiMeridiani”. Le due precedenti giornate di studiosi erano tenute a Bari e a Cosenza, ed avevanofatto seguito ad un convegno organizzato dalneo-costituito Dipartimento di Urbanistica diNapoli, nel corso del quale era stata proposta,agli studiosi di urbanistica presenti e prevalen-temente operanti in università del centro e delsud d’Italia, la sottoscrizione di un documentosul ‘pensiero meridiano’.

    La prolusione ai lavori della giornata di stu-dio è stata affidata a Franco Cassano, autoredella raccolta di saggi (Cassano, 1996) che, sullascorta delle riflessioni di A. Camus, sono all’ori-gine del dibattito culturale sviluppatosi attornoal pensiero meridiano.

    L’intervento di Cassano si è articolato susette tesi (Cassano, 1998):1. «Occorre riconciliare il pensiero e i luoghi. Èper questa ragione che il sud deve smettere diessere pensato dall’esterno e provare a pensarsida sé...».2. «Il pensiero meridiano non ha alcuna ostilitànei riguardi dello sviluppo, ma pensa che la vitainizi prima, continui accanto, e persista anchedopo lo sviluppo».3. La connessione ‘nascosta’ del pensiero meri-diano con il sud si coglie in modo privilegiatosui due piani della lentezza e della sensualità.4. «Il pensiero meridiano è indissociabile dalmare...», cioè dal «...desiderio della partenza,del viaggio, della traversata».5. «Ma il Mare Mediterraneo (...) non è comel’Oceano un integralismo del mare, una partenzasenza ritorno, ma porta fin dal nome l’idea di unlegame difficile, ma inevitabile tra le terre.».6. «La categoria-chiave del pensiero meridiano èla frontiera (...) il luogo in cui i diversi si incon-trano...».7. «Il pensiero meridiano dovrebbe essere capa-ce di togliere frivolezza al pensiero postmodernofacendo del Mediterraneo un grande spazio diincontro tra culture curiose una dell’altra (...)Questa necessità dell’incontro vale anche per lediverse idee di città e di diversi modi di concepi-re il rapporto tra intellettuali e vita urbana».

    Rimandando ai risultati dei lavori del conve-gno recentemente pubblicati (Di Rosa, LoPiccolo, Schilleci, Trapani, 1998) perl’approfondimento delle prime sei tesi, mi sof-fermerò qui in particolare sull’ultima e su comeessa sia stata sviluppata nelle relazioni di apertu-ra delle quattro sessioni di lavoro.

    Il concetto-chiave della tesi di Cassano sullacittà e sulla vita urbana mi sembra quello di‘intimità collettiva’. È possibile - si domanda C.- costruire nelle nostre città una pluralità dispazi intimi collettivi? È possibile che questispazi comuni e intimi al tempo stesso - comequelli che si generano nella città araba nel pas-saggio graduale dalla casa ‘introversa’ alle stra-de semiprivate e private, e infine alla strada pri-

    maria di uso pubblico - riescano a «evitare lacattiva polarizzazione tra un privato chiuso su sestesso e un pubblico ridotto a non-luogo, a terradi nessuno, superando sia il minimalismodell’estetica della citazione che l’ascetismo delbuon cittadino1»?

    La ‘risposta’ a questo interrogativo è fornitada Scandurra (1998) nei termini della necessità,indicata dallo stesso C., di riconquistare la cittàalla convivialità e all’incontro per sottrarla alleaporie e alle anomie della modernità. Ma, secon-do S., è solo portando fino in fondo la critica aquelle aporie e anomie che si può trasformare dinuovo la città in un luogo di incontro. Stiamoinfatti assistendo non al declino, bensì al dispie-gamento di tutte le premesse e le promesse dellamodernità, al suo compimento. I mutamenti incorso, anche se paragonabili a quelli ‘epocali’avvenuti tra il Settecento e l’Ottocento in coinci-denza con la Rivoluzione industriale, non confi-gurano alcun nuovo evento dal quale possanospontaneamente sorgere nuove modalità di orga-nizzazione sociale e spaziale, nuove forme dellostare insieme e del fare società.

    Il completo dispiegamento della modernitàsi esprime soprattutto nella ricerca della totaleautonomia individuale, nell’ansia della libertàassoluta che, nella pretesa di una impossibileautocostruzione del sé, annulla ogni legamesociale. Bisogna allora riconoscere che siamoinvece inevitabilmente dipendenti gli uni daglialtri. Occorre quindi un ‘progetto’ che «propon-ga le condizioni di una nuova convivenza, diuna nuova casa dell’umanità, nella quale ogniindividuo accetti come indispensabile a sél’altro».

    Ma il piano urbanistico, affermatosi cometecnologia per organizzare lo spazio fisico neimodi più corrispondenti alle esigenze dellamodernità nella sua fase di massima affermazio-ne, e come strumento per stabilire il patto socia-le tra forme ed abitanti, non ha più una comunitàa cui riferirsi e non può più, quindi, esprimere illegame tra abitanti e luogo. Caduta la possibilitàdi organizzare gli spazi della socialità comearchitetto-progettista delle istituzioni rappresen-tative, sorrette dalle grandi ideologie e dai pen-sieri forti, si pongono inevitabilmente le doman-de: chi progetta oggi le città? Dove risiede lafunzione progettuale e quali scenari appaionopossibili?

    Secondo S. tre sono le principali classi disoggetti che incidono nei processi di trasforma-zione delle nostre città. Una coincide semprepiù con i cosiddetti ‘poteri forti’ che col temposi sono resi sempre più invisibili; un’altra, doveil piano conserva la sua storica funzione, è quel-la delle istituzioni elettive, che agiscono peròsempre più spesso in una prospettiva di puramediazione tra i suddetti ‘poteri forti’, le esigen-ze del mercato e le esigenze di una sempre piùastratta collettività; l’ultima, emergente, è quelladelle ‘nuove soggettività’ (centri sociali, centriculturali, aggregazioni spurie, ecc.) che siappropriano degli spazi definiti da Revelli ‘cra-teri fordisti’ e ne sperimentano nuove modalitàd’uso, sottraendoli al processo di omologazioneurbanistica.

    La funzione progettuale si è quindi diffusa enon risiede più nelle mani ‘esperte’ del pianifi-catore ‘demiurgo’ a cui la collettività affidava ilcompito di costruire lo spazio pubblico. La pre-tesa della città occidentale di esprimere unamodalità di pensiero e di vita valida per tutto ilpianeta si è rovesciata nell’esplosione di unapluralità di pratiche che nega «...quanto di rassi-curante caratterizzava le nostre città (il non più)per un non ancora che potrebbe anche scivolareverso esiti desocializzanti e destrutturanti dellegame sociale che lega ogni uomo ad ognialtro».

    Anche nella relazione di Belli (1998) è leg-gibile in filigrana la questione posta da Cassanocirca gli ‘spazi intimi collettivi’, se si stabilisce

    un’analogia tra il tema della cattiva polarizza-zione ‘spaziale’ indicato da C. e il tema dellapolarizzazione dei saperi - tecnico da un lato ecomune dall’altro - affrontato da B. come ilprimo aspetto che fa problema nell’ambito dellacritica alla ragione e della più ampia critica allamodernità2. Relativamente a questo tema B.descrive un processo evolutivo che dalla criticaradicale del potere - culminante nell’elaborazio-ne di Forester - e dall’abbandono della pianifica-zione vista come attività comunque oppressivapraticata dalle burocrazie statali, porta all’attualepunto di inversione rappresentato dalle posizionineo-istituzionaliste del collaborative planningpropugnato da Healey.

    Parallelamente alla critica del potere si svi-luppa, secondo B., la critica serrata della razio-nalità funzionale “fini-mezzi” espressa dalpiano. Tale critica porta, sulla scorta della rifles-sione di Habermas, alla contrapposizione di unarazionalità ‘comunicativa’, fondata sull’argo-mentazione e capace di fondare il consensosenza coazione, alla razionalità cognitivo-stru-mentale, che si commisura al successo di azioniorientate allo scopo. Si tratta, secondo B., diun’acquisizione concettuale che rappresenta lacompleta articolazione e lo sviluppo delle posi-zioni disciplinari già sostenute da Davidoff eReiner, in cui la pianificazione veniva a coinci-dere con una teoria delle scelte, da giustificareconsiderando i fini non come dati irrevocabili,ma come soggetti essi stessi a valutazione e agiudizio.

    Ma è l’approfondimento della critica dellarazionalità cognitivo-strumentale nella direzionedi un recupero della razionalità intuitiva e sinte-tica e delle dimensioni estetiche ed immaginati-ve che genera, secondo B., il filone più fecondodi critica dei piani. In questo senso l’apporto piùsignificativo è quello della scuola di Costanzache, lavorando intorno al testo letterario, giungecon Jauss a formulare il concetto di ‘rispostaestetica’ del lettore, restituendo a quest’ultimoun ruolo attivo, non più solo ricettivo, nel rap-porto col testo. Nel tipo di ‘ricezione estetica’che stimola una ‘risposta estetica’ «i vuoti non sipresentano come ostacoli da rimuovere, macome stimolo per l’interazione. È nel completa-mento creativo compiuto dal lettore che si fondala sua esperienza estetica». Non può essereinterpretata allo stesso modo, si domanda B.,l’esperienza di costruzione del piano, in cui èinevitabile che le formulazioni prefigurativerimangano strutturalmente indeterminate? «Inuna prospettiva di questo genere, il piano inquanto testo si colloca tra due estremi: non è unastruttura univocamente determinata, né tantomeno immodificabile, ma non è nemmeno unprocesso evanescente dove la creatività del citta-dino-lettore va celebrata in linea di principio conincidenza equivalente a quella di altri soggetticoncorrenti alla costruzione del ‘testo’».

    Il tema dell’interazione tra pubblico e priva-to, che soggiace alla questione dell’intimità col-lettiva posta da Cassano, o meglio il temadell’interazione tra differenti ambiti di relazione,emerge anche nella relazione di Borri (1998),incentrata sulla tendenza a convergere dei piùrecenti sviluppi sia degli approcci cognitivi siadi quelli comunicativi della pianificazione spa-ziale. Se infatti per modelli di razionalità comu-nicativa si intende l’insieme di posizioni che‘spaziano’ dal “transattivismo” di Friedmann al“comunicativismo” di Forester o Healey, e permodelli cognitivisti si intende l’insieme di posi-zioni sviluppatesi soprattutto negli ultimi due otre decenni per effetto dell’eccezionale sviluppodell’informatica e dei sistemi di intelligenza arti-ficiale in particolare, è evidente, secondo B., cheentrambi finiscono per convergere nell’esalta-zione di comportamenti riflessivi e cooperativiper l’azione, dove cooperativi non significa prividi conflitti.

    I modelli comunicativi, infatti, evolvono

    LE SCIENZEDELLA CITTÀ EDEL TERRITORIOPercorsi meridianiIII Giornata di Studio

    di Luciano De Bonis

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    dalle forme di pianificazione partecipativadegli anni ’60 e ’70 (Davidoff, Krumholz) alleforme di pianificazione dialogica (Forester,Healey), attraverso le forme di pianificazionetransattiva e pragmatica (Friedmann), secondoun processo che, specie nella teoria critica diForester, getta un ponte diretto verso il cogniti-vismo in ambienti di IA. Analogamente imodelli cognitivisti evolvono dalle analisi deicomportamenti esperti alle analisi di comporta-menti interattivi multiagenti in ambienti ad altocontenuto di informalità e indeterminazione,che in quanto tali gettano un ponte verso l’inte-razione dialogica.

    Anche se permangono forti differenze tral’approccio cognitivista, che continua a essereorientato a costruire procedure di controllo repli-cabili in ambienti artificiali che evitano di con-frontarsi direttamente col tema del potere, eapproccio comunicativo, che diffida della repli-cabilità a favore della costante generazione dinuove potenzialità, entrambi i modelli «concor-rono alla esaltazione di pratiche dal basso, fon-date su sensi comuni che si intrecciano a saperiesperti, di pratiche trasformative di ambienti,processi, stili di vita nelle quali grande impor-tanza assume la convergenza di posizioni di dif-ferenti soggettività entro comunità tipicamentemultiagente».

    Direttamente al tema che Cassano (1996)indica come la chiave per pensarsi da sé daparte del sud, cioè al tema del ri-guardare i luo-ghi nel duplice senso di aver riguardo per loro edi tornare a guardarli, si riferisce l’intervento diRossi-Doria (1998), articolato in dodici punti:1. «L’immagine dei luoghi è anche espressio-ne del cambiamento, ha una dimensione evo-lutiva».2. Riguardare i luoghi significa sostanzialmentepartecipare alla loro evoluzione.3. Compiere un atto conoscitivo “scientifico” è

    sempre successivo all’acquisizione di una“immagine preanalitica”, definibile come un“pregiudizio” dipendente dalla cultura indivi-duale o collettiva.4. Un “pregiudizio” tipicamente meridiano èquello che si manifesta nel pensare sempre‘insieme’ il territorio e il mare, il luogo e l’infi-nito, il luogo e il deserto, il Mediterraneo el’oltre, ecc. In altre parole il confine come gene-ratore del luogo è un pregiudizio meridiano.5. La fisicità dei luoghi non può essere pensatasenza metterla in relazione con altre dimensioni,cominciando dalla dimensione temporale.6. I luoghi sono «la rappresentazione materialee virtuale di tempi con diverse profondità. Sonotempi biologici, tempi storici: tempi “lenti”determinati dal ritmo del cambiamento».7. I luoghi hanno dimensioni fisiche, temporalie qualitative diverse, e nel guardarli possiamoscoprirne ogni volta di nuove, sia che li guardia-mo da dentro, sia che li guardiamo da fuori.«Guardare gli altri luoghi dal Mediterraneo nonè sufficiente. Il Mediterraneo è guardato da altriluoghi. C’è una relazione con gli altri che con-solida la riconoscibilità del luogo».8. Ogni rappresentazione della fisicità dei luo-ghi è contingente, perché i luoghi si trasforma-no e si degradano incessantemente. Il luogo è diper sé cambiamento. Ogni immagine della cittàcontiene quindi un progetto, un’indicazione chesi colloca nella direzione irreversibile deltempo. Il fondamento del progetto sta nel ‘pre-giudizio’, che nel nostro caso coincide conl’adesione al paradigma dell’evoluzione.«Come pensare dunque di prescindere dalriguardare i luoghi quando si voglia parteciparedel cambiamento? Quando si voglia fare unprogetto?».9. La fisicità dei luoghi è l’espressionedell’accumulo di informazioni che le collettivitàdi uomini che vi hanno operato ha sedimentato.Un luogo ha dunque un’identità tanto più nitida

    quanto più incorpora informazione.10. Per riconoscere un luogo è necessariodisporsi in una posizione d’ascolto tale da poter-si formare un ‘pregiudizio’, un’immagine prea-nalitica di quel luogo. Le rappresentazioni grafi-che moderne, razionali, stentano a cogliere lamultidimensionalità dei luoghi perché tendonoad espellere, a differenza delle rappresentazionipre-moderne, il ‘pregiudizio’ dell’osservatoreredattore-ascoltatore dall’immagine.11. Ci si può mettere in condizione di vedere odi ascoltare in diversi modi. Il modo dei futuristie quello consentito dalle moderne infrastrutturedi mobilità, che propone l’idea dell’ascolto inmovimento, appanna e cancella l’immagine per-cepita andando lenti.12. «Riguardare i luoghi in conclusione significariappropriarsi di dimensioni già conosciute edoccultate dalla contemporaneità. Significa resi-stere alla tentazione di fondare i progetti su pre-messe inattendibili (...) perché estranei allo scor-rere del tempo. Significa ritornare alla dimensio-ne del tempo la cui unidirezionalità incerta esconosciuta è matrice della nostra creatività.Significa recuperare una dimensione progettualeattendibile e creatrice di risorse».

    Solo una cosa vorrei aggiungere a questoparziale ed incompleto resoconto, qualcosa cheriguarda ancora il ‘progetto’, una citazione trattadal primo capitolo del libro di Cassano, cioèproprio il capitolo che si intitola “andare lenti”:

    «Andare lenti (...) è suscitare un pensieroinvolontario e non progettante, non il risultatodelle scopo e della volontà, ma il pensiero neces-sario, quello che viene su da solo, da un accordotra mente e mondo» (Cassano, 1996). n

    Note

    1) Molto interessante, nell’ambito della tesi qui discussa, èil riferimento al film Smoke, tratto dai racconti di Alster, incui il negozio di tabacchi esemplifica, secondo Cassano,l’emergente desiderio di luoghi di intimità collettiva. Mipermetterei di aggiungere all’indicazione di C. il successi-vo film Blue in the face, ‘storia di fumo’ sempre tratta dairacconti di Alster, che ben completa quel dittico di film incui si mostra - secondo me in modo mirabile e con grandepoesia - come uno spazio urbano sia anche una ‘traccia’delle relazioni che vi si instaurano ora per ora, giorno pergiorno ed epoca per epoca.2) Devo essere considerato responsabile unico dell’analo-gia qui proposta, benché mi paia che tale associazione aleg-gi in diversi approcci correnti al planning. L’analogia nonpuò quindi essere fatta risalire né a Cassano né a Belli, e miserve solo come espediente di lettura interpretativadell’intervento di Belli alla luce della prolusione diCassano.

    Riferimenti bibliografici

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    Introduzione al tema: il processo di rifor-ma amministrativa

    Si avverte con sempre maggiore frequenza,nella legislazione e anche nella giurisprudenza, uncrescente disagio nel trattare della categoria deipubblici servizi, della loro gestione e promozioneper le politiche di governo del territorio.Addirittura, quel complesso di proprietà e poteredella pubblica amministrazione nella gestione deibeni pubblici e dei servizi di interesse pubblico, èstato recentemente qualificato in termini significa-tivi come manomorta pubblica (TAR Milano, sez.Brescia, 2 ott. 1992, n.1040, in Trib. Amm. Reg.,1992, 1, p. 4776).

    Se da un lato possiamo osservare che questelogiche di gestione sono radicate da anni nel nostroordinamento positivo, è opportuno notare però che,allo stesso modo, molte di queste deficienze deri-vano dal fatto che nel diritto positivo italiano nonesiste una norma apposita che definisca la nozionedi “pubblico servizio”; pertanto l’espressione “ser-vizi pubblici” è arrivata ad assumere un significatotalmente ampio da risultare astratto e poco chiaro1.

    Nel mondo odierno le ragioni della valorizza-zione economica si ancorano allo scambio delbene, al suo impiego ottimale, al suo inserimento inuna organizzazione imprenditoriale. I nostri tempinon sono più i tempi della proprietà centro deldiritto, e soprattutto non sono più i tempi della pro-prietà fondiaria, produttiva di rendita. Sono invecei tempi dell’impresa e del contratto, ovvero più ingenerale, del diritto di credito e dell’obbligazione,mentre la stessa proprietà è considerata e protetta inbuona parte per il suo valore di scambio. Anche lapubblica amministrazione, che pure non persegueistituzionalmente interessi economici, ma interessipubblici, va cosi trasformandosi in senso economi-co e trasforma i criteri di gestione dei suoi servizi.

    Insomma il modello economico-imprenditoria-le non viene impiegato solo per perseguire scopi dilucro, ma diviene un modello neutro, “bon a toutfaire”, ed in particolare viene impiegato per perse-guire interessi pubblici. Sono evidenti, in questosenso, i tentativi del legislatore di modificarel’apparato burocratico - anche l’apparato che nonsvolge prestazioni, ma vere e proprie funzioni auto-ritative (Caia, 1993) - trasformandolo in una strut-tura più snella, improntata appunto a canoni di effi-cienza imprenditoriale. È questa la tematica dellariforma amministrativa, per rendere l’organizzazio-ne e l’azione pubblica più efficace ed efficiente.

    La Legge-quadro di riforma delle autonomielocali - L.142/1990 - ha indubbiamente cambiatotutte le regole generali su cui si basa la gestionedella vita quotidiana degli enti territoriali.Sicuramente, tra le innovazioni particolari c’è ilpassaggio a un sistema di autonomia finanziariafondata sulla certezza di risorse proprie e trasferite.La legge ha infatti assicurato agli enti territorialipotestà impositiva autonoma nel campo delleimposte, delle tasse e tariffe, con opportuni ecostanti adeguamenti della legislazione tributaria.Laddove fino a tutti gli anni ‘80, circa la naturagiuridica delle aziende municipalizzate, esse conti-nuavano a rientrare nella categoria delle imprese-organo, in quanto la mancanza di personalità giuri-

    dica non consentiva di configurarle come enti pub-blici - bensì come organo dell’ente locale proprie-tario2 - con l’introduzione di questa “personalitàgiuridica” ad opera della Legge di riforma delleautonomie locali, l’azienda speciale si colloca nonpiù come organo-impresa dell’ente locale - e cometale sottoposta al regime pubblicistico dell’ente -ma come ente strumentale, dotato di un’autonomiaimprenditoriale e di un proprio statuto.

    Ne deriva che uno dei maggiori problemi rela-tivi alla gestione delle Aziende speciali è ora lanecessità di coniugare l’attribuita imprenditorialitàcon la socialità. Infatti tali Aziende, gestendo “ser-vizi pubblici che hanno per oggetto produzione dibeni e attività rivolte a realizzare fini sociali ed apromuovere lo sviluppo economico e civile dellecomunità locali” (e della sfera territoriale su cuiqueste ultime direttamente insistono), devono svol-gere le proprie attività in modo efficace, efficiente,ed economico e dunque assicurarsi l’autosufficien-za gestionale nel rispetto del “criterio di economi-cità” proprio di quegli enti “...la cui attività, pur sestrumentale rispetto al perseguimento di un pubbli-co interesse, ha per oggetto l’esercizio di un’impre-sa ed è informata a regole di economicità, in quan-to diretta a conseguire un profitto o, quanto meno,a coprire i costi” (Tessarolo, 1994)3.

    Le tendenze evolutive che caratterizzano il pre-sente contesto sono diverse. Innanzitutto, a riprovadella maggiore autonomia che si vuole lasciare atali aziende, si evidenzia il progressivo abbandono,da parte dell’ente locale, della gestione di diversetipologie di servizio pubblico. Di qui la messa inatto di valutazioni di convenienza economica allor-chè l’ente locale è chiamato a scegliere tra forme

    alternative di gestione dei servizi pubblici, renden-do sempre meno imperanti le valutazioni di ordinepolitico-sociale. Ancora di particolare interesseappare il crescente spostamento verso modelligestionali che consentano una collaborazione con iprivati, anche qualora la supervisione pubblicarimanga necessaria; infatti, ciò permette di ottenerenuove competenze e nuovi capitali, oltre che diaffacciarsi su nuovi mercati4.

    Verso una nuova forma di gestione

    La proposta di istituzionalizzare la privatizza-zione della gestione dei servizi pubblici locali equindi di trasformare le aziende speciali in societàmiste a partecipazione anche minoritaria dell’entelocale, è un principio generale che potrebbe assi-curare l’erogazione dei servizi attraverso unità diproduzione dotate di un’ampia autonomia orga-nizzativa e gestionale, salvo il caso di attività chel’ente locale svolge in forma autoritativa. L’atten-zione degli esperti si è soprattutto concentratasulle attuali limitazioni che l’azienda specialeimpone in relazione all’accesso alle fonti di finan-ziamento, alla possibilità di servire un’utenza ade-guata per consentire all’azienda di raggiungereuna dimensione operativa ottimale e, infine,all’autonomia gestionale dei vertici aziendalirispetto alle decisioni dell’ente locale. La conside-razione di questi forti vincoli è stata la base perproporre il nuovo modello di S.p.a., in grado digarantire una maggiore flessibilità gestionale e diconsentire all’ente locale sia di ricorrere al merca-to dei capitali, sia di realizzare forme di collabora-

    GLI STRUMENTIFINANZIARI E LACOMPONENTEPRIVATA NELLAGESTIONE DELLEPOLITICHE DI PIANO

    di Lorenzo Guarino

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    zione con i diversi operatori pubblici e privati.Ne discende che la tendenza ad incrementare

    la presenza del capitale privato nelle impresepubbliche diviene un fenomeno di grande rilievonon solo a livello nazionale, ma anche locale.Viste le dimensioni che tale processo di privatiz-zazione potrebbe raggiungere, è lecito chiedersise sia giusta e possibile un’integrale privatizza-zione del settore.

    La questione della riorganizzazione dei servizipubblici locali è divenuta in questo senso un ele-mento centrale nel programma della maggior partedelle giunte dei Comuni italiani. A questo proposi-to la preoccupazione principale deve essere ilbenessere collettivo in relazione all’opportunità dilasciare al settore pubblico la gestione diretta omeno dei servizi pubblici. Posti di fronte allanecessità di salvaguardare al contempo equità edefficienza, occorre individuare se le ragioni chehanno condotto il settore pubblico ad assumersi lagestione diretta dei servizi pubblici permanganoancora. Qualora tali esigenze siano venute meno, sipuò affrontare la questione della privatizzazione edelle modalità da seguire nella sua attuazione.

    Il panorama della letteratura teorica e dell’evi-denza empirica, non mostra indicazioni esplicite diuna preferenza “secca” tra settore pubblico e setto-re privato. Ciò che appare emergere con sufficientechiarezza è che la privatizzazione può essere consi-derata, in questo ambito, come uno strumentodell’agire pubblico. Infatti, il nocciolo del proble-ma risiede nella constatazione che l’efficienza el’efficacia della fornitura di beni e servizi non pos-sono prescindere, ai fini dell’ottimizzazione delleprestazioni, da un ruolo meglio definito della pub-blica amministrazione.

    Più che ad un trasferimento totale di competen-ze e funzioni, o più che a un generico mix tra ledue opzioni, la Public Choice (Voytek, 1993) sem-bra caldeggiare un’inversione di tendenza chepremi in modo innovativo la sostanza dello statutodel settore pubblico, ossia le sue funzioni di con-trollo e di programmazione.

    In maniera illuminante, Sundquist (Sundquist,1984) afferma: “Nella vera privatizzazione, ilruolo dello Stato è soltanto ridotto; esso nonscompare. Quella che viene lasciata è solo la partepiù facile dell’intero lavoro - il fare. L’ideazione,la progettazione, l’individuazione degli obiettivi,la fissazione degli standard, il controllo dellaperformance, la valutazione e la correzione resta-no tutte allo Stato”. Privatizzare, inoltre, nonsignifica rinunciare al perseguimento di politichepubbliche volte a tutelare ad esempio i prezzi, illivello occupazionale e la realizzazione di partico-lari investimenti atti al miglioramento del conte-sto territoriale ed ambientale.

    Efficacia operativa vs perdita della com-plessità

    Il riconoscimento di interessi divergenti sumolte delle azioni di trasformazione territoriale (inseno alla sfera pubblica, o tra queste e l’elementoprivato), determina un rapporto di tipo collaborati-vo tra pubblico e privato all’interno dei processi digestione del territorio locale. La crisi diffusa cheattraversa la pianificazione generale, e la sua con-seguente dismissione per un’elaborazione di grandiprogetti per parti di città, è relazionata in manieraevidente anche con questa serie di problemi; da unlato di “interpretazione e trattamento della com-plessità” (decisionale, delle configurazioni territo-riali e delle relazioni sociali) che caratterizza la fasepiù recente del dibattito disciplinare e, dall’altrolato, problemi di efficacia operativa dell’interventopubblico per la realizzazione dei servizi (Tosi et al.,1994).

    Sono queste le questioni di fondo che la “piani-ficazione per progetti” tenta di affrontare. I promo-tori coinvolti (soprattutto quelli appartenentiall’area tecnico professionale), attribuiscono al pro-getto la capacità di indagare, interpretare e trattarela complessità dei processi di trasformazione urba-na attuali, rapportandosi alla specificità dei proble-

    mi, dei luoghi, dei soggetti. Rinunciando ad unavisione globale ed unitaria come quella presuppo-sta dalla pianificazione tradizionale - inadeguata adindagare e rappresentare questa complessità - i pro-getti “per una parte” consentirebbero di relazionarsi“...naturalmente con l’area funzionale e geograficaad essi utile e adatta, con la comunità ad essi inte-ressata” (Macchi Cassia, 1991).

    La trasformazione graduale dei modelli digestione urbanistica verso una pianificazione perprogetti, sembra cosi assecondare le nuove dinami-che che investono la città articolandola “per setto-ri”, che offrono allo sviluppo delle nuove tecnolo-gie - che quei settori leggono e connettono - unordine di scenari con minore complessità.

    La problematica generata da queste tipologie diprogetto urbano, in assenza di una forte maglia dicoordinamento strutturale che le guidi, finisce peròsia nel costituire due tipi di pratiche progettuali-decisionali con scarsi punti di contatto, sianell’orientare la pratica progettuale pubblica, piùche nella direzione di un adattamento alla specifi-cità, verso una logica di frammentazione e semplifi-cazione dell’intervento. I molteplici progetti affron-tano i problemi in modo isolato - spesso entrandoin competizione tra loro per attrarre le poche fun-zioni pregiate disponibili - seguendo processi deci-sionali separati, riproducendo ad una scala inferio-re il tradizionale approccio “dall’alto” della cultu-ra amministrativa: le aree dei progetti sono infatticonsiderate essenzialmente come “aree occasione”per gli obiettivi di sviluppo globali, mentre mancaspesso il riferimento alle esigenze locali (ed al lororeale bisogno di servizi).

    Sintetizzando possiamo dire che vi è un’inne-gabile e ricorrente connessione fra “lo sviluppodella collaborazione diretta tra amministrazionepubblica e operatori privati dello sviluppo e l’affer-marsi di nuovi metodi di pianificazione, incentratisulla concentrazione di progetti” (Crosta, 1990,p.169). La collaborazione pubblico-privata vieneinvocata soprattutto come strategia per l’incremen-to dell’efficacia dell’adozione pubblica attraversol’adozione da parte di quest’ultima dei principi edelle modalità di intervento privati: “...l’unità diintervento che sembra essere la più efficiente perl’operatore privato di costruzione (...) tende a veni-re definita come unità di intervento capace digarantire efficacia alla politica urbanistica” (Crosta,1990, p.157).

    In questa assunzione è implicita l’attribuzionedi inefficienza all’amministrazione pubblica e diefficienza al mercato; un elemento retorico che - inun contesto di rivincita sul mercato - assume gran-de rilevanza sul piano della legittimazione dellenuove relazioni ricercate.

    Le nuove proposte di riordino della materiaurbanistica emerse in questi ultimi tempi, tendonoa recepire le indicazioni concernenti interessi diver-si, cercando da più parti di considerare delle“modalità istituzionali di accesso” ai processi diformulazione delle politiche per il territorio. Lapresunta capacità di introdurre nuovi livelli di effi-cacia operativa è affidata alla possibilità - in rela-zione ai progetti - di sperimentare nuove e più effi-caci forme di relazione pubblico-privata per lagestione della trasformazione urbana5.

    Si tratta non solo della tanto dibattuta nozionedi partnership - la collaborazione diretta pubblico-privata che, dopo le originali elaborazioni nel con-testo statunitense e britannico, ha avuto ampia dif-fusione in altri paesi occidentali, Italia compresa -ma anche delle nuove forme di gestione dei proget-ti urbanistici, basate sulla reperibilità di risorsedirettamente dal mercato.

    Quali strumenti per “realizzare”

    La ricerca in questione conclude poi il suo per-corso informativo con un’analisi delle nuoveresponsabilità e competenze degli enti localisoprattutto in tema di finanza e del reperimentodelle entrate necessarie per dare concretezza agliindirizzi urbanistici ipotizzati. La ricerca di un con-nubio tra efficienza ed economicità dei servizi, oltre

    che caratterizzare il dibattito sulla pubblica ammi-nistrazione italiana, costituisce la base sulla qualesarà possibile costruire uno stato fondato sull’effet-tiva autonomia degli enti territoriali nelle formula-zioni delle politiche di piano.

    Tra la dotazione di nuovi strumenti con cuiperseguire questi intenti, possiamo senz’altro anno-verare i buoni obbligazionari comunali. Essi sonotitoli di credito autonomo, rappresentativi di prestiticontratti da una persona giuridica presso il pubbli-co e regolati opportunamente dal codice civile.L’emissione di titoli obbligazionari da parte deglienti locali garantisce una forma di raccolta direttadel risparmio sui mercati basata sul merito di credi-to delle singole amministrazioni. I titoli di debitolocale sono un forte stimolo ad elevare la affidabi-lità creditizia delle singole amministrazioni attra-verso una maggiore efficienza organizzativa efinanziaria, e allo stesso tempo un incentivo arazionalizzare il prelievo fiscale perchè si evitinoinasprimenti fiscali e contributi che potrebberodeterminare concorrenza o distorsioni nelle alloca-zioni delle risorse produttive. Un innalzamentodella qualità dei servizi, deriva anche dal fatto checon l’acquisto di obbligazioni locali, i cittadinirisparmiatori hanno la possibilità di partecipare alfinanziamento di opere di cui saranno i direttibeneficiari6.

    I buoni obbligazionari comunali tuttavia, nonsono oggi l’unico strumento con cui i comuni pos-sono concretamente attuare l’autonomia finanzia-ria. Se infatti la valutazione dei costi di indebita-mento è un’operazione generalmente complessa -perchè da essa dipendono le politiche comunali peril territorio - altrettanto complesso e variegatodovrà essere il panorama di strumenti a cui ilcomune potrà ricorrere.

    In questi ultimi anni questo dibattito si èorientato su un’altra principale direttrice: coinvol-gimento del capitale privato attraverso il projectfinancing. Il P. F. è un’espressione che viene uti-lizzata per indicare quella tecnica impiegata peroperazioni di finanziamento di una specifica unitàeconomica, appositamente creata per la realizza-zione di un progetto, nelle quali il finanziatore faaffidamento sui flussi di reddito generatidall’unità stessa (cash flow) quale sorgente deifondi per il rimborso del prestito e su un patrimo-nio quale garanzia collaterale.

    Questo strumento, che si basa su criteri oppostialla metodologia tradizionale, permette quindi distrutturare il finanziamento di un progetto anche seil suo promotore non dispone di sufficiente suppor-to al credito o capacità di indebitamento7 . n

    Note

    1) D’altra parte, se risulta certamente superata la concezioneespressa da Giannini (Giannini, 1981, p.541) di servizio pub-blico, intesa come “ogni attività disimpegnata da pubblicheamministrazioni che non fosse pubblica funzione”, non sod-disfa neppure quella derivante dagli ultimi orientamenti delladottrina. Secondo tale indirizzo costituisce servizio pubblico“quella attività svolta a realizzare i bisogni o le condizioni dibase per l’esistenza delle collettività” (Bardusco, 1994,pp.27-29).2) L’evoluzione legislativa in materia di aziende municipaliz-zate (poi aziende speciali) dopo quasi un centenario di storiadell’istituto, può essere ripercorsa attraverso quattro tappesignificative:L.103/1903 - “Assunzione diretta dei pubblici servizi daparte dei Comuni”, in cui si consente formalmente ai Comunidi assumere l’esercizio diretto di alcune tipologie di serviziopubblico con evidente impatto territoriale e di gestirle amezzo di un’azienda speciale (senza riferimento alla suanatura giuridica).R.D.2578/1925 - “Approvazione del testo unico della leggesull’assunzione diretta da parte dei Comuni”, in cui si consenteall’ente locale di svolgere attività imprenditoriale (“ogni nego-zio giuridico”), purché in presenza di un interesse pubblico chelo consigli.D.P.R.902/1986 - “Approvazione del nuovo regolamento delleaziende di servizi dipendenti dagli enti locali”, ove all’internodi una contingenza di difficoltà economiche per l’Italia, cheavevano fatto in modo che si ponesse il veto per la costituzionedi nuove aziende, si pensa soprattutto ad una reinterpretazionedelle tendenze di legge del passato decennio (in particolare conil passaggio da una contabilità finanziaria ad una economica).L.142/1990 - “Ordinamento delle autonomie locali”.3) In merito all’Ambito territoriale per il perseguimento delpubblico interesse, il 1990 ha visto, insieme alle innovazioniintrodotte sull’ordinamento delle autonomie locali, un’altrapronuncia di un certo rilievo e intervenuta per disciplinare il

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    contenzioso relativo a quale fosse la dimensione territoriale daattribuire in tema di aziende speciali. La sentenza delConsiglio di Stato n.374/1990 (confermata poi in Cass. Civ,SS.UU., n.4991 1995) ha chiarito che “...il territorio non costi-tuisce un limite fisico entro cui va esercitato il servizio, bensìesso rappresenta un limite di scopo, finalizzato ad individuarela collettività di riferimento cui deve essere ricondotto l’inte-resse pubblico locale”.4) In relazione a ciò, È d’obbligo menzionare sia la volontà diintrodurre forme di concorrenza indiretta (“yardstick competi-tion”, L.41/1986) tra le varie imprese al fine di stimolare unamaggiore funzionalità aziendale, sia la modernizzazione dellepolitiche tariffarie (criterio del “price-cap”, Provv.CIP n.341991) con l’aggiornamento costante delle tariffe in funzionedell’indice dei prezzi al consumo e della variazione dell’indicedi produttività globale.5) Un’analisi di alcune Leggi regionali già in vigore, ha per-messo di evidenziare la traduzione operativa di quei principidi “privatizzazione” (economica e urbanistica) enunciati attra-verso modelli teorici. Tra le altre direttive regionali, si può ad esempio in questasede far riferimento ad un paio di casi: Con la L.R. Toscana 5/1995, si è osservato un tentativo di rie-laborare i principi sulla “discrezionalità del provvedimentoamministrativo” da contrattare con i privati (art. 11/L.2411990) attraverso l’istituzione di “uffici aperti” (art. 35), e unadimensione territoriale a carattere operativo tramite le “unitàterritoriali organiche elementari”.Inoltre uno studio sulla Legge di riforma L.U.R. Abruzzo18 1983, ha evidenziato l’introduzione: a) del principio dibilateralità tra Amministrazioni e privati (in merito ai pro-grammi ex. art.16 L.179/1992); b) dell’articolazione dellafunzione di piano in “momenti” (con il “Comitato dei rap-presentanti delle Amministrazioni”, aperto al confronto coiprivati); c) di una legittimazione di tutti quei programmiprivati negoziati con l’Amministrazione sotto forma di pro-poste (rapporto biunivoco tra programma integrato eAccordo di programma).6) In Italia dal 1994 alcuni comuni, come Rivoli e Napoli (eultimamente Roma), hanno trovato indubbi vantaggi da questaforma di finanziamento, seguendo modelli esteri - basti pensa-re che in Francia la città di Parigi negli anni 1992-93 ha rac-colto fondi per 4.1 mld di franchi di cui il 70% attraverso ilricorso al mercato obbligazionario. In particolare il comune diNapoli ha disposto l’emissione di titoli obbligazionari pari a300 mld, con cui ha potuto avviare un processo di risanamentodella “azienda napoletana per la mobilità (ANM) - che è statatrasformata in azienda speciale - e raddoppiare il sistema ditrasporto urbano aggiungendo nuovi 400 autobus per i colle-gamenti urbani. 7) Un’innovazione fondamentale per il panorama italiano, chea partire dal 1988, ha legiferato alcuni vincoli per l’assunzionedi mutui da parte degli enti locali.Ad esempio, l’obbligo di redigere il piano finanziario qualepresupposto di legittimità per l’approvazione dei progetti, daun lato ha evitato che si assumessero mutui per opere la cuionerosità nella gestione le avrebbe rese inattivabili, dall’altroha incentivato il ricorso ad una progettualità di mercato in cuila redditività dell’investimento è garanzia per la realizzazionedel servizio (questo nuovo interesse è testimoniato da tutta unaserie di provvedimenti legislativi che hanno tentato di discipli-nare il settore dei lavori pubblici, e del loro finanziamento,secondo quei principi in materia di contratti - absolute contract- di diretta derivazione del common law anglosassone di cui ilP.F. è il meccanismo operativo).

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    Introduzione

    Dalla loro fondazione, le città latinoamericanehanno mantenuto uno stretto rapporto con lerispettive colonie europee.

    Tale rapporto si è alimentato nel corso deglianni allargandosi ad un ambito geografico piùampio. Se prima erano solo la Spagna ed ilPortogallo ad imporre i loro modelli e regole perla formazione delle prime città di fondazione, inotevoli cambiamenti politici, economici e socialiavvenuti nel corso del secolo XIX, favorironol’ingresso verso i nuovi territori di un vasto settoredi popolazione europea di diversa provenienza. Siaprì così una lunga fase di migrazioni verso i terri-tori del nuovo continente in cui i modelli culturalieuropei vennero letteralmente ed acriticamenteadottati da una civiltà che subì questo processomascherando i caratteri della propria identità.

    Infatti, dopo il lungo periodo delle guerre perl’indipendenza politica dalle rispettive Colonie,potenti oligarchie assumono il potere dando luogoad una fase di rinnovamento e di ricerca di unaimmagine urbana che rivendichi il nuovo statusdelle nascenti autonomie.

    Dal punto di vista urbano è proprio questa lafase in cui il fascino dell’Europa «abbellita» dagliinterventi di rinnovamento urbano ed in particola-re Parigi, oggetto delle grandi trasformazioni diHaussmann, divengono il «modello» al quale tuttele nazioni latinoamericane si ispirano per impri-mere un nuovo volto alle capitali coloniali di sche-ma ormai obsoleto e modesto.

    Le vecchie scacchiere subiscono forti interven-ti di sventramento per far spazio alle monumentaliavenidas che spesso vengono anche chiamateboulevards, ma a differenza di quanto accade nellecittà europee, in questi ultimi interventi, si imponel’incoerenza «fra programmazione ed esecuzionedelle opere, fra impegno pubblico e guidaall’intervento privato, (...) ciò si traduce in unbasso grado di omogeneità di risultati sia a livellomorfologico che tipologico e stilistico»1.

    A Rio de Janeiro si apre nel 1903 un ciclo dilavori di rinnovamento che investono la tramadell’antica città, fra questi l’avenida Rio Branco,collegamento nord-sud che unisce in linea retta laPraça Mauà con il passaggio fra il Morro doCastello e il Morro Sant’Antonio. A São Paolodopo il 1872, avviene la trasformazione dell’anti-co centro le cui funzioni residenziali vengonoabbandonate per dar luogo al «Triangulo» sededegli edifici finanziari della città, e si verifical’apertura